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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

TAMARA ĆAPETA

presentate il 21 marzo 2024 (1)

Causa C-494/22 P

Commissione europea

contro

Repubblica ceca

«Impugnazione – Risorse proprie dell’Unione europea – Dazi doganali – Obblighi a carico degli Stati membri – Versamento alla Commissione europea di importi corrispondenti a risorse proprie non recuperate – Indagine sull’elusione dei dazi antidumping su accendini tascabili provenienti dal Laos – Relazione di missione dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) – Ricorso fondato su un arricchimento senza causa – Articoli 268 e 340 TFUE»






I.      Introduzione

1.        La terza volta è quella buona, come suol dirsi.

2.        La presente causa rappresenta la terza occasione in cui la Repubblica ceca cerca di sottoporre ai giudici dell’Unione una controversia con la Commissione europea in merito all’obbligo di accreditare risorse proprie dell’Unione. Essa fa seguito ai tentativi di detto Stato membro di presentare, dapprima, un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE (per contestare la lettera della Commissione con la quale si chiedeva il pagamento) (2) e poi un ricorso per carenza ai sensi dell’articolo 265 TFUE (a causa della mancata presentazione di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione nei suoi confronti) (3).

3.        Infatti, nella sentenza di principio Repubblica ceca/Commissione (4), la Corte ha considerato che, quando uno Stato membro è in disaccordo con la Commissione in merito ai suoi obblighi in materia di risorse proprie, non è possibile proporre un ricorso di annullamento, né la Commissione può essere tenuta a proporre un ricorso per inadempimento. Tuttavia, lo Stato membro può chiedere un risarcimento danni fondato sull’arricchimento senza causa dell’Unione e proporre ricorso dinanzi al Tribunale a tal fine.

4.        In pratica, quindi, uno Stato membro deve accreditare l’importo contestato delle risorse proprie dell’Unione sul conto della Commissione per evitare di dover pagare gli interessi di mora nel caso in cui perda la causa. Dopodiché, quando chiede la restituzione di tale importo mediante il ricorso fondato sull’arricchimento senza causa dell’Unione europea, lo Stato membro può dimostrare che la Commissione era in errore.

5.        È quanto ha fatto la Repubblica ceca. Ora che l’ostacolo procedurale è stato superato, la questione di merito che la Corte deve affrontare in sede di impugnazione è se le norme dell’Unione in materia di bilancio siano state interpretate correttamente da detto Stato membro oppure dalla Commissione.

6.        Con la sentenza del Tribunale dell’11 maggio 2022, Repubblica ceca/Commissione (T‑151/20, EU:T:2022:281; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), il Tribunale ha accolto, in parte, il ricorso della Repubblica ceca fondato sull’arricchimento senza causa. Il Tribunale ha sostanzialmente ritenuto che la Repubblica ceca potesse essere esonerata dall’obbligo di versare determinati importi di risorse proprie di cui si era constatata l’impossibilità del recupero, e che fosse autorizzata ad attendere una relazione di missione da parte dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (5) prima di adottare le misure necessarie per iscrivere tali importi nella contabilità pertinente.

7.        In sede di impugnazione, la Commissione sostiene che la Repubblica ceca era tenuta, in base al diritto dell’Unione, a pagare tutti gli importi contestati e che non vi è stato alcun arricchimento senza causa dell’Unione europea.

8.        La presente causa solleva quindi importanti questioni di principio e pratiche riguardanti gli obblighi degli Stati membri ai sensi del diritto dell’Unione sulle risorse proprie. Le questioni principali sono essenzialmente due. La prima richiede un’interpretazione del diritto dell’Unione pertinente al fine di determinare se la contabilizzazione tardiva di uno Stato membro impedisca a tale Stato membro di essere esonerato dall’obbligo di mettere a disposizione risorse proprie. La seconda verte sulla valutazione se la Repubblica ceca, nelle circostanze particolari del caso di specie, abbia tardivamente accertato e iscritto i diritti dell’Unione perché ha atteso la relazione di missione dell’OLAF.

II.    Contesto

A.      Sistema delle risorse proprie dell’Unione e diritto pertinente dell’Unione

9.        L’Unione europea si basa su un bilancio in pareggio finanziato principalmente con risorse proprie. Le risorse proprie dell’Unione sono essenzialmente entrate che confluiscono automaticamente nel bilancio dell’Unione, senza che sia necessaria una decisione successiva da parte delle autorità degli Stati membri (6).

10.      Esistono diversi tipi di risorse proprie dell’Unione, tra cui le risorse proprie tradizionali (in prosieguo: le «RPT»), che sono principalmente i dazi doganali sui prodotti importati da paesi terzi (7). Le RPT costituiscono una fonte diretta di entrate per l’Unione europea, che non dipende dai contributi degli Stati membri (8). Esse sono definite totalmente dal legislatore dell’Unione (9) e gli obblighi degli Stati membri nella riscossione e nel trasferimento di tali risorse sono di natura puramente esecutiva (10).

11.      Tuttavia, poiché l’Unione europea non dispone di propri esattori, gli Stati membri sono tenuti a riscuotere i diritti doganali e a versarli («metterli a disposizione», secondo la terminologia della normativa dell’Unione) al bilancio dell’Unione depositandoli su un conto intestato alla Commissione (con la possibilità di trattenere una certa percentuale per le spese di riscossione).

12.      Quindi, in breve, le RPT sono denaro dell’Unione, ma l’Unione europea deve fare affidamento sugli Stati membri per ottenerle.

13.      Di conseguenza, il sistema delle risorse proprie dell’Unione è disciplinato da un quadro giuridico specifico dell’Unione (11), su cui è imperniata la presente causa. In tale sistema, gli Stati membri non hanno alcun potere discrezionale e devono mettere a disposizione le risorse proprie secondo le regole (comprese le scadenze) stabilite dalla normativa dell’Unione relativa alle risorse proprie (12).

14.      Per la presente causa sono pertinenti le decisioni 2000/597 (13) e 2007/436 (14), nonché il regolamento n. 1150/2000 (15).

15.      Il regolamento 1150/2000 stabilisce le norme relative alla messa a disposizione della Commissione delle risorse proprie. Ciò avviene in tre fasi. In primo luogo, uno Stato membro deve accertare i diritti dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2 di detto regolamento. In secondo luogo, lo Stato membro in questione deve riportare tali diritti nella contabilità ai sensi dell’articolo 6 del regolamento. In terzo luogo, ai sensi degli articoli 9 e 10 di detto regolamento, lo Stato membro deve mettere a disposizione della Commissione l’importo stabilito, accreditando sul conto della Commissione l’importo corrispondente a tali diritti.

16.      Per quanto riguarda l’accertamento dei diritti, l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000 stabilisce un collegamento con la normativa doganale dell’Unione. Esso prevede che il diritto dell’Unione europea alle RPT sia accertato «non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo» (16). Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, di detto regolamento, la data da considerare per l’accertamento è «la data della registrazione prevista dalla normativa doganale».

17.      Con riferimento alla contabilizzazione dei diritti, l’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000 impone agli Stati membri di tenere una contabilità delle risorse proprie (17). Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, dello stesso regolamento, entro il termine stabilito (18), gli Stati membri devono iscrivere le RPT in una delle due contabilità. In una situazione regolare, ossia quando hanno riscosso gli importi dovuti o hanno ricevuto una garanzia dal debitore, essi iscrivono il diritto nella contabilità normale, denominata «contabilità A». Tuttavia, se gli importi non sono stati recuperati dal soggetto passivo o garantiti, o se gli importi garantiti sono stati contestati e potrebbero essere soggetti a modifiche, gli Stati membri iscrivono i diritti dell’Unione in una contabilità separata, denominata «contabilità B».

18.      Per quanto riguarda la messa a disposizione della Commissione delle risorse proprie, l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000 dispone che le risorse proprie siano accreditate dagli Stati membri sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione secondo le modalità definite dall’articolo 10. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, di detto regolamento, dopo la deduzione delle spese di riscossione, l’iscrizione delle risorse proprie dalla contabilità A al conto della Commissione deve essere effettuata entro un termine basato sulla data di constatazione dei diritti, mentre per le risorse proprie dalla contabilità B, l’iscrizione deve essere effettuata entro un termine basato sulla data della riscossione dei diritti. Ai sensi dell’articolo 11 del medesimo regolamento, ogni ritardo nella messa a disposizione della Commissione delle risorse proprie dà luogo al pagamento di interessi di mora.

19.      L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000, impone agli Stati membri di «prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento».

20.      Tuttavia, per i diritti riportati nella contabilità B, l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, prevede che gli Stati membri siano «dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano irrecuperabili: a) o per cause di forza maggiore; b) o per altri motivi che non sono loro imputabili».

