Language of document : ECLI:EU:T:2007:357

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

27 novembre 2007 (*)

«Accesso ai documenti − Accordo Basilea-Nyborg – Ricorso di annullamento − Atti impugnabili – Motivazione − Eccezione di illegittimità – Decisione 93/731/CE − Regolamento interno della Banca centrale europea – Ricorso per risarcimento danni − Responsabilità extracontrattuale della Comunità per illecito dei suoi organi − Danno − Nesso causale»

Nelle cause riunite T‑3/00 e T‑337/04,

Athanasios Pitsiorlas, residente a Salonicco (Grecia), rappresentato dall’avv. D. Papafilippou,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dal sig. M. Bauer, e dalle sig.re S. Kyriakopoulou e D. Zachariou, successivamente dal sig. Bauer e dalla sig.ra Zachariou, in qualità di agenti,

e,

Banca centrale europea (BCE), rappresentata, nella causa T‑3/00, inizialmente dalla sig.ra C. Zilioli, dal sig. C. Kroppenstedt e dalla sig.ra P. Vospernik, successivamente dalla sig.ra Zilioli e dai sigg. Kroppenstedt, F. Athanasiou e S. Vuorensola, e, infine, dalla sig.ra Zilioli, dai sigg. Kroppenstedt e Athanasiou e, nella causa T‑337/04, dai sigg. Kroppenstedt, Athanasiou e P. Papapaschalis, in qualità di agenti,

convenuti,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda di annullamento delle decisioni del Consiglio e della Banca centrale europea di rigetto delle richieste del ricorrente di accesso ai documenti relativi all’accordo Basilea-Nyborg del settembre 1987 e, dall’altro lato, una domanda di risarcimento danni,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADODELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. M. Vilaras, presidente, dalle sig.re M.E. Martins Ribeiro e K. Jürimäe, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kantza, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 29 marzo 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Quadro normativo

1        Gli artt. 104 e 105 del Trattato CEE erano, inizialmente, così redatti:

«Articolo 104

Ogni Stato membro attua la politica economica necessaria a garantire l’equilibrio della sua bilancia globale dei pagamenti e a mantenere la fiducia nella propria moneta, pur avendo cura di garantire un alto livello di occupazione e la stabilità del livello dei prezzi.

Articolo 105

1.       Allo scopo di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 104, gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche. Essi istituiscono all’uopo una collaborazione tra i servizi competenti delle loro amministrazioni e tra i loro istituti bancari centrali.

(...)

2.       Per promuovere il coordinamento delle politiche degli Stati membri nel campo monetario in tutta la misura necessaria al funzionamento del mercato comune, è istituito un comitato monetario a carattere consultivo, con il compito di:

–        seguire la situazione monetaria e finanziaria degli Stati membri e della Comunità, nonché il regime generale dei pagamenti degli Stati membri, e riferirne regolarmente al Consiglio ed alla Commissione,

–        formulare pareri, sia a richiesta del Consiglio o della Commissione, sia di propria iniziativa, destinati a tali istituzioni.

Gli Stati membri e la Commissione nominano ciascuno due membri del comitato monetario».

2        Sulla base del citato art. 105, n. 2, e dell’art. 153 del Trattato CEE (divenuto art. 153 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 209 CE), a tenore del quale il Consiglio stabilisce lo statuto dei comitati previsti dal Trattato CEE, con decisione 18 marzo 1958, il Consiglio adottava lo statuto del comitato monetario (GU 1958, n. 17, pag. 390).

3        L’8 maggio 1964, il Consiglio adottava la decisione 64/300/CEE relativa alla collaborazione tra le Banche centrali degli Stati membri della Comunità economica europea (GU 1964, n. 77, pag. 1206). Conformemente all’art. 1 di tale decisione, allo scopo di sviluppare la collaborazione tra le banche centrali degli Stati membri, viene istituito un comitato dei governatori delle banche centrali degli Stati membri della Comunità economica europea (in prosieguo: il «comitato dei governatori»). L’art. 2 di tale decisione prevede, tra l’altro, che i membri del comitato sono i governatori delle banche centrali degli Stati membri e che la Commissione è, in linea di massima, invitata a farsi rappresentare da uno dei suoi membri alle sessioni del comitato dei governatori. Infine, conformemente all’art. 3 di questa stessa decisione, il comitato dei governatori ha, tra l’altro, il compito di procedere a «consultazioni in merito ai principi generali e alle grandi linee della politica delle Banche centrali, principalmente in materia di credito, di mercato monetario e di mercato dei cambi» e «a scambi di informazioni in merito alle misure principali che rientrano nella competenza delle Banche centrali e di esaminare le misure stesse».

4        Il 3 aprile 1973, il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 907/73 che istituisce un Fondo europeo di cooperazione monetaria (GU L 89, pag. 2). Conformemente all’art. 2 di tale regolamento il Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM), nell’ambito delle competenze attribuitegli, ha il compito di promuovere «il buon funzionamento della progressiva riduzione dei margini reciproci di fluttuazione delle monete comunitarie», «gli interventi in monete comunitarie sui mercati dei cambi» e «i regolamenti tra banche centrali intesi all’attuazione di una politica concertata delle riserve».

5        L’art. 1, primo comma, dello statuto del FECOM, che figura in allegato al citato regolamento, stabilisce che il FECOM è amministrato e gestito da un consiglio di amministrazione e che ne sono membri i membri del comitato dei governatori.

6        Nel giugno 1988, il Consiglio confermava l’obiettivo dell’istituzione per tappe dell’Unione economica e monetaria (UEM).

7        I compiti del comitato dei governatori venivano ampliati con decisione del Consiglio 12 marzo 1990, 90/142/CEE, che modifica la decisione 64/300/CEE (GU L 78 pag. 25). Viene ivi previsto che il comitato può emettere pareri diretti ai singoli governi e al Consiglio «in merito alle politiche che possono incidere sulla situazione monetaria interna ed esterna della Comunità, e, in particolare, sul funzionamento del sistema monetario europeo».

8        La prima fase della realizzazione dell’UEM ha preso ufficialmente inizio il 1° luglio 1990.

9        Dall’art. 109 E del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 116 CE) risulta che la seconda fase di realizzazione dell’UEM ha avuto inizio il 1° gennaio 1994.

10      Ai sensi dell’art. 109 F, n. 1, primo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 117 CE), «[a] decorrere dall’avvio della seconda fase, viene istituito e inizia la propria attività l’Istituto monetario europeo (in appresso denominato: “IME”)». A tenore del quarto comma di questo stesso articolo, oggi abrogato, «[il] comitato dei governatori (…) viene sciolto all’inizio della seconda fase».

11      L’art. 1, n. 3, del protocollo sullo statuto dell’Istituto monetario europeo (IME), allegato al Trattato UE, prevede che, «ai sensi dell’art. 109 F del Trattato [CE], sia il comitato dei governatori sia il [FECOM] vengono sciolti» e che tutte le attività e le passività del FECOM passano automaticamente all’IME. Ai sensi dell’art. 4, n. 1, primo trattino, del detto protocollo, l’IME «rafforza la cooperazione tra le banche centrali nazionali» e, a tenore del quinto trattino di questa stessa disposizione, l’IME «assume i compiti del FECOM».

12      Ai sensi dell’art. 123, n. 1, CE, «non appena è stato nominato il comitato esecutivo il [Sistema europeo di banche centrali] e la [Banca centrale europea] entrano in funzione» e «il pieno esercizio dei loro poteri ha inizio a decorrere dal primo giorno della terza fase».

13      Il 26 maggio 1998, i capi di Stato o di governo degli Stati membri che adottano la moneta unica emanavano, di comune accordo, la decisione 98/345/CE recante nomina del presidente, del vicepresidente e degli altri membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea (GU L 154, pag. 33). Tale decisione, in applicazione dell’art. 123, n. 1, CE, ha prodotto l’effetto di fissare al 1° giugno 1998 la data di istituzione del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e della Banca centrale europea (BCE).

14      Di conseguenza, la BCE succedeva, il 1° giugno 1998, all’IME ai fini del passaggio alla terza fase dell’UEM, che aveva inizio il 1° gennaio 1999.

15      L’art. 114, n. 2, CE prevede che, «[a]ll’inizio della terza fase verrà istituito un comitato economico e finanziario» e che «il comitato monetario (...) sarà sciolto».

16      Conformemente all’art. 8 CE, il SEBC e la BCE agiscono nei limiti dei poteri loro conferiti dal Trattato CE e dallo statuto del SEBC e della BCE (in prosieguo: lo «statuto del SEBC»), allegato al Trattato stesso.

17      Dall’art. 105 CE risulta che i compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC consistono nel definire e nell’attuare la politica monetaria della Comunità, nello svolgere le operazioni sui cambi, nel detenere e nel gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri e nel promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento con l’obiettivo principale del mantenimento della stabilità dei prezzi. La BCE stabilisce regolamenti e prende le decisioni necessarie per assolvere i compiti attribuiti al SEBC (art. 110 CE).

18      L’art. 107 CE, ai nn. 1 e 3, prevede che il SEBC «è composto dalla BCE e dalle banche centrali nazionali» e che «è retto dagli organi decisionali della BCE, che sono il consiglio direttivo e il comitato esecutivo».

19      L’art. 112 CE dispone:

«1.       Il consiglio direttivo della BCE comprende i membri del comitato esecutivo della BCE nonché i governatori delle banche centrali nazionali.

2.      a) [I]l comitato esecutivo comprende il presidente, il vice presidente e quattro altri membri.

(...)».

20      L’art. 10, n. 4, dello statuto del SEBC prevede che le riunioni del consiglio direttivo sono riservate e che quest’ultimo può decidere di rendere pubblico il risultato delle proprie deliberazioni.

21      Conformemente all’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC «[i]l Consiglio direttivo adotta il regolamento interno che determina l’organizzazione interna della BCE e dei suoi organi decisionali». La BCE ha adottato il suo regolamento interno il 7 luglio 1998 (GU L 338, pag. 28), regolamento modificato il 22 aprile 1999 (GU L 125, pag. 34) e il 7 ottobre 1999 (GU L 314, pag. 32).

22      L’art. 23 del regolamento interno della BCE, intitolato «Riservatezza e accesso a documenti e archivi della BCE», nella sua versione risultante dalla modifica del 22 aprile 1999 e applicabile al momento dei fatti, così dispone:

«23.1. I lavori degli organi decisionali della BCE e di ogni comitato o gruppo da essi istituito sono riservati, a meno che il consiglio direttivo non autorizzi il presidente a rendere pubblico il risultato delle loro delibere.

23.2. Tutti i documenti redatti dalla BCE sono riservati, a meno che il consiglio direttivo non decida altrimenti. L’accesso ai documenti e agli archivi della BCE, nonché ai documenti precedentemente custoditi negli archivi dell’IME è disciplinato dalla decisione della [BCE] 3 novembre 1998 relativa all’accesso del pubblico ai documenti e agli archivi della [BCE] (BCE/1998/12).

23.3. I documenti custoditi negli archivi del [comitato dei governatori], dell’IME e della BCE sono accessibili liberamente trascorso un periodo di 30 anni. In casi particolari, il consiglio direttivo può abbreviare tale periodo».

 Fatti all’origine della controversia

23      Con lettera 6 aprile 1999, pervenuta al segretariato generale del Consiglio il 9 aprile successivo, il ricorrente, che all’epoca stava preparando un dottorato in giurisprudenza presso l’università di Salonicco (Grecia), chiedeva, in applicazione della decisione del Consiglio 20 dicembre 1993, 97/731/CEE, relativa all’accesso del pubblico ai documenti del Consiglio (GU L 340, pag. 43), come modificata con decisione 6 dicembre 1996, 96/705/CE, CECA, Euratom (GU L 325, pag. 19), di avere accesso all’accordo Basilea-Nyborgsul consolidamento del sistema monetario europeo (SME), avallato dal Consiglio dei ministri dell’Economia e delle Finanze nel corso della sua riunione informale di Nyborg (Danimarca) il 12 settembre 1987.

24      Con lettera 11 maggio 1999, comunicata al ricorrente il 15 maggio successivo, il segretariato generale del Consiglio rispondeva a quest’ultimo nei seguenti termini:

«Il segretariato generale ha preso attentamente in esame la Sua domanda, ma, poiché non si è potuto trovare il documento, ne deduciamo che si tratta molto probabilmente di un documento della [Banca centrale europea]. Sarebbe pertanto opportuno che Lei si rivolgesse direttamente a quest’ultima (...)».

25      Con lettera 8 giugno 1999, registrata presso il segretariato generale del Consiglio il 10 giugno seguente, il ricorrente presentava una richiesta di conferma a norma dell’art. 7, n. 1, della decisione 93/731.

26      Con lettera 28 giugno 1999 indirizzata alla direzione della BCE per i rapporti con il pubblico, il ricorrente chiedeva, a norma della decisione della BCE 3 novembre 1998, 1999/284/CE, relativa all’accesso del pubblico ai documenti e agli archivi della BCE (GU 1999, L 110, pag. 30), di accedere ai documenti relativi all’accordo Basilea-Nyborg.

27      Con lettera 5 luglio 1999 il segretariato generale del Consiglio comunicava al ricorrente che, data l’impossibilità di prendere una decisione nel termine di un mese previsto dall’art. 7, n. 3, della decisione 93/731, era stato deciso di prorogare tale termine in applicazione del n. 5 del detto articolo.

28      Con lettera 6 luglio 1999, notificata il 12 luglio successivo, il direttore della BCE preposto ai rapporti con il pubblico trasmetteva al ricorrente un comunicato stampa del comitato dei governatori e del FECOM, datato 18 settembre 1987, che descriveva le misure convenute al fine di rafforzare i meccanismi di funzionamento dello SME. Nella detta lettera veniva fatto presente che i documenti emanati dal comitato dei governatori non rientravano nell’ambito di applicazione della decisione 1999/284 ma in quello dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, che prevedeva, tra l’altro, che i documenti del comitato dei governatori sarebbero stati accessibili liberamente trascorso un periodo di 30 anni.

29      Le 27 luglio 1999, il ricorrente scriveva alla BCE al fine di sollecitare un riesame della sua richiesta sulla base dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, il quale autorizza il consiglio direttivo, in taluni casi particolari, a ridurre il periodo di riservatezza di 30 anni. Il ricorrente aggiungeva che l’oggetto delle sue ricerche poteva comunque rientrare nei «casi particolari» cui fa riferimento l’articolo sopra citato.

30      Con lettera 2 agosto 1999, notificata al ricorrente l’8 agosto successivo, il segretariato generale del Consiglio comunicava al ricorrente la decisione del Consiglio 30 luglio 1999, recante risposta alla sua richiesta di conferma basata sulla decisione 93/731 (in prosieguo: la «decisione del Consiglio»). Tale decisione era formulata nei termini seguenti:

«Risposta approvata dal Consiglio il 30 luglio 1999 alla richiesta di conferma del sig. Pitsiorlas (1/99), sottoposta al Consiglio con lettera 8 giugno 1999, registrata presso il segretariato generale del Consiglio il 10 giugno 1999 conformemente all’art. 7, n. 1, della decisione del Consiglio 93/731/CE […], affinché gli fosse consentito di accedere al documento:

accordo Basilea-Nyborg (settembre 1987).

In seguito ad una ricerca approfondita, abbiamo constatato che il documento menzionato nella Sua domanda riguarda la “relazione del comitato dei governatori relativa al consolidamento dello SME”, che è stata pubblicata dal [c]omitato dei governatori l’8 settembre 1987 a Nyborg.

Le regole relative al funzionamento amministrativo dello SME non hanno mai fatto parte del diritto comunitario; conseguentemente, il Consiglio non è mai stato chiamato a prendere una decisione a questo proposito.

Poiché in questo caso il documento richiesto è stato elaborato dai governatori delle banche centrali, La invitiamo a rivolgere la sua richiesta direttamente ai governatori delle banche centrali o alla BCE […] ai sensi dell’art. 2, n. 2 della decisione».

31      L’8 novembre 1999, il direttore della BCE preposto ai rapporti con il pubblico indirizzava al ricorrente una lettera, da questi ricevuta il 13 novembre successivo, la quale era così formulata:

«La ringraziamo per la lettera con la quale Ella ha richiesto di accedere all’accordo “Basilea‑Nyborg” del settembre 1987. La preghiamo di accettare le nostre scuse per il ritardo nel risponderLe, dovuto al fatto che la Sua richiesta ci è pervenuta nel periodo estivo, durante il quale le riunioni del [c]onsiglio direttivo sono interrotte.

Per quanto riguarda il Suo desiderio, il [c]consiglio direttivo della BCE ha esaminato più attentamente la Sua richiesta specifica di accesso agli archivi del comitato dei governatori. Esso ha preso in considerazione il fatto che l’accordo Basilea-Nyborg non è, propriamente parlando, un documento unico, redatto sotto forma di accordo tra le parti, ma esiste unicamente in forma di relazioni e di processi verbali che hanno per autori il comitato dei governatori e il comitato monetario. Il [c]onsiglio direttivo ha inoltre osservato che un comunicato stampa molto dettagliato al riguardo era stato diffuso il 18 settembre 1987 e che tale comunicato Le è stato inviato in allegato alla lettera del 6 luglio 1999. Tale comunicato esponeva in modo molto dettagliato tutti i punti dell’accordo realizzato tra i governatori delle Banche centrali. Le modifiche così apportate all’accordo sullo SME del 13 marzo 1979 (v. l’ultimo paragrafo del comunicato stampa) sono state attuate mediante lo Strumento del 10 novembre 1987, di cui una copia è allegata alla presente.

