Language of document : ECLI:EU:C:2008:253

PRESA DI POSIZIONE DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentata il 28 aprile 2008 1(1)

Causa C‑66/08

Procedimento penale

a carico di

Szymon Kozłowski

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Stuttgart (Germania)]

«Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Motivi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo – Reinserimento della persona condannata – Esecuzione della pena sul territorio dello Stato membro di esecuzione – Cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione – Legislazione nazionale che esclude l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo nei confronti di un cittadino che non acconsente alla propria consegna – Nozione di “residenza” nello Stato membro di esecuzione»





1.        Nella presente causa la Corte è chiamata a pronunciarsi per la prima volta sulla portata dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro del Consiglio 2002/584/GAI (2), il quale prevede un motivo di non esecuzione facoltativa di un mandato d’arresto europeo.

2.        In base a tale disposizione, l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione (in prosieguo: l’«autorità giudiziaria dell’esecuzione») può rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà qualora la persona ricercata sia cittadino dello Stato membro di esecuzione, vi dimori o vi risieda, a condizione che tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena.

3.        L’Oberlandesgericht Stuttgart (Corte d’appello di Stoccarda, Germania), in forza della dichiarazione effettuata dalla Repubblica federale di Germania ai sensi dell’art. 35 UE, è legittimato a proporre alla Corte un rinvio pregiudiziale per l’interpretazione di un atto adottato nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (3), come la decisione quadro. Tale giudice chiede in che misura il motivo di non esecuzione indicato nell’art. 4, punto 6, di tale decisione quadro possa applicarsi ad un cittadino polacco, il sig. Kozłowski, che forma l’oggetto di un mandato d’arresto emanato dalla Repubblica polacca per l’esecuzione di una pena detentiva e che è attualmente detenuto in Germania, dove sconta una pena detentiva di tre anni e sei mesi.

4.        Il suddetto giudice chiede, più precisamente, in che misura il sig. Kozłowski si possa considerare come dimorante o residente in Germania, alla luce delle circostanze seguenti: egli non vi ha soggiornato in maniera continua, non vi dimora nel rispetto della normativa nazionale relativa all’ingresso e al soggiorno degli stranieri, vi ha commesso abitualmente dei reati e, infine, è ivi detenuto.

5.        Esso si chiede inoltre quali conseguenze si debbano trarre dal fatto che l’interessato non ha acconsentito all’esecuzione del mandato d’arresto europeo e che, nel diritto interno, un cittadino tedesco che si oppone all’esecuzione di siffatto mandato d’arresto non può essere consegnato contro la sua volontà alle autorità giudiziarie di un altro Stato membro.

6.        L’Oberlandesgericht ha chiesto alla Corte di trattare la presente causa secondo il procedimento pregiudiziale d’urgenza, previsto dall’art. 23 bis dello Statuto della Corte e dall’art. 104 ter del regolamento di procedura della stessa, perché il sig. Kozłowski, soggetto a pena detentiva in Germania sino al 10 novembre 2009, può beneficiare di una rimessa in libertà a partire dal 10 settembre 2008.

7.        La Corte non ha accolto tale domanda perché questa le è pervenuta prima del 1° marzo 2008, data in cui sono entrate in vigore le disposizioni relative al procedimento pregiudiziale d’urgenza. Essa ha peraltro deciso di sottoporre la suddetta domanda ad un procedimento accelerato, previsto dall’art. 104 bis del regolamento di procedura.

8.        Conformemente all’art. 104 bis, quinto comma, del regolamento di procedura, nell’ambito del procedimento accelerato, la Corte decide «sentito l’avvocato generale». Tuttavia, considerata la novità delle questioni poste dal giudice del rinvio e l’importanza che esse hanno per l’ordinamento giuridico della Repubblica federale di Germania, ritengo necessario presentare per iscritto i motivi su cui basano le soluzioni che proporrò alla Corte.

9.        Nella presente presa di posizione, suggerirò alla Corte di dichiarare, in primo luogo, che la legislazione di uno Stato membro la quale prevede che un cittadino di detto Stato non può essere consegnato contro la sua volontà alle autorità giudiziarie di un altro Stato membro in esecuzione di un mandato d’arresto europeo emanato per l’esecuzione di una pena è contraria alla decisione quadro. Di conseguenza, tale legislazione non può impedire l’esecuzione, da parte dell’autorità giudiziaria tedesca competente, del mandato d’arresto europeo emanato dalla Repubblica di Polonia contro il sig. Kozłowski.

10.      In secondo luogo, prenderò in esame i termini «dimori» e «risieda» di cui all’art. 4, punto 6, della decisione quadro. Suggerirò alla Corte di dichiarare che una persona dimora o risiede nello Stato membro di esecuzione, ai sensi di tale disposizione, allorché tale persona vi abbia il centro dei propri interessi principali, per cui l’esecuzione della pena in detto Stato appare necessaria al fine di favorirne il reinserimento. Spiegherò che, al fine di verificare se tale requisito sia soddisfatto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta ad esaminare l’insieme dei fatti rilevanti della situazione individuale della persona interessata.

11.      Indicherò poi i motivi per i quali, a mio avviso, il fatto che la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo abbia soggiornato ininterrottamente nello Stato membro di esecuzione e il fatto che si trovi in esso detenuta non costituiscono criteri determinanti o pertinenti per stabilire se essa dimori o risieda in detto Stato, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro.

12.      Infine, spiegherò che il fatto che la persona interessata dimori nello Stato membro di esecuzione in violazione delle norme di tale Stato in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e il fatto che vi commetta abitualmente reati ostano a che essa abbia la qualità di dimorante o residente nel detto Stato, qualora tale persona sia cittadino dell’Unione, solo se essa ha costituto oggetto di una decisione di allontanamento conforme al diritto comunitario.

I –    Il contesto normativo

A –    La decisione quadro

13.      La decisione quadro persegue l’obiettivo di abolire, tra gli Stati membri, la procedura formale di estradizione prevista dalle diverse convenzioni di cui questi Stati sono parte e di sostituirla con un sistema di consegna tra le autorità giudiziarie (4). Essa si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia penale, che costituisce il fondamento della cooperazione giudiziaria (5). Il sistema del mandato d’arresto europeo istituito dalla decisione quadro si basa su «un elevato livello di fiducia» tra gli Stati membri (6).

14.      L’art. 1 della decisione quadro si intitola «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione». Esso dispone quanto segue:

«1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

15.      Qualora un mandato d’arresto europeo sia emesso per l’esecuzione di una pena o di una misura privative della libertà, deve trattarsi, conformemente all’art. 2 della decisione quadro, di una condanna di durata non inferiore a quattro mesi.

16.      Lo stesso art. 2 prevede un elenco di 32 reati per i quali, qualora nello Stato membro emittente il massimo della pena privativa della libertà sia di durata pari o superiore a tre anni, il mandato d’arresto deve essere eseguito anche se nello Stato membro di esecuzione i fatti in causa non vengono perseguiti. Per gli altri reati, la consegna della persona indicata in un mandato d’arresto europeo può essere subordinata dallo Stato membro di esecuzione alla condizione della doppia incriminazione.

17.      Gli artt. 3 e 4 della decisione quadro sono destinati, rispettivamente, ai motivi di non esecuzione obbligatoria e ai motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo. L’art. 4, punto 6, di tale decisione quadro stabilisce:

«L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo:

(…)

se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

18.      Tale motivo di non esecuzione facoltativa è completato dall’art. 5, punto 3, della decisione quadro, applicabile qualora il mandato d’arresto europeo sia stato emesso per esercitare un’azione penale. In base a tale disposizione, la consegna della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo può essere subordinata alla condizione che tale persona, qualora sia cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, sia rinviata in detto Stato, dopo essere stata ascoltata, per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente.

19.      La decisione quadro prevede altresì i diritti di cui dispone la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo. Ai sensi dell’art. 11 di tale decisione, tale persona dev’essere informata dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione, in particolare, della possibilità di acconsentire alla propria consegna all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente (in prosieguo: l’«autorità giudiziaria emittente»).

20.      Tale consenso dev’essere espresso dinanzi all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, in condizioni dalle quali risulti che esso è stato prestato volontariamente; l’interessato ha diritto di farsi assistere da un consulente legale ed eventualmente da un interprete. Il consenso viene verbalizzato ed è, in linea di massima, irrevocabile (7).

21.      Ai sensi dell’art. 15 della decisione quadro l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla decisione quadro stessa. Lo stesso articolo stabilisce che se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non ritiene sufficienti le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente, può richiedergli urgentemente le informazioni complementari.

22.      L’art. 17 della decisione quadro definisce termini e modalità della decisione di esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Esso così dispone:

«1. Un mandato d’arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza.

2. Nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso.

3. Negli altri casi, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 60 giorni dall’arresto del ricercato.

(…)».

23.      La persona ricercata è poi consegnata al più presto all’autorità giudiziaria emittente e, al più tardi, entro dieci giorni dalla decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo. Tuttavia, se tale persona è già stata condannata per reati diversi da quelli oggetto del mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rinviarne la consegna, affinché questi possa scontare la pena nello Stato membro di esecuzione (8).

B –    Il diritto nazionale

24.      Il diritto tedesco ha dato attuazione all’art. 4, punto 6, della decisione quadro in disposizioni diverse a seconda che l’interessato sia cittadino tedesco o straniero.

25.      La situazione dei cittadini tedeschi è regolata dall’art. 80, n. 3, della legge 23 dicembre 1982, sulla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale (Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen), come modificata dalla legge 20 luglio 2006, disciplinante il mandato d’arresto europeo (Europäisches Haftbefehlsgesetz) (9). Tale articolo dispone quanto segue:

«L’estradizione di un cittadino tedesco ai fini dell’esecuzione di una pena è consentita soltanto qualora l’interessato, previa informativa sui fatti pertinenti, presti il proprio consenso con dichiarazione messa a verbale dinanzi al giudice (...)».

26.      Agli stranieri, cittadini di un altro Stato membro o di uno Stato terzo, si applica l’art. 83b, n. 2, dell’IRG, così formulato:

«La concessione dell’estradizione di uno straniero che abbia la propria dimora abituale nel territorio tedesco può inoltre essere rifiutata se:

(...)

