Language of document : ECLI:EU:C:2023:663

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

14 settembre 2023(*)

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Principio del ne bis in idem – Sanzione irrogata in relazione a pratiche commerciali sleali – Natura penale della sanzione – Sanzione penale irrogata in uno Stato membro dopo l’adozione di una sanzione relativa a pratiche commerciali sleali in un altro Stato membro ma divenuta definitiva prima di quest’ultima sanzione – Articolo 52, paragrafo 1 – Limitazioni apportate al principio del ne bis in idem – Condizioni – Coordinamento dei procedimenti e delle sanzioni»

Nella causa C‑27/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanza del 7 gennaio 2022, pervenuta in cancelleria l’11 gennaio 2022, nel procedimento

Volkswagen Group Italia SpA,

Volkswagen Aktiengesellschaft

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,

nei confronti di:

Associazione Cittadinanza Attiva Onlus,

Coordinamento delle associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori (Codacons),


LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, P.G. Xuereb (relatore), T. von Danwitz, A. Kumin e I. Ziemele, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: C. Di Bella, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 gennaio 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Volkswagen Group Italia SpA e la Volkswagen Aktiengesellschaft, da T. Salonico, avvocato, e O.W. Brouwer, advocaat;

–        per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, da F. Sclafani, avvocato dello Stato;

–        per il Coordinamento delle associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori (Codacons), da G. Giuliano e C. Rienzi, avvocati;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, M.A.M. de Ree e J.M. Hoogveld, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da N. Ruiz García e A. Spina, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 marzo 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), dell’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19) (in prosieguo: la «CAAS»), nonché dell’articolo 3, paragrafo 4, e dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2005, L 149, pag. 22).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Volkswagen Group Italia SpA (in prosieguo: la «VWGI») e la Volkswagen Aktiengesellschaft (in prosieguo: la «VWAG») e, dall’altro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia) (in prosieguo: l’«AGCM»), in merito alla decisione di tale autorità di irrogare a dette società una sanzione pecuniaria per pratiche commerciali sleali.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 CAAS

3        La CAAS è stata conclusa al fine di garantire l’applicazione dell’Accordo fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985 (GU 2000, L 239, pag. 13).

4        L’articolo 54 della CAAS, contenuto nel capitolo 3, rubricato «Applicazione del principio ne bis in idem», del titolo III di quest’ultima, rubricato «Polizia e sicurezza», prevede quanto segue:

«Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita».

 Direttiva 2005/29

5        Il considerando 10 della direttiva 2005/29 così recita:

«È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici. (…) Di conseguenza, la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore e vieta ai professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti. Ciò è particolarmente importante per prodotti complessi che comportano rischi elevati per i consumatori, come alcuni prodotti finanziari. La presente direttiva completa pertanto l’acquis comunitario applicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori».

6        L’articolo 1 di detta direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

7        L’articolo 3 di tale direttiva, rubricato «Ambito di applicazione», al paragrafo 4 così dispone:

«In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici».

8        Ai sensi dell’articolo 13 della medesima direttiva, rubricato «Sanzioni»:

«Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

 Direttiva (UE) 2019/2161

9        La direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU 2019, L 328, pag. 7), ha modificato, con effetto a decorrere dal 28 maggio 2022, l’articolo 13 della direttiva 2005/29 come segue:

«1.      Gli Stati membri determinano le norme in materia di sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

2.      Gli Stati membri assicurano che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni, si tenga conto dei seguenti criteri, non esaustivi e indicativi, ove appropriati:

a)      natura, gravità, entità e durata della violazione;

b)      eventuali azioni intraprese dal professionista per attenuare il danno subito dai consumatori o per porvi rimedio;

c)      eventuali violazioni commesse in precedenza dal professionista;

d)      i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate dal professionista in conseguenza della violazione, se i relativi dati sono disponibili;

e)      sanzioni inflitte al professionista per la stessa violazione in altri Stati membri in casi transfrontalieri in cui informazioni relative a tali sanzioni sono disponibili attraverso il meccanismo istituito dal regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio [, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU 2017, L 345, pag. 1)];

f)      eventuali altri fattori aggravanti o attenuanti applicabili alle circostanze del caso.

3.      Gli Stati membri provvedono a che, quando le sanzioni devono essere inflitte a norma dell’articolo 21 del regolamento (UE) 2017/2394, esse possano essere di tipo pecuniario, inflitte attraverso un procedimento amministrativo o giudiziario o entrambi, e per un importo massimo almeno pari al 4% del fatturato annuo del professionista nello Stato membro o negli Stati membri interessati. (...)

(...)».

 Diritto italiano

10      L’articolo 20, primo comma, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (supplemento ordinario alla GURI n. 235, dell’8 ottobre 2005) (in prosieguo: il «codice del consumo»), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale, prevede che le pratiche commerciali scorrette sono vietate.

11      L’articolo 20, secondo comma, del codice del consumo dispone quanto segue:

«Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori».

12      Ai sensi dell’articolo 20, quarto comma, di tale codice, costituiscono, in particolare, pratiche commerciali scorrette le pratiche ingannevoli di cui agli articoli da 21 a 23 di detto codice e le pratiche aggressive di cui agli articoli da 24 a 26 del medesimo codice.

13      L’articolo 21, primo comma, del codice del consumo dispone:

«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

(...)

b)      le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;

(...)».