21.      Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, gli importi dei diritti accertati sono considerati irrecuperabili «al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data in cui l’importo è stato accertato a norma dell’articolo 2» oppure, in caso di ricorso, dalla pronuncia, dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva. Tali importi irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità B (19).

22.      Ai sensi della procedura definita all’articolo 17, paragrafi 3 e 4, del regolamento 1150/2000, gli Stati membri sono tenuti a riferire alla Commissione nei casi in cui gli importi irrecuperabili siano superiori a EUR 50 000 (spesso indicati come relazioni di inesigibilità). La Commissione deve quindi trasmettere le sue osservazioni, al fine di valutare la giustificazione dello Stato membro per la dispensa di cui all’articolo 17, paragrafo 2, come avvenuto nella presente causa.

B.      Fatti che hanno condotto al procedimento dinanzi al Tribunale

23.      La presente causa sorge da una controversia tra la Repubblica ceca e la Commissione in merito al fatto che tale Stato membro ha tardivamente accertato determinati importi corrispondenti a risorse proprie dell’Unione europea, in quanto era in attesa di informazioni dall’OLAF. Di seguito è riportata la sequenza di eventi che hanno portato alla presente causa.

24.      Nel 2001 l’Unione Europea ha imposto dazi antidumping sugli accendini tascabili provenienti dalla Cina (20). Di conseguenza, si sono verificati tentativi di eludere tali dazi cercando di importare nell’Unione Europea, in violazione del diritto dell’Unione, accendini con origini falsamente dichiarate da una serie di Paesi del Sud-Est asiatico, tra cui il Laos.

25.      La Baide Lighter Industry (LAO) Co., Ltd. è una società del Laos che ha importato accendini tascabili nell’Unione europea attraverso la sua società europea, Baide International (Europe) s.r.o., con sede a Praga (Repubblica ceca). Mi riferirò collettivamente a dette società come la «Baide».

26.      Il 22 marzo 2006 le autorità ceche hanno elaborato un profilo di rischio (in prosieguo: il «profilo di rischio»), che indicava l’esistenza di un ragionevole sospetto di elusione della normativa doganale in relazione alle importazioni di accendini e hanno imposto controlli interni.

27.      Il 13 aprile 2006 le autorità ceche hanno inviato una lettera all’OLAF, fornendo informazioni sui casi di importazione di accendini e indicando i sospetti di frode da parte di alcune società, tra cui la Baide.

28.      Il 28 agosto 2006 le autorità ceche hanno avviato un’indagine sulla Baide.

29.      Il 2 novembre 2006 le autorità ceche hanno aggiornato il profilo di rischio.

30.      Il 20 dicembre 2006 l’OLAF ha avviato un’indagine sulle importazioni di accendini dal Laos per il periodo dal 2004 al 2006.

31.      Il 30 aprile 2007 l’OLAF ha adottato una comunicazione di cooperazione reciproca, inviata agli Stati membri per avvisarli del sospetto di frode e richiedere ulteriori informazioni.

32.      Dal 2 al 26 novembre 2007 una missione dell’Unione si è recata in Laos e Thailandia per indagare sulla presunta elusione dei dazi antidumping sugli accendini importati dal Laos nell’Unione europea per il periodo dal 2004 al 2007 (in prosieguo: la «missione»). La delegazione dell’Unione in missione era composta da funzionari dell’OLAF e delle autorità doganali della Repubblica ceca, della Germania e del Regno Unito, i tre Stati membri considerati principalmente interessati da tale traffico.

33.      Durante la missione, il 15 novembre 2007, i membri della delegazione dell’Unione in missione e le autorità del Laos hanno redatto e firmato il verbale congiunto concordato (in prosieguo: il «verbale congiunto») (21). Detto verbale descriveva il contesto e i risultati della missione e comprendeva una serie di documenti allegati.

34.      In particolare, il verbale congiunto faceva riferimento all’indagine preliminare condotta dalle autorità laotiane prima della missione, che ha concluso che 96 dei 110 carichi inclusi nell’elenco delle importazioni dell’Unione europea erano riesportazioni di accendini cinesi importati, mentre i restanti 14 carichi erano costituiti da accendini originari del Laos. Il verbale altresì menzionava ulteriori informazioni e documenti ottenuti dalle autorità laotiane e in occasione della visita alla sede della Baide in Laos. Esso inoltre indicava che era stato concordato che le autorità del Laos avrebbero condotto un’ulteriore indagine su alcuni carichi aggiuntivi identificati nel corso della missione e che la delegazione dell’Unione europea avrebbe presentato una nuova richiesta a talune autorità del Laos per reperire le dichiarazioni doganali relative a tutti i carichi in questione.

35.      Dopo il rientro della missione, l’OLAF aveva concordato di trasmettere alla Repubblica ceca all’inizio del 2008 gli elementi di prova raccolti durante la missione. Tuttavia, l’OLAF ha tardato a trasmettere la sua relazione, alla quale erano allegati detti elementi.

36.      Il 6 maggio 2008 la Baide ha cessato la sua attività nella Repubblica ceca.

37.      Il 30 maggio 2008 l’OLAF ha adottato una relazione sulla missione (in prosieguo: la «relazione di missione dell’OLAF»). Detta relazione conteneva una sintesi della missione, i risultati e le raccomandazioni dell’OLAF, ed era accompagnata dagli elementi di prova raccolti nel corso della missione.

38.      In particolare, la relazione di missione dell’OLAF riassumeva le informazioni ricevute durante la missione e indicava che le informazioni disponibili in Laos, insieme a quelle fornite dagli Stati membri, avevano permesso all’OLAF di allestire una serie completa di controlli per 67 carichi importati nell’Unione europea. La suddetta relazione concludeva che la Baide importava accendini dalla Cina in Laos e li riesportava nell’Unione europea attraverso la Thailandia, eludendo così i dazi antidumping.

39.      Le raccomandazioni dell’OLAF in tale relazione enunciavano, nella parte pertinente, quanto segue: «Gli elementi di prova dell’origine cinese accertati nel corso della missione ispettiva bastano a far sì che gli Stati membri avviino un procedimento amministrativo di accertamento fiscale».

40.      Il 9 luglio 2008 la relazione di missione dell’OLAF è stata notificata alla Repubblica ceca.

41.      Il 4 agosto 2008, la Repubblica ceca, in risposta a una sua richiesta, ha ricevuto la versione in lingua ceca della relazione di missione dell’OLAF.

42.      L’11 agosto 2008 si è tenuta una riunione delle autorità ceche sulle azioni da intraprendere. Lo stesso giorno, le autorità ceche hanno effettuato un’ispezione nei locali della Baide a Praga, appurando che la società si era cancellata e trasferita dal 6 maggio 2008.

43.      A partire dal settembre 2008, le autorità ceche hanno adottato, con scarso successo, misure per procedere alla rettifica e al recupero fiscale dei dazi in 28 casi di importazioni di accendini da parte della Baide nella Repubblica ceca, immessi in libera pratica tra il 26 settembre 2005 e il 1º marzo 2007.

44.      Tra il 22 settembre 2008 e il 18 febbraio 2009, la Repubblica ceca ha accertato i dazi dovuti dalla Baide e, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 1150/2000, ha iscritto nella contabilità B gli importi corrispondenti ai diritti accertati ma non ancora recuperati in relazione a tali casi.

45.      Il 10 dicembre 2008 l’OLAF ha adottato una relazione finale sull’indagine relativa alle importazioni di accendini dal Laos per il periodo dal 2004 al 2006 (in prosieguo: la «relazione finale dell’OLAF»). Essa riassumeva il contesto e i risultati della missione e riportava la valutazione giuridica e le conclusioni dell’OLAF.

46.      Tra il novembre 2013 e il novembre 2014, la Repubblica ceca ha presentato alla Commissione le relazioni relative ai 28 casi in cui tale Stato membro, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, riteneva di dover essere dispensato dall’obbligo di mettere tali importi a disposizione della Commissione, stante l’impossibilità del recupero.

47.      Dopo alcuni scambi di informazioni, il 20 gennaio 2015 la Commissione ha inviato una lettera alla Repubblica ceca, esponendo la propria posizione secondo cui nei 28 casi non erano soddisfatte le condizioni previste all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000. La Commissione ha chiesto a detto Stato membro di accreditare sul suo conto l’importo di 53 976 340 corone ceche (CZK) (circa EUR 2 112 708).

48.      Il 17 marzo 2015 la Repubblica ceca, dopo aver espresso delle riserve, ha versato il 75% di tale importo (CZK 40 482 255, pari a circa EUR 1 584 531) sul conto della Commissione, previa deduzione del 25% per le spese di riscossione (22).

