Language of document : ECLI:EU:C:2024:33

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate l’11 gennaio 2024(1)

Causa C563/22

SN,

LN, rappresentata da SN

contro

Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo – Status di rifugiato o status conferito dalla protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Condizioni che i cittadini di paesi terzi e gli apolidi devono soddisfare per ottenere lo status di rifugiato – Apolide di origine palestinese che è ricorso all’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – Articolo 12, paragrafo 1, lettera a) – Esclusione dallo status di rifugiato – Cessazione della protezione o dell’assistenza dell’UNRWA – Condizioni per essere ammessi ipso facto ai benefici della direttiva 2011/95 – Significato di “[q]uando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo” – Importanza degli elementi relativi alle condizioni generali di vita esistenti nella Striscia di Gaza – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Condizioni di vita equivalenti a un “trattamento inumano o degradante” – Soglia – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 40 – Domanda reiterata di protezione internazionale – Obbligo di riesaminare elementi relativi a tale situazione generale che siano già stati esaminati – Articolo 19, paragrafo 2, della Carta – Principio di non respingimento»






I.      Introduzione

1.        L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (in prosieguo: l’«UNRWA») è stata istituita a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948, al fine di attuare programmi di assistenza diretta e di occupazione per rifugiati apolidi di origine palestinese registrati presso tale agenzia (2). La zona operativa dell’UNRWA è stata definita in modo tale da comprendere Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e la Striscia di Gaza. Il mandato dell’UNRWA è stato ripetutamente rinnovato e, attualmente, la sua scadenza è prevista per il 30 giugno 2026 (3).

2.        SN e LN, ricorrenti nel procedimento principale, sono apolidi di origine palestinese che vivevano nella Striscia di Gaza e sono registrate presso l’UNRWA. Esse chiedono asilo in Bulgaria per la seconda volta, dopo che le loro prime domande di protezione internazionale sono state respinte dalle autorità di tale Stato membro. Esse affermano che deve essere loro concesso lo status di rifugiate in applicazione della lex specialis contenuta nell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95/UE (4). Ai sensi di tale disposizione, sono esclusi da tale status gli apolidi di origine palestinese che sono ricorsi alla protezione o all’assistenza dell’UNRWA. Tuttavia, tale esclusione non è applicabile qualora tale protezione o assistenza «cessi».

3.        La presente causa solleva una questione di importanza e delicatezza evidenti, in particolare alla luce degli eventi verificatisi nella Striscia di Gaza dopo gli attacchi di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023: si può ritenere che la protezione o l’assistenza dell’UNRWA sia «cess[ata]», in considerazione delle condizioni di vita esistenti, in generale, in tale zona, senza che sia necessario che le persone interessate dimostrino di essere specificamente perseguitate o pregiudicate da tali condizioni a motivo di elementi relativi alle loro circostanze personali?

4.        La controversia nel procedimento principale è sorta prima di tali eventi. Infatti, le domande di SN e di LN, nonché gli elementi sui quali si basa l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria) nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, riguardano la situazione nella Striscia di Gaza quale esistente prima della presentazione di tali domande o nel momento in cui esse sono state presentate, il 9 agosto 2022. Tuttavia, come spiegherò nelle presenti conclusioni, qualsiasi valutazione che dovrà essere effettuata da tale giudice o dalle autorità nazionali competenti dovrà tener conto della situazione attualmente esistente in tale zona, in merito alla quale diversi organi e rappresentanti delle Nazioni Unite hanno espresso gravi preoccupazioni (5).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

1.      Convenzione di Ginevra (6)

5.        L’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra così recita:

«La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissari[ato] delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione».

6.        Alla luce della natura delle sue operazioni, l’UNRWA deve essere considerata «un’organizzazione o (...) un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissari[ato] delle Nazioni Unite per i rifugiati» ai sensi dell’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra.

2.      Risoluzioni pertinenti dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

a)      Risoluzioni adottate prima del 7 ottobre 2023

7.        L’Assemblea Generale e il Consiglio di sicurezze delle Nazioni Unite hanno adottato diverse risoluzione riguardanti l’UNRWA o la situazione nella sua zona operativa, sin dalla creazione di tale agenzia. La risoluzione n. 74/83 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, del 13 dicembre 2019, prevede quanto segue:

«L’Assemblea generale,

(…)

Consapevole delle crescenti esigenze dei rifugiati palestinesi in tutte le zone operative, segnatamente Giordania, Libano, Repubblica araba siriana e territori palestinesi occupati,

Esprimendo profonda preoccupazione per la situazione particolarmente difficile dei rifugiati palestinesi che vivono sotto occupazione, in particolare per quanto riguarda la loro sicurezza, il loro benessere e le loro condizioni di vita sul piano socioeconomico,

Esprimendo profonda preoccupazione, in particolare, per la grave situazione umanitaria e per le condizioni socioeconomiche dei rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza, e sottolineando l’importanza dell’assistenza di emergenza e umanitaria e di interventi urgenti per la ricostruzione,

(…)

3.      Sottolinea la necessità che l’opera dell’[UNRWA] prosegua, nonché l’importanza delle sue operazioni, che devono essere condotte senza alcun ostacolo, e dei suoi servizi, inclusa l’assistenza di emergenza, tenendo conto del benessere, della protezione e dello sviluppo umano dei rifugiati palestinesi e la stabilità della regione, in attesa di una soluzione equa della questione dei rifugiati palestinesi;

4.      Invita tutti i donatori a continuare a intensificare i loro sforzi per rispondere alle esigenze attese dell’[UNRWA], anche per quanto concerne l’aumento delle spese e delle necessità scaturenti dai conflitti e dall’instabilità nella regione, nonché la grave situazione socioeconomica e umanitaria, in particolare nei territori palestinesi occupati, e alle esigenze evocate nei recenti appelli e piani di emergenza, ripresa e ricostruzione per la Striscia di Gaza (...)

(…)».

b)      Risoluzioni adottate a partire dal 7 ottobre 2023

8.        I fatti verificatisi nella Striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre 2023 hanno indotto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a votare, il 27 ottobre 2023, una risoluzione intitolata «Protection of civilians and upholding legal and humanitarian obligations» (Protezione dei civili e rispetto degli obblighi giuridici e umanitari), nella quale essa ha appellato a «una tregua umanitaria immediata, duratura e condivisa, che conduca alla cessazione delle ostilità» nella Striscia di Gaza (7). In particolare, essa ha rilevato «il grave deterioramento della situazione», ha deplorato «l’elevato numero di vittime civili e l’estesa distruzione», esprimendo profonda preoccupazione «per la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e le sue vaste conseguenze per la popolazione civile, che comprende in gran parte bambini».

9.        Tale risoluzione è stata seguita, il 15 novembre 2023, dalla risoluzione 2712 (2023) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si appella, in particolare, a urgenti e prolungate pause umanitarie nella Striscia di Gaza (8).

10.      Il 12 dicembre 2023 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione intitolata «Protection of civilians and upholding legal and humanitarian obligations» (Protezione dei civili e rispetto degli obblighi giuridici e umanitari) (9). Con tale risoluzione ha chiesto un cessate il fuoco umanitario immediato nella Striscia di Gaza e l’accesso umanitario a tale zona. Ha inoltre ribadito la richiesta che le parti del conflitto rispettino il diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda la protezione dei civili, e la liberazione immediata e senza condizioni di tutti gli ostaggi.

11.      Il 22 dicembre 2023 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2720 (2023) (10), in cui ha ribadito tutte le sue risoluzioni pertinenti, in particolare la risoluzione 2712 (2023). Segnatamente, ha espresso «profonda preoccupazione per il disastroso e rapido deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e per il suo grave impatto sulla popolazione civile», ha sottolineato «l’urgente necessità di un accesso umanitario completo, rapido, sicuro e senza ostacoli alla Striscia di Gaza e al suo interno» e ha preso atto delle «preoccupanti relazioni provenienti dai vertici delle Nazioni Unite e dalle organizzazioni umanitarie a questo proposito». Ha inoltre ribadito la sua «forte preoccupazione per l’effetto sproporzionato che il conflitto sta dispiegando sulle vite e il benessere di bambini, donne e altri civili in situazioni di vulnerabilità»

B.      Diritto dell’Unione

a)      Direttiva 2011/95

12.      L’articolo 12 della direttiva 2011/95, intitolato «Esclusione», prevede quanto segue:

«1.      Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:

a)      rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo [1, sezione D] della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto commissari[ato] delle Nazioni Unite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva;

(...)».

b)      Direttiva 2013/32 (11)

13.      L’articolo 40 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande reiterate», prevede quanto segue:

«1.      Se una persona che ha chiesto protezione internazionale in uno Stato membro rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello stesso Stato membro, questi esamina le ulteriori dichiarazioni o gli elementi della domanda reiterata nell’ambito dell’esame della precedente domanda o dell’esame della decisione in fase di revisione o di ricorso, nella misura in cui le autorità competenti possano tenere conto e prendere in considerazione tutti gli elementi che sono alla base delle ulteriori dichiarazioni o della domanda reiterata in tale ambito.

(...)».

C.      Diritto nazionale

14.      La direttiva 2011/95 e la direttiva 2013/32 sono state recepite nel diritto bulgaro mediante lo Zakon za ubezhishteto i bezhantsite (legge sull’asilo e sui rifugiati; in prosieguo: lo «ZUB»).

15.      Gli articoli 8 e 9 dello ZUB riprendono in sostanza le condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale enunciate nella direttiva 2011/95. L’articolo 12, paragrafo 1, dello ZUB rispecchia il contenuto dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva.

16.      L’articolo 75, paragrafo 2, dello ZUB prevede quanto segue:

«Nel corso dell’esame di una domanda di protezione internazionale si tiene conto di tutti i fatti pertinenti (...) relativi alla situazione personale del richiedente o del suo paese d’origine (...)».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

17.      SN, nata nel 1995, e sua figlia, LN, sono apolidi di origine palestinese. Esse hanno lasciato la Striscia di Gaza nel luglio 2018 e hanno soggiornato per 45 giorni in Egitto e per sette mesi in Turchia. Dopo essere transitate illegalmente in Grecia, esse hanno fatto ingresso nel territorio della Bulgaria insieme a KN, marito di SN e padre di LN.

18.      Il 22 marzo 2019 SN e LN hanno presentato domande di protezione internazionale presso la Darzhavna agentsia za bezhantsite (agenzia nazionale per i rifugiati, Bulgaria; in prosieguo: la «DAB»). Esse hanno basato le loro domande su vari elementi, tra cui l’assenza di condizioni di vita dignitose e l’instabilità nella Striscia di Gaza, nonché la situazione di conflitto armato quasi permanente causata da azioni militari israeliane e da tensioni tra Fatah e Hamas. SN ha inoltre dichiarato che KN ha rischiato la vita a causa di molteplici bombardamenti mentre si trovava al lavoro e che la loro abitazione si trovava nei pressi di una stazione di polizia, spesso bersaglio di missili.

19.      SN e LN non hanno menzionato, nelle loro domande, di essere registrate presso l’UNRWA.

20.      Con decisione del 5 luglio 2019, il Predsedatel della DAB (presidente della DAB) ha respinto le domande di protezione internazionale di SN e di LN. Il presidente della DAB ha dichiarato che SN e LN non erano state costrette a lasciare la Striscia di Gaza a causa di un rischio effettivo di subire torture, trattamenti inumani o degradanti, di essere condannate alla pena di morte o giustiziate oppure a causa di altre minacce gravi. SN e LN non correvano neppure il rischio di essere esposte a tali minacce nel caso in cui ritornassero nella Striscia di Gaza, poiché non avevano addotto alcuna prova del fatto che sarebbero state specificamente perseguitate a motivo di elementi relativi alle loro circostanze personali. Inoltre, sebbene nella sentenza nella causa Elgafaji (12) la Corte abbia ammesso che, in determinate situazioni, il grado di violenza indiscriminata che caratterizza un conflitto armato può raggiungere un livello così elevato da esimere un richiedente protezione internazionale dalla necessità di fornire la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, la situazione esistente in tale zona non poteva essere considerata all’epoca, equivalente a un conflitto armato simile a quello che aveva condotto alla sentenza in parola. Infine, il presidente della DAB ha dichiarato che SN e LN avrebbero potuto rimanere in Egitto o in Turchia e che si erano recate in Bulgaria soltanto per beneficiare di migliori condizioni economiche.

