Language of document : ECLI:EU:C:2008:611

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 6 novembre 2008 1(1)

Causa C‑326/07

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica italiana

«Ricorso per inadempimento – Artt. 43 CE e 56 CE – Statuto delle società privatizzate – Clausola per l’esercizio di alcuni poteri speciali»





I –    Introduzione

1.        Non è tutto oro quel che luccica. Questa è la celebre frase che, nel Mercante di Venezia (2), William Shakespeare colloca nella scena in cui il re del Marocco sceglie lo scrigno d’argento per conquistare il cuore di Porzia. In materia di «golden share», tale proverbio dovrebbe essere ben noto agli Stati membri, che, alla stregua di re Mida, si impegnano a trasformare in un surrogato del prezioso metallo le partecipazioni nel capitale di imprese che operano in settori strategici o che prestano servizi pubblici.

2.        Tuttavia, in tale sfrenata opera di alchimia, i governi spesso dimenticano l’effetto correttore del diritto comunitario, che esautora i privilegi esorbitanti, scrupolosamente blindati, che essi intendono riservarsi, collocandosi al di sopra dei comuni azionisti. I detti governi sono indubbiamente animati dalle migliori intenzioni, e si fanno scudo del concetto di interesse generale; tuttavia tale volontà non giustifica una deviazione dalla disciplina imposta al riguardo dalle norme del Trattato CE.

3.        Il presente ricorso proposto dalla Commissione contro la Repubblica italiana si inserisce nel filone giurisprudenziale riguardante le cosiddette «golden share» (pacchetti azionari privilegiati), espressione con cui, a partire dalla pronuncia della sentenza Commissione/Germania (3), si deve intendere qualsiasi struttura giuridica applicabile alle singole imprese, che conserva o contribuisce a mantenere l’influenza dell’autorità pubblica su tali società (4). In sostanza, la detta istituzione comunitaria chiede alla Corte di giustizia di dichiarare l’incompatibilità con la libera circolazione dei capitali e con il diritto di stabilimento dei criteri contenuti in un decreto per l’esercizio di poteri speciali riconosciuti dalla legge in capo a determinate autorità pubbliche.

II –  Contesto normativo

A –     Il diritto comunitario

4.         La validità delle normative nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito delle «golden share» viene generalmente esaminata dalla Corte di giustizia alla luce di due libertà fondamentali garantite dal Trattato CE: il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. Per la prima libertà rileva l’art. 43, primo comma, CE, che così recita:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un [altro] Stato membro».

5.        Alla libera circolazione di capitali il Trattato dedica invece l’art. 56, n. 1, CE:

«1.      Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

6.        Occorre far riferimento, per l’importanza che riveste la sua valutazione, all’art. 295 CE:

«Il presente Trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri».

7.        Nell’ambito del diritto derivato, si deve ricordare la direttiva 88/361/CEE (5), che contiene nel suo allegato I una nomenclatura per classificare i movimenti di capitali a cui fa riferimento l’art. 1. Vi figurano, in particolare, la «partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli» (investimenti diretti) (6), e l’«acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali trattati in borsa» (investimenti in titoli) (7).

B –    Il diritto italiano

8.        Con l’art. 4, commi 227‑231, la legge finanziaria italiana per il 2004 (in prosieguo: la «legge finanziaria») (8) ha modificato il decreto legge 31 maggio 1994, n. 332 (9), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, che stabilisce norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni (10).

9.        L’art. 4, comma 227, della citata legge finanziaria, disciplina i diritti speciali conferiti allo Stato italiano su alcune società; in particolare, il primo paragrafo della detta disposizione contiene una versione riformulata dell’art. 2, primo comma, del decreto legge n. 332, secondo il cui tenore:

«1. Tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (…), quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell’assemblea straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attività produttive (…)».

10.      Le prerogative esorbitanti dello Stato italiano sono descritte dettagliatamente nelle successive lettere a), b), c) e d) del medesimo art. 2, e possono essere così riassunte:

a)      opposizione all’assunzione da parte degli investitori di partecipazioni rilevanti nel capitale delle dette società, che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto;

b)      opposizione alla conclusione di patti o accordi tra azionisti che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto;

c)      veto all’adozione delle delibere di scioglimento delle società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento dell’oggetto sociale o dello statuto, che sopprimono o modificano i poteri speciali; e

d)      nomina di un amministratore senza diritto di voto.

11.      Il 10 giugno 2004 il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano ha adottato il decreto (11) previsto dall’art. 4, comma 230, della legge finanziaria, il cui art. 1, primo comma, così dispone:

«I poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto-legge n. 332 del 1994, sono esercitati esclusivamente ove ricorrano rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi, anche mediante l’eventuale previsione di opportuni limiti temporali, fermo restando il rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi in primo luogo del principio di non discriminazione».

12.      L’art. 1, secondo comma, del decreto medesimo definisce i criteri per l’esercizio dei diritti speciali da parte dei pubblici poteri nei seguenti termini:

«2. I poteri speciali di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 332 del 1994, ferme restando le finalità indicate allo stesso comma 1, sono esercitati in relazione al verificarsi delle seguenti circostanze:

a) grave ed effettivo pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, nonché di erogazione dei servizi connessi e conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto;

b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuità di svolgimento degli obblighi verso la collettività nell’ambito dell’esercizio di un servizio pubblico, nonché al perseguimento della missione affidata alla società nel campo delle finalità di interesse pubblico;

c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti nei servizi pubblici essenziali;

d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica;

e) emergenze sanitarie».

III – Procedimento precontenzioso

13.      Poiché il governo italiano si è astenuto dal contestare, tanto nel controricorso quanto nella controreplica, un qualsiasi punto della ricostruzione dei fatti operata dalla Commissione, dobbiamo attenerci all’esposizione dei fatti all’origine della presente controversia così come appare nel ricorso, eliminando gli elementi che non sono indispensabili per definire la causa in oggetto.

14.      Nel febbraio 2003, con l’invio di una lettera di costituzione in mora, la Commissione richiamava l’attenzione del governo italiano circa la compatibilità con il diritto comunitario sia dell’art. 66 della legge finanziaria 23 dicembre 1999, n. 488, che del decreto del Presidente del Consiglio 11 febbraio 2000, sulla privatizzazione delle imprese pubbliche.

15.      Nelle lettere di risposta, le autorità italiane indicavano, nel giugno 2003, che il decreto costituiva una risposta alla sentenza della Corte di giustizia nella causa C‑58/99 (12) e, nel novembre successivo, informavano che entro la fine dell’anno era prevista l’adozione di una normativa conforme all’ordinamento comunitario.

16.      Dopo l’approvazione degli emendamenti annunciati, il governo italiano trasmetteva alla Commissione, nel gennaio 2004, il testo della legge finanziaria per il 2004, che conferiva al Presidente del Consiglio dei Ministri il mandato per approvare, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, un decreto recante i criteri per l’esercizio dei poteri speciali.