C.      Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

49.      Il 16 marzo 2020, la Repubblica ceca ha presentato al Tribunale un ricorso basato sull’arricchimento senza causa dell’Unione europea, chiedendo la restituzione di tale importo.

50.      Il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia sono intervenuti a sostegno delle conclusioni della Repubblica ceca.

51.      Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto il ricorso della Repubblica ceca per una parte di tale importo.

52.      In primo luogo, il Tribunale ha statuito che la Repubblica ceca poteva invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 per essere dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi in questione, indipendentemente dalla questione se tale Stato membro avesse omesso di provvedere tempestivamente all’iscrizione nella contabilità B secondo i termini previsti dall’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del detto regolamento. Il Tribunale ha altresì ritenuto che la Repubblica ceca avesse effettuato tempestivamente tale iscrizione, in quanto detti termini dovevano essere calcolati a partire dalla data in cui i diritti erano stati effettivamente accertati, e non dalla data in cui avrebbero dovuto essere accertati (punti da 85 a 93 della sentenza impugnata).

53.      In secondo luogo, il Tribunale ha statuito che la Repubblica ceca poteva accertare i dazi doganali dovuti dalla Baide solo dopo aver ricevuto la relazione di missione dell’OLAF, e che tale Stato membro non fosse tenuto a farlo al rientro della missione. Il Tribunale ha ritenuto che la Repubblica ceca avesse il diritto di attendere tale relazione senza dover chiedere gli elementi di prova raccolti durante la missione prima di ciò, poiché l’OLAF aveva concordato di trasmettere tali elementi di prova all’inizio del 2008, ma aveva tardato a farlo, e l’OLAF era nella posizione migliore per analizzare e verificare tali elementi di prova (punti da 94 a 126 della sentenza impugnata).

54.      In terzo luogo, il Tribunale ha statuito che la cessazione dell’attività della Baide nella Repubblica ceca costituiva un motivo non imputabile a tale Stato membro ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, che l’ha dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione gli importi controversi, non essendo più possibile il sequestro del patrimonio nel suo territorio (paragrafi da 127 a 137 della sentenza impugnata).

55.      In quarto luogo, il Tribunale ha ritenuto, tuttavia, che la Repubblica ceca fosse tenuta, ai sensi del diritto dell’Unione, a costituire una garanzia per i dazi antidumping dovuti dalla Baide a partire dall’adozione del profilo di rischio il 22 marzo 2006. Su tale base, il Tribunale ha concluso che vi era stato un arricchimento senza causa dell’Unione Europea per quanto riguarda 12 dei 28 casi di importazioni effettuate prima di tale data, ma non per i 16 casi effettuati successivamente (paragrafi da 145 a 196 della sentenza impugnata).

D.      Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

56.      Con impugnazione depositata il 22 luglio 2022, la Commissione chiede alla Corte di annullare il primo punto del dispositivo della sentenza impugnata, di respingere il ricorso e di condannare la Repubblica ceca alle spese o, in subordine, di rinviare la causa al Tribunale affinché si pronunci sui motivi non ancora esaminati, riservando le spese.

57.      Nella sua comparsa di risposta depositata l’8 novembre 2022, la Repubblica ceca chiede alla Corte di respingere l’impugnazione in quanto irricevibile o, in subordine, in quanto infondata e di condannare la Commissione alle spese.

58.      La Commissione e la Repubblica ceca hanno inoltre depositato una replica e controreplica, rispettivamente, il 13 marzo 2023 e il 21 aprile 2023.

59.      Il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia chiedono alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la Commissione alle spese.

60.      Con decisione del 13 febbraio 2023, il Presidente della Corte di giustizia ha autorizzato il Regno dei Paesi Bassi a intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica ceca.

61.      Il 10 gennaio 2024 si è svolta un’udienza, nel corso della quale la Commissione, la Repubblica ceca, nonché i governi belga, dei Paesi Bassi e polacco hanno svolto le proprie osservazioni orali.

III. Analisi

62.      Il ricorso basato sull’arricchimento senza causa dell’Unione europea è stato definito dalla Corte nell’ambito della responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea (23).

63.      Affinché un siffatto ricorso possa essere accolto, la Repubblica ceca, in qualità di ricorrente, deve fornire la prova dell’arricchimento, senza una valida base giuridica, dell’Unione europea e del proprio impoverimento correlato all’arricchimento stesso (24).

64.      Nel presente procedimento è pacifico che l’Unione europea si è arricchita con il correlativo impoverimento della Repubblica ceca, dal momento che tale Stato membro ha versato l’importo controverso a titolo di risorse proprie dell’Unione, benché non concordasse con la Commissione riguardo all’obbligo di effettuarlo. Il punto centrale della controversia nel caso di specie è, piuttosto, se esistesse una valida base giuridica per un siffatto pagamento.

65.      Se la Repubblica ceca potesse invocare con successo l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, non vi sarebbe una valida base giuridica che imponga il pagamento. In tal caso l’Unione europea si sarebbe arricchita senza causa e dovrebbe restituire l’importo in questione.

66.      Il Tribunale ha ritenuto che la Repubblica ceca potesse invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 per chiedere la restituzione di parte dell’importo accreditato al bilancio dell’Unione.

67.      In sede di impugnazione, la Commissione sostiene che la Repubblica ceca ha tardivamente accertato e iscritto gli importi, per cui non poteva invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000. Pertanto, tale Stato membro non è stato esentato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione tutti gli importi controversi e non deve essere restituito nessun importo.

68.      La Commissione deduce due motivi di impugnazione. Il primo motivo si basa sull’errata interpretazione da parte del Tribunale dell’articolo 6, paragrafo 3, e dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000. Il secondo motivo si basa sull’errata interpretazione da parte di detto giudice dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000, in combinato disposto con l’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale e l’articolo 325 TFUE.

69.      In sostanza, il primo motivo contesta la conclusione del Tribunale secondo cui uno Stato membro può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, anche se l’iscrizione effettuata nella contabilità B ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), di detto regolamento è stata tardiva. Il secondo motivo contesta la conclusione del Tribunale secondo cui la Repubblica ceca aveva effettuato tempestivamente l’iscrizione, in quanto essa era legittimata ad attendere la relazione di missione dell’OLAF.

70.      La Repubblica ceca, sostenuta dai governi belga, dei Paesi Bassi e polacco, sostiene che il ricorso presentato dalla Commissione dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile e, in ogni caso, infondato.

71.      Illustrerò innanzitutto le ragioni per cui ritengo che gli argomenti dedotti dalla Repubblica ceca in merito alla ricevibilità del ricorso dovrebbero essere respinti (A). Dimostrerò poi perché ritengo che i motivi d’impugnazione primo (B) e secondo (C) siano fondati.

A.      Ricevibilità

72.      La Repubblica ceca sostiene che entrambi i motivi sono irricevibili, in quanto non soddisfano i requisiti procedurali, come interpretati nella giurisprudenza della Corte, relativi alla chiarezza e alla precisione dell’impugnazione e ai punti della sentenza impugnata oggetto di contestazione (25). Detto Stato membro sostiene inoltre che alcuni degli argomenti della Commissione sono nuovi e non sono stati esaminati nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale (26). In particolare, come sottolineato dalla Repubblica ceca in udienza, la Commissione avrebbe modificato la sua posizione e introdotto nuovi argomenti basati sul verbale congiunto, che essa non aveva dedotto dinanzi al Tribunale.

73.      A mio avviso, gli argomenti della Repubblica ceca devono essere respinti.

74.      In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto da tale Stato membro, entrambi i motivi dell’impugnazione indicano con precisione i punti contestati della sentenza impugnata ed espongono le ragioni per cui tali punti, secondo la Commissione, sarebbero viziati da un errore di diritto, consentendo alla Corte di esercitare il suo potere di sindacato della legittimità.

75.      In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica ceca, nell’impugnazione la Commissione non ha sollevato motivi nuovi di diritto. A tal proposito, dai punti 94, 95 e 104 della sentenza impugnata, nonché dalle memorie scritte della Commissione e della Repubblica ceca nel procedimento dinanzi al Tribunale (27), risulta che la Commissione si è basata sul verbale congiunto per sostenere dinanzi al Tribunale che la Repubblica ceca disponeva di informazioni sufficienti per accertare l’obbligazione doganale al più tardi al rientro dalla missione. Gli argomenti fatti valere in sede di impugnazione, con cui la Commissione cerca di dimostrare che il Tribunale ha errato nel ritenere che la Repubblica ceca, ai fini dell’accertamento degli importi, potesse attendere fino alla consegna della relazione di missione dell’OLAF, costituiscono un ampliamento di un motivo di diritto sollevato dinanzi al Tribunale e non un motivo nuovo sollevato per la prima volta in sede di impugnazione.