14      L’articolo 23, primo comma, lettera d), di tale codice prevede quanto segue:

«Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali:

(...)

d)      asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta».

15      L’articolo 27, nono comma, di detto codice dispone quanto segue:

«Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’[AGCM] dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 000 euro a 5 000 000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso di pratiche commerciali scorrette ai sensi dell’articolo 21, commi 3 e 4, la sanzione non può essere inferiore a 50 000 euro».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16      Con decisione del 4 agosto 2016 (in prosieguo: la «decisione controversa»), l’AGCM ha irrogato in solido alla VWGI e alla VWAG una sanzione pecuniaria di importo pari a EUR 5 milioni per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette, ai sensi dell’articolo 20, secondo comma, dell’articolo 21, primo comma, lettera b), e dell’articolo 23, primo comma, lettera d), del codice del consumo.

17      Tali pratiche commerciali scorrette riguardavano la commercializzazione in Italia, a partire dal 2009, di veicoli diesel nei quali era stato installato un software, che consentiva di alterare la misurazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto (NOx) di questi ultimi durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti nell’ambito del procedimento detto di «omologazione», con cui un’autorità di omologazione certifica che un tipo di veicolo è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti. Inoltre, veniva contestato alla VWGI e alla VWAG di aver diffuso messaggi pubblicitari che, nonostante l’installazione di detto software, contenevano informazioni relative, da un lato, all’attenzione asseritamente prestata da tali società al livello delle emissioni inquinanti e, dall’altro, all’asserita conformità dei veicoli in questione alle norme di legge in materia di emissioni.

18      La VWGI e la VWAG hanno proposto ricorso avverso la decisione controversa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia).

19      Mentre tale ricorso era pendente dinanzi a detto giudice, la Procura di Braunschweig (Germania) (in prosieguo: la «procura tedesca»), con decisione del 13 giugno 2018 (in prosieguo: la «decisione tedesca»), ha irrogato alla VWAG una sanzione pecuniaria di importo pari a EUR 1 miliardo, all’esito di un procedimento avente ad oggetto la manipolazione dei gas di scarico di taluni motori diesel del gruppo Volkswagen, rispetto ai quali dalle indagini era emerso che le norme in materia di emissioni erano state aggirate. Tale decisione precisava che una parte di tale importo, corrispondente alla somma di EUR 5 milioni, sanzionava la condotta oggetto di detta decisione e che il resto di tale importo era destinato a privare la VWAG dei benefici economici che aveva tratto dall’installazione del software di cui al punto 17 della presente sentenza.

20      La decisione tedesca si fondava sulla constatazione che la VWAG aveva violato le disposizioni dell’Ordnungswidrigkeitengesetz (legge in materia di illeciti amministrativi), le quali sanzionano le violazioni colpose dell’obbligo di vigilanza sull’attività delle imprese, in relazione allo sviluppo del software di cui al punto 17 della presente sentenza e all’installazione di tale software in 10,7 milioni di veicoli venduti nel mondo intero, di cui circa 700 000 in Italia, software che deve essere considerato un impianto di manipolazione vietato dall’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo (GU 2007, L 171, pag. 1).

21      Da tale decisione risulta che la procura tedesca ha altresì constatato che la mancata vigilanza sullo sviluppo e sull’installazione di detto software era una delle cause che hanno concorso ad ulteriori violazioni commesse a livello mondiale dalla VWAG tra il 2007 e il 2015, per quanto riguarda la domanda di omologazione, la pubblicità dei veicoli e la loro vendita al dettaglio, in particolare a causa del fatto che tali veicoli, nonostante la presenza al loro interno del software vietato, erano stati presentati al pubblico come veicoli dotati di una tecnologia diesel ecologica, vale a dire come veicoli a emissioni particolarmente basse.

22      La decisione tedesca è divenuta definitiva il 13 giugno 2018, in quanto la VWAG ha versato la sanzione pecuniaria ivi prevista e ha formalmente rinunciato a proporre ricorso avverso tale decisione.

23      Nell’ambito del procedimento pendente dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la VWGI e la VWAG hanno dedotto, in particolare, l’illegittimità sopravvenuta della decisione controversa per violazione del principio del ne bis in idem di cui all’articolo 50 della Carta e all’articolo 54 della CAAS.

24      Con sentenza del 3 aprile 2019, tale giudice ha respinto il ricorso proposto dalla VWGI e dalla VWAG con la motivazione, in particolare, che il principio del ne bis in idem non osterebbe al mantenimento della sanzione pecuniaria prevista dalla decisione controversa.

25      La VWGI e la VWAG hanno interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio.

26      Il giudice del rinvio ritiene che occorra risolvere preliminarmente la questione se il principio del ne bis in idem si applichi nel caso di specie.

27      Esso ricorda, a tal proposito, che dalla giurisprudenza della Corte e, in particolare, dalla sua sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a. (C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 63), risulta che l’articolo 50 della Carta dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.

28      Per quanto riguarda, in primo luogo, la sanzione irrogata dalla decisione controversa, il giudice del rinvio si interroga sulla sua qualificazione. Esso ritiene che tale sanzione possa essere qualificata come sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale. Dalla giurisprudenza della Corte risulterebbe, infatti, che una sanzione amministrativa riveste una siffatta natura qualora, come avverrebbe nel caso di specie, essa abbia non solo lo scopo di risarcire il danno causato dall’illecito, ma anche una finalità repressiva.