17.      Il 30 giugno 2004 alla Commissione veniva notificato il testo della suddetta normativa di attuazione, ossia il decreto controverso.

18.      In data 22 dicembre 2004 la detta istituzione indirizzava alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora complementare, poiché, a suo avviso, le disposizioni emendate e i nuovi criteri per l’esercizio dei poteri speciali non eliminavano la violazione delle norme del Trattato CE sulla libera circolazione dei capitali e sulla libertà di stabilimento.

19.      Il 24 maggio 2005 il governo italiano rispondeva che il decreto legge n. 332 e il decreto 10 giugno 2004 istituivano un sistema di «golden share» nell’ambito della gestione delle società partecipate dallo Stato che era conforme ai principi del diritto comunitario.

20.      Tale argomento non ha convinto la Commissione, che ha inviato al governo interessato un parere motivato in data 18 ottobre 2005. Il 20 dicembre 2005 le autorità italiane hanno espresso dissenso nei confronti del detto parere, ragione per cui la Commissione ha deciso di sottoporre la controversia all’esame della Corte di giustizia.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia e conclusioni delle parti

21.      Il ricorso della Commissione è pervenuto nella cancelleria della Corte di giustizia il 13 luglio 2007 e il controricorso del governo italiano il 5 ottobre dello stesso anno.

22.      Il 16 novembre 2007 è stata depositata una replica ed il 7 febbraio 2008 una controreplica.

23.      La Commissione chiede alla Corte di giustizia di dichiarare che, avendo adottato l’art. 1.2, del decreto 10 giugno 2004, che definisce i criteri per l’esercizio dei poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto legge n. 332, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come modificato dall’art. 4, comma 227, lettere a) b) e c), della legge finanziaria, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 CE e 56 CE. La Commissione chiede inoltre di condannare il governo italiano alle spese.

24.      Il governo convenuto chiede che il presente ricorso per inadempimento venga respinto e che le relative spese siano poste a carico della Commissione.

25.      All’udienza, tenutasi il 2 ottobre 2008, hanno svolto osservazioni orali i rappresentanti del governo italiano e della Commissione.

V –    Analisi dell’inadempimento

A –    Osservazioni preliminari

1.      Sull’oggetto della controversia

26.      Nelle sue memorie (13), il governo italiano eccepisce l’irricevibilità non del ricorso nella sua interezza, ma della maggior parte degli argomenti a sostegno dell’addebito di inadempimento. Esso sostiene che, in realtà, le censure formulate nel ricorso e nella replica non si riferiscono tanto al decreto controverso quanto piuttosto ai poteri speciali contenuti nel decreto legge n. 332; tuttavia, poiché nel parere motivato tali prerogative non venivano contestate, la Commissione addebiterebbe al governo convenuto un inadempimento che si riferisce alla disciplina dei detti poteri speciali, ampliando fraudolentemente l’oggetto del ricorso.

27.      Da parte sua, nella replica (14) la ricorrente conferma di mettere in questione solamente la proporzionalità dell’art. 1, secondo comma, del decreto controverso e, in particolare, dei criteri per l’esercizio dei poteri esorbitanti dello Stato italiano; essa obietta che tali criteri non sono sufficientemente precisi per permettere agli investitori di conoscere le circostanze esatte in cui l’amministrazione potrà fare uso di tali poteri straordinari. La ricorrente riconosce tuttavia la necessità di analizzare la proporzionalità in rapporto alla legittimità dell’esercizio dei poteri speciali nonché all’opportunità dell’utilizzo di tali poteri (15).

28.      Secondo una giurisprudenza costante, il procedimento precontenzioso, disciplinato dall’art. 226 CE, delimita l’oggetto del ricorso proposto a norma di tale articolo. Ne discende che il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono fondarsi sugli stessi argomenti e sugli stessi mezzi, di guisa che non si può esaminare una censura che non sia stata formulata nel parere motivato (16). Da tale giurisprudenza si desume che siffatta corrispondenza tra la fase precontenziosa ed il ricorso presentato dinanzi alla Corte di giustizia ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione.

29.      Non è meritevole di accoglimento la tesi del governo italiano sull’asserita irricevibilità del ricorso, poiché un’analisi comparata della lettera di costituzione in mora (17), del parere motivato (18) e del ricorso, pone in evidenza non soltanto che la Commissione chiede unicamente una valutazione del decreto controverso, ma anche che nell’ultimo dei summenzionati atti l’oggetto della controversia è stato circoscritto al decreto medesimo, laddove i documenti precedenti al ricorso contengono alcuni criteri per mettere in discussione la validità dei poteri speciali in quanto tali (19).

30.      In ogni caso, anche qualora si trattasse di una riduzione dell’oggetto della controversia, è sufficiente segnalare che la Corte di giustizia, nell’ambito dei ricorsi per inadempimento, ha ammesso tale possibilità, distinguendola dal caso in cui il detto oggetto venga ampliato (20).

31.      Ad abundantiam, si rileva che l’argomento del governo italiano pecca di sofismo, poiché insinua che la Commissione, quando contesta il decreto controverso, si riferisce in effetti alla natura dei poteri speciali, giacché non è lecito giudicare l’esercizio di tali poteri senza esaminarli. Equiparando l’enunciazione dei poteri speciali al loro esercizio, il governo convenuto confonde la norma che riconosce tali poteri [l’art. 2, primo comma, lett. a), b), c) e d), del decreto legge n. 332] con quella che ne regola l’esercizio (l’art. 1, secondo comma, del menzionato decreto).

32.      In sintesi, l’ambito della controversia tra la Commissione ed il governo italiano verte sulla proporzionalità delle summenzionate disposizioni del decreto controverso, con la conseguenza che tutti gli argomenti esposti dalla Commissione nelle sue memorie rimangono validi.

33.      Sussistono dubbi sulla legittimità dei poteri speciali di cui al decreto n. 332 alla luce delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione; tuttavia le caratteristiche singolari della procedura per inadempimento vietano alla Corte di giustizia di esaminare d’ufficio tale compatibilità, giacché, così facendo, si pronuncerebbe «ultra petita».

34.      Ne deriva che le circostanze di tale ricorso devono essere considerate quanto meno strane: si chiede alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla proporzionalità dell’esercizio di alcuni poteri speciali senza chiedere una previa opinione della Corte in merito alla compatibilità di tali prerogative con le libertà fondamentali garantite dal Trattato CE. Poiché non si può escludere l’ipotesi di un ulteriore ricorso al riguardo, invito la Commissione ad improntare il proprio impegno inquisitore ad una certa coerenza, che gioverebbe altresì all’economia processuale, garantendo un miglior utilizzo delle risorse pubbliche.