76.      Concludo pertanto a favore della ricevibilità dell’impugnazione.

B.      Sul primo motivo di impugnazione

77.      Con il primo motivo, la Commissione contesta al Tribunale di aver interpretato erroneamente, ai punti da 85 a 93 della sentenza impugnata, l’articolo 6, paragrafo 3, e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000.

78.      Il fulcro dell’argomentazione della Commissione è che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che uno Stato membro possa invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, pur avendo effettuato tardivamente l’iscrizione dei diritti nella contabilità B ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, di detto regolamento.

79.      La Repubblica ceca, sostenuta dai governi belga, dei Paesi Bassi e polacco, sostiene che l’interpretazione data dalla Commissione della relazione tra l’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 non è corroborata dalla formulazione e dagli scopi di dette disposizioni. Secondo tali Stati membri, un’iscrizione tardiva nella contabilità B non può avere automaticamente l’effetto di escludere uno Stato membro dal ricorso all’articolo 17, paragrafo 2. Ciò sarebbe in contrasto con l’intenzione del legislatore dell’Unione soggiacente a tale disposizione.

80.      A mio avviso, l’interpretazione della relazione tra l’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 dipende dal momento in cui si considera tardiva l’iscrizione di un diritto. Se l’iscrizione è tardiva quando uno Stato membro non l’ha effettuata prima per propria mancanza, non vi è motivo di permettere a tale Stato membro di invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000. In base a quest’ultima disposizione, uno Stato membro può essere dispensato dall’obbligo di accreditamento a favore del bilancio dell’Unione solo se il debito si dimostri irrecuperabile per motivi non imputabili a tale Stato membro (28).

81.      Analizzerò innanzitutto la questione del momento in cui uno Stato membro debba essere considerato in ritardo nell’iscrizione di un diritto e, pertanto, gli sia imputabile la violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento 1150/2000. Passerò quindi alla relazione tra l’articolo 6, paragrafo 3, e l’articolo 17, paragrafo 2, di detto regolamento, e all’esame della questione se un’iscrizione tardiva precluda a uno Stato membro la possibilità di avvalersi dell’articolo 17, paragrafo 2, per essere dispensato dai propri obblighi.

1.      Quando uno Stato membro sia in ritardo con l’iscrizione dei diritti

82.      Secondo la Commissione, l’iscrizione è tardiva se è stata effettuata dopo il termine calcolato dal momento in cui lo Stato membro avrebbe dovuto accertare il diritto. Secondo la Repubblica ceca e gli Stati membri intervenienti, invece, il termine per l’iscrizione può iniziare a decorrere solo dal momento in cui lo Stato membro ha effettivamente accertato il diritto.

83.      Innanzitutto, è evidente dal testo del regolamento 1150/2000 e dalla giurisprudenza della Corte che l’accertamento e l’iscrizione dei diritti sono strettamente collegati (29).

84.      Dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), del regolamento 1150/2000, consegue che i diritti dovrebbero essere riportati nella contabilità appropriata al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento. Il termine per l’iscrizione del diritto inizia quindi a decorrere dal momento in cui il diritto viene accertato.

85.      Se, durante questo periodo, lo Stato membro riscuote i dazi o ottiene una garanzia per gli stessi, tali diritti sono iscritti nella contabilità A. Se, al contrario, lo Stato membro non riesce a riscuotere il credito o se il credito è contestato, tali diritti sono iscritti nella contabilità B. A decorrere dal momento dell’iscrizione del diritto nella contabilità B, lo Stato membro, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000, ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tentare di recuperare il debito e di mettere a disposizione della Commissione l’importo corrispondente.

86.      Il termine per l’iscrizione dei diritti nella contabilità A o B è lo stesso e decorre dal mese in cui il diritto è stato accertato. Il termine dipende quindi dall’articolo 2 del regolamento 1150/2000, che stabilisce il momento in cui i diritti devono essere accertati.

87.      Ricordo che l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000 prevede che i diritti sulle risorse proprie debbano essere accertati «non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo». A sua volta, l’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, prevede che i dazi doganali debbano essere «calcolat[i] dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari» (30).

88.      Secondo la giurisprudenza, quindi, il diritto è accertato a partire dal momento in cui le autorità doganali dello Stato membro sono in grado, in primo luogo, di calcolare l’importo dei dazi risultanti da un’obbligazione doganale  e, in secondo luogo, di individuare il soggetto passivo (31).

89.      Da quanto precede si evince che uno Stato membro è in ritardo con l’iscrizione nella contabilità pertinente (A o B) e pertanto viola l’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento 1150/2000, se ha tardivamente accertato il diritto. Lo Stato membro è, a sua volta, in ritardo nell’accertamento del diritto quando, pur disponendo di informazioni sufficienti (per calcolare l’importo e individuare il soggetto passivo), non ha accertato il diritto.

90.      Di conseguenza, la formulazione e l’impianto del regolamento 1150/2000 suggeriscono che l’interpretazione corretta è quella proposta dalla Commissione, ossia che uno Stato membro è in ritardo con l’iscrizione dei diritti se non ha rispettato il termine calcolato dal momento in cui avrebbe dovuto accertare tali diritti, e non dal momento in cui li ha effettivamente accertati.

91.      Il governo polacco sostiene che tale approccio può dare adito a decisioni arbitrarie. Secondo tale Stato membro, una data ipotetica in cui le autorità nazionali avrebbero dovuto accertare l’obbligazione doganale sarebbe impossibile da rispettare nella pratica.

92.      Non concordo con la tesi del governo polacco, secondo cui la determinazione del momento in cui lo Stato membro avrebbe dovuto accertare il diritto sarebbe arbitraria. Essa si basa sulla constatazione della disponibilità di informazioni sufficienti (sull’importo e sul soggetto passivo) da parte dello Stato membro nel momento in cui si ritiene che questo avrebbe dovuto accertare il diritto. Se lo Stato membro non disponeva, né poteva disporre, di informazioni sufficienti, esso non è dunque tenuto ad accertare il diritto, poiché l’obbligo sorge solo nel momento in cui lo Stato membro dispone di informazioni sufficienti.

93.      Tuttavia, se si può dimostrare che uno Stato membro disponeva o avrebbe potuto disporre, agendo prontamente, di tutte le informazioni necessarie, ma non ha agito, sussiste un ritardo nell’accertamento del diritto, e quindi anche nella sua iscrizione. Se lo Stato membro è rimasto passivo nell’acquisire le informazioni necessarie, non può sostenere di non aver potuto accertare il diritto prima.

94.      Tale interpretazione è conforme alla necessità di interpretare rigidamente gli obblighi degli Stati membri relativamente all’accertamento e all’iscrizione dei diritti dell’Unione sulle risorse proprie, a causa della vulnerabilità del sistema delle risorse proprie dell’Unione, che dipende interamente dalla cooperazione proattiva degli Stati membri (32).

95.      L’interpretazione secondo cui il termine entro il quale uno Stato membro deve iscrivere i diritti sulle risorse proprie va calcolato a partire dal momento in cui i diritti avrebbero dovuto essere accertati, e non da quello in cui sono stati effettivamente accertati, è corroborata anche da una giurisprudenza risalente nel tempo (33). Al riguardo, la Corte ha statuito che, anche se un errore commesso dalle autorità doganali di uno Stato membro fa sì che il soggetto passivo non debba pagare i dazi doganali in questione, ciò non pregiudica l’obbligo di tale Stato membro di pagare i dazi che avrebbero dovuto essere accertati nel contesto della messa a disposizione delle risorse proprie (34). Inoltre, la Corte ha recentemente stabilito nella causa Commissione/Regno Unito (35) che il Regno Unito non aveva contabilizzato la totalità dei dazi doganali dovuti né, di conseguenza, aveva accertato o messo a disposizione della Commissione tutte le risorse proprie relative a tali importazioni nel momento in cui avrebbero dovuto essere accertate e messe a disposizione (36).

96.      Pertanto, per quanto riguarda la questione di stabilire quando uno Stato membro abbia tardivamente iscritto taluni diritti, propongo alla Corte di accogliere l’interpretazione suggerita dalla Commissione, secondo la quale il termine per iscrivere il diritto inizia a decorrere dal momento in cui lo Stato membro avrebbe dovuto accertare il diritto, e non dal momento in cui lo ha effettivamente accertato.

2.      Se uno Stato membro possa invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 qualora abbia ha contabilizzato tardivamente i diritti?