21.      Una volta esaurite le vie di ricorso disponibili, tale decisione è divenuta definitiva.

22.      Il 21 agosto 2020 SN e LN hanno presentato nuovamente una domanda di protezione internazionale. Esse hanno fornito la prova della loro registrazione presso l’UNRWA e hanno sostenuto che, di conseguenza, la lex specialis di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 trovava applicazione nei loro confronti. Esse hanno sostenuto che, in forza di tale disposizione, erano ammesse ipso facto a beneficiare dello status di rifugiate, poiché la protezione o assistenza dell’UNRWA nei loro confronti doveva considerarsi «cess[ata]».

23.      Lo Intervyuirasht organ na DAB (Ufficio delle udienze della DAB) ha dichiarato ammissibili le domande reiterate di SN e LN.

24.      A sostegno delle loro domande di concessione dello status di rifugiate, SN e LN hanno prodotto vari documenti che dimostravano, a loro avviso, che le condizioni nelle quali l’UNRWA operava nella Striscia di Gaza all’epoca dei fatti (nel 2020) erano pessime.

25.      In particolare, SN ha sostenuto che la situazione nella Striscia di Gaza si era deteriorata negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia di COVID-19. Ella ha sostenuto che il tasso di disoccupazione era particolarmente elevato e che coloro che lavoravano non percepivano una retribuzione. Ha altresì dichiarato che era stato introdotto un coprifuoco, che le scuole erano chiuse e che Hamas impediva alle persone di lasciare il loro domicilio e lanciava ripetuti attacchi contro Israele. Ella ha spiegato che metà della casa in cui vivevano, come famiglia, era stata distrutta da missili, a causa della sua prossimità a una stazione di polizia e che, nel 2014, i danni al tetto le avevano costrette a trasferirsi altrove per un periodo di due anni.

26.      Con decisione del 14 maggio 2021, lo Zamestnik-predsedatel della DAB (vicedirettore della DAB) ha respinto le domande reiterate di SN e di LN. Il vicedirettore della DAB ha spiegato che, poiché tali domande erano «domande reiterate» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, non era necessario esaminare tutti gli elementi a loro sostegno. Di conseguenza, la valutazione della questione se a SN e LN dovesse essere riconosciuto lo status di rifugiate poteva essere limitata, in primo luogo, all’accertamento dell’esistenza di «elementi (…) nuovi», in secondo luogo, alla valutazione della rilevanza di tali elementi rispetto alla situazione personale di SN e LN o alla situazione nel loro paese d’origine e, in terzo luogo, alla decisione se gli elementi in questione fossero suffragati da prove sufficienti.

27.      Il vicedirettore della DAB ha dichiarato che il fatto che SN e LN fossero registrate presso l’UNRWA, pur essendo stato addotto come «elemento nuovo», non era rilevante rispetto alla loro situazione personale. In primo luogo, SN e LN avevano effettivamente beneficiato, in passato, della protezione o assistenza dell’UNRWA, e la sola ragione per cui non ne beneficiavano più era rappresentata dal fatto che esse avevano volontariamente abbandonato la zona operativa di tale agenzia. In secondo luogo, non vi era motivo di ritenere che SN e LN non avrebbero potuto beneficiare nuovamente della protezione o assistenza dell’UNRWA in caso di loro ritorno nella Striscia di Gaza. Inoltre, il vicedirettore della DAB ha dichiarato che gli argomenti di SN e LN relativi alla situazione generale nella Striscia di Gaza non dimostravano che esse fossero personalmente esposte a persecuzione o ad altre gravi minacce. L’assenza di minacce di tal genere impediva loro di beneficiare di protezione internazionale.

28.      SN e LN hanno impugnato tale decisione dinanzi all’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia), il giudice del rinvio. In particolare, SN ha sostenuto che il suo ritorno nella Striscia di Gaza (insieme a LN) violerebbe il principio di non respingimento, il quale impone agli Stati membri di astenersi dall’inviare una persona verso uno Stato in cui esiste un grave rischio che essa sia sottoposta a pena di morte, tortura o altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

29.      Tale giudice chiede, anzitutto, in che modo l’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, in materia di domande reiterate, debba essere interpretato in una situazione del genere. Esso rileva che, a sostegno delle loro domande reiterate, SN e LN hanno fornito la prova della loro registrazione presso l’UNRWA, un elemento che esse non avevano dedotto nel contesto delle loro domande precedenti. Tuttavia, esso rileva che nessuno degli elementi menzionati da SN e LN riguardanti i motivi per i quali avevano lasciato la Striscia di Gaza può essere considerato «nuovo», dato che tutti gli elementi in parola erano già stati esaminati nell’ambito della procedura relativa alle loro domande precedenti.

30.      In secondo luogo, esso chiede se la protezione o assistenza dell’UNRWA debba considerarsi «cess[ata]» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, nei confronti di SN e LN, tenuto conto della situazione generale nella Striscia di Gaza. A tal riguardo, esso osserva che tale situazione generale, deterioratasi nel corso degli ultimi anni, ha innegabilmente inciso sulla capacità dell’UNRWA di fornire una protezione o assistenza effettiva agli apolidi di origine palestinese nella Striscia di Gaza. Inoltre, l’UNRWA è stata sottofinanziata e sta attraversando difficoltà finanziarie.

31.      A tale riguardo, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia) richiama la risoluzione del Parlamento europeo del 19 aprile 2018 sulla situazione nella Striscia di Gaza (13), in cui tale zona è descritta come caratterizzata da una «una crisi umanitaria sempre più grave e senza precedenti». Inoltre, esso fa riferimento a un documento intitolato «UNHCR Position on Returns to Gaza» (Posizione dell’UNHCR sui rimpatri nella Striscia di Gaza), del marzo 2022 (14), nel quale l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR») ha affermato che i civili fuggiti dalla Striscia di Gaza non sarebbero stati rimpatriati forzatamente in tale zona, tenuto conto della prova di gravi addebiti concernenti la violazione del diritto internazionale in materia di diritti umani e della perdurante instabilità.

32.      Alla luce di tali elementi, il giudice del rinvio chiede se debba ritenere che SN e LN si verrebbero a trovare in una situazione di «estrema deprivazione materiale», ai sensi della sentenza nella causa Jawo (15), nel caso in cui fossero costrette a ritornare nella Striscia di Gaza. Ai sensi di tale sentenza, SN e LN dovrebbero dimostrare che il loro ritorno nella Striscia di Gaza le porrebbe in una situazione che non consentirebbe loro di far fronte ai loro bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudicherebbe la loro salute fisica o psichica o che le porrebbe in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana. Tale giudice osserva che se LN (che è una minore) fosse costretta a ritornare nella Striscia di Gaza, il suo benessere e la sua sicurezza sarebbero certamente esposti a rischi. Tuttavia, esso ricorda altresì che il motivo per cui SN e LN hanno lasciato la Striscia di Gaza non è legato a una grave minaccia alla loro sicurezza personale, ma unicamente alla situazione generale in tale zona.

33.      In tali circostanze, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se dall’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva [2013/32] derivi che, qualora venga dichiarata ammissibile all’esame una domanda reiterata di protezione internazionale presentata da un richiedente apolide di origine palestinese in base alla sua registrazione presso l’UNRWA, l’obbligo delle autorità competenti previsto da tale disposizione di prendere in considerazione ed esaminare tutti gli elementi che sono alla base delle ulteriori dichiarazioni o della domanda reiterata, interpretato in combinato disposto con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della direttiva 2011/95, comprenda, nelle circostanze della presente fattispecie, anche l’obbligo di esaminare, oltre a elementi o risultanze nuovi oggetto della domanda reiterata, i motivi per cui la persona ha lasciato la zona operativa dell’UNRWA. Se l’adempimento dell’obbligo di cui trattasi dipenda dalla circostanza che i motivi per cui la persona ha lasciato la zona operativa dell’UNRWA sono già stati esaminati nell’ambito del procedimento relativo alla prima domanda di protezione [internazionale], conclusosi con una decisione definitiva di diniego, nel quale tuttavia il richiedente non ha fatto valere né provato la propria registrazione presso l’UNRWA.

2)      Se dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della direttiva 2011/95 derivi che l’espressione “[q]uando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo” contenuta in tale disposizione è applicabile a un apolide di origine palestinese, che era registrato presso l’UNRWA e che nella città di Gaza ha ricevuto sostegno dall’UNRWA in forma di fornitura di generi alimentari, servizi sanitari e interventi formativi, senza che vi siano elementi per presumere l’esistenza di una minaccia personale nei confronti di tale persona, la quale ha lasciato volontariamente e legalmente la città di Gaza, tenendo conto delle informazioni disponibili nel presente procedimento:

–      valutazione della situazione generale al momento della partenza [dalla zona operativa] quale crisi umanitaria senza precedenti, legata a carenza di generi alimentari, acqua potabile, servizi sanitari e farmaci, nonché a problemi di approvvigionamento idrico ed elettrico, danni a edifici e infrastrutture, disoccupazione

–      difficoltà dell’UNRWA di continuare a garantire assistenza e servizi nella città di Gaza, anche in forma di fornitura di generi alimentari e servizi sanitari, riconducibili al notevole disavanzo dell’UNRWA e all’aumento costante del numero di persone che dipendono dal sostegno dell’agenzia, la cui attività svanisce di fronte alla situazione generale di Gaza.

Se occorra rispondere diversamente a tale questione per il solo motivo che il richiedente è una persona vulnerabile ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 3, della medesima direttiva, vale a dire è un minore.

3)      Se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che un richiedente che presenta domanda di protezione internazionale ed è un rifugiato palestinese registrato presso l’UNRWA può fare ritorno nella zona operativa dell’UNRWA che aveva lasciato, segnatamente nella città di Gaza, se al momento dell’udienza nel giudizio relativo al suo ricorso contro una decisione di diniego

–      non sono disponibili informazioni affidabili sulla possibilità per tale persona di beneficiare dell’assistenza dell’UNRWA con riguardo a generi alimentari, servizi sanitari, farmaci e assistenza medica, nonché formazione;

–      le informazioni sulla situazione generale nella città di Gaza e sull’UNRWA, in conformità alla Posizione dell’UNHCR sui rimpatri nella Striscia di Gaza, del marzo 2022, sono state valutate quali motivi per l’abbandono della zona operativa dell’UNRWA e per il non ritorno,

[–]      presupponendo che il richiedente in caso di ritorno possa trattenersi in tale zona in condizioni di vita dignitose.

Se la situazione personale di un richiedente protezione internazionale, alla luce delle condizioni nella Striscia di Gaza alla data indicata e laddove la persona dipenda dall’assistenza dell’UNRWA con riguardo a generi alimentari, servizi sanitari, farmaci e assistenza medica, ricada, in relazione all’applicazione e alla salvaguardia, con riferimento a tale richiedente, del principio di non respingimento di cui all’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la «Carta»], nell’ambito di applicazione dell’interpretazione fornita (…) [nella] sentenza del 19 marzo 2019, Jawo (C‑163/17, EU:C:2019:218) in materia di estrema deprivazione materiale ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

Se alla questione sul ritorno nella città di Gaza, sulla base delle informazioni disponibili sulla situazione generale nella città di Gaza e sull’UNRWA, occorra rispondere diversamente per il solo motivo che il richiedente protezione è un minore, tenuto conto della tutela dell’interesse superiore del minore e al fine di assicurare il suo benessere e sviluppo sociale nonché la sua protezione e sicurezza.