(b) in caso di estradizione a scopo di esecuzione di una pena, l’interessato, previa informativa sui fatti pertinenti, non presti il proprio consenso con dichiarazione messa a verbale dinanzi al giudice e risulti prevalente un suo interesse meritevole di tutela a scontare la pena in Germania (...)».

27.      Il giudice del rinvio precisa che tali disposizioni, che privilegiano i cittadini tedeschi e non fanno distinzione tra gli stranieri a seconda che siano cittadini di altri Stati membri o cittadini di Stati terzi, sono state adottate a seguito della decisione del Bundesverfassungsgericht (Germania) 18 luglio 2005, che aveva dichiarato incostituzionale la legge precedente in quanto limitava in misura sproporzionata il diritto fondamentale dei cittadini tedeschi a non essere estradati (10).

28.      Sul piano processuale, il giudice del rinvio precisa che la decisione sull’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emanato nei confronti di un cittadino straniero è presa, qualora l’interessato non acconsenta alla sua consegna, dalla Generalstaatsanwaltschaft (11) e che tale decisione è sottoposta a verifica da parte dell’Oberlandesgericht.

II – Il contesto di fatto

29.      Mediante un mandato d’arresto europeo emanato in data 18 aprile 2007 dal tribunale di Bydgoszcz (Polonia), alle autorità giudiziarie tedesche è stata chiesta la consegna del sig. Kozłowski ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva di cinque mesi, in forza di una sentenza definitiva.

30.      Il sig. Kozłowski non ha prestato il proprio consenso alla consegna. La Generalstaatsanwaltschaft Stuttgart, autorità giudiziaria tedesca competente per l’esecuzione, gli ha comunicato, in data 18 giugno 2007, la propria intenzione di non invocare alcun motivo di non esecuzione. Secondo tale autorità, infatti, l’interessato non aveva una dimora abituale in Germania e i suoi ripetuti soggiorni in detto Stato membro erano serviti unicamente per integrare, con gli introiti derivanti dalla commissione di reati, l’esigua indennità di disoccupazione percepita in Polonia nonché le somme per il mantenimento ricevute dai genitori. La Generalstaatsanwaltschaft non reputa neppure opportuno procedere a minuziose e lunghe indagini per accertare dove, quando, presso chi e a quale fine il ricercato avrebbe soggiornato. Per tale motivo essa ha chiesto all’Oberlandesgericht di autorizzare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

31.      Attualmente il sig. Kozłowski sta scontando presso l’istituto penitenziario di Stoccarda (Germania) una pena privativa della libertà di tre anni e sei mesi, alla quale è stato condannato con due sentenze dell’Amtsgericht Stuttgart (giudice di primo grado di Stoccarda, Germania), pronunciate il 27 luglio 2006 e il 25 gennaio 2007, per diversi episodi di truffa commessi in Germania.

32.      Il giudice del rinvio spiega che, come emerge dalle sentenze di condanna pronunciate contro il sig. Kozłowski, costui è celibe, senza figli, con limitate o addirittura nulle conoscenze della lingua tedesca e dipendente dall’alcol dal 2002. Egli è cresciuto in Polonia e, dopo la fine degli studi, ha imparato il mestiere di cuoco e ha poi svolto tale mestiere sino alla fine del 2003. Per circa un anno il sig. Kozłowski ha percepito un sussidio di disoccupazione di EUR 100 mensili circa. Il suo ultimo domicilio in Polonia era stato nella città di Sosno (Województwo kujawsko‑pomorskie – Voivodato di Cuiavia‑Pomerania).

33.      Nel febbraio 2005 – così si legge nella sentenza del 27 luglio 2006 – il sig. Kozłowski avrebbe fatto ingresso in Germania per intraprendere un’attività lavorativa, avrebbe lavorato occasionalmente nel settore edilizio ed avrebbe soggiornato in Germania, con un’interruzione durante le festività natalizie, fino al suo arresto in data 10 maggio 2006.

34.      Per contro, nella sentenza del 25 gennaio 2007 si afferma che sig. Kozłowski, a partire dal gennaio 2005, è stato più volte in Germania, ma per il resto è stato mantenuto in famiglia presso i suoi genitori. In occasione della sua audizione egli ha dichiarato che il suo obiettivo era di venire in Germania e di trovare ivi un lavoro per pagare le spese legali legate alla causa per la quale è stato emesso il mandato d’arresto europeo. Egli ha dichiarato altresì di aver conosciuto persone poco raccomandabili e che dopo la sua liberazione sarebbe rimasto volentieri in Germania.

III – Il rinvio pregiudiziale

35.      L’Oberlandesgericht sostiene di trovarsi di fronte alle due seguenti questioni. In primo luogo, esso deve stabilire se la dimora abituale del sig. Kozlowski fosse situata nel territorio tedesco, ovvero se vi si trovi attualmente. In caso di risposta negativa a tale questione, il detto giudice autorizzerebbe l’esecuzione del mandato d’arresto europeo, in quanto risultano sussistenti tutti i restanti presupposti stabiliti a tal fine dalla normativa tedesca. Se invece la questione dovesse essere risolta in senso affermativo, l’Oberlandesgericht dovrebbe annullare la decisione della Generalstaatsanwaltschaft di non invocare motivi di non esecuzione, in quanto tale decisione presuppone che manchi una dimora abituale sul territorio nazionale.

36.      Più precisamente, tale giudice si interroga sulle conseguenze che ai fini di questa valutazione occorre trarre dalle circostanze seguenti:

–        le interruzioni del soggiorno del sig. Kozlowski in Germania durante le festività natalizie del 2005 e forse anche nel giugno 2005, nonché nel febbraio e marzo 2006;

–        il fatto che il sig. Kozłowski, ad oltre tre mesi dal suo ingresso in Germania, non vi esercitava alcuna attività lavorativa e si procurava i mezzi di sostentamento essenzialmente mediante la commissione di reati, per cui la regolarità del suo soggiorno in Germania appare dubbia, e

–        il fatto che il sig. Kozłowski stia scontando una pena detentiva.

37.       In secondo luogo, il giudice del rinvio si interroga sulla conformità della normativa tedesca che assicura la trasposizione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro con il principio di non discriminazione. In particolare, egli chiede alla Corte di dichiarare se e in quale misura sia possibile operare una distinzione tra cittadini tedeschi e stranieri aventi la cittadinanza dell’Unione.

38.      Alla luce di tali considerazioni, l’Oberlandesgericht pone alla Corte le due questioni seguenti:

«1)      Se alla possibilità di ritenere che una persona “risieda” o “dimori” in uno Stato membro [di esecuzione] ai sensi dell’art. 4, punto 6, della [decisione quadro] (...) osti il fatto che questa persona:

a)      non dimora ininterrottamente nello Stato membro [di esecuzione];

b)      dimora in tale Stato senza rispettare le norme nazionali in materia di soggiorno degli stranieri,

c)      è ivi dedita alla commissione di reati in forma professionale, e/o

d)      si trova ivi reclusa a seguito di condanna penale.

2)     Se una trasposizione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, effettuata in modo tale per cui l’estradizione da parte di uno Stato membro, ai fini dell’esecuzione di una condanna penale, di propri cittadini contro la loro volontà sia sempre inammissibile, mentre possa essere autorizzata, malgrado il loro disaccordo, quella di cittadini di altri Stati membri a discrezione delle autorità competenti, sia compatibile con le norme dell’Unione europea, e in particolare con i principi di non discriminazione e di cittadinanza dell’Unione ai sensi dell’art. 6, n. 1, UE, in combinato disposto con gli artt. 12 CE e 17 CE e segg., e, in caso affermativo, se tali principi debbano essere rispettati quanto meno nell’esercizio del detto potere discrezionale».


IV – Analisi

39.      Suggerisco alla Corte di esaminare, dapprima, la seconda questione proposta dal giudice del rinvio. L’esame delle questioni pregiudiziali in questo ordine si giustifica, a mio avviso, per il fatto che, se la Corte dovesse rispondere alla seconda questione affermando che il principio di non discriminazione osta alla consegna contro la sua volontà di un cittadino di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania, dal momento che il mancato consenso di un cittadino tedesco esclude tale consegna, la prima questione diverrebbe priva di oggetto.

A –    La seconda questione pregiudiziale

40.      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sulla conformità con il diritto comunitario della disparità di trattamento tra cittadini tedeschi e cittadini degli altri Stati membri, prevista dalla legislazione tedesca, con riferimento agli effetti della mancanza di consenso da parte del soggetto interessato da un mandato d’arresto europeo.

41.      Tale giudice pone questa domanda perché, in forza dell’art. 80, n. 3, dell’IRG, l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo nei confronti di un cittadino tedesco è esclusa se questi non presta il consenso alla propria consegna mentre, in forza dell’art. 83b dell’IRG, il mancato consenso da parte di un cittadino di un altro Stato membro può legittimare un rifiuto solo se l’esecuzione della pena sul territorio della Repubblica federale di Germania sia giustificata da un interesse meritevole di tutela.

42.      La soluzione a tale questione impone di interrogarsi, anzitutto, sulla conformità con il diritto comunitario delle disposizioni di una normativa di uno Stato membro come l’art. 80, n. 3, dell’IRG. Si tratta quindi di esaminare se l’art. 4, punto 6, della decisione quadro debba essere interpretato nel senso che osta o meno ad una normativa di uno Stato membro che esclude l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emanato ai fini dell’esecuzione di una pena qualora detto mandato d’arresto riguardi uno dei suoi cittadini e quest’ultimo non acconsenta alla propria consegna.

43.      Infatti, è solo nel caso in cui siffatta normativa sia compatibile con la decisione quadro che si pone il problema di sapere se anche un cittadino di un altro Stato membro possa avvalersene in forza del principio di non discriminazione.

44.      Secondo il governo tedesco, l’art. 80, n. 3, dell’IRG è compatibile con l’art. 4, punto 6, della decisione quadro ai sensi del quale, lo ricordo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena qualora l’interessato sia cittadino o residente nello Stato membro di esecuzione.

