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PARERE DELLA CORTE (Grande Sezione)

6 ottobre 2021

Indice


I. Domanda di parere

II. Contesto normativo

A. Direttive rilevanti sulla cooperazione giudiziaria in materia penale

B. Direttive rilevanti sulla politica comune d’asilo

C. Statuto dei funzionari dell’Unione europea e regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea

III. Convenzione di Istanbul e sua firma da parte dell’Unione

A. Analisi della Convenzione di Istanbul

B. Proposte di decisioni sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

C. Decisione sulla firma 2017/865

D. Decisione sulla firma 2017/866

IV. Valutazioni formulate dal Parlamento nella sua domanda di parere

A. Fatti e procedimento

B. Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

C. Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

D. Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

V. Sintesi delle osservazioni presentate alla Corte

A. Fatti e procedimento

1. Sulla firma e sulla ratifica della Convenzione di Istanbul da parte degli Stati membri

2. Sulla procedura di firma della Convenzione di Istanbul in seno al Consiglio

3. Sulla procedura di conclusione della Convenzione di Istanbul in seno al Consiglio

B. Sulla ricevibilità della domanda di parere

1. Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

2. Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

3. Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

C. Nel merito della domanda di parere

1. Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

a) Su un’adesione «ampia» o «limitata» dell’Unione alla Convenzione di Istanbul

b) Sui criteri di identificazione delle competenze dell’Unione

c) Sul rapporto tra la Convenzione di Istanbul e l’acquis dell’Unione

d) Sull’articolo 82, paragrafo 2, TFUE

e) Sull’articolo 84 TFUE

f) Sull’articolo 78, paragrafo 2, TFUE

g) Sull’articolo 83, paragrafo 1, TFUE

2. Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

3. Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

a) Presentazione della prassi del «comune accordo»

b) Sulla compatibilità della prassi del «comune accordo» con l’articolo 13, paragrafo 2, TUE e con gli articoli da 2 a 6 TFUE e con l’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE

c) Se la prassi del «comune accordo» sia compatibile con i principi di attribuzione, di cooperazione leale tra l’Unione e i suoi Stati membri, di unità della rappresentanza esterna dell’Unione e con il diritto internazionale pubblico

VI. Posizione della Corte

A. Ricevibilità della domanda di parere

B. Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

C. Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

D. Sulla scissione dell’atto di conclusione della Convenzione di Istanbul in due distinte decisioni

VII. Risposta alla domanda di parere

«Parere reso ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE – Convenzione sulla prevenzione e la lotta contra la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) – Firma da parte dell’Unione europea – Progetto di conclusione da parte dell’Unione – Nozione di “accordo previsto”, ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE – Competenze esterne dell’Unione – Base giuridica sostanziale – Articolo 78, paragrafo 2, TFUE – Articolo 82, paragrafo 2, TFUE – Articolo 83, paragrafo 1, TFUE – Articolo 84 TFUE – Articolo 336 TFUE – Articoli da 1 a 4 bis del protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Partecipazione parziale dell’Irlanda alla conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul – Possibilità di scindere l’atto di conclusione di un accordo internazionale in due distinte decisioni in funzione delle basi giuridiche applicabili – Prassi del “comune accordo” – Compatibilità con il trattato UE e con il trattato FUE»


Nel procedimento di parere 1/19,

avente ad oggetto una domanda di parere ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, presentata il 9 luglio 2019, dal Parlamento europeo,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev (relatore), A. Prechal, M. Vilaras, M. Ilešič, L. Bay Larsen, A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz, F. Biltgen, K. Jürimäe, L.S. Rossi, I. Jarukaitis e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: G. Hogan,

cancelliere: R. Schiano, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 ottobre 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Parlamento europeo, da D. Warin, A. Neergaard e O. Hrstková Šolcová, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da C. Pochet e J.-C. Halleux, in qualità di agenti;

–        per il governo bulgaro, da E. Petranova, L. Zaharieva, T. Mitova e M. Georgieva, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil, M. Švarc e K. Najmanová, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, da M.P. Jespersen, in qualità di agente;

–        per l’Irlanda, da M. Browne, G. Hodge e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da P. McGarry e S. Kingston, SC;

–        per il governo ellenico, da K. Boskovits, in qualità di agente;

–        per il governo spagnolo, da S. Centeno Huerta, in qualità di agente;

–        per il governo francese, da J.-L. Carré, D. Dubois, T. Stéhelin e A.-L. Desjonquères, in qualità di agenti;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e P. Csuhány, in qualità di agenti;

–        per il governo austriaco, da J. Schmoll, E. Samoilova e H. Tichy, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna e A. Miłkowska, in qualità di agenti;

–        per il governo slovacco, da B. Ricziová, in qualità di agente;

–        per il governo finlandese, da H. Leppo e J. Heliskoski, in qualità di agenti;

–        per il Consiglio dell’Unione europea, da S. Boelaert, B. Driessen e A. Norberg, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da A. Bouquet, T. Ramopoulos, C. Cattabriga e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 marzo 2021,

ha reso il seguente

Parere

I.      Domanda di parere

1        La domanda di parere presentata alla Corte dal Parlamento europeo è formulata nei seguenti termini:

«[1) a)]      Gli articoli 82[, paragrafo 2,] e 84 [TFUE] costituiscono le basi giuridiche appropriate per l’atto del Consiglio [dell’Unione europea] relativo alla conclusione, a nome dell’Unione [europea], della Convenzione [del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione)] di Istanbul o tale atto deve basarsi sugli articoli 78[, paragrafo 2,] 82[, paragrafo 2,] e 83[, paragrafo 1,] TFUE [?]

[1 b)]            [È] necessario o possibile scindere in due le decisioni relative alla firma e alla conclusione della Convenzione [di Istanbul] in virtù di tale scelta della base giuridica?

[2)]      La conclusione della Convenzione di Istanbul, da parte dell’Unione, a norma dell’articolo 218[, paragrafo 6,] TFUE, risulta compatibile con i trattati in mancanza di un comune accordo di tutti gli Stati membri sul loro consenso ad essere vincolati da detta convenzione?».

II.    Contesto normativo

A.      Direttive rilevanti sulla cooperazione giudiziaria in materia penale

2        La direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (GU 2011, L 101, pag. 1), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca, nel suo articolo 1 così dispone:

«La presente direttiva stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell’ambito della tratta di esseri umani. Essa introduce altresì disposizioni comuni, tenendo conto della prospettiva di genere, per rafforzare la prevenzione di tale reato e la protezione delle vittime».

3        La direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio (GU 2011, L 335, pag. 1, e rettifica in GU 2012, L 18, pag. 7), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca, nel suo articolo 1 precisa quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, pornografia minorile e adescamento di minori per scopi sessuali. Essa introduce altresì disposizioni intese a rafforzare la prevenzione di tali reati e la protezione delle vittime».

4        La direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI [del Consiglio] (GU 2012, L 315, pag. 57), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca, nel suo considerando 11 enuncia quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme minime. Gli Stati membri possono ampliare i diritti da essa previsti al fine di assicurare un livello di protezione più elevato».

B.      Direttive rilevanti sulla politica comune d’asilo

5        La direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, nel suo articolo 3, paragrafo 4, lettera a), e paragrafo 5, precisa quanto segue:

«4.      La presente direttiva fa salve le disposizioni più favorevoli contenute:

a)      negli accordi bilaterali e multilaterali stipulati tra [l’Unione] o tra [l’Unione] e i suoi Stati membri, da una parte, e dei paesi terzi, dall’altra;

(...)

5.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».

6        La direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, nel suo articolo 3, paragrafo 3, lettere a) e b), così dispone:

«3.      La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli contenute:

a)      negli accordi bilaterali e multilaterali tra [l’Unione], ovvero [l’Unione] e i suoi Stati membri, da una parte, e i paesi terzi, dall’altra;

b)      negli accordi bilaterali già conclusi tra uno Stato membro e un paese terzo prima dell’entrata in vigore della presente direttiva».

7        Ai sensi dell’articolo 13 di detta direttiva:

«Gli Stati membri possono rilasciare permessi di soggiorno permanenti o di validità illimitata a condizioni più favorevoli rispetto a quelle previste dalla presente direttiva. Tali permessi di soggiorno non conferiscono il diritto di soggiornare negli altri Stati membri ai sensi del capo III della presente direttiva».

8        La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, nel suo articolo 4 così dispone:

«1.      La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di:

a)      accordi bilaterali o multilaterali tra [l’Unione], o [l’Unione] e i suoi Stati membri, e uno o più paesi terzi;

b)      accordi bilaterali o multilaterali tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi.

2.      La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall’acquis [dell’Unione] in materia di immigrazione e di asilo.

3.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite.

4.      Per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), gli Stati membri:

a)      provvedono affinché siano loro riservati un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quanto disposto all’articolo 8, paragrafi 4 e 5 (limitazione dell’uso di misure coercitive), all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a) (rinvio dell’allontanamento), all’articolo 14, paragrafo 1, lettere b) e d) (prestazioni sanitarie d’urgenza e considerazione delle esigenze delle persone vulnerabili) e agli articoli 16 e 17 (condizioni di trattenimento) e

b)      rispettano il principio di non-refoulement».

9        La direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), che è succeduta alla direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12), e che è applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, nel suo articolo 3 così dispone:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

10      La direttiva 2004/83, che, sebbene abrogata dalla direttiva 2011/95, continua a vincolare l’Irlanda, nel suo articolo 1 prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta».

11      La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, nel suo articolo 5 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli in ordine alle procedure di riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale, purché tali criteri siano compatibili con la presente direttiva».

12      La direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), che, pur essendo stata abrogata dalla direttiva 2013/32, continua a vincolare l’Irlanda, nel suo articolo 1 precisa quanto segue:

«Obiettivo della presente direttiva è stabilire norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato».

13      La direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96), applicabile a tutti gli Stati membri ad eccezione del Regno di Danimarca e dell’Irlanda, stabilisce, nel suo articolo 4, quanto segue:

«Gli Stati membri possono stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti e di parenti stretti dei richiedenti presenti nello stesso Stato membro quando siano a loro carico, oppure per motivi umanitari, purché tali disposizioni siano compatibili con la presente direttiva».

C.      Statuto dei funzionari dell’Unione europea e regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea

14      Il regolamento n. 31 (C.E.E.) 11 (C.E.E.A.), relativo allo statuto dei funzionari e al regime applicabile agli altri agenti della Comunità economica europea e della Comunità europea dell’energia atomica (GU 1962, 45, pag. 1385), quale modificato, da ultimo, dal regolamento (UE) n. 1416/2013 del Consiglio, del 17 dicembre 2013 (GU 2013, L 353, pag. 24), stabilisce, in particolare, nel suo secondo considerando, che lo statuto dei funzionari dell’Unione europea e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea hanno lo scopo di «permettere [ai funzionari e agli agenti dell’Unione] di assolvere le loro funzioni in condizioni atte a garantire il miglior andamento dei servizi».

III. Convenzione di Istanbul e sua firma da parte dell’Unione

A.      Analisi della Convenzione di Istanbul

15      La Convenzione di Istanbul, il cui testo definitivo è stato adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, è stata aperta alla firma l’11 maggio 2011 durante la 121a sessione di detto comitato a Istanbul (Turchia). La convenzione, entrata in vigore il 1° agosto 2014, comprende un preambolo, 81 articoli suddivisi in 12 capitoli e un allegato relativo ai privilegi e alle immunità, che si applica ai membri del «Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» (in prosieguo: il «Grevio»), di cui all’articolo 66 della suddetta convenzione.