4)      A seconda della risposta alla terza questione:

Se, nella presente fattispecie, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della direttiva 2011/95, con particolare riferimento all’espressione “queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva” contenuta in tale disposizione, debba essere interpretato nel senso che:

A)      con riferimento a un richiedente protezione che è un palestinese apolide registrato presso l’UNRWA, risulta applicabile il principio di non respingimento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 19 della Carta, in quanto, in caso di ritorno nella città di Gaza, egli sarebbe esposto al rischio di un trattamento disumano e degradante che potrebbe condurre all’estrema deprivazione materiale e, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, tale ipotesi rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, [lettera b)], della direttiva 2011/95,

oppure:

B)      tale disposizione implica, nei confronti di un richiedente protezione che è un palestinese apolide registrato presso l’UNRWA, il riconoscimento, da parte dello Stato membro, della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva e la concessione automatica dello status di rifugiato, sempre che tuttavia a tale richiedente non siano applicabili i paragrafi 1, lettera b), (…) 2 e 3 di detto articolo 12, in conformità del punto 2 del dispositivo della sentenza del 19 dicembre 2012, El Kott e a. (C‑364/11, EU:C:2012:826), senza che si debba tener conto riguardo quest’ultimo delle circostanze rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 15, [lettera b)], della direttiva 2011/95».

34.      La domanda di pronuncia pregiudiziale, datata 9 agosto 2022, è stata registrata il 22 agosto 2022. Il governo bulgaro e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Non si è tenuta udienza.

IV.    Analisi

35.      La direttiva 2011/95 stabilisce le condizioni che i richiedenti asilo devono soddisfare per beneficiare di protezione internazionale nell’Unione europea. Essa deve essere interpretata alla luce del suo impianto sistematico e della sua finalità, che è, in particolare, quella di assicurare che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, nel rispetto della convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Come risulta dal considerando 16 della direttiva 2011/95, le disposizioni in essa contenute devono inoltre essere interpretate nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta (16).

36.      L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, che riflette il contenuto dell’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra, illustra il regime giuridico specifico applicabile agli apolidi di origine palestinese che siano ricorsi alla protezione o all’assistenza dell’UNRWA. Come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (17), tale disposizione contiene sia una clausola di esclusione, sia una clausola di inclusione.

37.      Infatti, da un lato, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 prevede che, qualora una persona rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra, essa è esclusa dal riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della predetta direttiva, esattamente così come detta persona è esclusa dallo status di rifugiato ai sensi di tale convenzione. Sebbene né l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, né l’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra lo indichino espressamente, la clausola di esclusione in esse contenuta si applica, in pratica, soltanto agli apolidi di origine palestinese e, più specificamente, solo a quelli che siano ricorsi alla protezione o assistenza dell’UNRWA (18).

38.      Dall’altro lato, qualora detta protezione o assistenza possa considerarsi «cess[ata]», la clausola di esclusione non trova più applicazione e le persone in questione «sono ipso facto ammesse ai benefici» della direttiva 2011/95 (così come sono ipso facto ammesse ai benefici della convenzione di Ginevra). Detti benefici spettano di «pieno diritto» (19), senza che sia necessario soddisfare i requisiti applicabili agli altri richiedenti asilo. Tuttavia, lo status di rifugiato non è concesso automaticamente o incondizionatamente, poiché, anche in tal caso, le autorità nazionali competenti devono sempre verificare, ad esempio, che le persone interessate non rientrino nell’ambito di applicazione di uno dei motivi di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), paragrafo 2 e paragrafo 3, di tale direttiva (20), i quali trovano applicazione qualora sussistano fondati motivi per ritenere che esse abbiano commesso determinati reati, abbiano istigato la loro commissione o vi abbiano altrimenti concorso.

39.      Come affermato dall’avvocato generale Sharpston nelle sue conclusioni nella causa Bolbol (21), l’articolo 1, sezione D, della convenzione di Ginevra è nato in un contesto specifico. Esso è stato redatto poco dopo il conflitto arabo-israeliano del 1948, in particolare al fine di impedire un esodo di massa dall’area geografica che era stata la Palestina e, al contempo, di garantire che gli apolidi di origine palestinese riconosciuti come rifugiati dalla comunità internazionale (22) continuassero a beneficiare di protezione o assistenza effettiva fino a che la loro posizione fosse stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (23).

40.      Di conseguenza, la Corte ha precisato che la finalità dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, si basa sulla logica secondo cui agli apolidi di origine palestinese deve essere garantita una protezione o assistenza effettiva da parte dell’UNRWA, e non la mera esistenza di un organo o di un’agenzia incaricati del compito di fornire siffatta assistenza o protezione (24).

41.      In tale contesto, la prima questione del giudice del rinvio riguarda uno specifico aspetto procedurale, legato al fatto che, nel procedimento principale, SN e LN hanno presentato domanda di riconoscimento dello status di rifugiato per la seconda volta. Con tale questione si invita la Corte a stabilire se, nel caso in cui un apolide di origine palestinese presenti una siffatta «domanda reiterata», a seguito del rigetto della sua prima domanda, le autorità nazionali competenti debbano riesaminare gli elementi di fatto relativi ai motivi per cui la persona interessata ha lasciato la zona operativa dell’UNRWA, anche qualora tali elementi siano già stati considerati da tali autorità nell’ambito della procedura relativa alla prima domanda. A tale proposito, il giudice del rinvio rileva che, nel corso di tale procedura le autorità nazionali competenti hanno esaminato i suddetti elementi al fine di determinare se la persona di cui trattasi soddisfacesse i criteri generali per il riconoscimento dello status di rifugiato, e non al fine di stabilire se la lex specialis di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 trovasse applicazione nei suoi confronti (poiché detto richiedente non aveva dedotto il fatto di essere registrato presso l’UNRWA) (A).

42.      La seconda e la terza questione, che analizzerò congiuntamente, sono di portata più ampia e hanno carattere sensibile. Come ho già osservato supra nell’introduzione, con tali questioni si chiede alla Corte di precisare, in sostanza, se si possa ritenere che la protezione o l’assistenza dell’UNRWA sia «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, nei confronti di richiedenti che siano ricorsi a tale protezione o assistenza e che vivevano nella Striscia di Gaza, tenuto conto delle condizioni di vita generalmente esistenti in tale zona, senza che sia necessario che le persone interessate dimostrino di essere specificamente perseguitate o pregiudicate da tali condizioni a motivo di elementi relativi alle loro circostanze personali (B).

43.      La quarta questione riguarda l’interrelazione – e la potenziale sovrapposizione – tra le condizioni che devono essere soddisfatte affinché una persona possa essere ammessa ipso facto a beneficiare dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 e quelle che devono essere soddisfatte affinché a tale persona sia concessa la protezione sussidiaria (C).

A.      Prima questione: necessità di riesaminare elementi di fatto già esaminati nel corso di una precedente procedura fondata su una base giuridica diversa

44.      Come ho già indicato, le domande di protezione internazionale di SN e di LN nel procedimento principale sono «domande reiterate». Siffatte domande sono definite, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, come «ulterior[i] domand[e] di protezione internazionale presentat[e] dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente».

45.      Il giudice del rinvio non ha sollevato la questione se la direttiva 2013/32, che contiene le norme procedurali che le autorità nazionali competenti devono generalmente rispettare in sede di trattamento di domande di protezione internazionale, si applichi agli apolidi di origine palestinese che siano ricorsi alla protezione o assistenza dell’UNRWA. Poiché dette persone sono escluse, in linea di principio, dallo status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, ci si potrebbe chiedere se esse siano escluse anche dalle disposizioni procedurali della direttiva 2013/32 (o almeno da una parte di esse). A tal riguardo osservo, tuttavia, che la direttiva in parola non contiene alcuna disposizione in tal senso. Inoltre, a mio avviso, è logico che le norme procedurali contenute in tale direttiva si applichino a dette persone. Infatti, sebbene esse non siano ammesse a beneficiare dello status di rifugiato alle stesse condizioni sostanziali previste per gli altri richiedenti asilo (in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95), non vedo il motivo per cui tali diverse condizioni sostanziali debbano far sì che le loro domande siano sottoposte, ai sensi della direttiva 2013/32, a norme procedurali differenti.

46.      Nelle loro prime domande di protezione internazionale (respinte dalla DAB), SN e LN non avevano menzionato il fatto di essere registrate presso l’UNRWA, né il fatto che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 trovasse applicazione nei loro confronti. Dalle informazioni contenute nel fascicolo dinanzi alla Corte risulta che la DAB ha respinto le loro prime domande a motivo del fatto che le richiedenti non soddisfacevano i criteri generali necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato, quali enunciati in tale direttiva, in particolare nell’articolo 5, paragrafo 1, e nell’articolo 6 della stessa. Il rigetto, quindi, non è stato fondato sulla lex specialis contenuta nell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a).

47.      Le domande reiterate di SN e LN differiscono dalle loro prime domande nella misura in cui, in tali domande reiterate, esse fanno valere di essere registrate presso l’UNRWA e il loro diritto al riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi di tale disposizione. A tal riguardo, è importante rilevare che il fatto che SN e LN siano registrate presso l’UNRWA è un «elemento nuovo», ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, e dell’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32. Ai sensi di tali disposizioni, un elemento può essere considerato «nuovo» se interviene dopo l’adozione della decisione sulla domanda precedente del richiedente o qualora il richiedente l’abbia presentato per la prima volta nel contesto della sua domanda reiterata (25). Come dichiarato dalla Corte a più riprese, un «elemento nuovo» non deve quindi necessariamente intervenire dopo la decisione finale sulle domande precedenti degli interessati (26). Sebbene SN e LN fossero già registrate presso l’UNRWA al momento della loro prima domanda di protezione internazionale, tale elemento non è stato reso noto o comunicato alla DAB fino al momento della presentazione delle loro domande reiterate. Detto «elemento nuovo» determina l’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 e, quindi, introduce una diversa base giuridica sulla quale SN e LN possono fondare il loro diritto a beneficiare dello status di rifugiato.

48.      In tali circostanze, il giudice del rinvio chiede se la DAB fosse tenuta a prendere in considerazione, in sede di esame nel merito delle domande reiterate di SN e di LN, non soltanto il fatto che esse fossero registrate presso l’UNRWA (in prosieguo: l’«elemento nuovo»), ma anche gli altri elementi di fatto contenuti nei loro fascicoli, in particolare quelli relativi ai motivi per i quali avevano lasciato la Striscia di Gaza, che erano già stati analizzati nel corso della procedura precedente. Tali motivi riguardano le condizioni generali di vita esistenti nella Striscia di Gaza prima della partenza di LN e SN da tale zona.

49.      Tale giudice richiama l’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, che prevede, a suo avviso, l’obbligo delle autorità nazionali competenti di prendere in considerazione, in ciascun caso, tutti gli elementi sottesi alla domanda reiterata.

50.      È vero che tale disposizione menziona siffatto obbligo. Tuttavia, per come lo intendo, l’articolo 40, paragrafo 1, riguarda soltanto due situazioni particolari. La prima si verifica quando, prima dell’adozione di una decisione definitiva sulla prima domanda di protezione internazionale, il richiedente rilascia ulteriori dichiarazioni o presenta una domanda reiterata nello stesso Stato membro. Ciò può accadere, ad esempio, quando è pendente un ricorso avverso la decisione adottata dalle autorità nazionali competenti. La seconda situazione interviene quando una decisione definitiva è già stata adottata, ma il diritto nazionale applicabile consente la riapertura della procedura alla luce di un «elemento nuovo» (27).

51.      Come correttamente sottolineato dalla Commissione, nessuna di queste situazioni sembra includere la situazione di cui al procedimento principale, in cui la domanda reiterata fa sì che le autorità nazionali competenti debbano condurre una nuova procedura di asilo su una base giuridica diversa (in casu, la nuova base giuridica è l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95). Pertanto, non sono persuaso dell’argomento secondo cui un obbligo generale di esaminare tutti gli elementi sottesi a una domanda reiterata potrebbe essere desunto da tale specifica disposizione.