97.      A sostegno della sua tesi secondo cui uno Stato membro non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 qualora abbia tardivamente accertato e iscritto il diritto, la Commissione si basa sulla sentenza Commissione/Italia (37). La Commissione ritiene che da tale sentenza discenda che l’articolo 17, paragrafo 2, è applicabile solo se l’intera procedura doganale è stata svolta conformemente al diritto dell’Unione, e quindi sono stati rispettati i termini per l’accertamento dei dazi doganali e per la loro iscrizione nella contabilità B.

98.      La Repubblica ceca, sostenuta dai governi belga, dei Paesi Bassi e polacco, fa valere che la citata sentenza Commissione/Italia non è applicabile al caso di specie, in quanto essa è scaturita da circostanze diverse.

99.      Sono propensa a concordare con detti Stati membri sulla tesi che la conclusione sostenuta dalla Commissione non discenda direttamente dalla sentenza Commissione/Italia.

100.  Tale sentenza è stata emessa in relazione a una situazione in cui le autorità doganali italiane avevano concesso autorizzazioni in violazione delle norme doganali dell’Unione, con conseguenti minori risorse proprie per un importo superiore a EUR 22 milioni. L’Italia ha iscritto tale importo nella contabilità B ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 1150/2000 e successivamente ha tentato di avvalersi dell’articolo 17, paragrafo 2, del medesimo regolamento, adducendo che la violazione non fosse a essa imputabile (38).

101. La Corte ha statuito che l’Italia, non avendo messo a disposizione della Commissione gli importi controversi, era inadempiente. In particolare, al punto 65 della sentenza Commissione/Italia, la Corte ha statuito che, affinché gli Stati membri siano esonerati dal loro obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati, occorre non soltanto il rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, ma anche che tali diritti siano stati iscritti regolarmente nella contabilità B. Come spiegato dalla Corte al punto 68 di tale sentenza, l’iscrizione nella contabilità B corrisponde a una situazione eccezionale. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto, al punto 69 della sentenza, che, «per poter beneficiare di una simile situazione eccezionale, è necessario che l’iscrizione dei diritti accertati nella contabilità B sia stata effettuata dagli Stati membri nel rispetto del diritto dell’Unione» (39).

102. Su tale base, la Corte ha rilevato che, se il comportamento delle autorità nazionali fosse stato conforme al diritto dell’Unione, i diritti sarebbero stati accertati e iscritti nella contabilità A. Pertanto, l’Italia non poteva invocare l’esistenza dei presupposti per un’iscrizione nella contabilità B, dal momento che, avendo omesso di accertare i diritti, era stata l’Italia stessa a determinare il sorgere delle condizioni per l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 1150/2000. Poiché le autorità italiane avevano irregolarmente iscritto i diritti sulle risorse proprie nella contabilità B, lo Stato convenuto non poteva beneficiare dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 (40).

103.  Pertanto, a mio avviso, la causa Commissione/Italia riguardava una situazione in cui l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 era stato ritenuto non applicabile perché i diritti erano stati erroneamente iscritti nella contabilità B mentre avrebbero dovuto essere iscritti nella contabilità A, non già perché i diritti erano stati iscritti in ritardo nella contabilità B (41).

104. Nella presente causa, non è certo che, se la Repubblica ceca avesse accertato i diritti prima, sarebbe stata in grado di iscriverli nella contabilità A. È alquanto probabile che essa sarebbe stata comunque tenuta a iscrivere i diritti nella contabilità B. Tuttavia, ciò che rende tardiva l’iscrizione nella contabilità B è che tale Stato membro è rimasto passivo nel momento in cui era possibile acquisire le informazioni necessarie per accertare i diritti.

105. Nella sentenza Commissione/Italia, la Corte non ha esaminato specificamente se l’espressione «nel rispetto del diritto dell’Unione», di cui al punto 69 della sentenza, si riferisse alla situazione in cui il diritto viene correttamente iscritto nella contabilità B, ma la stessa iscrizione sarebbe potuta avvenire prima. Tale sentenza non comporta quindi di per sé che un’iscrizione tardiva precluda automaticamente a uno Stato membro la possibilità di invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000.

106. Tuttavia, la logica della sentenza Commissione/Italia suggerisce che una corretta interpretazione della relazione tra l’articolo 6, paragrafo 3, e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 è quella secondo cui uno Stato membro che abbia tardivamente accertato e iscritto i diritti non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2.

107. La Repubblica ceca sostiene che una siffatta interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 sarebbe in contrasto con l’intenzione del legislatore dell’Unione di dispensare uno Stato membro qualora esso non sia stato la causa dell’impossibilità di recuperare i dazi e non sia stato in grado di impedire tale circostanza.

108. A mio avviso, l’intenzione sottesa all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 si fonda sul fatto che i dazi doganali sono una fonte diretta del bilancio dell’Unione, a carico degli importatori e non degli Stati membri. Questi ultimi agiscono unicamente come intermediari nella riscossione di tali entrate. Pertanto, quando l’impossibilità di riscuotere il credito è imputabile all’importatore e non allo Stato membro di importazione, il bilancio dell’Unione dovrebbe accettare la perdita.

109. Al contrario, l’articolo 17, paragrafo 2, non si riferisce a una situazione in cui l’impossibilità di riscuotere il credito è imputabile allo Stato membro, anche per la sua inattività nell’accertare e riscuotere tempestivamente il credito.

110. Come già spiegato, l’accertamento e l’iscrizione tardivi sono imputabili allo Stato membro. L’accertamento tardivo significa precisamente che uno Stato membro non ha accertato il diritto, pur essendo in grado di farlo. Lo Stato membro non può sostenere di non essere stato in grado di accertare prima il diritto se è rimasto passivo nell’acquisire le informazioni necessarie.

111. Pertanto, un’interpretazione secondo la quale uno Stato membro non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, qualora abbia tardivamente accertato e iscritto il diritto, non è in contrasto con l’intenzione del legislatore dell’Unione, come ritenuto dalla Repubblica ceca.

112. Come affermato dalla Corte, la dispensa dagli obblighi prevista dall’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 è per sua stessa natura eccezionale e uno Stato membro può avvalersene solo per un motivo non imputabile al medesimo (42). Una siffatta interpretazione restrittiva dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 è giustificata dalla necessità di incentivare gli Stati membri a procedere in modo proattivo all’accertamento e riscossione delle risorse proprie dell’Unione, atteso che tali entrate dipendono interamente dal comportamento cooperativo degli Stati membri (v. altresì paragrafo 94 delle presenti conclusioni).

113. La Commissione sostiene inoltre che, se uno Stato membro avesse il diritto di invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 anche quando il mancato accertamento del diritto è a esso imputabile, ciò avrebbe conseguenze dannose per gli interessi finanziari dell’Unione.

114. La Repubblica ceca e gli Stati membri intervenienti sostengono che tali conseguenze pregiudizievoli non sono suscettibili di verificarsi; se il mancato recupero dell’obbligazione doganale derivasse da un accertamento tardivo dei dazi doganali imputabile alle autorità nazionali, allora le condizioni di cui all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 non sarebbero soddisfatte. Quindi, il bilancio dell’Unione non subirebbe alcun pregiudizio.

115. Tale argomentazione avanzata da detti Stati membri porta a concludere che la questione se uno Stato membro possa invocare o meno l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 in caso di ritardo nell’accertamento e nell’iscrizione dei diritti non fa alcuna differenza, poiché in tale situazione lo Stato membro non potrebbe essere dispensato dall’obbligo di mettere l’importo pertinente a disposizione della Commissione. Si pone quindi la questione, tout court, del motivo per cui a uno Stato membro che abbia tardivamente accertato il diritto rispetto a quando avrebbe dovuto debba poter essere concesso di invocare l’articolo 17, paragrafo 2, se è già noto in anticipo che le condizioni imposte da tale disposizione non sono soddisfatte.

116. A mio avviso, accettare un’interpretazione secondo la quale uno Stato membro ha la facoltà di invocare l’articolo 17, paragrafo 2, anche in caso di un suo ritardo, potrebbe pregiudicare l’efficienza del sistema delle risorse proprie dell’Unione, in quanto consentirebbe di derogare all’obbligo degli Stati membri di accertare e iscrivere i diritti tempestivamente.

117. Come ulteriore argomento contro l’interpretazione proposta dalla Commissione, i governi belga e dei Paesi Bassi sottolineano che le successive modifiche alla normativa dell’Unione in virtù dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento 609/2014, che è subentrato all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 (43), avvalorano la posizione secondo cui un’iscrizione tardiva non può precludere automaticamente a uno Stato membro la possibilità di avvalersi di detta deroga.