2.      Rilevanza dell’art. 295 CE

35.      Benché il governo italiano non abbia addotto in sua difesa il rispetto dell’art. 295 CE, ampiamente studiato nelle due conclusioni riunite che ho presentato nelle cause definite con le sentenze Commissione/Portogallo, Commissione/Francia e Commissione/Belgio (21) da un lato, così come Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito (22), dall’altro, la natura dei poteri speciali in discussione nel presente procedimento invita ad attenersi alla tesi sostenuta in tali conclusioni.

36.      Confermo pertanto l’opinione che l’espressione «regime di proprietà» di cui all’art. 295 CE non fa riferimento all’ordinamento privato dei rapporti patrimoniali, bensì all’insieme ideale di norme di qualsiasi tipo, incluse quelle di diritto pubblico, idonee a conferire la titolarità di un’impresa, vale a dire che autorizzano chi la possiede ad esercitare un’influenza decisiva sulla definizione e sull’esecuzione di tutti o di alcuni dei suoi obiettivi. Del pari, la necessaria interpretazione teleologica della disposizione prescinde da una distinzione fra imprese pubbliche e private, ai fini del Trattato, che si basi sulla mera composizione dell’azionariato; la detta distinzione dipende invece dalla possibilità che abbia lo Stato di imporre alcuni criteri di politica economica, diversi dalla mera ricerca del massimo profitto che caratterizza l’attività privata.

37.      Ricordo che il Trattato rispetta il regime della proprietà negli ordinamenti giuridici nazionali, riconosciuto nell’art. 295 CE, estendendolo ad ogni misura che, mediante l’intervento nel settore pubblico, inteso in senso economico, consente allo Stato di contribuire alla configurazione dell’attività produttiva del paese, soprattutto nei processi di privatizzazione di imprese che operavano in settori considerati «strategici», che sono stati liberalizzati gradualmente (23). Penso, in concreto, al controllo dei poteri pubblici in determinate attività di interesse vitale per il paese, al fine di istituire una strategia di politica economica.

38.      In tale contesto, conserva pieno valore la critica espressa nelle mie conclusioni nelle cause C‑463/00 e C‑98/01 quanto al fatto che le sentenze abbiano evitato, senza alcuna motivazione, di pronunciarsi sull’applicazione e sulla portata dell’art. 295 CE, poiché neanche quelle emesse successivamente lo hanno interpretato; la Corte di giustizia si è limitata a rilevare che non possono essere negate le preoccupazioni che, a seconda delle circostanze, possono giustificare che gli Stati membri conservino una certa influenza sulle imprese inizialmente pubbliche e successivamente privatizzate, qualora tali imprese operino nei settori dei servizi di interesse generale o essenziali (24).

39.      La Corte ha aggiunto che, tuttavia, tali preoccupazioni non possono permettere agli Stati membri di far valere i loro regimi di proprietà, come considerati all’art. 295 CE, per giustificare ostacoli alle libertà di diritto comunitario, derivanti da privilegi che accompagnano la loro posizione di azionisti in un’impresa privatizzata, poiché il detto articolo non ha l’effetto di sottrarre i regimi di proprietà esistenti negli Stati membri ai principi fondamentali posti dal Trattato (25).

40.      Le mie conclusioni riunite, poc’anzi ricordate, contengono un’affermazione del tutto simile, in quanto vi si rileva che la clausola di neutralità di cui all’art. 295 CE non comporta in alcun modo un’esenzione dalle norme fondamentali del Trattato, che esplicano i loro effetti secondo i propri termini, ed in particolare, il divieto di discriminazione a causa della nazionalità. Ribadisco che l’art. 295 CE non annulla le dette norme fondamentali del Trattato, ma implica semmai che dette misure di per sé non si possono considerare incompatibili con il Trattato, in quanto protette dalla «presunzione di validità» che deriva loro dalla legittimità dell’art. 295 CE (26).

41.      È vero che, secondo la tesi da me sostenuta, le prerogative speciali dei poteri pubblici oggetto del presente procedimento di infrazione costituiscono norme che riguardano l’intervento pubblico nell’attività di determinate imprese, con la finalità di imporre obiettivi di politica economica, e devono essere equiparate a forme di proprietà dell’impresa, la cui configurazione spetta agli Stati membri in forza dell’art. 295 CE; l’esistenza di tali norme, di per sé, non conculca le libertà fondamentali sancite dal Trattato, sebbene, al contrario, possa farlo la loro concreta applicazione.

42.      Orbene, nella presente controversia si osserva che, da un lato, la Commissione critica unicamente la mancanza di proporzionalità, alla luce del Trattato CE, di determinati aspetti del decreto controverso relativi all’esercizio dei poteri speciali conferiti allo Stato italiano dal decreto legge n. 332; dall’altro, il principio di proporzionalità, che si può sintetizzare come la premessa che adegua l’intervento regolatore dello Stato all’obiettivo perseguito (27), rientra tra i principi generali dell’ordinamento comunitario, che costituiscono i paramatri per valutare la legittimità di tali facoltà esorbitanti nelle mani degli Stati membri. Così, nell’ambito di conclusioni che ho presentato in precedenza, ho suggerito che i governi che difendono le normative sulle «golden share» dovrebbero dimostrare che la presenza dello Stato è adeguata allo scopo perseguito (28) e, adesso, coerentemente con il ragionamento esposto nelle pagine precedenti, ritengo che nulla osti a che tale normativa venga sottoposta ad un esame effettuato con riferimento al summenzionato principio di proporzionalità.

3.      Art. 43 CE versus art. 56 CE

43.      La ricorrente chiede di dichiarare che la Repubblica italiana ha violato sia la libertà di stabilimento che la libera circolazione di capitali.

44.      Al riguardo, continuo a ritenere che il settore naturale e idoneo per valutare le varie restrizioni che discendono da quelle che vengono definite «golden share», sia quello della libertà di stabilimento, poiché lo Stato membro in questione aspira abitualmente a controllare, utilizzando poteri d’intervento nella formazione della struttura dell’azionariato, la formazione della volontà sociale degli enti privatizzati (incidendo sulla composizione dell’assetto azionario o sugli atti concreti di amministrazione), aspetto che ha poco a che vedere con la libera circolazione dei capitali (29).

45.      Tuttavia, tali poteri possono incidere sul diritto alla libertà di stabilimento, rendendolo meno interessante, sia direttamente, quando riguardano l’accesso al capitale sociale, sia indirettamente, quando riducono l’attrattiva di quest’ultimo limitando la possibilità di disporre degli organi societari o di gestirli (30). Contrariamente a quanto dichiarato dalla Corte (31), insisto sul fatto che l’ostacolo alla libera circolazione dei capitali che ne consegue presenta natura sussidiaria e non necessaria. Ho già segnalato che tale affermazione è certa per quanto riguarda le misure che hanno un’influenza sulla composizione dell’azionariato, ma lo è ancora di più per quelle che limitano l’adozione di decisioni societarie (per esempio, modifica dell’oggetto sociale o cessione di attivi), come quelle contestate nel caso di specie; in questi ultimi casi, il nesso con la libera circolazione dei capitali è ipotetico o molto tenue (32).

