Language of document : ECLI:EU:C:2010:608

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 14 ottobre 2010 (1)

Causa C‑208/09

Ilonka Sayn-Wittgenstein

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Austria)]

«Cittadinanza europea – Diritto di circolare e soggiornare negli Stati membri – Rifiuto da parte di uno Stato membro che ha abolito la nobiltà di registrare uno dei propri cittadini con un cognome, acquisito in un altro Stato membro, contenente un titolo nobiliare»





1.        Dopo la prima guerra mondiale, sia l’Austria sia la Germania sono diventate repubbliche ed hanno abolito la nobiltà e tutti i privilegi e titoli ad essa connessi. Da allora, per i cittadini austriaci è illegittimo, sotto il profilo del diritto costituzionale, utilizzare qualsiasi titolo nobiliare; un divieto che si estende all’uso di particelle come «von» o «zu» come parti di un cognome. In Germania, tuttavia, è stato adottato un approccio diverso: i titoli nobiliari esistenti, pur non potendo più essere utilizzati in quanto tali, sono diventati parte del cognome di famiglia, trasmesso a tutti i figli, soggetto solo a cambiamenti imposti dal sesso del figlio qualora un elemento presenti forma sia maschile sia femminile – ad esempio Fürst (principe) e Fürstin (principessa).

2.        La presente causa concerne una cittadina austriaca adottata, in età adulta, in Germania, da un cittadino tedesco (2) il cui cognome conteneva un ex titolo nobiliare del genere. Quello stesso cognome, nell’equivalente femminile, veniva quindi iscritto per lei nei registri di stato civile (3) in Austria. Il ricorso da lei intentato circa 15 anni più tardi contro una decisione amministrativa che correggeva tale iscrizione rimuovendo gli elementi del cognome indicanti lo stato nobiliare è ora pendente dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte suprema amministrativa austriaca). Tale giudice, tenendo conto della sentenza nella causa Grunkin e Paul (4), desidera sapere se la legislazione austriaca sia compatibile con l’art. 18 CE (ora art. 21 TFUE) sulla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione. Anche altre disposizioni del Trattato possono essere rilevanti.

 Contesto normativo

 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (5)

3.        L’art. 8 della convenzione dispone quanto segue:

«1.      Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2.      Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

4.        In una serie di pronunce, ed in particolare nelle sentenze Burghartz e Stjerna (6), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che, benché l’art. 8 della Convenzione non si riferisca espressamente ai nomi, il nome di una persona fisica riguarda la sua vita privata e familiare poiché costituisce un mezzo di identificazione personale ed un vincolo con una determinata famiglia. Essa ha inoltre sottolineato l’importanza delle considerazioni sulla lingua nazionale nell’ambito dei nomi di persona, e ha accettato che l’imposizione di regole linguistiche risultanti dalla politica dello Stato possa essere giustificata (7).

 Normativa dell’Unione europea

5.        Il primo comma dell’art. 12 CE (ora primo comma dell’art. 18 TFUE) dispone quanto segue:

«Nel campo di applicazione del presente trattato [(...) dei trattati (8)], e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

6.        L’art. 17 CE (ora art. 20 TFUE) dispone quanto segue:

«1.      È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della [si aggiunge alla] cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.

2.      I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato [(...) godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l’altro:

(a)       il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;

(...)]».

7.        Ai sensi dell’art. 18, n. 1, CE CE (ora art. 21, n. 1, TFUE):

«Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato [(...) dai trattati] e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso [(...) ai fini della loro applicazione]».

8.        Gli artt. 43 CE (ora art. 49 TFUE) e 49 CE (ora art. 56 TFUE) vietano, rispettivamente, «le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro» e «le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità [dell’Unione] (...) sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità [uno Stato membro] che non sia quello del destinatario della prestazione».

9.        L’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (9) dispone quanto segue:

«Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni».

10.      La nota esplicativa a tale articolo (10) precisa che i diritti garantiti corrispondono a quelli di cui all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e che le limitazioni che vi possono legittimamente essere apportate sono quelle autorizzate ai sensi dell’articolo 8, n. 2, di tale convenzione.

11.      La Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi su questioni concernenti situazioni di diversità tra cognomi assegnati alla stessa persona in registri di stato civile di Stati membri diversi nelle sentenze Konstantinidis (11), García Avello (12) e Grunkin e Paul. (13) Gli aspetti salienti di tale giurisprudenza possono essere sintetizzati come segue (14).

12.      Allo stato attuale, le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrano nella competenza degli Stati membri. Nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri devono tuttavia rispettare il diritto dell’Unione europea (in prosieguo: il «diritto dell’Unione»), a meno che non si tratti di una situazione interna, che non ha alcun collegamento con esso. Un collegamento esiste qualora cittadini di uno Stato membro soggiornino legalmente in un altro Stato membro. In tali circostanze, in linea di principio, essi possono invocare, nei confronti dello Stato membro di cui sono cittadini, i diritti ad essi conferiti dal Trattato, come il diritto di non subire una discriminazione basata loro cittadinanza, il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e la libertà di stabilimento.

13.      Una situazione di diversità di cognomi può generare seri inconvenienti di ordine tanto professionale, quanto privato. Possono sorgere difficoltà nel fruire, in uno Stato membro, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cognome riconosciuto in un altro Stato membro. Numerose azioni della vita quotidiana, sia nel settore pubblico sia in quello privato, richiedono la prova dell’identità, spesso fornita dal passaporto. Se nel passaporto rilasciato dallo Stato membro di cui si ha la cittadinanza figura un nome diverso da quello che compare in un certificato di nascita rilasciato in un altro Stato membro, se il cognome utilizzato in una situazione concreta non corrisponde a quello che figura nel documento presentato come prova dell’identità di una persona, o se il cognome che figura in due documenti presentati congiuntamente non è lo stesso, possono sorgere dubbi in merito all’identità di tale persona, all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti e possono sorgere sospetti di falsa dichiarazione.

14.      Un ostacolo alla libera circolazione, risultante da tali seri inconvenienti, può essere giustificato solo se è basato su considerazioni oggettive e se è commisurato allo scopo legittimamente perseguito. Considerazioni di praticità amministrativa non sono sufficienti a tale scopo. Tuttavia, possono esserlo specifiche ragioni di ordine pubblico.

 Il diritto austriaco

15.      Nel 1919, la legge relativa all’abolizione della nobiltà (15), avente rango costituzionale ai sensi dell’art. 149, n. 1, della costituzione federale austriaca (16), ha abolito la nobiltà, gli ordini secolari di cavalieri e taluni altri titoli e onorificenze ed ha vietato l’uso delle designazioni corrispondenti. Ai sensi dell’art. 1 delle disposizioni di attuazione, adottate dai ministri competenti (17), l’abolizione concerne tutti i cittadini austriaci, indipendentemente dal luogo in cui i privilegi di cui trattasi siano stati acquisiti. L’art. 2 stabilisce che il divieto si riferisce, tra l’altro, al diritto all’uso della particella «von» come parte del nome e al diritto all’uso di qualsiasi designazione di rango nobiliare, come «Ritter» (cavaliere) «Freiherr» (barone), «Graf» (conte). Fürst (principe) «Herzog» (duca), o di altre designazioni di stato corrispondenti, austriache o straniere. Ai sensi dell’art. 5, per la trasgressione del divieto possono essere comminate diverse sanzioni.