52.      Ciò premesso, osservo che il governo bulgaro invita la Corte a concentrare la sua analisi sull’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 invece che sull’articolo 40, paragrafo 1, della stessa. Esso sostiene che, a differenza del paragrafo 1 dell’articolo 40 (28), i paragrafi 2 e 3 di tale disposizione si applicano a situazioni, come quella in esame, in cui è iniziata una nuova procedura di asilo. Tale governo ritiene che, in forza di tali paragrafi, gli elementi già valutati nel corso della procedura di asilo precedente non debbano essere riesaminati nel corso della nuova procedura. A suo avviso, solo l’«elemento nuovo» deve essere analizzato nell’ambito della procedura relativa alla seconda domanda.

53.      Mentre sono d’accordo con il governo bulgaro per quanto riguarda la pertinenza dell’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 per la questione oggetto del procedimento principale, non condivido l’interpretazione proposta da detto governo. A mio avviso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi a valutare soltanto l’«elemento nuovo».

54.      A tal riguardo, è vero che l’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, interpretato alla luce dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della stessa (29), indica che soltanto l’esistenza di «elementi nuovi» può evitare che domande reiterate siano dichiarate inammissibili. Pertanto, in linea di principio (30), gli «elementi nuovi» sono i soli elementi pertinenti nella fase dell’ammissibilità di tali domande. Tuttavia, ciò non vale nel caso in cui una domanda reiterata sia esaminata nel merito (dopo essere stata dichiarata ammissibile). Queste due fasi devono essere chiaramente distinte.

55.      Infatti, una volta che le autorità nazionali competenti passano all’esame del merito di una domanda reiterata, l’articolo 40, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 chiarisce che le autorità non possono trattare siffatta domanda in modo diverso, soltanto in ragione del fatto che non è la prima ad essere stata presentata dal richiedente. Tale disposizione indica che, nella fase procedurale dell’esame del merito, trovano applicazione i principi e le garanzie fondamentali elencati al capo II di tale direttiva. Detto capo esige, in particolare, che le decisioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato siano adottate in modo individuale, obiettivo ed imparziale e soltanto «previo congruo esame» (31).

56.      Non ho difficoltà ad ammettere che taluni elementi di fatto che le autorità nazionali competenti abbiano già esaminato nell’ambito di una precedente procedura di asilo possano essere identici a quelli che esse sono tenute a prendere in considerazione in sede di esame di domande reiterate degli interessati, anche quando le due procedure si fondano su basi giuridiche diverse. Ad esempio, i richiedenti potrebbero addurre gli stessi motivi per aver lasciato il loro paese o zona di origine, come risulta accadere nel caso di specie. Tuttavia, a mio avviso, ciò non dispensa dette autorità dall’obbligo di riesaminare la pertinenza e l’accuratezza (32) di tali elementi di fatto. L’obbligo in questione deve essere adempiuto in una situazione in cui, come nel caso di cui al procedimento principale, la base giuridica della valutazione della domanda reiterata (articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95) non è la stessa sulla base della quale si è svolta la procedura precedente. In una situazione del genere, gli elementi pertinenti, anche se già esaminati nel corso della procedura precedente, devono essere riesaminati alla luce dei criteri specifici di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95.

57.      Come ho spiegato ai precedenti paragrafi da 36 a 38, tale disposizione contiene una norma specifica relativa al diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, distinta dai criteri generali enunciati, in particolare, all’articolo 5, paragrafo 1, e dell’articolo 6 della direttiva 2011/95. In sede di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, le autorità nazionali competenti non sono tenute a stabilire se, alla luce dei motivi che l’hanno portata a lasciare la sua zona di origine, la persona interessata abbia un «timore fondato di essere perseguitat[a]», come invece dovrebbero fare sulla base dei criteri generali per il riconoscimento dello status di rifugiato previsti, in particolare, all’articolo 5, paragrafo 1, e all’articolo 6 di tale strumento. Il requisito di un «timore fondato di essere perseguitato» non è pertinente ai fini della valutazione che le autorità nazionali competenti devono svolgere ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), il quale si incentra sulla questione se la protezione o assistenza dell’UNRWA sia «cess[ata]». Qualsiasi motivo che la persona possa avere avuto per lasciare la sua zona di origine deve, in tale contesto, essere valutato unicamente alla luce di tale requisito.

58.      Posso facilmente immaginare che la prova del fatto che una persona abbia vissuto in condizioni materiali inadeguate nella zona operativa dell’UNRWA e che abbia lasciato tale zona a causa di tali condizioni (come sembra essere accaduto nel caso di SN e di LN nel procedimento principale) possa costituire un elemento per decidere sia la questione se la protezione o assistenza dell’UNRWA nei suoi confronti sia «cess[ata]», sicché detta persona è ipso facto ammessa a beneficiare dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, sia la questione se ad essa debba essere concesso tale status in applicazione dei criteri generali contenuti, in particolare, nell’articolo 5, paragrafo 1, e nell’articolo 6 di tale direttiva. Tuttavia, la prova in questione non può essere valutata sotto lo stesso profilo dalle autorità nazionali competenti, a seconda di quale di queste due basi giuridiche sia pertinente. Nel corso di una procedura basata sui criteri generali per il riconoscimento dello status di rifugiato, di cui alla direttiva 2011/95 (e non sull’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva), le autorità nazionali competenti esaminano prove del fatto che la persona interessata ha vissuto in condizioni materiali inadeguate sotto un profilo diverso rispetto a quello di un esame sulla base dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), poiché esse devono concentrarsi, in particolare, sulla questione se il peggioramento delle condizioni di vita alle quali detta persona sia stata esposta possa essere considerato un «att[o] di persecuzione» (33), e non sulla questione se esso contribuisca a concludere che la protezione o assistenza dell’UNRWA sia cessata.

59.      Alla luce di tali considerazioni, ritengo che, in sede di esame di una domanda reiterata sulla base dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, le autorità nazionali competenti debbano riesaminare, alla luce dei criteri giuridici propri di tale disposizione, gli elementi di fatto già analizzati nell’ambito di una precedente procedura non basata su tale disposizione, bensì sui criteri generali che le persone non rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva devono soddisfare ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

B.      Seconda e terza questione: cessazione della protezione o assistenza dell’UNRWA alla luce delle condizioni generali di vita esistenti in una parte della sua zona operativa

60.      Con la seconda e la terza questione, il giudice del rinvio invita la Corte a precisare, in sostanza, se la protezione o assistenza dell’UNRWA debba considerarsi «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, nei confronti di persone che siano ricorse a detta protezione o assistenza, tenuto conto delle condizioni di vita generalmente esistenti nella Striscia di Gaza e senza che sia necessario che tali persone dimostrino di essere specificamente perseguitate o pregiudicate da tali condizioni a motivo di elementi relativi alle loro circostanze personali. Esso chiede altresì se la risposta a tale questione possa essere diversa qualora i richiedenti siano minori.

61.      Ricordo che, affinché la clausola di inclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 trovi applicazione, è sufficiente, come indicato espressamente da tale disposizione, che la cessazione della protezione o dell’assistenza di un organo o di un’agenzia quale l’UNRWA si verifichi per «qualsiasi motivo».

62.      In sede di analisi del significato di tali termini, la Corte ha statuito che la cessazione della protezione o assistenza dell’UNRWA si verifica non soltanto qualora tale agenzia cessi di esistere, ma anche qualora la persona interessata sia stata costretta a lasciare la zona operativa dell’UNRWA per motivi indipendenti dalla sua volontà (34). Ciò si verifica in presenza di uno stato personale di grave insicurezza dell’interessato (primo requisito) (35) e qualora l’agenzia di cui trattasi versi nell’impossibilità di assicurare a tale persona, nella sua zona operativa, condizioni di vita conformi alla missione ad essa affidata, ossia condizioni di vita «dignitose» (36) (secondo requisito).

63.      Al fine di verificare se tali requisiti siano soddisfatti e se le persone interessate siano, di conseguenza, ammesse ipso facto a beneficiare dello status di rifugiato ai sensi della direttiva 2011/95, le autorità nazionali competenti devono prendere in considerazione non soltanto i motivi che hanno indotto i richiedenti a lasciare la zona operativa dell’UNRWA, ma anche se sia attualmente possibile, per essi, farvi ritorno. La Corte ha affermato molto chiaramente questo requisito nella sua sentenza nella causa Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (37), nella quale essa ha dichiarato che le autorità dovrebbero verificare se sia attualmente possibile fare ritorno nella zona operativa dell’UNRWA. Essa ha precisato che occorre prendere in considerazione gli elementi di fatto esistenti non soltanto nel momento in cui la persona in questione ha lasciato la zona operativa dell’UNRWA, ma anche al momento in cui la sua domanda è oggetto di esame (38).

64.      Ne consegue che, per le persone che vivono nella Striscia di Gaza, dove il livello di insicurezza e le condizioni di vita hanno subito repentini cambiamenti, in particolare dopo gli eventi ivi verificatisi a partire dal 7 ottobre 2023, devono essere prese in considerazione informazioni precise e aggiornate sulla situazione generale attualmente esistente in tale zona, oltre ai motivi che, originariamente, hanno indotto tali persone a lasciarla.

65.      Il giudice del rinvio indica che SN e LN non sono state oggetto di minacce personali alla loro sicurezza prima di lasciare la Striscia di Gaza e che hanno lasciato volontariamente tale zona. Tuttavia, tale giudice spiega che, nel 2018, quando SN e LN hanno lasciato la Striscia di Gaza, in tale zona era già in corso una «crisi umanitaria senza precedenti, legata a carenza di generi alimentari, acqua potabile, servizi sanitari e farmaci, nonché a problemi di approvvigionamento idrico ed elettrico, danni a edifici e infrastrutture, disoccupazione».

66.      Per quanto riguarda il periodo successivo alla partenza di SN e di LN da tale zona, il giudice del rinvio insiste sulle difficoltà affrontate dall’UNRWA per continuare a garantire la prestazione di servizi nella Striscia di Gaza (anche sotto forma di generi alimentari e servizi sanitari). Tale giudice suggerisce altresì che, anche prima degli eventi verificatisi in tale zona a partire dal 7 ottobre 2023, non era certo che, nel caso in cui SN e LN avessero fatto ritorno nella Striscia di Gaza, esse avrebbero potuto ottenere dall’UNRWA i generi alimentari, i farmaci, i servizi sanitari o la formazione di cui necessitavano. Alla luce di tali elementi, esso dubita che si possa imporre a qualsiasi apolide di origine palestinese di ritornare in tale zona.

67.      Concordo con la Commissione sul fatto che non spetta alla Corte effettuare la propria valutazione fattuale delle condizioni generali di vita esistenti nella Striscia di Gaza o delle circostanze personali delle ricorrenti nel procedimento principale. Occorre infatti ricordare che, in forza dell’articolo 267 TFUE, la Corte non è competente ad applicare le norme del diritto dell’Unione a una fattispecie concreta, ma unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione dei Trattati e degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione. Nel caso di specie, spetta quindi al giudice del rinvio (o, se del caso, alle autorità nazionali competenti) verificare, alla luce, in particolare, delle condizioni generali di vita attualmente esistenti nella Striscia di Gaza, se SN e LN possano beneficiare dello status di rifugiate ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95. Tuttavia, la Corte è legittimata a precisare i criteri giuridici che il giudice del rinvio o dette autorità sono tenuti ad applicare, a tal riguardo, nonché le circostanze pertinenti ai fini di tale valutazione.

68.      A tal riguardo, la questione fondamentale a cui deve essere data risposta è se, al fine di stabilire che la protezione o assistenza dell’UNRWA è «cess[ata]» nei confronti di una persona che è ricorsa a tale protezione o assistenza nella zona operativa di tale agenzia o in una parte di essa, sia sufficiente che detta persona si fondi sulle condizioni di vita generali ivi esistenti.