46.      Siffatta distinzione acquista una rilevanza pratica di primo ordine, se si tiene conto del fatto che il principio della libera circolazione di capitali vige non soltanto tra gli Stati membri ma anche tra questi ultimi e i paesi terzi (33). Se ne deduce che, anche qualora una misura come il veto su una delibera di scioglimento di una società in un settore strategico fosse dichiarata incompatibile con l’art. 43 CE, essa sarebbe opponibile agli azionisti dei paesi terzi.

47.      Per contro, nonostante il carattere sussidiario del flusso di denaro proveniente da paesi terzi, necessario per acquistare la quantità di titoli che permettano di controllare la gestione di una società, il fatto di considerare tale potere esorbitante in contrasto con l’art. 56 CE avrebbe l’effetto di spianare la strada a questi stessi azionisti extracomunitari per realizzare lo scioglimento della società, a detrimento degli interessi dello Stato membro alla continuità della prestazione del servizio pubblico fornito dall’impresa interessata.

48.      Non nego che esistono alcuni mezzi idonei ad essere valutati secondo i parametri di entrambe le libertà fondamentali in discussione; voglio soltanto richiamare l’attenzione sul fatto che esiste un altro modello di poteri speciali, il cui intrinseco collegamento con l’amministrazione delle imprese indebolisce il nesso con la libera circolazione di capitali a tal punto che dichiararne la nullità condurrebbe ad una concezione troppo ampia dell’art. 56 CE.

49.      Sostengo pertanto la necessità di una maggiore concisione dei rispettivi ambiti di applicazione delle due libertà fondamentali in parola, che è in contrasto con l’attuale «vis atractiva» della libera circolazione di capitali indotta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Per il momento mi limito ad accennare a tale argomento, riservandomi la possibilità di svilupparlo ulteriormente in un momento successivo, nell’ambito dell’esame puntuale del decreto 10 giugno 2004. Anticipo già che il motivo della suddivisione dell’inadempimento nelle lettere a) e b) del punto B).2 delle presenti conclusioni dipende dalla libertà fondamentale alla luce della quale il decreto controverso deve essere esaminato.

50.       Per concludere, si deve rilevare che dagli atti emerge che è stato proprio il timore degli investimenti ai fini dello stabilimento che ha indotto lo Stato italiano ad approvare la normativa contestata dalla Commissione. Il movente sotteso, sebbene non sia l’unico, consiste nel desiderio di evitare che le imprese operanti nei settori strategici cadano nelle mani di gruppi finanziari extracomunitari la cui solvibilità sia dubbiosa, che perseguono talvolta obiettivi incompatibili con la politica degli Stati membri.

B –    Sulla proporzionalità del decreto controverso

1.      Impostazione

51.      A sostegno del proprio ricorso, la Commissione adduce che il decreto controverso non definisce in maniera sufficientemente precisa i criteri per l’esercizio dei poteri esorbitanti di cui trattasi, sicché gli investitori non conoscerebbero le circostanze in cui il governo pensa di farne uso. In tale contesto, la Commissione sostiene che, data la genericità dei termini in cui è stato redatto il decreto, lo Stato interverrà unicamente allorché un investitore intende acquistare una quota importante delle azioni delle società operanti nei settori economici di cui trattasi (difesa, trasporti, telecomunicazioni, energia e altri servizi pubblici) (34), la qual cosa presuppone che la decisione sia soggettiva, basata unicamente sulle qualità dell’investitore.

52.      La Commissione aggiunge che le espressioni «grave ed effettivo pericolo» ed «emergenze sanitarie» non descrivono in maniera sufficientemente oggettiva e specifica le circostanze in presenza delle quali operano i poteri straordinari, lasciando alle autorità italiane un ampio margine di discrezionalità e in tal modo frenando o disincentivando gli investitori, in particolare quelli che ambivano a stabilirsi in Italia con l’intenzione di influenzare la gestione della società interessata.

53.      La detta istituzione comunitaria aggiunge poi che neppure il giudice nazionale competente a decidere sull’eventuale opposizione ad un caso concreto di esercizio dei poteri speciali disporrebbe di criteri che gli consentano di controllare l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’autorità amministrativa.

54.      La Commissione rileva infine la mancanza di un nesso causale tra la necessità di garantire l’approvvigionamento di prodotti energetici, la fornitura dei servizi pubblici e il controllo dell’assetto azionario dell’impresa, soprattutto nei settori non armonizzati. Riguardo ai settori di attività in cui è stato raggiunto un certo livello di armonizzazione delle legislazioni nazionali, la Commissione cita le direttive 2003/54/CE (35), 2003/55/CE (36) e 2002/21/CE (37) (in prosieguo: la «Direttiva elettricità», la «Direttiva gas» e la «Direttiva telecomunicazioni»), come strumenti che contengono i mezzi per garantire la continuità degli approvvigionamenti su scala nazionale in questi settori dell’economia.

55.      Oltre ai citati argomenti attinenti all’oggetto della controversia, il governo italiano ribadisce che la discussione deve essere imperniata sulla libertà di stabilimento e non sulla libera circolazione dei capitali, giacché gli atti in questione sono destinati ad incidere in misura decisiva sulla gestione delle imprese.

56.      Il governo convenuto contesta la rilevanza delle direttive sui mercati dell’elettricità e del gas, dato che il decreto controverso non ha introdotto alcuna misura strutturale.

57.      Esso invoca inoltre il principio di sussidiarietà per sostenere che la normativa nazionale è più adatta ad affrontare situazioni idonee a pregiudicare seriamente gli interessi nazionali, tanto nel settore dei servizi pubblici quanto in quello della difesa.

2.      Valutazione

a)      Premessa

58.      Prima di iniziare l’esame dei motivi di inadempimento, occorre accennare brevemente ai criteri sui quali tale esame deve essere impostato.

59.      Così, in primo luogo, poiché la Commissione non ha incluso nel ricorso i poteri speciali di cui all’art. 2, primo comma, del decreto legge n. 332, ribadisco che essi devono essere considerati conformi alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato CE. Inoltre, in quanto viene contestata unicamente l’assenza di proporzionalità degli obiettivi regolati dal detto decreto, la legittimità di questi ultimi deve essere esaminata in rapporto alle dette libertà.

60.      In tal senso, la normativa attualmente in discussione offre un’ampia gamma di giustificazioni della distorsione che l’esercizio dei poteri speciali potrebbe provocare nel mercato interno, giacché menziona espressamente la continuità dell’approvvigionamento energetico e la fornitura di servizi pubblici, la sicurezza degli impianti su cui si basano, la difesa nazionale e l’ordine pubblico, nonché l’emergenza sanitaria (38).

61.      In secondo luogo, quando si tratta di valutare la compatibilità con il Trattato di normative nazionali che interferiscono con le libertà fondamentali, il principio di proporzionalità si fa promotore dell’integrazione dei mercati e la Corte di giustizia lo applica in maniera più rigorosa che nel caso delle norme emanate dalle istituzioni comunitarie (39).