16      Nel suo preambolo, la Convenzione di Istanbul cita, in particolare, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1249, pag. 13) e il diritto internazionale umanitario, in particolare la Convenzione relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, firmata a Ginevra il 12 agosto 1949 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 75, pag. 287).

17      Il preambolo riconosce che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini, nonché la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

18      Ai sensi del suo articolo 1, contenuto nel suo capitolo I, intitolato «Obiettivi, definizioni, uguaglianza e non discriminazione, obblighi generali», la Convenzione di Istanbul mira, segnatamente, a proteggere le donne da ogni forma di violenza e a prevenire, a perseguire ed a eliminare tale violenza, a contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e a predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza. Questa disposizione enuncia parimenti che questa convenzione istituisce uno specifico meccanismo di controllo.

19      L’articolo 3, lettera c), di detta convenzione dispone che, con il termine «genere», ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini. Il termine «donne» include anche, secondo la lettera f) di detto articolo, le ragazze di meno di 18 anni.

20      Ai sensi degli articoli 5 e 6 della Convenzione di Istanbul, le parti contraenti si impegnano ad agire al fine di prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione di detta convenzione e a inserire una prospettiva di genere nell’applicazione e nella valutazione dell’impatto delle disposizioni della convenzione medesima.

21      Ai sensi degli articoli 7, 8, 10 e 11 della Convenzione di Istanbul, contenuti nel suo capitolo II, intitolato «Politiche integrate e raccolta dei dati», le parti contraenti si impegnano, in particolare, ad attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della convenzione, a stanziare a tal fine risorse finanziarie e umane appropriate, a designare organismi ufficiali responsabili del coordinamento, dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche, a raccogliere a intervalli regolari i dati statistici disaggregati pertinenti su questioni relative a qualsiasi forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della stessa convenzione e a sostenere la ricerca sulle cause profonde delle forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione di quest’ultima e sui loro effetti, la frequenza e le percentuali delle condanne.

22      Il capitolo III della Convenzione di Istanbul, intitolato «Prevenzione», contiene, segnatamente, gli articoli da 12 a 16 di quest’ultima, i quali illustrano gli obblighi delle parti contraenti, miranti a promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, a impedire ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della convenzione, a concentrare le loro misure sui bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e di tutte le vittime, a vigilare affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto «onore» non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza, a mettere in atto, regolarmente e a ogni livello, delle campagne o dei programmi di sensibilizzazione, a includere nei programmi scolastici, nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale e a istituire programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti.

23      Il capitolo IV della Convenzione di Istanbul, intitolato «Protezione e sostegno», negli articoli da 18 a 28 stabilisce che le parti contraenti adottano le necessarie misure per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza, compresi meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, un’informazione adeguata e tempestiva sui servizi di sostegno e le misure legali disponibili, consulenze legali e un sostegno psicologico, un’assistenza finanziaria, servizi sanitari e sociali, informazioni sui meccanismi per le denunce individuali o collettive, rifugi adeguati, facilmente accessibili e in un numero sufficiente, apposite linee telefoniche gratuite di assistenza continua, centri di prima assistenza per le vittime di stupri e di violenze sessuali, consulenze psico-sociali adattate all’età dei bambini testimoni di violenze nonché le misure necessarie per garantire che le norme sulla riservatezza imposte a certe figure professionali non costituiscano un ostacolo alla segnalazione alle autorità competenti di un grave atto di violenza che sia stato commesso o che si possa temere venga commesso.

24      Il capitolo V della Convenzione di Istanbul, intitolato «Diritto sostanziale», contiene, da un lato, gli articoli da 29 a 32 della convenzione, ai sensi dei quali le parti si impegnano a fornire alle vittime adeguati mezzi di ricorso civili nei confronti dell’autore del reato e delle autorità statali che abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o di protezione, al fine di ottenere, a titolo di risarcimento adeguato ed entro un termine ragionevole, un risarcimento dagli autori di qualsiasi reato o da parte dello Stato per gravi pregiudizi all’integrità fisica o alla salute, se la riparazione del danno non è garantita da altre fonti. Queste disposizioni impongono anche che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza e che i matrimoni contratti con la forza possono essere annullati o sciolti senza rappresentare un onere finanziario o amministrativo eccessivo per la vittima.

25      D’altra parte, questo stesso capitolo V comprende gli articoli da 33 a 48 della suddetta convenzione, con i quali le parti contraenti accettano l’obbligo di penalizzare, stabilendo sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, in particolare, la commissione, il tentativo, la complicità e il favoreggiamento alla commissione di atti miranti a compromettere l’integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce, un comportamento minaccioso nei confronti di un’altra persona, che le porti a temere per la propria incolumità, atti di violenza fisica, atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso, l’atto di costringere un adulto o un bambino a contrarre matrimonio, l’escissione, infibulazione o qualsiasi altra mutilazione degli organi genitali di una donna, un aborto su una donna senza il suo preliminare consenso, un intervento chirurgico che miri a interrompere la capacità riproduttiva di una donna senza il suo consenso così come qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, che violi la dignità di una persona, segnatamente quando ciò crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

26      L’articolo 44, paragrafo 4, della Convenzione di Istanbul prevede parimenti che la competenza a perseguire i reati stabiliti conformemente agli articoli da 36 a 39 della medesima convenzione, vale a dire quelli riguardanti la violenza sessuale, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, gli aborti e le sterilizzazioni forzate, non sia subordinata alla presentazione preliminare di una denuncia della vittima o a un’azione preliminare dello Stato in cui il reato è stato commesso. Ai sensi dell’articolo 46 della convenzione, costituiscono circostanze aggravanti, in particolare, la commissione di reati contro l’attuale o ex coniuge o convivente, persone vulnerabili o bambini. L’articolo 48, paragrafo 1, della Convenzione di Istanbul dispone che le parti adottino le misure necessarie per vietare la soluzione alternativa delle controversie in relaziona a tutte le forme di violenza rientranti nel campo di applicazione della convenzione.

27      Il capitolo VI della Convenzione di Istanbul, intitolato «Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive», contiene gli articoli da 49 a 58 di quest’ultima, ai sensi dei quali le parti garantiscono che le autorità incaricate dell’applicazione della legge agiscano in modo tempestivo e appropriato, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime di atti di violenza, in particolare avviando le indagini e i procedimenti penali senza indugio ingiustificato, utilizzando misure operative di prevenzione e valutando il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti.

28      Inoltre, le parti contraenti prevedono che le ordinanze di ingiunzione o di protezione appropriate possano essere concesse senza oneri amministrativi o finanziari eccessivi per la vittima, segnatamente in situazioni di pericolo immediato, ordinando all’autore della violenza domestica di lasciare la residenza della vittima. Le vittime devono essere protette dal rischio di rappresaglie e devono essere informate quando l’autore del reato dovesse evadere o essere rimesso in libertà. Esse devono essere informate dei loro diritti e dei servizi a loro disposizione e godere di un’adeguata assistenza, compresa l’assistenza legale e il gratuito patrocinio, beneficiare della possibilità di essere ascoltate in un modo che permetta che siano evitati i contatti tra le vittime e gli autori, in particolare testimoniando senza essere fisicamente presenti. Ai sensi degli articoli 54 e 56 della Convenzione di Istanbul, è responsabilità delle autorità competenti proteggere la vita privata e l’immagine della vittima, in particolare assicurando che le prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessarie.

29      L’articolo 56, paragrafo 2, di detta convenzione prevede che un bambino vittima e testimone di violenza contro le donne deve usufruire di misure di protezione specifiche, e l’articolo 58 della stessa convenzione dispone che il termine di prescrizione per intentare un’azione penale relativa ai reati di cui agli articoli da 36 a 39 di quest’ultima sia prorogato per un tempo sufficiente e proporzionale alla gravità del reato, per consentire alla vittima minore di vedere perseguito il reato dopo aver raggiunto la maggiore età.

30      Nel capitolo VII della Convenzione di Istanbul, intitolato «Migrazione e asilo», l’articolo 59 prevede, innanzitutto, l’obbligo per le parti contraenti di concedere alle vittime il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno e l’obbligo di adottare le misure necessarie affinché le vittime ottengano la sospensione delle procedure di espulsione collegate a tale status. Quest’articolo prevede poi il rilascio di un titolo di soggiorno rinnovabile quando il soggiorno delle vittime sia necessario in considerazione della loro situazione personale o per la loro collaborazione nell’ambito di un’indagine o di procedimenti penali. Infine, secondo lo stesso articolo, le vittime di un matrimonio forzato condotte in un altro paese al fine di contrarre tale matrimonio e che abbiano perso di conseguenza il loro status di residente devono poter recuperare tale status.

31      Ai sensi dell’articolo 60 della Convenzione di Istanbul, la violenza contro le donne basata sul genere dev’essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’articolo 1, A (2), della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione sussidiaria. Inoltre, secondo quest’articolo 60, le parti contraenti devono assicurare che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi della Convenzione di Istanbul per la concessione dello status di rifugiato e che siano prese misure per sviluppare procedure di accoglienza sensibili al genere e servizi di supporto per i richiedenti asilo, nonché orientamenti basati sul genere e procedure di asilo sensibili alle questioni di genere.

32      Ai sensi dell’articolo 61 della Convenzione di Istanbul, le vittime della violenza contro le donne bisognose di una protezione non possono in nessun caso essere espulse verso un paese dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte al rischio di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti.

33      Il capitolo VIII di questa convenzione, intitolato «Cooperazione internazionale», contiene gli articoli da 62 a 65 di quest’ultima, i quali prevedono che le parti contraenti si impegnino, in particolare, a cooperare in materia civile e penale al fine di prevenire, combattere e perseguire tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della convenzione; proteggere e assistere le vittime; condurre indagini o procedere penalmente per i reati; applicare le sentenze civili e penali, garantire che le vittime di un reato determinato, e commesso sul territorio di una parte contraente diversa da quella in cui risiedono, possano presentare denuncia presso le autorità competenti del loro Stato di residenza e di considerare la Convenzione di Istanbul come la base giuridica per la mutua assistenza in materia penale, di estradizione, di esecuzione delle sentenze civili o penali.

34      Gli articoli 63 e 64 della Convenzione di Istanbul incoraggiano le parti contraenti a trasferire le informazioni che possano aiutare a prevenire i reati o ad avviare o a proseguire le indagini nonché a trasmettere senza indugio informazioni secondo le quali una persona possa essere esposta in modo immediato al rischio di subire atti di violenza, al fine di garantire che siano prese le misure di protezione adeguate, rispettando, nel contempo, la protezione dei dati personali, come previsto dall’articolo 65 di detta convenzione.