45.      Tale governo sostiene che la suddetta disposizione della decisione quadro riconosce agli Stati membri la possibilità di prevedere un motivo specifico di non esecuzione basato sulla cittadinanza. Il governo tedesco si riferisce inoltre all’art. 5, punto 3, della decisione quadro, applicabile quando il mandato d’arresto europeo è rilasciato a fini di azioni penali, ai sensi del quale se la persona interessata è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, l’autorità giudiziaria di tale Stato può subordinare la sua consegna alla condizione che la persona sia rinviata in detto Stato per scontarvi la pena eventualmente pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente.

46.      Secondo il governo tedesco, questa deroga a favore dei propri cittadini trova fondamento nelle relazioni particolari e reciproche che uniscono un cittadino al proprio Stato, in forza delle quali tale cittadino non potrebbe mai essere estromesso dalla collettività nazionale. Inoltre, la Repubblica federale di Germania avrebbe un interesse del tutto peculiare al reinserimento sociale dei propri cittadini, cosa che l’esecuzione della pena in Germania tenderebbe a favorire. Per tale ragione l’art. 80, n. 3, dell’IRG elimina qualsiasi margine di discrezionalità quando un cittadino tedesco non acconsente alla propria consegna.

47.      Non condivido questa analisi. Vero è che l’art. 4, punto 6, della decisione quadro, così come è redatto, può essere inteso nel senso indicato dal governo tedesco. Tuttavia, tale disposizione non è univoca, potendo ben essere letta anche nel senso che gli Stati membri debbono lasciare alle proprie autorità giudiziarie la possibilità di decidere, in ciascun caso singolo, se rifiutare o meno l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emanato ai fini dell’esecuzione di una pena allorché riguardi uno dei loro cittadini. L’incipit dell’art. 4 è infatti il seguente: «L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo».

48.      È questa la ragione per cui ritengo che, conformemente ad una consolidata giurisprudenza, l’interpretazione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro ai fini della questione in esame vada effettuata tenendo conto della sistematica in cui tale articolo si inserisce, nonché degli scopi perseguiti da esso e dalla decisione quadro (12).

49.      Esaminando la suddetta sistematica e i suddetti scopi, ritengo che la tesi sostenuta dal governo tedesco sia contraria agli stessi per le ragioni seguenti. Da un lato, nel sistema previsto dalla decisione quadro il mancato consenso della persona interessata da un mandato d’arresto europeo non può giustificare, in quanto tale, una decisione di non esecuzione. Dall’altro lato, una decisione di rifiuto può basarsi sull’art. 4, punto 6, della decisione quadro soltanto se l’esecuzione della pena nello Stato membro di esecuzione si riveli necessaria per favorire il reinserimento di tale persona. Infine, la tesi del governo tedesco pregiudica l’effetto utile della decisione quadro, perché equivale a reintrodurre, in certa misura, il principio di non estradizione dei cittadini che il legislatore dell’Unione europea ha voluto abbandonare nella decisione quadro stessa.

50.      Mi accingo ad esaminare in successione ciascuno di questi punti. Ne trarrò quindi la conclusione che, conformemente ai principi del primato e dell’interpretazione conforme, il giudice nazionale non deve tener conto dell’art. 80, n. 3, dell’IRG, per cui tale disposizione non può essere di ostacolo alla consegna del sig. Kozłowski.

1.      Il mancato consenso della persona interessata da un mandato d’arresto europeo non può giustificare, in quanto tale, una decisione di non esecuzione

51.      L’esame della sistematica della decisione quadro permette di affermare che il mandato d’arresto europeo mira al trasferimento forzato di una persona da uno Stato membro ad un altro.

52.      Infatti, da tale sistematica deriva che gli Stati membri sono tenuti ad eseguire ogni mandato d’arresto europeo, come dimostra l’uso, nella versione francese, del presente indicativo nella frase «Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo» [«Les États membres exécutent tout mandat d’arrêt européen»] di cui all’art. 1, n. 2, della decisione quadro (13).

53.      Da ciò emerge altresì che un rifiuto di esecuzione può derivare solo da una decisione dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, fondata specificamente su uno dei motivi di non esecuzione elencati tassativamente agli artt. 3 e 4 della decisione quadro. È giocoforza rilevare che il mancato consenso della persona interessata da un mandato d’arresto europeo non compare tra i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa, indicati rispettivamente nei suddetti due articoli.

54.      La possibilità di acconsentire o meno alla consegna fa parte dei diritti che l’art. 11 della decisione quadro riconosce alla persona interessata da un mandato d’arresto europeo. Tuttavia, la sola conseguenza giuridica di tale presa di posizione, prevista espressamente nella decisione quadro stessa, riguarda il termine entro il quale la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dev’essere adottata dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

55.      Difatti, ai sensi dell’art. 17, nn. 2 e 3, della decisione quadro, nei casi in cui la persona interessata acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dev’essere presa dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso mentre, se la persona non acconsente, la decisione dev’essere presa entro 60 giorni dal suo arresto.

56.      Il diritto riconosciuto alla persona interessata di acconsentire alla propria consegna ha pertanto lo scopo di permetterle di accelerare la procedura di consegna stessa. Essa dispone quindi del diritto di ridurre i termini della procedura nello Stato membro di esecuzione e, se necessario, la durata della detenzione ordinata in detto Stato per l’applicazione del mandato d’arresto europeo. Di conseguenza, tale persona può comparire prima dinanzi all’autorità giudiziaria emittente per far valere i propri diritti.

57.      Tuttavia, nella sistematica della decisione quadro, il consenso o il mancato consenso della persona interessata non hanno alcuna incidenza obbligatoria sul senso della decisione dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

58.      Si può pensare che l’opposizione della persona interessata porterà l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ad esaminare l’eventuale esistenza di motivi di non esecuzione previsti agli artt. 3 e 4 della decisione quadro che essa non avrebbe necessariamente verificato d’ufficio, in caso di consenso, tenuto conto dei ridottissimi termini previsti per la procedura di consegna in tale situazione.

59.      Penso per esempio ai motivi indicati agli artt. 3, n. 2, e 4, n. 5, della decisione quadro, riguardanti le ipotesi in cui i fatti alla base del mandato d’arresto europeo siano stati oggetto di una sentenza definitiva pronunciata in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, già eseguita o che non può più essere eseguita. Secondo detti articoli, tali motivi costituiscono o possono costituire un motivo di non esecuzione qualora risultino da «informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione».

60.      Se la persona interessata si oppone alla propria consegna e invoca uno dei suddetti motivi durante l’audizione da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, mentre tale motivo non compariva nelle informazioni comunicate dall’autorità giudiziaria emittente, vi è ragione di pensare che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiederà a quest’ultima informazioni complementari per verificare l’esistenza del motivo e per trarne le conseguenze nella sua decisione.

61.      Tuttavia, questa presa in considerazione non è espressamente prevista dalla decisione quadro perché in essa il legislatore dell’Unione europea ha voluto privilegiare la consegna della persona entro termini molto brevi.

62.      Parimenti, l’applicazione del motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro non dipende dal consenso o dal mancato consenso della persona interessata anche se, con ogni probabilità, si tratta di un elemento che dev’essere preso in considerazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione in sede di valutazione di tale motivo.

63.      Occorre pertanto considerare, in questa fase del ragionamento, che il mancato consenso della persona interessata da un mandato d’arresto europeo non può costituire di per sé un motivo di non esecuzione di tale mandato.

64.      L’assenza di riferimento al mancato consenso tra i motivi di non esecuzione indicati agli artt. 3 e 4 della decisione quadro conferma la volontà del legislatore dell’Unione europea, espressa al primo ‘considerando’ della decisione quadro, di impedire che una persona interessata da un mandato d’arresto europeo possa sottrarsi alla giustizia dello Stato membro nel quale ha commesso o è sospettata di aver commesso un reato.

65.      Di conseguenza, indipendentemente dal fatto che la persona interessata acconsenta o meno alla propria consegna all’autorità giudiziaria emittente, è l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che deve statuire sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo e può opporvisi solo con decisione specificamente fondata su uno dei motivi di non esecuzione indicati agli artt. 3 e 4 della decisione quadro.

66.      Una disposizione di una normativa di uno Stato membro come l’art. 80, n. 3, dell’IRG, che fa del mancato consenso di un proprio cittadino un motivo assoluto di non esecuzione è quindi, per tale motivo, contraria al sistema della decisione quadro.

67.      Contrariamente al governo tedesco, non credo che l’obiettivo sotteso all’art. 4, punto 6, della decisione quadro possa invalidare tale analisi.

2.      L’obiettivo perseguito dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro non è idoneo a giustificare un’impossibilità assoluta di esecuzione di un mandato d’arresto europeo nei confronti di un proprio cittadino nel caso in cui quest’ultimo si opponga alla propria consegna

68.      Come indicato dal governo tedesco nelle sue osservazioni scritte e come esposto dall’Oberlandesgericht nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro ha lo scopo di consentire il reinserimento della persona condannata una volta scontata la pena.

69.      Vero è che tale obiettivo non è indicato espressamente nella decisione quadro, mentre compariva molto chiaramente nella proposta presentata dalla Commissione delle Comunità europee (14). Quest’ultima infatti proponeva di inserire, nel capitolo dedicato ai motivi di rifiuto della consegna, l’art. 33 intitolato «Principio del reinserimento», il cui n. 1 era redatto nel modo seguente:

«L’esecuzione di un mandato d’arresto europeo nei confronti di una persona può essere rifiutat[a] se questa persona ha migliori possibilità di reinserimento nello Stato membro dell’esecuzione, e abbia dato il suo consenso a scontare la pena in tale Stato membro.

In tal caso, la sentenza di condanna pronunciata nello Stato membro emittente è eseguita nello Stato membro dell’esecuzione in conformità con le leggi di tale Stato. La condanna pronunciata nello Stato membro emittente non può però essere sostituita dalla pena stabilita dalla legge dello Stato dell’esecuzione per il medesimo reato».

70.      L’art. 4, punto 6, della decisione quadro si differenzia da tale proposta. Ciononostante, ne conserva in gran parte la sostanza e sembra rispondere effettivamente allo stesso scopo, ossia favorire il reinserimento della persona condannata. Tale opinione è condivisa anche dall’insieme delle parti intervenute nel presente procedimento. Essa si fonda su numerosi elementi.