118. Neanche il suddetto argomento mi sembra convincente.

119. L’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento 609/2014 ha introdotto un’ulteriore situazione in cui uno Stato membro può essere dispensato dagli obblighi in materia di risorse proprie. Nella sua parte pertinente esso prevede quanto segue:

«Gli Stati membri sono analogamente dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati a norma dell’articolo 2 qualora possano dimostrare che l’errore commesso dallo Stato membro dopo l’accertamento di tali diritti, per esempio, errori che comportino un’iscrizione tardiva nella contabilità separata, non ha influito sull’irrecuperabilità dell’importo corrispondente ai diritti di cui all’articolo 2» (44).

120. Come si evince dalla sua formulazione, tale disposizione riguarda gli errori amministrativi commessi dopo il corretto accertamento dei diritti. Pertanto, tale disposizione sembra riguardare una situazione diversa da quella nella presente causa, in cui è in discussione l’accertamento tempestivo.

121. Di conseguenza, tale argomentazione non inficia la conclusione secondo cui uno Stato membro che abbia tardivamente accertato e iscritto i diritti non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000.

122. Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, considero fondato il primo motivo d’impugnazione.

C.      Sul secondo motivo d’impugnazione

123. Con il secondo motivo d’impugnazione, la Commissione contesta al Tribunale di aver interpretato erroneamente, ai punti da 94 a 126 della sentenza impugnata, l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000, in combinato disposto con l’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale e l’articolo 325 TFUE, nell’affermare che la Repubblica ceca era legittimata ad attendere la relazione di missione dell’OLAF prima di procedere all’accertamento e all’iscrizione dei dazi di cui trattasi.

124. Secondo la Commissione, gli elementi di prova allegati al verbale congiunto erano sufficienti per consentire alla Repubblica ceca di accertare l’obbligazione doganale al più tardi al rientro dalla missione. Non essendo stati richiesti all’OLAF gli elementi di prova al rientro dalla missione, l’obbligazione doganale è stata tardivamente accertata e gli importi corrispondenti a tale obbligazione sono stati tardivamente iscritti nella contabilità B.

125. La Repubblica ceca, sostenuta dai governi belga, dei Paesi Bassi e polacco, afferma che essa poteva legittimamente attendersi che l’OLAF rispettasse i suoi impegni, in linea con il principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, e che non può essere a essa imputato il ritardo dell’OLAF. Secondo tale Stato membro, l’OLAF era a conoscenza del fatto che la Repubblica ceca era in attesa della valutazione e della trasmissione da parte dell’OLAF degli elementi di prova raccolti durante la missione. Pertanto, la Repubblica ceca non può essere censurata per non aver richiesto prima tali elementi di prova.

126. A mio avviso, il Tribunale ha commesso un errore di interpretazione del diritto applicabile nel ritenere che la Repubblica ceca, nelle circostanze del caso di specie, potesse attendere la relazione di missione dell’OLAF per accertare i diritti dell’Unione europea sulle risorse proprie.

127. Come indicato dalla Commissione, l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000, in combinato disposto con l’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale, impongono agli Stati membri di adottare quanto prima tutte le misure necessarie per accertare i diritti dell’Unione sulle risorse proprie.

128. Ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e completa dei dazi e, pertanto, degli importi corrispondenti delle risorse proprie (45).

129.  Da tali disposizioni si evince che l’obbligo di accertare i diritti incombe agli Stati membri.

130. La giurisprudenza della Corte conferma una siffatta posizione. In tal senso, ha statuito la Corte, «allo stato attuale del diritto dell’Unione, la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e ricade sotto la sola responsabilità di questi ultimi» (46).

131. È vero che il principio di leale cooperazione impegna gli Stati membri e l’OLAF a cooperare tra loro (47).

132. Tuttavia, il fatto che, conformemente alla pertinente normativa dell’Unione (48), l’OLAF deve informare gli Stati membri (e il Parlamento europeo) redigendo relazioni, e che tali relazioni costituiscono elementi di prova ammissibili negli Stati membri, non modifica le responsabilità che incombono agli Stati membri nel sistema delle risorse proprie dell’Unione.

133. Pertanto, l’omessa trasmissione alla Repubblica ceca da parte dell’OLAF delle informazioni necessarie, come assicurato, non può giustificare l’assenza di un atteggiamento proattivo da parte di tale Stato membro e la mancata richiesta delle suddette informazioni all’OLAF.

134. La normativa dell’Unione riguardante l’OLAF avvalora questa posizione.

135. Il regolamento n. 1073/1999 stabilisce di «conserva[re] la ripartizione e l’equilibrio delle responsabilità attualmente esistenti tra il livello nazionale e il livello [dell’Unione]» e che tale regolamento «lascia immutate le competenze e responsabilità degli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per combattere le frodi lesive degli interessi finanziari [dell’Unione]» (49).

136. Inoltre, l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 1073/1999 afferma che l’OLAF «può trasmettere in qualsiasi momento alle autorità competenti degli Stati membri interessati le informazioni ottenute nel corso delle indagini esterne» (50).

137. Analogamente, l’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento 515/97 indica che le informazioni ottenute nel corso delle missioni devono essere trasmesse dall’OLAF alle autorità nazionali degli Stati membri, «a richiesta di questi ultimi».

138. Tutto ciò depone a favore di un’interpretazione secondo la quale uno Stato membro non può ottenere giustificazione per il fatto di aver atteso passivamente la trasmissione di informazioni da parte dell’OLAF.

139. Tale posizione è corroborata dalla giurisprudenza. Nella sentenza Commissione/Regno Unito (51), che riguardava una frode doganale su prodotti tessili e calzature provenienti dalla Cina, la Corte ha statuito che il Regno Unito aveva violato, tra l’altro, gli obblighi previsti dalla normativa sulle risorse proprie dell’Unione di mettere a disposizione della Commissione le RPT. Secondo la Corte, poiché l’applicazione della normativa doganale dell’Unione è di competenza degli Stati membri, che ne sono gli unici responsabili, il Regno Unito era tenuto ad applicare le misure adeguate, al fine di accertare correttamente tali valori e non poteva quindi trarre vantaggio dalla propria inerzia per giustificare il fatto di non avere messo a disposizione le risorse proprie. Le informazioni fornite dall’OLAF potevano costituire, tutt’al più, uno strumento supplementare, ma non si sostituivano alle informazioni che incombe agli Stati membri ottenere (52).

140. Ciò mi porta a concludere che, nelle particolari circostanze del caso di specie, la Repubblica ceca non può dedurre, per giustificare il proprio ritardo nell’accertamento e iscrizione dei diritti sulle risorse proprie, di avere atteso la relazione di missione dell’OLAF prima di adottare le misure necessarie per accertare i dazi dovuti dalla Baide.

141. Va ricordato che, secondo la sequenza degli eventi illustrata nei paragrafi da 26 a 44 delle presenti conclusioni:

– la Repubblica ceca ha adottato il profilo di rischio nel 2006, quindi era a conoscenza della sospetta evasione dei dazi antidumping dell’Unione;

– la missione del novembre 2007 ha confermato l’esistenza di frodi doganali e, come risulta dal verbale congiunto, durante la missione le autorità ceche sono state messe a conoscenza di documentazione che dimostrava che la Baide aveva evaso i dazi antidumping dell’Unione per numerose importazioni di accendini tascabili;

– la Repubblica ceca ha atteso di ricevere la relazione di missione dell’OLAF nel luglio 2008 e la versione in lingua ceca nell’agosto 2008. Come la Repubblica ceca ha confermato in udienza, essa non ha comunicato con l’OLAF per cercare di ottenere prima tali documenti. La Repubblica ceca non ha agito in alcun modo, poiché l’OLAF aveva assicurato che le informazioni sarebbero state trasmesse;

– la Repubblica ceca ha iniziato a prendere provvedimenti solo nell’agosto 2008, ossia circa nove mesi dopo la missione del novembre 2007.

– La Repubblica ceca ha accertato e iscritto i diritti dell’Unione europea sulle risorse proprie solo a partire dal settembre 2008, ossia quasi dieci mesi dopo la missione del novembre 2007.

142. In siffatte circostanze, non trovo oggettivamente ragionevole che uno Stato membro attenda almeno nove mesi dopo aver avuto la conferma che è stata commessa una frode.

143. Pertanto, la Repubblica ceca ha senza dubbio tardato nell’accertare e iscrivere i diritti sulle risorse proprie dell’Unione per il semplice fatto di aver atteso passivamente che l’OLAF fornisse le informazioni.

144. Ciò non giustifica l’OLAF per non aver trasmesso le informazioni come assicurato. Posso condividere le argomentazioni del governo belga, secondo cui non si dovrebbe consentire che i servizi della Commissione, come l’OLAF, siano negligenti nell’esercizio delle loro funzioni.

145. Tuttavia, la violazione degli obblighi da parte dell’OLAF non esime uno Stato membro dal suo obbligo di adottare tutte le misure necessarie per accertare e iscrivere tempestivamente i diritti sulle risorse proprie dell’Unione.

146. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica ceca, gli impegni assunti dall’OLAF non rilevano, in quanto non sostituiscono la responsabilità degli Stati membri di fare tutto il possibile.

147. Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, considero fondato il secondo motivo d’impugnazione.

IV.    Conseguenze

148. I motivi primo e secondo sono, a mio avviso, fondati. Pertanto, il punto 1 del dispositivo della sentenza impugnata dovrebbe essere annullato.

149. Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, la Corte di giustizia può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. Ritengo che tale condizione sussista nel caso di specie.

150. Dalla mia analisi del primo motivo d’impugnazione risulta che uno Stato membro non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, qualora abbia tardivamente accertato e iscritto i diritti. Dalla mia analisi del secondo motivo d’impugnazione risulta inoltre che, nelle particolari circostanze del caso di specie, la Repubblica ceca ha tardivamente accertato e iscritto i diritti di cui trattasi. Di conseguenza, la Repubblica ceca non può invocare l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, al fine di essere dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi controversi, e aveva l’obbligo di accreditarli sul conto della Commissione. Di conseguenza, nel caso di specie vi era una base giuridica valida per il pagamento e non sussiste arricchimento senza causa da parte dell’Unione europea. Propongo pertanto alla Corte di respingere il ricorso per arricchimento senza causa dell’Unione europea presentato dalla Repubblica ceca dinanzi al Tribunale.

V.      Sulle spese

151. Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, la Corte statuisce sulle spese.

152. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, che si applica al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di quest’ultimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha presentato domanda di condanna alle spese, e la Repubblica ceca è rimasta soccombente, la Repubblica ceca dovrebbe essere condannata a farsi carico delle proprie spese e di quelle sostenute dalla Commissione in primo grado e nel procedimento d’impugnazione.

153. Inoltre, l’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, che si applica al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, stabilisce che le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico. Di conseguenza, occorrerebbe condannare il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia a farsi carico delle proprie spese in primo grado e nel procedimento di impugnazione e il Regno dei Paesi Bassi a farsi carico delle proprie spese nel procedimento di impugnazione.

VI.    Conclusione

154. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di giustizia di:

–      ritenere fondati il primo e il secondo motivo d’impugnazione;

–      annullare il punto 1 del dispositivo della sentenza del Tribunale dell’11 maggio 2022, Repubblica ceca/Commissione (T‑151/20, EU:T:2022:281);

–      respingere il ricorso per arricchimento senza causa dell’Unione europea proposto dalla Repubblica ceca dinanzi al Tribunale;

–      condannare la Repubblica ceca a farsi carico delle spese sostenute dalla Commissione europea in primo grado e nel procedimento di impugnazione;

–      condannare il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia a farsi carico delle proprie spese in primo grado e nel procedimento di impugnazione, e il Regno dei Paesi Bassi a farsi carico delle proprie spese nel procedimento di impugnazione.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      V. ordinanza del 28 giugno 2018, Repubblica ceca/Commissione (T‑147/15, non pubblicata, EU:T:2018:395), in cui il Tribunale ha ritenuto tale ricorso irricevibile; essa è stata confermata in sede di impugnazione con la sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530).


3      V. ordinanza del 30 settembre 2020, Repubblica ceca/Commissione (T‑13/19, non pubblicata, EU:T:2020:455), seguita al ritiro di tale ricorso da parte della Repubblica ceca.


4      V. sentenza del 9 luglio 2020 (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punti da 52 a 84).


5      L’OLAF è un servizio o dipartimento della Commissione. È stato istituito nel 1999 al fine di potenziare la lotta contro le frodi e altre attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea. V, in particolare, articoli 1 e 2, e considerando da 1 a 4, della decisione 1999/352/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 28 aprile 1999, che istituisce l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (GU 1999, L 136, pag. 20).


6      Commissione europea, European Union Public Finance, 4ª ed., Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2008, pag. 135.


7      Le altre categorie di risorse proprie dell’Unione sono quelle basate sull’imposta sul valore aggiunto (IVA), sul reddito nazionale lordo (RNL) e sui rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati (introdotta nel 2021).


8      Le RPT hanno rappresentato circa il 16% delle entrate da risorse proprie nel 2022, per un valore di 23,5 miliardi di EUR. V. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Corte dei conti - Conti annuali consolidati dell’Unione per l’esercizio 2022, COM(2023) 391 final, 28 giugno 2023, punto 5.1, pag. 25 e punto 3.6.1, pag. 149.


9      A partire dalla decisione del Consiglio 70/243 CECA, CEE, Euratom, del 21 aprile 1970, relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunità (GU 1970, L 94, pag. 19).


10      V. conclusioni presentate dall’avvocato generale Geelhoed nella causa Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:142, paragrafo 11). V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Commissione/Finlandia (C‑284/05, C‑294/05, C‑372/05, C‑387/05, C‑409/05, C‑461/05 e C‑239/06, EU:C:2009:67, paragrafo 72 nota 39), in cui si osserva che i diritti doganali sono «[i]nclusi con la denominazione illustrativa di risorse proprie “tradizionali” o “per natura”, atteso che la loro percezione dipende esclusivamente dalle politiche [dell’Unione] e non dalla volontà degli Stati».


11      Nel corso degli anni, il Consiglio ha adottato decisioni che stabiliscono il sistema delle risorse proprie che, sulla base dell’attuale articolo 311, terzo comma, TFUE, devono essere approvate dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Tali decisioni sono attuate mediante regolamenti che il Consiglio adotta con il consenso del Parlamento europeo ai sensi dell’articolo 311, quarto comma, TFUE o previa consultazione del Parlamento e della Corte dei conti europea ai sensi dell’articolo 322, paragrafo 2, TFUE.


12      Nelle sentenze del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 62), e dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 345), la Corte ha sottolineato che la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e che gli obblighi di riscossione, di accertamento e di messa a disposizione delle risorse proprie incombono direttamente su di essi in forza della normativa dell’Unione in materia di risorse proprie.


13      Decisione 2000/597/CE, Euratom, del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2000, L 253, pag. 42).


14      Decisione 2007/436/CE, Euratom, del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17).


15      Regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della [decisione 2007/436], relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità (GU 2000, L 130, pag. 1), come modificato all’epoca dei fatti dal regolamento (CE, Euratom) n. 2028/2004 del Consiglio, del 16 novembre 2004 (GU 2004, L 352, pag. 1) e dal regolamento (CE, Euratom) n. 105/2009 del Consiglio, del 26 gennaio 2009 (GU 2009, L 36, pag. 1). Il regolamento 1150/2000 è stato successivamente abrogato dal regolamento (UE, Euratom) n. 609/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali, provenienti dall’IVA e basate sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria (GU 2014, L 168, pag. 39), come modificato da ultimo dal regolamento (UE, Euratom) n. 2022/615 del Consiglio, del 5 aprile 2022, al fine di migliorare la prevedibilità per gli Stati membri e di chiarire le procedure per la risoluzione delle controversie al momento della messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL (GU 2022, L 115, pag. 51).


16      L’articolo 217, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), nella versione applicabile all’epoca dei fatti, prevedeva quanto segue: «Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito denominato “importo dei dazi”, deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione)». Il suddetto regolamento è stato successivamente abrogato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), contenente disposizioni analoghe in tal senso (v. articolo 101, paragrafo 1, e articolo 104, paragrafo 1, dello stesso).


17      Il considerando 11 del regolamento 1150/2000 enuncia quanto segue: «È opportuno prevedere una contabilità separata per quanto concerne in particolare i diritti non riscossi. Tale contabilità, con trasmissione di un estratto trimestrale, deve consentire alla Commissione di seguire più da vicino l’attività degli Stati membri nel campo della riscossione delle risorse proprie e in particolare di quelle compromesse da frodi e irregolarità».


18      «al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento».


19      V. articolo 17, paragrafo 2, quinto comma, del regolamento 1150/2000.


20      Si trattava di accendini tascabili a gas, di tipo ricaricabile e non. V. regolamento (CE) n. 1824/2001 del Consiglio, del 12 settembre 2001, che impone un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di accendini tascabili a pietra focaia e a gas, non ricaricabili, originari della Repubblica popolare cinese e provenienti da Taiwan oppure originari di Taiwan e sulle importazioni di taluni accendini tascabili a pietra focaia ricaricabili originari della Repubblica popolare cinese e provenienti da Taiwan oppure originari di Taiwan (GU 2001, L 248, pag. 1).


