Language of document : ECLI:EU:T:2006:50

ORDINANZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

16 febbraio 2006 (*)

«Art. 86, n. 3, CE – Rigetto di una denuncia – Ricorso di annullamento – Eccezione di irricevibilità»

Nella causa T‑338/04,

Centro Europa 7 Srl, con sede in Roma, rappresentata dagli avv.ti V. Ripa di Meana e R. Mastroianni,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. P. Oliver e F. Amato, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

sostenuta da:

Mediaset SpA, con sede in Milano, rappresentata dall’avv. M. Bay,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della lettera della Commissione 4 giugno 2004 [D (2004) 471], nella parte in cui respinge la denuncia della ricorrente secondo cui la Repubblica italiana avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 86 CE e 82 CE,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, A.W.H. Meij e dalla sig.ra I. Pelikánová, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Ordinanza

 Fatti

1       Nel luglio 1999 la ricorrente presentava domanda per poter esercitare attività di radiodiffusione televisiva in chiaro, nel contesto di una gara di appalto indetta dalle autorità italiane ai fini del rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata in ambito nazionale su frequenze hertziane terrestri in tecnica analogica.

2       La società RTI, che fa parte del gruppo Mediaset (in prosieguo: la «RTI»), partecipava alla gara di appalto al fine di ottenere, per ciascuna delle sue tre emittenti (Canale 5, Italia 1 e Retequattro) una concessione che permettesse loro di continuare ad esercitare attività di radiodiffusione televisiva in chiaro.

3       In esito alla gara di appalto, con decreto del Ministro delle Comunicazioni 28 luglio 1999, la ricorrente otteneva una concessione per l’attività di radiodiffusione televisiva in chiaro (in prosieguo: la «concessione»).

4       La RTI non otteneva la concessione per l’attività in chiaro della sua terza emittente (Retequattro) sulla base del rilievo che, ai sensi dell’art. 2, sesto comma, della legge italiana 31 luglio 1997, n. 249 (in prosieguo: la «legge n. 249»), un operatore non può disporre di più di due concessioni per la radiodiffusione televisiva in chiaro in ambito nazionale su frequenze hertziane terrestri in tecnica analogica. Tuttavia, la RTI otteneva per Retequattro l’abilitazione a proseguire temporaneamente l’attività di trasmissione in atto (in prosieguo: l’«abilitazione temporanea»), e ciò in applicazione del regime transitorio previsto all’art. 3, settimo comma, della legge n. 249, ai sensi del quale i soggetti titolari di reti eccedenti i limiti fissati con la legge medesima possono eccezionalmente proseguire la propria attività trasmissiva a condizione che i programmi diffusi sulle dette reti eccedenti vengano trasmessi anche via satellite e via cavo, sino a quando l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non abbia ritenuto congruo ed effettivo lo sviluppo dell’utenza satellitare e cablata.

5       Alla ricorrente non veniva assegnata alcuna frequenza che le consentisse di esercitare la propria attività di radiodiffusione televisiva.

6       Con lettera 18 dicembre 2001, la ricorrente depositava una denuncia presso la Commissione, in cui chiedeva alla detta istituzione di intervenire in applicazione dell’art. 86, n. 3, CE, con riguardo ad asseriti inadempimenti della Repubblica italiana agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 3, 10, 82 e dell’art. 86, n. 1, CE, in quanto quest’ultima avrebbe adottato e mantenuto in vigore provvedimenti che, senza giustificazione obiettiva, attribuiscono alla RTI un diritto speciale che le consente di mantenere e di rafforzare la sua posizione dominante sul mercato della ritrasmissione televisiva in chiaro. Essa asseriva parimenti l’esistenza di violazioni degli artt. 28 CE, 43 CE e 49 CE, sempre in combinato disposto con l’art. 86, n. 1, CE, in quanto la Repubblica italiana avrebbe adottato e mantenuto in vigore provvedimenti ingiustificatamente limitativi dell’esercizio dei diritti fondamentali della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi e delle merci.