71.      Tale scopo si deduce, in primo luogo, dalla stessa decisione quadro.

72.      Infatti, l’art. 4, punto 6, di tale decisione prevede che la sua applicazione è subordinata alla condizione che lo Stato membro dell’esecuzione si impegni ad eseguire la pena o la misura di sicurezza pronunciate nello Stato membro emittente. Considerato il sistema del mandato d’arresto europeo, secondo il quale la consegna è il principio e i motivi di non esecuzione le deroghe a tale principio, una decisione di non esecuzione può quindi basarsi sull’art. 4, punto 6, della decisione quadro solo se esiste un interesse legittimo all’esecuzione della pena sul territorio dello Stato in cui la persona interessata è stata arrestata.

73.      La stessa analisi può essere ripetuta riguardo all’art. 5, punto 3, della decisione quadro, applicabile quando un mandato d’arresto europeo è emanato ai fini di azioni penali. Secondo tale disposizione, lo ricordo, la consegna di una persona che sia cittadino o residente dello Stato membro dell’esecuzione può essere subordinata alla condizione che tale persona sia rinviata in detto Stato per scontarvi la pena pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente.

74.      Non vedo altro interesse legittimo se non quello di favorire il reinserimento della persona condannata, nel suo stesso interesse e in quello dell’intera società nella quale tale persona dovrà nuovamente vivere una volta scontata la pena.

75.      Tale analisi trova conferma, in secondo luogo, in numerosi atti in cui gli Stati membri e le istituzioni comunitarie hanno affermato che la sanzione penale dovrebbe non soltanto essere afflittiva, ma possedere altresì una funzione socializzante.

76.      Tale funzione è stata così proclamata dal Consiglio d’Europa, da un lato, nella raccomandazione sulle regole penitenziarie europee (15) e, dall’altro lato, nella Convenzione del Consiglio d’Europa 21 marzo 1983, sul trasferimento dei condannati. La suddetta funzione è stata altresì menzionata nella risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione europea (1997) (16), in cui tale istituzione ha ricordato che la pena ha una funzione di riparazione e di risocializzazione e che l’obiettivo è, in questo senso, il reinserimento umano e sociale del detenuto (17).

77.      Tuttavia, contrariamente alla posizione difesa dal governo tedesco, non credo che la risocializzazione di un cittadino tedesco che si oppone alla propria consegna sia, sempre e comunque, necessariamente meglio garantita se questi sconta la sua pena in Germania. In altri termini, sebbene la qualità di cittadino dello Stato membro dell’esecuzione dimostri che esiste un vincolo di collegamento molto forte con questo Stato, non sono persuaso che essa possa costituire il fondamento di una presunzione inconfutabile che l’esecuzione della pena nel suddetto Stato sia la più idonea per favorire la risocializzazione dell’interessato.

78.      Prova ne è la grande varietà di situazioni umane con le quali le autorità giudiziarie di uno Stato membro si confrontano quotidianamente. Possiamo ad esempio immaginare il caso di un cittadino tedesco che viva da molti anni in uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania, nel quale abbia una famiglia ed un lavoro, e che abbia abbandonato solo per sottrarsi all’esecuzione di una condanna pronunciata nei suoi confronti in detto Stato. Non credo che, in una simile situazione, sia possibile presumere in maniera assoluta che il reinserimento sociale dell’interessato sia necessariamente meglio garantito in Germania.

79.      Per questa ragione ritengo che l’obiettivo della risocializzazione, perseguito tramite l’art. 4, punto 6, della decisione quadro, non possa giustificare che uno Stato membro privi le sue autorità giudiziarie di qualsiasi potere discrezionale qualora un mandato d’arresto europeo riguardi un suo cittadino che si oppone alla propria consegna.

80.      Quando il mandato d’arresto europeo emanato ai fini dell’esecuzione di una pena riguarda un cittadino dello Stato membro dell’esecuzione il quale si oppone alla propria consegna, l’autorità giudiziaria di detto Stato, a mio avviso, deve poter verificare, alla luce della situazione concreta di tale persona e dei criteri che suggerirò nel prosieguo della presente presa di posizione, se l’esecuzione della pena sul territorio di detto Stato sia effettivamente necessaria per favorirne la risocializzazione.

81.      L’interpretazione contraria, sostenuta dal governo tedesco, a mio parere porta a reintrodurre, in certa misura, il principio di non estradizione dei propri cittadini, di cui la decisione quadro ha segnato l’abbandono e, di conseguenza, priva tale decisione di parte del suo effetto utile.

3.      L’abbandono del principio di non estradizione dei propri cittadini nella decisione quadro e l’effetto utile di quest’ultima

82.      La non estradizione, da parte di uno Stato, dei propri cittadini costituisce un principio tradizionale del diritto dell’estradizione. Esso ha rango di principio costituzionale in numerosi Stati membri (18). È riconosciuto dalla Convenzione europea di estradizione, firmata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa il 13 dicembre 1957, che prevede, all’art. 6, n. 1, lett. a), che ciascuna parte contraente ha la facoltà di rifiutare l’estradizione dei suoi cittadini.

83.      Affinché tale principio non porti ad attribuire ai cittadini di uno Stato un’assoluta impunità per i reati commessi all’estero, i giudici nazionali sono in generale competenti a giudicare di tali reati secondo il loro diritto penale interno. La Convenzione europea di estradizione, all’art. 6, n. 2, ne fa persino un contraltare obbligatorio dell’applicazione del principio di non estradizione dei propri cittadini.

84.      Tradizionalmente, l’estradizione mira quindi a consentire la consegna, ad un’autorità giudiziaria estera, di uno straniero che uno Stato trova sul proprio territorio. I cittadini di detto Stato si trovano invece esclusi dalla sfera di applicazione di tale procedura e debbono rispondere dei reati commessi all’estero dinanzi ai loro giudici nazionali, malgrado le difficoltà che queste ultime possono incontrare per giudicare tali fatti, in particolare con riferimento all’ottenimento di prove.

85.      Il principio di non estradizione dei propri cittadini trae origine dalla sovranità degli Stati sui loro cittadini, dagli obblighi reciproci che li legano e dalla mancanza di fiducia nei sistemi giuridici degli altri Stati. Così, tra i motivi che sono invocati come giustificazione di tale principio figura, segnatamente, il dovere dello Stato di proteggere i propri cittadini contro l’applicazione di un sistema penale straniero, del quale non conoscono né la procedura né la lingua e nell’ambito del quale possono difficilmente difendersi (19).

86.      La decisione quadro segna chiaramente l’abbandono del predetto principio tra gli Stati membri.

87.      Come abbiamo visto, essa persegue l’obiettivo di sopprimere, tra gli Stati membri, la procedura dell’estradizione e di sostituirla con un sistema di consegna, nell’ambito del quale l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può opporsi alla consegna se non mediante una decisione motivata specificamente da uno dei motivi di non esecuzione elencati tassativamente agli artt. 3 e 4 della decisione quadro.

88.      L’art. 3 della decisione quadro, che riguarda i motivi di non esecuzione obbligatoria, non prevede alcuna deroga di principio o sistematica a favore dei cittadini dello Stato membro dell’esecuzione (20).

89.      Lo status di cittadino dello Stato membro dell’esecuzione viene considerato, all’art. 4, punto 6 di tale decisione, come una circostanza che può, eventualmente, giustificare una decisione di rifiuto da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione se detta autorità ritiene che l’esecuzione della pena nel suo Stato sia necessaria per favorire il reinserimento della persona interessata. Inoltre, in tale disposizione il legislatore dell’Unione europea ha previsto che questo motivo di non esecuzione doveva applicarsi esattamente negli stessi termini alle persone residenti nello Stato membro dell’esecuzione, a conferma del fatto che non è la cittadinanza in quanto tale a costituire il fondamento del suddetto motivo di non esecuzione.

90.      L’abbandono, nella decisione quadro, del principio di non estradizione dei propri cittadini trova un’ulteriore conferma, se occorre, nelle disposizioni transitorie di cui all’art. 33 della medesima a favore della Repubblica d’Austria, che autorizzano questo Stato membro a mantenere in vigore tale principio per il tempo necessario alla modifica della sua Costituzione e, al più tardi, fino al 31 dicembre 2008.

91.      Tale abbandono è del tutto logico alla luce del principio sotteso alla decisione quadro.

92.      Infatti, come ripetutamente indicato nel preambolo e nei suoi articoli, la decisione quadro si basa sul principio del reciproco riconoscimento. Il mandato d’arresto europeo, come precisato al sesto ‘considerando’ della stessa decisione quadro, costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo, tenutosi a Tampere in data 15 e 16 ottobre 1999, ha definito come il «fondamento» della cooperazione giudiziaria.

93.      In virtù di tale principio, se una decisione è adottata da un’autorità giudiziaria in conformità del diritto dello Stato cui appartiene, essa ha efficacia piena e diretta nell’intera Unione, di modo che le autorità competenti di tutti gli altri Stati membri devono contribuire alla sua esecuzione come se fosse stata emanata da un’autorità giudiziaria del loro stesso Stato (21). L’ambito di applicazione di una decisione giudiziaria non è più dunque limitato al territorio dello Stato membro di emissione, bensì si estende ormai all’intera Unione

94.      Ne consegue che, quando l’autorità giudiziaria di uno Stato membro richiede la consegna di una persona a seguito di una condanna definitiva o nell’ambito di un’azione penale, tale decisione deve essere riconosciuta ed eseguita automaticamente, in tutti gli Stati membri, senza altri motivi di non esecuzione a parte quelli previsti dalla decisione quadro. In altri termini, accettando di costruire lo spazio giudiziario europeo e, in particolare, il sistema del mandato di arresto europeo sulla base del principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri hanno rinunciato al loro potere sovrano di sottrarre i propri cittadini alle indagini e alle sanzioni delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri.

95.      La suddetta rinuncia è stata possibile perché, come indicato al decimo ‘considerando’ della decisione quadro, «il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri».

