Language of document : ECLI:EU:C:2012:607

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 4 ottobre 2012 (1)

Causa C‑212/11

Jyske Bank Gibraltar Ltd

contro

Administración del Estado

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo (Spagna)]

«Lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite e il finanziamento del terrorismo – Direttiva 2005/60/CE – Obbligo a carico degli enti creditizi di segnalare le operazioni finanziarie sospette – Ente operante in regime di libera prestazione dei servizi – Individuazione dell’unità nazionale di informazione finanziaria responsabile della raccolta delle informazioni – Interpretazione dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/CE – Restrizione alla libera prestazione dei servizi – Motivi imperativi di interesse generale – Idoneità della normativa nazionale a conseguire gli obiettivi perseguiti – Proporzionalità»





1.        Un ente creditizio è tenuto a comunicare le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro nel cui territorio presta i suoi servizi o a quella dello Stato membro nel cui territorio ha la propria sede sociale?

2.        Con il presente rinvio pregiudiziale viene chiesto alla Corte di individuare l’unità di informazione finanziaria responsabile della raccolta, dell’esame e, quindi, della trasmissione alle autorità nazionali competenti per il perseguimento e la repressione dei reati finanziari (in prosieguo: le «autorità competenti») delle informazioni riguardanti le operazioni finanziarie sospette. La posta in gioco è importante, giacché si tratta di garantire un’attuazione efficace e coerente non solo della lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo oggetto della direttiva 2005/60/CE (2), ma anche della collaborazione avviata tra gli Stati membri nell’ambito della decisione 2000/642/GAI (3) per quanto riguarda lo scambio di informazioni finanziarie. L’obiettivo è semplice, trattandosi di impedire ai soggetti che riciclano denaro di avvalersi della libera prestazione dei servizi e di trarne vantaggio a beneficio delle loro attività criminali e a danno dell’integrità del sistema finanziario dell’Unione europea e degli Stati membri.

3.        La questione in esame s’inserisce nel quadro di una controversia che contrappone, originariamente, il Servicio Ejecutivo de la Commisión de Prevención del Blanqueo de Capitales e Infracciones Monetarias (4), che è l’unità di informazione finanziaria spagnola, alla Jyske Bank Gibraltar Ltd (5), un ente creditizio che esercita le sue attività in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi e ha la propria sede legale a Gibilterra. La Jyske è stata condannata dal Consiglio dei Ministri spagnolo al pagamento di una multa di EUR 1 700 000 per essersi rifiutata di comunicare le informazioni, richieste dal Servicio Ejecutivo, riguardanti determinate operazioni finanziarie sospette. Di fronte alle autorità nazionali, la Jyske ha sostenuto di essere soggetta a un tale obbligo di comunicazione soltanto nei confronti dell’unità di informazione finanziaria del territorio su cui è stabilita, vale a dire Gibilterra, in conformità dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60.

4.        Nell’ambito della presente controversia, il Tribunal Supremo (Spagna), dinanzi al quale la Jyske ha impugnato la multa inflittale, chiede alla Corte se la normativa nazionale, nell’imporre agli enti creditizi che esercitano le loro attività nel territorio nazionale in regime di libera prestazione di servizi di trasmettere le informazioni richieste ai fini della lotta ai reati finanziari direttamente all’unità nazionale di informazione finanziaria, sia conforme al diritto dell’Unione.

5.        Nelle presenti conclusioni, sosterrò che l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 deve essere interpretato nel senso che non osta a una siffatta normativa. Fonderò le mie considerazioni non soltanto sul testo della norma in parola, ma anche sulla ratio della succitata direttiva e sugli obiettivi che il legislatore dell’Unione intende perseguire.

6.        Nell’ipotesi in cui la Corte non condivida la suddetta interpretazione, illustrerò, in via subordinata, come lo Stato membro possa, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva in parola, adottare disposizioni più rigorose per prevenire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo purché compatibili con il diritto dell’Unione. A tal riguardo, illustrerò come detta normativa integri una restrizione alla libera prestazione dei servizi ed esaminerò in che misura essa possa ritenersi giustificata.

7.        Preciserò che l’articolo 56 TFUE non osta ad una siffatta normativa se essa soddisfa, come competerà al giudice del rinvio verificare, le seguenti condizioni: la normativa nazionale deve essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, dev’essere intesa a garantire la realizzazione dell’obiettivo che essa persegue, non deve andare al di là di quanto è necessario per conseguirlo e deve applicarsi in modo non discriminatorio. Formulerò precisazioni in merito ai diversi presupposti.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      La direttiva 2005/60

8.        La direttiva 2005/60 ha abrogato la direttiva 91/308/CEE (6). Essa mira a prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo imponendo agli Stati membri, da un lato, di vietare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, dall’altro, di prevedere a carico degli enti creditizi l’obbligo, in particolare, di vigilare sulla clientela e di segnalare le operazioni sospette. Queste misure costituiscono obblighi minimi, comuni a tutti gli Stati membri e lasciano a questi ultimi, in conformità dell’articolo 5 della direttiva 2005/60, un margine di discrezionalità per adottare o mantenere disposizioni più rigorose nel loro ordinamento giuridico interno.

9.        La natura e la portata degli obblighi di segnalazione sono stabiliti al capo III della direttiva 2005/60.

10.      A norma dell’articolo 20 della suddetta direttiva, gli Stati membri impongono agli enti creditizi di prestare particolare attenzione a ogni attività che essi considerino particolarmente atta ad avere una connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e, in particolare, alle operazioni complesse, insolite o di importo insolitamente elevato.

11.      In forza dell’articolo 21 della suddetta direttiva, gli Stati membri devono istituire un’unità nazionale di informazione finanziaria incaricata di ricevere, di analizzare e di comunicare alle autorità competenti le informazioni relative all’esistenza di operazioni sospette.

12.      L’articolo 22 della direttiva 2005/60 – che deve essere qui interpretato – stabilisce quanto segue:

«1.      Gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva e, se del caso, ai loro amministratori e dipendenti di collaborare pienamente:

(…)

b)      fornendo prontamente all’[unità di informazione finanziaria], su sua richiesta, tutte le informazioni necessarie secondo le procedure di cui alla legislazione vigente.

2.      Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono trasmesse all’[unità di informazione finanziaria] dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente o la persona che trasmette le informazioni stesse. (…)».

13.      Da ultimo, in base all’articolo 39, paragrafo 2, della suddetta direttiva, gli Stati membri possono infliggere sanzioni amministrative agli enti creditizi in caso di violazione delle disposizioni adottate in attuazione della suddetta direttiva. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

2.      La decisione 2000/642/GAI

14.      La decisione 2000/642/GAI stabilisce le modalità dello scambio di informazioni tra le unità nazionali di informazione finanziaria, con l’obiettivo di istituire una cooperazione stretta ed efficace tra le varie autorità (7). La suddetta decisione si applica a Gibilterra; il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord designa un’unità di informazione finanziaria responsabile in tale territorio (8).

15.      L’articolo 1 della suddetta decisione dispone quanto segue:

«1.      Gli Stati membri si assicurano che le [unità di informazione finanziaria] istituite o designate per ricevere informazioni finanziarie nel quadro della lotta al riciclaggio dei proventi di attività illecite cooperino per raccogliere, analizzare e sottoporre a investigazione le informazioni nell’ambito delle [unità di informazione finanziaria] relative a ogni fatto che possa costituire indizio di riciclaggio, conformemente alle loro competenze nazionali.

2.      Ai fini del paragrafo 1, gli Stati membri si assicurano che le [unità di informazione finanziaria] si scambino, spontaneamente o a richiesta, ai sensi della presente decisione o in conformità di memorandum d’intesa esistenti o futuri, tutte le informazioni disponibili che possano risultare utili per il trattamento o l’analisi di informazioni o per l’investigazione, da parte delle [unità di informazione finanziaria], di operazioni finanziarie connesse con il riciclaggio di denaro e delle persone fisiche o giuridiche in esse implicate.

(…)».

16.      In forza dell’articolo 4 della suddetta decisione:

«1.      Ogni domanda inoltrata ai sensi della presente decisione è accompagnata da una succinta esposizione dei pertinenti elementi noti all’[unità di informazione finanziaria] richiedente. L’[unità di informazione finanziaria] specifica nella domanda l’uso che sarà fatto delle informazioni richieste.

2.      Allorché una domanda è inoltrata in conformità della presente decisione, l’[unità di informazione finanziaria] richiesta fornisce tutte le informazioni pertinenti, tra cui le informazioni finanziarie disponibili e i dati inerenti all’applicazione della legge richiesti nella domanda, senza che sia necessaria una lettera formale di richiesta ai sensi delle convenzioni o degli accordi applicabili tra gli Stati membri.