29      In secondo luogo, dopo aver ricordato la giurisprudenza della Corte relativa al principio del ne bis in idem, il giudice del rinvio afferma che tale principio mira ad evitare che un’impresa sia condannata o perseguita una seconda volta, il che presuppone che tale impresa sia stata condannata o dichiarata non responsabile da una precedente decisione non più impugnabile. A tal proposito, per quanto riguarda la questione se la decisione controversa e la decisione tedesca riguardino gli stessi fatti, il giudice del rinvio menziona «l’analogia, se non l’identità», nonché l’«omogeneità» dei comportamenti oggetto di tali due decisioni.

30      Il giudice del rinvio sottolinea altresì che occorre tener conto del fatto che, sebbene la sanzione prevista dalla decisione controversa sia stata irrogata precedentemente alla sanzione prevista dalla decisione tedesca, quest’ultima sarebbe divenuta definitiva anteriormente alla prima.

31      In terzo e ultimo luogo, il giudice del rinvio ricorda che dalla giurisprudenza della Corte risulta che una limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta può essere giustificata sulla base dell’articolo 52, paragrafo 1, di quest’ultima. Esso ritiene quindi che si ponga anche la questione se le disposizioni del codice del consumo applicate nella decisione controversa, che recepiscono la direttiva 2005/29 e che mirano a tutelare il consumatore, possano essere rilevanti ai fini di tale articolo 52.

32      Il giudice del rinvio ricorda al riguardo che, secondo tale giurisprudenza, eventuali limitazioni dell’articolo 50 della Carta sono consentite solo se soddisfano un certo numero di condizioni. In particolare, siffatte limitazioni dovrebbero essere volte a un obiettivo di interesse generale idoneo a giustificare il cumulo delle sanzioni, essere previste da norme chiare e precise, garantire un coordinamento tra i procedimenti e rispettare il principio di proporzionalità della pena. Orbene sembrerebbe che, nel caso di specie, non vi sia una norma chiara e certa che renda prevedibile il cumulo delle sanzioni, che non sia previsto alcun coordinamento tra i procedimenti in questione e che nell’ambito di questi ultimi sia stata irrogata la sanzione massima.

33      Ciò premesso, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le sanzioni irrogate in tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi della normativa interna attuativa della direttiva [2005/29], siano qualificabili alla stregua di sanzioni amministrative di natura penale.

2)      Se l’articolo 50 della [Carta] vada interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di confermare in sede processuale e rendere definitiva una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona giuridica per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette, per le quali nel frattempo è stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico in uno Stato membro diverso, laddove la seconda condanna sia divenuta definitiva anteriormente al passaggio in giudicato dell’impugnativa giurisdizionale della prima sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale.

3)      Se la disciplina di cui alla direttiva 2005/29, con particolare riferimento agli articoli 3, paragrafo 4, e 13, paragrafo 2, lettera e), possa giustificare una deroga al divieto di “ne bis in idem” stabilito dall’articolo 50 della [Carta] e dall’articolo 54 della [CAAS]».

 Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

34      L’AGCM sostiene che le questioni pregiudiziali dovrebbero essere respinte in quanto irricevibili poiché non sarebbero utili ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale. Da un lato, l’articolo 50 della Carta e l’articolo 54 della CAAS non sarebbero applicabili nel caso di specie, dal momento che la normativa tedesca relativa alla responsabilità delle persone giuridiche, in forza della quale è stata adottata la decisione tedesca, non deriverebbe dal diritto dell’Unione. Dall’altro lato, mentre il principio del ne bis in idem vieta il cumulo di procedimenti e di sanzioni per gli stessi fatti, nel caso di specie non sussisterebbe l’identità dei fatti, in quanto la decisione controversa e la decisione tedesca riguarderebbero persone e condotte diverse. In ogni caso, l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 escluderebbe una siffatta identità.

35      Per quanto attiene al primo di tali argomenti, che riguarda, in realtà, la competenza della Corte a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, occorre ricordare che dall’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE e dall’articolo 267, primo comma, TFUE risulta che la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione (sentenza del 10 marzo 2021, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N., C‑949/19, EU:C:2021:186, punto 23).

36      In primo luogo, in merito all’interpretazione dell’articolo 50 della Carta, si deve ricordare che l’ambito di applicazione di quest’ultima, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione; tale disposizione conferma la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse (sentenza del 23 marzo 2023, Dual Prod, C‑412/21, EU:C:2023:234, punto 22 e giurisprudenza ivi citata). Laddove, per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 22).

37      Nel caso di specie, dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che la decisione controversa è stata adottata sulla base della normativa italiana che recepisce la direttiva 2005/29 e costituisce quindi attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Ne consegue che la Carta è applicabile alla controversia di cui al procedimento principale.

38      In secondo luogo, per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 54 della CAAS, occorre ricordare che la CAAS fa parte integrante del diritto dell’Unione in forza del protocollo (n. 19) sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea, allegato al Trattato di Lisbona (GU 2010, C 83, pag. 290) (sentenza del 10 marzo 2021, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N., C‑949/19, EU:C:2021:186, punto 24).