96.      Innanzitutto questa fiducia è stata espressa nella rinuncia da parte degli Stati membri all’esercizio del loro diritto di intentare un’azione penale, contenuta nel principio ne bis in idem, sancito all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (22), in virtù del quale una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in uno Stato membro non può essere sottoposta a un nuovo procedimento penale per i medesimi fatti in un altro Stato membro. Lo scopo di tale principio è di evitare che una persona, per il fatto di aver esercitato il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a un procedimento penale per i medesimi fatti sul territorio di più Stati membri.

97.      Come la Corte ha sottolineato nella sentenza 11 febbraio 2003, Gözütok e Brügge (23), il predetto principio implica necessariamente, quali che siano le modalità con cui viene inflitta la sanzione, che esiste una fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giustizia penale e che ciascuno di essi accetta l’applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse (24).

98.      Questa fiducia deriva da diversi fattori. Da una parte, tutti gli Stati membri hanno dimostrato, nel momento in cui hanno dato vita alle Comunità europee o vi hanno aderito, di essere Stati di diritto, rispettosi dei diritti fondamentali, quali sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e, a partire dal 7 dicembre 2000, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, al di là della ratifica di tale Convenzione e della proclamazione della Carta, tutti questi Stati condividono una concezione esigente dello Stato di diritto, come la Commissione ha constatato al punto 1 della motivazione della sua proposta di decisione quadro (25).

99.      Malgrado l’assenza, a tutt’oggi, di un’armonizzazione estesa del diritto penale sostanziale e procedurale in seno all’Unione europea (26), gli Stati membri hanno dunque avuto modo di convincersi che le condizioni in cui i loro cittadini sono perseguiti penalmente e giudicati negli altri Stati membri sono rispettose dei diritti dei cittadini interessati e permetteranno a questi ultimi di difendersi correttamente, nonostante le difficoltà linguistiche e la mancanza di familiarità con la procedura.

100. D’altro canto, la fiducia che ciascuno Stato membro e i suoi cittadini devono avere nella giustizia degli altri Stati membri appare come il risultato logico ed inevitabile della creazione del mercato unico e della cittadinanza europea.

101. Infatti, ogni Stato membro ha l’obbligo, in applicazione delle libertà di circolazione instaurate dal Trattato CE, di permettere ai cittadini degli altri Stati membri di esercitare sul proprio territorio un’attività economica, indipendente ovvero subordinata, alle medesime condizioni dei propri cittadini.

102. Con la creazione della cittadinanza dell’Unione, è stato raggiunto un ulteriore traguardo, dal momento che ogni Stato membro è anche tenuto ad accogliere sul proprio territorio i cittadini degli altri Stati membri che intendono soggiornarvi, se tali cittadini dispongono, almeno per i primi cinque anni, di risorse sufficienti e di una copertura sociale. Deve altresì permettere loro di partecipare alle elezioni locali e a quelle del Parlamento europeo. Infine, deve estendere la protezione delle sue autorità diplomatiche o consolari a ciascun cittadino dell’Unione che si trovi in uno Stato terzo, in mancanza di protezione da parte dello Stato membro di cui l’interessato è cittadino.

103. La realizzazione del mercato unico e la cittadinanza dell’Unione hanno dunque progressivamente condotto gli Stati membri a dover trattare i cittadini degli altri Stati membri come i propri cittadini in ambiti sempre più estesi della vita economica, sociale e politica. Tali istituti permettono del pari a ciascun cittadino di stabilirsi o lavorare nello Stato membro di sua scelta in seno all’Unione, come qualsiasi cittadino di tale Stato.

104. Sembrerebbe dunque giunto il momento di aggiungere a questa costruzione giuridica la parità di trattamento dinanzi alla giustizia. In altri termini, poiché ormai un cittadino dell’Unione, in qualsiasi Stato membro, gode di diritti identici, in gran parte, a quelli dei cittadini di detto Stato, è giusto che sia soggetto agli stessi obblighi in materia penale e che, qualora vi commetta un reato, sia ivi perseguito e giudicato dinanzi ai giudici di tale Stato, come i cittadini dello stesso.

105. Occorre infine sottolineare che l’abbandono del principio di non estradizione dei propri cittadini, sancito dalla decisione quadro, non priva le autorità giudiziarie dell’esecuzione di qualsiasi mezzo di protezione della persona interessata qualora, per mera ipotesi, risultasse che un’istanza di consegna sia di natura tale da ledere i suoi diritti fondamentali. Non si tratta, pertanto, di una fiducia cieca o priva di garanzie per lo Stato membro di esecuzione.

106. Di conseguenza, benché la validità della decisione quadro, come quella di qualsiasi atto di diritto derivato, dipenda dalla sua conformità con i diritti fondamentali (27) e gli Stati membri siano anch’essi tenuti a rispettare tali diritti (28) nell’applicazione della medesima e di ogni atto di diritto comunitario, il Consiglio ha avuto cura di precisare, all’art. 1, n. 3, della decisione quadro, che l’obbligo di consegna imposto dalla medesima non deve in alcun modo pregiudicare i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dall’art. 6 UE.

107. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione potrebbe dunque, in un caso specifico e a titolo eccezionale, rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora, come indicato al dodicesimo ‘considerando’ della decisione quadro, sussistano «elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi».

108. Inoltre, è il caso di ricordare altresì che, se uno Stato membro adottasse disposizioni penali, sostanziali o procedurali, che violino i principi sanciti dall’art. 6 UE, il Consiglio potrebbe sospendere l’esecuzione della decisione quadro in applicazione dell’art. 7 UE, come indica il decimo ‘considerando’ della medesima.

109. L’enunciazione di queste diverse garanzie nella decisione quadro, che di per sé non crea il diritto, giacché le dette garanzie sono già parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario, indica fino a che punto il legislatore dell’Unione europea abbia voluto che le innovazioni contenute nella decisione quadro rispetto al regime tradizionale dell’estradizione, quali l’abbandono del principio di non estradizione dei propri cittadini, non comportino una diminuzione della tutela dei diritti fondamentali.

110. Gli Stati membri non possono dunque, senza compromettere l’effetto utile della decisione quadro, adottare nel loro diritto interno disposizioni che, in un modo o nell’altro, abbiano l’effetto di reintrodurre un’eccezione sistematica a favore dei propri cittadini.

111. Alla luce degli elementi che precedono, suggerisco alla Corte di dichiarare che l’art. 4, punto 6, della decisione quadro dev’essere interpretato nel senso che osta ad una legislazione di uno Stato membro che esclude l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso per l’esecuzione di una pena nel caso in cui tale mandato riguardi uno dei suoi cittadini e questi non acconsenta alla propria consegna.

112. Mi accingo ora ad esaminare le conseguenze che il giudice del rinvio dovrebbe trarre da tale interpretazione, qualora questa venga seguita dalla Corte.

4.      Le conseguenze dei principi del primato e dell’interpretazione conforme

113. Le decisioni quadro sono atti di diritto derivato introdotti nell’ordinamento giuridico europeo dal Trattato di Amsterdam, con il quale gli Stati membri hanno assegnato all’Unione europea, istituita dal Trattato di Maastricht, l’obiettivo di creare un vero e proprio spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Contrariamente agli atti che possono essere adottati in applicazione del Trattato di Maastricht nell’ambito della cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni, le decisioni quadro possiedono di per sé un vero e proprio effetto vincolante poiché, a termini dell’art. 34, n. 2, lett. b), UE, esse «sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi».

114. Attribuendo quindi al Consiglio il potere di emanare simili atti vincolanti, la cui definizione è praticamente identica a quella delle direttive che possono essere adottate nell’ambito della Comunità europea, gli Stati membri hanno necessariamente accettato di trasferire all’Unione europea una parte delle loro competenze in materia penale, nei limiti necessari alla realizzazione degli obiettivi indicati dal Titolo IV del Trattato UE e nel rispetto del principio di sussidiarietà.

115. I motivi per cui, nella sentenza 15 luglio 1964, Costa (29), la Corte ha dichiarato che gli Stati membri, dopo aver liberamente acconsentito a trasferire alla Comunità parte delle loro competenze, non possono opporre ad un atto comunitario vincolante un qualsiasi provvedimento del proprio ordinamento giuridico interno, sono quindi applicabili ad una decisione quadro. Una decisione quadro, come qualunque atto di diritto comunitario vincolante, è idonea a prevalere su qualsiasi disposizione di diritto interno, anche di natura costituzionale o appartenente ad una legge fondamentale (30).

116. Vero è che le soluzioni previste dal Trattato UE al fine di assicurare tale primato nel caso di conflitto tra una decisione quadro e una disposizione di diritto interno sono meno estese di quelle esistenti nell’ambito del Trattato CE.

117. Da un lato, contrariamente al Trattato CE, il Trattato UE non permette alla Commissione di promuovere un ricorso per inadempimento nei confronti dello Stato che venga meno ai propri obblighi. Conformemente all’art. 35, n. 7, UE, l’omessa o non corretta applicazione di una decisione quadro da parte di uno Stato può dar luogo solo ad una controversia tra Stati membri, che dev’essere sottoposta al Consiglio e che può essere portata dinanzi alla Corte se non può essere risolta entro sei mesi.

118. Dall’altro lato, le disposizioni di una decisione quadro che non sono state trasposte o lo sono state in modo non corretto non possono essere applicate direttamente dal giudice nazionale. Ai sensi dell’art. 34, n. 2, lett. b), UE, le decisioni quadro non possiedono efficacia diretta.

119. Il giudice nazionale non è peraltro privo di qualsiasi strumento d’azione al fine di far prevalere il loro contenuto e garantirne così il primato. Nella sentenza 16 giugno 2005, Pupino (31), la Corte ha dichiarato che, di fronte ad un conflitto tra una decisione quadro e una disposizione di diritto interno, il giudice nazionale è vincolato dal principio di interpretazione conforme. Tale principio implica che, applicando il diritto nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretare quest’ultimo è tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa e di conformarsi così all’art. 34, n. 2, lett. b), UE (32).

120. L’unico limite che incontra tale principio è il caso in cui il diritto interno non possa ricevere siffatta applicazione perché questa sarebbe contra legem (33).