3.      Un’[unità di informazione finanziaria] può rifiutare di comunicare le informazioni che potrebbero compromettere sostanzialmente indagini di carattere penale in corso nello Stato membro richiesto o, in circostanze eccezionali, quando tale comunicazione sarebbe palesemente sproporzionata rispetto agli interessi legittimi di una persona fisica o giuridica o dello Stato membro in questione ovvero non conforme ai principi fondamentali di diritto nazionale. Un siffatto rifiuto è adeguatamente circostanziato all’[unità di informazione finanziaria] richiedente».

B –    Diritto nazionale

17.      In primo luogo si rileva che la direttiva 91/308/CEE è stata recepita nel diritto spagnolo con la legge 19/1993 recante determinate misure di prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite (Ley 19/1993 sobre determinadas medidas de prevención de blanqueo de capitales), del 28 dicembre 1993 (9), nella versione in vigore all’epoca dei fatti all’origine della controversia principale (in prosieguo: la «legge 19/1993»).

18.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della legge 19/1993:

«Sono [soggetti] agli obblighi previsti dalla presente legge:

a)      gli enti creditizi.

(…)

Rientrano nell’elenco che precede le persone o gli enti stranieri che, servendosi di succursali o in regime di libera prestazione dei servizi [(10)] senza avere una sede stabile, svolgano in Spagna attività che presentano la stessa natura delle attività esercitate dalle persone o dagli enti summenzionati.

Le succitate persone sono anche soggette agli obblighi fissati dalla presente legge in relazione alle operazioni realizzate tramite agenti o tramite altre persone fisiche o giuridiche che intervengono come loro intermediari».

19.      In conformità all’articolo 3, paragrafo 4, della legge 19/1993, tali persone ed enti devono collaborare con il Servicio Ejecutivo e, a tal fine, devono comunicargli, di propria iniziativa, ogni fatto od operazione rispetto a cui esista un indizio o la certezza di collegamenti con il riciclaggio di denaro proveniente dalle attività indicate all’articolo 1 di detta legge [lettera a)] e fornire le informazioni richieste dal Servicio Ejecutivo nell’esercizio delle sue competenze [lettera b)].

20.      L’inadempimento degli obblighi succitati costituisce un’infrazione molto grave espressamente prevista all’articolo 5, paragrafo 3, lettere b) e d), della legge 19/1993.

21.      L’articolo 16, paragrafo 3, primo comma, della suddetta legge stabilisce, infine, che il Servicio Ejecutivo e, se del caso, la segreteria generale della Commissione per la prevenzione del riciclaggio e dei reati monetari, cooperano con le autorità degli altri Stati membri che esercitano competenze analoghe, sollecitando specialmente la collaborazione delle autorità degli Stati che esercitano la sovranità su territori confinanti con quelli del Regno di Spagna.

22.      La legge 19/1993 è stata abrogata dalla legge 10/2010 sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo (Ley de prevención del blanqueo de capitales y de la financiación del terrorismo), del 28 aprile 2010 (11). Tale legge ha per oggetto la trasposizione della direttiva 2005/60. In conformità all’articolo 48, paragrafo 3, della suddetta legge, il Servicio Ejecutivo si impegna a collaborare con i suoi omologhi stranieri. È previsto che lo scambio di informazioni si svolga in conformità ai principi del gruppo Egmont e in particolare alla decisione 2000/642/GAI.

23.      Occorre osservare, in secondo luogo, che l’articolo 5, paragrafo 2, secondo comma, lettera c), del regio decreto 925/1995, del 9 giugno 1995, recante le norme di applicazione della legge 19/1993 (12), impone di comunicare al Servicio Ejecutivo i movimenti sui conti provenienti da o diretti verso i paradisi fiscali.

24.      L’articolo 7, paragrafo 2, lettera b), del regio decreto 925/1995, come modificato dal regio decreto 54/2005, prevede quanto segue:

«In ogni caso, le persone e gli enti obbligati comunicano mensilmente al Servicio Ejecutivo:

(…)

b)      le operazioni effettuate con o da persone fisiche o giuridiche che siano residenti, o che agiscano per conto di queste, nei territori o negli Stati designati a tali effetti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché le operazioni che implicano il trasferimento di fondi verso o dai suddetti territori o Stati, ovunque si trovi la residenza delle persone che intervengono, purché l’importo delle citate operazioni sia superiore a EUR 30 000 o al suo controvalore in valuta straniera».

25.      I territori considerati paradisi fiscali e territori non cooperativi sono stati preventivamente individuati con regio decreto 1080/1991, del 5 luglio 1991, e con decreto ECO/2652/2002, del 24 ottobre 2002, relativo all’attuazione degli obblighi di comunicazione delle operazioni in relazione a determinati Stati al Servicio Ejecutivo della Commissione per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite e dei reati monetari (13). Gibilterra figura su tale lista.

26.      Secondo il Tribunal Supremo, l’articolo 5 della legge del 2007 sul riciclaggio e sui proventi della criminalità [Crime (Money Laundering and Proceeds) Act 2007], che attua nell’ordinamento giuridico di Gibilterra la direttiva 2005/60, impone il rispetto del segreto bancario.

II – Il procedimento principale e la questione pregiudiziale

27.      La Jyske è una filiale della Jyske Bank, stabilita quest’ultima in Danimarca (14). Essa è costituita in forma di ente creditizio domiciliato a Gibilterra e svolge le sue attività in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi. La Jyske è sottoposta al controllo della Commissione dei servizi finanziari di Gibilterra.

28.      Il 30 gennaio 2007 il Servicio Ejecutivo ha informato la Jyske che, dal momento che essa non aveva designato un rappresentante autorizzato a trattare con il Servicio, quest’ultimo avrebbe proceduto al controllo della sua struttura organizzativa e delle sue procedure in relazione alle attività da essa svolte in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi. In tale occasione, il Servicio Ejecutivo le chiedeva di trasmettergli, entro il 1° marzo 2007, documenti e informazioni relativi all’identità dei suoi clienti.

29.      La suddetta richiesta veniva avanzata a seguito di un rapporto del Servicio Ejecutivo del 24 gennaio 2007, in base al quale la Jyske svolgeva in Spagna, in regime di libera prestazione dei servizi, un’ampia attività consistente, in particolare, nella concessione di mutui assistiti da garanzia ipotecaria finalizzati all’acquisto di immobili in Spagna. Detto rapporto indicava che, «per sviluppare tale attività in Spagna, l’ente dispone di un appoggio o di un sostegno duplice, vale a dire quello della succursale in Spagna della sua società controllante e quello, in particolare, di due studi legali a Marbella [Spagna]. Stando alle informazioni pubblicamente disponibili, il titolare di uno di questi studi legali sarebbe stato sottoposto a indagini in quanto sospettato del reato di riciclaggio di capitali e il suo nome apparirebbe, insieme al nome dell’altro studio legale succitato, in numerose operazioni segnalate al Servicio Ejecutivo da altri soggetti sottoposti all’obbligo di fornire informazioni in relazione all’esistenza di indizi di riciclaggio». Alla luce di tali elementi, il Servicio Ejecutivo ha ritenuto che esistesse un rischio molto elevato che la Jyske venisse utilizzata per operazioni di riciclaggio di capitali nel quadro delle sue attività svolte in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi. Il meccanismo utilizzato a tal fine sarebbe consistito nella creazione a Gibilterra «di strutture societarie volte, in definitiva, a nascondere l’identità del proprietario finale e reale dei beni immobiliari acquistati in Spagna, essenzialmente sulla Costa del Sol, nonché (…) l’origine dei fondi utilizzati in vista di tale acquisto».

30.      Il 23 febbraio 2007 la Jyske inviava una comunicazione al Servicio Ejecutivo in cui lo informava che aveva chiesto un parere alla sua autorità di sorveglianza, la Commissione dei servizi finanziari di Gibilterra, per verificare se essa avrebbe potuto trasmettere le informazioni richieste senza violare la normativa di Gibilterra sul segreto bancario e sulla protezione dei dati personali. Il 14 marzo 2007 detta Commissione dei servizi finanziari indicava al Servicio Ejecutivo che lo strumento adatto ai fini dell’acquisizione delle suddette informazioni era la cooperazione tra gli organismi di controllo, comunicazione cui il Servicio Ejecutivo replicava, con lettera del 2 aprile 2007, che la Jyske era soggetta agli obblighi in forza delle attività da essa svolte nel territorio spagnolo.