16.      Secondo informazioni fornite dal governo austriaco, tale divieto è stato applicato dai giudici con alcuni adeguamenti nel caso di persone con un cognome tedesco che include un ex titolo nobiliare tedesco. Qualora un cittadino tedesco portasse un siffatto cognome e avesse acquisito cittadinanza austriaca, tale nome non poteva essere reinterpretato come comprendente un titolo nobiliare e non poteva essere cambiato. Inoltre, una donna austriaca, che aveva acquisito un cognome del genere in virtù del suo matrimonio con un cittadino tedesco, poteva acquisire il nome in tutti i suoi elementi; tuttavia, ella deve portare esattamente lo stesso cognome del marito e non l’equivalente femminile di tale nome (18).

17.      Ai sensi dell’art. 9, n. 1, della legge federale sul diritto internazionale privato (19), lo status personale delle persone fisiche è determinato dalla legge dello Stato di cui hanno la cittadinanza. Ai sensi dell’art. 13, n. 1, l’uso del nome è regolamentato secondo il loro status personale, indipendentemente dalla base sulla quale si fonda l’acquisizione del nome. L’art. 26 stabilisce che le condizioni che disciplinano l’adozione sono regolamentate in base allo status personale di ciascun adottante e del figlio, mentre gli «effetti» sono disciplinati, ove vi sia un unico adottante, dallo status personale di quest’ultimo.

18.      Secondo quanto risulta dalle osservazioni del governo austriaco nella causa in esame e dalla dottrina ivi citata, gli «effetti» così disciplinati si estendono solo a quelli relativi al diritto di famiglia e non alla determinazione del nome dell’adottato (che resta disciplinato dall’art. 13, n. 1). Tuttavia, secondo una relazione redatta dall’International Commission on Civil Status (Commissione internazionale dello stato civile, in prosieguo: la «CISC») nel marzo 2000 (20), quando l’Austria era membro di tale organizzazione, in risposta alla domanda «Qual è la legge applicabile alla determinazione del nome di un figlio adottato?», l’Austria ha dichiarato: «Il (cambiamento di) nome del figlio adottato è uno degli effetti dell’adozione ed è determinato sulla base della legislazione nazionale dell’adottante o degli adottanti. Qualora gli adottanti siano coniugi di diversa nazionalità, si applica la legge nazionale comune, in assenza della quale è applicabile la legge nazionale comune precedente, qualora sia ancora la legge nazionale di uno dei coniugi. Precedentemente era applicabile le legge della residenza abituale».

19.      Ai sensi dell’art. 183, n. 1, letto in combinato disposto con l’art. 182, n. 2, del codice civile austriaco (21), in caso di adozione da parte di una sola persona, l’adottato acquista il cognome di tale persona, qualora il legame giuridico con il genitore dell’altro sesso sia sciolto.

20.      L’art. 15, n. 1, della legge austriaca sullo status personale (22) impone la rettifica di un’iscrizione, qualora fosse erronea al momento dell’iscrizione.

 Il diritto tedesco

21.      L’art. 109 della costituzione di Weimar (23), tra l’altro, ha abolito tutti i privilegi fondati sulla nascita o sullo status, disponendo che i segni nobiliari restassero validi solo come parte di un cognome. Ai sensi dell’art. 123, n. 1, dell’attuale legge fondamentale (24), tale disposizione resta tuttora applicabile. Sebbene nessuna autorità legislativa sia stata citata alla Corte, è pacifico che, ai sensi del diritto tedesco, un cognome che include un ex titolo nobiliare continua a cambiare in funzione del sesso della persona che porta tale cognome, ove ciò avveniva nel caso dell’ex titolo nobiliare.

22.      Ai sensi dell’art. 10, n. 1, delle disposizioni introduttive al codice civile tedesco (25), i nomi delle persone devono essere determinati in base alla normativa dello Stato di cittadinanza di tali persone. L’art. 22, nn. 1 e 2, della stessa legge stabilisce che l’adozione e i suoi effetti sui rapporti giuridici tra gli interessati nel campo del diritto di famiglia sono disciplinati dalla normativa dello Stato di cittadinanza dell’adottante.

23.      La relazione della CISC precedentemente citata (26) evidenzia che nel 2000, in risposta alla domanda «Qual è la legge applicabile alla determinazione del nome di un figlio adottato?», la Germania ha dichiarato: «Il nome di un figlio adottato dipende dal diritto in vigore nel suo paese di origine». La normativa tedesca in materia di nomi è, pertanto, applicabile qualora un minore straniero sia stato adottato da un tedesco ed abbia quindi acquisito cittadinanza tedesca. Qualora un minore tedesco sia adottato da un cittadino straniero, lo status del nome del minore cambia solo qualora esso abbia perso la nazionalità tedesca al momento dell’adozione» (27).

24.      L’art. 1757, n. 1, del codice civile (28), letto in combinato disposto con l’art. 1767, n. 2, dello stesso codice, stabilisce che i figli adottati, compresi i figli maggiorenni, acquisiscono il cognome dell’adottante come «nome di nascita».

 Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

25.      La ricorrente nella causa principale (in prosieguo: la «ricorrente») è cittadina austriaca, nata Ilonka Kerekes a Vienna nel 1944. Nell’ottobre 1991, il suo cognome era registrato come «Havel, née Kerekes» quando la sua adozione, sulla base di un atto notarile, ai sensi del diritto tedesco, da parte di un cittadino tedesco, Lothar Fürst von Sayn-Wittgenstein, è stata formalizzata con decisione pronunciata dal Kreisgericht (tribunale circondariale) di Worbis, (Germania), in veste di giudice tutelare. Quando ella ha deciso di chiedere alle autorità di Vienna la registrazione della sua nuova identità, tali autorità hanno scritto al Kreisgericht Worbis, nel gennaio 1992, per ottenere precisazioni. Tale giudice ha quindi pronunciato una decisione integrativa, precisando che, all’adozione, il suo cognome di nascita diventava «Fürstin von Sayn-Wittgenstein», l’equivalente femminile del cognome del padre adottivo. In data 27 febbraio 1992, le autorità viennesi hanno quindi rilasciato alla ricorrente un certificato di nascita a nome di Ilonka Fürstin von Sayn-Wittgenstein. È pacifico che l’adozione non ha prodotto effetti sulla sua cittadinanza.

26.      Si è osservato in udienza che la ricorrente è attiva professionalmente nel mercato immobiliare di fascia elevata: in particolare, ella opera con il nome di Ilonka Fürstin von Sayn-Wittgenstein, nel settore di vendita di castelli e case signorili. Risulta che, quantomeno a partire dal momento della sua adozione, ella ha vissuto e svolto la propria attività prevalentemente in Germania (pur svolgendo qualche attività transfrontaliera), ha ottenuto una patente di guida tedesca a nome di Ilonka Fürstin von Sayn-Wittgenstein ed ha registrato una società in Germania utilizzando tale nome. Inoltre, le autorità consolari austriache in Germania hanno rinnovato il suo passaporto austriaco almeno una volta (nel 2001) ed hanno rilasciato due certificati di cittadinanza, tutti a nome di Ilonka Fürstin von Sayn-Wittgenstein.