39      Ciò premesso, la Corte è competente a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale.

40      Per quanto riguarda il secondo degli argomenti menzionati al punto 34 della presente sentenza, occorre ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto da esso definito sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, qualora il problema abbia carattere ipotetico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 6 ottobre 2022, Contship Italia, C‑433/21 e C‑434/21, EU:C:2022:760, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

41      Nel caso di specie, l’AGCM non ha dimostrato che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta dal giudice del rinvio, nell’ambito delle sue questioni pregiudiziali, non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale o riguardi un problema di carattere ipotetico. Certamente, il giudice del rinvio deve verificare se la decisione controversa e la decisione tedesca riguardino gli stessi fatti e le stesse persone. Ciò detto, come risulta dal punto 29 della presente sentenza, tale giudice ritiene che sussista un’«analogia, se non [un]’identità» delle condotte oggetto della decisione controversa e della decisione tedesca. Inoltre, nella sua seconda questione detto giudice prende in considerazione una situazione in cui una persona giuridica è oggetto di sanzioni di natura penale per gli stessi fatti nell’ambito di due procedimenti distinti. Pertanto, si evince che, secondo il giudice del rinvio, nel caso di specie tale persona è perseguita e sanzionata per il medesimo illecito.

42      Ciò premesso, occorre dichiarare che le questioni pregiudiziali sono ricevibili.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

43      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa da tale normativa, costituisca una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione.

44      L’articolo 50 della Carta stabilisce che «[n]essuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». Il principio del ne bis in idem vieta quindi un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni aventi natura penale ai sensi di tale articolo per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

45      Per quanto riguarda la valutazione della natura penale dei procedimenti e delle sanzioni di cui trattasi nel procedimento principale, dalla giurisprudenza risulta che sono rilevanti tre criteri nell’ambito di tale valutazione. Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura medesima dell’illecito e il terzo nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (sentenza del 4 maggio 2023, MV – 98, C‑97/21, EU:C:2023:371, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

46      Sebbene spetti al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se i procedimenti e le sanzioni penali e amministrativi di cui al procedimento principale rivestano natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, la Corte, pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale, può tuttavia fornire precisazioni tese a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

47      Nel caso di specie, per quanto riguarda il primo criterio, dall’ordinanza di rinvio risulta che, in forza dell’articolo 27, nono comma, del codice del consumo, la sanzione e il procedimento per l’irrogazione di una siffatta sanzione sono qualificati come amministrativi.

48      Tuttavia, l’articolo 50 della Carta non si applica esclusivamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come «penali» dal diritto nazionale, ma si estende anche – a prescindere da una siffatta qualificazione nel diritto interno – a procedimenti e sanzioni che debbano considerarsi come aventi natura penale in base agli altri due criteri di cui al punto 45 della presente sentenza (sentenza del 4 maggio 2023, MV – 98, C‑97/21, EU:C:2023:371, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

49      Quanto al secondo criterio, relativo alla natura medesima dell’illecito, esso implica di verificare che la sanzione contemplata persegua, in particolare, una finalità repressiva, indipendentemente dalla circostanza che essa persegua anche una finalità preventiva. Infatti, fa parte della natura stessa delle sanzioni penali l’essere volte tanto alla prevenzione quanto alla repressione di condotte illecite. Per contro, una misura che si limiti a risarcire il danno causato dall’illecito considerato non riveste natura penale (sentenza del 4 maggio 2023, MV – 98, C‑97/21, EU:C:2023:371, punto 42).

50      Nel caso di specie, dalla formulazione dell’articolo 27, nono comma, del codice del consumo, sembra emergere che la sanzione prevista da tale disposizione si aggiunge, obbligatoriamente, alle altre misure che l’AGCM può adottare rispetto a pratiche commerciali scorrette e che comprendono, in particolare, come rilevato dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, il divieto di proseguire o ripetere le pratiche in questione.

51      Sebbene nelle sue osservazioni scritte tale governo sostenga che la repressione di pratiche commerciali sleali è garantita da tale divieto e che, di conseguenza, la sanzione prevista all’articolo 27, nono comma, del codice del consumo mirerebbe non già a reprimere una condotta illecita, bensì a privare l’impresa interessata dell’indebito vantaggio concorrenziale da essa acquisito mediante il suo comportamento scorretto nei confronti dei consumatori, occorre rilevare che tale eventuale scopo non è affatto menzionato nella disposizione di cui trattasi.

52      Inoltre, anche se lo scopo di tale disposizione fosse quello di privare l’impresa interessata dell’indebito vantaggio concorrenziale, ciò non toglie che la sanzione pecuniaria varia a seconda della gravità e della durata dell’illecito di cui trattasi, il che attesta una certa gradualità e progressività nella determinazione delle sanzioni che possono essere irrogate. Peraltro, se questo fosse lo scopo di detta disposizione, il fatto che quest’ultima sembra prevedere che la sanzione pecuniaria possa raggiungere un importo massimo di EUR 5 milioni potrebbe avere come conseguenza che detto scopo non sia raggiunto qualora l’indebito vantaggio concorrenziale superi tale importo. Per contro, il fatto che, ai sensi dell’articolo 27, nono comma, seconda frase, del codice del consumo, sembri che l’importo della sanzione pecuniaria non possa essere inferiore a EUR 50 000 per quanto riguarda determinate pratiche commerciali scorrette significherebbe che, per tali pratiche, la sanzione pecuniaria può superare l’importo dell’indebito vantaggio concorrenziale.