62.      Inoltre, quanto alla mia metodologia, ripeto che le modalità di esercizio dei poteri speciali di cui al decreto controverso, in funzione, da un lato, dell’art. 2, primo comma, lett. a) e b), del decreto legge n. 332 e, dall’altro, della lett. c) della medesima disposizione, sono dovute al fatto che la validità delle prime due lettere deve essere verificata alla luce dell’art. 56 CE, mentre la legittimità della terza deve essere analizzata in rapporto all’art. 43 CE.

b)      La proporzionalità del decreto controverso rispetto ai poteri speciali contenuti nell’art. 2, primo comma, lett. a) e b), del decreto legge n. 332

63.      Questi due paragrafi della citata disposizione conferiscono al Ministro dell’economia, di concerto con il Ministro delle attività produttive, il diritto di opporsi all’acquisizione, da parte di soggetti investitori, di partecipazioni importanti nelle società operanti nei settori menzionati in precedenza, che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto [lett. a)], nonché alla conclusione di patti o accordi tra azionisti che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto [lett. b)] (40).

64.      Fino ad oggi, in mancanza di una definizione della nozione di «movimenti di capitali» nel Trattato CE, la giurisprudenza ha riconosciuto il valore indicativo della nomenclatura allegata alla direttiva 88/631/CEE (41), in base alla quale rientrano in tale nozione gli investimenti diretti, sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso il possesso di azioni che permettono di partecipare effettivamente alla sua gestione e al suo controllo, nonché gli investimenti indiretti, come l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali con l’intenzione di effettuare un investimento finanziario, senza però l’intenzione di influire sulla gestione o sul controllo dell’impresa (altrimenti detti investimenti «di portafoglio») (42).

65.      La Corte di giustizia ha esaminato queste due categorie di operazioni e ha qualificato come «restrizioni» ai sensi dell’art. 56 CE, n. 1, le misure nazionali che impediscano o ostacolino l’acquisizione di azioni delle società interessate oppure che dissuadano gli operatori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di tali società (43).

66.      Benché io abbia già precisato che nel presente ricorso non sono in discussione i poteri speciali conferiti ai suddetti ministri, le precedenti considerazioni confermano che tanto il veto all’acquisto di pacchetti azionari che rappresentino almeno il 5% del capitale di un’impresa, quanto l’opposizione alla conclusione di patti tra i titolari di tali azioni, sono misure che devono essere valutate, per quanto riguarda la loro conformità al diritto comunitario, alla luce dell’art. 56 CE, poiché risultano evidenti le interferenze che le dette misure provocherebbero, quantunque con effetto meramente dissuasivo, nell’acquisto di azioni.

67.      Il possesso di siffatta quota di titoli non è sufficiente di per sé ad assicurarsi il controllo della società, anche se la dispersione dell’azionariato nelle società per azioni di grandi dimensioni facilita la partecipazione all’amministrazione dell’impresa dei gruppi di azionisti in possesso di quote relativamente basse di azioni.

68.      Se focalizziamo l’analisi sulla proporzionalità del decreto italiano controverso, non sembra poi difficile azzardare la conclusione che tale strumento non potrebbe superare neppure il test dell’idoneità (44), poiché, come rileva la Commissione, non si intravede alcun nesso logico tra i diritti di opposizione di cui all’art. 2, n. 1, lett. a) e b), del decreto legge n. 332 e le modalità per l’esercizio di tali diritti ai sensi del decreto medesimo.

69.      Perciò, non si riesce a capire in che modo l’acquisto di azioni o un accordo tra azionisti possano comportare il pericolo grave ed effettivo che si interrompa l’approvvigionamento di prodotti energetici o il pericolo, sempre grave ed effettivo, che venga compromessa la continuità della fornitura di servizi pubblici; non si capisce neppure come possano implicare una minaccia grave ed effettiva per la sicurezza degli impianti e delle reti di servizi pubblici essenziali o una minaccia per la difesa nazionale e l’ordine pubblico e, ancor meno, un’emergenza sanitaria, per quanto malati possano essere gli investitori acquirenti o le parti dell’accordo tra azionisti.

70.      Il governo italiano non ha fornito prove né elementi capaci di fugare i dubbi sollevati dalla Commissione, che sembrano pertanto fondati. Tale giudizio negativo è aggravato dal fatto che i ministri competenti possono, senza alcuna giustificazione, abbassare la percentuale del 5%, poiché al di sotto di tale soglia si accentua la sensazione di completa arbitrarietà cui è soggetto l’esercizio di tali poteri di veto (45).

71.      Di conseguenza, diventa inutile l’esame dell’argomento relativo all’applicabilità delle direttive elettricità, gas e telecomunicazioni, giacché non si potrebbe sanare il difetto originario costituito dall’incongruenza tra i poteri speciali e le modalità del loro esercizio nel decreto controverso; si deve inoltre dubitare della rilevanza di tali testi normativi, poiché si limitano ad alcuni aspetti regolatori della competenza in taluni mercati e contengono unicamente prescrizioni minime comuni per soddisfare i requisiti del servizio pubblico (46).

72.      Quanto alla tesi del governo italiano, che tenta di salvare la validità del decreto controverso invocando il principio di sussidiarietà, come garanzia dell’intervento degli Stati membri finalizzato alla difesa degli interessi nazionali vitali, vale la pena osservare che l’applicazione di tale principio avviene, a termini dello stesso Trattato CE, nel rispetto delle disposizioni generali e degli obiettivi del Trattato, con particolare riguardo al completo mantenimento dell’acquis comunitario (47).

73.      Inoltre, la Corte di giustizia ha statuito che, sebbene gli Stati membri restino liberi di determinare le esigenze dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza conformemente alle loro necessità nazionali, tali esigenze, tuttavia, nel contesto comunitario, vanno interpretate restrittivamente, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente, senza il controllo delle istituzioni comunitarie (48).

74.      Analogamente, la Corte ha aggiunto che un regime di autorizzazione preventiva per gli investimenti diretti stranieri (49) o altri regimi di opposizione a posteriori, (50) che si limitano a definire in termini generali le operazioni finanziarie cui si applicano, poiché pregiudicano l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, non consentono agli interessati di conoscere le circostanze specifiche in cui è richiesta un’autorizzazione ex ante o quelle in cui verrà fatto uso del veto; la stessa Corte di giustizia ha censurato tale imprecisione relativa ai diritti e agli obblighi dei singoli derivanti dall’art. 56 CE, in quanto contraria al principio della certezza del diritto.

75.      In sintesi, un’applicazione del principio di sussidiarietà in termini così generici si scontrerebbe con la certezza del diritto che la Corte di giustizia impone, permettendo agli Stati membri di eludere il rigore degli impegni assunti nel Trattato.