27.      Il 27 novembre 2003, il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale austriaca) si è pronunciato su una fattispecie in cui ricorrevano circostanze analoghe a quelle della ricorrente. Esso ha affermato che la legge sull’abolizione della nobiltà ostava a che un cittadino austriaco acquisisse, attraverso l’adozione da parte di un cittadino tedesco, un cognome composto da un ex titolo nobiliare (29). Tale sentenza ha inoltre confermato la giurisprudenza precedente, secondo la quale, diversamente dal diritto tedesco, il diritto austriaco non consente che i cognomi siano formati secondo regole diverse per il caso maschile o femminile.

28.      Qualche tempo dopo la pronuncia di tale sentenza, le autorità anagrafiche viennesi hanno ritenuto che l’iscrizione della ricorrente nel registro delle nascite fosse errata. Il 5 aprile 2007, esse hanno notificato alla ricorrente la loro intenzione di rettificare il suo cognome nel registro delle nascite in «Sayn-Wittgenstein». Il 24 agosto 2007, malgrado la sua opposizione, esse hanno confermato tale posizione. A seguito del rigetto del suo ricorso amministrativo, la ricorrente intende ora ottenere dal Verwaltungsgerichtshof il capovolgimento di tale decisione.

29.      Dinanzi a tale giudice, la ricorrente fa valere, in particolare, i propri diritti di libera circolazione e libera prestazione dei servizi, garantiti dai Trattati UE. Ella ritiene che imporre l’uso di cognomi diversi in Stati membri diversi violerebbe tali diritti. Ella sostiene, inoltre, che cambiare il proprio cognome dopo 15 anni costituirebbe un’ingerenza nel suo diritto alla vita privata, sancito dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

30.      L’autorità convenuta sostiene, in particolare, che alla ricorrente non viene richiesto di usare cognomi diversi, ma meramente di eliminare l’elemento del titolo nobiliare «Fürstin von» dal cognome «Sayn-Wittgenstein», che rimane invariato; che, anche qualora ella dovesse subire qualche inconveniente, l’abolizione della nobiltà è un principio costituzionale di importanza primordiale in Austria, tale da giustificare una deroga ad una libertà prevista dal Trattato e che, anche secondo la normativa tedesca, il suo cognome avrebbe dovuto essere determinato in base al diritto austriaco (pertanto, poiché la forma «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» non è ammessa dal diritto austriaco, la sua assegnazione alla ricorrente era errata anche dal punto di vista del diritto tedesco).

31.       Il Verwaltungsgerichtshof, tenendo conto della sentenza di questa Corte nella causa Grunkin e Paul, è del parere che qualsiasi ostacolo alla libera circolazione della ricorrente, che potrebbe derivare dal cambiamento del suo cognome, potrebbe tuttavia essere giustificato, se basato su considerazioni oggettive e commisurate allo scopo legittimamente perseguito dell’abolizione della nobiltà.

32.       Esso chiede pertanto alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se l’art. [21 TFUE] osti ad una normativa in base alla quale le autorità competenti di uno Stato membro possono rifiutare di riconoscere un cognome – in quanto contenente un titolo nobiliare non ammesso in tale Stato (anche sotto il profilo giuridico costituzionale) – che sia stato attribuito in un altro Stato membro ad un figlio adottivo (adulto)».

33.      Sono state presentate osservazioni scritte dalla ricorrente, dai governi tedesco, italiano, lituano, austriaco e slovacco e dalla Commissione. All’udienza del 17 giugno 2010, osservazioni orali sono state formulate per conto della ricorrente, dei governi tedesco, ceco e austriaco e della Commissione.

 Valutazione

34.      Diverse problematiche sollevate dalla questione presentata dal giudice del rinvio possono essere trattate in maniera diretta, sebbene alcune di esse abbiano messo in evidenza punti di vista diversi nelle osservazioni presentate alla Corte. Altre questioni, tuttavia, appaiono più problematiche e potrebbero, in definitiva, richiedere ulteriori accertamenti di fatto o di diritto (nazionale), prima di poter essere risolte in maniera definitiva. Per quanto concerne tali questioni, tenterò di analizzare le norme pertinenti del diritto dell’Unione, applicabili nelle diverse ipotesi possibili.

 Applicabilità del diritto dell’Unione

35.      Con riferimento alla prima questione, non è stato espresso disaccordo nelle osservazioni presentate alla Corte. È pacifico che la ricorrente è cittadina di uno Stato membro, residente e professionalmente attiva in un altro Stato membro. Di conseguenza, la sua situazione non è puramente interna ad alcuno dei due Stati membri ed entrambi sono tenuti ad osservare la normativa dell’Unione nell’esercizio di tale competenza, come hanno fatto con riferimento alla determinazione del suo nome. In tale contesto, la ricorrente può, in linea di principio, far valere, nei confronti delle autorità austriache, i diritti e le libertà a lei conferite dal Trattato in quanto cittadina dell’Unione e operatore economico, cittadina di uno Stato membro che risiede nel territorio di un altro Stato membro e fornisce prestazioni di servizi a soggetti in uno o più altri Stati membri (30).

36.      Ciò implica che, anche qualora il diritto nazionale di uno Stato membro sia l’unica normativa applicabile alla determinazione del nome di uno dei suoi cittadini, esso deve osservare il diritto dell’Unione nell’applicare tale normativa nazionale al fine di cambiare o rettificare un’iscrizione nel registro di stato civile, qualora il cittadino in questione abbia fatto valere tale iscrizione nel contesto dell’esercizio dei propri diritti in quanto cittadino dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri.

 Discriminazione basata sulla cittadinanza

37.      Il giudice del rinvio non chiede chiarimenti sulla questione della discriminazione e ritiene, infatti, che nella fattispecie la questione non si ponga. La Commissione e tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte sono dello stesso parere.

38.      Tuttavia, la ricorrente ravvisa una discriminazione basata sulla cittadinanza, risultante dalle norme austriache in materia di conflitto di leggi (31), nel senso che, qualora un cittadino tedesco adotti un altro cittadino tedesco in Austria, il diritto applicabile a tutti gli aspetti dell’adozione è il diritto tedesco e l’adottato può, pertanto, acquisire un cognome che includa elementi di un ex titolo nobiliare, mentre, qualora l’adottato sia cittadino austriaco, il cognome è determinato in base al diritto austriaco e un cognome di questo genere non può essere acquisito.