7       Nella denuncia, la ricorrente affermava che gli inadempimenti dedotti derivavano da due provvedimenti statali: da un lato, la concessione, in quanto non indicava né gli impianti né le relative frequenze necessarie per l’esercizio dell’attività autorizzata, e, dall’altro, l’abilitazione temporanea, in quanto concedeva a Retequattro un diritto speciale che le consentiva di occupare le frequenze necessarie alla ricorrente per avviare la propria attività (in prosieguo: i «provvedimenti statali controversi»).

8       Il 25 gennaio 2002 la ricorrente trasmetteva alla Commissione un complemento alla denuncia del 18 ottobre 2001, in cui precisava taluni elementi in fatto e in diritto relativi alla situazione da essa denunciata.

9       Con sentenza 20 novembre 2002, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, settimo comma, della legge n. 249 «nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti [di cui trattasi,] devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo».

10     A seguito di tale sentenza, il governo italiano adottava il decreto legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge n. 249. Tale decreto legge, successivamente, sfociava nella legge 3 maggio 2004, n. 112 (in prosieguo: la «legge n. 112»), che conferma, sostanzialmente, la possibilità, per le tre emittenti della RTI, di occupare le frequenze necessarie per la loro attività. La ricorrente informava la Commissione della sentenza della Corte costituzionale e le trasmetteva diversi documenti relativi al progetto di legge n. 112.

11     Con lettera del 13 ottobre 2003, la Commissione comunicava alla ricorrente la valutazione preliminare della sua denuncia precisando, sostanzialmente, che, fatta salva un’analisi più approfondita delle questioni relative all’asserita esistenza di diritti speciali concessi a Retequattro e di una posizione dominante detenuta dalla RTI, né la denuncia né le informazioni a sua disposizione dimostravano in modo sufficiente che il mercato italiano della televisione in chiaro fosse effettivamente precluso ai concorrenti della RTI. La Commissione concludeva che, in assenza di ulteriori elementi, i suoi servizi non erano in grado di identificare un abuso ai sensi dell’art. 82 CE che renderebbe incompatibili con l’art. 86 CE i provvedimenti statali controversi.

12     La ricorrente rispondeva con lettera dell’11 dicembre 2003, in cui ribadiva che i provvedimenti statali controversi rafforzavano la posizione dominante della RTI o, alternativamente, il duopolio detenuto dalla RAI (un ente pubblico di radiodiffusione televisiva) e dalla RTI sul mercato italiano della televisione in chiaro, impedendo l’accesso al mercato di ogni nuova emittente radiotelevisiva.

13     Con lettera del 4 giugno 2004 (in prosieguo: l’«atto impugnato»), la Commissione indicava dettagliatamente le ragioni per cui gli argomenti dedotti dalla ricorrente nella lettera dell’11 dicembre 2003 non la inducevano a modificare la conclusione alla quale era pervenuta nella sua lettera del 13 ottobre 2003.

14     Nell’atto impugnato, la Commissione espone, anzitutto, le ragioni per cui respinge l’argomento secondo cui l’acquisizione di frequenze detenute da operatori locali o regionali non può costituire un’opzione possibile per accedere alle frequenze necessarie per realizzare una copertura nazionale. Essa indica quindi le ragioni per cui respinge l’argomento secondo il quale le frequenze detenute da Retequattro sono indispensabili per accedere al mercato. Essa indica inoltre le ragioni per cui l’ingresso nel mercato di due nuovi operatori è pertinente ai fini della valutazione dell’accesso al mercato. Essa chiarisce poi dettagliatamente le ragioni per cui, nel contesto del presente procedimento, non si pronunzia sul capo della denuncia relativo a quella che è divenuta la legge n. 112, specificando che tale capo esula dall’oggetto della denuncia iniziale, la quale non contiene elementi sufficienti per valutare la compatibilità di tale provvedimento statale con gli artt. 82 CE e 86 CE.

15     La conclusione dell’atto impugnato è del seguente tenore:

«Alla luce di quanto detto, la Commissione conferma la sua posizione iniziale che, anche assumendo l’esistenza dei presunti diritti speciali in capo a Retequattro e la posizione dominante di RTI, [i provvedimenti statali controversi] non sembrano tali da rafforzare la posizione di RTI precludendo l’accesso sul mercato a nuovi operatori in maniera incompatibile con il combinato disposto di cui agli articoli 86 e 82. Pertanto, allo stato attuale del procedimento, la Commissione non prevede di intraprendere alcuna ulteriore azione nel presente caso».