35      Nel capitolo IX della Convenzione di Istanbul, intitolato «Meccanismo di controllo», l’articolo 66 della medesima istituisce il Grevio e lo incarica di vigilare sull’attuazione della convenzione. Ai sensi dell’articolo 68 di detta convenzione, le parti contraenti presentano, sulla base di un questionario preparato dal Grevio, un rapporto sulle misure destinate a dare attuazione alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, che dovrà essere esaminato da parte del Grevio, il quale esamina ogni rapporto presentato con i rappresentanti della parte interessata. Esso può anche ricevere informazioni riguardanti detta attuazione da parte delle organizzazioni non governative e della società civile e tiene debitamente conto delle informazioni disponibili in altri strumenti e organizzazioni. Il Grevio può inoltre organizzare visite nei paesi interessati, se necessario con l’assistenza di specialisti. Il Grevio è incaricato di elaborare un rapporto sulla parte contraente oggetto della valutazione, al fine di consentire al Comitato delle Parti, istituito ai sensi dell’articolo 67 di tale convenzione, di adottare raccomandazioni rivolte a tale parte.

36      Nel capitolo X della Convenzione di Istanbul, intitolato «Relazione con altri strumenti internazionali», l’articolo 71 stabilisce che la convenzione non pregiudica gli obblighi derivanti dalle disposizioni di altri atti internazionali e che le parti contraenti possono concludere accordi al fine di integrarne o rafforzarne le disposizioni o di facilitare l’applicazione dei principi in essa sanciti.

37      Il capitolo XII di detta convenzione, intitolato «Clausole finali», contiene gli articoli da 73 a 81 di quest’ultima. Ai sensi dell’articolo 73 della Convenzione di Istanbul, le disposizioni di detta convenzione non pregiudicano le disposizioni in base alle quali sono o sarebbero riconosciuti dei diritti più favorevoli.

38      Ai sensi dell’articolo 75 di detta convenzione, quest’ultima è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e dell’Unione ed è soggetta a ratifica.

39      Secondo l’articolo 77 della medesima convenzione, ogni Stato o l’Unione, al momento della firma o del deposito del proprio atto di ratifica, potrà indicare il territorio o i territori cui si applicherà la Convenzione di Istanbul, e ogni parte contraente, in qualsiasi momento successivo e mediante dichiarazione, potrà estenderne l’applicazione a ogni altro territorio in nome del quale sia autorizzata ad assumere impegni, oppure ritirare siffatte dichiarazioni.

40      L’articolo 78 di detta convenzione stabilisce che non è ammessa nessuna riserva alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, salvo la facoltà, per ogni Stato o per l’Unione, di precisare che ci si riserva il diritto di disapplicare, o di applicare solo in particolari casi o circostanze, le disposizioni enunciate nei seguenti articoli: articolo 30, paragrafo 2; articolo 44, paragrafo 1, lettera e), paragrafi 3 e 4; articolo 55, paragrafo 1, esaminato insieme all’articolo 35 per quanto riguarda i reati minori; articolo 58, esaminato insieme agli articoli 37, 38 e 39, e articolo 59 della Convenzione di Istanbul, nonché il diritto di prevedere sanzioni non penali, invece di imporre sanzioni penali, per i comportamenti di cui agli articoli 33 e 34 di detta convenzione.

B.      Proposte di decisioni sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

41      Il 4 marzo 2016, la Commissione europea ha presentato al Consiglio sia la sua proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica [COM(2016) 111 final; in prosieguo: la «proposta di decisione sulla firma»], sia la sua proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione da parte dell’Unione europea della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica [COM(2016) 109 final; in prosieguo: la «proposta di decisione sulla conclusione»]. Quest’ultima proposta, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello della proposta di decisione sulla firma, è del seguente tenore:

«2.1      Competenza dell’UE a concludere la Convenzione [di Istanbul]

Se da un lato gli Stati membri restano competenti per parti sostanziali della Convenzione [di Istanbul], e in particolare per la maggior parte delle disposizioni sul diritto penale sostanziale e altre disposizioni del capitolo V [di tale convenzione] nella misura in cui sono accessorie, dall’altro lato l’UE è competente per gran parte delle disposizioni della Convenzione [di Istanbul], e per questo deve ratificare [tale] convenzione insieme agli Stati membri.

(...)

Nella misura in cui la [C]onvenzione [di Istanbul] possa incidere o modificare l’ambito di applicazione di tali norme comuni, l’Unione ha competenza esclusiva a norma dell’articolo 3, paragrafo 2, (…) TFUE. Questo è il caso, ad esempio, per le questioni relative allo status di residente dei cittadini di paesi terzi o apolidi, inclusi i beneficiari di protezione internazionale, nella misura in cui siano contemplati dalla legislazione dell’Unione, e per quelle relative all’esame delle domande di protezione internazionale, nonché in riferimento ai diritti delle vittime di reato. Anche se molte delle disposizioni esistenti [menzionate nei paragrafi precedenti] sono norme minime, non si può escludere che, alla luce della recente giurisprudenza, vi sia un’incidenza su alcune di esse o che ne sia alterata la portata.

2.2      Base giuridica della proposta di decisione del Consiglio

(...)

Le basi giuridiche a norma del trattato [FUE] rilevanti nel caso di specie sono: articolo 16 (protezione dei dati), articolo 19, paragrafo 1 (discriminazione fondata sul sesso), articolo 23 (tutela consolare per i cittadini di un altro Stato membro), articoli 18, 21, 46, 50 (libera circolazione dei cittadini, libera circolazione dei lavoratori e libertà di stabilimento), articolo 78 (asilo e protezione sussidiaria e temporanea), articolo 79 (immigrazione), articolo 81 (cooperazione giudiziaria in materia civile), articolo 82 (cooperazione giudiziaria in materia penale), articolo 83 (definizione a livello UE dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale), articolo 84 (misure, che non perseguono armonizzazione, per la prevenzione della criminalità) e articolo 157 (parità di trattamento tra uomini e donne nei settori in materia di occupazione e impiego).

Nel complesso, nonostante la Convenzione [di Istanbul] abbia più componenti, la finalità principale consiste nella prevenzione di atti di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, e nella protezione delle vittime di tali reati. Pertanto sembra opportuno basare la decisione sulle competenze dell’Unione di cui al titolo V del trattato [FUE], in particolare all’articolo 82, paragrafo 2, e all’articolo 84. Le disposizioni della Convenzione [di Istanbul] relative ad altre questioni sono accessorie o, per esempio in materia di protezione dei dati, incidentali alle misure su cui si concentra la convenzione. Di conseguenza, affinché l’UE possa esercitare le proprie competenze nell’intero ambito della convenzione, ed escluse le questioni su cui non ha alcuna competenza, le principali basi giuridiche sono l’articolo 82, paragrafo 2, e l’articolo 84 TFUE».

C.      Decisione sulla firma 2017/865

42      Il primo visto della decisione (UE) 2017/865 del Consiglio, dell’11 maggio 2017, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale (GU 2017, L 131, pag. 11; in prosieguo: la «decisione sulla firma 2017/865»), è del seguente tenore:

«Visto il trattato [FUE], in particolare l’articolo 82, paragrafo 2, e l’articolo 83, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5».

43      I considerando da 1 a 11 di questa decisione così recitano:

«(1)      L’Unione (…) ha partecipato insieme agli Stati membri in qualità di osservatore ai negoziati per la [Convenzione di Istanbul] (...).

(2)      In conformità dell’articolo 75 della Convenzione [di Istanbul], la convenzione è aperta alla firma dell’Unione.

(3)      La convenzione [di Istanbul] istituisce un quadro giuridico completo e multiforme per tutelare le donne contro tutte le forme di violenza. Essa mira a prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e le ragazze e la violenza domestica. La convenzione contempla una vasta gamma di misure, dalla raccolta dei dati e la sensibilizzazione alle misure legali per qualificare come reati diverse forme di violenza contro le donne. Essa comprende misure per la protezione delle vittime e la messa a disposizione di servizi di sostegno, e affronta la dimensione della violenza di genere in materia di asilo e migrazione. La convenzione istituisce uno specifico meccanismo di controllo per garantire l’attuazione efficace delle sue disposizioni a opera delle parti.

(4)      La firma della convenzione [di Istanbul] a nome dell’Unione contribuirà alla realizzazione della parità tra uomini e donne in tutti gli ambiti, quale valore e obiettivo fondamentale dell’Unione che quest’ultima deve perseguire in tutte le sue attività, ai sensi degli articoli 2 e 3 [TUE], dell’articolo 8 [TFUE] e dell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La violenza contro le donne è una violazione dei loro diritti umani e una forma estrema di discriminazione, radicata nella disparità fra i generi e che contribuisce a mantenerla e rafforzarla. Impegnandosi ad attuare la convenzione [di Istanbul], l’Unione conferma il proprio impegno a combattere la violenza contro le donne nel proprio territorio e a livello globale, e rafforza l’attuale azione politica e il quadro giuridico sostanziale esistente nel settore del diritto di procedura penale che è di particolare importanza per le donne e le ragazze.

(5)      Sia l’Unione che i suoi Stati membri hanno competenze nei settori contemplati dalla Convenzione [di Istanbul].

(6)      È opportuno firmare la Convenzione [di Istanbul] a nome dell’Unione per quanto riguarda le materie ricadenti nella competenza dell’Unione nella misura in cui [detta] convenzione può incidere su norme comuni o modificarne la portata. Ciò riguarda, in particolare, determinate disposizioni della [citata] convenzione relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale e le disposizioni della [medesima] convenzione relative all’asilo e al non respingimento. Gli Stati membri mantengono le rispettive competenze nella misura in cui la Convenzione [di Istanbul] non incide sulle norme comuni o ne modifica la portata.

(7)      L’Unione ha altresì competenza esclusiva per accettare gli obblighi stabiliti da [questa] convenzione per quanto riguarda le proprie istituzioni e l’amministrazione pubblica.

(8)      Poiché la competenza dell’Unione e le competenze degli Stati membri sono interconnesse, l’Unione dovrebbe aderire a [detta] convenzione unitamente ai suoi Stati membri, così da poter adempiere insieme agli obblighi stabiliti dalla Convenzione [di Istanbul] ed esercitare in maniera coerente i diritti loro conferiti.

(9)      La presente decisione riguarda le disposizioni di [questa] convenzione sulla cooperazione giudiziaria in materia penale nella misura in cui tali disposizioni incidono sulle norme comuni o ne modificano la portata. Non riguarda gli articoli 60 e 61 della [suddetta] convenzione, i quali sono oggetto di una distinta decisione del Consiglio relativa alla firma, che sarà adottata in parallelo alla presente decisione.

(10)      L’Irlanda e il Regno Unito sono vincolati dalle direttive 2011/36(…) e 2011/93(…) del Parlamento europeo e del Consiglio e partecipano quindi all’adozione della presente decisione.

(11)      A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, allegato al [trattato UE] e al [trattato FUE], [il Regno di] Danimarca non partecipa all’adozione della presente decisione, non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione».

44      L’articolo 1 di detta decisione prevede quanto segue:

«È autorizzata, a nome dell’Unione (...), la firma della [Convenzione di Istanbul] per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale, con riserva della conclusione di tale convenzione».

D.      Decisione sulla firma 2017/866

45      Il primo visto della decisione (UE) 2017/866 del Consiglio, dell’11 maggio 2017, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda l’asilo e il non-respingimento (GU 2017, L 131, pag. 13; in prosieguo: la «decisione sulla firma 2017/866»), è del seguente tenore:

«Visto il trattato [FUE], in particolare l’articolo 78, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5».