39.      Anche a prescindere dal fatto che la ricorrente non si trovava in tale situazione, in quanto adottata in Germania, non posso concordare con tale analisi. Come nella causa Grunkin e Paul, la norma di conflitto austriaca di cui trattasi (32) si riferisce in tutti casi al diritto sostanziale dello Stato di cittadinanza della persona in questione. Né tale norma è in alcun modo in conflitto con la norma equivalente nel diritto tedesco (33), che risulta essere sostanzialmente identica. Tale norma, come ho rilevato nelle mie conclusioni nella causa Grunkin e Paul, fa distinzione tra le persone in base alla loro cittadinanza, ma non le discrimina in base alla cittadinanza. L’obiettivo del divieto di tale discriminazione non è di eliminare le differenze che derivano necessariamente dall’essere cittadino di uno Stato membro piuttosto che di un altro, bensì di impedire ulteriori differenze di trattamento fondate sulla cittadinanza. Nella fattispecie, tutti i cittadini sono trattati conformemente alla legge dello Stato membro di cui hanno la cittadinanza.

 «Seri inconvenienti»

40.      Nel prendere in considerazione se vi sia interferenza con una libertà prevista dal Trattato in casi analoghi, la Corte ha utilizzato come criterio il grado di disagio subito da un soggetto in conseguenza della registrazione ufficiale di nomi divergenti in Stati membri diversi. Nella sentenza Konstantinidis, essa ha ritenuto le regole di trascrizione nei registri di stato civile incompatibili con la garanzia del Trattato relativa al diritto di stabilimento, qualora la loro applicazione crei, per il soggetto il cui nome sia stato trascritto in un alfabeto diverso, «un disagio tale da ledere di fatto il libero esercizio» di tale diritto. È questo il caso se la grafia risultante è tale da modificare la pronuncia del suo nome e tale alterazione lo espone al rischio di uno scambio di persone presso la clientela potenziale. Nelle sentenze García Avello e Grunkin e Paul, la Corte ha sottolineato, più in generale, i seri inconvenienti che rischiano di prodursi in circostanze in cui un cittadino può essere obbligato a giustificare una divergenza tra nomi in documenti ufficiali che lo riguardano e dei quali intende avvalersi.

41.      Diversi Stati membri hanno sostenuto che la ricorrente non subirà tali inconvenienti in conseguenza della rettifica del suo cognome nei registri di stato civile austriaci. Da un lato, non sarà tenuta ad usare cognomi diversi in Stati membri diversi, dal momento che l’iscrizione rettificata nei registri austriaci sarà, da quel momento, autentica in tutte le circostanze. D’altro canto, l’elemento centrale e identificativo del suo cognome – «Sayn-Wittgenstein» – sarà mantenuto, con la conseguenza che non si creerà confusione circa la sua identità, e verrà eliminato solo l’attributo, non identificativo, «Fürstin von».

42.      Per quanto concerne il primo argomento, è vero che i figli di cui alle sentenze García Avello e Grunkin e Paul rischiavano di conservare per tutta la vita cognomi irrevocabilmente iscritti, con forme tra loro in conflitto, nei registri di stato civile di due Stati membri, con ciascuno dei quali essi possedevano una stretta relazione fin dalla nascita. Sembrerebbe, per contro, che il nome della ricorrente nella causa in esame sia iscritto nei registri di stato civile solo in Austria e che solo le autorità austriache possono rilasciare a quest’ultima documenti ufficiali, come passaporti o certificati di cittadinanza, con la conseguenza che qualsiasi modifica all’iscrizione del suo nome in Austria non dovrebbe entrare in conflitto con i registri conservati in un altro Stato membro, né con documenti ufficiali da esso rilasciati.

43.      Potrebbe essere necessario, per il giudice nazionale competente, approfondire maggiormente tale situazione di fatto, prima di giungere ad una conclusione definitiva. Sebbene il governo tedesco abbia dichiarato di non essere a conoscenza di iscrizioni concernenti la ricorrente in registri di stato civile tedeschi, il suo difensore ha dichiarato in udienza di «credere» che ella si fosse sposata e avesse divorziato in Germania. In tal caso, potrebbe sorgere un conflitto tra le forme in cui il suo cognome è registrato in Germania e in Austria, che potrebbe comportare difficoltà qualora, ad esempio, desiderasse risposarsi.

44.      Indipendentemente da tale aspetto, tuttavia, risulta con maggiore certezza che alla ricorrente è stata rilasciata almeno una patente di guida e che ella ha registrato una società in Germania, in entrambi i casi con il nome di Ilonka Fürstin von Sayn-Wittgenstein. È plausibile che abbia dovuto iscriversi presso le autorità locali in qualità di residente non tedesca. È probabile che sia iscritta in Germania nei registri della previdenza sociale per fini di assicurazione malattia e pensionistici. Oltre a tali documenti ufficiali recanti il suo nome, nel corso dei 15 anni intercorsi tra la prima iscrizione del suo cognome come «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» in Austria e la decisione di rettificarlo in «Sayn-Wittgenstein», ha senza dubbio aperto conti bancari e stipulato contratti in corso di attuazione, come polizze assicurative, in Germania. In breve, ella ha vissuto per un periodo di tempo considerevole in uno Stato membro, utilizzando un determinato nome, che avrà lasciato molte tracce di natura formale sia nella sfera pubblica sia in quella privata. Essere obbligati a rettificare tutte quelle tracce perché ora i suoi documenti di identità ufficiali le attribuiscono un nome diverso, può difficilmente non essere considerato un serio inconveniente. Anche qualora la modifica, una volta effettuata, elimini eventuali discrepanze future, la ricorrente è probabilmente in possesso e dovrà produrre, in futuro, documenti rilasciati o redatti anteriormente alla modifica, indicanti un cognome diverso da quello indicato sui suoi (nuovi) documenti di identità.

45.      Concordo sul fatto che cambiamenti di cognome possono avere luogo in momenti diversi della vita di una persona (in particolare se si tratta di una donna) in conseguenza di matrimoni e divorzi. Nella causa in esame, la ricorrente ha usato, in passato, i cognomi «Kerekes» e «Havel» e può avere subito (e continuare a subire) inconvenienti del genere da me delineato, in conseguenza dei cambiamenti da «Kerekes» a «Havel» e da «Havel» a «Fürstin von Sayn-Wittgenstein». Tuttavia, anche a prescindere dal fatto che matrimonio e divorzio costituiscono solitamente, di per sé, eventi voluti, qualsiasi cambiamento di cognome in conseguenza di un matrimonio è, sotto il profilo giuridico, una questione di libera scelta per le parti interessate nella stragrande maggioranza dei sistemi legislativi dell’Unione Europea (34). La pressione sociale può, è vero, limitare tale libertà di scelta, ma la pressione sociale non rientra nell’ambito del diritto dell’Unione, né di quello nazionale. Una cosa è che un soggetto subisca inconvenienti in conseguenza di una scelta giuridicamente libera (specialmente se tale da comportare un cambiamento di cognome socialmente accettabile, e perfino previsto), e altra cosa è dover subire l’inconveniente per effetto di legge (in particolare, se ciò può essere considerato rettificativo di un’irregolarità commessa dall’interessato).

46.      Un aspetto forse più importante è l’attività professionale della ricorrente. Qualunque abbiano potuto essere le sue motivazioni nel chiedere un’adozione che le avrebbe conferito il cognome «Fürstin von Sayn-Wittgenstein», ritengo molto probabile che il possesso di tale nome, che evoca una stirpe principesca, rappresenti un vantaggio considerevole nella sua attività professionale (ai fini della quale ella ha esercitato la propria libertà di stabilimento e, apparentemente, continua ad esercitare la propria libertà di prestazione di servizi in Stati membri diversi) di intermediaria nella compravendita immobiliare di castelli e case signorili (35).