Sulla base di tali considerazioni, il consiglio direttivo ha deciso di non concedere l’accesso agli archivi del comitato dei governatori.

Dal momento che Ella dispone già di tutte le informazioni essenziali sull’accordo ‘‘Basilea‑Nyborg”, nutro la convinzione che il Suo lavoro di ricerca potrà cionondimeno svolgersi compiutamente e produrre i suoi frutti».

 Procedimento e conclusioni delle parti

32      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 gennaio 2000 (causa T‑3/00), il ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento, da un lato, avverso la decisione del Consiglio e, dall’altro, avverso le lettere della BCE 6 luglio e 8 novembre 1999.

33      Con lettera 10 gennaio 2000, il ricorrente ha chiesto il beneficio del gratuito patrocinio. Tale domanda è stata respinta con ordinanza 8 maggio 2000 del presidente della Prima Sezione del Tribunale.

34      Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 aprile 2000, il Consiglio ha sollevato un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’art. 114 del regolamento di procedura del Tribunale, in merito alla quale il ricorrente ha presentato le sue osservazioni il 29 giugno 2000.

35      Con ordinanza della Prima Sezione 14 febbraio 2001, il ricorso in esame è stato dichiarato irricevibile nella parte in cui era rivolto avverso la decisione del Consiglio e il ricorrente è stato condannato alle spese.

36      Con ricorso depositato presso la cancelleria della Corte il 7 maggio 2001 a norma dell’art. 49 dello Statuto CE della Corte, il ricorrente ha impugnato l’ordinanza del 14 febbraio 2001 (causa C‑193/01 P).

37      Con ordinanza 17 aprile 2002, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha deciso di sospendere il procedimento, in attesa della sentenza della Corte.

38      Con sentenza 15 maggio 2003, causa C‑193/01 P, Pitsiorlas/Consiglio e BCE (Racc. pag. I‑4837; in prosieguo: la «sentenza Pitsiorlas»), la Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale nella parte in cui dichiarava irricevibile il ricorso di annullamento avverso la decisione del Consiglio, ha respinto l’eccezione di irricevibilità sollevata da quest’ultimo nell’ambito del ricorso in esame rinviando la causa dinanzi al Tribunale per la decisione nel merito e ha riservato le spese.

39      La fase scritta del procedimento è stata ripresa dinanzi al Tribunale nello stato in cui si trovava, conformemente all’art. 119, n. 2, del regolamento di procedura.

40      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2004 (causa T‑337/04), il ricorrente ha proposto un ricorso per risarcimento danni nei confronti del Consiglio e della BCE.

41      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata a partire dal 13 settembre 2004, il giudice relatore è stato assegnato, in qualità di presidente, alla Quinta Sezione, alla quale la presente causa è stata di conseguenza attribuita.

42      Con ordinanza del presidente della Quinta Sezione del Tribunale 26 aprile 2005, le cause T‑3/00 e T‑337/04 sono state riunite ai fini della fase orale e della sentenza, conformemente all’art. 50 del regolamento di procedura.

43      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale nelle due cause e, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, di sottoporre taluni quesiti ai convenuti nonché di chiedere loro di produrre taluni documenti.

44      Con lettere pervenute in cancelleria il 15 e il 16 marzo 2007, la BCE e, rispettivamente, il Consiglio hanno risposto ai detti quesiti e prodotto i documenti richiesti.

45      Con lettere pervenute in cancelleria il 16 e il 21 marzo 2007, il ricorrente ha versato agli atti nuovi documenti relativi alla sua situazione fiscale nonché osservazioni sul tenore della relazione d’udienza.

46      Il ricorrente non si è presentato all’udienza del 29 marzo 2007, e sono state sentite soltanto le difese dei convenuti e le risposte di questi ultimi ai quesiti rivolti dal Tribunale.

A –  Conclusioni nella causa T‑3/00

47      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare la decisione del Consiglio;

–        annullare le lettere della BCE 6 luglio e 8 novembre 1999;

–        ordinare i mezzi istruttori necessari per chiarire in quali circostanze sono state adottate le decisioni del Consiglio e della BCE;

–        condannare il Consiglio e la BCE alle spese.

48      Nella replica, il ricorrente conclude, inoltre, che il Tribunale voglia:

–        adottare i mezzi istruttori necessari per stabilire quando, in quale circostanza, e nell’ambito di quale rapporto giuridico, se del caso contrattuale, la BCE sia entrata in possesso della relazione del comitato monetario intitolata «Il consolidamento dello SME – Relazione del [p]residente del [c]omitato monetario alla riunione informale dei ministri delle Finanze», del 12 settembre 1987, che si trova negli archivi del comitato dei governatori;

–        intimare alla BCE di produrre agli atti i verbali della riunione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999, o di qualsiasi altra data, per conoscere il trattamento riservato alla sua richiesta e le condizioni nelle quali la lettera della BCE 8 novembre 1999 è stata adottata;

–        chiedere alla BCE di fornire i dati statistici relativi all’accesso ai suoi documenti nel corso del periodo compreso tra il 1° giugno 1998 e il 31 maggio 2000;

–        condannare il Consiglio alle spese delle due cause (comprese quelle relative alla causa C‑193/01 P).

49      Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente a tutte le spese, comprese quelle sostenute nella causa C‑193/01 P.

50      La BCE conclude che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso irricevibile e, in subordine, respingerlo;

–        condannare il ricorrente alle spese.

B –  Conclusioni nella causa T‑337/04

51      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        condannare i convenuti a versargli, in solido e integralmente, in primo luogo, a titolo di danno materiale, la somma risultante dal calcolo della retribuzione dell’impiego in seno alla BCE corrispondente alle sue qualificazioni, per il periodo che inizia col mese di aprile 2001 e termina tre mesi dopo la sentenza che il Tribunale pronuncerà, purché essa sia a suo favore, dedotti i redditi percepiti quale avvocato durante lo stesso periodo e, in secondo luogo, a titolo di danno morale, la somma di EUR 90 000, maggiorata degli interessi al tasso legale a partire dalla notifica del ricorso;

–        condannare i convenuti alle spese e alle «spese extra giudiziarie».

52      Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

53      La BCE conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso e tutte le domande ivi contenute per mancanza di fondamento;

–        condannare il ricorrente a tutte le spese.

 Sulla domanda di annullamento

A –  Sulla ricevibilità

54      La BCE oppone varie eccezioni di irricevibilità al ricorso di annullamento nella parte in cui esso è diretto contro le sue lettere 6 luglio e 8 novembre 1999.

1.     Sull’esistenza di atti impugnabili

55      La BCE sostiene, in primo luogo, che la lettera da essa inviata al ricorrente il 6 luglio 1999 è priva di qualsiasi carattere decisionale.

56      Occorre ricordare, in limine, che, a norma dell’art. 35, n. 1, dello statuto del SEBC, i giudici comunitari possono conoscere degli atti o delle omissioni della BCE o essere aditi per la loro interpretazione nei casi e alle condizioni stabiliti dal Trattato CE, fatto salvo il regime specifico previsto per le controversie fra la BCE e i suoi dipendenti dall’art. 36, n. 2, dello statuto del SEBC. Poiché il ricorso di annullamento in esame non riguarda una controversia tra la BCE e i suoi dipendenti, la sua ricevibilità va esaminata con riferimento alle condizioni poste dall’art. 230 CE, cui fa rinvio l’art. 35, n. 1, dello statuto del SEBC (v., in tal senso, ordinanza del Tribunale 18 aprile 2002, causa T‑238/00, IPSO e USE/BCE, Racc. pag. II‑2237, punto 43).

57      A tenore dell’art. 230, quarto comma, CE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni indicate nei primi tre commi del medesimo articolo, «un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente».

58      Secondo la giurisprudenza, il fatto che una lettera sia stata inviata da un’istituzione comunitaria in risposta ad una domanda formulata dal destinatario non è sufficiente perché tale lettera possa essere qualificata come decisione ai sensi dell’art. 230 CE, impugnabile con ricorso di annullamento (v. sentenza del Tribunale 28 ottobre 1993, causa T‑83/92, Zunis Holding e a./Commissione, Racc. pag. II‑1169, punto 30, e la giurisprudenza ivi citata). Costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un’azione di annullamento, ai sensi dell’art. 230 CE, i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di quest’ultimo (sentenza della Corte 31 marzo 1998, cause riunite C‑68/94 e C‑30/95, Francia e a./Commissione, Racc. pag. I‑1375, punto 62; e sentenza del Tribunale 22 marzo 2000, cause riunite T‑125/97 e T‑127/97, Coca-Cola/Commissione, Racc. pag. II‑1733, punto 77).

59      Nella specie, è innanzi tutto pacifico che, dopo aver ricevuto una richiesta di accesso del ricorrente all’accordo Basilea-Nyborg sulla base della decisione 1999/284, la BCE, con lettera 6 luglio 1999, ha fatto presente all’interessato che i documenti provenienti dal comitato dei governatori non rientravano nell’ambito di applicazione della decisione 1999/284 ma in quello dell’art. 23, n. 3, del proprio regolamento interno, il quale, tra l’altro, prevede che i documenti del comitato dei governatori sono accessibili liberamente trascorso un periodo di 30 anni.

60      Risulta così che, nella lettera del 6 luglio 1999, la BCE si è limitata a precisare la normativa applicabile alla domanda di comunicazione di documenti presentata dal ricorrente, il quale si è del resto conformato alle indicazioni della BCE presentando a quest’ultima una nuova richiesta di accesso basata sull’art. 23, n. 3, del regolamento interno di tale ente.

61      Come ammesso dallo stesso ricorrente, la lettera del 6 luglio 1999 è di carattere puramente informativo e non costituisce un atto impugnabile ai sensi dell’art. 230 CE. Di conseguenza, il ricorso va dichiarato irricevibile nella parte in cui è diretto all’annullamento della detta lettera.

62      La BCE fa presente, in secondo luogo, che la lettera 8 novembre 1999, pure considerata dal ricorrente nelle sue conclusioni, aveva lo scopo di informare quest’ultimo della decisione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999 di non concedergli l’accesso agli archivi del comitato dei governatori.

63      Il Tribunale rileva che la lettera 8 novembre 1999 è l’unico documento ricevuto dal ricorrente in risposta alla sua richiesta basata sull’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE e che se la detta lettera menziona il fatto che il «consiglio direttivo ha deciso» di non dare accesso al ricorrente agli archivi del comitato dei governatori, non viene assolutamente fatto riferimento ad una precisa data di adozione della detta decisione, poiché quella del 21 ottobre 1999 è stata fornita dalla BCE nel suo controricorso.

64      Rispondendo ad un quesito del Tribunale, la BCE ha prodotto vari documenti che attestano l’esistenza dell’asserita decisione e, in particolare, un estratto del verbale della 29a riunione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999.

65      Si deve pertanto constatare che la decisione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999 che respinge la richiesta di accesso del ricorrente è stata materialmente formalizzata nei confronti di quest’ultimo solo con l’atto di notifica di cui ha costituito oggetto e quindi si devono interpretare le conclusioni del ricorrente nel senso che sono intese a ottenere l’annullamento di detta decisione, così come portata a sua conoscenza l’8 novembre 1999.

66      Si deve ancora notare che, dopo aver concluso per l’irricevibilità del ricorso in quanto la decisione del consiglio direttivo 21 ottobre 1999 costituiva un atto di portata generale avverso il quale il ricorrente non era legittimato ad agire, la BCE, nel corso dell’udienza, ha riconosciuto il carattere individuale del provvedimento di cui trattasi e ha rinunciato all’eccezione di irricevibilità in esame, fatto di cui è stato preso atto nel verbale d’udienza.

67      Poiché l’eccezione di irricevibilità relativa alla mancanza di legittimazione ad agire del ricorrente costituisce un motivo di ordine pubblico che può, e anzi deve, essere esaminato d’ufficio dal giudice comunitario (sentenza della Corte 29 aprile 2004, causa C‑298/00 P, Italia/Commissione, Racc. pag. I‑4087, punto 35), il Tribunale ricorda che, a norma dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC, il consiglio direttivo, il 7 luglio 1998, ha adottato un regolamento interno inteso ad assicurare il funzionamento interno della BCE nell’interesse di una buona amministrazione e contenente un art. 23 intitolato, nella versione derivante dalla modifica del regolamento interno del 22 aprile 1999, «Riservatezza e accesso a documenti e archivi della BCE».

68      È pacifico che questa disposizione, che è formulata in termini generali, che si applica a situazioni obiettivamente determinate e produce effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in termini generali e astratti, ha portata generale.

69      Si deve sottolineare che il ricorrente non ha chiesto né si è visto rifiutare la modifica o la revoca dell’art. 23 del regolamento interno della BCE, ma ha bensì semplicemente chiesto l’applicazione del detto articolo e, più particolarmente, del suo n. 3. Ciò considerato, la giurisprudenza secondo la quale il rifiuto di un’istituzione comunitaria di revocare o di modificare un atto può costituire esso stesso un atto suscettibile di sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 230 CE, solo se l’atto che l’istituzione comunitaria si rifiuta di revocare o di modificare avrebbe potuto, a sua volta, essere impugnato in forza di tale disposizione (v. sentenza Zunis Holding e a./Commissione, punto 58 supra, punto 31, e la giurisprudenza ivi citata), non è applicabile nel caso di specie.

70      Contrariamente alle iniziali affermazioni della BCE, non può ritenersi che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE abbia il solo scopo di consentire al consiglio direttivo di ridurre il periodo di riservatezza unicamente sulla base del tenore del documento o dei documenti interessati e di adottare, così facendo, un atto avente efficacia erga omnes.

71      È, certamente, concepibile che il consiglio direttivo possa di propria iniziativa, sulla base della citata disposizione, ridurre il termine di riservatezza di 30 anni per taluni documenti o per una categoria di documenti consentendone così l’accesso a qualsiasi interessato.

72      Cionondimeno l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE è ugualmente inteso a conferire al pubblico il diritto di presentare una richiesta di riduzione del periodo di riservatezza, fermo restando che nulla osta a che una disciplina concernente l’organizzazione interna dei lavori di un’istituzione produca effetti giuridici nei confronti dei terzi (sentenza della Corte 30 aprile 1996, causa C‑58/94, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I‑2169, punto 38). A norma dell’art. 23, n. 3, seconda frase, del regolamento interno della BCE, che è destinato a essere applicato in modo generale, chiunque può pertanto chiedere l’accesso a qualsiasi documento conservato negli archivi del comitato dei governatori, anche prima che sia trascorso un periodo di 30 anni.

73      La generica formulazione dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE consente di concludere che il fatto che l’atto adottato dal consiglio direttivo su tale base può, in un determinato caso di specie, presentare carattere generale non esclude che il detto atto possa costituire un provvedimento individuale in un altro caso, qualora si tratti di un atto negativo adottato dalla BCE, adita da un singolo, dopo aver preso in considerazione la situazione di quest’ultimo e gli interessi individuali addotti, e successivamente notificato direttamente all’interessato.

74      È giocoforza constatare che quest’ultima ipotesi corrisponde esattamente alle circostanze del caso di specie, quali risultano dagli atti sottoposti all’esame del Tribunale.

75      È pacifico che il ricorrente, con lettera 27 luglio 1999, ha presentato alla BCE una richiesta di riduzione del periodo di riservatezza basata sull’art. 23, n. 3, del regolamento interno, per poter prendere conoscenza dei documenti relativi all’accordo Basilea-Nyborg e ha motivato tale richiesta con l’importanza di questi ultimi ai fini della sua tesi.

76      La detta richiesta è stata respinta per il motivo, menzionato nella lettera 8 novembre 1999, che al ricorrente erano già stati comunicati due documenti pertinenti e che, disponendo egli quindi di tutte le informazioni essenziali sull’accordo Basilea-Nyborg, i suoi lavori di ricerca potevano continuare e produrre i loro frutti.

77      Infine, il ricorrente è l’unico destinatario della decisione del consiglio direttivo, la quale è stata portata a sua conoscenza con lettera 8 novembre 1999.

78      Alla luce delle circostanze di cui sopra, va considerato che l’atto adottato dal consiglio direttivo il 21 ottobre 1999, come notificato con lettera 8 novembre 1999 (in prosieguo: la «decisione della BCE»), costituisce senz’altro una decisione individuale avverso la quale il ricorrente è legittimato a proporre ricorso di annullamento.

2.     Sul preteso carattere tardivo del ricorso di annullamento

79      La BCE sostiene che il primo documento depositato presso la cancelleria del Tribunale dal ricorrente il 4 gennaio 2000 contiene allo stesso tempo una domanda di gratuito patrocinio e la presentazione di un ricorso ai sensi dell’art. 230 CE ed è firmato dal ricorrente stesso e non da un altro avvocato, il che è in contrasto con l’art. 43, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale e con l’art. 17, terzo comma, dello Statuto della Corte, quali interpretati dalla Corte (ordinanza della Corte 5 dicembre 1996, causa C‑174/96 P, Lopes/Corte di giustizia, Racc. pag. I‑6401). Il secondo documento, depositato il «7 febbraio 2000», debitamente firmato da un avvocato diverso dal ricorrente, non può, secondo la BCE, sanare retroattivamente l’iniziale vizio procedurale, poiché il termine di due mesi entro il quale il ricorso doveva essere proposto era scaduto il 13 gennaio 2000.

80      Occorre, a questo proposito, osservare che l’atto introduttivo del ricorso, iscritto nel registro della Corte il 20 gennaio 2000, reca la firma di un avvocato incaricato dal ricorrente e quindi è conforme ai requisiti dell’art. 17, terzo comma, dello Statuto della Corte e dell’art. 43 n. 1, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, all’epoca applicabili.