31.      Il 12 giugno 2007 la Jyske trasmetteva al Servicio Ejecutivo una parte delle informazioni richieste. Essa si rifiutava, tuttavia, di comunicare i dati relativi all’identità dei suoi clienti, invocando le regole in materia di segreto bancario applicabili a Gibilterra. Dette informazioni non comprendevano neppure le copie delle relazioni redatte dalla Jyske dal 1° gennaio 2004, relative all’analisi particolare di operazioni complesse, insolite o prive di uno scopo economico evidente o chiaramente lecito di cui all’articolo 20 della direttiva 2005/60, né le copie delle operazioni sospette poste in essere dalla Jyske dal 1° gennaio 2004 nell’ambito delle sue attività compiute in regime di libera prestazione dei servizi in Spagna.

32.      Il 25 ottobre 2007 la segreteria generale della Commissione per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite e dei reati monetari avviava quindi un procedimento sanzionatorio contro la Jyske contestandole, in particolare, la violazione delle disposizioni della legge 19/1993.

33.      A conclusione di tale procedimento, il 17 aprile 2009, il Consiglio dei ministri spagnolo dichiarava che la Jyske si era resa responsabile di un’infrazione molto grave non adempiendo agli obblighi di comunicazione ad essa incombenti in forza della legge 19/1993, e le infliggeva, quindi, due ammonizioni pubbliche e sanzioni pecuniarie per un importo complessivo di EUR 1 700 000.

34.      Il 30 aprile 2009 la Jyske proponeva un ricorso in opposizione avverso detta decisione, che veniva respinto da detto Consiglio dei ministri il 23 ottobre 2009. La Jyske ha quindi proposto un ricorso contenzioso amministrativo dinanzi al Tribunal Supremo. Essa afferma di essere soggetta, in forza della direttiva 2005/60, a un obbligo di comunicazione soltanto nei confronti delle autorità di Gibilterra e che la normativa spagnola, nella parte in cui estende tale obbligo agli enti creditizi operanti in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi, non è conforme alle disposizioni della suddetta direttiva.

35.      È in tale contesto che il Tribunal Supremo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/CE (...), uno Stato membro possa esigere che le informazioni che gli enti creditizi operanti nel suo territorio senza una sede stabile devono fornire, siano trasmesse obbligatoriamente e direttamente alle autorità nazionali incaricate della prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite o se, invece, la richiesta di informazioni debba essere rivolta all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente creditizio interessato».

III – Analisi

A –    Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale

36.      Il governo spagnolo mette in dubbio la ricevibilità della questione pregiudiziale in quanto, a suo parere, ipotetica. Esso osserva, infatti, che gli Stati membri erano tenuti a dare attuazione agli obblighi della direttiva 2005/60 entro il 15 dicembre 2007. Orbene, esso sottolinea che le richieste di informazioni inviate dal Servicio Ejecutivo alla Jyske recano la data del 30 gennaio e del 12 giugno 2007.

37.      Non credo che la questione sollevata possa essere dichiarata irricevibile.

38.      Devo ricordare che, in conformità al suo articolo 46, la direttiva 2005/60 è entrata in vigore nel mese di dicembre 2005, mentre gli Stati membri erano tenuti, in forza del suo articolo 45, paragrafo 1, primo comma, a darle attuazione nei loro ordinamenti giuridici interni entro il 15 dicembre 2007 – data questa che, ricordo, rappresenta un termine ultimo. Orbene, benché i fatti all’origine del procedimento principale risalgano effettivamente al 30 gennaio 2007, il procedimento stesso verte sulla legittimità della decisione adottata dal Consiglio dei ministri spagnolo il 17 aprile 2009, con la quale la Jyske è stata ritenuta responsabile di un inadempimento degli obblighi su di essa gravanti nell’ambito della lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite e il finanziamento del terrorismo e condannata. Il procedimento di cui trattasi ha quindi avuto inizio in un momento di gran lunga successivo a quello in cui il governo spagnolo era tenuto ad attuare la direttiva 2005/60 nel suo ordinamento giuridico interno. La questione sottoposta dal giudice del rinvio è quindi certamente ricevibile.

39.      Ricordo inoltre che, conformemente a una giurisprudenza costante, il giudice nazionale è il solo competente a valutare sia la necessità di un rinvio pregiudiziale, sia la rilevanza delle questioni che propone alla Corte (15).

B –    Nel merito

40.      In conformità all’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2005/60, gli Stati membri devono imporre agli enti creditizi di fornire prontamente alla loro unità di informazione finanziaria le informazioni che quest’ultima ritenga utili ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

41.      L’articolo 22, paragrafo 2, della succitata direttiva – il cui contenuto è qui oggetto di interpretazione – precisa che tali informazioni devono essere trasmesse «all’[unità di informazione finanziaria] dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente o la persona che trasmette le informazioni stesse».

42.      Con la sua questione, il giudice del rinvio intende determinare essenzialmente se, in forza dell’articolo 22, paragrafo 2, della suddetta direttiva, uno Stato membro possa imporre ad un ente creditizio di comunicare le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo direttamente all’unità di informazione finanziaria di tale Stato quando tale ente esercita le sue attività nel territorio nazionale in regime di libera prestazione dei servizi.

43.      In altre parole, un siffatto ente è tenuto a comunicare tali informazioni all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro nel quale esso svolge i suoi servizi o in quello in cui ha la sua sede sociale?

44.      La questione si pone in quanto la Jyske ha stabilito la sua sede sociale a Gibilterra e non dispone di alcuna succursale in Spagna. Dalle indicazioni fornite dal governo spagnolo e dalla relazione annuale di attività della Commissione dei servizi finanziari di Gibilterra (16) si evince che la Jyske è un ente creditizio le cui attività sono state autorizzate nel suo Stato membro d’origine. Tale autorizzazione si fonda, a mio avviso, sulla direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio(17), che è stata poi sostituita dalla direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 (18). Tali direttive istituiscono un «passaporto unico europeo» fondato sul principio del mutuo riconoscimento dell’autorizzazione rilasciata dallo Stato membro d’origine. Questo «passaporto» permette così all’ente creditizio di esercitare le attività per le quali è stato autorizzato, in tutti gli Stati membri, mediante lo stabilimento di una succursale o in regime di libera prestazione dei servizi. Nell’ambito della controversia oggetto della causa principale, la Jyske ha scelto di esercitare le proprie attività finanziarie in Spagna (19) mediante la prestazione di servizi.

45.      Tenuto conto di tali circostanze e alla luce delle ragioni che esporrò di seguito, ritengo che uno Stato membro possa imporre agli enti creditizi che compiono le loro operazioni finanziarie nel territorio nazionale non attraverso una succursale, ma in regime di libera prestazione dei servizi, di segnalare le operazioni finanziarie sospette all’unità nazionale di informazione finanziaria. A mio avviso, questa interpretazione dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 risulta necessaria tenuto conto della ratio della direttiva 2005/60 e degli obiettivi che il legislatore dell’Unione intende perseguire e si concilia perfettamente con il tenore letterale della suddetta disposizione.

1.      Sull’interpretazione dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60

46.      All’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60, il legislatore dell’Unione individua l’unità di informazione finanziaria responsabile della raccolta, dell’analisi e della trasmissione alle autorità nazionali competenti delle informazioni relative alle operazioni finanziarie sospette. A tal riguardo, dal tenore letterale della suddetta disposizione si evince chiaramente che l’unità competente è quella dello Stato membro nel cui territorio «è situato l’ente» o quella dello Stato membro nel cui territorio «è situat[a] (...) la persona» che trasmette le informazioni stesse.

47.      L’interpretazione di tali termini impone anzitutto di esaminare la ratio e gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2005/60.

a)      La ratio e gli obiettivi della direttiva 2005/60

48.      Per comprendere appieno il contesto nel quale s’inserisce la norma che la Corte è qui chiamata a interpretare e cogliere gli obiettivi che il legislatore dell’Unione intende perseguire è necessario collocare l’esame della direttiva 2005/60 all’interno del contesto nel quale essa è stata adottata.

49.      La lotta contro la criminalità finanziaria all’interno dell’Unione europea si basa, infatti, su tre pilastri.

50.      Il primo pilastro è costituito dalla previsione, nel diritto degli Stati membri, dei reati di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

51.      Questo pilastro è stato posto durante il Consiglio europeo di Tampere, in occasione del quale gli Stati membri sono stati invitati a trovare un accordo sulla definizione delle infrazioni costituite dal riciclaggio e dal finanziamento del terrorismo, sulla loro incriminazione e sulle sanzioni per esse previste nei loro ordinamenti giuridici interni.