47.      All’udienza, l’agente per il governo tedesco ha dichiarato che la ricorrente è tenuta ad usare, per fini ufficiali, il nome determinato in base alla normativa del suo Stato di cittadinanza, ma che non sarebbe illegittimo l’uso da parte della stessa del cognome «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» nella vita quotidiana. Anche ammettendo che possa continuare ad usare tale nome per ottenere vantaggi professionali, ritengo, tuttavia, che sia probabile una considerevole differenza tra l’uso del suo nome, quale riconosciuto ufficialmente, e l’uso di ciò che costituirebbe un mero pseudonimo o denominazione commerciale, suscettibile di essere percepito come inganno.

48.      Per quanto concerne il secondo argomento, concernente il grado di disagio, mi lascia perplesso l’approccio adottato da taluni Stati membri, in particolare, in quanto apparentemente fatto valere dal governo tedesco all’udienza (36). Se, ai sensi del diritto tedesco, «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» è un cognome completo che non contiene un titolo nobiliare o una particella simile e se, pertanto, è paragonabile ad un cognome come «Fürstmann» o «Vonwald» (entrambi figurano negli elenchi telefonici tedesco e austriaco), ci si chiede come si possa affermare che una parte dello stesso (Sayn-Wittgenstein) è l’elemento principale, identificativo del nome, mentre l’altra (Fürstin von) è meramente un attributo non identificativo. Se l’elemento «Fürstin von» fosse, in effetti, un autentico titolo nobiliare, non formante parte del cognome, l’analisi sarebbe diversa, ma non è questa la base sulla quale la questione è stata sollevata nel caso di specie.

49.      Mi sembra evidente che, sulla base del fatto che «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» è un unico cognome composto, esso è quindi un cognome diverso da «Sayn-Wittgenstein» (proprio come «Baron-Cohen» è un cognome diverso da «Cohen») e che, da una discrepanza tra i due nomi usati dalla stessa persona, potrebbero derivare confusione e inconvenienti. Inoltre, come rilevato dalla Commissione all’udienza, mentre il nome «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» può essere analizzato in un determinato modo dai germanofoni, coloro che non hanno familiarità con la lingua potrebbero analizzarlo diversamente. Un francofono, ad esempio, potrebbe considerare «Fürstin» nel nome come equivalente di «Giscard» in «Giscard d’Estaing», dove «Giscard» è solitamente considerato l’elemento principale, e un soggetto che abbia familiarità solo con il cinese potrebbe non essere in grado di analizzare affatto il nome, proprio come la maggior parte degli europei non sarebbe in grado di determinare se un nome cinese composto da diversi elementi contenga un componente onorifico e se tale componente costituisca un titolo o un dato nome.

50.      Ritengo, pertanto, che il grado di disagio che potrebbe subire un soggetto nella posizione della ricorrente in seguito alla rettifica del proprio cognome sia paragonabile a quello cui ha fatto riferimento la Corte nelle sue sentenze nelle cause Konstantinidis, García Avello e Grunkin e Paul.

 Analisi delle conseguenze giuridiche del cambiamento di nome

51.      Sebbene le eventuali conseguenze giuridiche risultanti dalla decisione integrativa pronunciata dal Kreisgericht Worbis, in cui il nuovo cognome di nascita della ricorrente viene designato come «Fürstin von Sayn-Wittgenstein», siano questioni disciplinate dal diritto tedesco e/o austriaco e non possano essere risolte da questa Corte, la questione del Verwaltungsgerichtshof non può essere risolta adeguatamente senza fare riferimento a tali conseguenze. È pertanto necessario individuare queste ultime.

52.      I governi tedesco e austriaco, in particolare, hanno sottolineato quella che ritengono essere una differenza sostanziale tra la situazione di cui alla fattispecie e quella di cui alle sentenze nelle cause García Avello e Grunkin e Paul. Tali cause concernevano (così come, in un certo senso, la causa Konstantinidis) il rifiuto di riconoscere, in uno Stato membro, un nome regolarmente iscritto dalle autorità anagrafiche di un altro Stato membro nell’esercizio di una legittima competenza. Nella fattispecie, per contro, risulta che il Kreisgericht Worbis non fosse competente, né in forza del diritto tedesco, né di quello austriaco, a determinare il cognome della ricorrente nel modo in cui ha fatto, dal momento che il cognome da esso designato non era consentito sotto due aspetti (l’inclusione di un ex titolo nobiliare con la particella «von» e l’impiego dell’equivalente femminile) ai sensi del diritto austriaco, che era il diritto sostanziale designato dalle norme sia tedesche sia austriache in materia di conflitto di leggi. Pertanto, l’iscrizione rettificata in Austria non concerne un cognome legittimamente attribuito in un altro Stato membro, ma un cognome erroneamente assegnato da un lato dal Kreisgericht Worbis e, dall’altro, dalle autorità anagrafiche austriache.

53.      Come precedentemente osservato, non spetta a questa Corte cercare di determinare le disposizioni legislative nazionali degli Stati membri. Sottolineo, tuttavia, che la tesi da me appena illustrata, che è quella fatta valere dai governi tedesco e austriaco, non è espressa inequivocabilmente nell’ordinanza di rinvio e che taluni elementi potrebbero indurre a ritenere che non si tratti di una rappresentazione completa ed accurata. Dalla risposta delle autorità austriache al questionario della CISC nel marzo 2000 (37) si evince che, in tale data e a loro parere, il diritto austriaco prevedeva che il nome di un adottato dovesse essere determinato in base alla normativa dello Stato di cittadinanza dell’adottante (fatto che, dal momento che il diritto tedesco sembra avere rinviato al diritto dello Stato di cittadinanza dell’adottato, avrebbe potuto sollevare questioni di rinvio). Inoltre, la giurisprudenza austriaca piuttosto divergente alla quale si è fatto riferimento (38) lascia intendere che, prima del 2003, poteva non essere chiaro se un austriaco adottato da un tedesco potesse acquisire il cognome di quest’ultimo (quantomeno nella forma utilizzata dall’adottante) anche qualora esso contenesse elementi vietati ai sensi del diritto austriaco.

54.      Non intendo azzardare un’opinione su tali questioni, se non per affermare che, per il buon ordine delle cose, appare necessario contemplare tre ipotesi (tutte fondate sulla premessa che entrambi gli insiemi di leggi fanno riferimento al diritto dello Stato di cittadinanza dell’adottato): (i) che il cognome designato nella decisione integrativa del Kreisgericht Worbis sia sempre stato legittimo, sia nel diritto tedesco sia in quello austriaco; (ii) che, seppure considerato legittimo in quel momento, la giurisprudenza successiva lo abbia rivelato non essere tale e (iii) che non sia mai stato legittimo dal punto di vista di alcuno dei due ordinamenti giuridici.