81      Di conseguenza, resta da esaminare se il ricorso sia stato proposto entro il termine di due mesi previsto dall’art. 230 CE, più un termine in ragione della distanza di dieci giorni, applicabile alle parti aventi la loro residenza abituale in Grecia, conformemente ad una decisione della Corte all’epoca in vigore, prima della modifica del regolamento di procedura del Tribunale entrata in vigore il 1° febbraio 2001.

82      Nella specie, il 13 novembre 1999 il ricorrente ha avuto conoscenza della lettera 8 novembre 1999 con la quale la BCE l’informava del rigetto della sua richiesta da parte del consiglio direttivo. Il termine per la presentazione del ricorso scadeva quindi il 23 gennaio 2000, prendendo in considerazione il termine in ragione della distanza di dieci giorni, omesso dalla BCE nella sua argomentazione. Poiché il ricorrente ha proposto il ricorso il 20 gennaio 2000, e non il 7 febbraio 2000 come erroneamente indicato dalla BCE nel controricorso, l’eccezione di irricevibilità relativa al carattere tardivo del ricorso è pertanto infondata.

3.     Sul preteso carattere abusivo del ricorso

83      La BCE sostiene che il ricorso è «sine causa» e abusivo, in quanto, in sostanza, essa ha soddisfatto la richiesta del ricorrente.

84      Tale tesi non può essere condivisa dal Tribunale.

85      Occorre, innanzi tutto, ricordare che, secondo la BCE, l’accordo Basilea-Nyborg non corrisponde a un documento unico, bensì è costituito da un insieme di documenti che presentano la forma di relazioni e di processi verbali delle riunioni del comitato dei governatori e del comitato monetario. La BCE ha pertanto precisato che l’accordo Basilea-Nyborg era costituito dalla «relazione del comitato dei governatori relativa al consolidamento dello SME» e da una relazione del comitato monetario intitolata «Il consolidamento dello SME – Relazione del presidente del comitato monetario alla riunione informale dei ministri delle Finanze, Nyborg, 12 settembre 1987».

86      Si deve poi rilevare che appare quantomeno paradossale pretendere, come fa la BCE, che il ricorrente abbia ricevuto due documenti, diversi da quelli di cui sopra, contenenti informazioni che «rappresentano senz’altro l’intero accordo Basilea-Nyborg», rifiutandogli nel contempo l’accesso per il motivo, fornito nelle sue memorie, che il suo tenore è riservato.

87      La BCE aggiunge che la «relazione del comitato dei governatori relativa al consolidamento dello SME non aggiungerebbe alcuna informazione nuova e pertinente», passando così sotto silenzio la menzionata relazione del comitato monetario.

88      Basta in realtà constatare che il consiglio direttivo ha rifiutato di ridurre il periodo di riservatezza di 30 anni e, con ciò stesso, di dare accesso ai documenti costituenti l’accordo Basilea-Nyborg considerato nella richiesta del ricorrente. Di conseguenza, non può ritenersi che la richiesta del ricorrente sia stata soddisfatta e che pertanto il suo ricorso sia privo di oggetto.

89      È importante inoltre ricordare che una persona alla quale sia stato negato l’accesso a un documento o a una parte di un documento ha già, per ciò solo, un interesse all’annullamento della decisione di diniego (sentenza del Tribunale 17 giugno 1998, causa T‑174/95, Svenska Journalistförbundet/Consiglio, Racc. pag. II‑2289, punto 67).

90      Per quanto riguarda, infine, il preteso carattere defatigatorio del ricorso proposto dal ricorrente, tale considerazione è priva di ogni pertinenza nel contesto dell’esame della ricevibilità del ricorso e rientra nella discussione sulle spese.

4.     Sulla asserita incompetenza della BCE a concedere l’accesso alla relazione del comitato monetario

91      La BCE sostiene di non essere il destinatario appropriato della domanda di accesso alla relazione del comitato monetario, in quanto non ne è l’autrice né la custode dei documenti del comitato monetario.

92      Basta constatare che questo motivo è privo di qualsiasi pertinenza nell’ambito dell’esame della ricevibilità del ricorso. Le considerazioni della BCE sull’applicazione, nella specie, di una regola dell’autore rientrano nell’esame del merito.

93      Si deve infine rilevare che, nel corso dell’udienza, la BCE ha confermato che essa era effettivamente in possesso della relazione del comitato monetario e che la decisione del consiglio direttivo 21 ottobre 1999 di rigetto della richiesta di accesso del ricorrente all’accordo Basilea-Nyborg, basata sull’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, riguardava l’insieme dei documenti costituenti di tale accordo, ivi compresa la relazione del comitato monetario, circostanza di cui è stato preso atto nel verbale d’udienza.

94      Dalle considerazioni che precedono consegue che l’eccezione di irricevibilità relativa all’asserita incompetenza della BCE a concedere l’accesso alla relazione del comitato monetario dev’essere respinta.

B –  Sul merito

1.     Sulla domanda di annullamento della decisione del Consiglio

a)     Gli argomenti delle parti

95      A sostegno della sua domanda, il ricorrente deduce tre motivi fondati sulla violazione, in primo luogo, dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento, in secondo luogo, dell’obbligo di motivazione e, in terzo luogo, del «principio fondamentale di diritto comunitario relativo all’accesso dei cittadini ai documenti» e dell’art. 1 della decisione 93/731.

96      Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che i principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento non possono significare o tollerare che un’istituzione come il Consiglio possa nascondere la verità, mentire o ingannare gli amministrati che ad essa si rivolgono. Orbene, nella specie, il ricorrente sarebbe stato vittima di un’ingannevole azione concertata del Consiglio e della BCE. Così, dopo aver dichiarato di ignorare l’accordo controverso, il Consiglio avrebbe dissimulato l’esistenza della relazione del comitato monetario e rinviato il ricorrente alla BCE, la quale avrebbe deliberatamente tardato a rispondere allo scopo di rendere impossibile un ricorso avverso la decisione del Consiglio a seguito della scadenza del termine a tal fine previsto.

97      Secondo il ricorrente, la violazione di tali principi è stata indirettamente ma chiaramente riconosciuta dalla Corte la quale, nella sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, ha constatato l’esistenza di un errore scusabile risultante dalla dissimulazione, da parte del Consiglio, della relazione del comitato monetario che fa parte dell’accordo Basilea-Nyborg, e ha respinto l’eccezione di irricevibilità sollevata da tale istituzione. Il ricorrente rileva che, malgrado i termini di tale sentenza e in contraddizione con questi, il Consiglio afferma ancora che l’informazione contenuta nella sua decisione 30 luglio 1999 è esatta.

98      Il ricorrente, in secondo luogo, sostiene che l’inganno perpetrato dal Consiglio implica necessariamente che la decisione di quest’ultimo non risponde ai requisiti dell’art. 253 CE e dell’art. 7, n. 3, della decisione 93/731 e che per tale ragione essa deve essere annullata (sentenza della Corte 14 febbraio 1990, causa C‑350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I‑395, punto 15; sentenze del Tribunale 12 gennaio 1995, causa T‑85/94, Branco/Commissione, Racc. pag. II‑45, punto 32, e Svenska Journalistförbundet/Consiglio, punto 89 supra, punto 116).

99      L’affermazione del Consiglio, formulata nel controricorso, secondo cui quest’ultimo nella sua decisione ha applicato la «regola dell’autore» per respingere la richiesta del ricorrente, costituirebbe un’interpretazione a posteriori della detta decisione, dato che quest’ultima non menziona l’art. 2, n. 2, della decisione 93/731 né contiene l’espressione «autore del documento». Il ricorrente sostiene che tale affermazione, che è indirettamente ma chiaramente respinta dalla Corte nella sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, non può costituire una legittima motivazione della decisione del Consiglio, poiché quest’ultimo non gli ha dato l’occasione di confutarla nell’ambito del procedimento amministrativo e del ricorso (sentenza della Corte 17 maggio 2001, causa C‑449/98 P, IECC/Commissione, Racc. pag. I‑3875, punto 87; sentenze del Tribunale 19 settembre 2000, causa T‑252/97, Dürbeck/Commissione, Racc. pag. II‑3031, punto 97, e 12 luglio 2001, causa T‑204/99, Mattila/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2265, punto 92).

100    In terzo luogo, il ricorrente sostiene che l’inganno di cui è stato vittima da parte del Consiglio implica altresì una violazione del «principio fondamentale del diritto comunitario relativo all’accesso dei cittadini ai documenti» e dell’art. 1 della decisione 93/731. Pertanto, gli argomenti esposti a proposito della violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento si applicherebbero anche in base al terzo motivo dedotto.

101    Esso fa valere, nella replica, che gli argomenti addotti dal Consiglio nel controricorso circa la qualità di terzo del comitato monetario esprimono un rifiuto di applicazione della decisione 93/731 e sono privi di fondamento, poiché le condizioni di applicazione dell’art. 2, n. 2, della detta decisione, relativo alla regola dell’autore, non ricorrono nella fattispecie. Alla luce delle sue attribuzioni, infatti, il comitato monetario non potrebbe essere qualificato come terzo rispetto al Consiglio.

102    Il ricorrente sottolinea infine, pur affermando di applicare nella specie la regola dell’autore, che il Consiglio ha evitato di indicare l’attuale detentore della relazione del comitato monetario, il che è in contrasto con il principio di trasparenza addotto dal Consiglio.

103    Il Consiglio conclude per il rigetto dei motivi di annullamento dedotti dal ricorrente.

b)     Giudizio del Tribunale

 Considerazioni preliminari

104    Si deve, innanzi tutto, precisare l’oggetto del ricorso di annullamento proposto dal ricorrente avverso la decisione del Consiglio.

105    Va ricordato che, nella sua decisione, il Consiglio ha affermato che l’accordo Basilea-Nyborg era costituito della relazione del comitato dei governatori e che il ricorrente doveva rivolgersi direttamente ai governatori delle banche centrali o alla BCE. È pacifico che in questa decisione, il Consiglio non ha fatto menzione della relazione del comitato monetario.

106    Dalla lettera 8 novembre 1999 della BCE risulta che l’accordo Basilea-Nyborg è costituito da un insieme di documenti che presentano la forma di varie relazioni e vari processi verbali di riunioni del comitato dei governatori e del comitato monetario. Nel controricorso, la BCE ha precisato che il detto accordo era costituito, da un lato, da una relazione del comitato dei governatori intitolata «Relazione del comitato dei governatori relativa al consolidamento dello SME» e, dall’altro, da una relazione del comitato monetario intitolata «Il consolidamento dello SME – Relazione del [p]residente del [c]omitato monetario alla riunione informale dei ministri delle Finanze, Nyborg, 12 settembre 1987».

107    Nel ricorso proposto, dopo che il ricorrente ha avuto conoscenza dell’esatta consistenza documentaria dell’accordo Basilea-Nyborg, l’interessato chiede l’annullamento della decisione del Consiglio dato che essa gli «nega (...) qualsiasi diritto di accesso all’accordo Basilea-Nyborg», senza ulteriori precisazioni circa i documenti costituenti tale accordo.

108    Da tale formulazione consegue che il ricorrente impugna la decisione del Consiglio in quanto rifiuta di comunicargli i documenti provenienti sia dal comitato dei governatori sia dal comitato monetario, nella misura in cui il silenzio del Consiglio circa tali ultimi documenti equivale ad una decisione di rigetto.

109    A tal proposito va ricordato che, al fine di assicurare un’effettiva tutela giurisdizionale ai richiedenti accesso che si trovano di fronte a risposte dell’amministrazione secondo le quali i documenti richiesti non sono in suo possesso o non esistono, il Tribunale considera che tali risposte costituiscono atti che hanno per effetto di negare l’accesso ai documenti medesimi, che incidono sugli interessi dei richiedenti e sono quindi impugnabili [sentenza del Tribunale 25 giugno 2002, causa T‑311/00, British American Tobacco (Investments)/Commissione, Racc. pag. II‑2781, punti 31 e 32].

110    È importante poi sottolineare che l’esame dei tre motivi di annullamento dedotti dal ricorrente, quali ricordati al precedente punto 95, rivela che essi riposano, in gran parte, sulla medesima argomentazione, secondo la quale il Consiglio, di concerto con la BCE, si sarebbe reso colpevole di un inganno nei confronti del ricorrente, il primo, dissimulando l’esistenza della relazione del comitato monetario sul consolidamento dello SME e l’altra, ritardando la decisione di diniego di accesso in cui viene fatto riferimento a tale relazione, adottata soltanto dopo la scadenza del termine di ricorso avverso la decisione del Consiglio.

 Sull’asserito inganno perpetrato dal Consiglio

111    Dalle memorie depositate dal ricorrente risulta che l’inganno perpetrato dal Consiglio implicherebbe necessariamente una violazione, in primo luogo, dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento, in secondo luogo, dell’obbligo di motivazione e, in terzo luogo, del diritto di accesso ai documenti sancito dalla decisione 93/731. Secondo il ricorrente, la violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento è stata indirettamente ma chiaramente riconosciuta dalla Corte la quale, nella sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, ha constatato l’esistenza di un errore scusabile risultante dalla dissimulazione, da parte del Consiglio, della relazione del comitato monetario.

112    Tale argomento non può essere accolto in quanto è basato su una premessa erronea, nel senso che il tenore degli atti sottoposti all’esame del Tribunale non consente di concludere per una dissimulazione del Consiglio sulla natura o sull’accessibilità dei documenti costituenti l’accordo Basilea-Nyborg.

113    Le affermazioni del ricorrente di inganno o di manovre collusive hanno manifestamente per origine un abusivo ampliamento della soluzione accolta dalla Corte nella sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra.

114    In tale sentenza, la Corte ha annullato un’ordinanza del Tribunale che dichiarava irricevibile, in quanto tardivo, il ricorso di annullamento proposto dal ricorrente avverso la decisione del Consiglio, per il motivo che il Tribunale aveva male interpretato la nozione di errore scusabile privilegiando una concezione restrittiva di questa. La Corte ha affermato che la piena conoscenza del carattere definitivo di una decisione nonché del termine di ricorso applicabile ai sensi dell’art. 230 CE non esclude, di per sé, che un singolo possa invocare un errore scusabile idoneo a giustificare la tardività del suo ricorso, poiché, secondo una costante giurisprudenza, un errore del genere può verificarsi, in particolare, quando l’istituzione considerata abbia adottato un comportamento tale, da solo o in misura determinante, da generare una confusione ammissibile in un singolo di buona fede che dia prova di tutta la diligenza richiesta ad un operatore normalmente accorto (sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, punto 24).

115    La Corte ha rilevato che il ricorrente non aveva, alla luce delle informazioni fornite dal Consiglio, alcun motivo per impugnare «una decisione che escludeva l’accesso ad un documento di cui veniva sostanzialmente negata la stessa esistenza» e che solo il 13 novembre 1999, ovvero circa quattro settimane dopo la scadenza del termine per impugnare la decisione del Consiglio, il ricorrente veniva informato dalla BCE del fatto che l’accordo Basilea/Nyborg si componeva di relazioni e di processi verbali che avevano per autori il comitato dei governatori e il comitato monetario (sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, punto 34).

116    Poiché il ricorrente aveva proposto ricorso avverso la decisione del Consiglio il 20 gennaio 2000, ossia entro un termine ragionevole dopo aver appreso tale informazione dalla BCE, la Corte ha concluso che la tardività del detto ricorso doveva essere ritenuta di natura scusabile (sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, punto 35).

117    Dalla formulazione della sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, non può dedursi che la Corte abbia riconosciuto che il Consiglio aveva deliberatamente dissimulato l’esistenza della relazione del comitato monetario e che, di conseguenza, tale istituzione aveva violato i principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento.

118    È vero che la Corte ha ritenuto che la decisione del Consiglio 30 luglio 1999 era tale da indurre in errore il ricorrente, poiché non vi veniva fatta menzione di un documento incluso nell’accordo Basilea-Nyborg la cui esistenza è stata rivelata successivamente, nella lettera della BCE 8 novembre 1999, provocando così, nel ricorrente, una confusione ammissibile che giustifica il fatto che quest’ultimo non abbia impugnato entro il termine prescritto la detta decisione.

119    È chiaro quindi che la presentazione tardiva del ricorso avverso la decisione del Consiglio è stata provocata dal rilascio di un’informazione successivamente rivelatasi in parte inesatta, senza che la Corte accenni a tal riguardo alla supposta malafede del Consiglio e mentre invece il ricorrente aveva corroborato la sua impugnazione asserendo la collusione del Consiglio e della BCE. Il fatto che la risposta del Consiglio sia stata qualificata ingannevole non vuol necessariamente dire che fosse frutto di una deliberata volontà di ingannare il ricorrente.

120    La Corte ne ha tratto tutte le conseguenze nell’ambito dell’impugnazione dinanzi ad essa proposta, concludendo nel senso che la tardività del ricorso rivestiva carattere scusabile, senza in alcun modo affrontare il merito della controversia, sul quale non era in grado di statuire (sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, punto 32). Il fatto che la nozione di errore scusabile trovi la sua fonte direttamente nella preoccupazione del rispetto dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento non vuol dire che la Corte abbia riconosciuto, nella sentenza Pitsiorlas, che i detti principi sono stati violati dal Consiglio in occasione dell’adozione della sua decisione.

121    Al di là dell’interpretazione dei termini della sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, la realtà dei fatti portati all’esame del Tribunale suffraga la conclusione di un’assenza di inganno da parte del Consiglio.

122    Risulta, infatti, dalle memorie della BCE che è effettivamente quest’ultima a essere materialmente in possesso della relazione del comitato monetario, conservata negli archivi del comitato dei governatori. Non essendo in possesso del documento di cui trattasi, è concepibile e ammissibile che il Consiglio abbia potuto ignorarne l’esistenza.