21      Agreed Joint Minutes, Vientiane, 15 November 2007, ‘Community Mission of administrative co-operation for the Verification of origin of flint operated lighters exported from Lao P.D.R. to the European Community’, Lao P.D.R., 6 to 16 November 2007 [Verbale congiunto concordato, Vientiane, 15 novembre 2007, «Missione comunitaria di cooperazione amministrativa per la verifica dell’origine degli accendini a pietra focaia esportati dalla Repubblica Popolare Democratica del Laos nella Comunità europea»], Repubblica Popolare Democratica del Laos, 6-16 novembre 2007.


22      Successivamente, il 22 dicembre 2016, la Repubblica ceca ha versato alla Commissione un ulteriore 5% di tale importo, corrispondente alla riduzione del tasso delle spese di riscossione dal 25% al 20%, a seguito di una modifica retroattiva della normativa dell’Unione pertinente. In seguito, la Repubblica ceca ha rinunciato alla domanda di restituzione di tale importo aggiuntivo, che quindi non è in discussione nel presente procedimento. V. punti 15 e 29 della sentenza impugnata.


23      Per la prima volta, nella sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione (C‑47/07 P, EU:C:2008:726, punti da 44 a 50), la Corte ha riconosciuto che è esperibile un ricorso per arricchimento senza causa dell’Unione europea al fine di garantire un’efficace tutela giurisdizionale. Nella sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, segnatamente ai punti da 81 a 84), la Corte ha ritenuto che tale ricorso possa essere proposto in una situazione come quella del caso in esame. V. Bačić Selanec, N., «A (more) complete system of remedies: Effective judicial protection of EU Member States in Czech Republic v. Commission», Common Market Law Review, Vol. 49, n. 1, 2022, pag. 171. V. altresì, più in generale, Nowak, J., «On the incompleteness of the system of remedies established by the EU Treaties and how to proceed», EU Law Live Weekend Edition, n. 21, 2020.


24      Sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punti 82 e 83).


25      V., al riguardo, ad esempio, sentenze del 20 settembre 2016, Ledra Advertising e a./Commissione e BCE (da C‑8/15 P a C‑10/15 P, EU:C:2016:701, punto 35), e dell’8 novembre 2022, Fiat Chrysler Finance Europe/Commissione (C‑885/19 P e C‑898/19 P, EU:C:2022:859, punto 52).


26      Per giurisprudenza che confermi che in sede di impugnazione la Corte non può esaminare motivi nuovi, v., ad esempio, sentenze del 30 gennaio 2019, Belgio/Commissione (C‑587/17 P, EU:C:2019:75, punti 39 e 40), e del 9 dicembre 2020, Groupe Canal +/Commissione (C‑132/19 P, EU:C:2020:1007, punto 28).


27      Mi riferisco, a tale proposito, al controricorso della Commissione (paragrafi da 70 a 72), alla replica della Repubblica ceca (paragrafi 50 e 52), alla controreplica della Commissione (paragrafi 36, 37, 40 e 44), alle osservazioni della Commissione sulla memoria d’intervento del Belgio (paragrafo 19), alle osservazioni della Commissione sulla memoria d’intervento della Polonia (paragrafi 7, 10 e 16) e alle osservazioni della Repubblica ceca sulla memoria d’intervento del Belgio (paragrafo 18).


28      Tale posizione è sostenuta dalla giurisprudenza secondo cui uno Stato membro che ometta di accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie e mettere il relativo importo a disposizione della Commissione, senza che ricorra uno dei requisiti previsti dall’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione. V., ad esempio, sentenze del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 68), e del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 67).


29      Secondo la giurisprudenza, vi è «un nesso indissolubile» fra l’obbligo di accertare le risorse proprie dell’Unione, l’obbligo di accreditarle sul conto della Commissione entro i termini stabiliti e quello di versare gli interessi di mora. V., ad esempio, sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punto 17), e dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 399).


30      Il corsivo è mio. V. paragrafo 16 delle presenti conclusioni e relativa nota a piè di pagina.


31      V., ad esempio, sentenze del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punti da 58 a 61 e 68), e del 1º luglio 2010, Commissione/Germania (C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 76).


32      V., al riguardo, conclusioni presentate dall’avvocato generale Geelhoed nella causa Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:142, paragrafo 58). V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Darmon nella causa, Commissione/Italia (C‑54/87, EU:C:1988:537, paragrafo 4), e conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Commissione/Finlandia (C‑284/05, C‑294/05, C‑372/05, C‑387/05, C‑409/05, C‑461/05 e C‑239/06, EU:C:2009:67, paragrafo 94).


33      V., ad esempio, sentenza del 10 gennaio 1980, Commissione/Italia (267/78, EU:C:1980:6, punto 15). Per una panoramica della giurisprudenza in materia, v. conclusioni presentate dall’avvocato generale Geelhoed nella causa Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:142, in particolare i paragrafi da 53 a 59).


34      V., ad esempio, sentenze del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 63); del 19 marzo 2009, Commissione/Italia (C‑275/07, EU:C:2009:169, punto 100); del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo (C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 60); e del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito (C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punto 45).


35      V. sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 347).


36      L’avvocato generale Geelhoed ha inoltre osservato nelle conclusioni presentate nella causa Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:142, paragrafo 56) che determinare la data dal momento in cui i diritti sono stati effettivamente accertati invece che dal momento in cui avrebbero dovuto essere accertati sarebbe incompatibile con il sistema delle risorse proprie dell’Unione.


37      Sentenza dell’8 luglio 2010 (C‑334/08, EU:C:2010:414; in prosieguo: la sentenza «Commissione/Italia»).


38      V. sentenza Commissione/Italia, punti da 13 a 19.


39      Il corsivo è mio.


40      V. sentenza Commissione/Italia, punti da 70 a 73. V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑334/08, EU:C:2010:187, paragrafi da 68 a 78, in particolare paragrafo 76: «L’iscrizione nella contabilità B non è infatti possibile qualora sia lo stesso Stato membro a determinare l’insorgere dei presupposti per tale tipo di registrazione. Tale conclusione corrisponde al principio di diritto secondo cui nessuno può trarre vantaggio da un proprio comportamento contrario a buona fede»).


41      V. altresì, al riguardo, sentenza del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito (C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, in particolare i punti da 51 a 54), in cui la Corte ha fatto riferimento ai punti 61 e 65 della sentenza Commissione/Italia nel constatare che il Regno Unito non poteva avvalersi dell’esenzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento 1150/2000 in una situazione in cui esso non aveva affatto iscritto i diritti nella contabilità B.


42      V. sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 381).


43      V. nota 15 delle presenti conclusioni.


44      Il corsivo è mio.


45      V., ad esempio, sentenze del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C‑612/15, EU:C:2018:392, punti 51 e 52), e dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punti 346 e 359).


46      Sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 345). Il corsivo è mio.


47      Secondo la giurisprudenza, l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 1150/2000 costituisce un’espressione specifica del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE. V. sentenze del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania (C‑105/02, EU:C:2006:637, punto 87), e del 5 ottobre 2006, Commissione/Belgio (C‑377/03, EU:C:2006:638, punto 93). Lo stesso vale per l’articolo 325, paragrafo 3, TFUE che invita gli Stati membri a «coordina[re] la loro azione diretta a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione contro la frode», e «organizza[re], assieme alla Commissione, una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti». V. sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 261).


48      V., al riguardo, articoli 20 e 21 del regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio, del 13 marzo 1997, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola (GU 1997, L 82, pag. 1); articolo 9 e considerando 13 e 16 del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (GU 1999, L 136, pag. 1). Quest’ultimo regolamento è stato successivamente abrogato dal regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 settembre 2013, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (GU 2013, L 248, pag. 1).


49      Considerando 3 e 21 del regolamento n. 1073/1999. Una formulazione simile compare, rispettivamente, nei considerando 2 e 49 del regolamento 883/2013. V. altresì considerando 2 della decisione 1999/352, che ribadisce la necessità di «conserva[re] la ripartizione e l’equilibrio attuali delle responsabilità attualmente esistenti tra il livello nazionale e il livello [dell’Unione]».


50      Il corsivo è mio. V. altresì considerando 15 del regolamento 1073/1999. Una formulazione simile compare rispettivamente nell’articolo 12, paragrafo 1, e nel considerando 35 del regolamento 883/2013.


51      V. sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione (C‑213/19, EU:C:2022:167, in particolare punti 404 e 533).


52      V. sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione) (C‑213/19, EU:C:2022:167, in particolare punti 374, 377, 378 e da 392 a 394). V. altresì punto 322 di tale sentenza, in cui la Corte ha statuito che «le azioni di controllo doganale intraprese a livello dell’Unione sono intese a sostenere gli Stati membri, ma esse non possono sostituire l’azione di controllo e di protezione efficace degli interessi finanziari dell’Unione loro incombente».