121. Nella presente causa, la situazione nel diritto tedesco dei cittadini di altri Stati membri come il sig. Kozłowski è regolata specificamente dall’art. 83b, n. 2, lett. b), dell’IRG, la cui compatibilità con la decisione quadro pare fuor di dubbio.

122. Ricordo infatti che ai sensi di tale articolo l’estradizione di uno straniero che abbia la propria dimora abituale nel territorio tedesco può essere rifiutata se, in caso di estradizione a scopo di esecuzione di una pena, l’interessato non presti il proprio consenso e risulti prevalente un suo interesse meritevole di tutela ad una esecuzione della pena sul territorio nazionale. Questa nozione di «prevalente interesse meritevole di tutela» appare effettivamente idonea ad essere applicata conformemente all’obiettivo sottostante al motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro.

123. Per contro, nei limiti in cui l’art. 80, n. 3, dell’IRG non è conforme, a mio parere, alla decisione quadro e tale disposizione riguarda unicamente i cittadini tedeschi, ritengo che, in forza del principio d’interpretazione conforme, il giudice del rinvio non ne debba tener conto e debba applicare l’art. 83b, n. 2, lett. b), dell’IRG. In altri termini, il principio di non discriminazione, che dovrebbe portare ad estendere ai cittadini degli altri Stati membri le disposizioni che l’art. 80, n. 3, dell’IRG prevede a favore dei cittadini tedeschi, tenuto conto, in particolare, del fatto che all’art. 4, punto 6, della decisione quadro, i cittadini e i residenti vengono trattati esattamente allo stesso modo, non deve applicarsi, dal momento che tale art. 80, n. 3, è contrario alla decisione quadro e quest’ultima prevale su qualsiasi disposizione contraria di diritto interno,

124. Tale soluzione non eccede i limiti dell’obbligo di interpretazione conforme, perché non porta il giudice nazionale ad un’interpretazione contra legem del suo diritto interno. La situazione nella presente causa è diversa, sotto questo profilo, da quella cui la Corte si è trovata di fronte nella causa che ha dato luogo alla sentenza 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (34). In tale ultima causa, la disposizione di diritto interno che disciplinava specificamente la situazione dei ricorrenti nella causa principale era contraria al diritto comunitario e si poneva il problema di stabilire se il principio d’interpretazione conforme potesse obbligare il giudice nazionale a disapplicare questa disposizione a vantaggio di una regola di diritto interno di portata più generale.

125. Nella presente causa, si tratta semplicemente di applicare al sig. Kozłowski le disposizioni di diritto interno applicabili specificamente alla sua situazione, nel rispetto della finalità della decisione quadro.

126. Suggerisco pertanto alla Corte di completare la soluzione alla seconda questione pregiudiziale indicando che, nella causa principale, il giudice del rinvio deve applicare nei confronti del sig. Kozłowski le disposizioni del suo diritto interno vigenti per i cittadini degli altri Stati membri, conformemente alla finalità della decisione quadro. Il principio d’interpretazione conforme osta a che il motivo di non esecuzione, previsto nel diritto interno a favore dei cittadini tedeschi che si oppongono alla propria consegna, venga esteso ai cittadini degli altri Stati membri in applicazione del principio di non discriminazione.

B –    La nozione di «residente» di cui all’art. 4, punto 6, de la decisione quadro

127. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’art. 4, punto 6, della decisione quadro debba essere interpretato nel senso che si può ritenere che una persona «risieda» o «dimori» nello Stato membro di esecuzione quando questa persona:

–        non vi dimora ininterrottamente;

–        vi dimora senza rispettare le norme nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri;

–        è ivi dedita alla commissione di reati in forma professionale, e

–        si trova ivi reclusa ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà.

128. Con tale questione il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di precisare la portata dei termini «dimori» o «risieda» nello Stato membro di esecuzione, contenuti nell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, e se le circostanze elencate nella sua questione o una di esse siano determinanti o rilevanti ai fini del riconoscimento della qualità di «dimorante» o di «residente».

129. Il giudice del rinvio pone questi interrogativi alla Corte perché le due nozioni di cui trattasi non sono definite nella decisione quadro. Né quest’ultima richiama altri atti di diritto comunitario che facciano riferimento alla nozione di domicilio o di residenza, né rinvia al diritto degli Stati membri per determinarne il contenuto.

130. I governi ceco e olandese sostengono che la definizione di tali nozioni dev’essere lasciata alla valutazione di ogni Stato membro. Non condivido questa analisi.

131. La decisione quadro, infatti, mira all’istituzione di un sistema di consegna obbligatoria tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può opporsi unicamente in forza di un motivo di non esecuzione espressamente previsto dalla decisione quadro stessa. L’applicazione effettiva della detta decisione quadro impone, a mio avviso, che il motivo di non esecuzione indicato all’art. 4, punto 6, sia oggetto di una definizione uniforme in tutti gli Stati membri.

132. Numerosi Stati membri, nonché la Commissione, hanno altresì sostenuto che la trasposizione nel diritto interno del motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro debba essere lasciata alla discrezione di ciascuno Stato membro. Tale disposizione, a detta di tali parti, dovrebbe essere intesa nel senso che lascia agli Stati membri la scelta se prevedere o meno la possibilità, per le autorità giudiziarie, di invocare il suddetto motivo di non esecuzione.

133. Non condivido neppure questa interpretazione. Come abbiamo visto, il motivo di non esecuzione di cui all’art. 4, punto 6, della decisione quadro mira a favorire il reinserimento della persona condannata. Dal momento che questa persona, se si tratta di un cittadino dell’Unione, ha il diritto di circolare e risiedere in tutti gli Stati membri, l’esito del suo reinserimento riguarda non solamente lo Stato membro di esecuzione, ma allo stesso modo tutti gli altri Stati membri e le persone che vi vivono.

134. La stessa analisi può essere effettuata per quanto riguarda i cittadini degli Stati terzi. Questi cittadini, grazie alla soppressione dei controlli alle frontiere interne nello spazio Schengen, possono circolare liberamente all’interno di tale spazio. Essi possono allo stesso modo circolare e soggiornare in tutta l’Unione in qualità di familiari di un cittadino di uno Stato membro.

135. Ne consegue che l’apertura delle frontiere ha reso gli Stati membri solidalmente responsabili nella lotta contro la criminalità. Proprio per questo motivo si è reso necessario creare uno spazio penale europeo, affinché le libertà di circolazione non siano esercitate a discapito della sicurezza pubblica.

136. Perciò, a mio avviso, si impone la trasposizione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro nel diritto di ciascuno Stato membro, affinché il mandato d’arresto europeo non si applichi a discapito del reinserimento della persona condannata e, quindi, dell’interesse legittimo di tutti gli Stati membri alla prevenzione della criminalità, che questo motivo di non esecuzione mira a proteggere.

137. In merito, ora, al senso dei termini «dimori» o «risieda» nello Stato membro di esecuzione, ritengo, al pari dei governi austriaco, polacco e finlandese nonché della Commissione, che essi debbano costituire oggetto di un’interpretazione autonoma, determinata con riferimento alla finalità dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, nonché alla sistematica e agli obiettivi di quest’ultima.

138. Infatti, le definizioni della nozione di residenza che compaiono negli altri atti comunitari sono state stabilite in funzione specificamente della sistematica e della finalità di tali atti, che non corrispondono a quelli della decisione quadro. Esse pertanto non si possono trasporre tal quali per l’interpretazione della nozione di residenza contenuta nella decisione quadro stessa. Tuttavia, possono essere prese in considerazione a tal fine (35), così come la risoluzione (72)1 relativa all’unificazione dei concetti giuridici di «domicilio» e di «residenza», adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 18 gennaio 1972, e alla quale il giudice del rinvio fa riferimento (36).

139. Nell’esaminare la finalità della decisione quadro, se ne deduce che il motivo di non esecuzione enunciato all’art. 4, punto 6, della stessa dev’essere oggetto di una definizione restrittiva. Difatti, detto motivo permette di derogare al carattere obbligatorio della consegna, prevista dall’art. 1, n. 2, della decisione quadro. Si tratta quindi di un’eccezione ad un principio.

140. Questa analisi trova sostegno anche nella brevità dei termini entro i quali l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve prendere la decisione circa l’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

141. Abbiamo inoltre visto che il motivo sotteso all’art. 4, punto 6, della decisione quadro è di favorire il reinserimento della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo. È alla luce di tale obiettivo e nel senso restrittivo imposto dalla finalità della decisione quadro che occorre definire le nozioni di cui ai termini «dimori» o «risieda» enunciati in tale disposizione.

142. Il luogo in cui una persona che deve scontare una pena detentiva o una misura di sicurezza dimora o risiede è pertinente ai fini del suo reinserimento, dal momento che tale reinserimento è volto a permettere al soggetto di ritrovare il proprio posto all’interno della società, ossia l’ambiente familiare, sociale e professionale nel quale viveva prima dell’esecuzione della condanna e al quale appare verosimile che ritorni al termine della pena.

143. Così, nelle loro raccomandazioni sulle regole penitenziarie, gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno espresso l’auspicio che la detenzione sia organizzata, nella massima misura possibile, in condizioni che permettano al detenuto di mantenere e rafforzare i legami con la propria famiglia. La detenzione deve inoltre dare al detenuto l’impressione di non essere escluso dalla società. La detenzione deve, infine, facilitare l’ottenimento o la ripresa di un lavoro al termine della pena, grazie ad un programma di preparazione alla liberazione elaborato nell’istituto penitenziario o a una liberazione condizionale sotto controllo (37).

144. L’attuazione di queste raccomandazioni esige, di conseguenza, che l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza interrompa il meno possibile i legami del detenuto con la propria famiglia, nonché con il proprio ambiente sociale e professionale.

145. Possiamo trarre da queste considerazioni le seguenti conclusioni per definire il contenuto delle nozioni di cui ai termini «dimori» e «risieda», contenute all’art. 4, punto 6, della decisione quadro.