46      I considerando da 1 a 8 e 11 di tale decisione sono identici agli stessi considerando della decisione sulla firma 2017/865. Per quanto riguarda i considerando 9 e 10 della decisione sulla firma 2017/866, essi affermano che:

«(9)      La presente decisione riguarda unicamente gli articoli 60 e 61 della convenzione [di Istanbul]. Non riguarda le disposizioni [di detta] convenzione sulla cooperazione giudiziaria in materia penale, le quali sono oggetto di una distinta decisione del Consiglio relativa alla firma da adottarsi in parallelo alla presente decisione.

(10)      A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo [n. 21] sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al [trattato UE] e al [trattato FUE], e fatto salvo l’articolo 4 del suddetto protocollo, detti Stati membri non partecipano all’adozione della presente decisione, non sono da essa vincolati, né sono soggetti alla sua applicazione».

47      L’articolo 1 della decisione sulla firma 2017/866 prevede quanto segue:

«È autorizzata, a nome dell’Unione (...), la firma della convenzione [di Istanbul] per quanto riguarda l’asilo e il non-respingimento, con riserva della conclusione di tale convenzione».

IV.    Valutazioni formulate dal Parlamento nella sua domanda di parere

A.      Fatti e procedimento

48      Il Parlamento rileva che la Commissione ha adottato, il 4 marzo 2016, sia la proposta di decisione sulla firma, avente come base giuridica procedurale l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE e come base giuridica sostanziale l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 84 TFUE, sia la proposta di decisione sulla conclusione, avente come base giuridica procedurale l’articolo 218, paragrafo 6, TFUE e la stessa base giuridica sostanziale della proposta di decisione sulla firma.

49      Per autorizzare la firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione, il Consiglio avrebbe sostituito queste basi giuridiche sostanziali con l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE.

50      Inoltre, esso avrebbe adottato, l’11 maggio 2017, due distinte decisioni ai fini di tale autorizzazione, ossia, da un lato, la decisione sulla firma 2017/865, basata sull’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e sull’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, e, dall’altro, la decisione sulla firma 2017/866, basata sull’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

51      Sebbene la Convenzione di Istanbul sia stata firmata a nome dell’Unione il 13 giugno 2017, il Consiglio non avrebbe ancora adottato nessuna decisione relativa alla conclusione di tale convenzione da parte dell’Unione posto che, secondo il Parlamento, il Consiglio sembra subordinare l’adozione di una tale decisione alla previa esistenza di un «comune accordo» di tutti gli Stati membri.

B.      Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

52      Tenuto conto degli obiettivi della Convenzione di Istanbul, relativi alla protezione delle donne vittime di violenza e alla prevenzione di tali violenze, enunciati nei suoi articoli 1, 5 e 7 e specificati nei suoi capitoli III e IV, il Parlamento ritiene che la Commissione potesse legittimamente considerarli come le due componenti predominanti di tale convenzione.

53      Il Parlamento si interroga quindi, in primo luogo, sulle ragioni dell’abbandono da parte del Consiglio della base giuridica di cui all’articolo 84 TFUE per adottare le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 e sull’aggiunta delle basi giuridiche di cui all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE per fondare, rispettivamente, la decisione sulla firma 2017/866 e la decisione sulla firma 2017/865.

54      Per quanto riguarda l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, il Parlamento osserva che questa base giuridica si riferisce solo alla materia dell’asilo, coperto dai soli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul, e si chiede quindi se sia possibile considerare questi ultimi articoli come una componente autonoma e predominante di tale convenzione, o se tali articoli non siano piuttosto l’espressione, nel settore specifico dell’asilo, dell’intento generale di proteggere tutte le donne vittime di atti di violenza, cosicché si tratterebbe di disposizioni accessorie che non giustificherebbero il ricorso all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE come componente della base giuridica sostanziale di dette decisioni sulla firma.

55      Per quanto riguarda l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, il Parlamento osserva che questa disposizione limita la competenza dell’Unione ad alcuni settori della criminalità, che non includerebbero la violenza contro le donne. Tale violenza rientrerebbe quindi nella competenza dell’Unione solo nel contesto della tratta degli esseri umani, dello sfruttamento sessuale delle donne e dei minori o del crimine organizzato.

56      Pertanto, poiché gli Stati membri avrebbero mantenuto la loro competenza per la parte essenziale del diritto penale sostanziale di cui tratta la Convenzione di Istanbul e gli elementi di tale convenzione relativi a tale diritto di competenza dell’Unione apparirebbero quindi secondari, essi non richiederebbero l’aggiunta dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE per fondare le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866.

C.      Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

57      Il Parlamento rileva che la circostanza secondo cui l’Irlanda potrebbe avvalersi delle disposizioni del protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al trattato UE e al trattato FUE (in prosieguo: il «protocollo n. 21»), in relazione agli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul, non potrebbe di per sé giustificare un ricorso all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE quale base giuridica dell’atto sulla firma di tale convenzione. Pertanto, qualora non si potesse ritenere che detti articoli 60 e 61 costituiscano una componente autonoma e predominante di tale convenzione, il ricorso all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE sarebbe inutile e la scissione in due distinte decisioni dell’atto sulla firma di tale convenzione sarebbe ingiustificata.

58      Inoltre il Parlamento ricorda che gli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul sarebbero comunque coperti in larga parte dalle norme comuni alle quali l’Irlanda sarebbe soggetta, dato che le direttive 2004/83 e 2005/85 sarebbero state abrogate solo nei confronti degli Stati membri vincolati dalle direttive 2011/95 e 2013/32. Pertanto, anche ipotizzando che l’aggiunta della base giuridica ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE fosse giustificata, si porrebbe la questione della necessità di scindere l’atto sulla firma di detta convenzione in due distinte decisioni.

D.      Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

59      Il Parlamento sottolinea che il carattere di accordo «misto» della Convenzione di Istanbul, il cui oggetto rientrerebbe in parte nella competenza dell’Unione e in parte in quella riservata agli Stati membri, sarebbe pacifico. Tuttavia, l’articolo 218, paragrafo 6, TFUE prevederebbe, per la conclusione di un accordo internazionale a nome dell’Unione, il ricorso a una decisione del Consiglio adottata a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento. Il Parlamento s’interroga quindi sull’iniziativa del Consiglio consistente nell’assicurarsi, prima di concludere la Convenzione di Istanbul, che tutti gli Stati membri acconsentano a essere vincolati da essa.

60      Il Parlamento riconosce al riguardo che occorre garantire una stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione nel processo di negoziazione, conclusione ed esecuzione degli impegni assunti, ma ritiene che l’attesa di un «comune accordo» di tutti gli Stati membri per la conclusione di detta convenzione ecceda tale cooperazione ed equivalga ad applicare, in pratica, la regola dell’unanimità in seno al Consiglio nonostante la norma che impone soltanto la maggioranza qualificata applicabile in forza del trattato FUE.

61      Il Parlamento ritiene inoltre che la situazione attuale sia diversa da quella in cui il Consiglio aveva fuso in un atto «ibrido» le decisioni dell’Unione e degli Stati membri dato che, in questo caso, l’attesa del «comune accordo» degli Stati membri impedirebbe l’adozione di qualsiasi decisione. Il Parlamento sottolinea nondimeno che la prassi del «comune accordo» sembra una prassi generale del Consiglio e non un requisito applicato solo nel caso di specie.

V.      Sintesi delle osservazioni presentate alla Corte

62      Nell’ambito del presente procedimento, hanno presentato osservazioni alla Corte la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Polonia, la Repubblica slovacca, la Repubblica di Finlandia, il Consiglio e la Commissione.

A.      Fatti e procedimento

1.      Sulla firma e sulla ratifica della Convenzione di Istanbul da parte degli Stati membri

63      Secondo la Repubblica di Bulgaria e il Consiglio, dal momento dell’apertura alla firma della Convenzione di Istanbul, 21 Stati membri dell’Unione, ad eccezione della Repubblica di Bulgaria, della Repubblica ceca, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, dell’Ungheria e della Repubblica slovacca, avrebbero ratificato la convenzione, senza tener conto di un’eventuale interferenza di tali ratifiche con la competenza esclusiva dell’Unione.

64      Peraltro, secondo il Consiglio, diversi Stati membri avrebbero espresso riserve e formulato dichiarazioni al momento della firma o della ratifica della Convenzione di Istanbul, in particolare per quanto riguarda la compatibilità di alcune disposizioni della convenzione con le loro costituzioni nazionali. Inoltre, alcune parti contraenti, tra cui quattro Stati membri dell’Unione, avrebbero avanzato obiezioni riguardo a queste riserve e a queste dichiarazioni invocando il diritto internazionale pubblico.

65      Il Consiglio sottolinea inoltre che sarebbe notoria la circostanza che alcuni elementi e definizioni contenuti nella Convenzione di Istanbul sarebbero fonte di controversie in alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa, poiché sarebbe dubbia la compatibilità degli obblighi stabiliti nella convenzione di cui trattasi con le tradizioni, le leggi e le costituzioni nazionali. Difatti, alcune delegazioni nazionali presenti in seno al gruppo «Diritti fondamentali, diritti dei cittadini e libera circolazione delle persone» (in prosieguo: il «FREMP»), che è un gruppo di lavoro del Consiglio incaricato, in particolare, di esaminare le proposte relative all’adesione alla Convenzione di Istanbul, avrebbero comunicato di aver incontrato serie difficoltà nel ratificare detta convenzione. Ciò premesso, nessuno di questi Stati membri avrebbe informato ufficialmente il Consiglio di tali difficoltà né del carattere irreversibile delle difficoltà incontrate.

2.      Sulla procedura di firma della Convenzione di Istanbul in seno al Consiglio

66      La Commissione osserva che la proposta di decisione sulla firma, che ha come base giuridica sostanziale l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 84 TFUE, prevedeva la firma della Convenzione di Istanbul mediante un’unica decisione e prendeva atto dell’esistenza delle rispettive competenze dell’Unione, esclusive o concorrenti, e degli Stati membri. Tuttavia, il Consiglio non avrebbe seguito l’impostazione della Commissione indicata in detta proposta.

67      Il Consiglio nota che il dibattito all’interno del FREMP sulla proposta di decisione sulla firma sarebbe stato difficile sotto diversi aspetti. In primo luogo, il FREMP avrebbe contestato, in base al principio di attribuzione, l’affermazione della Commissione, contenuta nella proposta, secondo la quale «l’UE è competente per gran parte delle disposizioni della Convenzione [di Istanbul]», in considerazione delle competenze attribuite all’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, e avrebbe chiesto che venisse effettuata, in seno al Consiglio, un’analisi rigorosa delle competenze esclusive dell’Unione ai fini della conclusione della Convenzione di Istanbul. Come risultato di questa analisi, il FREMP avrebbe concluso che la competenza esclusiva dell’Unione sarebbe stata limitata ad alcune questioni relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale, all’asilo e al non-respingimento.

68      In secondo luogo, mentre la Commissione e il Parlamento si sarebbero espressi a favore di un’adesione «ampia» dell’Unione alla Convenzione di Istanbul, rendendo l’Unione parte di tale convenzione in relazione a tutto l’insieme delle sue competenze, esclusive o concorrenti, esercitate o potenziali, molte delegazioni nazionali presenti in seno al FREMP avrebbero ritenuto che una tale adesione potrebbe comportare complicazioni per gli Stati membri che hanno già ratificato tale convenzione. Non essendosi formato un sostegno sufficiente per un’adesione «ampia», sarebbe stato chiaro che solo una firma limitata alla competenza esclusiva dell’Unione avrebbe potuto ottenere una maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Orbene, la scelta tra un’adesione «limitata» e un’adesione «ampia» alla suddetta convenzione sarebbe una scelta politica spettante al Consiglio.