1.      Importanza relativa degli elementi concernenti le condizioni generali di vita…

69.      È opportuno rilevare che, nei casi in cui l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 non trova applicazione, e in cui, pertanto, le autorità nazionali competenti si basano sui criteri generali al fine di decidere se debba essere riconosciuto lo status di rifugiato previsto in tale direttiva (criteri che sono descritti, fra l’altro, all’articolo 5, paragrafo 1, e all’articolo 6 di tale strumento), il fatto che una persona sia esposta a un rischio grave di subire un grave danno in ragione di condizioni di vita indegne, maltrattamenti, violenza indiscriminata o altri danni gravi in caso di ritorno al suo paese o zona di origine non significa, di per sé, che essa sia ammessa de facto a beneficiare dello status di rifugiato.

70.      In applicazione di tali criteri generali, lo status di rifugiato è concesso soltanto qualora il richiedente asilo abbia un «timore fondato di essere perseguitato», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, e dell’articolo 6 della direttiva 2011/95. Un «timore fondato di essere perseguitato» non sussiste salvo che gli atti pertinenti siano «atti di persecuzione» (come definiti all’articolo 9 di tale direttiva), siano compiuti da determinati soggetti (elencati all’articolo 6 della direttiva in parola) e siano connessi a particolari motivi (descritti all’articolo 10 della direttiva 2011/95).

71.      Tuttavia, un rischio di danno grave, anche se non raggiunge il livello di un «timore fondato di essere perseguitato», può consentire alla persona in questione di beneficiare della protezione sussidiaria, che è un’altra forma di protezione internazionale (39) (le cui condizioni sono precisate all’articolo 15 di tale direttiva). Esso può inoltre far sorgere, più in generale, un obbligo per gli Stati membri di non rimpatriare tali persone nel loro paese o zona di origine, in applicazione del principio di non respingimento. Tale principio è sancito, in particolare, all’articolo 3 della CEDU (40) e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. In particolare, quest’ultima disposizione esige che nessuno sia «allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

72.      Qualora trovi applicazione l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, s’impone un’analisi diversa.

73.      Come ho spiegato, tale disposizione subordina il diritto degli apolidi di origine palestinese che siano ricorsi alla protezione o all’assistenza dell’UNRWA al riconoscimento dello status di rifugiato alla questione se tale protezione o assistenza sia «cess[ata]». Come ho indicato al precedente paragrafo 62, la missione dell’UNRWA consiste nel garantire «condizioni di vita dignitose» alle persone poste sotto la sua protezione o assistenza, soddisfacendo i loro bisogni essenziali (in particolare, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio). Dato che il divieto di cui all’articolo 4 della Carta (il quale prevede che «[n]essuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti» ed è equivalente all’articolo 3 della CEDU) è strettamente legato a obblighi positivi di tutela della dignità umana (41), mi sembra – a dir poco – evidente che la missione dell’UNRWA debba considerarsi «cess[ata]» qualora sussista un rischio grave che tali persone, se ritornassero nella zona operativa dell’UNRWA (o in una parte di essa), sarebbero esposte a trattamenti incompatibili con l’articolo 4 della Carta, poiché i loro bisogni essenziali (dei quali l’UNRWA è tenuta ad assicurare la soddisfazione) non potrebbero essere soddisfatti. Ciò include condizioni di vita indegne, maltrattamenti e violenza indiscriminata, nonché altri danni gravi, che presuppongono l’inflizione di dolori o sofferenze fisici o mentali di intensità o durata sufficienti a raggiungere la soglia fissata da tale disposizione (42), che è uguale a quella di cui all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (43). È importante rilevare che non è necessario dimostrare che il danno grave è causato da determinati soggetti o è connesso a un motivo particolare e, quindi, equivale alla «persecuzione».

74.      Di conseguenza, se una persona che si è avvalsa della protezione o assistenza dell’UNRWA è esposta a maltrattamenti che raggiungono la soglia in questione, a causa dell’omessa garanzia, da parte dell’UNRWA, della soddisfazione dei suoi bisogni essenziali (44), i due requisiti che ho descritto al precedente paragrafo 62 devono, senza nulla più, considerarsi soddisfatti. In termini concreti, si deve ritenere che la persona interessata sia stata «costretta a lasciare» la zona operativa dell’UNRWA e che, pertanto, essa sia ipso facto ammessa a beneficiare dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95.

75.      Per essere chiaro, come ho appena spiegato, un rischio di esposizione a un trattamento incompatibile con l’articolo 4 della Carta non attribuisce a chiunque, di per sé, il diritto di vedersi attribuito lo status di rifugiato nell’Unione europea. Tuttavia, tale disposizione svolge un ruolo specifico rispetto agli apolidi di origine palestinese che siano ricorsi alla protezione o assistenza dell’UNRWA e alla questione se essi siano ammessi a beneficiare dello status di rifugiato nell’Unione ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95. A tal riguardo, ricordo che, come ho spiegato al precedente paragrafo 39, gli apolidi di origine palestinese sono già riconosciuti come rifugiati dalla comunità internazionale. Il motivo per cui essi sono esclusi dallo status di rifugiato ai sensi della direttiva 2011/95 è che si presume che essi ricevano una protezione o assistenza effettiva da parte dell’UNRWA, che dovrebbe soddisfare i loro bisogni essenziali (in particolare, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio) e garantire che essi dispongano di condizioni di vita dignitose. Tale esclusione perde la sua giustificazione qualora l’omessa garanzia, da parte dell’UNRWA, della soddisfazione di tali bisogni essenziali faccia sì che tali persone siano esposte a trattamenti incompatibili con l’articolo 4 della Carta.

76.      Ciò premesso, ritengo che la questione se la prova di un deterioramento delle condizioni generali di vita esistenti nella zona operativa dell’UNRWA o in una parte di essa possa essere sufficiente a dimostrare che la persona interessata sarà esposta a un trattamento incompatibile con l’articolo 4 della Carta, qualora vi faccia ritorno, e, dunque, che la protezione o assistenza dell’UNRWA nei suoi confronti sia «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, dipenda proprio dal grado di tale deterioramento.

77.      Da un lato, concordo sul fatto che la mera circostanza che le condizioni generali di vita nella zona operativa dell’UNRWA o in una parte di essa siano di livello inferiore a quelle di cui la persona interessata potrebbe beneficiare se le fosse riconosciuto lo status di rifugiato in uno Stato membro non è sufficiente per ritenere che essa sia stata costretta a lasciare tale zona (45). Dall’altro lato, mi sembra che non si possa escludere che, in talune situazioni, le condizioni generali di vita possano diventare intollerabili, al punto di poter essere considerate «indegne» per qualsiasi apolide di origine palestinese che viva in detta zona (a). Tra questi due estremi opposti, la questione se la persona interessata possa essere considerata, a causa delle stesse condizioni generali di vita (seppur meno severe), come «costretta» a lasciare la zona operativa dell’UNRWA dipende, come spiegherò, dalla sua appartenenza o meno a un gruppo particolarmente vulnerabile (b) oppure dal fatto che essa debba essere considerata particolarmente vulnerabile o particolarmente pregiudicata a causa di circostanze personali (c).

a)      Situazioni in cui le condizioni generali di vita sono «indegne» per chiunque

78.      Ricordo che, in particolare nella sua sentenza nella causa Elgafaji, la Corte ha già dichiarato, per quanto riguarda la questione se la protezione sussidiaria possa essere concessa in ragione di una situazione di violenza indiscriminata causata da un conflitto armato interno o internazionale, che esistono situazioni in cui il grado di violenza indiscriminata raggiunge un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire una minaccia alla sua vita (46).

79.      Inoltre, nella sua sentenza nella causa Jawo, la Corte ha già riconosciuto (anche se non nel contesto dell’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95) (47) che determinate zone geografiche sono caratterizzate, in pratica, da gravi difficoltà di funzionamento (o carenze sistemiche) tali per cui sussiste un rischio serio che un richiedente protezione internazionale sia, in caso di trasferimento o ritorno in dette zone, trattato in modo incompatibile con l’articolo 4 della Carta. In tali circostanze, il trasferimento o il ritorno di qualunque richiedente asilo in tali zone geografiche è, semplicemente, fuori questione (48), in considerazione delle condizioni generali di vita ivi esistenti, senza che sia necessario che tali persone dimostrino di appartenere a un gruppo particolarmente vulnerabile di richiedenti asilo (ad esempio in quanto minori), né che siano particolarmente vulnerabili a causa delle loro circostanze personali (ad esempio a causa di una malattia) o che possano essere particolarmente pregiudicate da dette condizioni generali, sempre a causa di circostanze personali (ad esempio perché la loro casa è situata in una zona che costituisce un bersaglio molto probabile di atti violenti).

80.      Soltanto una situazione particolarmente grave può determinare il sorgere di un siffatto divieto generale. La Corte ha statuito che tale soglia particolarmente elevata di gravità non è raggiunta in situazioni meramente caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni generali di vita (49). Ciò che è necessario è un grave rischio che la persona rientrata in tale zona si trovi, a causa di dette gravi difficoltà di funzionamento (o carenze sistemiche), in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi la sua salute fisica o psichica o che la ponga in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana (50).

81.      Ritengo che questa logica possa essere seguita nel contesto dell’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95. In primo luogo, l’articolo 4 della Carta è una disposizione di applicazione trasversale, sicché qualsiasi interpretazione di tale disposizione da parte della Corte non è limitata a uno specifico strumento di diritto derivato. In secondo luogo, non si può escludere – come minimo – che parte della zona operativa dell’UNRWA (nel caso di specie, la Striscia di Gaza) sia caratterizzata da carenze sistemiche di gravità tale (ad esempio, a causa di un conflitto armato o di un embargo militare o, nei termini impiegati dal giudice del rinvio, di una «crisi umanitaria senza precedenti») da determinare un rischio grave che qualsiasi persona rinviata in detta zona – per il solo fatto della sua presenza in tale territorio – si troverebbe in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consentirebbe di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudicherebbe la sua salute fisica o psichica o che la porrebbe in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana e, quindi, con l’articolo 4 della Carta.

82.      Sono dell’avviso che, in situazioni del genere, la prova di siffatte condizioni generali di vita sia sufficiente, nel senso che i richiedenti non sono tenuti a dimostrare che tali condizioni generali siano per loro «indegne», in modo individualizzato (ad esempio, a causa della loro particolare vulnerabilità), o che essi siano specificamente pregiudicati da tali condizioni in ragione di elementi propri della loro situazione personale (ad esempio, il fatto che la loro casa si trovi in una strada sistematicamente bersagliata da missili, come sembra essere il caso di SN e LN) (51).

83.      Tuttavia, occorre comunque dimostrare che le condizioni generali di vita possono effettivamente essere considerate «indegne» e, quindi, incompatibili con l’articolo 4 della Carta, praticamente per chiunque, nel senso che devono essere di gravità tale da poter riguardare qualsiasi persona, indipendentemente dalle sue circostanze personali o della sua identità. In presenza di una situazione del genere, si può ritenere, in primo luogo, che l’interessato eventualmente obbligato a fare ritorno in tale zona si troverebbe in uno stato personale di grave insicurezza (primo requisito menzionato al precedente paragrafo 62) e, in secondo luogo, che l’UNRWA non sarebbe in grado di garantire a tale persona, nella sua zona operativa, condizioni di vita conformi alla missione ad essa affidata, ossia condizioni di vita «dignitose», assicurando il soddisfacimento dei suoi bisogni essenziali (secondo requisito). Di conseguenza, la protezione o assistenza di tale agenzia deve essere considerata «cess[ata]» nei confronti di tale richiedente, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95.

b)      Situazioni in cui il richiedente deve dimostrare di appartenere a un gruppo particolarmente vulnerabile

84.      Un approccio più sfumato s’impone, a mio avviso, in situazioni che non raggiungono il livello di gravità menzionato nella sezione precedente. Infatti, situazioni non caratterizzate da carenze sistemiche sufficientemente gravi da far sì che le condizioni generali di vita siano considerate «indegne» e, quindi, incompatibili con l’articolo 4 della Carta praticamente per chiunque possono comunque essere causa di «condizioni di vita indegne» per determinati gruppi di persone particolarmente vulnerabili (o determinate persone particolarmente vulnerabili, come spiegherò nella sezione che segue), impedendo loro di far fronte ai bisogni più elementari.