146. Da un lato, queste due nozioni a mio avviso non possiedono un contenuto diverso, come conferma il fatto che l’art. 5, punto 3, della decisione quadro si riferisce unicamente al residente. Dall’altro lato, esse riguardano la situazione in cui la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo presenti con lo Stato membro dell’esecuzione legami tali che l’autorità giudiziaria di tale Stato possa dedurne che la pena debba essere eseguita nel suddetto Stato al fine di poter assolvere alla propria funzione di reinserimento. Pertanto, la nozione di «residenza», ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, dev’essere intesa come il luogo in cui la persona ha il centro dei suoi interessi principali.

147. Tale nozione corrisponde quindi, a mio avviso, ad una situazione di fatto, derivante da un insieme di criteri, tra i quali quelli più rilevanti, come suggerito dai governi austriaco, polacco e finlandese, nonché dalla Commissione, sono i legami familiari e sociali, la pratica della lingua, l’avere a disposizione un’abitazione, il possesso di un lavoro e la durata del soggiorno nello Stato, nonché la volontà dell’interessato di dimorarvi al termine della sua detenzione.

148. Questo elenco non dovrebbe essere tassativo, poiché l’applicazione del motivo di non esecuzione previsto all’art. 4, punto 6, della decisione quadro da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve sempre basarsi, a mio avviso, su una valutazione della situazione specifica della persona interessata.

149. Possiamo trarre da questa analisi le conseguenze seguenti per quel che riguarda le circostanze invocate dal giudice del rinvio.

150. In primo luogo, il fatto che la persona interessata non abbia soggiornato in maniera ininterrotta nello Stato membro di esecuzione non può mettere in discussione il collegamento tra questa persona e questo Stato. Infatti, una persona può recarsi all’estero per vacanze o per svolgervi la propria attività professionale senza che ciò implichi un trasferimento del centro dei suoi interessi principali.

151. Per esempio, il fatto che, nella presente causa, il sig. Kozłowski abbia lasciato la Germania nel giugno 2005 e successivamente durante le feste di Natale dello stesso anno, nonché nel febbraio e nel marzo 2006, non dimostra, di per sé, che l’interessato avesse i suoi interessi principali in un posto diverso da tale Stato membro.

152. In secondo luogo, neppure la circostanza che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo sia detenuta nello Stato membro di esecuzione in seguito ad una sentenza di condanna costituisce un criterio pertinente né per dimostrare né per escludere la qualità di residente.

153. Come abbiamo visto, la nozione di «residenza» ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro va intesa come il luogo in cui la persona colpita da un mandato d’arresto europeo ha il centro dei suoi interessi principali e in cui intende tornare dopo l’esecuzione della pena. I criteri che permettono di stabilire tale luogo servono per valutare l’importanza del collegamento fra tale persona e la società dello Stato membro di esecuzione.

154. La nozione di «residenza» ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro deriva dunque dalla volontà della persona interessata e designa necessariamente un luogo in cui essa gode o può godere dei propri diritti.

155. Pertanto, il luogo in cui una persona colpita da un mandato d’arresto europeo sconta una pena detentiva è privo di rilevanza al riguardo, poiché detto luogo non dipende da una scelta di tale persona, ma da quella delle autorità giudiziarie ed essa si trova ivi privata dell’esercizio di una parte importante dei propri diritti.

156. Il giudice del rinvio chiede inoltre alla Corte se il fatto che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo soggiorni nello Stato membro di esecuzione in violazione delle norme di questo Stato in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri e il fatto che vi commetta abitualmente dei reati escludano che tale persona possa vedersi riconoscere lo status di residente. Esso chiede altresì se il fatto che la detta persona commetta abitualmente dei reati escluda, di per sé, l’ammissione di una residenza abituale.

157. Il giudice del rinvio solleva tali interrogativi perché la regolarità del soggiorno del sig. Kozłowski in Germania oltre un periodo di tre mesi appare dubbia alla luce della legislazione nazionale, dal momento che egli non vi esercitava alcuna attività lavorativa e si procurava i mezzi di sostentamento essenzialmente mediante la commissione di reati.

158. Come sostenuto dal governo olandese, l’esecuzione della pena nello Stato membro di esecuzione presuppone che l’interessato possa effettivamente soggiornare in tale Stato dopo aver scontato la pena. È a questa condizione che l’obiettivo del reinserimento perseguito attraverso l’art. 4, punto 6, della decisione quadro può essere raggiunto.

159. Di conseguenza, se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione constata che l’interessato non ha più diritto di soggiornare nello Stato membro di esecuzione una volta scontata la sua pena, l’applicazione del motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro risulta priva di oggetto.

160. Tuttavia, la valutazione della capacità dell’interessato di soggiornare nello Stato membro di esecuzione una volta scontata la pena, considerato che esso non vi risiede nel rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri e che vi ha commesso abitualmente dei reati, dev’essere compiuta dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione conformemente alle esigenze del diritto comunitario e nel rispetto dei diritti fondamentali.

161. La situazione è quindi diversa a seconda che la persona interessata sia un cittadino dell’Unione o un cittadino di uno Stato terzo.

162. Le condizioni per l’ingresso e il soggiorno dei cittadini degli Stati terzi negli Stati membri dell’Unione, allo stato attuale del diritto comunitario, continuano a rientrare in gran parte nella competenza di tali Stati membri. Per la parte essenziale, la situazione di questi cittadini è coperta dal diritto comunitario solo se sono familiari di un cittadino dell’Unione, o cittadini di uno Stato con il quale la Comunità ha stipulato una convenzione, o ancora se rientrano nella sfera di applicazione della direttiva relativa al diritto al ricongiungimento familiare (38) o in quella della direttiva relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (39).

163. Pertanto, se, in forza della legislazione dello Stato membro di esecuzione, il fatto che un cittadino di uno Stato terzo vi soggiorni irregolarmente e vi commetta abitualmente dei reati non gli permette di soggiornare in detto Stato una volta scontata la sua pena, fatto salvo il rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, egli non può essere considerato residente ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro.

164. Per contro, la situazione è diversa quando la persona interessata da un mandato d’arresto europeo possiede, come il sig. Kozłowski, lo status di cittadino dell’Unione.

165. Come precisato dalla Commissione e come ricordato all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38/CE (40), il diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro è conferito direttamente dal Trattato ai cittadini dell’Unione e non dipende dall’aver completato formalità amministrative nello Stato membro ospitante.

166. Vero è che non si tratta di un diritto incondizionato. Per i primi cinque anni, esso è subordinato alla condizione che la persona interessata disponga di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Tuttavia, la mancanza di risorse stabili non può comportare automaticamente una misura di allontanamento.

167. In base al sedicesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38, siffatta misura può essere adottata solo se la persona interessata diventi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. A tal fine, detto Stato deve esaminare se, in tal caso, si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso.

168. Pertanto, il semplice fatto che il sig. Kozłowski non disponga di risorse stabili e che di conseguenza violerebbe la normativa tedesca in tema di soggiorno e ingresso degli stranieri non dimostra, di per sé, che egli non possa legalmente soggiornare nello Stato membro di esecuzione una volta scontata la propria pena detentiva. Questo fatto, di per sé solo, non costituisce un elemento che esclude che l’interessato possa essere considerato come residente in detto Stato, dal momento che egli non è stato oggetto di una misura di allontanamento adottata nel rispetto del diritto comunitario (41).

169. Parimenti, se è vero che un cittadino dell’Unione che abbia commesso reati in uno Stato membro può essere privato del suo diritto di soggiorno in detto Stato, tale privazione può derivare solo da una decisione di allontanamento adottata in conformità delle condizioni estremamente restrittive previste agli artt. 27‑33 della direttiva 2004/38.

170. Va ricordato che una simile decisione può essere presa solo in circostanze eccezionali, allorché il comportamento dell’interessato rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave a un interesse fondamentale della società. Inoltre, prima di adottare una decisione di allontanamento dal suo territorio per ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante deve tenere conto, in particolare, della durata del soggiorno dell’interessato sul suo territorio, dell’età, dello stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in tale Stato nonché dell’intensità dei legami del soggetto con il suo paese d’origine.

171. Di conseguenza, il fatto che un cittadino dell’Unione abbia commesso abitualmente dei reati sul territorio dello Stato membro di esecuzione non esclude, di per sé, che egli possa avere lo status di «residente» ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro. Tale circostanza, infatti, non dimostra che l’interessato ha il centro dei suoi interessi principali in un posto diverso da tale Stato.

172. Da ciò deriva inoltre che il fatto che tale cittadino soggiorni nello Stato membro di esecuzione in violazione delle norme di detto Stato in tema di ingresso e di soggiorno degli stranieri e che vi commetta abitualmente dei reati osta al riconoscimento dello status di «residente», ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, soltanto se tale persona è stata oggetto di una misura di allontanamento conforme al diritto comunitario.

173. Alla luce di tali considerazioni suggerisco alla Corte di dichiarare, in risposta alla prima questione pregiudiziale, che una persona dimora o risiede nello Stato membro di esecuzione, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro, quando tale persona vi abbia il centro dei suoi interessi principali, di modo che l’esecuzione della pena in detto Stato appare necessaria al fine di favorirne il reinserimento. Per valutare se tale condizione sia soddisfatta, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve esaminare l’insieme dei fatti pertinenti della situazione individuale della persona interessata.

174. Inoltre, il fatto che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo abbia soggiornato in maniera ininterrotta nello Stato membro di esecuzione e il fatto che vi si trovi in stato di detenzione non costituiscono criteri determinanti o pertinenti per valutare se essa dimori o risieda in detto Stato, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro. Infine, la circostanza che la persona interessata soggiorni nello Stato membro di esecuzione in violazione delle norme di detto Stato in tema di ingresso e di soggiorno degli stranieri e il fatto che vi commetta abitualmente dei reati ostano a che essa abbia la qualità di dimorante o residente nel detto Stato, allorché tale persona sia cittadina dell’Unione, soltanto se essa ha costituito oggetto di una decisione di allontanamento conforme al diritto comunitario.

V –    Conclusione

175. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere nel modo seguente le questioni pregiudiziali sollevate dall’Oberlandesgericht Stuttgart:

«1)      L’art. 4, punto 6, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una legislazione di uno Stato membro che escluda l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emanato per l’esecuzione di una pena allorché tale mandato riguardi uno dei suoi cittadini e quest’ultimo non acconsenta alla propria consegna.