123    Da ciò consegue che il ricorrente non ha fornito la prova di un inganno da parte del Consiglio, consistente nel dissimulare, nella sua decisione, la relazione o altri documenti provenienti dal comitato monetario e che il silenzio del Consiglio circa i documenti del detto comitato deve, pertanto, essere interpretato come l’espressione dell’ignoranza della loro esistenza e quindi della sincera convinzione del Consiglio, all’atto dell’adozione della detta decisione, che oltre alla relazione del comitato dei governatori non esistesse alcun documento rispondente alla richiesta di accesso.

124    Alla luce di quanto sopra considerato, la censura fondata sulla violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento, dell’obbligo di motivazione e del diritto di accesso ai documenti sancito dalla decisione 93/731, violazione conseguente all’asserito inganno del Consiglio, deve essere disattesa.

125    Il rigetto di tale censura non esaurisce tuttavia l’insieme dei problemi sollevati dai tre motivi di annullamento fondati sulla violazione dei principi, dell’obbligo e della decisione sopra menzionati.

 Sulla violazione del diritto di accesso ai documenti sancito dalla decisione 93/731

126    Si deve di ricordare che il Consiglio e la Commissione hanno approvato il 6 dicembre 1993, un codice di condotta inteso a fissare i principi che disciplinano l’accesso ai documenti in loro possesso. Il codice di condotta, tra altro, enuncia il seguente principio:

«Il pubblico avrà il più ampio accesso possibile ai documenti di cui dispongono la Commissione e il Consiglio».

127    Inoltre, esso così dispone:

«La Commissione e il Consiglio adotteranno, ciascuno per quanto lo riguarda, le misure necessarie per l’attuazione dei presenti principi anteriormente al 1° gennaio 1994».

128    Al fine di assicurare l’attuazione di tale impegno, il 20 dicembre 1993 il Consiglio ha adottato la decisione 93/731.

129    L’art. 1 della decisione 93/731 così dispone:

«1.       Il pubblico ha accesso ai documenti del Consiglio alle condizioni previste dalla presente decisione.

2.      Per documento del Consiglio si intende ogni scritto contenente dati esistenti, in possesso di detta istituzione, indipendentemente dal suo supporto, salvo l’articolo 2, paragrafo 2».

130    L’art. 2, n. 2, della decisione 93/731 così dispone:

«La richiesta, qualora l’autore del documento sia una persona fisica o giuridica, uno Stato membro, un’altra istituzione o un altro organo comunitario ovvero qualsiasi altro organismo nazionale o internazionale, non deve essere rivolta al Consiglio bensì direttamente all’autore del documento».

131    Dalla formulazione dell’art. 1 della decisione 93/731 risulta che la possibilità per il Consiglio di accogliere una richiesta di accesso presuppone, evidentemente, non solo che i documenti considerati nella detta richiesta esistano [sentenze del Tribunale 12 ottobre 2000, causa T‑123/99, JT’s Corporation/Commissione, Racc. pag. II‑3269, punto 58, e British American Tobacco (Investments)/Commissione, punto 109 supra, punto 35], ma che essi siano altresì in possesso dell’istituzione.

132    Per quanto riguarda, in primo luogo, i documenti provenienti dal comitato monetario, la cui esistenza è passata sotto silenzio nella decisione del Consiglio 30 luglio 1999, la loro esistenza materiale è acquisita dopo la lettera della BCE 8 novembre 1999 e non è oggetto di discussione tra le parti.

133    La questione del loro possesso è, invece, controversa tra le parti e deve essere risolta per rispondere al motivo fondato sull’asserita violazione del diritto di accesso del ricorrente previsto dalla decisione 93/731. Infatti, la conclusione di un’assenza di inganno da parte del Consiglio non è tale da esaurire la problematica connessa con la censura sopra menzionata.

134    Il fatto che il silenzio del Consiglio circa i documenti provenienti dal comitato monetario debba essere interpretato come l’espressione dell’ignoranza della loro esistenza non significa, necessariamente, che essi non fossero in suo possesso. È teoricamente concepibile che ricerche condotte in modo imperfetto dai servizi del Consiglio abbiano potuto indurre quest’ultimo a concludere sinceramente ma erroneamente per l’inesistenza dei documenti tuttavia conservati nei suoi archivi. Una siffatta situazione potrebbe configurare una violazione della decisione 93/731.

135    Come è stato già precisato, il Consiglio afferma che i controversi documenti del comitato monetario o del comitato dei governatori non sono neppure in suo possesso.

136    Tale affermazione è corroborata dalle dichiarazioni della BCE secondo le quali i documenti considerati nella richiesta di accesso, compresa la relazione del comitato monetario, sono conservati negli archivi del comitato dei governatori, disciplinati dall’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE.

137    In risposta a tali dichiarazioni, il ricorrente afferma che «[u]na delle due istituzioni, il Consiglio o la BCE, se non entrambe, continua a dissimulare la verità».

138    Egli rileva che il Consiglio afferma di aver applicato la regola dell’autore ma «evita di (...) dire chi sia attualmente in possesso della relazione del comitato monetario» e aggiunge che, dichiarando che tutti i documenti provenienti da tale comitato sono da considerare documenti del Consiglio, nella misura in cui il detto comitato ha effettivamente preparato i lavori dell’istituzione, il Consiglio «riconosce di essere in possesso della relazione del comitato monetario». Inoltre, il ricorrente fa intendere che i due convenuti possono, nel corso dell’estate 1999, aver «convenuto e deciso di comune accordo di trasferire alla BCE la relazione di cui trattasi e altri documenti relativi allo SME, se non l’insieme dei documenti del comitato monetario, affinché essi fossero protetti dal termine di 30 anni fissato dall’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE» e ritiene che sia necessario stabilire come la relazione del comitato monetario sia stata «affidata» alla BCE.

139    Al fine di risolvere la presente difficoltà circa la prova del possesso o meno dei documenti considerati nella richiesta di accesso, occorre applicare, per analogia, la giurisprudenza in materia di contestazioni circa l’esistenza stessa dei documenti richiesti.

140    A questo proposito, risulta dalla giurisprudenza che, conformemente alla presunzione di legittimità inerente agli atti comunitari, l’inesistenza di un documento oggetto di una richiesta di accesso è presunta allorché un’affermazione in tal senso è fatta dall’istituzione interessata. Trattasi nondimeno di una presunzione semplice che il ricorrente può rovesciare con qualsiasi mezzo, sulla base di indizi pertinenti e concordanti [sentenze JT’s Corporation/Commissione, punto 131 supra, punto 58, e British American Tobacco (Investments)/Commissione, punto 109 supra, punto 35].

141    La decisione del Consiglio non contiene affermazioni espresse circa il mancato possesso di documenti provenienti dal comitato monetario, il che si spiega con la peculiarità della presente fattispecie, e cioè con il fatto che il Consiglio ha identificato un solo documento corrispondente alla richiesta di accesso e ha quindi motivato la sua risposta con riferimento a tale documento. Cionondimeno, la decisione del Consiglio implica, a contrario, l’affermazione secondo la quale non esiste alcun altro documento rispondente alla richiesta di accesso e fornisce, pertanto, l’indicazione obiettiva, implicita ma necessaria, del mancato possesso di siffatto documento.

142    Orbene, nella specie, è giocoforza constatare che il ricorrente non ha indicato, nelle sue memorie, indizi pertinenti e concordanti tali da dimostrare il possesso da parte del Consiglio di documenti provenienti dal comitato monetario.

143    Si deve, a questo proposito, sottolineare:

–        che la semplice affermazione perentoria di una dissimulazione della verità da parte del Consiglio è, con tutta evidenza, priva di ogni efficacia probatoria;

–        che l’affermazione secondo la quale il Consiglio asserisce di aver applicato la regola dell’autore ma «evita di (...) dire chi sia attualmente in possesso della relazione del comitato monetario» è priva di pertinenza, fermo restando, inoltre, che il Consiglio sostiene di aver applicato la regola dell’autore nei confronti della relazione del comitato dei governatori;

–        che la deduzione operata dal ricorrente, e cioè, quella dell’ammissione da parte del Consiglio del possesso della relazione del comitato monetario a seguito della dichiarazione di quest’ultimo secondo cui tutti i documenti provenienti da tale comitato vanno considerati come documenti del Consiglio, nella misura in cui il detto comitato ha effettivamente preparato i lavori dell’istituzione, resta inspiegata e inspiegabile.

144    Per quanto riguarda l’interrogativo del ricorrente circa le circostanze nelle quali la relazione del comitato monetario è venuta a trovarsi in possesso della BCE, quest’ultima precisa che la detta relazione figurava, per caso, tra i documenti del comitato dei governatori che sono stati trasferiti da Basilea a Francoforte in occasione del trasloco dell’IME nell’ottobre 1994. Poiché la relazione del comitato monetario era stata richiesta, al pari di quella del comitato dei governatori, dai ministri delle Finanze nell’ambito della preparazione della loro riunione a Nyborg nel settembre 1987, sarebbe, di conseguenza, probabile che il segretariato del comitato dei governatori avesse ricevuto, per conoscenza, un esemplare della relazione del comitato monetario e che questo sia stato conservato con gli altri documenti del comitato dei governatori.

145    Va rilevato che il ricorrente non fornisce alcun serio indizio che consenta di contraddire le dichiarazioni della BCE.

146    Di conseguenza, non può essere contestata al Consiglio una qualsiasi violazione della decisione 93/731, che prevede un diritto di accesso soltanto ai documenti detenuti da tale istituzione.

147    Da quanto sopra considerato consegue che la discussione tra le parti circa il ricollegamento dei documenti provenienti dal comitato monetario al Consiglio, alla luce della composizione e alle attribuzioni del detto comitato, è inconferente.

148    Per quanto riguarda, in secondo luogo, i documenti provenienti dal comitato dei governatori, sia la loro esistenza materiale sia il loro possesso da parte della BCE non formano oggetto di discussione tra le parti.

149    Pertanto, per lo stesso motivo menzionato al punto 146 supra, non può essere contestata al Consiglio una violazione della decisione 93/731 per quanto riguarda l’accesso ai documenti provenienti dal comitato dei governatori.

 Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

150    Si deve rammentare che, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE dev’essere adeguata alla natura dell’atto e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone, che detto atto riguardi direttamente e individualmente, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti del detto articolo va risolta alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza della Corte 6 marzo 2003, causa C‑41/00 P, Interporc/Commissione, Racc. pag. I‑2125, punto 55; sentenze del Tribunale 19 luglio 1999, causa T‑188/97, Rothmans/Commissione, Racc. pag. II‑2463, punto 36; 6 aprile 2000, causa T‑188/98, Kuijer/Consiglio, Racc. pag. II‑1959, punto 36, e JT’S Corporation/Commissione, punto 131 supra, punto 63).

151    Oltre alle conseguenze ricollegate al preteso inganno del Consiglio circa la motivazione della decisione 30 luglio 1999, censura già disattesa al punto 124 supra, il ricorrente sostiene che l’affermazione del Consiglio secondo cui la detta decisione è basata sulla «regola dell’autore» costituisce un’interpretazione a posteriori della detta decisione e non può considerarsi una motivazione legittima di quest’ultima.

152    Va tuttavia osservato che la formulazione della decisione del Consiglio, quale portata a conoscenza del ricorrente con lettera 2 agosto 1999, è inequivoca ed è ivi chiaramente fatto presente al ricorrente che il documento richiesto, cioè la relazione del comitato dei governatori relativa al consolidamento dello SME che è stata «pubblicata» a Nyborg l’8 settembre 1987, è stato redatto dai governatori delle banche centrali e che egli era tenuto a rivolgere la sua richiesta direttamente ai governatori delle banche centrali o alla BCE.

153    Nonostante l’erronea utilizzazione del termine «pubblicato» e l’assenza di espressa menzione dell’espressione «autore del documento», va considerato che la motivazione della decisione del Consiglio 30 luglio 1999 soddisfa i requisiti di cui all’art. 253 CE e all’art. 7, n. 3, della decisione 93/731, nel senso che il ricorrente è stato posto in grado di conoscere le ragioni della decisione di rigetto della sua richiesta di accesso e il Tribunale è perfettamente in grado di svolgere il suo sindacato di legittimità sulla detta decisione.

154    Ad abundantiam, il Tribunale rileva che il Consiglio afferma che, nonostante l’assenza di esplicita menzione dell’art. 2, n. 2, della decisione 93/731 nella decisione di rigetto del 30 luglio 1999, dalla formulazione di quest’ultima risulta che essa è basata sulla regola dell’autore, sancita da tale articolo.

155    Si deve, tuttavia, rilevare che la decisione del Consiglio, quale notificata al ricorrente con lettera 2 agosto 1999, contiene, innanzi tutto, la menzione del fatto che la richiesta di conferma dell’accesso è stata registrata presso il segretariato generale a norma dell’art. 7, n. 1, della decisione 93/731, e quindi, alla fine del documento, l’invito al ricorrente di rivolgersi ai governatori delle banche centrali o alla BCE «ai sensi dell’art. 2, n. 2, della decisione».

156    Risulta così chiaramente che nella decisione del Consiglio può essere stato fatto riferimento soltanto all’art. 2, n. 2, della decisione 93/731, che sancisce la regola dell’autore, in forza della quale l’istituzione detentrice del documento richiesto può opporre un rifiuto di accesso e rinviare il richiedente all’autore del documento.

157    Poiché il Consiglio non detiene i documenti provenienti dal comitato dei governatori, la sua decisione 30 luglio 1999 non costituisce, in senso proprio, un’applicazione della regola dell’autore, quale prevista all’art. 2, n. 2, della decisione 93/731. Tale constatazione non è, tuttavia, di natura tale da inficiare la conclusione di un’assenza di violazione dell’obbligo di motivazione da parte del Consiglio.

158    Occorre infine sottolineare che la motivazione della decisione del Consiglio si spiega con la peculiarità della fattispecie in esame, e cioè col fatto che il Consiglio ha identificato un solo documento corrispondente alla richiesta di accesso e ha quindi motivato la sua risposta con riferimento a tale documento.

159    Come è stato precisato, la decisione del Consiglio comporta l’affermazione implicita dell’inesistenza di altri documenti rispondenti alla richiesta di accesso, affermazione considerata giuridicamente, per motivi di tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente, come un rifiuto di accesso impugnabile.

160    Ciò considerato, al Consiglio non può essere contestato il fatto di non aver motivato un rifiuto di accesso a documenti non identificati con esattezza, semplicemente per non aver espressamente precisato che, a suo avviso, non esisteva alcun documento corrispondente alla richiesta di accesso diverso dalla relazione del comitato dei governatori.

161    Da quanto sopra considerato consegue che il motivo fondato sulla violazione dell’obbligo di motivazione dev’essere respinto.

 Sulla violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento

162    Se il modo con il quale il Consiglio ha trattato la richiesta di accesso del ricorrente non può essere qualificato inganno nei confronti di quest’ultimo (v. punto 123 supra), è importante verificare se il detto trattamento sia stato cionondimeno all’origine d’una violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento.

163    Si deve a tal riguardo ricordare che, tra le garanzie previste dall’ordinamento giuridico comunitario nei procedimenti amministrativi, figura, in particolare, il principio di buona amministrazione, al quale si ricollega l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (v. sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 99, e la giurisprudenza ivi citata).

164    Nella specie, con la prima lettera 11 maggio 1999, il Consiglio ha risposto al ricorrente affermando che non aveva trovato il documento richiesto, mentre, con lettera 2 agosto 1999, gli comunicava che l’accordo richiesto aveva ad oggetto una relazione «pubblicata» a Nyborg l’8 settembre 1987 dal comitato dei governatori, che esso stesso non era mai stato chiamato a prendere una decisione a questo proposito e che occorreva rivolgersi ai governatori delle banche centrali o alla BCE.

165    Occorre sottolineare che:

–        la richiesta del ricorrente era basata sulla decisione 93/731, il cui art. 1 prevede che «[i]l pubblico ha accesso ai documenti del Consiglio alle condizioni previste dalla presente decisione» e che «[p]er documento del Consiglio si intende ogni scritto contenente dati esistenti, in possesso di detta istituzione»;

–        qualora il Consiglio non sia in possesso di documenti corrispondenti alla richiesta di accesso, come nella specie, la decisione 93/731 non gli fa obbligo di ricercare di identificare i documenti pertinenti, i loro autori e i loro detentori, al fine di informare il richiedente l’accesso;

–        il Consiglio, nella specie, ha quantomeno cercato ed è riuscito a identificare il documento considerato nella richiesta di accesso, e cioè la relazione del comitato dei governatori, e ha rinviato utilmente il ricorrente alla BCE, che era in possesso del detto documento.

166    A questo proposito, dalla risposta data dal Consiglio a un quesito scritto del Tribunale risulta che l’istituzione convenuta ha trasmesso alla BCE la richiesta di conferma del ricorrente e ha sollecitato allo stesso tempo la comunicazione del documento contenente l’accordo cui è pervenuto il comitato dei governatori delle banche centrali sulle riforme tecniche per il consolidamento dello SME avallato dai ministri delle Finanze degli Stati membri nel corso della loro riunione informale a Nyborg il 12 settembre 1987. In risposta alla sua richiesta, il Consiglio ha ricevuto il comunicato stampa 18 settembre 1987 che menziona soltanto la relazione del comitato dei governatori delle banche centrali degli Stati membri e non fa alcun riferimento alla relazione del comitato monetario.