69      In terzo luogo, il Consiglio ha ritenuto che la decisione di firmare la Convenzione di Istanbul dovesse avere come base giuridica sostanziale gli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE. Inoltre, il Consiglio ha ritenuto giuridicamente necessario dividere la decisione sulla firma in due distinte decisioni. In effetti, in virtù dell’applicazione del protocollo n. 21, il calcolo delle maggioranze di voto in seno al Consiglio in materia di asilo e di non‑respingimento sarebbe stato diverso da quello applicato in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale. L’Irlanda condivide la posizione del Consiglio.

3.      Sulla procedura di conclusione della Convenzione di Istanbul in seno al Consiglio

70      La Commissione osserva che la proposta di decisione sulla conclusione, che ha come base giuridica sostanziale gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE, sarebbe in discussione in seno al Consiglio sin dal 26 aprile 2016. La conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul sarebbe quindi bloccata da diversi anni, senza che il Consiglio abbia avviato le procedure previste dai trattati per permettere all’Unione di impegnarsi a livello internazionale. Questa situazione sarebbe la conseguenza della prassi del «comune accordo» degli Stati membri, in osservanza della quale il processo decisionale di cui all’articolo 17, paragrafo 2, TUE e all’articolo 218, paragrafo 6, TFUE rimarrebbe «bloccato» finché non si raggiunge il consenso tra gli Stati membri.

71      Questa prassi si applicherebbe agli accordi il cui carattere misto è considerato necessario alla luce delle competenze riservate agli Stati membri, ma anche agli accordi conclusi a titolo di competenze concorrenti. Il Consiglio si troverebbe, nel caso di specie, nell’impossibilità di constatare questo «comune accordo» poiché almeno uno degli Stati membri avrebbe espresso il suo disaccordo a causa di un potenziale conflitto tra la Convenzione di Istanbul e il proprio diritto costituzionale.

72      Benché l’articolo 218 TFUE preveda una procedura unificata e di portata generale per la negoziazione, la firma e la conclusione degli accordi internazionali dell’Unione, le strategie delle istituzioni sarebbero invece divergenti per quanto riguarda gli accordi misti, il che provocherebbe blocchi che comprometterebbero la capacità dell’Unione di agire a livello internazionale. Sarebbe a causa di questa situazione di stallo che il Parlamento avrebbe introdotto la presente domanda di parere.

73      Il Consiglio ricorda che, in seguito all’adozione delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, il FREMP avrebbe avviato diversi lavori relativi all’adesione dell’Unione alla Convenzione di Istanbul, tra cui l’elaborazione di un codice di condotta tra l’Unione e gli Stati membri per affrontare questioni quali l’elaborazione di posizioni, il coordinamento e la redazione di rapporti nel quadro dei meccanismi di controllo di tale convenzione. Ampie discussioni sarebbero state parimenti promosse in merito alla conclusione di detta convenzione da parte dell’Unione, che sarebbero state interrotte dalla presente domanda di parere.

B.      Sulla ricevibilità della domanda di parere

1.      Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

74      Secondo il Consiglio, il Parlamento e la Commissione avrebbero temporeggiato nell’impugnare, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866. L’Irlanda e il Consiglio sostengono al riguardo che contestare tali decisioni, nell’ambito della presente domanda di parere, più di due anni dopo la loro adozione metterebbe in dubbio la compatibilità di un tal modo di procedere con la ratio legis dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, il quale mirerebbe a informare immediatamente il Parlamento in ogni fase della procedura al fine, segnatamente, di metterlo in grado di verificare se la scelta della base giuridica sia stata effettuata nel rispetto delle sue competenze e di permettergli di reagire immediatamente in caso di problemi. Pertanto, con la presente domanda di parere, il Parlamento pregiudicherebbe detta ratio legis, eluderebbe i termini fissati per la presentazione di un ricorso di annullamento, come è opinione anche dell’Ungheria, e potrebbe compromettere il principio di leale cooperazione e lo status internazionale dell’Unione.

75      La Repubblica di Finlandia ritiene che la Corte sia competente ad esaminare, nell’ambito della presente procedura di parere, la base giuridica appropriata per l’adozione dell’atto del Consiglio relativo alla conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, poiché una base giuridica errata potrebbe portare all’invalidazione della decisione sulla conclusione.

76      La Repubblica di Polonia reputa che il Parlamento cerchi di rimettere in discussione la decisione del Consiglio sull’adesione dell’Unione alla Convenzione di Istanbul unicamente sulla base delle sue competenze esclusive, al fine di ritornare ad un’adesione su vasta scala. Ebbene, una richiesta siffatta non potrebbe essere oggetto della procedura di parere, poiché questa scelta sarebbe di natura politica e riservata al Consiglio. L’Ungheria concorda con questa analisi e aggiunge che, così come formulata, la prima questione non permetterebbe di determinare le competenze esclusive dell’Unione.

77      Secondo l’Ungheria, la domanda di parere non riguarderebbe la compatibilità della Convenzione di Istanbul con i trattati e riguarderebbe solo indirettamente e marginalmente la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Essa riguarderebbe quindi, al massimo, la delimitazione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Ebbene, anche ipotizzando che fosse possibile determinare la portata delle competenze dell’Unione, ciò non giustificherebbe l’emissione di un parere, poiché quest’ultimo non contribuirebbe a evitare che gli Stati membri o l’Unione assumano obblighi internazionali incompatibili con la ripartizione delle competenze tra di loro, posto che tali Stati e l’Unione dovrebbero assolvere, in ogni caso, detti obblighi solidalmente. Alla luce delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 e del fatto che la Convenzione di Istanbul è già stata firmata da tutti gli Stati membri e ratificata dalla maggioranza di essi, sarebbe difficile sostenere che la domanda di parere sia tale da evitare future complicazioni giuridiche relative alla ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.

78      Inoltre, se la prima questione dovesse riguardare una decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul, l’Ungheria ritiene tale questione ipotetica e prematura, poiché il Consiglio non avrebbe ancora deciso il suo contenuto e non avrebbe raggiunto la fase in cui esso dovrà chiedere l’accordo del Parlamento, il quale potrebbe formulare le sue eventuali obiezioni in tal sede.

2.      Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

79      L’Ungheria si oppone anche alla ricevibilità della prima questione sollevata dal Parlamento nella sua domanda di parere, per la parte in cui essa riguarda la scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul, per motivi simili a quelli esposti nei punti, rispettivamente, 74 e 78 del presente parere. Lo stesso vale per il Consiglio, il quale sottolinea in particolare che sarebbe prematuro in questa fase chiedere interrogarsi sulle modalità con le quali esso potrebbe considerare, in futuro, la conclusione della Convenzione di Istanbul a nome dell’Unione.

80      La Repubblica di Finlandia ritiene invece che la Corte sia competente a valutare se, alla luce del protocollo n. 21, sia necessario o possibile dividere in due distinte decisioni gli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul in funzione della base giuridica adeguata. In effetti, una siffatta scissione potrebbe rimettere in discussione non solo le regole sul voto in seno al Consiglio, ma anche gli effetti giuridici della decisione recante approvazione della Convenzione di Istanbul per quanto riguarda, in particolare, l’Irlanda.

3.      Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

81      La Repubblica ellenica fa valere, al fine di censurare la ricevibilità della seconda questione posta dal Parlamento nella sua domanda di parere, che detta istituzione non abbia chiarito sufficientemente in che modo il comportamento del Consiglio sia pregiudizievole.

82      La Repubblica di Bulgaria e l’Ungheria si oppongono parimenti a tale ricevibilità e rilevano a questo titolo che la citata seconda questione non riguarderebbe né la compatibilità della Convenzione di Istanbul con i trattati, né la competenza dell’Unione o di una delle sue istituzioni a concludere tale convenzione, né la base giuridica delle decisioni del Consiglio, bensì il regolamento interno del Consiglio, allegato alla decisione del Consiglio, del 1º dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU 2009, L 325, pag. 35). Inoltre, la Repubblica di Bulgaria ritiene che la prassi del «comune accordo» non modificherebbe le competenze dell’Unione o delle sue istituzioni né la procedura prevista dall’articolo 218, paragrafo 8, TFUE.

83      L’Ungheria aggiunge che, finché il Consiglio non abbia deciso in merito alla conclusione di detta convenzione, qualsiasi complicazione di diritto internazionale sarebbe esclusa a priori, per cui la domanda di parere sarebbe priva di utilità. Il Consiglio sostiene parimenti che la seconda questione sarebbe puramente ipotetica in quanto si baserebbe su supposizioni riguardanti le modalità di azione del Consiglio. Nello stesso senso, l’Irlanda, la Repubblica ellenica e il Regno di Spagna precisano che il Consiglio non avrebbe preso nessuna iniziativa per esigere il «comune accordo» degli Stati membri prima di adottare la sua decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul.

84      Pur essendo consapevoli che il procedimento di parere permette di determinare se la conclusione di un accordo rientri o meno tra le competenze dell’Unione, il Regno di Spagna, l’Ungheria e il Consiglio sottolineano, in primo luogo, che il processo decisionale in seno al Consiglio sarebbe ancora in fase preparatoria presso il FREMP. Inoltre, secondo l’Ungheria e il Consiglio, l’adesione alla Convenzione di Istanbul richiederebbe un controllo preventivo in vista della revisione e dell’integrazione dei regolamenti interni delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, ivi compreso lo statuto dei funzionari dell’Unione europea. Ebbene, tali misure non sarebbero ancora state proposte. Solo alla fine del corso normale della procedura la conclusione di quest’accordo sarebbe sottoposta al Consiglio ai fini di una decisione, conformemente all’articolo 218, paragrafo 6, TFUE. L’Ungheria aggiunge che il Consiglio non sarebbe vincolato da nessun termine per l’adozione di decisioni sulla conclusione di accordi internazionali e che il motivo per cui il Consiglio non adotta una tale decisione sarebbe irrilevante.

85      In secondo luogo, il Consiglio ritiene che il Parlamento avrebbe dovuto chiedere se la conclusione di tale convenzione da parte dell’Unione sia compatibile con il diritto internazionale e con i diritti sovrani degli Stati membri in assenza di un «comune accordo» di tutti gli Stati membri. Ebbene, se il Consiglio doveva garantire che la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione non susciti problemi sotto il profilo del diritto internazionale, una tale questione non potrebbe essere oggetto di una domanda di parere. Il Regno di Spagna ritiene che la seconda questione posta dal Parlamento nella sua domanda di parere dovrebbe mirare ad accertare se sia conforme al principio di attribuzione e all’articolo 218, paragrafo 6, TFUE il fatto di subordinare l’adozione della decisione sulla conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul al «comune accordo» degli Stati membri a essere vincolati da essa per quanto riguarda le loro competenze nazionali.

86      In ogni caso, secondo il Consiglio la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione avverrebbe mediante una decisione del Consiglio adottata conformemente all’articolo 218, paragrafo 6, TFUE, senza che sia necessaria un’ulteriore votazione. Inoltre, tale decisione non potrebbe essere considerata viziata dal fatto che gli Stati membri abbiano precedentemente espresso il loro consenso ad essere vincolati da detta convenzione per quanto riguarda le loro competenze nazionali. Del resto, una siffatta manifestazione di consenso non potrebbe essere considerata una complicazione che il procedimento di parere abbia lo scopo di prevenire.