53      Per quanto riguarda il terzo criterio, ossia il grado di severità delle misure di cui trattasi nel procedimento principale, occorre ricordare che il grado di severità viene valutato in funzione della pena massima prevista dalle disposizioni pertinenti (sentenza del 4 maggio 2023, MV – 98, C‑97/21, EU:C:2023:371, punto 46).

54      A tal riguardo, è sufficiente rilevare che una sanzione amministrativa pecuniaria che può raggiungere un importo di EUR 5 milioni presenta un elevato grado di severità, che può corroborare l’analisi secondo cui tale sanzione è di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta.

55      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 50 della Carta deve essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, costituisce una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione, quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità.

 Sulla seconda questione

56      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

57      Dalla giurisprudenza si evince che l’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta a una duplice condizione, vale a dire, da un lato, che vi sia una decisione definitiva anteriore (condizione «bis») e, dall’altro, che gli stessi fatti siano oggetto tanto della decisione anteriore quanto del procedimento o della decisione successivi (condizione «idem») (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 28).

 Sulla condizione «bis»

58      Per quanto riguarda la condizione «bis», affinché si possa ritenere che una decisione giudiziaria abbia statuito in via definitiva sui fatti sottoposti ad un secondo procedimento, è necessario non solo che tale decisione sia divenuta definitiva, ma anche che essa sia stata pronunciata previa una valutazione nel merito della causa (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 29).

59      Se è vero che l’applicazione del principio del ne bis in idem presuppone l’esistenza di una precedente decisione definitiva, da ciò non consegue necessariamente che le decisioni successive alle quali osta detto principio possano essere solo quelle adottate dopo tale precedente decisione definitiva. Infatti, tale principio esclude che, qualora esista una decisione definitiva, possa essere avviato o proseguito un procedimento penale per gli stessi fatti.

60      Nel caso di specie, da un lato, dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che la decisione tedesca è divenuta definitiva il 13 giugno 2018, vale a dire successivamente alla decisione controversa. Se è vero che tale decisione non poteva essere invocata per opporsi, alla luce del principio del ne bis in idem, al procedimento condotto dall’AGCM e alla decisione controversa, fintantoché essa non fosse divenuta definitiva, la situazione è mutata allorché detta decisione è divenuta definitiva in un momento in cui la decisione controversa non lo era ancora.

61      Contrariamente a quanto sostenuto dall’AGCM nelle sue osservazioni scritte, il fatto che la decisione tedesca sia divenuta definitiva dopo che la VWAG ha pagato la sanzione pecuniaria prevista da tale decisione e ha rinunciato a contestarla non può mettere in discussione tale valutazione. Infatti, il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta si applica dal momento in cui una decisione di natura penale è divenuta definitiva, indipendentemente dal modo in cui tale decisione abbia acquisito carattere definitivo.

62      Dall’altro lato, fatta salva la verifica da parte di tale giudice, sembra che detta decisione sia stata emessa a seguito di una valutazione relativa al merito del caso.

63      In tali circostanze, e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, risulta quindi che il procedimento relativo all’adozione della decisione tedesca si è concluso con una decisione definitiva, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 58 della presente sentenza.

 Sulla condizione «idem»

64      Per quanto attiene alla condizione «idem», dalla formulazione stessa dell’articolo 50 della Carta discende che esso vieta di perseguire o sanzionare penalmente una stessa persona più di una volta per lo stesso reato (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 31).

65      Come precisato dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, sia la decisione controversa sia la decisione tedesca riguardano la stessa persona giuridica, vale a dire la VWAG. Il fatto che la decisione controversa riguardi altresì la VWGI non può mettere in discussione tale constatazione.

66      Secondo una giurisprudenza consolidata, il criterio rilevante ai fini della valutazione della sussistenza di uno stesso reato è quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto all’assoluzione o alla condanna definitiva dell’interessato. L’articolo 50 della Carta vieta quindi di infliggere, per fatti identici, più sanzioni di natura penale a seguito di procedimenti differenti svolti a tal fine (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

67      Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge che la qualificazione giuridica dei fatti in diritto nazionale e l’interesse giuridico tutelato non sono rilevanti ai fini della constatazione della sussistenza di uno stesso reato, in quanto la portata della tutela conferita all’articolo 50 della Carta non può variare da uno Stato membro all’altro (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

68      Nel caso di specie, come già rilevato al punto 41 della presente sentenza, nella sua seconda questione il giudice del rinvio prende in considerazione una situazione in cui una persona giuridica è oggetto di sanzioni di natura penale per gli stessi fatti nell’ambito di due procedimenti distinti. Ne consegue che tale giudice sembra ritenere che, per quanto riguarda la controversia nel procedimento principale, la condizione «idem» sia soddisfatta.

69      Tuttavia, come risulta dall’ordinanza di rinvio, e come rilevato al punto 29 della presente sentenza, tale giudice fa altresì riferimento all’«analogia» e all’«omogeneità» dei fatti di cui trattasi.

70      A tal riguardo occorre ricordare che, come risulta dal punto 66 della presente sentenza, il principio del ne bis in idem di cui all’articolo 50 della Carta può trovare applicazione solo qualora i fatti oggetto dei due procedimenti o delle due sanzioni di cui trattasi siano identici. Non è quindi sufficiente che tali fatti siano analoghi (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 36).

71      Sebbene spetti al giudice del rinvio valutare, alla luce del punto 66 della presente sentenza, se i procedimenti condotti dalla procura tedesca e dall’AGCM nonché le sanzioni irrogate alla VWAG nella decisione tedesca e nella decisione controversa riguardino gli stessi fatti e, pertanto, lo stesso illecito, la Corte, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale, può tuttavia fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione.