167    Il Consiglio ha altresì dimostrato di aver proceduto a ricerche interne per assicurarsi che non gli fossero stati trasmessi documenti contenenti l’accordo Basilea-Nyborg a seguito della riunione informale dei ministri delle Finanze degli Stati membri sopra menzionata.

168    Alla luce di quanto sopra considerato, il motivo fondato sulla violazione del principio di buona amministrazione dev’essere respinto.

169    Per quanto riguarda la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, va ricordato che il diritto di invocare siffatto principio si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione comunitaria ha suscitato in lui aspettative fondate (sentenze della Corte 11 marzo 1987, causa 265/85, Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products/Commissione, Racc. pag. 1155, punto 44, e 26 giugno 1990, causa C‑152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I‑2477, punto 26). Inoltre, nessuno può invocare una violazione del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione (v. sentenza del Tribunale 18 gennaio 2000, causa T‑290/97, Mehibas Dordtselaan/Commissione, Racc. pag. II‑15, punto 59, e la giurisprudenza ivi citata).

170    Nella specie, basta constatare che il ricorrente non menziona alcun elemento idoneo a dimostrare che il Consiglio gli abbia fornito assicurazioni precise circa la divulgazione dei documenti costituenti l’accordo Basilea-Nyborg. Emerge, in realtà, che il ricorrente si è limitato a un’enunciazione astratta del motivo di cui trattasi e non ha spiegato in che cosa debba consistere l’asserita violazione del detto principio.

171    Il motivo relativo alla violazione del principio di tutela del legittimo affidamento va pertanto disatteso.

172     Da tutte le considerazioni che precedono risulta che il ricorso proposto dal ricorrente dev’essere respinto nella parte in cui ha ad oggetto l’annullamento della decisione del Consiglio.

2.     Sulla domanda di annullamento della decisione della BCE

a)     Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284 e dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

173    Per quanto non espressamente precisato nelle sue memorie, da queste ultime, e più esattamente dall’esame dei motivi relativi alla violazione del principio fondamentale di trasparenza e del diritto di accesso ai documenti e di sviamento del potere, risulta che il ricorrente solleva un’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284 e dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, e, per quanto riguarda quest’ultima disposizione, tale eccezione viene sollevata a duplice titolo.

174    Così, da un lato il ricorrente sostiene che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE viola l’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC e viene ad essere privo di fondamento giuridico e, dall’altro lato, che l’art. 1 della decisione 1999/284 e l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, sui quali è fondata la decisione della BCE, sono in contrasto con il principio fondamentale di trasparenza e col diritto di accesso ai documenti, quali riconosciuti dalla giurisprudenza e dagli artt. 1 UE e 6 UE nonché dall’art. 110, n. 2, CE e dall’art. 255, n. 1, CE.

 Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284

175    Per quanto riguarda l’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284, è importante ricordare che, dopo aver basato la sua prima richiesta di accesso all’accordo Basilea-Nyborg sulla decisione 1999/284, il ricorrente ha formulato, conformemente alle indicazioni fornitegli dalla BCE, una nuova richiesta espressamente basata sull’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, al fine di ottenere una riduzione del periodo di riservatezza di 30 anni. Il fatto che la lettera del ricorrente datata 27 luglio 1999 rechi l’erronea menzione di «richiesta di conferma» è irrilevante.

176    Proprio questa seconda richiesta è stata respinta dal consiglio direttivo, nella decisione della BCE, in applicazione dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, e non sulla base della decisione 1999/284.

177    Pertanto, anche supponendo che il motivo relativo all’illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284 per violazione del principio di trasparenza e del diritto di accesso ai documenti possa considerarsi ricevibile, esso deve essere disatteso in quanto inoperante. Infatti, anche supponendo che tale motivo sia dimostrato, l’illegittimità constatata non sarebbe tale da rimettere in discussione la validità della decisione della BCE.

 Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

–       Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

178    La BCE afferma che la tesi esposta dal ricorrente nella replica, in ordine ai suoi poteri per disciplinare l’accesso agli archivi del comitato dei governatori e alla mancanza di fondamento giuridico dell’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, costituisce un motivo nuovo la cui deduzione è vietata in corso di causa a norma dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

179    Dal combinato disposto dell’art. 44, n. 1, lett. c), e dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura risulta che l’atto introduttivo del ricorso deve contenere, in particolare, l’esposizione sommaria dei motivi dedotti, e che la deduzione di motivi nuovi in corso di causa è vietata, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Cionondimeno, un motivo, che costituisca un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (sentenze del Tribunale 20 settembre 1990, causa T‑37/89, Hanning/Parlement, Racc. pag. II‑463, punto 38, e 17 luglio 1998, causa T‑118/96, Thai Bicycle/Consiglio, Racc. pag. II‑2991, punto 142).

180    È pacifico che il ricorrente, nel ricorso, ha contestato la legittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE. Il ricorrente ha così sostenuto che, se è vero che la decisione 1999/284 faceva riferimento agli archivi della BCE e dell’IME, essa «dimentica[va]» completamente gli archivi del comitato dei governatori, peraltro più risalenti nel tempo, i quali erano disciplinati dall’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE. Tale disposizione vieta, secondo il ricorrente, l’accesso a vastissime categorie di documenti, vanifica il suo diritto di accesso ai documenti e viola il principio fondamentale di trasparenza, quali riconosciuti dagli artt. 1 UE e 6 UE nonché dall’art. 110, n. 2, CE e dall’art. 255, n. 1, CE come pure dalla giurisprudenza.

181    A fronte di tale motivo fondato sull’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, la BCE afferma che lo status e la natura specifici dei documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori spiegano e giustificano la loro esclusione dal campo d’applicazione della decisione 1999/284 e l’adozione, in modo assolutamente legittimo, di un regime giuridico particolare, definito dal citato art. 23. A sostegno di tale affermazione, la convenuta sostiene che gli archivi del comitato dei governatori contengono documenti redatti, da un lato, dal comitato dei governatori, dal comitato dei supplenti, dai sottocomitati, dai gruppi di esperti e, dall’altro lato, dal comitato monetario, che sono tutti terzi rispetto alla BCE.

182    Di conseguenza il ricorrente, nella replica, ha sostenuto che la BCE aveva ecceduto l’ambito delle sue competenze disciplinando l’accesso agli archivi del comitato dei governatori nel suo regolamento interno, in violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC, che non la autorizzava a disciplinare «le questioni dei terzi».

183    Risulta pertanto che il motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, motivo fondato sulla violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC, costituisce un’estensione del motivo relativo all’illegittimità della stessa disposizione, in ragione di una violazione del principio di trasparenza e del diritto di accesso ai documenti, formulato implicitamente nell’atto introduttivo del ricorso e strettamente connesso con quest’ultimo. Esso dev’essere quindi considerato ricevibile.

–       Sul motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, a seguito della violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC

184    Si deve, innanzi tutto, ricordare il contesto nel quale l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE è stato adottato.

185    L’atto finale del Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, contiene la dichiarazione n. 17, così formulata:

«La Conferenza ritiene che la trasparenza del processo decisionale rafforzi il carattere democratico delle istituzioni, nonché la fiducia del pubblico nei confronti dell’amministrazione. La Conferenza raccomanda pertanto che la Commissione presenti al Consiglio, entro il 1993, una relazione su misure intese ad accrescere l’accesso del pubblico alle informazioni di cui dispongono le istituzioni».

186    In occasione della chiusura del Consiglio europeo di Birmingham, il 16 ottobre 1992, i capi di Stato o di governo hanno fatto una dichiarazione, intitolata «Una Comunità vicina ai suoi cittadini» nella quale hanno sottolineato la necessità di rendere la Comunità più aperta. Questo impegno è stato riaffermato nel corso del Consiglio europeo di Edimburgo, il 12 dicembre 1992.

187    Il 5 maggio 1993 la Commissione ha indirizzato al Consiglio, al Parlamento e al Comitato economico e sociale la comunicazione 93/C 156/05, relativa all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni. Questa conteneva i risultati di un’indagine comparativa circa l’accesso del pubblico ai documenti negli Stati membri nonché in taluni paesi terzi e concludeva che appariva opportuno sviluppare un maggiore accesso ai documenti a livello comunitario.

188    Il 2 giugno 1993 la Commissione adottava la comunicazione 93/C 166/04, sulla trasparenza nella Comunità, nella quale sono esposti i principi di base che regolano l’accesso ai documenti.

189    In occasione del Consiglio europeo di Copenaghen, il 22 giugno 1993 il Consiglio e la Commissione venivano invitati «a proseguire i loro lavori, basandosi sul principio che i cittadini abbiano il massimo accesso possibile all’informazione»..

190    Il 6 dicembre 1993, il Consiglio e la Commissione adottavano un codice di condotta inteso a fissare i principi che disciplinano l’accesso del pubblico ai documenti in loro possesso, stabilendo che ciascuna delle due istituzioni avrebbe dato attuazione a tali principi entro il 1° gennaio 1994, con norme specifiche di regolamento.

191    Al fine di provvedere all’attuazione di tale impegno, il Consiglio adottava, il 20 dicembre 1993, la decisione 93/731 e la Commissione adottava, l’8 febbraio 1994, la decisione 94/90/CECA, CE, Euratom, relativa all’accesso del pubblico ai documenti della Commissione (GU L 46, pag. 58).

192    Il 1° gennaio 1994 iniziava la seconda fase dell’UEM, contrassegnata dall’istituzione dell’IME e dallo scioglimento del comitato dei governatori. L’IME adottava, il 3 giugno 1997, la decisione n. 9/97, relativa all’accesso del pubblico ai propri documenti amministrativi (GU 1998, L 90, pag. 43), cioè a qualsiasi scritto, indipendentemente dal suo supporto, contenente dati esistenti e riguardante l’organizzazione o il funzionamento dell’IME.

193    L’istituzione della BCE, il 1° giugno 1998, poneva termine ai compiti dell’IME, il quale veniva liquidato a partire dal momento della creazione della BCE, conformemente all’art. 123 CE.

194    È in questo contesto che, in applicazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC, la BCE adottava, il 7 luglio 1998, il suo regolamento interno alla cui elaborazione faceva seguito, poco tempo dopo, il 3 novembre 1998, l’adozione della decisione 1999/284.

195    Tenuto conto dell’affermazione della BCE, peraltro contestata dal ricorrente, secondo la quale essa è un terzo rispetto agli autori dei documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori, circostanza che giustificherebbe un regime giuridico particolare per l’accesso ai detti documenti definito all’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, il ricorrente sostiene che la BCE ha ecceduto l’ambito dei propri poteri disciplinando l’accesso agli archivi del comitato dei governatori nel suo regolamento interno, in violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC, che non la autorizza a disciplinare «le questioni dei terzi».

196    L’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC prevede che «il consiglio direttivo adotta il regolamento interno che determina l’organizzazione interna della BCE e dei suoi organi decisionali».

197    Nella sentenza Paesi Bassi/Consiglio, punto 72 supra (punto 37), la Corte ha affermato che occorre riconoscere che, in assenza di una regolamentazione generale del diritto di accesso del pubblico ai documenti in possesso delle istituzioni comunitarie emanata dal legislatore comunitario, dette istituzioni devono adottare i provvedimenti aventi ad oggetto il disbrigo di richieste del genere in forza dei loro poteri di organizzazione interna, che le legittimano ad adottare provvedimenti adeguati a garantire il loro funzionamento interno nell’interesse del buon andamento dell’amministrazione.

198    Nella specie, nella misura in cui sia al momento dell’adozione del regolamento interno come pure al momento della sua modifica del 22 aprile 1999, non esisteva alcuna regolamentazione generale sul diritto di accesso del pubblico ai documenti in possesso delle istituzioni o degli organi comunitari, la BCE era autorizzata ad adottare, nell’ambito del suo regolamento interno, misure destinate a far fronte alle richieste di accesso ai documenti che erano allora in suo possesso, fossero essi stati da lei redatti o ricevuti, a prescindere dall’origine o dall’autore dei detti documenti.

199    Il fatto che la BCE abbia definito norme specifiche di accesso, contenute nel suo regolamento interno, ai documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori, in ragione della sua asserita qualità di terzo rispetto agli autori di tali documenti, non può pertanto aver comportato una violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC. In altre parole, anche supponendo che la BCE possa essere effettivamente considerata terzo rispetto agli autori dei documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori, essa avrebbe cionondimeno agito conformemente all’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC definendo un regime giuridico particolare di accesso a tali documenti nel suo regolamento interno.

200    Si deve, del resto, osservare che nella decisione 93/731 e nella decisione 94/90, il Consiglio e, rispettivamente, la Commissione hanno disciplinato l’accesso ai documenti in loro possesso, ivi compresi quelli redatti da altri soggetti, prevedendo tuttavia che le domande di accesso a questi ultimi documenti dovevano essere indirizzate direttamente ai loro autori, il che corrisponde alla regola detta «dell’autore».

201    Ciò considerato, il motivo fondato sul fatto che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE è stato adottato in violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC dev’essere respinto.

202    Ad abundantiam, va sottolineato che la BCE trae dalla sua rivendicata qualità di terzo rispetto agli autori dei documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori una conclusione che non può essere accolta.

203    La BCE deduce da tale qualità di terzo che essa amministra i documenti del comitato dei governatori in quanto segretariato delle banche centrali nazionali, le quali sarebbero le autrici dei detti documenti e alle quali il ricorrente avrebbe dovuto rivolgere la sua richiesta di accesso. Tali considerazioni sono incompatibili con il tenore dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE e della decisione adottata dal consiglio direttivo in risposta alla richiesta del ricorrente.

204    È, infatti, pacifico che la BCE ha definito, all’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, un regime giuridico specifico per l’accesso ai documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori la cui attuazione è affidata al consiglio direttivo, senza che sia prevista l’applicazione della regola dell’autore. Così il consiglio direttivo si è effettivamente pronunciato sul merito della richiesta del ricorrente circa la riduzione del periodo di riservatezza, senza rinviare l’interessato presso le banche centrali nazionali.

205    Ad ogni modo, tale tesi della BCE, contraddittoria rispetto alla regolamentazione applicata e alla decisione adottata nella specie, è ininfluente sulla soluzione della presente controversia e non è tale da rimettere in discussione la conclusione di cui al precedente punto 201.

–       Sul motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, a seguito della violazione del diritto di accesso ai documenti e del principio fondamentale di trasparenza

206    Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE priva di ogni effetto utile gli artt. 1 UE e 6 UE nonché l’art. 110, n. 2, CE e l’art. 255, n. 1, CE che stanno a fondamento del suo diritto di accesso ai documenti della BCE.

207    Dalla mera lettura delle citate disposizioni risulta tuttavia che tale affermazione del ricorrente è del tutto infondata.

208    Si deve ricordare che con il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, gli Stati membri hanno inserito nel Trattato CE un nuovo articolo relativo all’accesso ai documenti, e cioè l’art. 255 CE. Quest’ultimo è così formulato:

«1. Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma dei paragrafi 2 e 3.

2. I principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al diritto di accesso ai documenti sono stabiliti dal Consiglio, che delibera secondo la procedura di cui all’art. 251 entro due anni dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam.

3. Ciascuna delle suddette istituzioni definisce nel proprio regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l’accesso ai propri documenti».

209    Dalla stessa formulazione dell’art. 255 CE risulta che quest’ultimo si riferisce unicamente al diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Inoltre, a norma dell’art. 110, n. 2, quarto comma, CE, soltanto «gli artt. 253, 254 e 256 si applicano ai regolamenti e alle decisioni adottati dalla BCE».

210    È chiaro che il ricorrente ha basato la sua tesi relativa al diritto di accesso ai documenti della BCE su una versione errata dell’art. 110, n. 2, quarto comma, CE secondo la quale «gli artt. 253-256 si applicano ai regolamenti e alle decisioni adottati dalla BCE».

211    Tale errore materiale, che ha potuto trovarsi in talune versioni consolidate non ufficiali del Trattato CE, è frutto, molto probabilmente, di un’errata applicazione dell’art. 12, n. 2, del Trattato di Amsterdam secondo il quale i riferimenti incrociati agli articoli nel Trattato CE sono adattati secondo la nuova numerazione prevista al n. 1 del detto articolo.

212    Dal Trattato di Amsterdam risulta chiaramente che quest’ultimo non ha modificato l’art. 108 A del Trattato CE (divenuto art. 110 CE) che era così formulato: «gli articoli 190, 191 e 192 si applicano ai regolamenti e alle decisioni adottati dalla BCE». Il Trattato di Amsterdam non ha pertanto aggiunto a tale elenco di articoli il nuovo art. 191 A del Trattato CE (divenuto art. 255 CE) relativo al diritto di accesso ai documenti. Di conseguenza, il riferimento incrociato all’art. 110 CE significa, in forza dell’art. 12, n. 2, del Trattato di Amsterdam, gli «artt. 253, 254 e 256».

213    È pacifico che è stato ufficialmente posto rimedio all’errore materiale sopramenzionato con l’accordo di tutti gli Stati firmatari e che a partire dal verbale di rettifica del Trattato di Amsterdam firmato a Roma il 16 marzo 1999, non vi è più alcun dubbio che l’art. 255, n. 1, CE non è applicabile alla BCE.

214    Alla luce di quanto sopra considerato, le considerazioni dedicate dal ricorrente all’asserito effetto diretto dell’art. 255 CE sono del tutto prive di pertinenza, dato che il Tribunale ha chiaramente precisato che la detta disposizione non era direttamente applicabile, in quanto non è incondizionata e che la sua attuazione è subordinata all’adozione di provvedimenti ulteriori (sentenza del Tribunale 11 dicembre 2001, causa T‑191/99, Petrie e a./Commissione, Racc. pag. II‑3677, punto 35).