87      Nel caso in cui il Parlamento ritenesse che il Consiglio debba agire prima che gli Stati membri esprimano la loro volontà di essere vincolati dall’accordo in questione, il Regno di Spagna, l’Ungheria, la Repubblica slovacca e il Consiglio ritengono che il Parlamento avrebbe potuto presentare un ricorso per carenza ai sensi dell’articolo 265 TFUE. Il procedimento di parere avrebbe uno scopo diverso e non potrebbe essere usato per costringere il Consiglio ad agire.

88      In terzo luogo, l’adozione da parte dell’Unione della decisione sulla conclusione della Convenzione di Istanbul dovrebbe essere distinta dal deposito dell’atto di adesione. Poiché nessuno di questi due atti sarebbe stato adottato dal Consiglio in questa fase e la procedura sarebbe ancora in corso, la domanda di parere si baserebbe su presupposti errati e sarebbe prematura e ipotetica. Anche ammettendo che la Convenzione di Istanbul sia un «accordo previsto» ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, il Consiglio si oppone a che le sue procedure o il suo calendario interni possano essere oggetto di un procedimento di parere ai sensi di tale disposizione. Questa posizione è condivisa dall’Ungheria.

89      Viceversa, la Repubblica di Finlandia è del parere che la prassi del «comune accordo» possa essere oggetto del presente procedimento di parere, poiché la conclusione di detta convenzione senza un «comune accordo» tra gli Stati membri potrebbe essere invalidata qualora un tale accordo fosse richiesto dai trattati. Inoltre, nell’ambito di questo procedimento si potrebbe valutare non solo se l’Unione sia competente a concludere un accordo internazionale specifico, ma anche se l’Unione agisca conformemente ai trattati.

C.      Nel merito della domanda di parere

1.      Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

a)      Su unadesione «ampia» o «limitata» dellUnione alla Convenzione di Istanbul

90      L’Irlanda e la Repubblica di Finlandia notano che l’analisi presentata dal Parlamento sulle basi giuridiche appropriate per le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 sembra far riferimento alla Convenzione di Istanbul nella sua totalità. Tuttavia, queste decisioni riguarderebbero solo le materie di questa convenzione che, secondo l’analisi del Consiglio, sono di competenza esclusiva dell’Unione. Sarebbe infatti possibile per il Consiglio limitare l’adesione dell’Unione solo a queste materie.

91      Pertanto, la Repubblica di Finlandia è del parere che le basi giuridiche appropriate per l’adozione delle decisioni sulla firma della Convenzione di Istanbul debbano essere determinate alla luce delle disposizioni di tale convenzione che rientrano nella competenza esclusiva dell’Unione, aggiungendo nel contempo che non si potrebbe escludere che il Consiglio possa comunque decidere di esercitare anche competenze concorrenti.

92      Ebbene, poiché la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione, ivi compreso quello adottato in vista della conclusione di un accordo internazionale, deve basarsi, in particolare, sullo scopo e sul contenuto di tale atto, sarebbe del tutto appropriato, secondo l’Irlanda, designare le basi giuridiche delle decisioni sulla firma di tale atto esclusivamente alla luce del contenuto di dette decisioni e non facendo riferimento all’accordo internazionale di cui trattasi nel suo insieme, in questo caso la Convenzione di Istanbul.

93      La Repubblica di Polonia sottolinea anche che la portata dell’adesione determina lo scopo e il contenuto delle decisioni sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul. La scelta della base giuridica di queste decisioni sarebbe quindi il risultato di una decisione politica del Consiglio, che il Parlamento cercherebbe di rimettere in discussione.

b)      Sui criteri di identificazione delle competenze dellUnione

94      Secondo la Commissione, l’accertamento di una competenza esterna esclusiva dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE dovrebbe basarsi su un’analisi concreta del rapporto tra l’accordo internazionale previsto e il diritto dell’Unione vigente. Tale analisi dovrebbe tenere conto delle materie disciplinate, delle loro prevedibili prospettive di evoluzione futura e della natura e contenuto di tali norme e disposizioni, al fine di accertare se tale accordo possa pregiudicare l’applicazione uniforme e coerente delle norme dell’Unione. Un tale rischio esisterebbe quando una materia è ampiamente disciplinata da norme dell’Unione e da disposizioni del trattato FUE, quali l’articolo 82, paragrafo 2, lettera d), e l’articolo 83, paragrafo 1, in fine, che offrirebbero siffatte prospettive in quanto prevederebbero la possibilità di estendere le competenze dell’Unione.

95      Secondo il Consiglio, una competenza esclusiva riconosciuta all’Unione per la conclusione della Convenzione di Istanbul potrebbe basarsi solo sulla terza ipotesi prevista dall’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, ossia quando tale conclusione può incidere su norme comuni o modificarne la portata. Tuttavia il Consiglio precisa che, nell’ambito di questa terza ipotesi, la Corte ha constatato che una competenza interna può dar luogo a una competenza esterna esclusiva solo se essa sia esercitata. In caso contrario, non potrebbe sussistere una competenza esclusiva implicita nel quadro di questa terza ipotesi. Le disposizioni di diritto primario a cui la Commissione ha fatto riferimento nella sua proposta di decisione sulla firma e nella sua proposta di decisione sulla conclusione non potrebbero quindi fondare una tale competenza. Inoltre, ai fini dell’individuazione delle «norme comuni» dell’Unione, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, sarebbe importante prendere in considerazione non solo lo stato del diritto dell’Unione quale esiste al momento dell’analisi delle competenze dell’Unione, ma anche le sue prospettive di sviluppo, quando queste sono prevedibili al momento di tale analisi, il che implicherebbe che la Commissione abbia almeno presentato una proposta al legislatore dell’Unione. L’affermazione della Commissione nella motivazione della proposta di decisione sulla firma, secondo la quale «non si può escludere» che l’Unione abbia una competenza esclusiva riguardo ad alcune parti di questa convenzione, sarebbe in contrasto con il principio di attribuzione e sarebbe insufficiente a stabilire una siffatta competenza.

96      Posto che la Convenzione di Istanbul e la pertinente legislazione dell’Unione contengono solo prescrizioni minime, il Consiglio sottolinea che, in linea di principio, la competenza dell’Unione a concludere la convenzione non può essere esclusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE. Il Consiglio cita a questo proposito la giurisprudenza della Corte secondo la quale un accordo internazionale contenente prescrizioni minime non può far sorgere una competenza esterna esclusiva dell’Unione. La Repubblica di Finlandia sottolinea che dalla formulazione stessa dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE risulterebbe che la competenza dell’Unione è limitata all’adozione di prescrizioni minime.

97      Il Consiglio ritiene tuttavia che questa giurisprudenza non debba essere applicata meccanicamente, ma che si debba esaminare concretamente se l’accordo internazionale previsto e il diritto dell’Unione lascino agli Stati membri un reale grado di libertà. Solo un tale esame permetterebbe di determinare se, per una determinata disposizione di tale accordo, il fatto che solo gli Stati membri vi aderiscano possa pregiudicare l’applicazione uniforme e coerente del diritto dell’Unione.

98      Alla luce di tali criteri, la Repubblica di Bulgaria e il Consiglio ritengono che le disposizioni della Convenzione di Istanbul rientrino nelle competenze concorrenti dell’Unione e dei suoi Stati membri, nelle competenze di sostegno dell’Unione, nelle sue competenze esclusive e nelle competenze riservate agli Stati membri. L’Unione avrebbe acquisito infatti una competenza esclusiva riguardo ad alcune disposizioni di tale convenzione, contenute nei suoi capitoli IV, V e VI, per la parte in cui tali disposizioni riguardano le vittime di atti di violenza disciplinati dalle direttive 2011/93 e 2011/36, nonché a due delle tre disposizioni del capitolo VII di tale convenzione.

99      La Repubblica di Finlandia critica quest’analisi, sottolineando che la Corte avrebbe constatato in passato, sulla sola base della formulazione delle disposizioni del trattato CE o del carattere di prescrizioni minime del diritto derivato e senza aver esaminato in concreto la portata della libertà lasciata agli Stati membri, che le condizioni per una competenza esclusiva dell’Unione non erano soddisfatte. In ogni caso, la competenza esclusiva dell’Unione sarebbe così limitata da mettere in dubbio la possibilità di un’adesione tanto puntuale, per cui l’Unione dovrebbe aderire anche alla Convenzione di Istanbul anche a titolo delle sue competenze concorrenti.

c)      Sul rapporto tra la Convenzione di Istanbul e lacquis dellUnione

100    Secondo la Commissione, gli obiettivi illustrati nel capitolo I della Convenzione di Istanbul e, in particolare, nell’articolo 1, lettere da a) a e), corrisponderebbero agli obiettivi dell’Unione di cui all’articolo 2 TUE e agli articoli 8, 19 e 67 TFUE. Le definizioni chiave contenute nell’articolo 3, lettere a) e b), di tale convenzione troverebbero il loro corrispettivo nell’articolo 22 e nei considerando 17 e 18 della direttiva 2012/29.

101    Gli obblighi stabiliti nel capitolo II di detta convenzione, che mirano a porre i diritti della vittima al centro di tutte le misure adottate per prevenire e combattere tutte le forme di violenza disciplinate dalla medesima convenzione, troverebbero corrispondenza, in particolare, negli articoli 1, 8, 26 e 28 della direttiva 2012/29 e in programmi finanziari volti a promuovere la parità tra donne e uomini, in particolare nei considerando 7, 10, 15 e 17 nonché nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) n. 1381/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, che istituisce un programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020 (GU 2013, L 354, pag. 62), nell’articolo 5 del regolamento (UE) n. 1382/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, che istituisce un programma Giustizia per il periodo 2014-2020 (GU 2013, L 354, pag. 73), nonché nei considerando 2, 3 e 10 e nell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto ix), del regolamento (UE) n. 235/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che istituisce uno strumento finanziario per la promozione della democrazia e i diritti umani nel mondo (GU 2014, L 77, pag. 85).

102    La materia che costituisce oggetto del capitolo III della Convenzione di Istanbul, dedicato alla prevenzione di tutte le forme di violenza oggetto di detta convenzione, sarebbe disciplinata nel diritto dell’Unione dall’articolo 84 TFUE, dall’articolo 18 della direttiva 2011/36, dagli articoli 22 e 23 della direttiva 2011/93, dalla decisione 2009/902/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, che istituisce una rete europea di prevenzione della criminalità (REPC) e che abroga la decisione 2001/427/GAI (GU 2009, L 321, pag. 44), da programmi finanziari, tra cui l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1381/2013, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1382/2013, e l’articolo 3, paragrafo 3, lettere c) e d), del regolamento (UE) n. 513/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che istituisce, nell’ambito del Fondo sicurezza interna, lo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi e che abroga la decisione 2007/125/GAI del Consiglio (GU 2014, L 150, pag. 93), e dall’articolo 25 della direttiva 2012/29.

103    Per quanto riguarda le misure previste dal capitolo IV della Convenzione di Istanbul volte a proteggere le vittime di violenze da qualsiasi nuovo atto di violenza, la Commissione osserva che sarebbero state adottate, sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, la direttiva 2012/29, diretta a garantire che le vittime della criminalità ricevano, in particolare, assistenza e, sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, le direttive 2011/36 e 2011/93, per proteggere le vittime di specifiche tipologie di reato.