72      A tal proposito occorre rilevare, in primo luogo, come fa il governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte, che la negligenza nella supervisione delle attività di un’organizzazione con sede in Germania, oggetto della decisione tedesca, è una condotta distinta dalla commercializzazione in Italia di veicoli muniti di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi del regolamento n. 715/2007, e dalla diffusione di pubblicità ingannevole in tale Stato membro, le quali sono oggetto della decisione controversa.

73      In secondo luogo, nei limiti in cui la decisione tedesca riguarda la commercializzazione di veicoli muniti di un siffatto impianto di manipolazione vietato, anche in Italia, nonché la diffusione di messaggi pubblicitari scorretti relativi alle vendite di tali veicoli, occorre ricordare che la mera circostanza che un’autorità di uno Stato membro menzioni, in una decisione che constata un’infrazione al diritto dell’Unione nonché alle corrispondenti disposizioni del diritto di tale Stato membro, un elemento di fatto che riguarda il territorio di un altro Stato membro non può essere sufficiente per ritenere che tale elemento di fatto sia all’origine del procedimento o sia stato considerato da tale autorità tra gli elementi costitutivi di tale infrazione. Occorre ancora verificare se detta autorità si sia effettivamente pronunciata su detto elemento di fatto al fine di accertare l’infrazione, dimostrare la responsabilità della persona perseguita per tale infrazione e, se del caso, infliggerle una sanzione, di modo che detta infrazione debba essere considerata come estesa al territorio di tale altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, Nordzucker e a., C‑151/20, EU:C:2022:203, punto 44).

74      In terzo luogo, dalla decisione tedesca risulta tuttavia che le vendite di siffatti veicoli in altri Stati membri, compresa la Repubblica italiana, sono state prese in considerazione dalla procura tedesca in sede di calcolo della somma di EUR 995 milioni, disposta a carico della VWAG a titolo di prelievo sul beneficio economico derivante dalla sua condotta illecita.

75      In quarto luogo, la procura tedesca ha espressamente rilevato, nella decisione tedesca, che il principio del ne bis in idem, quale sancito nella costituzione tedesca, osterebbe all’irrogazione di ulteriori sanzioni penali al gruppo Volkswagen, in Germania, per quanto riguarda l’impianto di manipolazione in questione e il suo utilizzo. Infatti, ad avviso di tale procura, i fatti oggetto di detta decisione sarebbero gli stessi fatti oggetto della decisione controversa, ai sensi della giurisprudenza della Corte, in quanto l’installazione di detto impianto, il rilascio dell’omologazione, nonché la promozione e la vendita dei veicoli in questione costituiscono un insieme di circostanze concrete inscindibilmente connesse tra loro.

76      Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio dovesse dichiarare che i fatti oggetto delle due procedure di cui trattasi nel procedimento principale sono identici, il cumulo delle sanzioni irrogate alla VWAG costituirebbe una limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta.

77      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

 Sulla terza questione

78      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare l’articolo 3, paragrafo 4, e l’articolo 13, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2005/29, nonché l’articolo 50 della Carta e l’articolo 54 della CAAS, al fine di stabilire a quali condizioni possano essere giustificate limitazioni all’applicazione del principio del ne bis in idem.

79      A tal proposito va ricordato che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita all’articolo 267 TFUE, quest’ultima è tenuta a fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

80      Nel caso di specie, occorre constatare che l’articolo 54 della CAAS nonché l’articolo 3, paragrafo 4, e l’articolo 13, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2005/29, espressamente menzionati nella terza questione, non sono rilevanti ai fini della soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

81      In primo luogo, dalla giurisprudenza risulta che l’articolo 54 della CAAS mira a garantire che una persona che è stata condannata e ha scontato la sua pena o, se del caso, che è stata definitivamente assolta in uno Stato membro possa circolare all’interno dello spazio Schengen senza dover temere di essere perseguita per gli stessi fatti in un altro Stato membro [v., in tal senso, sentenze del 29 giugno 2016, Kossowski, C‑486/14, EU:C:2016:483, punto 45, e del 28 ottobre 2022, Generalstaatsanwaltschaft München (Estradizione e ne bis in idem), C‑435/22 PPU, EU:C:2022:852, punto 78].

82      Orbene, poiché tale possibilità di circolare liberamente non è in discussione nel procedimento principale, dal momento che quest’ultimo riguarda due imprese con sede l’una in Germania e l’altra in Italia, un’interpretazione dell’articolo 54 della CAAS non è necessaria ai fini della soluzione della controversia di cui trattasi nel procedimento principale.

83      In secondo luogo, l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 dispone che, in caso di contrasto tra le disposizioni di tale direttiva e altre norme dell’Unione che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici. Dalla formulazione stessa di tale disposizione, nonché dal considerando 10 della direttiva 2005/29 risulta che, da un lato, detta direttiva si applica soltanto in assenza di disposizioni dell’Unione specifiche che disciplinino aspetti particolari delle pratiche commerciali sleali e, dall’altro, che tale disposizione regola espressamente i casi di contrasto tra norme dell’Unione e non tra norme nazionali (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia, C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punti 58 e 59 nonché giurisprudenza ivi citata).