215    Del resto, il fatto di leggere l’art. 255 CE «alla luce degli artt. 1 UE e 6 UE», come affermato dal ricorrente, non è tale da inficiare la constatazione che l’art. 255 CE non si applica alla BCE.

216    Si deve aggiungere che l’art. 1, secondo comma, UE, a tenore del quale «[i]l presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini» è privo di effetto diretto, poiché la disposizione di cui trattasi non può essere considerata «chiara» ai sensi della sentenza della Corte 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend in Loos (Racc. pag. 3) (sentenza Petrie e a./Commissione, punto 214 supra, punto 35).

217    Per quanto riguarda l’art. 6 UE, va ricordato che il Trattato di Maastricht ha inserito nel corpo dei trattati il principio di assoggettamento dell’Unione al rispetto dei diritti fondamentali. L’art. 6 UE è inteso a garantire tali diritti «in quanto principi generali del diritto comunitario».

218    Orbene, il ricorrente sostiene, in secondo luogo, proprio che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE entra in diretto contrasto con la giurisprudenza del Tribunale e della Corte che ha riconosciuto il principio fondamentale di trasparenza (sentenza Rothmans/Commissione, punto 150 supra, punto 55), con il principio del diritto all’informazione nonché con il diritto di accesso ai documenti in quanto elemento inseparabile del principio democratico (sentenza del Tribunale 19 luglio 1999, causa T‑14/98, Hautala/Consiglio, Racc. pag. II‑2489, punti 82 e 87).

219    La BCE nega l’esistenza nel diritto comunitario di un principio giuridico fondamentale che preveda un diritto generale di accesso ai suoi documenti e a quelli delle istituzioni comunitarie. Per quanto argomenti basati su siffatto principio siano stati più volte sottoposti all’esame dei giudici comunitari, nessuno di questi ultimi ha tuttavia ritenuto opportuno esaminarli.

220    Si deve a tal riguardo rilevare che, nella sentenza 6 dicembre 2001, causa C‑353/99 P, Consiglio/Hautala (Racc. pag. I‑9565), la Corte ha affermato che nella sua sentenza Paesi Bassi/Consiglio, punto 72 supra, essa ha sottolineato l’importanza del diritto di accesso del pubblico ai documenti in possesso delle autorità pubbliche e ha ricordato che la dichiarazione n. 17 ricollega tale diritto al «carattere democratico delle istituzioni». La Corte ha poi considerato che il Tribunale aveva correttamente dichiarato che l’art. 4, n. 1, della decisione 93/731 doveva essere interpretato nel senso che il Consiglio era tenuto ad esaminare l’opportunità di accordare un accesso parziale ai dati non interessati dalle eccezioni ed aveva annullato la decisione controversa, e questo «senza che sia necessario esaminare se, come [sostenevano] il Consiglio e il governo spagnolo, il Tribunale si [fosse] ingiustamente basato sull’esistenza di un “principio del diritto all’informazione”» (sentenza Consiglio/Hautala, già citata, punto 31).

221    Ad ogni modo, anche supponendo che il diritto di accesso ai documenti in possesso delle autorità pubbliche comunitarie, ivi compresa la BCE, possa essere considerato come un diritto fondamentale tutelato dall’ordinamento giuridico comunitario come principio generale del diritto, l’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, a seguito della violazione di un siffatto principio, non può essere accolta.

222    Si deve ricordare che i diritti fondamentali non possono essere intesi come «prerogative assolute» e che è «legittimo sottoporre tali diritti a taluni limiti giustificati dagli obiettivi d’interesse generale perseguiti dalla Comunità, purché non resti lesa la sostanza dei diritti stessi» (sentenza della Corte 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold/Commissione, Racc. pag. 491, punto 14).

223    Per quanto riguarda il diritto di accesso ai documenti, tale diritto può essere legittimamente limitato per motivi connessi alla tutela dell’interesse pubblico.

224    Occorre così rilevare che il codice di condotta indica che l’accesso a un documento non può essere accordato nel caso in cui la sua divulgazione potrebbe ledere la tutela dell’interesse pubblico considerato sotto il profilo della «stabilità monetaria».

225    Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), applicabile a partire dal 3 dicembre 2001, che è inteso a conferire la più ampia efficacia possibile al diritto di accesso del pubblico, ma anche a stabilirne i limiti, conformemente all’art. 255, n. 2, CE, definisce un certo numero di interessi pubblici e privati garantiti tramite un regime di eccezioni al diritto di accesso.

226    L’art. 4, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1049/2001 prevede, tra l’altro, che le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico, in ordine alla «politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro».

227    Inoltre, le eccezioni all’accesso ai documenti previste dall’art. 4, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1049/2001 sono redatte in termini tassativi. Ne consegue che le istituzioni sono tenute a rifiutare l’accesso ai documenti rientranti nell’ambito di tali eccezioni, qualora sia fornita la prova delle circostanze considerate (v., per analogia, sentenze del Tribunale 5 marzo 1997, causa T‑105/95, WWF UK/Commissione, Racc. pag. II‑313, punto 58, e 13 settembre 2000, causa T‑20/99, Denkavit Nederland/Commissione, Racc. pag. II‑3011, punto 39) e, al contrario delle eccezioni menzionate all’art. 4, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1049/2001, non viene prevista dal testo normativo alcuna ponderazione con un «interesse pubblico superiore».

228    È altresì importante sottolineare che l’art. 10, n. 4, dello statuto del SEBC prevede espressamente che le riunioni del consiglio direttivo sono riservate e che dalla lettura combinata dell’art. 110 CE e dell’art. 255 CE risulta l’esclusione della BCE dall’ambito d’applicazione di quest’ultima disposizione e, con ciò stesso, l’esistenza di un trattamento particolare della BCE per quanto riguarda l’accesso ai documenti rispetto al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione.

229    Tali specifiche disposizioni sono connesse ai compiti attribuiti alla BCE dal Trattato CE, i cui autori hanno manifestamente inteso che quest’ultima fosse in grado di assolvere tali compiti in modo indipendente (v., in questo senso, sentenza della Corte 10 luglio 2003, causa C‑11/00, Commissione/BCE, Racc. pag. I‑7147, punto 130).

230    Si deve ricordare che il SEBC è composto dalla BCE e dalle banche centrali nazionali e che è diretto dagli organi decisionali della BCE, che sono il consiglio direttivo e il comitato esecutivo. Conformemente all’art. 105 CE, i compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono quelli di definire e di attuare la politica monetaria della Comunità, di svolgere le operazioni sui cambi, di detenere e di gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, di promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento, mentre l’obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei prezzi. La BCE stabilisce i regolamenti e prende le decisioni necessarie per l’assolvimento dei compiti attribuiti al SEBC (art. 110 CE).

231    Risulta così chiaramente che la tutela dell’interesse pubblico connesso alla politica monetaria della Comunità costituisce un motivo legittimo di limitazione del diritto di accesso ai documenti in possesso delle autorità pubbliche comunitarie, previsto come diritto fondamentale.

232    Nel caso di specie, il ricorrente contesta la legittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE il quale, tra l’altro, prevede un periodo di riservatezza di 30 anni per i documenti conservati negli archivi del comitato dei governatori. Come precisato nelle memorie della BCE, tali archivi contengono documenti redatti, da un lato, dal comitato dei governatori, dal comitato dei supplenti, dai sottocomitati, dai gruppi di esperti, e, dall’altro, dal comitato monetario.

233    Orbene, è pacifico che l’attività sia del comitato dei governatori che del comitato monetario riguardava appunto la politica monetaria nella Comunità.

234    Il comitato monetario trova la sua origine nell’ex art. 105, n. 2, del Trattato CEE che prevedeva che, «[p]er promuovere il coordinamento delle politiche degli Stati membri nel campo monetario in tutta la misura necessaria al funzionamento del mercato comune, è istituito un comitato monetario a carattere consultivo».

235    Tale comitato, composto da membri designati dagli Stati membri e dalla Commissione, aveva esattamente il compito di seguire la situazione monetaria e finanziaria degli Stati membri e della Comunità nonché quella in materia di movimenti di capitali e di libertà dei pagamenti, di riferirne regolarmente al Consiglio e alla Commissione e di formulare pareri all’attenzione di tali istituzioni.

236    L’8 maggio 1964, il Consiglio adottava la decisione 64/300, relativa alla collaborazione tra le banche centrali degli Stati membri della Comunità economica europea e costituiva il comitato dei governatori, composto dai governatori delle banche centrali degli Stati membri mentre la Commissione era invitata a farsi rappresentare da uno dei suoi membri alle sessioni del detto comitato.

237    Il comitato dei governatori aveva, in particolare, il compito di «procedere a consultazioni in merito ai principi generali e alle grandi linee della politica delle banche centrali, principalmente in materia di credito, di mercato monetario e di mercato dei cambi» e «di procedere regolarmente a scambi di informazioni in merito alle misure principali che rientrano nella competenza delle banche centrali e di esaminare le misure stesse». I compiti del comitato dei governatori venivano ampliati con decisione 90/142, nella quale era previsto che il comitato poteva emettere pareri diretti a singoli governi ed al Consiglio «in merito alle politiche che possono incidere sulla situazione monetaria interna ed esterna nella Comunità, e, in particolare, sul funzionamento del[lo SME]».

238    Occorre rilevare che l’art. 12, n. 2, del regolamento interno del comitato dei governatori prevedeva che «tutti i documenti redatti dal [detto comitato] sono riservati, salvo decisione contraria».

239    Il comitato monetario e il comitato dei governatori hanno cessato le loro attività il 1° gennaio 1999 e, rispettivamente, il 1° gennaio 1994 e sono stati sostituiti dal comitato economico e finanziario e dall’IME. I documenti prodotti da questi due primi organi e di cui la BCE ha preso possesso a seguito della liquidazione dell’IME sono stati raggruppati, tenuto conto della loro origine e della loro natura, in una particolare categoria di archivi.

240    Come viene affermato nel secondo ‘considerando’ del regolamento (CEE, Euratom) del Consiglio 1° febbraio 1983, n. 354, che rende accessibili al pubblico gli archivi storici della Comunità economica europea e della Comunità europea dell’energia atomica (GU L 43 pag. 1), nella versione modificata dal regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 22 settembre 2003, n. 1700 (GU L 243 pag. 1), «è pratica costante negli Stati membri e nelle organizzazioni internazionali rendere accessibili al pubblico gli archivi dopo il decorso di un certo numero di anni».

241    Nella specie, il ricorrente giudica eccessiva la durata di 30 anni del periodo di riservatezza, la ritiene imprecisa in quanto il dies a quo non viene espressamente fissato dall’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE e considera, in fine, che essa «vanifica il suo diritto di accesso».

242    È importante tuttavia sottolineare, in primo luogo, che il termine di 30 anni sopra considerato corrisponde esattamente a quello previsto all’art. 1 del regolamento n. 354/83 e il cui decorso consente in linea di principio a chiunque ne faccia richiesta di avere accesso agli archivi storici delle istituzioni delle Comunità.

243    Nelle sue regole relative agli archivi storici (regole adottate il 7 ottobre 2005 dal comitato direttivo della Banca) (GU 2005, C 289, pag. 12), anche la Banca europea degli investimenti ha fissato un termine di 30 anni prima dell’apertura dei suoi archivi storici al pubblico.

244    Inoltre, l’art. 4, n. 7, del regolamento n. 1049/2001 dispone che le eccezioni al diritto di accesso di cui ai nn. 1, 2 e 3 sono applicabili per un periodo massimo di 30 anni. Tuttavia, le eccezioni relative alla tutela della vita privata [art. 4, n. 1, lett. b)] o degli interessi commerciali (art. 4, n. 2, primo trattino) nonché le disposizioni speciali relative ai documenti sensibili (art. 9) potranno continuare ad essere applicate anche dopo tale periodo, se necessario.

245    Del resto, se è certamente pacifico che l’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE non contiene la menzione del dies a quo del termine di 30 anni, questa semplice omissione non può di per sé rendere viziata da illegittimità la disposizione contestata dal ricorrente.

246    Tenuto conto della specifica natura degli archivi di cui trattasi, che riguardano, in particolare, l’attività di un organismo costituito nel 1964 e che è stato sciolto solo il 1° gennaio 1994, nonché della costante prassi qui sopra ricordata, si deve considerare che il periodo di riservatezza di 30 anni, previsto dal regolamento interno della BCE adottato nel 1998, aveva come dies a quo, implicitamente ma necessariamente, la data di produzione dei documenti. Questa è del resto la data che è stata presa in considerazione dal regolamento n. 354/83 per far decorrere il termine di riservatezza di 30 anni da essa previsto.

247    Si deve in secondo luogo rilevare che dall’art. 23, n. 3, seconda frase, del regolamento interno della BCE risulta che la regola della riservatezza non è assoluta.

248    Infatti, la citata disposizione è intesa a conferire al pubblico il diritto di presentare una richiesta di riduzione del periodo di riservatezza, dato che nulla osta a che una disciplina concernente l’organizzazione interna dei lavori di un’istituzione produca effetti giuridici nei confronti dei terzi (sentenza Paesi Bassi/Consiglio, punto 72 supra, punto 38). In forza dell’art. 23, n. 3, seconda frase, del regolamento interno della BCE, che è destinato ad essere applicato in modo generale, chiunque può chiedere l’accesso a qualsiasi documento conservato negli archivi del comitato dei governatori anche prima della scadenza del periodo di 30 anni.

249    Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente circa l’assenza di tutela giurisdizionale, la decisione del consiglio direttivo che respinge la richiesta di riduzione del periodo di riservatezza è soggetta, come nella specie, a sindacato giurisdizionale, conformemente al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Spetta al giudice adito verificare se il consiglio direttivo abbia esercitato regolarmente la competenza attribuitagli dall’art. 23, n. 3, seconda frase, del regolamento interno della BCE.

250    Da tutto quanto sopra considerato risulta che l’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE fondata sulla asserita violazione «del diritto di accesso del ricorrente ai documenti della BCE e del principio fondamentale di trasparenza» dev’essere respinta.

–       Sul motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, per sviamento di potere

251    A sostegno della sua domanda di annullamento, il ricorrente sostiene che la BCE è incorsa in uno sviamento di potere caratterizzato da elementi sia oggettivi che soggettivi.

252    Per quanto riguarda gli elementi oggettivi, il ricorrente sostiene che la BCE, che gode di una notevolissima indipendenza, ha adottato precipitosamente l’art. 23, n. 3, del suo regolamento interno, senza tener conto della giurisprudenza e dell’obbligo costituzionale, derivante dal Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997, che le imponevano di prevedere, con uno specifico regolamento, un diritto di accesso ai documenti. La BCE avrebbe agito col solo obiettivo di «sopprimere un diritto democratico».

253    Tale motivo, nella misura in cui possa essere inteso come un motivo supplementare diretto a dimostrare l’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, in quanto l’adozione di tale disposizione è viziata da sviamento di potere, dev’essere respinto.

254    Secondo una costante giurisprudenza, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quantomeno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati, o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenze della Corte 21 febbraio 1984, cause riunite 140/82, 146/82, 221/82 e 226/82, Walzstahl‑Vereinigung e Thyssen, Racc. pag. 951, punto 27; 21 giugno 1984, causa 69/83, Lux/Corte dei conti, Racc. pag. 2447, punto 30, e 13 novembre 1990, causa C‑331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I‑4023, punto 24; sentenza del Tribunale del 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punto 68).

255    Nella specie, è sufficiente constatare che il ragionamento del ricorrente è basato su un’erronea premessa in quanto le disposizioni del Trattato di Amsterdam, dal quale deriva l’art. 255 CE, non prevedono il diritto di accesso del pubblico ai documenti della BCE. Inoltre, la giurisprudenza in materia di accesso ai documenti alla quale il ricorrente fa riferimento non riguarda la BCE.

256    La sola affermazione che la BCE abbia agito allo scopo di «sopprimere un diritto democratico» costituisce una pura speculazione intellettuale e non un indizio concreto e obiettivo di uno sviamento di potere.

257    Da quanto sopra considerato risulta che l’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE sollevata dal ricorrente deve essere respinta.

b)     Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

258    Il ricorrente sostiene che la decisione della BCE, in risposta alla sua richiesta di riduzione del termine di riservatezza per aver accesso all’accordo Basilea-Nyborg, è priva di ogni motivazione e viola l’art. 253 CE, il che viene espressamente contestato dalla BCE.

259    Nelle sue memorie, la BCE ha inizialmente sostenuto che, tenuto conto della portata generale della decisione del consiglio direttivo, che non era diretta al ricorrente, non era necessario far figurare nella lettera 8 novembre 1999, che informa il ricorrente di tale decisione, «una motivazione supplementare, individuale e specifica». Occorre tuttavia ricordare che, nel corso dell’udienza, la BCE ha chiaramente riconosciuto il carattere individuale della sua decisione e ha, successivamente, rinunciato ad un’eccezione di irricevibilità fondata sulla portata generale della detta decisione.

260    La BCE considera che, comunque, la lettera 8 novembre 1999 contiene l’enunciazione di taluni motivi dai quali risulta chiaramente che il consiglio direttivo, che dispone di un amplissimo potere discrezionale nel settore di sua competenza, ha ponderato gli interessi del ricorrente con quelli della tutela dell’interesse pubblico, in particolare, per quanto riguarda i rischi per la stabilità monetaria. Essendo stato così svelato l’elemento essenziale dell’obiettivo perseguito dal consiglio, sarebbe eccessivo esigere una motivazione più precisa, che avrebbe richiesto la divulgazione del contenuto dei documenti.