104    Per quanto riguarda il capitolo V della citata convenzione, che contiene disposizioni sostanziali di diritto civile e penale, l’Unione avrebbe adottato, in particolare sulla base dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, le direttive 2011/36 e 2011/93, che prevedono alcuni reati che sarebbero parimenti oggetto di questo capitolo. Inoltre, poiché l’Unione avrebbe, ai sensi dell’articolo 83, paragrafo 1, in fine, TFUE, una competenza concorrente in queste materie di diritto civile e penale, nulla le impedirebbe di esercitarla concludendo detta convenzione.

105    Gli obblighi procedurali in materia di indagini e di azioni penali, imposti dal capitolo VI di questa stessa convenzione, corrisponderebbero a quelli contenuti nelle direttive 2011/36 e 2011/93, nella direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, sull’ordine di protezione europeo (GU 2011, L 338, pag. 2), nella direttiva 2012/29 nonché nel regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile (GU 2013, L 181, pag. 4).

106    In materia di emigrazione e asilo, oggetto del capitolo VII della Convenzione di Istanbul, sarebbero state adottate le direttive 2011/95, 2013/32 e 2013/33, relative alla protezione internazionale, alle procedure comuni per la concessione e la revoca di tale protezione e alle norme per l’accoglienza delle persone che chiedono tale protezione. Inoltre, in questo settore, l’Irlanda continuerebbe ad essere vincolata dalle direttive 2004/83 e 2005/85, di cui le direttive 2011/95 e 2013/32 costituirebbero una novellazione.

107    Infine, per quanto riguarda la cooperazione internazionale in materia civile e penale, di cui al capitolo VIII di detta convenzione, l’Unione avrebbe adottato tutta una serie di atti giuridici per quanto concerne sia la cooperazione civile che la cooperazione giudiziaria in materia penale.

108    Il Consiglio osserva innanzitutto che non esisterebbe una legislazione specifica dell’Unione che tratti in modo globale la prevenzione di tutte le forme di violenza nei confronti delle donne e la lotta contro tale fenomeno.

109    Per quanto riguarda i capitoli da I a III della Convenzione di Istanbul, il Consiglio ritiene che essi riguardino, tuttalpiù, questioni oggetto di competenza concorrente non esercitata dall’Unione. Per gli obblighi di cui al capitolo II di tale convenzione, relativi alla ricerca, la competenza dell’Unione si eserciterebbe, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, TFUE, parallelamente a quella degli Stati membri. Per quelli relativi alla prevenzione della criminalità, l’Unione sarebbe solo competente a sostenere l’azione degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 6, TFUE e dell’articolo 84 TFUE.

110    Il Consiglio non condivide il parere della Commissione, secondo cui il capitolo IV di tale convenzione conterrebbe norme ampiamente paragonabili a quelle contenute nel capo 2 della direttiva 2012/29 e ritiene che il capitolo IV, salvo tre eccezioni, rientri in una competenza concorrente non esercitata dell’Unione.

111    In primo luogo, il campo di applicazione di questa direttiva sarebbe limitato, in quanto essa si applicherebbe solo alle vittime di reati, in particolare nel contesto di procedimenti penali che si svolgono nel territorio dell’Unione, a condizione che vi sia un elemento transfrontaliero all’interno dell’Unione.

112    In secondo luogo, le direttive 2012/29 e 2011/93 conterrebbero norme minime, come risulterebbe dal titolo, dai considerando 11 e 67, dall’articolo 9, paragrafo 3, e dall’articolo 26 della direttiva 2012/29 e dai considerando 25, 27, 38, 41 e 43 e dall’articolo 1 della direttiva 2011/93, di modo che gli Stati membri potrebbero anche rispettare le disposizioni del capitolo IV della Convenzione di Istanbul, senza violare assolutamente né la citata convenzione né il diritto dell’Unione; un’analisi dettagliata di tali disposizioni confermerebbe che gli Stati membri godono di una reale libertà nel quadro di detto capitolo IV.

113    In terzo luogo, il Consiglio ritiene che si debba trarre nondimeno una conclusione diversa per quanto riguarda due categorie specifiche di vittime, ossia, da un lato, i minori vittime di reati sessuali, definiti nel contesto della Convenzione di Istanbul quali donne di età inferiore ai 18 anni, per i quali l’Unione avrebbe adottato norme dettagliate nella direttiva 2011/93, sulla base degli articoli 82, paragrafo 2, TFUE e 83, paragrafo 1, TFUE. Sarebbero rilevanti anche l’articolo 1, paragrafo 2, l’articolo 22, paragrafo 4, e gli articoli 23 e 24 della direttiva 2012/29.

114    D’altra parte, la direttiva 2011/36, in particolare gli articoli da 12 a 16 di quest’ultima, conterrebbe obblighi specifici di assistenza e sostegno ai minori vittime di tratte. In effetti, le disposizioni dettagliate di queste direttive lascerebbero una libertà limitata agli Stati membri cosicché, nonostante la natura di prescrizioni minime, si tratterebbe di due settori disciplinati in larga parte da norme dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

115    In quarto luogo, la Commissione avrebbe erroneamente affermato, nella proposta di decisione sulla firma e nella proposta di decisione sulla conclusione, che la direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio, del 20 aprile 2015, sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei paesi terzi e che abroga la decisione 95/553/CE (GU 2015, L 106, pag. 1), che si basa sull’articolo 23 TFUE, secondo cui spetta agli Stati membri adottare le misure necessarie e avviare negoziati internazionali per garantire tale tutela, conferirebbe all’Unione una competenza esclusiva per quanto riguarda gli aspetti della tutela consolare di cui all’articolo 18, paragrafo 5, della Convenzione di Istanbul. Inoltre, secondo il suo considerando 13, la presentazione di denunce presso le autorità competenti situate al di fuori dell’Unione, come le ambasciate, non comporterebbe l’applicazione degli obblighi di cui alla direttiva 2012/29.

116    Per quanto riguarda il capitolo V della Convenzione di Istanbul, la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (GU 2004, L 261, pag. 15), in particolare il suo articolo 12, paragrafo 2, la direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU 2004, L 373, pag. 37), in particolare il suo considerando 26 e il suo articolo 7, la direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23), in particolare il suo articolo 27, la direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio (GU 2010, L 180, pag. 1), in particolare i suoi considerando 18 e 23, la direttiva 2011/36, in particolare il suo articolo 17, e la direttiva 2012/29 conterrebbero, secondo il Consiglio, prescrizioni minime in relazione alle materie di cui all’articolo 29, paragrafo 1, e all’articolo 30, paragrafi 1, 2 e 3, della Convenzione di Istanbul, che non comporterebbero una competenza esclusiva dell’Unione. Inoltre, la direttiva 2004/113, nell’articolo 3, paragrafo 3, e la direttiva 2006/54, nell’articolo 8, conterrebbero esclusioni dal loro campo di applicazione materiale. Peraltro, non esisterebbe una legislazione dell’Unione relativa alle altre disposizioni contenute in questo capitolo. Ciò posto, l’Unione avrebbe acquisito una competenza esclusiva per le disposizioni del capitolo V della Convenzione di Istanbul, nella misura in cui esse riguardano le vittime disciplinate dalle direttive 2011/93 e 2011/36.

117    Il Consiglio ritiene che gli articoli da 49 a 54 e 56 del capitolo VI di tale convenzione facciano riferimento a obblighi che corrisponderebbero in larga misura a quelli contenuti negli articoli 1, 3, 4, 6, 8, 9, 11, da 18 a 20 e da 22 a 24 della direttiva 2012/29; sarebbero parimenti rilevanti l’articolo 15, paragrafo 2, e l’articolo 20 della direttiva 2011/93, nonché gli strumenti di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri in materia civile e penale, ossia il regolamento n. 606/2013, la direttiva 2003/8/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie (GU 2003, L 26, pag. 41, e rettifica in GU 2003, L 32, pag. 15), le direttive 2004/80 e 2011/99, la decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale (GU 2008, L 220, pag. 32), la decisione-quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (GU 2008, L 337, pag. 102), la decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, relativa all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario (GU 2009, L 93, pag. 23), e la decisione 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI (GU L 93, pag. 33). Ebbene, trattandosi di prescrizioni minime, l’Unione non avrebbe acquisito una competenza esclusiva, ad eccezione di quella riconosciutale nelle materie disciplinate da alcune disposizioni delle direttive 2011/93 e 2011/36.

118    Per quanto riguarda i tre articoli del capitolo VII di detta convenzione, il Consiglio è del parere che l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), l’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, la direttiva 2003/109 e gli altri atti del diritto dell’Unione rilevanti in relazione all’articolo 59, paragrafi da 1 a 3, della Convenzione di Istanbul contengano solo prescrizioni minime e che nessuna legislazione dell’Unione esistente presenti collegamenti con l’articolo 59, paragrafo 4.

119    Viceversa, per quanto riguarda le materie di cui all’articolo 60, paragrafi da 1 a 3, e all’articolo 61 di tale convenzione, il margine di discrezionalità degli Stati membri sarebbe solo teorico, tenuto conto delle precise disposizioni derivanti, in particolare, dai considerando 30 e 39 e dall’articolo 4, paragrafi 3, lettera c), e 4, dall’articolo 9, paragrafo 2, lettere a) ed f), dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e dall’articolo 30 della direttiva 2011/95, che non sarebbe tuttavia vincolante per l’Irlanda e il Regno di Danimarca, dall’articolo 10, paragrafo 3, lettera d), dagli articoli 18 e 24 e dal considerando 32 della direttiva 2013/32, dall’articolo 11, dall’articolo 17, paragrafo 2, dall’articolo 18, paragrafi 3, 4 e 7, e dagli articoli 19 e da 21 a 25 della direttiva 2013/33, nonché dall’articolo 5 della direttiva 2008/115.

120    Il Consiglio ritiene pertanto che, alla luce del diritto dell’Unione in vigore, l’Unione abbia competenza esclusiva per quanto riguarda le materie di cui agli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul, ma non per le materie di cui all’articolo 59, che rientrerebbero in una competenza concorrente, non esercitata dall’Unione.

121    Per quanto riguarda i capitoli VIII, IX e XI della Convenzione di Istanbul, la ripartizione delle competenze seguirebbe, secondo la giurisprudenza, quella osservata per i precedenti capitoli della medesima convenzione, per cui essi rientrerebbero in parte nella competenza concorrente dell’Unione, in parte nella sua competenza complementare, in parte nella sua competenza esclusiva e in parte nella competenza degli Stati membri, mentre non sarebbe necessaria un’analisi separata per i capitoli X e XII di tale convenzione.

122    Infine, il Consiglio ricorda che non ci sarebbe stato un sostegno sufficiente, in seno al Consiglio stesso, per un’adesione «ampia» dell’Unione alla Convenzione di Istanbul, per cui esso avrebbe deciso, a maggioranza qualificata, di firmarla limitatamente alle materie di competenza esclusiva dell’Unione.

123    L’Irlanda condivide la posizione del Consiglio.

d)      Sullarticolo 82, paragrafo 2, TFUE

124    Nel sottolineare che, secondo il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE sarebbe una delle basi giuridiche appropriate per la decisione sulla conclusione della Convenzione di Istanbul, la Commissione e la Repubblica slovacca ritengono che questa disposizione non richieda un esame particolare.