76.      A tenore delle suesposte osservazioni, propongo alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato disposizioni come l’art. 1, secondo comma, del decreto del Presidente del Consiglio 10 giugno 2004, in combinato disposto con l’art. 4, comma 227, lett. a) e b), della legge finanziaria, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 56 del Trattato CE.

c)      Sulla proporzionalità del decreto controverso rispetto ai poteri di cui all’art. 2, primo comma, lett. c), del decreto legge n. 332

77.      Pro memoria, si ripete che la norma in discussione sottomette al potere di veto dei ministri dell’economia e delle attività produttive le delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di modifica dell’oggetto sociale o dello statuto societario, che sopprimono o modificano i poteri speciali nelle imprese pubbliche in questione.

78.      Nel paragrafo 49 di queste conclusioni ho auspicato una maggior chiarezza nella delimitazione delle situazioni coperte dalla libera circolazione dei capitali e di quelle che rientrano nella sfera della libertà di stabilimento, e ho quindi escluso che possano essere automaticamente equiparate quando sono esaminate alla luce delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE.

79.      In tale contesto, sono convinto che le misure cui fa riferimento l’art. 2, primo comma, lett. c), del decreto legge n. 332, rientrino nell’ambito della libertà di stabilimento. Infatti, la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia indica che, per stabilire se una normativa nazionale si inserisca nell’ambito dell’una o dell’altra libertà di circolazione, occorre considerare l’oggetto di tale normativa (51), aggiungendo poi che rientrano nella libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino di uno Stato membro, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di intromettersi nelle sue attività (52).

80.      Orbene, chi induce o promuove l’adozione di tali decisioni deve poter disporre di una quota di azioni sufficiente per ottenere una delibera favorevole dell’assemblea generale degli azionisti, perché solo in tale posizione si riuscirebbe ad ottenere la maggioranza necessaria per influenzare tanto intensamente la vita dell’impresa; di fatto, qualche delibera potrebbe perfino mettere in pericolo la sopravvivenza della società, ragione per cui i legislatori nazionali hanno introdotto la precauzione di richiedere una maggioranza qualificata del capitale rappresentato nell’assemblea generale degli azionisti per la sua adozione (53).

81.      In ogni caso, il movimento transfrontaliero di denaro che ha determinato l’acquisto dei titoli è avvenuto in un momento precedente, senza nessuna turbativa, con la conseguenza che il nesso con la libera circolazione dei capitali rimane su un piano puramente teorico. Inoltre, benché non si possa escludere un qualche potere dissuasivo della normativa controversa (per effetto della quale gli investitori stranieri perderebbero interesse per le imprese che inseriscono nel proprio statuto una clausola come quella in esame), una grande parte delle misure di cui trattasi è stata armonizzata in seno alla Comunità in virtù della libertà di stabilimento, segnatamente, in forza dell’art. 44 CE, n. 2, lett. g) (54). Niente di più logico, se si tiene conto della connessione delle delibere di cui all’art. 2, primo comma, lett. c), del decreto legge n. 332 con tale libertà fondamentale sancita dal Trattato.

82.      Ad ogni buon conto, non vale la pena di approfondire l’inquadramento delle misure in questione, poiché non è la loro validità ad essere messa in questione, ma i criteri del suo esercizio stabiliti dal decreto controverso. Ciononostante, vorrei ribadire che sono assolutamente convinto che questo tipo di comportamenti degli organi societari debba essere ricondotto alla sfera della libertà di stabilimento di cui all’art. 43 CE e non a quella della libera circolazione dei capitali, che non mi sembra rilevante, nemmeno in considerazione di un presunto effetto dissuasivo sui fondi stranieri, a causa della debolezza del nesso.

83.      Riprendendo l’esame della proporzionalità del citato decreto, credo che, a parte il caso delle modifiche dello statuto societario che sopprimono o alterano i poteri speciali nelle imprese pubbliche, il veto sulle altre operazioni costituisca una misura idonea al conseguimento dello scopo perseguito, giacché, per esempio, lo scioglimento della società e la modifica del suo oggetto sociale possono interrompere la continuità dell’approvvigionamento energetico e/o la fornitura di altri servizi pubblici, pregiudicando l’interesse legittimo e vitale dello Stato membro, impegnato a garantire il livello di benessere dei suoi cittadini.

84.      Tuttavia, nutro seri dubbi sulla necessità di tale misura, poiché esistono soluzioni meno gravose per il funzionamento del mercato comune, che conferiscono una maggiore prevedibilità agli atti degli investitori stranieri: penso, in particolare, alla conservazione, da parte dello Stato italiano, di una minoranza di blocco nelle società in cui ritenesse opportuno mantenere la propria presenza.

85.      Ho accennato al criterio unanimemente accolto nel diritto societario europeo che subordina l’efficacia di delibere come quelle elencate nell’art. 2, primo comma, lett. c), del decreto legge n. 332, non soltanto al requisito della maggioranza rafforzata o qualificata in seno all’assemblea – generalmente straordinaria – degli azionisti, ma anche alla presenza di un quorum.

86.      In tale contesto, e sempreché non se ne faccia un abuso, mantenere una quota di titoli sufficiente a sventare ogni tentativo di sottomettere le società che prestano servizi pubblici ad un accordo societario con la portata di quelli controversi presenta l’indubbio vantaggio di adattare gli interessi generali perseguiti dalle pertinenti disposizioni amministrative allo schema del diritto societario nazionale, senza violare il diritto comunitario. Inoltre, nella quasi totalità dei casi, tale soluzione non comporta costi aggiuntivi per lo Stato, giacché non è necessario che le autorità pubbliche acquistino un determinato ammontare di capitale, ma è sufficiente che, in considerazione delle caratteristiche peculiari di tali società, fino a poco tempo fa sotto il controllo assoluto del governo, si privino di una quantità di quote tale da poter continuare a controllare il destino di dette società.

87.      Per di più, poiché è legittimo che lo Stato si senta obbligato a controllare la continuità e la stabilità dell’approvvigionamento e della fornitura di servizi pubblici, nulla gli impedisce di ampliare gli ambiti di intervento degli enti regolatori del mercato energetico, delle telecomunicazioni e degli altri settori, dotandoli del potere di vigilare, per esempio, affinché lo scioglimento di una società elettrica, che implicherebbe la scomparsa di un fornitore di beni e servizi di tale importanza, non rechi danno ai cittadini.

88.      In sintesi, il decreto controverso non risulta proporzionato in relazione ai poteri di cui disciplina l’esercizio, né rispetto al diritto comunitario. Propongo pertanto alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo emanato disposizioni quali quelle contenute nell’art. 1, secondo comma, in combinato disposto con l’art. 4, comma 227, lett. c), della legge finanziaria, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 43 CE.

d)      Epilogo

89.      Il presente ricorso proposto dalla Commissione contro la Repubblica italiana riguarda, in particolar modo, l’acquisto, da parte di investitori di paesi extracomunitari, di partecipazioni di una certa importanza nel capitale di società che operano in settori considerati strategici o di servizio pubblico, che desta sovente timori nei governi europei. Tale aspetto emerge nel controricorso del governo italiano, quando avverte che i criteri (indicati nel decreto controverso) si possono concretizzare solo in funzione delle caratteristiche dell’acquirente delle azioni (55).