55.       La prima ipotesi concerne una situazione paragonabile a quella di cui alla causa Grunkin e Paul. In detta causa, un cittadino dell’Unione, avente la cittadinanza di un solo Stato membro, era nato e risiedeva dalla nascita in un altro Stato membro, dove il suo cognome era stato determinato e registrato in conformità delle leggi di tale Stato. Nel caso della ricorrente, una cittadina dell’Unione avente la cittadinanza di un solo Stato membro, è stata adottata e risiede da allora in un altro Stato membro, dove il suo cognome è stato determinato in conformità alla legislazione di tale Stato. È vero che la nascita e l’adozione non sono la stessa cosa (anche se l’adozione può astrattamente essere descritta come una rinascita in una nuova famiglia e, anche sul piano strettamente giuridico, dalle due situazioni derivano molti diritti, obblighi e conseguenze identici) e che il cognome della ricorrente non è stato iscritto nei registri di stato civile tedeschi (anche se può essere stato iscritto successivamente in diversi registri più o meno ufficiali). Nondimeno, ritengo che le due situazioni presentino somiglianze sufficienti a fondare la conclusione che, come nella sentenza Grunkin e Paul, l’art. 18 CE osta a che le autorità austriache rifiutino di riconoscere il cognome determinato in Germania in questo caso – a meno che il loro rifiuto sia basato su considerazioni oggettive e sia adeguatamente commisurato allo scopo legittimamente perseguito.

56.      La seconda ipotesi concerne una situazione diversa, nella misura in cui la determinazione del cognome ai sensi del diritto tedesco appariva legittima in quel momento, mentre successivamente si è rivelata illegittima. Ammettendo che la determinazione sia stata effettuata dal giudice tedesco, che il cognome sia stato registrato dalle autorità austriache nella sincera e plausibile convinzione che fosse l’approccio giuridicamente corretto e che la ricorrente abbia richiesto la determinazione e la registrazione in buona fede, ritengo che debba essere adottato lo stesso approccio adottato nella prima ipotesi. Anche se pronunce giurisdizionali successive che hanno chiarito la posizione legale possono legittimamente avere effetto retroattivo (ex tunc), deve essere possibile per un cittadino dell’Unione invocare, in una situazione che rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la tutela del legittimo affidamento, che è un principio fondamentale di tale diritto. Pertanto, anche in questa ipotesi, l’art. 18 CE osta a che le autorità austriache rifiutino di riconoscere il cognome determinato in Germania, a meno che il loro rifiuto sia basato su considerazioni oggettive e sia adeguatamente commisurato allo scopo legittimamente perseguito.

57.      La terza ipotesi, sulla quale i governi tedesco e austriaco concordano, non può essere facilmente analizzata nello stesso modo. In questa ipotesi, la legge era chiara, ma è stata disapplicata due volte (una prima volta da un giudice tedesco e in seguito da ufficiali dello stato civile austriaco) per errore o ignoranza. Non si può, tuttavia, configurare un’ipotesi di legittimo affidamento nel mantenimento di una situazione contraria ad una normativa espressa. Eppure, la situazione illegittima è stata tollerata (dalle autorità austriache ‑ non trattandosi di una questione di competenza delle autorità tedesche) per un periodo di 15 anni, nel corso dei quali è stata addirittura confermata dal rilascio di almeno un passaporto e due certificati di cittadinanza. Al termine di tale periodo, una rettifica del cognome della ricorrente era certamente destinata a causare alla stessa seri inconvenienti. Non si può negare che le autorità competenti devono poter rettificare gli errori rilevati nei registri di stato civile. Tuttavia, considerando il passaggio del tempo e il grado di disagio inevitabilmente causato, devono essere sollevate questioni di proporzionalità. La rettifica (conforme alla legge) costituisce indubbiamente un’ingerenza nella vita privata della ricorrente. Ci si chiede se possa essere giustificata. Qualora la situazione fosse esclusivamente interna, dovrebbe essere considerata alla luce della normativa nazionale, con riferimento all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ma, dal momento che coinvolge una cittadina di uno Stato membro che soggiorna legalmente ed è economicamente attiva in un altro, essa richiede un accertamento che tenga conto anche del diritto dell’Unione.

58.      Ritengo perciò che, qualunque sia l’analisi della situazione giuridica nella causa in esame, sia necessario valutare se la rettifica di cui trattasi sia giustificata dal perseguimento di un legittimo scopo e commisurata al suo raggiungimento.

 Giustificazione

59.      Appare chiaro che l’abolizione della nobiltà, e di tutti i privilegi e designazioni ad essa associati, costituisce uno scopo legittimo per una repubblica di recente costituzione ‑ quale era l’Austria nel 1919 ‑ fondata sull’eguaglianza di tutti i cittadini e nell’atto di emergere con fatica dalle rovine di un impero dominato da classi privilegiate.

60.      Ciò non implica che si tratti di uno scopo necessario, che deve essere perseguito uniformemente in tutti gli Stati membri. Il mantenimento, l’abolizione o perfino l’istituzione di un sistema basato sulla nobiltà, ereditaria o altro, o su altre onorificenze, titoli o privilegi, è una questione di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro, a condizione che non sia in contrasto con il diritto dell’Unione ‑ ad esempio, con i principi e le norme concernenti l’uguaglianza di trattamento ‑ nella sfera di applicazione di quest’ultimo.

61.      Inoltre, ritengo che sia legittimo per tale repubblica desiderare di mantenere un solido sistema di salvaguardia contro qualsivoglia rinascita delle caste privilegiate, la cui abolizione era lo scopo originario, che può legittimamente essere sancito come principio costituzionale.

62.      Né appare sproporzionato, a titolo di regola generale, che tale Stato cerchi di garantire il perseguimento di tale scopo vietando l’acquisizione, il possesso o l’uso, da parte dei propri cittadini, di titoli o status nobiliari, o di designazioni che potrebbero indurre altri a credere che la persona di cui trattasi sia titolare di tale onorificenza.

63.      Un divieto di questo genere, tuttavia, potrebbe essere considerato sproporzionato se si ripercuotesse su nomi che, sebbene atti a riferirsi ad un titolo nobiliare, non traggono, di fatto, origine da esso, né vengono percepiti come tali. Ho già citato i nomi «Fürstmann» e «Vonwald», che possono figurare nell’elenco telefonico austriaco. Sembra, inoltre, che cognomi semplici come «Graf» (il cui significato letterale è «conte») e «Herzog» («duca»), le cui origini non sono probabilmente nobili e che sono percepiti come cognomi semplici, possano essere usati da cittadini austriaci (39). In tal caso, e se lo stesso è vero per l’acquisizione di nomi equiparabili in altre lingue (come «Baron», «Lecomte», «Leprince» o «King»), il divieto non sembrerebbe, a tal proposito, sproporzionato. In tali situazioni, un divieto circoscritto all’acquisizione di cognomi come «Fürst (o Fürstin) von Sayn-Wittgenstein», che derivano chiaramente da titoli di nobiltà autentici e sono atti ad essere percepiti come tali, non sembra andare oltre quanto necessario per garantire il conseguimento dello scopo costituzionale fondamentale.