85.      A tal riguardo, il giudice del rinvio chiede, in particolare, se il fatto che la richiedente sia una minore incida sul livello di gravità richiesto affinché le condizioni generali di vita nella Striscia di Gaza possano essere considerate «indegne».

86.      Ricordo che la Corte ha dichiarato che la valutazione dell’esistenza di un «rischio reale di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta» dipende, di fatto, dalla particolare vulnerabilità del richiedente asilo interessato (52). Inoltre, la Corte EDU ha riconosciuto che la valutazione del livello minimo di gravità che un maltrattamento deve raggiungere per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU, è, «per sua natura, relativa» (53).

87.      Per quanto riguarda i minori, la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») ha sottolineato a più riprese, nella sua giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art icolo 3 della CEDU, che essi sono un gruppo particolarmente vulnerabile, dotato di bisogni specifici diversi, in particolare in termini di incolumità e sicurezza, rispetto a quelli degli adulti (54). Tale giurisprudenza è ripresa in diversi strumenti del diritto dell’Unione in materia di asilo, poiché, ad esempio, gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire che le condizioni di vita offerte ai minori dopo aver ottenuto lo status di rifugiati (55), nonché nel corso dell’adozione della decisione relativa alla concessione di protezione internazionale a detti minori, siano conformi ai bisogni di questi ultimi e riflettano la loro particolare vulnerabilità (56). Stanti tali premesse, sembra generalmente riconosciuto che condizioni di vita che non possono essere considerate «indegne» per gli adulti potrebbero comunque essere considerate tali per i minori, in quanto gruppo (57).

88.      Alla luce di tali considerazioni, mi sembra evidente che, in determinate situazioni, le condizioni generali di vita – pur non essendosi deteriorate al punto da creare un grave rischio di danni gravi praticamente per chiunque – possano comunque essere considerate tali da esporre qualsiasi minore a un grave rischio di danni gravi, incompatibile con l’articolo 4 della Carta, in ragione del fatto che i minori costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile di «richiedenti asilo».

89.      In situazioni del genere, ritengo che le persone appartenenti a tale gruppo particolarmente vulnerabile (o a qualsiasi altro gruppo particolarmente vulnerabile) non siano tenute a dimostrare che le condizioni generali di vita siano per loro «indegne» e, quindi, incompatibili con l’articolo 4 della Carta, in modo individualizzato, purché si possa stabilire, da un lato, che tali condizioni generali di vita siano sufficientemente gravi da poter essere considerate «indegne» per qualsiasi persona appartenente a tale gruppo e, dall’altro, che le circostanze personali pertinenti del richiedente (ad esempio, l’età, il sesso, una particolare condizione o una disabilità) ne determinino la collocazione all’interno di tale gruppo.

c)      Situazioni in cui la persona interessata deve dimostrare di presentare una particolare vulnerabilità o di essere specificamente pregiudicata dalle condizioni generali di vita in regione delle sue circostanze personali

90.      Come ho indicato al precedente paragrafo 84, la giurisprudenza della Corte indica che vi sono anche determinate situazioni nelle quali le condizioni generali di vita non possono essere considerate «indegne» e, pertanto, incompatibili con l’articolo 4 della Carta, praticamente per chiunque o per uno o più gruppi di persone particolarmente vulnerabili.  Tuttavia, tali situazioni possono comunque determinare «condizioni di vita indegne» per determinate persone che devono essere considerate particolarmente vulnerabili a causa delle loro circostanze personali (58) o che sono specificamente pregiudicate dalle stesse condizioni generali in ragione di elementi specifici delle loro circostanze personali (ad esempio, il fatto che la loro casa si trovi in una strada sistematicamente bersagliata da missili). Infatti, come precisato dall’avvocato generale Wathelet, «sarebbe manifestamente incompatibile con il carattere assoluto [dell’articolo 4 della Carta] che gli Stati membri possano ignorare un rischio reale e acclarato di trattamenti inumani o degradanti che incomba su un richiedente asilo, adducendo quale pretesto che esso non risulterebbe da una carenza sistemica» (59).

91.      La Corte ha già applicato questo ragionamento nel contesto dell’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95. Infatti, nella sua sentenza nella causa SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), che riguardava una persona affetta da una malattia particolarmente grave, essa ha concluso che la protezione o l’assistenza dell’UNRWA deve essere considerata «cess[ata]» qualora tale organo non sia in grado di fornire alla persona interessata l’accesso alle cure e ai trattamenti medici in mancanza dei quali quest’ultima corre un rischio reale di morte imminente o un rischio reale di essere esposta a un declino grave, rapido e irreversibile del suo stato di salute o a una significativa riduzione della sua speranza di vita (60).

92.      In situazioni come quella che ha dato luogo alla sentenza nella causa SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), le condizioni generali di vita esistenti in una parte della zona operativa dell’UNRWA non erano, di per sé, sufficientemente gravi da indicare l’esistenza, per chiunque, o anche soltanto per un particolare gruppo di persone, di un trattamento incompatibile con l’articolo 4 della Carta. Tuttavia, il richiedente poteva addurre circostanze personali ad esso specifiche che lo rendevano particolarmente vulnerabile e facevano sì che tali condizioni generali di vita fossero insopportabili e «indegne» (e, quindi, incompatibili con tale disposizione) per lo stesso in modo individualizzato.

2.      … e necessità di una valutazione individuale in ciascun caso

93.      Nelle sezioni precedenti ho appena delineato tre possibili ipotesi in cui la protezione o assistenza dell’UNRWA può considerarsi «cess[ata]» a causa dell’incapacità di tale agenzia di garantire condizioni di vita dignitose agli apolidi di origine palestinese che siano ricorsi alla sua protezione o assistenza, assicurando, in sostanza, il soddisfacimento dei loro bisogni essenziali quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio.

94.      A mio avviso, il peso che occorre attribuire, rispettivamente, da un lato, alle condizioni generali di vita esistenti nella zona operativa dell’UNRWA o in una parte di essa e, dall’altro, alle circostanze personali dell’interessato variano a seconda di quale delle tre ipotesi venga in considerazione. Nelle prime due ipotesi, non è necessario dimostrare che le condizioni generali di vita siano «indegne» per la persona interessata, in modo individualizzato, poiché tali condizioni sono a tal punto gravi da poter essere considerate «indegne» e, dunque, incompatibili con l’articolo 4 della Carta per chiunque, indistintamente, o per un gruppo particolarmente vulnerabile al quale tale persona appartiene. Nella terza ipotesi, tuttavia, il carattere «indegno» delle condizioni generali di vita deve essere dimostrato in modo individualizzato, sulla base della particolare vulnerabilità o di altre circostanze proprie della persona interessata.

95.      Desidero esporre la seguente considerazione aggiuntiva. Se le condizioni generali di vita esistenti in una parte della zona operativa dell’UNRWA sono sempre rilevanti al fine di stabilire se la protezione o assistenza di tale agenzia sia «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, esse possono essere prese in considerazione soltanto nel contesto di una valutazione individuale. Infatti, la Corte ha già sottolineato tale requisito nella sentenza Abed El Karem El Kott e a. (61). Invero, essa ha dichiarato che, allorché le autorità nazionali competenti esaminano la questione se una persona, per motivi che esulano dalla sua sfera di controllo e prescindono dalla sua volontà, non possa più, di fatto, beneficiare della protezione o assistenza dell’UNRWA, esse devono effettuare un esame su base individuale di tutti gli elementi pertinenti.

96.      Alla luce di tale giurisprudenza, condivido pertanto il parere della Commissione secondo cui elementi di natura generale relativi alle condizioni generali di vita nella zona interessata, o in una parte di essa, in cui opera l’UNRWA (nella fattispecie, la Striscia di Gaza), devono sempre essere integrati in una valutazione individuale. Anche nella prima ipotesi, lo status di rifugiato non è concesso automaticamente a chiunque. Come ho già indicato al precedente paragrafo 83, le persone interessate devono comunque presentare domanda per ottenere tale status, e un’analisi caso per caso è necessaria per stabilire non soltanto che esse siano effettivamente ricorse alla protezione o all’assistenza dell’UNRWA nella zona interessata (o in una parte di essa), ma anche che, al momento di tale valutazione, le condizioni generali di vita in tale zona geografica possono essere considerate «indegne» praticamente per chiunque, sicché sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse in tale zona, il richiedente correrebbe un rischio effettivo di subire un danno, incompatibile con l’articolo 4 della Carta, in ragione della sua mera presenza in tale zona e senza necessità di dimostrare che sarebbe specificamente esposto a detto danno.

97.      È importante sottolineare la necessità di una siffatta valutazione individuale. Se non esistesse tale requisito, il sistema istituito dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 diverrebbe, sotto alcuni aspetti, equivalente a quello introdotto dalla direttiva 2001/55/CE (62), che garantisce una protezione temporanea (una forma di protezione diversa, distinta e meno estesa rispetto alla protezione garantita dallo status di rifugiato o di protezione sussidiaria) in caso di afflusso massiccio di sfollati, nell’ambito del quale non è richiesto che gli interessati presentino domande individuali e, dunque, siano sottoposti a una valutazione individuale. Tale direttiva è destinata a trovare applicazione soltanto in talune situazioni circoscritte, e solo a seguito di una decisione formale del Consiglio dell’Unione europea (una decisione del genere, ad esempio, è stata recentemente adottata per gli sfollati che hanno dovuto lasciare l’Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022, a seguito dell’invasione militare delle forze armate russe) (63). A mio avviso, il meccanismo predisposto dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 non può sostituirsi a quello istituito dalla direttiva 2001/55.

98.      Inoltre, ricordo che, come ho già spiegato al precedente paragrafo 38, prima di concedere lo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, le autorità nazionali competenti devono anche verificare, in ogni caso, che la persona interessata non rientri nell’ambito di applicazione di alcuna delle cause di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), paragrafo 2 e paragrafo 3, di tale direttiva (64). Le disposizioni in questione prevedono, in sostanza, che lo status di rifugiato non è concesso ad apolidi di origine palestinese (anche nel caso in cui si siano avvalsi della protezione o assistenza dell’UNRWA), qualora sussistano fondati motivi per ritenere che essi abbiano commesso determinati reati, abbiano istigato la loro commissione o vi abbiano altrimenti concorso (crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, reati gravi di diritto comune al di fuori del paese di accoglienza o atti contrari ai principi delle Nazioni Unite). Ciò includerebbe, a mio avviso, la commissione di atti terroristici e qualsiasi forma di concorso o istigazione alla commissione di tali atti (come ad esempio, volendo citare i fatti più recenti, gli atti commessi da Hamas nei confronti di Israele).

99.      Ne consegue che, come già statuito dalla Corte, la circostanza che apolidi di origine palestinese siano ipso facto ammessi ai benefici della direttiva 2011/95, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale strumento, nel caso in cui la protezione o assistenza dell’UNRWA cessi, non implica un diritto incondizionato di vedersi attribuito lo status di rifugiato (65).

C.      Quarta questione: interrelazione tra l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 e le disposizioni in materia di protezione sussidiaria

100. Secondo la mia interpretazione, la quarta questione – la cui finalità e il cui significato sono, devo riconoscerlo, difficili da decifrare a prima vista – riguarda l’interrelazione tra l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, che prevede, in determinate condizioni, la possibilità che apolidi di origine palestinese siano ipso facto ammessi a beneficiare dello status di rifugiato, e le disposizioni di tale strumento in materia di «protezione sussidiaria» che, come ho già dichiarato al precedente paragrafo 71, costituisce una forma di protezione internazionale diversa (e meno estesa) (66) rispetto a quella garantita dallo status di rifugiato.