52.      Queste infrazioni sono oggi definite in una serie di testi di diritto internazionale ed europeo, tra i quali figura la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato. Anche il legislatore dell’Unione definisce tali infrazioni all’articolo 1 della direttiva 2005/60, il quale impone agli Stati membri di assicurare che il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo siano vietati nei loro territori.

53.      Per quanto attiene all’incriminazione e al sanzionamento di tali infrazioni, occorre richiamare la decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato (20). La decisione quadro 2001/500/GAI fissa uno standard minimo ma comune a tutti gli Stati membri con riferimento alle sanzioni previste per tali infrazioni, imponendo agli Stati membri, al suo articolo 2, di adottare le misure necessarie affinché esse siano passibili di pene privative della libertà di durata non inferiore a quattro anni.

54.      Attualmente esiste pertanto una definizione comune delle infrazioni costituite dal riciclaggio e dal finanziamento del terrorismo all’interno dell’Unione e anche dei requisiti minimi quanto alla loro incriminazione e alle relative sanzioni negli ordinamenti giuridici nazionali. Tuttavia, si deve ricordare che la competenza di indagare e perseguire tali reati finanziari rientra comunque nella competenza esclusiva dello Stato membro nel cui territorio sono state compiute le operazioni finanziarie incriminate.

55.      Il secondo pilastro è costituito dalla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.

56.      Detto pilastro si fonda sulla direttiva qui in esame, la direttiva 2005/60, la quale stabilisce disposizioni comuni a tutti gli Stati membri con riguardo al controllo delle transazioni finanziarie effettuate dagli enti creditizi e l’individuazione dei reati finanziari. L’obiettivo è quello di prevenire le minacce all’integrità e al buon funzionamento del sistema finanziario derivanti dall’immissione in tale sistema di fondi di origine illegale e dall’impiego di denaro pulito per fini terroristici.

57.      Come indica il suo titolo, la direttiva 2005/60 instaura così un sistema di controllo preventivo attuato a livello nazionale. Quest’ultimo si fonda su un approccio basato sul rischio. Gli Stati membri sono così tenuti a identificare, valutare e comprendere i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, in modo da attenuarli e, se del caso, a congelare, sequestrare e confiscare i proventi di reato. A tal fine, gli Stati membri devono imporre agli enti creditizi e alle persone che rientrano nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva di adempiere due obblighi.

58.      Il primo, previsto al capo II della direttiva 2005/60, è un obbligo di adeguata verifica della clientela. La suddetta direttiva impone così agli enti creditizi di applicare, in base alla valutazione dei rischi da loro compiuta, misure di controllo più o meno rafforzate a seconda, in particolare, del tipo di cliente e del rapporto d’affari. Tali misure comportano l’identificazione del cliente, dello scopo e della natura del rapporto d’affari, la conservazione delle registrazioni e dei documenti o, ancora, il divieto di conti anonimi o libretti con intestazione fittizia.

59.      Il secondo è l’obbligo di segnalazione delle operazioni finanziarie sospette la cui natura e portata sono illustrate al capo III della direttiva 2005/60. Pertanto, e in conformità all’articolo 20 della suddetta direttiva, gli Stati membri devono imporre agli enti creditizi di prestare particolare attenzione alle operazioni finanziarie che essi considerino atte ad avere una connessione con un’attività criminale e, in particolare, a quelle che possono risultare complesse, insolite, prive di uno scopo economico evidente o di uno scopo chiaramente lecito o, ancora, di importo insolitamente elevato. È sulla base dell’articolo 22 della succitata direttiva che gli enti creditizi sono quindi tenuti a informare immediatamente l’unità di informazione finanziaria specificamente istituita a tal fine dallo Stato membro. Ricordo che la controversia nel procedimento principale è sorta a seguito di una violazione di tale obbligo.

60.      Al fine di garantire il rispetto dei suddetti obblighi, il legislatore dell’Unione riconosce in capo alle autorità nazionali competenti i poteri di vigilanza e di controllo rafforzati previsti agli articoli 36 e 37 della direttiva 2005/60. Queste ultime possono così esigere dagli enti creditizi la comunicazione di ogni informazione pertinente ai fini del controllo dell’osservanza degli obblighi loro prescritti e possono, in particolare, effettuare verifiche e ispezioni sul posto. Questi poteri sono inoltre completati dall’obbligo imposto agli Stati membri di prevedere sanzioni in caso di inadempimento dei succitati obblighi, che, in conformità all’articolo 39, paragrafo 1, di detta direttiva, devono essere non soltanto effettive e proporzionate, ma anche dissuasive.

61.      Tutte queste misure, che si tratti degli obblighi incombenti agli enti creditizi o dei poteri di controllo e sanzionatori riconosciuti alle autorità nazionali di controllo, costituiscono misure preventive e dissuasive che, attuate in modo efficace dall’insieme degli Stati membri, devono permettere di contrastare efficacemente il riciclaggio dei proventi di attività illecite e il finanziamento del terrorismo e garantire la solidità e l’integrità del sistema finanziario.

62.      Occorre tuttavia rilevare che il legislatore dell’Unione opera, in questa fase, solo un’armonizzazione minima. In conformità all’articolo 5 della direttiva 2005/60, esso lascia agli Stati membri la libertà di adottare o mantenere disposizioni molto più rigorose per individuare e sconfiggere il rischio di reati finanziari.

63.      Il terzo pilastro, da ultimo, è quello costituito dalla cooperazione e dallo scambio di informazioni all’interno dell’Unione.

64.      All’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, detto pilastro si fondava sulla decisione 2000/642/GAI e sull’articolo 38 della direttiva 2005/60.

65.      La decisione 2000/642/GAI è volta a rafforzare e intensificare lo scambio di informazioni tra le unità nazionali di informazione finanziaria nell’ambito della direttiva 91/308 affinché le autorità nazionali competenti cooperino strettamente e direttamente. La suddetta decisione stabilisce norme comuni agli Stati membri riguardanti le competenze delle loro unità di informazione finanziaria, il contenuto delle richieste di informazioni e la portata dello scambio di informazioni.

66.      Gli Stati membri mantengono tuttavia un ampio margine di discrezionalità nell’attuazione di detto meccanismo di cooperazione. Da un lato, l’articolo 1 della suddetta decisione prevede espressamente che le unità di informazione finanziaria cooperino conformemente alle loro competenze nazionali. Orbene, gli Stati membri hanno mantenuto grande libertà quanto alla determinazione dello status delle loro unità nazionali, potendo queste ultime essere costituite in forma di autorità amministrative, giudiziarie, o anche di polizia, risultando così soggette al rispetto di regole di funzionamento, di procedura e di competenza estremamente diverse tra gli Stati membri. Dall’altro, gli articoli 4 e 5 della decisione 2000/642/GAI permettono agli Stati membri di prevedere un certo numero di limitazioni quanto alla portata dello scambio di informazioni e al loro utilizzo. Le unità di informazione finanziaria possono così rifiutarsi di comunicare determinate informazioni quando queste ultime sono legate a indagini di carattere penale in corso nello Stato membro o anche quando la loro divulgazione sarebbe non conforme ai «principi fondamentali di diritto nazionale» o rischierebbe di ledere gli «interessi (…) di una persona fisica o giuridica o dello Stato membro». Orbene, posso immaginare senza difficoltà che tali restrizioni siano in grado di ostacolare o addirittura di paralizzare il meccanismo di cooperazione, tenuto conto dell’interpretazione di dette disposizioni e, principalmente, della diversità delle normative nazionali adottate in materia di regolamentazione e vigilanza dei mercati o, ancora, in materia di protezione del segreto professionale e dei dati personali. Nella specie, la controversia in esame illustra perfettamente quest’ultimo punto.

67.      Occorre peraltro rilevare che la decisione 2000/642/GAI non ha previsto alcun meccanismo di sorveglianza con riguardo all’azione degli Stati membri, né alcun meccanismo coercitivo in caso di inattività di un’unità nazionale di informazione finanziaria. Pur mirando ad armonizzare gli elementi fondamentali della cooperazione tra le unità di informazione finanziaria, le norme stabilite dal legislatore dell’Unione nell’ambito di detta decisione contengono prescrizioni minime e lasciano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità quanto alla portata della loro cooperazione.