 Procedimento e conclusioni delle parti

16     Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 agosto 2004, la ricorrente ha presentato il presente ricorso.

17     Con separato atto depositato il 5 novembre 2004, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

18     In data 13 dicembre 2004, la Mediaset SpA (in prosieguo: l’«interveniente») ha chiesto di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza 7 marzo 2005, il presidente della Seconda Sezione ha ammesso tale intervento.

19     Nel contesto delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura, il Tribunale ha invitato le parti a presentare le loro eventuali osservazioni in ordine alla sentenza della Corte 22 febbraio 2005, causa C‑141/02 P, Commissione/max.mobil (Racc. pag. I‑1283; in prosieguo: la «sentenza max.mobil»). Le parti hanno presentato le proprie osservazioni entro i termini impartiti.

20     La Commissione e l’interveniente concludono che il Tribunale voglia:

–       dichiarare il ricorso irricevibile;

–       condannare la ricorrente alle spese.

21     La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–       respingere l’eccezione di irricevibilità;

–       annullare l’atto impugnato;

–       condannare la Commissione alle spese.

 In diritto

22     Ai sensi dell’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura, se una parte ne fa domanda, il Tribunale può statuire sull’irricevibilità, senza impegnare la discussione nel merito. Conformemente al n. 3 del medesimo articolo, il procedimento prosegue oralmente, salvo contraria decisione del Tribunale.

23     Nella specie, il Tribunale ritiene di essere stato sufficientemente edotto dagli atti di causa per statuire in ordine alla ricevibilità senza che sia necessario passare alla fase orale.

 Argomenti delle parti

24     La Commissione, sostenuta dall’interveniente, fa valere, sostanzialmente, che, a seguito della sentenza max.mobil, il ricorso della ricorrente dev’essere dichiarato irricevibile.

25     La ricorrente sostiene che il suo ricorso deve essere dichiarato ricevibile alla luce dei principi generali applicabili ai denuncianti nei procedimenti in materia di concorrenza, principi interpretati ed applicati dalla precedente giurisprudenza della Corte e confermati dalla sentenza max.mobil.

26     A tal riguardo, in primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione, a fronte di una denuncia presentata da un privato la cui situazione sia irrimediabilmente ed individualmente compromessa dal comportamento di uno Stato membro, è tenuta a garantire, quantomeno, un esame imparziale e diligente di tale denuncia, con un serio approfondimento degli argomenti di fatto e di diritto avanzati dal denunciante. Dal punto 53 della sentenza max.mobil emergerebbe, d’altronde, che è la stessa Commissione a sostenere che le incombe l’obbligo di procedere ad un esame diligente delle denunce fondate sull’art. 86 CE che essa riceve. Orbene, secondo la ricorrente, tale obbligo sarebbe privo di contenuto se non fosse possibile sottoporre la sua eventuale violazione a controllo giurisdizionale.

27     Tale tesi troverebbe conferma, d’altronde, nel punto 66 della sentenza max.mobil, dal quale risulterebbe che l’art. 86, n. 3, CE impone alla Commissione di vigilare sull’osservanza, da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti per quanto riguarda le imprese di cui all’art. 86, n. 1, CE. Ne deriverebbe che, qualora – come nel caso di specie – la Commissione sia venuta meno al suo compito, non procedendo ad un esame diligente della denuncia, i singoli i cui interessi siano tutelati dall’art. 86 CE dovrebbero avere accesso alla giustizia.

28     A tale ultimo riguardo la ricorrente aggiunge che, alla luce della sua collocazione nel contesto delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza, scopo dell’art. 86 è quello di evitare distorsioni della concorrenza nel funzionamento del mercato comune, a tutela dei soggetti che vi operano. Pertanto, così come avviene per tutte le altre disposizioni in materia di concorrenza, i soggetti interessati dovrebbero poter stimolare l’intervento della Commissione ogniqualvolta altri soggetti adottino comportamenti tali da alterare il corretto funzionamento del mercato in cui operano. La circostanza che il comportamento distorsivo sia attribuibile ad uno Stato membro, come nel caso di asserite violazioni degli artt. 86 CE o 87 CE, piuttosto che ad un’impresa, come nel caso di asserite violazioni degli artt. 81 CE o 82 CE, sarebbe irrilevante quanto al ruolo della Commissione, che è quello di vigilare sull’osservanza rigorosa degli obblighi del Trattato che consentono di garantire che la concorrenza non sia falsata.