101. In particolare, il giudice del rinvio chiede, in primo luogo, se il principio di non respingimento, sancito, in particolare, all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, si applichi a una situazione in cui un apolide di origine palestinese, pur non essendo ammesso a beneficiare dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, possa beneficiare della protezione sussidiaria in applicazione dell’articolo 15, lettera b), della stessa. Il diritto di detta persona a beneficiare della protezione sussidiaria sarebbe fondato sul fatto che, se essa ritornasse nella zona operativa dell’UNRWA, si troverebbe in una situazione di «estrema deprivazione materiale», simile a quella descritta al precedente paragrafo 81.

102. In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare se, nell’esaminare la questione se una persona soddisfi le condizioni elencate nell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, le autorità nazionali competenti debbano prendere in considerazione non solo il principio di non respingimento ma anche gli elementi pertinenti per stabilire se essa abbia diritto alla protezione sussidiaria, in applicazione dell’articolo 15, lettera b), della direttiva in parola.

103. Come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (67), il regime speciale al quale sono sottoposti gli apolidi di origine palestinese in forza della direttiva 2011/95 riguarda soltanto la possibilità di ottenere lo status di rifugiato, e non di protezione sussidiaria (68). Pertanto, tali persone, al pari degli altri richiedenti asilo, possono presentare domanda di riconoscimento dello status di protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 18 di tale direttiva, e non ne sono escluse.

104. Le condizioni che una persona deve soddisfare per poter beneficiare della protezione sussidiaria sono disciplinate nel capo II e nel capo V della direttiva 2011/95. In sostanza, occorre dimostrare che la persona interessata è esposta a un rischio effettivo di danno grave. La nozione di «danno grave» è definita all’articolo 15 della direttiva in parola e consiste nella «pena di morte o [nel]l’essere giustiziato» [articolo 15, lettera a)], nella «tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante (…) nel suo paese di origine» [articolo 15, lettera b)] o in una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona [del richiedente] derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» [articolo 15, lettera c)].

105. Alla luce di tali elementi, mi sembra evidente che il livello di danno al quale sarebbe esposto un apolide di origine palestinese se ritornasse nella zona interessata in cui opera l’UNRWA, possa ben raggiungere la soglia dei «danni gravi» elencati all’articolo 15 della direttiva 2011/95, ad esempio in quanto equivalente a «tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante» [articolo 15, lettera b)], e, al tempo stesso, essere sufficientemente grave da consentire di concludere che la protezione o assistenza dell’UNRWA nei suoi confronti sia «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva. Entrambi i regimi [per il riconoscimento dello status di «rifugiato» in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), o dello status di «protezione sussidiaria» in applicazione dell’articolo 15, lettera b)], ammettono, in sostanza, la presa in considerazione di un livello analogo di danno, vale a dire un «trattamento inumano o degradante» incompatibile con l’articolo 4 della Carta.

106. Inoltre, per quanto concerne l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, la Corte ha precisato, nella sua sentenza nella causa Elgafaji (69), che, sebbene l’esistenza di un rischio legato alla situazione generale in un paese non sia sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria sono soddisfatte in capo a una determinata persona, vi sono alcune eccezioni. Infatti, in determinate situazioni, il grado di violenza indiscriminata che caratterizza un conflitto armato può raggiungere un livello così elevato da esimere un richiedente protezione internazionale dalla necessità di fornire la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. A tal riguardo, la Corte ha impiegato, in sostanza, la stessa logica che ho esposto nella sezione precedente. Tanto più il richiedente è in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria. Di conseguenza, è possibile fare ricorso a entrambi i regimi (per il riconoscimento dello status di «rifugiato» in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, o dello status di «protezione sussidiaria» in applicazione dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva) al fine di proteggere apolidi di origine palestinese esposti a violenza indiscriminata.

107. Tuttavia, nonostante tali analogie, i due status sono mutualmente esclusivi. Non soltanto una persona non può beneficiare simultaneamente di entrambi gli status, ma, inoltre, essi devono sempre essere concessi indipendentemente l’uno dall’altro. Ne consegue che, al fine di stabilire se una persona sia ammessa ipso facto a beneficiare dello status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, non è necessario che le autorità nazionali competenti esaminino la questione se l’interessato soddisfi le condizioni per beneficiare della «protezione sussidiaria».

108. Di converso, una persona che non soddisfi le condizioni affinché la protezione dell’UNRWA possa considerarsi «cess[ata]», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95, ad esempio in quanto il rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti al quale sarebbe esposta se ritornasse nella zona operativa dell’UNRWA non è legato alla missione di tale agenzia (70), può sempre chiedere e ottenere, se le condizioni sono soddisfatte, lo status di «protezione sussidiaria».

109. Inoltre, se una persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria fosse tenuta a ritornare nella zona operativa dell’UNRWA e ad essere esposta a «condizioni di vita indegne» o a una «estrema deprivazione materiale» è chiaro che il principio di non respingimento sancito all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta sarebbe violato. Ricordo che l’applicazione di tale principio non è limitata ai beneficiari dello status di rifugiato (71). Di conseguenza, il principio di non respingimento si applica – e deve essere rispettato – indipendentemente dallo status specifico (status di rifugiato o status di protezione sussidiaria) di cui l’interessato può beneficiare.

V.      Conclusione

110. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dall’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, interpretato in combinato disposto con l’articolo 40, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale,

deve essere interpretato nel senso che la circostanza che determinati elementi addotti da un apolide di origine palestinese ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 siano già stati analizzati dalle autorità nazionali competenti nel corso della procedura relativa a una precedente domanda dell’interessato, basata su altre disposizioni di tale direttiva, non esime dette autorità dall’obbligo di esaminarli nuovamente, in sede di esame della questione se la protezione o l’assistenza sia «cess[ata]» ai sensi di tale disposizione.

2)      L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95

deve essere interpretato nel senso che non si può escludere che la zona operativa dell’UNRWA, o una parte di essa, sia caratterizzata da carenze sistemiche di gravità tale da determinare un rischio grave che qualsiasi persona rinviata in detta zona si troverebbe in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consentirebbe di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudicherebbe la sua salute fisica o psichica o che la porrebbe in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana e, quindi, con l’articolo 4 della Carta. In una situazione del genere, al fine di dimostrare che la protezione o assistenza dell’UNRWA è «cess[ata]» ai sensi di tale disposizione, l’interessato non è tenuto a provare che le condizioni generali di vita esistenti in tale zona o in una parte di essa siano per esso indegne, in modo individualizzato, poiché le condizioni generali di vita possono essere considerate «indegne» praticamente per chiunque. Tuttavia, il diritto allo status di rifugiato non è incondizionato neppure in tale situazione. L’interessato è tenuto a presentare domanda di protezione internazionale. Inoltre, resta necessaria una valutazione individuale al fine di verificare, in particolare, che non trovi applicazione una delle esclusioni di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), paragrafo 2 e paragrafo 3, di tale direttiva. La circostanza che l’interessato possa beneficiare della «protezione sussidiaria» ai sensi dell’articolo 2, lettera g), della direttiva in parola è irrilevante ai fini di detta valutazione.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      V. risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 302 (IV) dell’8 dicembre 1949. Ai sensi delle Consolidated Eligibility and Registration Instructions (CERI) [Versione consolidata delle istruzioni per la candidatura e la registrazione (CERI)] dell’UNRWA (disponibili all’indirizzo: https://www.unrwa.org/sites/default/files/2010011995652.pdf), possono beneficiare della protezione o dell’assistenza dell’UNRWA tutte le persone che soddisfano i «Palestine Refugee criteria» (Criteri di definizione dei rifugiati palestinesi) di tale agenzia (vale a dire le persone che hanno risieduto abitualmente in Palestina nel periodo compreso tra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948 e che, in seguito al conflitto del 1948, hanno perso alloggio e mezzi di sussistenza, nonché i loro discendenti, compresi i figli legalmente adottati, in linea maschile) e talune altre categorie di persone denominate «Other Registered Persons» (Altre persone registrate). Tale documento indica che «[t]utte le domande di registrazione presso l’UNRWA sono esaminate in modo approfondito dal personale incaricato dell’esame delle candidature e delle registrazioni, e le decisioni sulle candidature ai servizi dell’UNRWA sono adottate caso per caso».


3      V. risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 77/123 del 12 dicembre 2022.


4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


5      Oltre al numero allarmante di decessi nella popolazione civile a partire dal 7 ottobre 2023, sono state segnalate numerose vittime tra i membri del personale dell’UNRWA che operavano in tale zona. Il 27 ottobre 2023 António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato che «[i]l sistema umanitario a Gaza è a rischio di collasso totale, con conseguenze inimmaginabili per oltre 2 milioni di civili» [v. Statement by the Secretary-General - on the humanitarian situation in Gaza (Dichiarazione del Segretario generale sulla situazione umanitaria a Gaza), disponibile sul sito internet delle Nazioni Unite)]. Il 30 ottobre 2023, Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’UNRWA, si è rivolto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, dichiarando che «[i]l sistema istituito per permettere l’arrivo di aiuti a Gaza è destinato a fallire, salvo che vi sia una volontà politica di rendere significativo il flusso di approvvigionamenti, per far fronte a esigenze umanitarie senza precedenti» (https://www.unrwa.org/newsroom/official-statements/un-security-council-emergency-briefing-situation-middle-east). Il 7 dicembre 2023, il sig. Lazzarini ha scritto a Dennis Francis, presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che «la capacità dell’UNRWA di svolgere il mandato conferitole dall’Assemblea Generale a Gaza era fortemente limitata, con conseguenze immediate e disastrose per la risposta umanitaria delle Nazione Uniti e per le vite dei civili a Gaza» e che la situazione umanitaria in tale zona era «insostenibile» (https://www.unrwa.org/resources/un-unrwa/letter-unrwa-commissioner-general-philippe-lazzarini-un-general-assembly). Il 29 dicembre 2023, ha aggiunto che «l’invio di aiuti urgenti e assolutamente necessari continua a essere limitato nelle quantità e ostacolato da impedimenti logistici» (https://www.unrwa.org/newsroom/official-statements/gaza-strip-unrwa-calls-unimpeded-and-safe-access-deliver-much-needed). Gli eventi verificatisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023 hanno anche indotto l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare delle risoluzioni. Il contenuto di tali risoluzioni è illustrato in dettaglio infra, ai paragrafi da 9 a 11.


6      Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (United Nations Treaty Series, vol. 189, n. 2545, 1954, pag. 150), entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata e modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»).


7      A/RES/ES-10/21, disponibile al seguente indirizzo: https://digitallibrary.un.org/record/4025940?ln=en.


8      S/RES/2712 (2023), disponibile al seguente indirizzo: http://unscr.com/en/resolutions/doc/2712.


9      A/RES/ES-10/22, disponibile al seguente indirizzo: https://digitallibrary.un.org/record/4031196?ln=en.


10      S/RES/2720(2023), disponibile al seguente indirizzo: https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N23/424/87/PDF/N2342487.pdf?OpenElement.


11      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).


12      Sentenza del 17 febbraio 2009 (C‑465/07, EU:C:2009:94).


13      GU 2019, C 390, pag. 108.


14      Disponibile al seguente indirizzo: https://www.refworld.org/docid/6239805f4.html.


15      Sentenza del 19 marzo 2019 (C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 92).


16      V. sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo) (C‑238/19, EU:C:2020:945, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


17      C‑294/22, EU:C:2023:388, paragrafi da 19 a 21. V. anche sentenza del 5 ottobre 2023, SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:733, punti 30 e 31).


18      Pertanto, la clausola di esclusione non riguarda le persone che hanno o avevano i requisiti per beneficiare della protezione o dell’assistenza di tale agenzia, ma che non siano effettivamente ricorse a detta protezione o assistenza (v. sentenza del 17 giugno 2010, Bolbol, C‑31/09, EU:C:2010:351, punto 51).