68.      Questo meccanismo non è stato rafforzato nell’ambito della direttiva 2005/60, benché essa sia stata adottata oltre cinque anni più tardi. Il legislatore dell’Unione, menzionando al quarantesimo considerando della suddetta direttiva la cooperazione istituita con la decisione 2000/642/GAI, intende unicamente incoraggiare al massimo il coordinamento e la cooperazione tra le unità di informazione finanziaria previsti nella suddetta decisione.

69.      Certamente, all’articolo 38 della direttiva 2005/60, il legislatore dell’Unione ha inteso superare il semplice contesto della cooperazione intergovernativa coinvolgendo all’interno di tale meccanismo la Commissione europea. L’ambizione resta, però, modesta e il ruolo della suddetta istituzione piuttosto vago. Infatti, a norma della suddetta disposizione, «[l]a Commissione presta l’assistenza necessaria per facilitare il coordinamento nonché lo scambio di informazioni tra le [unità di informazione finanziaria] all’interno della Comunità». Detta disposizione costituisce l’unico articolo di una sezione dal titolo «Cooperazione» e nessun altro elemento all’interno di tale articolo precisa le modalità con cui questa assistenza dovrebbe in pratica concretizzarsi. Il quarantesimo considerando della suddetta direttiva precisa, tuttavia, che tale sostegno dovrà realizzarsi in particolare mediante un’assistenza finanziaria. Il legislatore dell’Unione non riconosce quindi alla Commissione né poteri decisionali, né poteri coercitivi nei confronti degli Stati membri e delle loro unità di informazione finanziaria, talvolta indispensabili per garantire l’efficacia della cooperazione.

70.      Si deve pertanto concludere che, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, la cooperazione prevista dal legislatore dell’Unione in relazione allo scambio di informazioni in materia di reati finanziari non era che ai suoi albori e ampiamente fondata sulla buona volontà degli Stati membri.

71.      Questo sistema ha così mostrato dei limiti che il legislatore dell’Unione intende oggi superare istituendo, nell’ambito del regolamento (UE) n. 1093/2010 (21), un’autorità europea di vigilanza, l’Autorità bancaria europea. Occorre osservare che il regolamento n. 1093/2010 non trova applicazione nel caso di specie in considerazione della sua data di entrata in vigore. È tuttavia interessante evidenziare gli obiettivi che esso si prefigge così da meglio comprendere i limiti della cooperazione istituita in vigenza della direttiva 2005/60 e meglio valutare le competenze che, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, dovevano essere riconosciute alle unità nazionali di informazione finanziaria.

72.      In base al suo articolo 1, il regolamento n. 1093/2010 intende creare un sistema europeo di vigilanza finanziaria il cui obiettivo è principalmente quello di vigilare sull’integrità dei mercati finanziari e sull’efficacia della cooperazione delle autorità nazionali di vigilanza, coprendo così l’ambito di applicazione della direttiva 2005/60. All’ottavo e al nono considerando di tale regolamento, il legislatore dell’Unione ha osservato quanto segue:

«(8)      L’Unione ha raggiunto il massimo di quanto poteva essere ottenuto con l’attuale sistema dei comitati delle autorità europee di vigilanza. L’Unione non può rimanere in una situazione in cui non esistono meccanismi che garantiscano che le autorità nazionali di vigilanza prendano le migliori decisioni possibili in materia di vigilanza degli istituti finanziari transfrontalieri, in cui la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali di vigilanza sono insufficienti, in cui un’azione comune delle autorità nazionali impone meccanismi complessi per tenere conto del mosaico di requisiti in materia di regolamentazione e di vigilanza, in cui le soluzioni nazionali sono molto spesso l’unica opzione possibile per far fronte a problemi a livello dell’Unione [(22)], e in cui lo stesso testo normativo è oggetto di interpretazioni divergenti. Occorre che il nuovo Sistema europeo di vigilanza finanziaria (in prosieguo: il “SEVIF”) sia concepito in modo da colmare queste lacune e da creare un sistema in linea con l’obiettivo di un mercato finanziario stabile e unico per i servizi finanziari nell’Unione, che colleghi le autorità nazionali di vigilanza all’interno di una robusta rete dell’Unione.

(9)      Occorre che il SEVIF sia costituito da una rete integrata di autorità di vigilanza nazionali e dell’Unione, in cui la vigilanza corrente continui a essere esercitata a livello nazionale [(23)] (...)».

73.      Nell’ambito del SEVIF, il legislatore dell’Unione ha così istituito un’Autorità bancaria europea che non ha soltanto un ruolo d’impulso e di coordinamento in relazione allo scambio di informazioni, ma è ugualmente dotata di un potere di vigilanza e di coercizione riguardo all’azione delle autorità nazionali di vigilanza e all’attività degli enti creditizi. L’Autorità bancaria europea deve in tal modo garantire il rispetto da parte delle unità nazionali di informazione finanziaria degli obblighi di vigilanza e cooperazione ad esse incombenti in forza della direttiva 2005/60 e della decisione 2000/642/GAI (24) e garantire la risoluzione delle controversie che dovessero verificarsi tra di loro in relazione ad aspetti procedurali o in caso di mancata cooperazione (25).

74.      Occorre da ultimo osservare che la direttiva 2006/48, la quale stabilisce regole comuni per l’attività degli enti creditizi all’interno dell’Unione, prevede anch’essa scambi di informazioni tra lo Stato membro d’origine e lo Stato membro ospitante. Tali scambi sono tuttavia limitati alla vigilanza prudenziale di un ente creditizio (26).

75.      Alla luce di tali sviluppi, ritengo che il Regno di Spagna avesse la facoltà di prevedere un obbligo di comunicazione in capo agli enti creditizi operanti sul suo territorio in regime di libera prestazione dei servizi.

76.      In primo luogo, ho osservato che l’approccio adottato riguardo alla qualificazione come reato delle operazioni di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo mantiene ancora un carattere ampiamente intergovernativo. Benché esista, all’interno dell’Unione, una definizione comune di tali infrazioni nonché dei requisiti minimi per la loro incriminazione e il loro sanzionamento negli ordinamenti giuridici nazionali, resta fermo comunque il fatto che la competenza di indagare e perseguire i suddetti reati finanziari è ancora integralmente riservata allo Stato membro nel territorio del quale sono state compiute le operazioni finanziarie incriminate. Mi sembra pertanto legittimo e coerente che lo Stato membro interessato possa ottenere da tutti gli enti creditizi che offrono i loro servizi nel suo territorio nazionale ogni informazione che reputa utile ai fini delle sue indagini.

77.      Ho inoltre osservato che, nella vigenza della direttiva 2005/60, il meccanismo di vigilanza e di individuazione delle operazioni finanziarie sospette era definito soltanto a livello nazionale.

78.      Ricordo che questo sistema si basa anzitutto su obblighi di vigilanza e di comunicazione la cui attuazione rientra nell’esclusiva responsabilità degli Stati membri nel cui territorio si trovano gli enti creditizi, dovendo questi ultimi adottare un approccio fondato sul rischio. L’efficacia di tali misure è garantita dal riconoscimento, in capo alle autorità nazionali competenti, di poteri di vigilanza e di indagine rafforzati, che permettono loro in particolare di effettuare ispezioni sul posto presso gli enti creditizi e di comminare sanzioni (27).

79.      Detto sistema si basa poi sulla creazione di unità di informazione finanziaria che costituiscono le unità nazionali centrali, il cui status giuridico è definito dallo Stato membro. Fino all’adozione del regolamento n. 1093/2010, la loro attività non era soggetta ad alcuna supervisione né ad alcun controllo a livello dell’Unione, in quanto esse non si inserivano ancora nel contesto di una rete integrata europea.

80.      Orbene, per garantire l’efficacia di un simile sistema di sorveglianza e di indagine sul quale si basa la direttiva 2005/60, ritengo indispensabile che le unità di informazione finanziaria possano ottenere le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività crimiose e il finanziamento del terrorismo da parte di tutti gli enti creditizi che esercitano la loro attività nel territorio nazionale, sia che operino attraverso una succursale, sia in regime di libera prestazione di servizi.