64.      Ci si chiede se tale giustificazione potrebbe, tuttavia, essere applicabile in situazioni come quelle di cui alle cause García Avello o Grunkin e Paul, in altre parole, quando il cognome è determinato legittimamente ai sensi della normativa di un altro Stato membro,con il quale l’interessato possiede una relazione particolarmente stretta, come la nazionalità, o la nascita e la residenza.

65.      A mio avviso la giustificazione basata, come è il caso, su una norma costituzionale fondamentale ‑ dovrebbe essere accettata come valida in un caso siffatto, con la conseguenza che le autorità austriache potrebbero, in linea di principio, legittimamente rifiutare di iscrivere il cognome in questione nei registri di stato civile o in qualsiasi documento ufficiale e vietarne l’uso in Austria all’interessato.

66.      Tuttavia, a condizione che il cognome resti un cognome legittimo ‑ ed eventualmente anche obbligatorio ‑ in un altro Stato membro con il quale la cittadina austriaca possedeva stretti legami, sarebbe sproporzionato rifiutare di riconoscerne la stessa esistenza in relazione al medesimo soggetto. Pertanto, sarebbe necessario mitigare il provvedimento con qualsiasi mezzo opportuno ad attenuare i seri inconvenienti che, altrimenti, tale soggetto potrebbe subire. Una possibilità potrebbe essere che le autorità austriache rilascino un documento simile al «certificato attestante cognomi diversi» fornito dalla CISC (40), con il quale riconosce che l’interessata, sebbene avente il diritto di portare un determinato nome solo in quanto cittadina austriaca, era cionondimeno legittimamente registrata con un nome diverso in un altro Stato membro.

67.      Le considerazioni che precedono si riferiscono a quella che potrebbe essere definita la situazione «normale», in cui le questioni sono chiare fin dall’inizio. Ad esempio, nella causa García Avello, i cognomi dei figli erano stati registrati, fin dall’inizio, in forme diverse nei registri di stato civile dei due Stati membri (Belgio e Spagna) dei quali essi erano cittadini; nella causa Grunkin e Paul, le autorità tedesche hanno precisato fin dall’inizio che non avrebbero registrato il cognome del figlio nella forma in cui era stato registrato in Danimarca. Nella causa in esame, tuttavia, ritengo che, nel valutare la proporzionalità della decisione di rettificare il cognome della ricorrente, si debba tenere in considerazione anche il periodo di 15 anni nel corso del quale la ricorrente è rimasta ufficialmente registrata in Austria e alla quale sono stati rilasciati documenti di identità con il cognome «Fürstin von Sayn-Wittgenstein».

68.      La decisione definitiva concernente la proporzionalità spetta al giudice nazionale competente ‑ può essere, in effetti, necessario verificare diverse questioni giuridiche e di fatto. Qualora, ad esempio, fosse dimostrato che la posizione giuridica nel 1992 era tale per cui la ricorrente, il giudice tedesco e le autorità austriache potevano legittimamente ritenere che il cognome della ricorrente dovesse essere determinato unicamente in base al diritto tedesco, una rettifica 15 anni dopo potrebbe effettivamente apparire sproporzionata. Qualora, peraltro, dovesse risultare che la ricorrente aveva agito in malafede nel cercare di essere registrata con un cognome al quale sapeva di non avere diritto, o avesse in qualche modo indotto in errore una qualsiasi delle autorità di cui trattasi, la rettifica potrebbe allora sembrare un provvedimento corretto e commisurato. In ogni caso, la lunghezza del periodo in questione e l’uso ufficiale e professionale che la ricorrente ha fatto del cognome «Fürstin von Sayn-Wittgenstein» sono necessariamente fattori che devono essere soppesati.

 L’uso della forma «Fürstin»

69.      Una questione finale, sollevata nel corso della presentazione delle osservazioni alla Corte, ma sulla quale esistono pochi elementi per quanto concerne l’esatta posizione giuridica nei due Stati membri in questione e pochi argomenti circa la giustificazione, è quella della differenza (apparente) tra la normativa tedesca e quella austriaca per quanto concerne la possibilità di differenziazione tra la forma maschile e femminile di un cognome.

70.      Poiché si tratta di una questione che potrebbe avere ripercussioni sui sistemi di denominazione di diversi Stati membri (il governo lituano è intervenuto con forza in difesa del proprio sistema di denominazione differenziato, sancito come valore di rango costituzionale, e la questione dei cognomi differenziati in irlandese è stata sollevata in udienza) e poiché sono stati presentati pochi argomenti su questo punto, ritengo sufficiente che la Corte dichiari che una norma, quale quella che sembra applicarsi in Austria, non può prima facie giustificare un’interferenza nei diritti di libera circolazione e di soggiorno di un cittadino, se non si fonda su un principio costituzionale o su altra considerazione di ordine pubblico.

 Conclusione

71.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che la Corte debba risolvere come segue la questione posta dal Verwaltungsgerichtshof:

Anche qualora la legislazione nazionale di uno Stato membro sia l’unica legislazione applicabile alla determinazione del nome di uno dei suoi cittadini, esso deve osservare la legislazione dell’Unione europea nell’applicare tale normativa nazionale al fine di cambiare o rettificare un’iscrizione in un registro di stato civile, quando il cittadino in questione ha fatto valere tale iscrizione nel contesto dell’esercizio dei propri diritti, in quanto cittadino dell’Unione, di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri.

Una norma che riveste rango costituzionale in uno Stato membro, fondata su considerazioni fondamentali di ordine pubblico, come l’uguaglianza tra cittadini e l’abolizione dei privilegi è, in linea di principio, atta a giustificare un divieto di acquisizione, possesso o uso, da parte dei propri cittadini, di titoli o status nobiliari, o di designazioni che potrebbero indurre altri a credere che la persona di cui trattasi sia titolare di tale onorificenza, anche qualora tale divieto possa causare inconvenienti a tale soggetto nell’esercizio del proprio diritto, di cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, a condizione che venga rispettato il principio di proporzionalità e, in particolare:

a)      che il divieto non si estenda all’acquisizione, al possesso o all’uso di nomi che normalmente non sarebbero interpretati in tal modo e

b)      che lo Stato membro di cui trattasi non rifiuti di riconoscere che un cittadino può legittimamente essere conosciuto in altri Stati membri con un nome diverso, che non sarebbe consentito ai sensi della propria legislazione, e faciliti il compito di tale cittadino nel superare eventuali difficoltà derivanti dalla diversità.

Nell’applicare tale norma per cambiare o rettificare una determinata iscrizione nei registri, gli Stati membri devono, ancora una volta, tenere conto del principio di proporzionalità, che impone loro di tenere conto di fattori come il legittimo affidamento che le azioni delle proprie autorità possono avere suscitato nel cittadino, della durata del periodo durante il quale il cognome può essere stato usato senza contestazione da parte di tali autorità e dell’interesse personale e professionale che il cittadino può avere nel mantenere l’uso di un nome riconosciuto precedentemente.