19      V. sentenza del 19 dicembre 2012, Abed El Karem El Kott e a. (C‑364/11, EU:C:2012:826, punto 71; in prosieguo: la «sentenza Abed El Karem El Kott e a.»).


20      V., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).


21      V. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston (C‑31/09, EU:C:2010:119, paragrafi 41 e 43).


22      V. UNHCR, Linee guida in materia di protezione internazionale Nr. 13, punto 2. A mio modo di vedere, è proprio perché gli apolidi di origine palestinese sono già riconosciuti come rifugiati dalla comunità internazionale che essi possono, in determinate circostanze, essere ammessi ipso facto a beneficiare dello status di rifugiati ai sensi della convenzione di Ginevra (e della direttiva 2011/95), vale a dire, senza dover soddisfare i requisiti generali per il riconoscimento di tale status.


23      V. anche sentenza Abed El Karem El Kott e a., punto 62. Ad oggi, non è stata ancora trovata una soluzione a tal riguardo.


24      V., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2023, SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:733, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


25      Inoltre, ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 4, di tale direttiva, gli Stati membri possono stabilire che una domanda reiterata sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere l’«elemento nuovo», nel procedimento precedente.


26      V. sentenza del 10 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Elementi o risultanze nuovi) (C‑921/19, EU:C:2021:478, punto 50) e le mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (C‑216/22, EU:C:2023:646, paragrafo 34).


27      In riferimento ai due tipi di situazioni rientranti nell’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, v. sentenze del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 98) e del 9 settembre 2021, Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Domanda reiterata di protezione internazionale) (C‑18/20, EU:C:2021:710, punto 23).


28      A tal riguardo, il governo bulgaro richiama la sentenza del 10 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Elementi o risultanze nuovi) (C‑921/19, EU:C:2021:478, punto 50).


29      Ai sensi di tale disposizione, le domande reiterate possono essere dichiarate inammissibili soltanto qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95. L’articolo 40, paragrafo 3, della direttiva chiarisce altresì che l’«elemento nuovo» deve «aumenta[re] in modo significativo la probabilità» che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale.


30      Verosimilmente, la questione se un «elemento nuovo» «aument[i] in modo significativo la probabilità» che il richiedente possa beneficiare di protezione internazionale non può essere analizzata separatamente rispetto ad altri elementi del fascicolo, sicché le autorità potrebbero, in ogni caso, dover tener conto anche di altri elementi nella fase dell’ammissibilità.


31      V. articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2013/32.


32      Se un elemento di fatto è stato ritenuto non pertinente nel corso della procedura di asilo precedente, le autorità nazionali competenti potrebbero averlo ignorato senza esaminare se fosse suffragato da elementi di prova sufficienti. L’accuratezza di tale elemento, pertanto, potrebbe dover essere riesaminata.


33      La nozione di «atti di persecuzione» è definita all’articolo 9 della direttiva 2011/95.


34      Sentenza del 5 ottobre 2023, SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:733, punti 34 e 36 e giurisprudenza ivi citata). Come precisato dalla Corte, una mera assenza dalla zona operativa dell’UNRWA, senza alcun indizio che la persona interessata sia stata costretta ad abbandonarla, o la volontaria decisione di lasciare detta zona non può essere qualificata come cessazione della protezione o assistenza.


35      A tal riguardo, aggiungo che, come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:388, paragrafo 40), i termini «grave insicurezza» si riferiscono all’autenticità del rischio che le pertinenti minacce allo stato personale di sicurezza si concretizzino e che lo stato personale di sicurezza della persona sia pregiudicato qualora rimanga nella zona operativa dell’UNRWA. Per qualificarsi come minacce alla «sicurezza personale», dette minacce devono essere sufficientemente gravi (in altri termini, esse devono far presentire un danno grave).


36      V. sentenza del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 82 e giurisprudenza ivi citata). V. anche sentenza del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑507/19, EU:C:2021:3, punti 44 e 54, nonché giurisprudenza ivi citata).


37      V. sentenza del 3 marzo 2022 (C‑349/20, EU:C:2022:151, punti 56 e 57). Tale sentenza riguardava l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12), che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/95. Tuttavia, la disposizione in questione è la stessa di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva.


38      Ibidem, punto 58.


39      V. articolo 2, lettere a), e), e g), della direttiva 2011/95.


40      Convenzione europea sulla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950. In conformità con l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, pertanto, il significato e la portata dell’articolo 4 della Carta sono uguali a quelli di cui all’articolo 3 della CEDU.


41      V., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 87 e giurisprudenza ivi citata). Ricordo che il rispetto della dignità umana è oggetto dell’articolo 1 della Carta. Come precisato dall’avvocato generale Trstenjak, «[i]n base all’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali, infatti, la dignità umana non deve essere solo “rispettata”, ma anche “tutelata”. Una siffatta funzione positiva di tutela è immanente anche all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali» (v. conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nelle cause riunite NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:610, paragrafo 112).


42      Secondo una giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU (che è equivalente all’articolo 4 della Carta), i maltrattamenti devono raggiungere una soglia minima di gravità (v., in particolare, Corte EDU, 1º giugno 2010, Gäfgen c. Germania, CE:ECHR:2010:0601JUD002297805, § 88 e giurisprudenza ivi citata).


43      L’articolo 19, paragrafo 2, della Carta si basa sullo stesso livello di danno di cui all’articolo 4. Per quanto qui interessa, rilevo che, nella terza questione, il giudice del rinvio menziona il principio di non respingimento, facendo espresso riferimento non soltanto all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, ma anche all’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95. La Commissione sostiene che questa disposizione non trova applicazione allorché le autorità nazionali competenti esaminano la questione se le condizioni previste all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva in parola siano soddisfatte, poiché essa si inserisce nel capo VII della direttiva 2011/95 e si applica soltanto alle disposizioni di detto capo, mentre l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), si inserisce nel capo III di detto strumento. Tuttavia, a mio avviso è chiaro che l’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 non è che un’espressione concreta di tale ampio principio, che deve essere rispettato dagli Stati membri ogniqualvolta essi applichino lo strumento in parola.


44      Qualunque sia la causa dell’omissione dell’UNRWA.


45      V., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2023, SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:733, punto 45).


46      V., a tal riguardo, sentenza del 17 febbraio 2009 (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 43). V. anche sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale») (C‑901/19, EU:C:2021:472, punti 27 e 28) e, da ultimo, sentenza del 9 novembre 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di «danno grave») (C‑125/22, EU:C:2023:843, punti 40 e 41).


47      Sentenza del 19 marzo 2019 (C‑163/17, EU:C:2019:218). Tale sentenza verteva sulla questione se l’articolo 4 della Carta potesse ostare al trasferimento di un richiedente verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale a causa di asserite carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza in tale Stato membro. Sulla stessa questione, v. anche sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 81 e da 86 a 94).


48      V. sentenza del 19 marzo 2019, Jawo (C-163/17, EU:C:2019:218, punto 85).


49      Ibidem, punto 91.


50      Ibidem, punti 92 e 93.


51      V., per analogia, sentenza del 9 novembre 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di «danno grave») (C‑125/22, EU:C:2023:843, punto 41 e giurisprudenza ivi citata)


52      V., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. E a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 73.


53      V., in particolare, Corte EDU, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito (CE:ECHR:1978:0425JUD000585672, § 30).


54      V. Corte EDU, 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD00292171), § 99. A tal riguardo, la Corte EDU ha ricordato che i minori hanno bisogni specifici legati, in particolare, alla loro età e mancanza di indipendenza, ma anche al loro status di richiedenti asilo.


55      V. articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, che qualifica i minori come «persone vulnerabili» (unitamente, fra l’altro, ai disabili, agli anziani e alle donne in stato di gravidanza). La Commissione ritiene che tale disposizione non trovi applicazione in una situazione come quella di cui al procedimento principale. Infatti, essa sottolinea che l’articolo 20, paragrafo 3, si inserisce nel capo VII della direttiva 2011/95. Il capo in questione, intitolato «Contenuto della protezione internazionale» [del quale non fa parte l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a)], concerne le garanzie che gli Stati membri devono predisporre dopo che una persona abbia ottenuto lo status di rifugiato, e non prima. Tuttavia, a mio avviso, ciò non significa che tale disposizione non possa essere invocata come rappresentativa del fatto che i minori sono generalmente riconosciuti come un gruppo particolarmente vulnerabile di richiedenti asilo.


56      V., a tal riguardo, articolo 21 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).


57      Aggiungo che, ai sensi del considerando 18 della direttiva 2011/95 «[n]ell’applicare [tale] direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’“interesse superiore del minore”» e «[n]el valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo». Il considerando in questione rispecchia il contenuto dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, che deve essere rispettato in tutti gli atti relativi ai minori.


58      La Corte ha riconosciuto, in sostanza, che una situazione non qualificabile come di estrema deprivazione materiale per chiunque può, ciò nonostante, essere considerata tale per un richiedente in grado di dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare e che ne testimoniano la particolare vulnerabilità (v., a tal riguardo, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 95). V. anche sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a, C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 73, che riguardava una richiedente asilo affetta da un disturbo psichiatrico particolarmente grave, vale a dire depressione post partum e tendenze suicide periodiche. A tal riguardo, ricordo altresì che la Corte EDU ha statuito, a proposito dell’articolo 3 della CEDU, che la questione se i maltrattamenti subiti, o che la persona corre il rischio di subire, raggiungano il livello di gravità richiesto dipende «dall’insieme delle circostanze del caso, come la durata dei maltrattamenti e i loro effetti fisici o mentali nonché, in taluni casi, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima» (v. Corte EDU, 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera, CE:ECHR:2014:1104JUD002921712, § 118).


59      V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Jawo (C‑163/17, EU:C:2018:613, paragrafo 86).


60      V. sentenza del 5 ottobre 2023, SW (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑294/22, EU:C:2023:733, punti 46 e 48, nonché il dispositivo).


61      V. punto 64 di tale sentenza.


62      Direttiva del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (GU 2001, L 212, pag. 12).


63      V. decisione di esecuzione (UE) 2022/382 del Consiglio, del 4 marzo 2022, che accerta l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2001/55 e che ha come effetto l’introduzione di una protezione temporanea (GU 2022, L 71, pag. 1).


64      V., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 86 e giurisprudenza ivi citata.


65      V. anche sentenza Abed El Karem El Kott e a., punto 75.


66      Ad esempio, il permesso di soggiorno può avere una durata inferiore (v. articolo 24 della direttiva 2011/95). Gli Stati membri possono inoltre limitare l’accesso all’assistenza sociale (v. articolo 29 di tale direttiva).


67      C‑294/22, EU:C:2023:388, punto 29.


68      V. sentenza Abed El Karem El Kott e a., punto 68.


69      V. sentenza del 17 febbraio 2009 (C‑465/07, EU:C:2009:94, punti 36, 37 e 39).


70      Come ho spiegato al precedente paragrafo 62, il secondo requisito necessario ai fini dell’applicazione della clausola di inclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 prevede che l’UNRWA versi nell’impossibilità di assicurare alla persona interessata, nella sua zona operativa, condizioni di vita conformi alla missione ad essa affidata. La missione dell’UNRWA consiste nell’assicurare condizioni di vita «dignitose», soddisfacendo i bisogni essenziali delle persone che beneficiano della sua protezione. Per citare un esempio semplice, nel caso in cui una persona rischi la pena di morte per aver commesso un reato, a causa delle leggi in vigore nell’area operativa dell’UNRWA, tale danno non sarebbe legato alla missione dell’UNRWA, ma potrebbe comunque legittimare la persona interessata a beneficiare della «protezione sussidiaria» ai sensi dell’articolo 15, lettera a), di tale direttiva.


71      Ciò poiché esso esige che «[n]essuno [sia] allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti» (il corsivo è mio).