84      Orbene, dall’ordinanza di rinvio non risulta che nel caso di specie sussista un contrasto tra norme dell’Unione. In ogni caso, poiché l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 mira specificamente ad evitare un cumulo di procedimenti e di sanzioni, tale disposizione non è rilevante al fine di stabilire in quali circostanze siano possibili deroghe al principio del ne bis in idem.

85      In terzo luogo, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera e), di tale direttiva non è applicabile ratione temporis al procedimento principale, poiché tale disposizione è stata introdotta nella direttiva 2005/29 dalla direttiva 2019/2161 ed è applicabile solo a decorrere dal 28 maggio 2022.

86      Ciò premesso si deve concludere che, con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, a quali condizioni possano essere giustificate limitazioni all’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito dall’articolo 50 della Carta.

87      Una limitazione dell’applicazione di tale principio può essere giustificata sulla base dell’articolo 52, paragrafo 1, della stessa (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

88      Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, prima frase, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti da quest’ultima devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. A norma della seconda frase di detto paragrafo, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

89      Nel caso di specie, il giudice del rinvio deve verificare se, come pare risultare dagli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte, l’intervento di ciascuna delle autorità nazionali interessate, che si sostiene aver dato luogo a un cumulo di procedimenti e sanzioni, fosse previsto dalla legge.

90      Una siffatta possibilità di cumulare i procedimenti e le sanzioni rispetta il contenuto essenziale dell’articolo 50 della Carta, a condizione che le normative nazionali in questione non consentano di perseguire e sanzionare i medesimi fatti a titolo dello stesso reato o al fine di perseguire lo stesso obiettivo, ma prevedano unicamente la possibilità di un cumulo dei procedimenti e delle sanzioni ai sensi di normative diverse (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 43).

91      Per quanto riguarda la questione se la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem risponda ad un obiettivo di interesse generale, occorre constatare che le due normative nazionali di cui trattasi nel procedimento principale perseguono obiettivi legittimi e distinti.

92      Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, la disposizione nazionale in forza della quale è stata adottata la decisione tedesca mira a far sì che le imprese e i loro dipendenti agiscano nel rispetto della legge e sanziona, pertanto, l’inadempimento colposo dell’obbligo di vigilanza nel contesto di un’attività imprenditoriale, mentre le norme del codice del consumo applicate dall’AGCM recepiscono la direttiva 2005/29 e mirano a conseguire un livello elevato di tutela dei consumatori, ai sensi dell’articolo 1 di detta direttiva, contribuendo nel contempo al corretto funzionamento del mercato interno.

93      Riguardo al principio di proporzionalità, quest’ultimo richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto dalla normativa nazionale non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

94      A tal proposito occorre sottolineare che le autorità pubbliche possono legittimamente optare per risposte giuridiche complementari a fronte di determinati comportamenti nocivi per la società mediante diversi procedimenti, che formino un insieme coerente, in modo da trattare sotto i suoi diversi aspetti il problema sociale in questione, purché tali risposte giuridiche combinate non rappresentino un onere eccessivo per la persona di cui trattasi. Pertanto, il fatto che due procedimenti perseguano obiettivi di interesse generale distinti, che è legittimo tutelare cumulativamente, può essere preso in considerazione, nell’ambito dell’analisi della proporzionalità di un cumulo di procedimenti e sanzioni, quale fattore diretto a giustificare tale cumulo, a condizione che tali procedimenti siano complementari e che l’onere supplementare rappresentato da detto cumulo possa così essere giustificato dai due obiettivi perseguiti (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 49).

95      Quanto al carattere strettamente necessario di un siffatto cumulo di procedimenti e sanzioni, occorre valutare se esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un cumulo di procedimenti e sanzioni nonché il coordinamento tra le diverse autorità, se i due procedimenti siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo, e se la sanzione eventualmente inflitta in occasione del primo procedimento sul piano cronologico sia stata presa in considerazione al momento della valutazione della seconda sanzione, di modo che gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un tale cumulo siano limitati a quanto strettamente necessario e che il complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità delle infrazioni commesse (sentenza del 22 marzo 2022, bpost, C‑117/20, EU:C:2022:202, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

96      Ne consegue che, per essere ritenuto giustificato, un cumulo di procedimenti o sanzioni per gli stessi fatti deve segnatamente soddisfare tre condizioni, vale a dire, in primo luogo, che tale cumulo non costituisca un onere eccessivo per l’interessato, in secondo luogo, che esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo e, in terzo luogo, che i procedimenti in questione siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.

97      Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, occorre ricordare che la decisione controversa prevede una sanzione pecuniaria di cinque milioni di euro, la quale si aggiungerebbe alla sanzione pecuniaria di un miliardo di euro irrogata alla VWAG con la decisione tedesca. Tenuto conto del fatto che la VWAG ha accettato quest’ultima sanzione pecuniaria, non risulta che la sanzione pecuniaria irrogata dalla decisione controversa, il cui importo corrisponde soltanto allo 0,5% della sanzione pecuniaria prevista dalla decisione tedesca, abbia avuto come conseguenza che il cumulo di tali sanzioni rappresenti un onere eccessivo per detta società. In tali circostanze, è irrilevante il fatto che, secondo il giudice del rinvio, sia stata irrogata la sanzione massima prevista dalla normativa pertinente.