261    Si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE dev’essere adeguata alla natura dell’atto e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui al detto articolo va risolta alla luce, non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza Interporc/Commissione, punto 150 supra, punto 55, e la giurisprudenza ivi citata).

262    Nella specie, con lettera 27 luglio 1999, il ricorrente ha presentato alla BCE una richiesta di riduzione del periodo di riservatezza di 30 anni, fondata sull’art. 23, n. 3, del regolamento interno, per poter prendere conoscenza dei documenti relativi all’accordo Basilea-Nyborg, e ciò facendo valere l’importanza di tali documenti per la stesura della sua tesi di dottorato.

263    Tenuto conto della natura della richiesta presentata dal ricorrente, si deve, per analogia, applicare la giurisprudenza secondo la quale l’istituzione alla quale è stata rivolta una richiesta di accesso ai documenti deve evidenziare nella motivazione della sua decisione di aver effettuato una valutazione concreta dei documenti per i quali è stato richiesto l’accesso (sentenze Kuijer/Consiglio, punto 150 supra, punto 38, e JT’S Corporation/Commissione, punto 131 supra, punti 64 e 65).

264    In risposta ad un quesito del Tribunale, la BCE ha prodotto vari documenti che attestano l’esistenza della decisione del consiglio direttivo 21 ottobre 1999 e, in particolare, un estratto del verbale della 29a riunione del detto consiglio, nel quale viene fatta soltanto menzione della presentazione da parte del presidente della richiesta di accesso, della consistenza documentale dell’accordo Basilea-Nyborg e della decisione del consiglio di approvare la proposta del suo presidente di non dare accesso agli archivi del comitato dei governatori.

265    Nella lettera 8 novembre 1999 si legge che il consiglio direttivo ha, da un lato, preso in considerazione «il fatto che l’accordo Basilea-Nyborg non è, propriamente parlando, un documento unico, redatto sotto forma di accordo tra le parti, ma esiste unicamente in forma di relazioni e di processi verbali che hanno per autori il comitato dei governatori e il comitato monetario» e, dall’altro lato, ha osservato che un comunicato stampa, che esponeva «in modo molto dettagliato tutti i punti dell’accordo realizzato tra i governatori delle banche centrali», era già stato comunicato al ricorrente. Vi è altresì menzionato che un altro documento, e cioè la copia dell’atto del 10 novembre 1987 che dà attuazione alle modifiche apportate all’accordo sullo SME del 13 marzo 1979, era allegato alla detta lettera.

266    Nella lettera 8 novembre 1999, viene precisato che, «[s]ulla base di tali considerazioni, il consiglio direttivo ha deciso di non dare accesso agli archivi del comitato dei governatori», e il direttore della BCE preposto ai rapporti con il pubblico conclude esprimendo il suo convincimento circa la fruttuosa continuazione dei lavori di ricerca del ricorrente, essendo quest’ultimo in possesso delle informazioni essenziali relative all’accordo Basilea-Nyborg.

267    Se è vero che dalla lettera 8 novembre 1999 risulta chiaramente che il consiglio direttivo ha, senza dubbio, precisato la consistenza documentale dell’accordo Basilea-Nyborg, non se ne può dedurre che dalla decisione del consiglio risulti che quest’ultimo abbia proceduto ad una valutazione concreta dei documenti considerati nella richiesta di accesso. La sola precisazione circa la natura dei documenti, per i quali è stato richiesto l’accesso, non può essere equiparata ad una valutazione degli elementi informativi contenuti nei detti documenti. Orbene, la decisione del consiglio direttivo 21 ottobre 1999, quale portata a conoscenza del ricorrente l’8 novembre 1999, non menziona in alcun modo una valutazione in relazione al tenore dei documenti richiesti.

268    Ad ogni modo, anche supponendo che dalla motivazione della detta decisione risultasse l’esistenza di un esame concreto dei documenti richiesti, occorre rilevare che il ricorrente non è stato pienamente messo in condizione di comprendere le ragioni del rifiuto di accesso oppostogli e che il Tribunale non è in grado di esercitare il suo controllo.

269    È giocoforza constatare, infatti, che, nella sua decisione di diniego della riduzione del periodo di riservatezza e quindi di diniego di accesso ai documenti richiesti, il consiglio direttivo non fa valere alcuna esigenza o alcun motivo particolare di protezione in relazione ai detti documenti né, a fortiori, fornisce alcuna spiegazione, sia pur breve, che giustifichi il suo rifiuto di divulgare il contenuto dei documenti, e che consenta di comprendere e di verificare il carattere effettivo dell’esigenza di protezione.

270    Risulta chiaramente che la detta decisione è unicamente fondata sulla valutazione operata dal consiglio direttivo dell’esigenza specifica del ricorrente di disporre dei documenti richiesti, alla luce delle informazioni comunicate all’interessato circa l’accordo Basilea-Nyborg, considerate, nella specie, sufficienti.

271    Contrariamente a quanto sostenuto dalla BCE, dalla sua decisione non risulta chiaramente una ponderazione degli interessi del ricorrente con l’interesse pubblico costituito dalla stabilità monetaria.

272    Solo nel controricorso la BCE, per la prima volta, ha affermato che il consiglio direttivo aveva ritenuto che i documenti richiesti, principalmente destinati a guidare le discussioni politiche in occasione della riunione informale dei ministri delle Finanze a Nyborg, contenevano decisioni e informazioni controvertibili, che non erano ancora di dominio pubblico, e che doveva essere mantenuta la riservatezza di tali decisioni politiche per conservare uno «spazio» di riflessione. Solo nella controreplica, a fronte del motivo relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, la BCE ha sostenuto che la motivazione della sua decisione mostrava chiaramente che il consiglio direttivo aveva «di fatto soppesato gli interessi del ricorrente rispetto alla tutela dell’interesse pubblico e in particolare ai rischi per la stabilità monetaria».

273    Occorre, inoltre, ricordare che, se è vero che il contesto che fa da sfondo all’adozione della decisione può alleggerire le esigenze di motivazione che sono a carico dell’istituzione, è pur vero che esso può, al contrario, aggravarle in circostanze particolari (sentenza Kuijer/Consiglio, punto 150 supra, punto 45). Pertanto, nella fattispecie, il rispetto dell’obbligo di motivazione va esaminato alla luce dell’insieme della corrispondenza scambiata tra l’istituzione e il ricorrente.

274    In risposta alla sua prima richiesta di accesso all’accordo Basilea‑Nyborg, la BCE ha fatto presente al ricorrente che i documenti provenienti dal comitato dei governatori rientravano non nell’ambito di applicazione della decisione 1999/284 bensì di quello dell’art. 23, n. 3, del proprio regolamento interno il quale prevede, tra l’altro, che i detti documenti sono accessibili liberamente solo trascorso un periodo di 30 anni. Di conseguenza, la BCE non ha trasmesso al ricorrente alcun documento catalogato negli archivi del comitato dei governatori.

275    Il 27 luglio 1999, il ricorrente ha scritto alla BCE al fine di sollecitare un riesame della sua richiesta sulla base dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, il quale autorizza il consiglio direttivo, in taluni casi particolari, a ridurre il periodo di riservatezza di 30 anni. A sostegno della sua richiesta, il ricorrente ha espressamente fatto presente il carattere remoto dell’accordo Basilea-Nyborg e quello puramente storico dello SME.

276    Di conseguenza, le esigenze di motivazione imponevano alla BCE di rispondere a questa seconda richiesta di accesso, dal fondamento giuridico certamente diverso ma dall’identico oggetto, precisando i motivi per i quali gli elementi addotti dal ricorrente non erano tali da consentirle di ritornare sulla sua posizione iniziale di riservatezza dei documenti di cui trattasi.

277    Orbene, nella decisione della BCE, il consiglio direttivo non ha esposto alcun motivo idoneo a disattendere gli argomenti del ricorrente. Inoltre, solo dopo la presentazione del ricorso di annullamento la BCE ha sostenuto, da un lato, che le opinioni espresse e le strategie analizzate nei documenti costituenti l’accordo Basilea-Nyborg erano sempre valide e avrebbero potuto avere ripercussioni sull’attuale meccanismo dei cambi, anche se esso riguardava solo le banche centrali di due Stati membri, e, dall’altro lato, che, «al fine di evitare ogni confusione dei mercati», esistevano motivi legittimi per non rendere pubblici tali documenti.

278    Si deve ricordare che la motivazione deve figurare nel testo stesso della decisione e che, se questa presenta un principio di motivazione, come nel caso di specie, quest’ultimo non può essere esposto ed esplicitato per la prima volta e a posteriori dinanzi al giudice comunitario, fatte salve circostanze eccezionali che nel caso di specie non ricorrono, in assenza di qualsiasi urgenza e tenuto conto del carattere unico dell’atto che deve essere adottato dalla BCE (v., in questo senso, sentenze del Tribunale 2 luglio 1992, causa T‑61/89, Dansk Pelsdyravlerforening/Commissione, Racc. pag. II‑1931, punto 131, e 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punto 95).

279    Dall’insieme delle considerazioni che precedono consegue che la decisione della BCE va annullata in quanto non soddisfa gli obblighi di motivazione prescritti dall’art. 253 CE, senza che occorra esaminare gli altri motivi di annullamento dedotti dal ricorrente, relativi ad uno sviamento di potere, ad una violazione del principio di buona amministrazione e ad un errore di valutazione della BCE.

280    Infine, in questa fase si deve rilevare che, dopo aver proposto un ricorso di annullamento (causa T‑3/00), il ricorrente ha investito il Tribunale di un ricorso per risarcimento danni (causa T‑337/04) in cui risulta chiaramente che il comportamento illegittimo ascritto al Consiglio e alla BCE è appunto costituito dall’adozione delle decisioni di cui il ricorrente chiede l’annullamento nella causa T‑3/00.

281    Nell’ambito del suo ricorso per risarcimento danni e al fine di dimostrare il comportamento illegittimo dei convenuti, il ricorrente ha svolto un’argomentazione in parte identica a quella formulata al fine di ottenere l’annullamento degli atti di cui trattasi. È pacifico che il ricorrente ha sollevato un nuovo motivo d’illegittimità delle decisioni di diniego di accesso censurate, è cioè la violazione del principio di certezza del diritto, nonché nuovi argomenti a sostegno dei motivi di illegittimità già invocati nel procedimento di annullamento e in risposta a talune affermazioni dei convenuti formulate in occasione del detto procedimento.

282    Tale argomentazione, nella misura in cui possa essere intesa come anche diretta a sostegno delle domande di annullamento delle decisioni del Consiglio e della BCE formulate nell’ambito della causa T‑3/00, è irricevibile e va disattesa.

283    Si deve a questo proposito ricordare che l’azione risarcitoria è un rimedio giurisdizionale autonomo, dotato di una sua particolare funzione nell’ambito del regime dei mezzi di tutela giurisdizionale e subordinato, quanto al suo esercizio, a condizioni attinenti al suo specifico oggetto. Mentre il ricorso di annullamento e quello per carenza mirano a sanzionare l’illegittimità di un atto giuridicamente vincolante ovvero la sua mancata adozione, l’azione risarcitoria ha per oggetto la richiesta di risarcimento di un danno derivato da un atto oppure da un comportamento illecito imputabile ad un’istituzione o ad un organo comunitario (v. sentenza della Corte 23 marzo 2004, causa C‑234/02 P, Mediatore/Lamberts, Racc. pag. I‑2803, punto 59, e la giurisprudenza ivi citata).

284    Il principio dell’autonomia dei mezzi di tutela giurisdizionale vieta, nella specie, una valutazione unica dell’insieme dei motivi di illegittimità dedotti nell’ambito dei ricorsi di annullamento e di risarcimento danni, tenuto conto delle differenti conseguenze delle decisioni che accolgono favorevolmente i detti ricorsi. Così, l’accoglimento di un ricorso di annullamento produce la scomparsa dall’ordinamento giuridico dell’atto censurato, mentre l’esito positivo di un ricorso per risarcimento danni consente unicamente il risarcimento del danno provocato da tale atto, senza automatica soppressione di quest’ultimo.

285    La riunione delle cause T‑3/00 e T‑337/04 ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza non è tale da infirmare le conclusioni di cui sopra, dato che la decisione di riunione non incide sull’indipendenza e sulla natura autonoma delle cause oggetto della stessa, essendo sempre possibile una decisione di separarle (sentenza della Corte 21 giugno 2001, cause riunite da C‑280/99 P a C‑282/99 P, Moccia Irme e a./Commissione, Racc. pag. I‑4717, punto 66, e sentenza del Tribunale 14 dicembre 2005, causa T‑209/01, Honeywell/Commissione, Racc. pag. II‑5527, punto 71).

C –  Sulle domande di mezzi istruttori o di misure di organizzazione del procedimento

286    Nell’ambito del ricorso di annullamento, il ricorrente ha chiesto al Tribunale di disporre mezzi istruttori per chiarire le circostanze in cui sono state adottate le decisioni impugnate e, più esattamente, di accertare in quali circostanze la BCE è entrata in possesso della relazione del comitato monetario e di intimare a quest’ultima di produrre agli atti il verbale della riunione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999.

287    Tenuto conto delle indicazioni fornite dalla BCE circa le circostanze in cui è entrata in possesso della relazione del comitato monetario, quali ricordate supra al punto 144, della comunicazione da parte dalla BCE di vari documenti e, in particolare, di un estratto del verbale della 29a riunione del consiglio direttivo del 21 ottobre 1999, dei chiarimenti e dei documenti forniti dal Consiglio circa le circostanze nelle quali la decisione 30 luglio 1999 è stata adottata, le domande del ricorrente menzionate al punto precedente devono considerarsi soddisfatte e sono pertanto divenute prive di oggetto.

288    Per quanto riguarda la domanda di misure d’organizzazione del procedimento presentata dal ricorrente, intesa ad ottenere che la BCE fornisca dati statistici relativi all’accesso ai suoi documenti nel periodo dal 1° giugno 1998 al 31 maggio 2000, essa dev’essere respinta, in quanto priva di interesse ai fini della soluzione della controversia. 

 Sulla domanda di risarcimento danni

A –  Considerazioni preliminari

289    Si deve rilevare che il ricorrente mira chiaramente a far dichiarare la venuta in essere della responsabilità extra contrattuale della Comunità, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, per illecito dei suoi organi.

290    Risulta da una giurisprudenza costante che il sorgere di una siffatta responsabilità presuppone che siano soddisfatte varie condizioni, e cioè: l’illiceità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettività del danno e l’esistenza del nesso di causalità tra tale comportamento e il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T‑175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T‑336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II‑1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T‑267/94, Oleifici Italiani/Commissione, Racc. pag. II‑1239, punto 20).

291    Per quanto riguarda la prima delle dette condizioni, la giurisprudenza richiede che venga accertata una violazione sufficientemente qualificata di una norma di diritto intesa a conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 42). Per quanto riguarda la condizione secondo cui la violazione dev’essere sufficientemente qualificata, il criterio decisivo per considerare tale condizione soddisfatta è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione comunitaria in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Quando tale istituzione dispone solo di un margine discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (sentenza della Corte 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico, Racc. pag. I‑11355, punto 54, e sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, Racc. pag. II‑1975, punto 134).

292    Per quanto riguarda la condizione relativa al nesso di causalità, la Comunità può essere tenuta responsabile solo per il danno che deriva in modo sufficientemente diretto dal comportamento irregolare dell’istituzione interessata (sentenza della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76 e 113/76, 167/78 e 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier frères e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 21, e sentenza del Tribunale 13 febbraio 2003, causa T‑333/01, Meyer/Commissione, Racc. pag. II‑117, punto 32). Per contro, non spetta alla Comunità risarcire tutte le conseguenze dannose, anche lontane, di comportamenti dei suoi organi (v., in questo senso, sentenza Dumortier frères e a./Consiglio, cit., punto 21).

293    Per quanto riguarda il danno è importante sottolineare che quest’ultimo dev’essere reale e certo (sentenza della Corte 27 gennaio 1982, cause riunite 256/80, 257/80, 265/80, 267/80 e 5/81, Birra Wührer e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 85, punto 9; sentenza del Tribunale 2 luglio 2003, causa T‑99/98, Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2195, punto 67), nonché valutabile (sentenza del Tribunale 16 gennaio 1996, causa T‑108/94, Candiotte/Consiglio, Racc. pag. II‑87, punto 54). Per contro, un danno puramente ipotetico e indeterminato non dà diritto a risarcimento (v., in questo senso, sentenza Oleifici Italiani/Commissione, punto 290 supra, punto 73).

294    Spetta al ricorrente fornire elementi di prova al giudice comunitario al fine di dimostrare l’esistenza e la portata del suo danno (sentenza della Corte 21 maggio 1976, causa 26/74, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. 677, punti 22-24; sentenze del Tribunale 9 gennaio 1996, causa T‑575/93, Koelman/Commissione, Racc. pag. II‑1, punto 97, e 28 aprile 1998, causa T‑184/95, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑667, punto 60).

295    Si deve infine ricordare che, quando una di queste condizioni non è stata adempiuta, il ricorso dev’essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare le altre condizioni (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4199, punti 19 e 81, e sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde‑Reederei/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑515, punto 37).

B –  Sul danno e sul nesso di causalità

1.     Argomenti delle parti

296    Per quanto riguarda la condizione relativa all’esistenza di un danno, il ricorrente afferma, in primo luogo, che il rifiuto delle due «istituzioni» comunitarie di dargli accesso al documento richiesto ha sconvolto il suo calendario di redazione e, ancor oggi, tre anni e quattro mesi dopo la scadenza del termine previsto per il deposito della sua tesi (cioè il 31 marzo 2001), gli impedisce di concluderla e di presentarla alla facoltà di giurisprudenza di Salonicco. Da tale situazione conseguirebbe logicamente che il ricorrente avrebbe subito un danno materiale consistente nella perdita dei redditi che avrebbe percepito facendo un uso ragionevole e appropriato del titolo di dottore che egli avrebbe conseguito, nella fattispecie ottenendo un posto da giurista in seno a istituzioni o organismi internazionali, come la BCE o il Fondo monetario internazionale (FMI).