81.      Anzitutto, l’unità di informazione finanziaria dello Stato membro ospitante è, diversamente dall’unità di informazione finanziaria dello Stato membro d’origine, la più vicina al mercato nazionale, conoscendo meglio delle altre i rischi legati al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo nel territorio nazionale. Essa viene informata dell’insieme dei fatti che possono essere collegati a reati finanziari su detto territorio non soltanto dagli enti e dalle persone considerati dalla direttiva 2005/60, ma anche dall’insieme delle autorità nazionali competenti a perseguire e sanzionare i reati finanziari, che si tratti di autorità amministrative, giudiziarie o di polizia, oppure di organi di vigilanza sulla borsa o sui prodotti finanziari derivati (28). In questo modo, ricevendo direttamente le informazioni indicanti operazioni finanziarie atipiche, analizzando tali informazioni, nonché potendo, se del caso, disporre indagini suppletive, l’unità di informazione finanziaria dello Stato membro ospitante raccoglie l’insieme degli indizi legati all’esistenza di operazioni finanziarie sospette e può far scattare prontamente misure di congelamento, sequestro o confisca dei beni che possono costituire proventi di reato.

82.      L’efficacia dell’approccio basato sui rischi impone poi che questi ultimi siano valutati non soltanto dall’unità di informazione finanziaria più adatta a valutare i rischi collegati al mercato nazionale, ma ugualmente da quella che permetterà allo Stato membro nel cui territorio viene realizzata l’operazione finanziaria sospetta di reagire rapidamente, imponendo la sospensione della sua esecuzione, in conformità all’articolo 24 della direttiva 2005/60. Non bisogna dimenticare, infatti, che i tempi dell’azione amministrativa sono più lenti di quelli della finanza.

83.      Ritengo inoltre che solo questa interpretazione permetta di garantire l’effetto utile dei poteri di vigilanza e di indagine rafforzati riconosciuti in capo alle autorità nazionali competenti ai sensi dell’articolo 37 della direttiva 2005/60 e l’efficacia delle sanzioni che queste ultime possono infliggere agli enti creditizi che non adempiano i loro doveri di vigilanza e di segnalazione, a norma dell’articolo 39 della suddetta direttiva.

84.      In secondo luogo, si rischia di compromettere l’effetto utile della direttiva 2005/60 se si introducono regole procedurali diverse in base al canale di distribuzione scelto dall’ente creditizio per fornire i suoi servizi finanziari, a seconda che esso agisca attraverso il canale tradizionale di una succursale – che, ricordo, altro non è che una sede gestionale priva di personalità giuridica – o che decida, di contro, di fornire i suoi servizi in regime di libera prestazione dei servizi.

85.      Si deve evitare, infatti, che l’ente creditizio opti per il regime di libera prestazione dei servizi per sottrarsi alla vigilanza più rigorosa esercitata dallo Stato membro ospitante, stabilendo a tal fine la sua sede sociale o una sua succursale in uno Stato membro dove il controllo risulta meno severo. In un simile caso, voler riconoscere la prevalenza dell’autorità dello Stato membro d’origine non soltanto rischierebbe di compromettere gravemente la lotta contro i reati finanziari, ma equivarrebbe inoltre a consentire lo sviluppo di traffici e finanziamenti il cui obiettivo è di destabilizzare gli Stati membri stessi, come sembra illustrare la fattispecie in esame.

86.      Procedere a una distinzione a seconda del canale di distribuzione dei servizi finanziari porterebbe, inoltre, a introdurre una differenza di trattamento, a mio parere, artificiosa ed ingiustificata. Gli enti creditizi che offrono i loro servizi mediante una succursale o in regime di libera prestazione dei servizi operano, infatti, non solo sullo stesso mercato geografico, ma anche sullo stesso mercato di prodotti, dal momento che, grazie ai nuovi strumenti tecnologici, la gamma dei servizi offerti può oggi essere parimenti ampia in entrambi i casi. Resta il fatto che, a fronte di prestazioni analoghe, nel primo caso, gli enti creditizi sarebbero tenuti a segnalare le operazioni finanziarie sospette all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro all’interno del quale hanno una succursale, mentre nel secondo caso ne sarebbero dispensati. Una simile situazione pregiudicherebbe evidentemente l’efficacia della vigilanza prevista nel contesto della direttiva 2005/60 e i soggetti che riciclano denaro potrebbero approfittare di tale situazione a beneficio delle loro attività criminali.

87.      Di conseguenza, mi sembra evidente che l’ente creditizio che eserciti le sue attività nel territorio di uno Stato membro in regime di libera prestazione dei servizi debba essere soggetto ad un sistema di vigilanza tanto efficace quanto quello cui è sottoposto l’ente creditizio che operi nello stesso territorio nazionale avendovi stabilito una succursale, in modo da garantire che tutti rispettino, nelle stesse condizioni, gli obblighi previsti.

88.      In terzo luogo, ritengo che le norme previste nell’ambito della decisione 2000/642/GAI e della direttiva 2005/60 non siano sufficienti per garantire una cooperazione rafforzata idonea a sostenere efficacemente la lotta contro i reati finanziari in un caso come quello oggetto del procedimento principale. Infatti, se l’ente creditizio in parola non fornisce di propria iniziativa le informazioni necessarie e che l’unità di informazione finanziaria dello Stato membro d’origine non richiede, in assenza di indizi o in caso di mancata conoscenza dei rischi legati al mercato nel quale l’ente creditizio presta i suoi servizi, non esiste alcuna misura che permetta di obbligare tale autorità ad esigere la comunicazione delle suddette informazioni da parte dell’ente creditizio e a comunicarle all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro ospitante.

89.      Come abbiamo visto, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, la cooperazione e lo scambio di informazioni si basava prevalentemente sulla buona volontà degli Stati membri piuttosto che su una rete integrata di autorità di vigilanza nazionali ed europee la cui attività fosse soggetta a controllo e le cui omissioni fossero condannate, come è oggi prevista nel nuovo Sistema europeo di vigilanza finanziaria.

90.      In quarto luogo, non credo che le norme previste nelle direttive relative all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio, vale a dire le direttive 2000/12 e 2006/48, e la direttiva 2004/39, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, nella loro versione in vigore all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, permettano di fondare la competenza dell’unità di informazione finanziaria dello Stato membro d’origine su circostanze come quelle di cui al procedimento principale. I principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento sui quali si basano tali testi riguardano infatti soltanto l’autorizzazione dell’ente creditizio e la vigilanza prudenziale dello stesso. Prova ne è il fatto che, in forza dell’articolo 31 della direttiva 2006/48, lo Stato membro ospitante può, malgrado l’autorizzazione rilasciata dallo Stato membro d’origine, prendere nei confronti dell’ente creditizio le opportune misure per prevenire o reprimere le irregolarità da questi commesse nel suo territorio in violazione delle disposizioni di legge da esso adottate per motivi di interesse generale, tra i quali rientra evidentemente la lotta ai reati finanziari.

91.      Di conseguenza, considerato il sistema nel quale s’inserisce la disposizione in parola e gli obiettivi che il legislatore dell’Unione intende perseguire, ritengo che l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 debba essere interpretato nel senso che si riferisce agli enti creditizi le cui attività finanziarie vengono esercitate non soltanto attraverso una sede sociale o una filiale, ma anche in regime di libera prestazione dei servizi.

92.      È in questo senso che occorre interpretare i termini stessi della suddetta disposizione.

b)      Il testo dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60

93.      Ricordo che dal disposto dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 si evince chiaramente che l’unità di informazione finanziaria competente è quella dello Stato membro nel cui territorio «è situato l’ente» o quella dello Stato membro nel cui territorio «è situat[a] (…) la persona» che trasmette le informazioni.

94.      La prima ipotesi si riferisce evidentemente al caso in cui l’ente creditizio dispone di una sede sociale o di una succursale nello Stato membro. Per questo, e viste le considerazioni che precedono, ritengo che l’espressione impiegata dal legislatore dell’Unione permetta anche di ricomprendere il caso in cui l’ente creditizio è presente sul mercato nazionale offrendo i suoi servizi finanziari in modo diverso rispetto all’insediamento e al tramite di una sede gestionale, vale a dire esercitando le sue attività in regime di libera prestazione dei servizi.

95.      Quanto alla seconda ipotesi, osservo che essa è formulata in modo estremamente vago e ampio. Essa si riferisce senza dubbio alcuno alle persone citate all’articolo 2, paragrafo 1, punto 3, della direttiva 2005/60, tra le quali troviamo prestatori di servizi soggetti agli stessi obblighi di segnalazione incombenti agli enti creditizi. Nessun elemento permette inoltre di escludere che la suddetta ipotesi possa riferirsi anche alla situazione nella quale il prestatore di servizi di trasferimento di denaro o di valori opera nel territorio nazionale tramite agenti.

96.      Constato, di conseguenza, che i termini impiegati dal legislatore dell’Unione non ostano a che l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 sia interpretato nel senso che le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite e il finanziamento del terrorismo vengono trasmesse all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro nel cui territorio l’ente creditizio presta i suoi servizi. Al contrario, ritengo che una siffatta interpretazione si imponga tenuto conto degli obiettivi che il legislatore dell’Unione intende perseguire nell’ambito di tale normativa e della ratio della stessa.