Ove non si fondi su un principio costituzionale fondamentale o su altra considerazione di ordine pubblico nello Stato membro di cui trattasi, un divieto di acquisizione, possesso o uso di un nome in una forma differenziata a seconda del sesso dell’interessato, non può, in linea di principio, giustificare un cambiamento o una rettifica di un’iscrizione in un registro di stato civile, qualora il cittadino in questione abbia fatto valere tale iscrizione nel contesto dell’esercizio dei propri diritti in quanto cittadino dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – È pacifico che l’adozione non ha prodotto effetti sulla sua cittadinanza austriaca.


3 – Vale a dire, in quello che in italiano è, solitamente, denominato registro anagrafico.


4 – Sentenza 4 ottobre 2008, causa C‑353/06 (Racc. pag. I‑7639).


5 – Firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.


6 – Corte eur. D.U., sentenze 22 febbraio 1994, Burghartz c. Svizzera, Serie A n. 280-B, pag. 28, § 24; 25 novembre 1994, Stjerna c. Finlandia, Serie A n. 299-A, pag. 60, § 37.


7 – Corte eur. D.U., sentenza 11 settembre 2007, Bulgakov c. Ucraina, n. 59894/00, § 43 e giurisprudenza ivi citata.


8 –      Il Trattato CE è citato nella la versione vigente alla data dell’ordinanza di rinvio. Il testo in parentesi quadre evidenzia le modificazioni apportate dal Trattato di Lisbona e inserite nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).


9 – Promulgata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1). Una versione aggiornata è stata approvata dal Parlamento europeo il 29 novembre 2007, dopo la soppressione dei riferimenti alla Costituzione europea (GU C 303, pag. 1); la versione consolidata più recente ‑ post Lisbona ‑ è pubblicata nella GU 2010, C 83, pag. 389.


10 – GU 2007, C 303, pag. 17, pag. 20.


11 – Sentenza 30 marzo 1993, causa C‑168/91 (Racc. pag. I‑1191).


12 – Sentenza 2 ottobre 2003, causa C‑148/02 (Racc. pag. I‑11613).


13 – Cit. alla nota 4 supra.


14 – Tale sintesi è tratta dalla sentenza nella causa Grunkin e Paul, (punti 16‑18, 23‑28, 29, 36 e 38).


15 – Gesetz vom 3. April 1919 über die Aufhebung des Adels, der weltlichen Ritter und Damenorden und gewisser Titel und Würden, (Adelsaufhebungsgesetz).


16 – Bundes-Verfassungsgesetz (B-VG).


17 – Vollzugsanweisung des Staatsamtes für Inneres und Unterricht und des Staatsamtes für Justiz, im Einvernehmen mit den beteiligten Staatsämtern vom 18. April 1919, über die Aufhebung des Adels und gewisser Titel und Würden.


18 – V. paragrafo 1 supra e paragrafi 21 e 27 infra.


19 – Bundesgesetz vom 15. Juni 1978 über das internationale Privatrecht (IPR-Gesetz, in prosieguo: la «legge IPR»).


20 – «Loi applicable à la détermination du nom», disponibile sul sito http://www.ciec1.org/Documentation/LoiApplicablealaDeterminationduNom.pdf.


21 – Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch (ABGB).


22 – Bundesgesetz vom 19. Jänner 1983 über die Regelung der Personenstandsangelegenheiten einschließlich des Matrikenwesens (Personenstandsgesetz – PStG).


23 – Verfassung des Deutschen Reichs vom 11. August 1919 (VDR).


24 – Grundgesetz (GG).


25 – Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuche (EGBGB, in prosieguo: l’«EGBGB»).


26 – V. paragrafo 18 e nota 20 supra.


27 – L’apparente contraddizione tra le prime due frasi sembrerebbe dovuta all’uso fuorviante dell’espressione «paese d’origine» nel senso di «paese di (ultima) cittadinanza», nel presupposto che l’adozione possa comportare, sebbene non sempre, un cambiamento di cittadinanza. La relazione della CISC è disponibile solo in francese, pertanto, non è possibile sapere quali termini siano stati effettivamente utilizzati dalle autorità tedesche nella loro risposta al questionario.


28 – Bürgerliches Gesetzbuch (BGB).


29 – Causa B 557/03. Il cognome di cui trattasi era Prinz von Sachsen-Coburg und Gotha, Herzog zu Sachsen (traducibile in «principe di Sassonia-Coburgo e Gotha, Duca di Sassonia»).


30 – V. paragrafo 12 supra.


31 – V. paragrafo 17 supra.


32 – Articolo 13, n. 1, della legge IPR; v. paragrafo 17 supra.


33 – Art. 10, n. 1, dell’EGBGB; v. paragrafo 22 supra.


34 – V. «Facilitating Life Events, Part I: Country Reports», della relazione finale redatta per la Commissione europea nell’ottobre 2008 da Freyhold, Vial & Partner Consultants, concernente uno studio comparativo sulla normativa degli Stati membri in materia di stato civile, sulle difficoltà pratiche incontrate da cittadini che intendono esercitare i propri diritti nel contesto di uno spazio europeo di giustizia in materia civile e sulle opzioni disponibili per la soluzione di tali problemi e per facilitare la vita delle persone. Secondo tale relazione, le uniche eccezioni alla libertà di una donna sposata di conservare il proprio cognome risultano in Italia, dove essa deve aggiungere il cognome del marito al proprio, e nella comunità turca a Cipro, dove acquisisce il cognome del marito. Inoltre, diversi Stati membri precludono l’uso del cognome dell’ex coniuge dopo il divorzio, salvo dimostrazione di motivi validi.


35 – Sebbene le circostanze nel caso di specie siano piuttosto diverse, rilevo che, in una sentenza frequentemente citata in materia di libera circolazione (sentenza 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus, Racc. pag. I‑1663, pronunciata il giorno successivo alla sentenza nella causa Konstantinidis), la Corte ha posto particolare enfasi sul fatto che il possesso del titolo universitario in questione costituisse un vantaggio sia per accedere ad un’attività, sia per esercitarla con maggior profitto (v. punti 18 e segg. della sentenza).


36 – In una risposta scritta ad un quesito della Corte, il governo tedesco ha dichiarato, tuttavia, che gli elementi «Fürstin von» e «Sayn-Wittgenstein« rivestivano uguale valenza nel cognome considerato nella sua interezza.


37 – V. paragrafo 18 supra.


38 – V. paragrafi 16 e 27 supra.


39 – Stephanie Graf, ad esempio, è un’atleta austriaca (mezzofondista) che ha rappresentato il suo paese sia nei Giochi Olimpici del 2000, sia nei Campionati del mondo di atletica leggera del 2001, mentre Andreas Herzog è un calciatore austriaco che ha giocato nella squadra nazionale tra il 1988 e il 2003.


40 – Convenzione CISC, n. 21, concernente il rilascio di un certificato relativo alla diversità dei cognomi, firmata all’Aia l’8 settembre 1982. L’Austria non è parte di tale convenzione (finora, tra gli Stati membri, è stata ratificata solo da Spagna, Francia, Italia e Paesi Bassi), ma ciò non le impedirebbe di rilasciare un documento di natura analoga, a vantaggio dei propri cittadini interessati.