29     Inoltre, la ricorrente fa valere che non può argomentarsi dalla circostanza che l’esercizio, da parte della Commissione, del suo potere di cui all’art. 86, n. 3, CE può sfociare, eventualmente, solo in una decisione nei confronti dello Stato membro al fine di escludere il diritto dei singoli di adire il giudice impugnando il diniego di esercitare tale potere. Infatti, laddove in materia di aiuti di Stato le decisioni della Commissione avrebbero anch’esse quali unici destinatari gli Stati membri, non per questo il singolo che denunci alla Commissione una misura in quanto aiuto vietato sarebbe privato della possibilità di contestare in giudizio la decisione della Commissione di archiviare la sua denuncia.

30     La ricorrente aggiunge che la mancanza di controllo giurisdizionale sulla decisione della Commissione di non far uso dei suoi poteri di cui all’art. 86, n. 3, CE determina la trasformazione in potere arbitrario dell’ampia discrezionalità di cui gode la Commissione quanto al suo intervento, in flagrante contraddizione con i principi fondamentali dello Stato di diritto richiamato dall’art. 6 del TUE, di buona amministrazione e di tutela dei diritti che costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario quali principi generali ormai sanciti dagli artt. 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali.

31     Essa sostiene altresì che il rifiuto di assoggettare a controllo giurisdizionale le decisioni della Commissione quanto al suo intervento ai sensi dell’art. 86, n. 3, CE ha come conseguenza che, tra tutte le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza, soltanto l’art. 86 CE verrebbe interpretato ed applicato in maniera da escludere ogni possibilità di reazione per il destinatario di una decisione di archiviazione della sua denuncia. Gli Stati membri, pertanto, avrebbero maggiori possibilità di non incorrere in sanzione per comportamenti contrari agli obblighi imposti dal Trattato rispetto alle imprese private.

32     Infine, l’assenza di un atto impugnabile quale rilevata al punto 70 della sentenza max.mobil sarebbe in contrasto con la sentenza della Corte 20 febbraio 1997, causa C‑107/95 P, Bundesverband der Bilanzbuchhalter/Commissione (Racc. pag. I‑947), alla quale la Corte si richiama al punto 68 della sentenza max.mobil, e sarebbe incompatibile con il principio di tutela dei diritti in materia di concorrenza, che si applicherebbe indipendentemente dall’espressa attribuzione di qualsivoglia diritto procedurale da parte di un regolamento comunitario. Se così non fosse, il concreto esercizio del diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale contro ipotesi di cattiva amministrazione sarebbe subordinato all’adozione di norme di rango secondario, quando le regole applicabili all’impugnazione di un atto comunitario sarebbero esclusivamente quelle codificate dal Trattato.

33     In secondo luogo, essa sostiene che, nella sentenza max.mobil, la Corte non ha escluso che, in situazioni eccezionali, un privato possa, eventualmente, aver diritto a presentare ricorso avverso la decisione con cui la Commissione rifiuta di promuovere un’azione ai sensi dell’art. 86, n. 3, CE. In tal senso, al punto 68 della sentenza max.mobil, la Corte richiamerebbe, senza smentirla, la propria precedente giurisprudenza e, in particolare, la sentenza Bundesverband der Bilanzbuchhalter/Commissione, citata supra al punto 32, dalla quale emergerebbe che un singolo è legittimato, se del caso, a proporre ricorso per l’annullamento di una decisione della Commissione indirizzata ad uno Stato membro in base all’art. 86, n. 3, CE qualora sussistano i presupposti previsti dall’art. 230, quarto comma, CE.