97.      Alla luce dell’insieme di questi elementi ritengo, di conseguenza, che l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60 debba essere interpretato nel senso che non osta a che la normativa di uno Stato membro imponga agli enti creditizi di comunicare le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo direttamente all’unità di informazione finanziaria del suddetto Stato quando tali enti esercitano le loro attività nel territorio nazionale in regime di libera prestazione dei servizi.

98.      Una siffatta interpretazione permette, a mio avviso, di salvaguardare i poteri di cui dispongono gli Stati membri in relazione alle indagini, la sorveglianza e la repressione dei reati finanziari nel loro territorio. Devo però osservare che essa non esclude evidentemente lo scambio di informazioni tra lo Stato membro ospitante e lo Stato membro d’origine, anzi, al contrario; quest’ultimo può infatti disporre di informazioni estremamente utili dal momento che ospita la sede sociale dell’ente considerato.

99.      Nell’ipotesi in cui la Corte dovesse non condividere la mia interpretazione di tale disposizione, osservo che, in conformità all’articolo 5 della direttiva 2005/60, uno Stato membro può adottare, nel settore da essa disciplinato, disposizioni nazionali più rigorose per prevenire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che rafforza l’obbligo di segnalazione previsto agli articoli 20 e seguenti della direttiva 2005/60, si inserisce senza dubbio nella previsione del suo articolo 5.

100. La Corte dovrà comunque garantire che una simile normativa sia conforme alle disposizioni di diritto dell’Unione, e in particolare al principio di libera prestazione dei servizi sancito all’articolo 56 TFUE. Come ho osservato, infatti, la Jyske è stabilita a Gibilterra ed esercita le sue attività finanziarie in Spagna in regime di libera prestazione dei servizi. Di conseguenza, la compatibilità della normativa controversa dovrà essere esaminata alla luce di quest’ultima disposizione.

101. Trattandosi di considerazioni svolte in via subordinata, mi limiterò a formulare le brevi considerazioni che seguono.

2.      Sulla compatibilità della normativa nazionale controversa con la libertà di prestazione dei servizi

102. In via preliminare ricordo che, secondo costante giurisprudenza, l’articolo 56 TFUE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (29).

a)      L’esistenza di una restrizione

103. È innegabile, e peraltro nulla depone in senso contrario, che la normativa in parola integra una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

104. La suddetta normativa impone, infatti, a un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro diverso dal Regno di Spagna di informare prontamente l’unità nazionale di informazione finanziaria, spontaneamente o su richiesta di quest’ultima, di ogni operazione finanziaria in corso o che ha avuto luogo, idonea ad essere collegata al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo. Una normativa siffatta può evidentemente ostacolare o rendere meno attraenti le attività dell’ente creditizio interessato, in particolare quando tali prestazioni richiedono una certa velocità di azione. L’obbligo di segnalazione può infatti comportare ritardi nell’attuazione delle operazioni interessate, o addirittura la loro mancata esecuzione e costituire una fonte di costi aggiuntivi. Tale obbligo può peraltro pregiudicare la protezione dei dati, del segreto commerciale e di altre informazioni riservate di cui dispone l’ente creditizio. Questi pochi elementi dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che la normativa nazionale in esame può effettivamente ostacolare la libera prestazione dei servizi finanziari.

105. Una siffatta restrizione è tuttavia conforme all’articolo 56 TFUE se essa soddisfa, aspetto questo che compete al giudice del rinvio esaminare, le condizioni di seguito indicate: la suddetta normativa deve essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, proporzionata e, infine, applicata in modo non discriminatorio (30). A tal proposito, espongo qui di seguito alcune precisazioni che posso formulare in merito alla sussistenza di tali condizioni nell’ambito del procedimento principale.

b)      La giustificazione della restrizione

106. Nella presente causa, la normativa in esame deve permettere alle autorità nazionali di verificare che gli enti creditizi che prestano i loro servizi nel territorio non compiano operazioni finanziarie per finalità diverse da quelle per le quali sono stati autorizzati nello Stato membro d’origine, legate al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo. L’obbligo di segnalazione introdotto dalla normativa nazionale deve permettere di attuare un obbligo fissato dal diritto dell’Unione, vale a dire la lotta contro i reati finanziari e la salvaguardia dell’integrità del sistema finanziario, prevenendo la realizzazione di operazioni finanziarie sospette.

107. Orbene, ricordo che l’obiettivo della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo costituisce, secondo la giurisprudenza della Corte, un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi in parola (31).

c)      L’idoneità della normativa controversa a conseguire gli obiettivi perseguiti

108. Ricordo che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato solo se risponde realmente all’intento di conseguirlo in modo coerente e sistematico (32). Il suddetto esame deve essere compiuto tenendo conto del contesto nel quale la normativa è stata adottata; per quanto attiene alla normativa in esame, ritengo che essa soddisfi le condizioni summenzionate.

109. La suddetta normativa permette infatti allo Stato membro di controllare la totalità delle transazioni finanziarie compiute nel suo territorio da parte degli enti creditizi, a prescindere dalle modalità che questi hanno scelto di adottare per prestare i loro servizi, per il tramite di una sede sociale o di una succursale o in regime di libera prestazione dei servizi. In questo modo, tutti sono soggetti a obblighi simili, il che mi sembra perfettamente coerente dal momento che essi svolgono le loro attività sullo stesso mercato e offrono servizi finanziari simili che possono, su scala più o meno ampia, essere impiegati a fini di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo. La normativa in parola permette inoltre allo Stato membro, tenuto conto dei poteri di vigilanza e di indagine rafforzati di cui è stato dotato con la direttiva 2005/60, di sospendere il compimento delle suddette operazioni. Infine, dato che lo Stato membro dispone della competenza esclusiva di prevedere, perseguire e reprimere i reati finanziari sul suo territorio, la suddetta normativa gli permette di esigere, tutte le volte che sussiste un ragionevole dubbio circa la legalità di un’operazione finanziaria, la comunicazione delle informazioni che esso ritiene utili ai fini di adempiere la sua missione e, se del caso, di perseguire e punire i responsabili.

110. Questi elementi possono quindi dimostrare, a mio parere, che la normativa controversa permette di contrastare in modo efficace e coerente i reati finanziari.

d)      La proporzionalità della normativa controversa

111. Si tratta di valutare, a questo punto, se gli scopi perseguiti dalla normativa spagnola controversa possano manifestamente essere raggiunti con una misura meno restrittiva della libera prestazione dei servizi. Non sono convinto che, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, ciò fosse possibile.

112. Da un lato, la suddetta normativa si inserisce nel contesto di un controllo preventivo che impone una trasmissione delle informazioni rapida e anteriore al compimento dell’operazione finanziaria sospetta e che, se del caso, deve essere accompagnato da una reazione estremamente rapida da parte delle autorità nazionali competenti a partire dal momento in cui i dubbi trovano conferma. Ne consegue che per raggiungere un simile obiettivo è necessario che la cooperazione tra le unità nazionali di informazione finanziaria permetta effettivamente allo Stato membro ospitante di svolgere la sua missione intervenendo prima che l’operazione finanziaria sospetta sia stata attuata. Orbene, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, gli scambi di informazioni tra le suddette unità erano, come ha riconosciuto il legislatore dell’Unione, insufficienti, paralizzati in particolare da una mancanza di fiducia e di coerenza nell’applicazione della normativa dell’Unione (33).

113. Dall’altro, occorre ricordare che la normativa in esame si riferisce soltanto alle informazioni relative a operazioni finanziarie sospette che l’unità di informazione finanziaria ritiene utili al fine di adempiere la sua missione e non ai dati relativi all’insieme delle transazioni finanziarie compiute dagli enti creditizi. Si tratta quindi di un obbligo oltremodo circoscritto. Non sono peraltro convinto che riconoscere all’unità di informazione finanziaria dello Stato membro d’origine un potere esclusivo in merito alla raccolta delle suddette informazioni sia parimenti efficace, dal momento che tale entità non è, a mio parere, la più adatta a individuare le informazioni di maggiore rilevanza in relazione a operazioni finanziarie compiute nel territorio dello Stato membro ospitante.