297    Egli asserisce che il principio procedurale secondo il quale spetta a chi fa valere l’esistenza di un danno fornirne la prova non è senza limiti. Il Tribunale dovrebbe tener conto, in primo luogo, della particolare natura della causa e, in secondo luogo, della natura del danno subito e del principio procedurale di parità per quanto riguarda l’onere della prova e, in terzo luogo, della giurisprudenza della Corte.

298    Così, si tratterebbe della prima causa in materia di responsabilità extracontrattuale relativa all’accesso ai documenti e la giurisprudenza menzionata dalla BCE non sarebbe in alcun modo conferente in un siffatto contesto. Solo la giurisprudenza relativa al contenzioso statutario del personale sarebbe tale da fornire elementi di valutazione utili.

299    Il contenuto del ricorso non lascerebbe sussistere alcun dubbio quanto al fatto che il danno invocato sarebbe un mancato guadagno (lucrum cessans) e non una perdita subita (dannum emergens), due nozioni distinte secondo la giurisprudenza del Tribunale (sentenze Oleifici Italiani/Commissione, punto 290 supra, punto 72, e 30 settembre 1998, causa T‑149/96, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑3841, punto 48).

300    Orbene, i requisiti di prova di un mancato guadagno sarebbero meno rigidi di quelli di una perdita subita, in quanto occorrerebbe esaminare l’esistenza del danno e la sua valutazione alla luce del normale svolgersi degli eventi e delle probabilità reali e non teoriche. Il ricorrente ritiene a questo proposito, di aver prodotto tutti i documenti necessari per dimostrare l’effettività del danno fatto valere.

301    Egli sostiene che il suo danno deve essere calcolato sulla base dei proventi di un giurista in possesso di un dottorato alle dipendenze della BCE a partire dal 1° aprile 2001, data nella quale egli avrebbe presentato la sua tesi di dottorato, fino al terzo mese successivo alla pronuncia della sentenza da parte del Tribunale nella presente causa, previa detrazione dei redditi da lui ricavati dall’esercizio della professione di avvocato, in Grecia, durante tale periodo. Il ricorrente chiede al Tribunale di invitare la BCE a produrre gli elementi pertinenti in materia di retribuzione del suo personale per consentire un’esatta quantificazione del danno.

302    Questa valutazione del danno sarebbe basata sul plausibile corso degli eventi. Non si tratterebbe di una situazione presa a caso, bensì di una situazione che aveva tutte le possibilità di prodursi, tenuto conto delle domande di impiego effettivamente presentate dal ricorrente presso la BCE. Il ricorrente sostiene che gli elementi addotti eccedono quanto è richiesto dalla giurisprudenza per la prova di un mancato guadagno (sentenza del Tribunale 21 marzo 2002, causa T‑231/99, Joynson/Commissione, Racc. pag. II‑2085, punti 102, 114, 124, 134, 137 e 173).

303    Il ricorrente assume, in secondo luogo, che il ritardo di circa tre anni e mezzo intervenuto per la conclusione della sua tesi gli ha provocato un danno morale molto grave che consiste:

–        in un considerevole protrarsi dell’ansia per la conclusione di tale tesi;

–        nel ritardo del suo avanzamento sul piano professionale e finanziario;

–        nell’impossibilità di aspirare a sbocchi lavorativi in Grecia e soprattutto all’estero per i quali fosse necessario il titolo di dottore;

–        nel rinvio di un’attività in un ambiente accademico che richiede il possesso del titolo di dottore, nell’incertezza che ne consegue e nell’aggravamento della sua situazione, tenuto anche conto dell’età;

–        nella necessità di aggiornare a più riprese la sua tesi a seguito degli incessanti sviluppi dell’UEM, nella perdita di tempo nonché nella fatica conseguenti;

–        nella pressione psicologica a tutt’oggi subita per concludere la sua tesi, nei commenti negativi e ironici di cui ha costituito e costituisce tuttora oggetto e nell’obbligo di dare spiegazioni a ogni domanda circa la conclusione della sua tesi;

–        nella perdita di tempo e di energie provocata dal procedimento dinanzi al Tribunale e alla Corte;

–        nell’usura psicologica provata a causa della lunghezza del procedimento, il cui esito è capitale per il suo avvenire.

304    Pertanto il ricorrente reclama una somma di EUR 90 000 a titolo di risarcimento del danno morale.

305    Per quanto riguarda la condizione relativa al nesso di causalità, il ricorrente afferma che i danni morale e materiale subiti sono la conseguenza diretta dei rifiuti illegittimi di accesso al documento controverso, che costituisce l’elemento centrale del suo studio, in quanto si tratta di una fonte storica e giuridica unica e indispensabile per dimostrare «l’esistenza e il funzionamento della soft law nel settore finanziario e monetario a cui si riferiscono l’UEM e l’attività del G 7/8».

306    Egli fa valere che il diniego di accesso ha avuto un effetto negativo catastrofico sul calendario di redazione della sua tesi, poiché si è tradotto nell’impossibilità di rispettare il termine di presentazione della stessa fissato per il 31 dicembre 2000, e successivamente per il 31 marzo 2001, effetto negativo che perdura a tutt’oggi.

307    Il ricorrente fa presente che per tre anni, dall’inizio del 1997 alla fine del 1999, egli si è occupato unicamente della redazione della sua tesi e che, a partire dall’estate 1999, epoca alla quale la sua ricerca si trovava in uno stadio avanzato, non si è verificato alcun fatto tale da modificare il calendario di redazione e da impedirgli di concludere la sua tesi, ad eccezione dei rifiuti di accesso controversi.

308    Egli invoca altresì la giurisprudenza della Corte e del Tribunale sul nesso di causalità e più in particolare la sentenza del Tribunale 5 ottobre 2004, causa T‑45/01, Sanders e a./Commissione (Racc. p. II‑3315), in cui tale giudice avrebbe «distinto l’incertezza teorica dall’incertezza reale e riconosciuto le difficoltà di prova» facendo gravare l’onere della prova sulla Commissione.

309    Per quanto riguarda la questione se egli potesse o addirittura dovesse, alla scadenza del termine fissato, presentare la sua tesi senza tener conto dell’accordo Basilea‑Nyborg, il ricorrente afferma che tale questione è in primo luogo connessa alla sua indipendenza, alla sua libertà di ricerca e alla sua autonomia interna nelle scelte scientifiche e nella valutazione delle esigenze della sua tesi, le quali devono essere riconosciute.

310    A tal riguardo egli fa riferimento alla sentenza Mattila/Consiglio e Commissione, punto 99 supra, in cui il giudice ha considerato che il richiedente accesso, e lui solo, era giudice dei documenti di cui aveva bisogno, mentre l’istituzione amministrativa non dispone di alcun potere per intervenire nella valutazione di quanto è necessario o utile per il richiedente.

311    Il ricorrente sostiene che, nella misura in cui ha ritenuto, all’epoca della richiesta di accesso, e in cui ancora ritiene che l’accordo Basilea‑Nyborg sia pertinente per la sua tesi, non poteva né doveva ignorare tale accordo e consegnare alla facoltà di giurisprudenza, il 31 dicembre 2000, un lavoro molto mediocre. Inoltre, non esisterebbe alcuna soluzione alternativa che consenta al ricorrente di constatare con quale strumento giuridico gli indici macroeconomici del G 7 sarebbero stati inseriti nel 1987 nello SME, come essi avrebbero funzionato in seguito fino alla concezione dell’UEM nel 1991/1992 e, in fin dei conti, ciò che oggi è divenuto di tali indici.

312    Egli asserisce, infine, che le considerazioni relative alla sua indipendenza e alla sua autonomia scientifica interna consentono di rispondere alla tesi della BCE circa il suo preteso contributo alla realizzazione del danno.

313    Il Consiglio e la BCE sostengono che nella specie mancano i presupposti della responsabilità extracontrattuale attinenti all’esistenza di un danno certo e di un nesso di causalità diretto tra quest’ultimo e gli asseriti comportamenti illegittimi.

2.     Giudizio del Tribunale

314    Il ricorrente sostiene che i rifiuti di accesso ai documenti costituenti l’accordo Basilea-Nyborg a lui opposti dal Consiglio e dalla BCE sono all’origine diretta di un danno materiale e morale.

315    In primo luogo, il danno materiale, qualificato come perdita di opportunità o mancato guadagno, consiste, secondo il ricorrente, nella perdita dei redditi che egli avrebbe percepito facendo un uso ragionevole e appropriato del titolo di dottore che egli avrebbe previamente conseguito nella fattispecie, ottenendo un impiego di giurista in seno a istituzioni o organismi internazionali come la BCE o il FMI.

316    Tuttavia, dalle memorie del ricorrente risulta che la perdita di opportunità e il mancato guadagno asseriti sono a loro volta il risultato di un primo evento, cioè la mancata conclusione della tesi alla data prevista per il deposito di quest’ultima e il relativo mancato conseguimento del titolo di dottore in giurisprudenza.

317    Orbene, questo primo evento non può considerarsi come la causa diretta della perdita di opportunità e del mancato guadagno asseriti, in quanto, il ricorrente non dimostra che il fatto di essere in possesso di un titolo di dottore costituisse la condizione necessaria per il conseguimento di un impiego in seno agli organismi da lui citati.

318    La mancata conclusione e la mancata presentazione della tesi alla data limite del 31 marzo 2001 non appare neanche come la conseguenza diretta dei rifiuti di accesso contestati, di cui il ricorrente ha avuto conoscenza nell’agosto e nel novembre 1999 quando la sua ricerca, secondo il suo stesso dire, si trovava già in una fase avanzata nel corso dell’estate del 1999. Tale situazione può essere solo considerata come dovuta al ricorrente stesso che sarebbe stato tenuto, indipendentemente dalla contestazione dei rifiuti oppostigli, a curare che la redazione della sua tesi avanzasse affinché egli potesse presentare e sostenere quest’ultima entro il termine a tal fine previsto, nonostante il fatto che ciò potesse essere da lui sentito come una mancanza di completezza del suo lavoro di ricerca.

319    Si deve inoltre ricordare che, se la perdita di opportunità è tale da costituire un danno riparabile (sentenza del Tribunale 27 ottobre 1994, causa T‑47/93, C/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑233 e II‑743, punto 54), quest’ultimo deve cionondimeno essere reale e certo per poter essere effettivamente risarcito.

320    Orbene, il ricorrente non ha dimostrato che l’opportunità, di cui sarebbe stato privato, di occupare un posto in seno alla BCE o ad un altro organismo e di fruire dei relativi vantaggi pecuniari fosse reale e certa, nel senso che egli avrebbe avuto, se non tutte le probabilità di accedere ad un siffatto posto, quantomeno una seria opportunità di accedervi (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 6 giugno 2006, causa T‑10/02, Girardot/Commissione, Racc. pag. FP‑I‑A‑109, II‑483, punti 96-98, e la giurisprudenza ivi citata). A questo proposito, le domande di impiego indirizzate dal ricorrente alla BCE, nel 1999, non consentono di considerare che l’interessato si trovasse inserito in un iter di assunzione che dovesse concludersi dopo il conseguimento del titolo di dottore in giurisprudenza. Le considerazioni del ricorrente sulle sue opportunità di ottenere un posto presso la BCE o presso un altro organismo dopo la conclusione, coronata da successo, della sua tesi di dottorato rientrano, in realtà, nella pura speculazione.

321    In secondo luogo, occorre rilevare che il ricorrente stesso afferma, al punto 35 del ricorso, che è «il ritardo» di circa tre anni e mezzo relativo alla redazione della sua tesi ad avergli provocato un danno morale molto grave.

322    Per le ragioni indicate al precedente punto 318, si deve concludere per l’assenza di nesso di causalità diretto tra i rifiuti di accesso contestati e il danno morale asserito.

323    Si deve tuttavia notare che, tra gli aspetti del preteso danno morale subito dal ricorrente, quale definito al precedente punto 303, figurano la perdita di tempo e di energie nonché l’«usura» psicologica provocate dall’avvio dei procedimenti giurisdizionali conseguenti ai rifiuti di accesso censurati, dal seguito dato ai procedimenti stessi e dalla loro lunghezza.

324    In quanto tale perdita di tempo e di energie nonché tale usura psicologica addotta dal ricorrente, le quali si differenziano dalle affermazioni di quest’ultimo circa lo stato di incertezza, di ansietà e di frustrazione provocato dalla mancata conclusione della tesi alla data prevista per il suo deposito e in mancanza del relativo conseguimento del titolo di dottore in giurisprudenza, possano essere interpretate come conseguenza diretta dei rifiuti di accesso contestati, esse non possono essere considerate come configuranti un danno morale risarcibile.

325    Per quanto riguarda la pretesa usura psicologica provata dal ricorrente, è giocoforza constatare che questi si limita a mere affermazioni e non produce alcuna prova di natura documentale che dimostri l’esistenza di una vera e propria turba di ordine psichico. Quanto all’asserita perdita di tempo e di energie, essa rientra nelle contrarietà inerenti all’avvio di qualsiasi procedimento e al seguito dato ad esso le quali non possono essere assimilate a un danno morale risarcibile. A questo proposito occorre sottolineare che, conformemente all’art. 19 dello Statuto della Corte, il ricorrente era rappresentato, nell’ambito del presente procedimento e nel corso del procedimento dinanzi alla Corte relativo alla causa che ha dato luogo alla sentenza Pitsiorlas, punto 38 supra, da un avvocato, il cui ruolo è appunto quello di assistere l’interessato, in particolare, elaborando gli atti processuali e seguendo lo svolgimento del procedimento in nome e per conto del suo mandante.

326    Da quanto sopra consegue che le condizioni dell’insorgere della responsabilità extracontrattuale relative all’esistenza di un danno reale e certo e di un nesso di causalità diretto tra quest’ultimo e i pretesi comportamenti illegittimi dei convenuti non sono soddisfatte e che il ricorso per risarcimento danni proposto dal ricorrente deve pertanto essere respinto, senza che occorra procedere all’esame della condizione della responsabilità extracontrattuale connessa all’illiceità del comportamento del Consiglio e della BCE.

 Sulle spese

327    A tenore dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese, se ne è stata fatta domanda. Conformemente al n. 3 del detto articolo, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

328    Nella specie, occorre rilevare che le conclusioni del ricorrente in quanto intese all’annullamento della decisione della BCE sono state accolte e che a torto il Consiglio ha eccepito l’irricevibilità del ricorso di annullamento diretto contro la sua decisione 30 luglio 1999. Per contro, le conclusioni di annullamento del ricorrente relative a quest’ultima decisione nonché le sue conclusioni dirette al risarcimento danni nei confronti del Consiglio e della BCE sono state respinte.

329    Il Tribunale ritiene che verrà operata una giusta valutazione delle circostanze particolari del caso di specie condannando il Consiglio, la BCE e il ricorrente a sopportare ciascuno le proprie spese sostenute nelle cause T‑3/00 e T‑337/04. Il Consiglio dovrà pure sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal ricorrente nella causa C‑193/01 P.

330    Si deve, infine, osservare che la BCE non ha fornito alcun elemento che giustifichi l’applicazione nel caso di specie dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura e la condanna del convenuto a rimborsarle spese che siano state riconosciute come superflue o defatigatorie.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione del consiglio direttivo 21 ottobre 1999, quale portata a conoscenza del sig. Athanasios Pitsiorlas con lettera della Banca centrale europea (BCE) 8 novembre 1999, è annullata.

2)      Per il resto, il ricorso di annullamento è respinto.

3)      Il ricorso per risarcimento danni è respinto.

4)      La BCE, il Consiglio e il ricorrente sopporteranno ciascuno le proprie spese sostenute nelle cause T‑3/00 e T‑337/04. Il Consiglio sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal ricorrente nella causa C‑193/01 P.

Vilaras

Martins Ribeiro

Jürimäe

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 27 novembre 2007.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       M. Vilaras

Indice


Quadro normativo

Fatti all’origine della controversia

Procedimento e conclusioni delle parti

A – Conclusioni nella causa T‑3/00

B – Conclusioni nella causa T‑337/04

Sulla domanda di annullamento

A – Sulla ricevibilità

1. Sull’esistenza di atti impugnabili

2. Sul preteso carattere tardivo del ricorso di annullamento

3. Sul preteso carattere abusivo del ricorso

4. Sulla asserita incompetenza della BCE a concedere l’accesso alla relazione del comitato monetario

B – Sul merito

1. Sulla domanda di annullamento della decisione del Consiglio

a) Gli argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

Considerazioni preliminari

Sull’asserito inganno perpetrato dal Consiglio

Sulla violazione del diritto di accesso ai documenti sancito dalla decisione 93/731

Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

Sulla violazione dei principi di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento

2. Sulla domanda di annullamento della decisione della BCE

a) Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284 e dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 1 della decisione 1999/284

Sull’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

– Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE

– Sul motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, a seguito della violazione dell’art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC

– Sul motivo relativo all’illegittimità dell’art. 23, n. 3, del regolamento interno della BCE, per sviamento di potere

b) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

C – Sulle domande di mezzi istruttori o di misure di organizzazione del procedimento

Sulla domanda di risarcimento danni

A – Considerazioni preliminari

B – Sul danno e sul nesso di causalità

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: il greco.