90.      È stato perfino rilevato che l’idea centrale della normativa in materia di «golden share» ruota intorno alle condizioni alle quali entità non europee possono sfruttare i privilegi derivanti dalla proprietà di imprese nei settori più sensibili, scartando soluzioni come la reciprocità e optando per accordi che introducano negli statuti le golden share, con il consenso della maggioranza degli azionisti (56).

91.      In tale contesto, mi sembra che la tesi da me suggerita risponda sufficientemente alle preoccupazioni che gli Stati membri nutrono nei confronti dei gruppi di investitori dei paesi terzi. Il fatto di dichiarare che il decreto nazionale relativo all’esercizio dei poteri speciali di cui all’art. 4, comma 227, lett. a) e b), della legge finanziaria, è sproporzionato e, quindi, contrario all’art. 56 CE, impedisce alla Repubblica italiana di opporre la normativa contestata ai cittadini degli Stati membri e ai cittadini di paesi terzi, a causa dell’applicazione extracomunitaria della libera circolazione dei capitali, come è stato esposto in precedenza.

92.      Per contro, i governi conservano un certo margine di manovra per frenare gli investitori stabiliti al di fuori dei confini della Comunità che abbiano intenzioni discutibili, ponendo limiti alle loro operazioni elencate all’art. 4, comma 227, lett. c), della legge finanziaria; infatti, poiché tali poteri sono stati inquadrati nell’ambito dell’art. 43 CE, l’incompatibilità con la libertà di stabilimento del potere di opporsi a tali decisioni fondamentali per la vita dell’impresa non impedisce agli Stati membri di mantenere il veto nei confronti dei grandi azionisti extracomunitari, che non godono della libertà fondamentale del diritto di stabilimento.

VI – Sulle spese

93.      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

VII – Conclusione

94.      A tenore delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di giustizia quanto segue:

1)      dichiarare che la Repubblica italiana, avendo emanato disposizioni quali quelle contenute nell’art. 1, secondo comma, del decreto 10 giugno 2004, che definisce i criteri di esercizio dei poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come modificato dalla legge finanziaria, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 56 CE, n. 1, riguardo all’art. 4, comma 227, lett. a) e b), della legge finanziaria, nonché agli obblighi ad essa imposti dall’art. 43 CE, riguardo alla lett. c), della medesima disposizione;

2)      condannare la Repubblica italiana alle spese.


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Shakesperare, W., Teatro completo, Ed. Galaxia‑Gutemberg/Círculo de lectores, «El mercader de Venecia», traduzione di Vicente Molina Fox; atto II, scena settima, pag. 555. [Per la versione in italiano, v., W. Shakespeare, Le opere, Collana i Meridiani, Mondadori, 1990].


3 – V. sentenza 23 ottobre 2007, causa C‑112/05 (Racc. pag. I‑8995) e le mie conclusioni, presentate il 13 febbraio 2007.


4 – Van Bekkum, J./Kloosterman, J./Winter, J., «Golden Shares and European Company Law: the Implications of Volkswagen», in European Company Law, volume 5/1, febbraio 2008, pag. 8.


5 – Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l'attuazione dell'articolo 67 del trattato (GU L 178, pag. 5).


6 – Punto I.2 del citato allegato.


7 – Ibidem, punto III.A.1.


8 – Legge 24 dicembre 2003, n. 350 (GURI n. 299 del 27 dicembre 2003).


9 – GURI n. 126, del 1º giugno 1994.


10 – GURI n. 177, del 30 luglio 1994.


11 – GURI n. 139, del 16 giugno 2004 [Definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474].


12 – Sentenza 23 maggio 2000, causa C‑58/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3811).


13 – In particolare, a contrario, punti 4 e 14 del controricorso e punti 2, 4 e 43 in fine della controreplica.


14 – Punti 3 e segg. della replica.


15 – Punto 5 della replica.


16 – V., per esempio, sentenze 11 maggio 1989, causa 76/86, Commissione/Germania (Racc. pag. 1021, punto 8); 20 marzo 1997, causa C‑96/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑1653, punto 22); 11 giugno 1998, causa C‑206/96, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑3401, punto 13), e 24 giugno 2004, causa C‑350/02, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑6213, punti 19 e 20).


17 – Lettera della Commissione del 6 febbraio 2003 indirizzata alla Rappresentanza permanente della Repubblica italiana.


18 – Lettera della Commissione inviata alla Rappresentanza permanente dello Stato convenuto il 18 ottobre 2005.


19 – V. pag. 7, penultimo paragrafo, della lettera di costituzione in mora e pag. 6, ultimo paragrafo, del parere motivato.


20 – Sentenza 16 settembre 1997, causa C‑279/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑4743, punto 25).


21 – Sentenze 4 giugno 2002, causa C‑367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑4731); causa C‑483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑4781), e C‑503/99, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4809), le cui conclusioni sono state lette il 3 luglio 2001.


22 – Sentenze 13 maggio 2003, causa C‑463/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑4581) e C‑98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4641); le relative conclusioni sono state presentate il 6 febbraio 2003.


23 – V., altresì, le mie conclusioni nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza Commissione/Germania, citata alla nota 3, punti 47 e segg.


24 – Per esempio, nelle sentenze Commissione/Spagna, cit., punto 66, e 6 dicembre 2007, cause riunite C‑463/04 e C‑464/04, Federconsumatori e a. (Racc. pag. I‑10419, punto 41).


25 – Citate sentenze Commissione/Spagna (punto 67); Commissione/Francia (punto 44), e Commissione/Belgio (punto 44).


26 – V. le conclusioni relative alle cause Commissione/Portogallo, Commissione/Francia e Commissione/Belgio, cit. (paragrafo 67), così come quelle presentate nelle cause Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito, citate in precedenza (paragrafo 37).


27 – Schwarze, J., European Administrative Law, Ed. Sweet & Maxwell, 1ª ed. aggiornata, Londra, 2006, pag. 679.


28 – Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito, cit. (paragrafo 37).


29 – Conclusioni relative alla causa in cui sono state pronunciate le sentenze citate Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito (paragrafo 36); analogamente, v. le mie conclusioni relative alla causa Commissione/Germania, citata alla nota 3 (paragrafi 58 e 59).


30 – Velasco San Pedro, L.A. e Sánchez Felipe, J.M., «La libertad de establecimiento de las sociedades en la UE. El Estado de la cuestión después de la SE», in Revista de derecho de sociedades, numero 19, anno 2002-2, pag. 31.


31 – Sentenze Commissione/Portogallo e Commissione/Francia, cit. punto 56. V., inoltre, sentenza Commissione/Paesi Bassi (punto 43).