114. Tenuto conto della mancanza di un meccanismo efficace idoneo a garantire una piena e completa cooperazione tra le unità di informazione finanziaria e tenuto conto altresì delle conseguenze negative che una simile carenza può comportare per l’efficacia della lotta contro i reati finanziari e per l’integrità del sistema finanziario europeo e nazionale, ritengo quindi che lo Stato membro potesse legittimamente ritenere che gli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2005/60 potessero essere adempiuti al meglio mediante una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

e)      L’applicazione non discriminatoria

115. Alla luce degli elementi a mia disposizione, la normativa controversa non mi sembra discriminatoria. La suddetta normativa, infatti, riguardando tutti gli enti creditizi nonché tutte le persone o le entità stranieri che esercitano attività in Spagna mediante una succursale o in regime di libera prestazione dei servizi, sembra colpire indistintamente gli enti creditizi stabiliti nel territorio nazionale e quelli stabiliti in un altro Stato membro. Spetterà tuttavia al giudice del rinvio verificare che, nella sua attuazione, detta normativa sia anche applicata in modo non discriminatorio.

116. Tenuto conto dell’insieme di tali considerazioni e nel caso in cui la Corte non condivida la mia interpretazione dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60, ritengo che l’articolo 56 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che impone agli enti creditizi di comunicare le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo direttamente all’unità di informazione finanziaria di tale Stato quando i suddetti enti creditizi svolgono le loro attività nel territorio nazionale in regime di libera prestazione dei servizi, a condizione che la normativa in parola sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale, sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, non ecceda quanto necessario per raggiungerlo e venga applicata in modo non discriminatorio.

117. Spetterà al giudice nazionale verificare se tali condizioni siano soddisfatte, in base alle seguenti considerazioni:

–        tenuto conto dei rischi che i reati finanziari comportano per l’integrità del mercato finanziario, uno Stato membro può legittimamente imporre agli enti creditizi che prestano i loro servizi nel territorio nazionale di comunicare le informazioni relative al compimento di operazioni finanziarie sospette al fine di prevenire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

–        Una siffatta normativa è atta a conseguire l’obiettivo in parola se permette allo Stato membro di vigilare e sospendere effettivamente le operazioni finanziarie sospette compiute dagli enti creditizi che prestano i loro servizi nel territorio nazionale e, se del caso, di perseguire e punire i responsabili.

–        L’obbligo previsto in capo agli enti creditizi che esercitano le loro attività in regime di libera prestazione dei servizi può costituire una misura proporzionata al perseguimento del succitato obiettivo in mancanza, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, di meccanismi efficaci idonei a garantire una cooperazione piena e completa tra le unità di informazione finanziaria.

–        Una siffatta normativa non è di per sé discriminatoria.

IV – Conclusioni

118. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere al Tribunal Supremo nel seguente modo:

1)      L’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, come modificata dalla direttiva 2008/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, deve essere interpretato nel senso che non osta a che la normativa di uno Stato membro imponga agli enti creditizi di comunicare le informazioni richieste ai fini della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo direttamente all’unità di informazione finanziaria del suddetto Stato quando tali enti esercitano le loro attività nel territorio nazionale in regime di libera prestazione dei servizi.

2)      In ogni caso, l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una siffatta normativa a condizione che quest’ultima sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale, sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, non ecceda quanto necessario per raggiungerlo e venga applicata in modo non discriminatorio.

Spetterà al giudice nazionale verificare se tali condizioni siano soddisfatte, in base alle seguenti considerazioni:

–        tenuto conto dei rischi che i reati finanziari comportano per l’integrità del mercato finanziario, uno Stato membro può legittimamente imporre agli enti creditizi che prestano i loro servizi nel territorio nazionale di comunicare le informazioni relative al compimento di operazioni finanziarie sospette al fine di prevenire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

–        Una siffatta normativa è atta a conseguire l’obiettivo in parola se permette allo Stato membro di vigilare e sospendere effettivamente le operazioni finanziarie sospette compiute dagli enti creditizi che prestano i loro servizi nel territorio nazionale e, se del caso, di perseguire e punire i responsabili.

–        L’obbligo previsto in capo agli enti creditizi che esercitano le loro attività in regime di libera prestazione dei servizi può costituire una misura proporzionata al perseguimento del succitato obiettivo in mancanza, all’epoca dei fatti all’origine del procedimento principale, di meccanismi efficaci idonei a garantire una cooperazione piena e completa tra le unità di informazione finanziaria.

–        Una siffatta normativa non è di per sé discriminatoria.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (GU L 309, pag. 15), come modificata dalla direttiva 2008/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2008 (GU L 76, pag. 46, in prosieguo: la «direttiva 2005/60/CE»). La direttiva 2005/60/CE è stata da ultimo modificata dalla direttiva 2010/78/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010 (GU L 331, pag. 120), ma quest’ultima non trova applicazione nell’ambito della presente controversia.


3 –      Decisione del Consiglio del 17 ottobre 2000, concernente le modalità di cooperazione tra le unità di informazione finanziaria degli Stati membri per quanto riguarda lo scambio di informazioni (GU L 271, pag. 4).


4 – Servizio esecutivo della Commissione per la prevenzione del riciclaggio e dei reati monetari in prosieguo: il «Servicio Ejecutivo».


5 – In prosieguo: la «Jyske».


6 –      Direttiva del Consiglio del 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite (GU L 166, pag. 77).


7 –      V. terzo e quarto considerando della suddetta decisione.


8 –      Articolo 10 della decisione 2000/642/GAI.


9 –      BOE n. 311 del 29 dicembre 1993, pag. 37327.


10 –      Il corsivo è mio.


11 –      BOE n. 103 del 29 aprile 2010, pag. 37458.


12 –      BOE n. 160 del 6 luglio 1995, pag. 20521. Regio decreto come modificato dal regio decreto 54/2005 del 21 gennaio 2005 (BOE n. 19 del 22 gennaio 2005, pag. 2573).


13 –      BOE n. 260, del 30 ottobre 2002, pag. 38033.


14 – Il gruppo Jyske Bank è composto in particolare dalla società controllante, stabilita in Danimarca, e da cinque controllate stabilite in Germania, in Francia, nei Paesi Bassi, a Gibilterra e in Svizzera (si vedano le informazioni disponibili sul sito Internet del gruppo al seguente indirizzo: http//www.jyskebank.dk).


15 –      V., in particolare, ordinanza del 15 aprile 2011, Debiasi (C‑613/10, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata).


16 – V. relazione annuale di attività del 2002 della Commissione dei servizi finanziari di Gibilterra, disponibile sul sito Internet: http://www.fsc.gi.


17 –      GU L 126, pag. 1.


18 –      GU L 177, pag. 1. V. altresì la direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145, pag. 1), come modificata da ultimo dalla direttiva 2010/78 (in prosieguo: la «direttiva 2004/39»). La direttiva 2004/39 deve consentire alle società di investimento, alle banche e alle borse di proporre i loro servizi al di fuori dei confini sulla base dell’autorizzazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato membro d’origine.


19 – In conformità all’articolo 299, paragrafo 4, CE, le disposizioni del Trattato CE sono applicabili a Gibilterra – che è un territorio europeo di cui il Regno Unito assume la rappresentanza nei rapporti con l’estero – fatte salve le esclusioni previste nell’atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e agli adattamenti dei Trattati (GU 1972, L 73, pag. 14). Le norme del Trattato in materia di libertà di prestazione dei servizi e gli atti di diritto derivato adottati per garantire l’attuazione di detta libertà trovano quindi applicazione nei suoi confronti. Un operatore economico, come la Jyske, stabilito a Gibilterra, può pertanto avvalersi di tali norme.


20 –      GU L 182, pag. 1.


21 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU L 331, pag. 12).


22 –      Il corsivo è mio.


23 –      Idem.


24 – V. ventisettesimo e ventottesimo considerando e articolo 17 del regolamento n. 1093/2010.


25 – V. trentaduesimo considerando e articolo 19 del suddetto regolamento.


26 –      V., in particolare, titolo V, capo I, sezioni I e II, della suddetta direttiva.


27 –      V. articoli 37 e 39 della suddetta direttiva.


28 –      V. articolo 25 della suddetta direttiva.


29 –      V., in particolare, sentenza del 19 gennaio 2006, Commissione/Germania (C‑244/04, Racc. pag. I‑885, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).


30 –      V. sentenza del 19 luglio 2012, Garkalns (C‑470/11, punti 35 e segg., e la giurisprudenza ivi citata).


31 –      Sentenza del 30 giugno 2011, Zeturf (C‑212/08, Racc. pag. I‑5633, punti 45 e 46).


32 –      Ibidem (punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).


33 –      V., in particolare, il primo considerando del regolamento n. 1093/2010.