         Nella causa principale, il giudice del rinvio deve applicare al sig. Kozłowski le disposizioni del suo diritto interno vigenti per i cittadini degli altri Stati membri, conformemente alla finalità della decisione quadro 2002/584. Il principio d’interpretazione conforme osta a che il motivo di non esecuzione previsto dal diritto interno a favore dei cittadini tedeschi che si oppongono alla propria consegna sia esteso ai cittadini degli altri Stati membri, in applicazione del principio di non discriminazione.

2)      Una persona dimora o risiede nello Stato membro di esecuzione, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, quando tale persona vi abbia il centro dei suoi interessi principali, di modo che l’esecuzione della pena in detto Stato appare necessaria al fine di favorirne la risocializzazione.

Per valutare se tale condizione sia soddisfatta, l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione deve esaminare l’insieme dei fatti pertinenti della situazione individuale della persona interessata.

Il fatto che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo abbia soggiornato in maniera ininterrotta nello Stato membro di esecuzione e il fatto che vi si trovi in stato di detenzione non costituiscono criteri determinanti o pertinenti per valutare se essa dimori o risieda in detto Stato, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584.

La circostanza che la persona interessata soggiorni nello Stato membro di esecuzione in violazione delle norme di detto Stato in tema di ingresso e di soggiorno degli stranieri e il fatto che vi commetta abitualmente dei reati ostano a che essa abbia lo status di dimorante o residente nel detto Stato, allorché tale persona sia cittadina dell’Unione, soltanto se essa ha costituito oggetto di una decisione di allontanamento conforme al diritto comunitario».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Decisione quadro 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU L 190, pag. 1; in prosieguo: la «decisione quadro»).


3 – Informazione relativa alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (GU 1999, L 114, pag. 56).


4 – Primo e quinto ‘considerando’ della decisione quadro.


5 – Sesto ‘considerando’ della decisione quadro.


6 – Decimo ‘considerando’ della decisione quadro.


7 – Artt. 11 e 13 della decisione quadro.


8 – Artt. 23 e 24 della decisione quadro.


9 – BGBl  2006 I, pag. 1721; in prosieguo: l’«IRG».


10 – L’art. 16, n. 2, della legge fondamentale della Repubblica federale di Germania (Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland) così dispone:


«Nessun cittadino tedesco può essere estradato all’estero. Una disposizione derogatoria può essere adottata dalla legge per l’estradizione [verso] uno Stato membro dell’Unione europea o presso una corte internazionale, qualora siano garantiti i principi dello stato di diritto».


11 – Servizi del pubblico ministero presso la giurisdizione d’appello competente.


12 – Per un’applicazione recente da parte della Corte nella sua composizione di Grande Sezione, v. sentenza 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 110 e giurisprudenza ivi citata).


13 – L’esame delle altre versioni linguistiche conduce alla stessa analisi. In tedesco infatti è scritto «Die Mitgliedstaaten vollstrecken jeden Europäischen Haftbefehl»; in inglese «Member States shall execute any European arrest warrant», e così via.


14 – Proposta di decisione quadro del Consiglio 25 settembre 2001, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri [COM(2001) 522 def.].


15 – V., in particolare, raccomandazione n. R (87) 3 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie europee, adottata il 12 febbraio 1987 e sostituita dalla raccomandazione Rec(2006)2, adottata l’11 gennaio 2006.


16 – GU 1999, C 98, pag. 279.


17 – Punto 78.


18 – Segnatamente, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, la Repubblica ellenica, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Polonia e la Repubblica portoghese


19 – Z. Deen‑Racsmány e R. Blekxtoon, «The Decline of the Nationality Exception in European Extradition?», European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, vol. 13/3, pagg. 317‑363, Koninklijke Brill NV, Paesi Bassi, 2005.


20 – I tre casi contemplati dall’art. 3 della decisione quadro sono i seguenti. Nel primo caso, il reato alla base del mandato d’arresto è coperto da amnistia nello Stato membro di esecuzione; nel secondo caso, il reato è stato giudicato in un altro Stato membro con sentenza definitiva che è stata eseguita o non può più essere eseguita; nel terzo caso, la persona interessata non ha l’età per essere considerata penalmente responsabile nello Stato membro di esecuzione.


21 – V., a questo proposito, la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo 26 luglio 2000, sul riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale [COM(2000) 495 def., in particolare pag. 8].


22 – Convenzione del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativa all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen il 19 giugno 1990.


23 – Cause riunite C‑187/01 e C‑385/01 (Racc. pag. I‑1345).


24 – Punto 33.


25 – V. nota 14.


26 – A tutt’oggi sono state adottate circa venti decisioni quadro. L’armonizzazione ha riguardato la definizione e la repressione di reati transfrontalieri, come la falsificazione di monete a danno dell’euro, la frode e la contraffazione di mezzi di pagamento, il riciclaggio di danaro, il terrorismo, la tratta di esseri umani, l’aiuto all’immigrazione illegale, la corruzione nel settore privato, lo sfruttamento sessuale dei minori, il traffico di droga e gli attacchi contro i sistemi informatici. Essa ha riguardato anche i mezzi di azione o di esecuzione, come l’istituzione di squadre comuni d’indagine, il reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, di congelamento di beni o di elementi di prova o ancora di sanzioni pecuniarie, nonché lo status di vittime nell’ambito di procedimenti penali. L’Unione inoltre ha adottato numerose decisioni che hanno istituito organi come Eurojust e la rete europea di punti di contatto per quel che riguarda i soggetti responsabili di genocidi, di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, o che prevedono azioni come lo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari, azioni di formazione e programmi.


27 – La conformità della decisione quadro con i principi sanciti dall’art. 6 UE, per quanto riguarda la soppressione della condizione della doppia incriminazione per i 32 reati elencati all’art. 2 della detta decisione quadro, è stata d’altronde confermata dalla Corte nell’ambito di un rinvio pregiudiziale vertente sulla valutazione della validità della decisione stessa, nella sentenza 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld (Racc. pag. I‑3633).


28 – V., per un esempio di tale consolidata giurisprudenza, la sentenza Advocaten voor de Wereld, cit. (punto 45).


29 – Causa 6/64 (Racc. pag. 1129, in particolare pag. 1149).


30 – V., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2000, causa C‑285/98, Kreil (Racc. pag. I‑69, punto 32), riguardo all’incompatibilità dell’art. 12 a) della legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, nei limiti in cui stabiliva le condizioni per l’accesso delle donne alle forze armate, con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


31 – Causa C‑105/03 (Racc. pag. I‑5285).


32 – Punto 43.


33 – Sentenza Pupino, cit. (punto 47).


34 – Cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01 (Racc. pag. I‑8835).


35 – Nel settore della previdenza sociale, il luogo residenza di un lavoratore, che serve per determinare la legislazione applicabile in materia di prestazioni di disoccupazione, è determinato dal luogo in cui si trova il centro principale dei suoi interessi. A tale proposito occorre prendere in considerazione la situazione familiare del lavoratore nonché i motivi che lo hanno indotto a trasferirsi e la natura del lavoro svolto (sentenza 11 novembre 2004, causa C‑372/02, Adanez‑Vega, Racc. pag. I‑10761, punto 37). Per quanto riguarda le franchigie fiscali applicabili all’interno della Comunità in materia d’importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto, la residenza normale corrisponde al centro permanente degli interessi della persona di cui trattasi e tale luogo dev’essere stabilito alla luce dell’insieme dei criteri contenuti nella disposizione di diritto comunitario applicabile e di tutti gli elementi di fatto rilevanti (sentenza 26 aprile 2007, causa C‑392/05, Alevizos, Racc. pag. I‑3505, punti 54 e 55). Nello statuto della funzione pubblica comunitaria, la residenza abituale del funzionario, precedente alla sua entrata in servizio, che costituisce il criterio determinante per la concessione dell’indennità di dislocazione, è definita come il luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi (sentenza 15 settembre 1994, causa C‑452/93 P, Magdalena Fernández/Commissione, Racc. pag. I‑4295, punto 22).


36 – Secondo tale risoluzione, la nozione di domicilio corrisponde a una nozione giuridica. Essa implica un legame di diritto tra una persona ed un paese, derivante dalla volontà di tale persona di stabilire in detto paese il centro dei propri interessi personali, sociali ed economici. Quanto alla nozione di residenza, essa è determinata unicamente in base a criteri di fatto. Essa non dipende da un’autorizzazione a risiedere, ma deriva dal fatto che una persona dimora in un paese per un certo lasso di tempo, non necessariamente continuo. Per stabilire se una residenza è abituale, occorre tener conto della durata e della continuità della residenza nonché di altri fatti di natura personale o professionale rivelatori di legami duraturi tra una persona e la sua residenza.


37 – Raccomandazioni R (87) 3 [punti 65, lett. c), 70.1 e 88] e Rec(2006)2 (punti 24, 103 e 107).


38 – Direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE (GU L 251, pag. 12).


39 – Direttiva del Consiglio 25 novembre 2003, 2003/109/CE (GU 2004, L 16, p. 44).


40 – Direttiva 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77).


41 – Questa risposta mi sembra applicabile alla causa Wolzenburg (causa C‑123/08), pendente dinanzi alla Corte. Il sig. Wolzenburg è un cittadino tedesco che dal giugno 2005 vive nei Paesi Bassi. Egli possiede un alloggio in tale Stato membro, in cui vive con sua moglie che si trova in stato interessante. Ha lavorato in tale Stato fino al 2007. È stato colpito da un mandato d’arresto europeo emanato dalla Staatsanwaltschaft Aachen (Germania). Il giudice olandese del rinvio sostiene che, secondo la legge olandese, il sig. Wolzenburg non può beneficiare del motivo di non esecuzione previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro, perché la legge olandese che applica tale disposizione riserva il suddetto motivo alle persone in possesso di un permesso di soggiorno di durata illimitata. A mio avviso, tale restrizione non è conforme alla decisione quadro. Ancora una volta, il riconoscimento della qualità di «residente», ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro non può dipendere dal possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, mentre il diritto di soggiorno nei Paesi Bassi dell’interessato, che ha lo status di cittadino dell’Unione, discende direttamente dal diritto comunitario.