32 – Conclusioni relative alle cause in cui sono state pronunciate le citate sentenze Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito (paragrafo 36).


33 – V., per esempio, la recente sentenza 17 luglio 2008, causa C‑207/07, Commissione/Spagna, punto 31.


34 – Secondo la Commissione, che non è stata smentita su tale punto dal governo italiano, una clausola relativa all’esercizio dei poteri speciali è stata aggiunta nello statuto delle società ENI Spa (energia e petrolchimica), Telecom Italia (telecomunicazioni), Enel Spa (elettricità) e Finmeccanica Spa (difesa).


35 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE - Dichiarazioni riguardanti lo smantellamento di impianti e le attività di gestione dei rifiuti (GU L 176, pag. 37).


36 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE (GU L 176, pag. 57).


37 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU L 108, pag. 33), che la Commissione cita congiuntamente alla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) (GU L 108, pag. 51).


38 – Art. 2, primo comma, lett. a) b), c), d) ed e), del decreto controverso.


39 – Tridimas, T., The General Principles of EU Law, 2ª ed., Ed. Oxford University Press, Oxford, 2006, pag. 193; Galetta, D.‑U., Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pagg. 103 e segg.


40 – In entrambi i casi tale percentuale può essere abbassata con decreto del Ministro per l’economia.


41 – Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato, cit.


42 – Sentenza 16 marzo 1999, causa C‑222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I‑1661, punto 21); v., inoltre, sentenze citate Commissione/Francia (punti 36 e 37), e Commissione/Regno Unito (punti 39 e 40).


43 – Sentenze Commissione/Francia (punto 41); 2 giugno 2005, causa C‑174/04, Commissione/Italia. (Racc. pag. I-4933, punti 30 e 31), e 19 gennaio 2006, causa C‑265/04, Bouanich (Racc. pag. I‑923, punti 34 e 35).


44 – Parto dall’idea comunemente accettata che la proporzionalità implica un duplice esame: l’uno relativo all’idoneità della norma analizzata rispetto agli obiettivi perseguiti e l’altro relativo alla necessità della norma, concetto che nel diritto comunitario viene generalmente indicato come principio «della misura meno restrittiva»; in tal senso, Sarmiento Ramírez-Escudero, D., El control de proporcionalidad de la actividad administrativa, Ed. Tirant lo Blanch, Valenza, 2004, pagg. 641 e segg.


45 – Meraviglia dover fare tale osservazione allorché, nel diritto italiano, il principio di proporzionalità è generalmente associato a quello di razionalità, secondo Fromont, M., Droit administratif des États européens, Thémis droit puf, Parigi, 2006, pag. 294. 


46 – Art. 3, n. 2, in combinato disposto con il ventisettesimo ‘considerando’ della direttiva gas e art. 3, letto congiuntamente al ventiseiesimo ‘considerando’ della direttiva elettricità; inoltre, la direttiva 2002/22/CE regola il servizio universale e gli obblighi ad esso connessi, il che costituisce solo un settore del servizio pubblico. V., inoltre, Pießcalla, M., Golden Aktien aus EG‑rechtlicher Sicht – Eine Untersuchung staatlicher und privater Sonderrechte in Wirtschaftsgesellschaften unter besonderer Berücksichtigung der Kapitalverkehrsfreiheit, Ed. Dr. Kovac, Amburgo, 2006, pag. 202.


47 – Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, introdotto dal trattato di Amsterdam come allegato al Trattato CE, punto 2.


48 – Sentenza 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili (Racc. pag. 1219, punti 26 e 27).


49 – Sentenza 14 marzo 2000, causa C‑54/99, Église de scientologie e Scientology International (Racc. pag. I‑1335, punti 19‑23).


50 – Cause citate C‑483/99, Commissione/Francia (punti 50 e 52), e C‑463/00, Commissione/Spagna (punto 74).


51 – Sentenze 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (Racc. pag. I‑7995, punti 31‑33); 3 ottobre 2006, causa C‑452/04, Fidium Finanz (Racc. pag. I-9521, punti 34 e 44‑49; 12 dicembre 2006, causa C‑374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (Racc. pag. I‑11673, punti 37 e 38) e 17 luglio 2008, Commissione/Spagna, cit. (punto 35).


52 – Sentenze 13 aprile 2000, causa C‑251/98, Baars (Racc. pag. I‑2787, punto 22); 21 novembre 2002, causa C‑436/00, X e Y (Racc. pag. I‑10829, punto 37), e 12 settembre 2006, cit., Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (punto 31).


53 – Art. 59, n. 1, del regolamento del Consiglio 8 ottobre 2001, n. 2157, relativo allo statuto della Società europea (SE) (GU L 294, pag. 1), art. 39, n. 1, della terza modifica alla proposta di quinta direttiva del Consiglio basata sull’art. 54 del trattato CEE sulla struttura della società per azioni, e sui poteri e obblighi dei suoi organi sociali [COM(1991) 372 def]; come esempio di diritti nazionali, v., inoltre, gli artt. 153 e 239 della legge francese 24 luglio 1966, n. 537, sulle società commerciali; gli artt. 179 (II), 182 (I), 193 (I) e 262 (I), n. 2, inter alia, della legge tedesca sulle società per azioni (Aktiengesetz), del 6 settembre 1965 (BGBl. I, pag. 1089); gli artt. 2364 e 2368‑2369 bis del codice civile italiano, nonché gli artt. 144, n. 1, e 260, n. 1, primo comma, del testo consolidato della legge spagnola sulle società per azioni, approvato con il regio decreto legislativo 22 dicembre 1989, n. 1564.


54 – Si tratta, fondamentalmente, delle seguenti direttive, di cui ometto il titolo per non allungare troppo questa nota a pié di pagina, limitandomi a citarne il numero e gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale: direttiva 68/151/CEE (GU L 65, pag. 8); direttiva 77/91/CEE (GU L 26, pag. 1); direttiva 78/855/CEE (GU L 295, pag. 36); direttiva 78/660/CEE (GU L 222, pag. 11); direttiva 82/891/CEE (GU L 378, pag. 47); direttiva 83/349/CEE (GU L 193, pag. 1); direttiva 84/253/CEE (GU L 126, pag. 20); direttiva 89/666/CEE (GU L 395 pag. 36); direttiva 89/667/CEE (GU L 395, pag. 40); direttiva 2004/25/CE (GU L 142, pag. 12); direttiva 2005/56/CE (GU L 310, pag. 1); direttiva 2007/36/CE (GU L 184, pag. 17), e direttiva 2007/63/CE (GU L 300, pag. 47).


55 – Punti 26 e segg. del controricorso.


56 – Goldschmidt, P.N., «Editorial – Golden Shares», in Cahiers de droit européen, 2007, n. 3/4, pag. 297. Si pronuncia invece a favore della reciprocità Weiss, M., «Staatlicher Schutz vor Investitionen nach dem Urteil zum VW‑Gesetz», in EWS, 2008, n. 1/2, pag. 20.