98      Inoltre, quanto alla seconda condizione, sebbene il giudice del rinvio non abbia menzionato disposizioni tedesche o italiane che prevedano specificamente la possibilità che una condotta come quella considerata dalla decisione controversa e dalla decisione tedesca, ipotizzando che si tratti della stessa condotta, possa essere oggetto di un cumulo di procedimenti o sanzioni in Stati membri diversi, nulla consente di ritenere che la VWAG non abbia potuto prevedere che tale condotta potesse comportare procedimenti e sanzioni in almeno due Stati membri, che fossero fondati o sulle norme applicabili alle pratiche commerciali sleali o su altre norme, come quelle previste dalla legge sugli illeciti amministrativi, la cui chiarezza e precisione non risultano, del resto, messe in discussione.

99      Per quanto riguarda la terza condizione, relativa al coordinamento dei procedimenti, menzionata al punto 96 della presente sentenza, risulta, anche alla luce delle informazioni fornite dalla VWAG all’udienza dinanzi alla Corte, che non ha avuto luogo alcun coordinamento tra la procura tedesca e l’AGCM, sebbene sembri che i procedimenti in questione siano stati condotti in parallelo per alcuni mesi e, secondo tali informazioni, la procura tedesca fosse a conoscenza della decisione controversa nel momento in cui ha adottato la propria decisione.

100    A tal proposito occorre ricordare, da un lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 107 delle sue conclusioni, che, sebbene il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori («Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori») (GU 2004, L 364, pag. 1), il quale è stato sostituito dal regolamento 2017/2394, prevedesse un meccanismo di cooperazione e coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, la procura tedesca, a differenza dell’AGCM, non faceva parte di tali autorità.

101    Dall’altro lato, se è vero che, come risulta dalle informazioni fornite dalla VWAG all’udienza dinanzi alla Corte, la procura tedesca ha preso contatto con l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust), al fine di evitare il cumulo di procedimenti penali nei confronti della VWAG in vari Stati membri, per quanto riguarda i fatti oggetto della decisione tedesca, da tali informazioni si evince che le autorità italiane non hanno rinunciato ai procedimenti penali a carico di tale società e che l’AGCM non ha partecipato a tale tentativo di coordinamento nell’ambito di Eurojust.

102    Dato che il governo italiano afferma in sostanza che, per ritenere giustificato un cumulo di procedimenti e sanzioni per gli stessi fatti in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, sarebbe soltanto necessario verificare se il principio del ne bis in idem sia rispettato nella sua «dimensione sostanziale», secondo i termini utilizzati da tale governo, ossia verificare se la sanzione complessiva risultante dai due procedimenti in questione non sia manifestamente sproporzionata, senza che sia necessario un coordinamento tra tali procedimenti, occorre ricordare che le condizioni alle quali tale cumulo può essere ritenuto giustificato, così come stabilite dalla giurisprudenza citata al punto 95 della presente sentenza, disciplinano la possibilità di limitare l’applicazione di detto principio. Tali condizioni non possono pertanto variare da un caso all’altro.

103    Il coordinamento di procedimenti o sanzioni riguardanti gli stessi fatti può certamente rivelarsi più difficile qualora, come nel caso di specie, le autorità di cui trattasi appartengano a Stati membri diversi. Sebbene occorra prendere in considerazione i vincoli pratici propri di tale contesto transfrontaliero, questi ultimi non possono giustificare che si relativizzi detto requisito o che non se ne tenga conto, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 114 e 115 delle sue conclusioni.

104    Tale coordinamento di procedimenti o sanzioni può essere espressamente organizzato dal diritto dell’Unione, come dimostrano, benché limitati ai procedimenti riguardanti le pratiche commerciali sleali, i sistemi di coordinamento che erano previsti dal regolamento n. 2006/2004 e che sono attualmente previsti dal regolamento 2017/2394.

105    Per quanto riguarda il rischio, evocato dalla Commissione europea nelle sue osservazioni scritte e in udienza, che un singolo cerchi di ottenere una condanna penale in uno Stato membro al solo fine di premunirsi da procedimenti e da sanzioni relativi agli stessi fatti in un altro Stato membro, nessun elemento del fascicolo sottoposto alla Corte consente di affermare che un siffatto rischio possa concretizzarsi nell’ambito della controversia di cui trattasi nel procedimento principale. In particolare, le circostanze menzionate al punto 97 della presente sentenza non consentono di sostenere tale affermazione.

106    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta deve essere interpretato nel senso che esso autorizza la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 della Carta, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, purché le condizioni previste all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, come precisate dalla giurisprudenza, siano soddisfatte, vale a dire qualora, in primo luogo, tale cumulo non rappresenti un onere eccessivo per l’interessato, in secondo luogo, esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo e, in terzo luogo, i procedimenti di cui trattasi siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.

 Sulle spese

107    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, costituisce una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione, quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità.

2)      Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

3)      L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso autorizza la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 di tale Carta, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, purché le condizioni previste all’articolo 52, paragrafo 1, di detta Carta, come precisate dalla giurisprudenza, siano soddisfatte, vale a dire qualora, in primo luogo, tale cumulo non rappresenti un onere eccessivo per l’interessato, in secondo luogo, esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di

cumulo e, in terzo luogo, i procedimenti di cui trattasi siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.

Arabadjiev

Xuereb

von Danwitz

Kumin

 

Ziemele

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 settembre 2023.

Il cancelliere

 

Il presidente di sezione

A. Calot Escobar

 

A. Arabadjiev


*      Lingua processuale: l’italiano.