34     Orbene, nella specie, la ricorrente si troverebbe in una situazione analoga a quella che il Tribunale ha qualificato come eccezionale nella sentenza 3 giugno 1999, causa T‑17/96, TF1/Commissione (Racc. pag. II‑1757). A tal riguardo la ricorrente asserisce, anzitutto, di essere titolare di una concessione per lo svolgimento di attività radiotelevisiva in ambito nazionale, esattamente come Retequattro. Inoltre, attribuendo a Retequattro diritti d’uso su frequenze destinate alla ricorrente in virtù della concessione ottenuta a seguito di gara pubblica, i provvedimenti statali controversi avrebbero per effetto di falsare la concorrenza in favore dell’impresa RTI, che godrebbe di diritti speciali. Inoltre, i provvedimenti statali controversi inciderebbero sensibilmente sulla situazione economica della ricorrente, in quanto le impedirebbero di esercitare attività radiotelevisive in concorrenza con le reti del gruppo Mediaset. Infine, la ricorrente mirerebbe ad ottenere non già l’adozione di una misura di carattere generale, bensì una decisione della Commissione in merito alla legittimità dei provvedimenti statali controversi, che favoriscono imprese ben determinate cui la ricorrente avrebbe fatto concorrenza qualora non fosse stata estromessa dal mercato con tali provvedimenti.

35     Alla luce di tali considerazioni, il ricorso sarebbe ricevibile.

 Giudizio del Tribunale

36     L’art. 86, n. 3, CE impone alla Commissione di vigilare sull’osservanza, da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti per quanto riguarda le imprese di cui all’art. 86, n. 1, CE, e le attribuisce espressamente il potere di intervenire a tale scopo mediante direttive e decisioni. La Commissione ha il potere di accertare che un determinato provvedimento statale è incompatibile con le norme del Trattato e di indicare i provvedimenti che lo Stato destinatario deve adottare per conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto comunitario (sentenza max.mobil, punto 66).

37     Nella sentenza max.mobil la Corte ha affermato, in sostanza, che la lettera con cui la Commissione ha comunicato all’autore di una denuncia di violazione del combinato disposto degli artt. 86 CE e 82 CE che essa non intendeva promuovere un’azione contro lo Stato membro interessato non può essere considerata produttiva di effetti giuridici vincolanti e, pertanto, non costituisce un atto impugnabile con un ricorso d’annullamento (sentenza max.mobil, punto 70).

38     Dalla medesima sentenza risulta peraltro che l’affermazione secondo cui tale lettera non costituisce un atto impugnabile con un ricorso d’annullamento non contrasta né con il principio di buona amministrazione né con altri principi generali di diritto comunitario. Infatti, secondo la Corte, nessun principio generale di diritto comunitario impone che un’impresa sia legittimata a contestare, dinanzi al giudice comunitario, il rifiuto della Commissione di promuovere un’azione nei confronti di uno Stato membro in base all’art. 86, n. 3, CE (sentenza max.mobil, punto 72).

39     Nella specie, la ricorrente ha chiesto alla Commissione di dichiarare che la Repubblica italiana aveva violato l’art. 86, n. 1, CE in combinato disposto, in particolare, con l’art. 82 CE, in ragione dei provvedimenti statali controversi. Rispondendo a tale denuncia, la Commissione ha inviato alla ricorrente l’atto impugnato, con cui le comunicava che, anche ammettendo l’esistenza di un preteso diritto speciale concesso a Retequattro e la posizione dominante della RTI, i provvedimenti statali controversi non sembravano rafforzare la posizione della RTI escludendo dal mercato i nuovi operatori in un modo contrario all’art. 86 CE in combinato disposto con l’art. 82 CE e che, conseguentemente, non prevedeva di intraprendere ulteriori azioni nel presente caso.

40     Tuttavia, in ossequio alla posizione sancita dalla Corte al punto 70 della sentenza max.mobil, si deve constatare che l’atto impugnato nella presente controversia non può essere ritenuto produttivo di effetti giuridici vincolanti, sicché non costituisce un atto impugnabile con un ricorso d’annullamento. Peraltro, alla luce del punto 72 della medesima sentenza, tale constatazione non è in contrasto né con il principio di buona amministrazione né con altri principi generali di diritto comunitario.

41     Alla luce di quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile.

 Sulle spese

42     Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

43     La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alle domande della Commissione e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

così provvede:

1)      Il ricorso è irricevibile.

2)      La ricorrente sopporterà, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione e dall’interveniente.

Lussemburgo, 16 febbraio 2006

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      J. Pirrung


* Lingua processuale: l’italiano.