125    Il Consiglio ritiene che l’Unione disponga di una competenza esclusiva a concludere la Convenzione di Istanbul per quanto riguarda alcuni articoli specifici di tale convenzione relativi alla cooperazione giudiziaria in materia penale, nella parte in cui tali articoli riguardano le vittime di atti di violenza contemplati dalle direttive 2011/93 e 2011/36.

126    La Repubblica di Finlandia e la Repubblica di Polonia ritengono che la formulazione stessa dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, in quanto attribuisce all’Unione la competenza ad adottare solo norme minime, escluda che essa possa disporre di una competenza esclusiva a concludere la Convenzione di Istanbul per quanto riguarda le sue disposizioni sulla cooperazione giudiziaria in materia penale.

127    Qualora invece l’Unione volesse aderire a tale convenzione anche per i suoi aspetti rientranti nelle sue competenze concorrenti, tale disposizione sarebbe, secondo la Repubblica di Finlandia, una delle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul.

e)      Sullarticolo 84 TFUE

128    La Commissione ritiene che scopo della Convenzione di Istanbul sia la prevenzione degli atti di violenza contro le donne e la protezione delle vittime. Con la conclusione di questa convenzione, l’Unione sosterrebbe l’azione preventiva degli Stati membri, fornendo un quadro per le loro misure individuali e specifiche. Se la conclusione da parte dell’Unione fosse limitata alla sola protezione delle vittime, le istituzioni dell’Unione potrebbero essere considerate esenti dagli obblighi di prevenzione, il che sarebbe incoerente.

129    Peraltro, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE non sarebbe sufficiente, da solo, a coprire tutte le misure preventive che non siano collegate a un procedimento penale, ai sensi dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE. Ebbene, tali misure mancherebbero il più delle volte nel contesto specifico della violenza esercitata contro le donne e detta convenzione cercherebbe di rimediare a questa carenza.

130    La Repubblica di Polonia osserva che l’articolo 84 TFUE non conferirebbe all’Unione una competenza né esclusiva né concorrente, ma si limiterebbe a definire le azioni di sostegno alle iniziative degli Stati membri. Pertanto, questa disposizione non potrebbe conferire una competenza esclusiva all’Unione e un’adesione dell’Unione alla Convenzione di Istanbul sulla base di quest’articolo avrebbe la conseguenza di vincolare non l’Unione ma gli Stati membri.

131    La Repubblica di Finlandia ritiene che, se l’Unione volesse aderire a detta convenzione nell’esercizio delle sue competenze concorrenti, il suddetto articolo 84 costituirebbe una base giuridica adeguata.

f)      Sullarticolo 78, paragrafo 2, TFUE

132    Per la parte in cui gli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul riguardano materie che non sono disciplinate né dall’articolo 82, paragrafo 2, TFUE né dall’articolo 84 TFUE, la Commissione ritiene che tali materie abbiano carattere accessorio, per cui sarebbe esclusa l’aggiunta di basi giuridiche che le coprano. Gli articoli 60 e 61 di detta convenzione, che mirerebbero a garantire che una prospettiva sensibile al «genere» sia presa in considerazione nelle decisioni di concessione della protezione internazionale e nelle condizioni di accoglienza delle vittime di atti di violenza, costituirebbero soltanto l’attuazione, in materia di asilo, degli obiettivi generali di detta convenzione e non la renderebbero un atto di diritto d’asilo.

133    Il Consiglio ritiene che l’Unione abbia competenza esclusiva nelle materie che rientrano nel campo di applicazione di queste due disposizioni della Convenzione di Istanbul. Peraltro, esso condivide l’opinione della Repubblica slovacca, secondo cui tali materie non potrebbero essere considerate accessorie riguardo alle disposizioni di tale convenzione relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale.

134    La Repubblica di Finlandia e la Repubblica di Polonia ritengono che, in questa materia, poiché il diritto derivato rilevante stabilisce solo prescrizioni minime, non può sussistere una competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione della Convenzione di Istanbul per quanto concerne i suoi articoli 60 e 61. Qualora l’Unione intendesse aderire alla Convenzione di Istanbul esercitando le sue competenze concorrenti, l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE riguarderebbe, secondo la Repubblica di Finlandia, solo un aspetto accessorio della Convenzione di Istanbul, per cui questa disposizione non sarebbe una base giuridica pertinente.

g)      Sullarticolo 83, paragrafo 1, TFUE

135    La Commissione sottolinea che, benché la Convenzione di Istanbul si applichi anche alle vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento sessuale di donne e minori, il suo ambito di applicazione ratione personae sarebbe molto più ampio. Inoltre, queste vittime sarebbero tutelate da convenzioni specifiche del Consiglio d’Europa, nonché, a livello dell’Unione, dalle direttive 2011/36 e 2011/93. Questa convenzione non costituirebbe pertanto un atto la cui finalità principale sia la lotta contro queste forme specifiche di criminalità.

136    Il Consiglio ritiene che l’Unione disponga di una competenza complementare nei settori contemplati da alcune disposizioni della suddetta convenzione.

137    La Repubblica di Finlandia e la Repubblica di Polonia ritengono che la formulazione dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, poiché attribuirebbe all’Unione solo la competenza ad adottare prescrizioni minime, escluderebbe che si possa considerare che esso conferisca una competenza esclusiva per la conclusione della Convenzione di Istanbul.

2.      Sulla scissione in due distinte decisioni degli atti sulla firma e sulla conclusione della Convenzione di Istanbul

138    La Repubblica di Bulgaria ricorda che, se la decisione di concludere un accordo internazionale persegue due scopi, uno dei quali principale, l’altro accessorio, essa deve fondarsi solo sulla base giuridica principale. Se, invece, la decisione persegue due obiettivi senza che l’uno sia accessorio rispetto all’altro, essa deve fondarsi sulle diverse basi giuridiche corrispondenti. In questo caso, due decisioni potrebbero risultare necessarie, qualora le procedure applicabili siano tra loro incompatibili.

139    La Commissione ricorda nuovamente che l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE non sarebbe una base giuridica appropriata per la conclusione della Convenzione di Istanbul. In ogni caso, l’aggiunta di questa disposizione non comporterebbe necessariamente la conseguenza di scindere in due atti distinti la decisione di concludere questa convenzione, poiché l’Irlanda sarebbe vincolata dall’acquis dell’Unione in materia. Indubbiamente, non si tratterebbe dell’acquis più recente, ma il protocollo n. 21 non potrebbe liberare questo Stato membro dagli obblighi ad esso incombenti né cambierebbe i criteri per identificare la base giuridica appropriata.

140    Pertanto, il semplice fatto che l’articolo 4 bis del protocollo n. 21 consenta all’Irlanda di non partecipare alla versione modificata di una misura in vigore sarebbe irrilevante, posto che le norme sulle competenze esterne esclusive sarebbero stabilite dall’articolo 3 TFUE e la possibilità di esercitare un «opt-out» non potrebbe essere analizzata come attribuzione di una competenza a uno Stato membro a concludere accordi internazionali, in violazione dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

141    La Repubblica di Finlandia sottolinea che, per tutte le basi giuridiche previste, l’adozione di decisioni da parte del Consiglio sarebbe soggetta al protocollo n. 21 e che l’Irlanda non sarebbe quindi obbligata a partecipare a tali decisioni. Poiché la procedura decisionale sarebbe quindi identica, non sarebbe stato necessario scindere in due la decisione sulla firma della Convenzione di Istanbul.

142    Il Consiglio rileva che l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE farebbero scattare l’applicazione del protocollo n. 21 e del protocollo (n. 22) sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato UE e al trattato FUE (in prosieguo: il «protocollo n. 22»). Ebbene, poiché il Regno di Danimarca non sarebbe vincolato da nessun diritto derivato rilevante alla conclusione della Convenzione di Istanbul, l’applicabilità del protocollo n. 22 non avrebbe causato nessuna difficoltà particolare. Viceversa, poiché l’Irlanda parteciperebbe alla cooperazione giudiziaria in materia penale istituita dalle direttive 2011/36 e 2011/93, ma non sarebbe vincolata dalle direttive 2011/95, 2013/32 e 2013/33, relative al diritto d’asilo, tale Stato membro avrebbe dovuto partecipare all’adozione della decisione sulla firma 2017/865 ma non, in virtù degli articoli 1, 3 e 4 del protocollo n. 21, all’adozione della decisione sulla firma 2017/866, per cui sarebbe stato necessario adottare due distinte decisioni sulla firma. La Repubblica di Bulgaria, l’Irlanda, la Repubblica francese e la Repubblica slovacca condividono quest’analisi.

143    L’Irlanda è del parere che, pertanto, solo l’adozione di due distinte decisioni le consentirebbe di esercitare il suo diritto, in forza del protocollo n. 21, di essere vincolata solo dalle misure della Convenzione di Istanbul rientranti nel titolo V del trattato FUE alla cui adozione essa desideri partecipare. Infatti, se il Consiglio avesse adottato una decisione unica, sarebbe stato impossibile per tale Stato membro distinguere gli aspetti della decisione per i quali la competenza dell’Unione si basa sulla legislazione che lo vincola da quelli per i quali tale competenza è fondata su una legislazione che non lo vincola.

144    Ebbene, un approccio siffatto sarebbe contrario al protocollo n. 21 e minerebbe il principio fondamentale del parallelismo tra le competenze interne ed esterne dell’Unione, che costituisce la base della dottrina risultante dalla sentenza del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio (22/70, EU:C:1971:32), la cosiddetta «dottrina AETS», quale sancita dall’articolo 3, paragrafo 2, TFUE. L’analisi concreta richiesta sarebbe rivolta, in effetti, al rapporto tra l’accordo proposto e il diritto dell’Unione «in vigore», benché tale diritto non sia in vigore in tale Stato membro e l’accordo non possa incidere, quindi, su di esso ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE. L’Irlanda aggiunge che, avendo potuto legiferare in questo settore, essa si troverebbe in una posizione molto difficile se fosse anche vincolata, in forza del diritto dell’Unione, da obblighi divergenti.

145    L’Irlanda nota che il Parlamento avrebbe chiesto non solo se l’adozione di due distinte decisioni sia «necessaria», ma anche se tale adozione sia «possibile», senza spiegare per quale motivo non potrebbe essere così. Ebbene, secondo l’Irlanda, non vi sarebbe nessuna ragione per non adottare due distinte decisioni, dato che ciò non pregiudicherebbe assolutamente la sostanza di tali decisioni. La Repubblica di Bulgaria ritiene parimenti che l’adozione di due decisioni non violi la procedura di cui all’articolo 218 TFUE.

146    Il Consiglio rileva che, poiché l’Irlanda ha deciso, dopo l’adozione delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, di partecipare alla direttiva 2013/33, la situazione potrebbe essere diversa per l’eventuale conclusione della Convenzione di Istanbul.

147    La Repubblica di Bulgaria ricorda che il Regno di Danimarca, ai sensi dell’articolo 7 del protocollo n. 22, ha facoltà di non avvalersi più di tale protocollo o di parte di esso, per cui non sarebbe escluso che si renda necessario votare in seno al Consiglio tanto con quanto senza la partecipazione di tale Stato membro, in funzione del rispettivo contenuto delle diverse parti della Convenzione di Istanbul.

3.      Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

a)      Presentazione della prassi del «comune accordo»

148    La Repubblica d’Austria rileva che la prassi del «comune accordo» si sarebbe sviluppata nell’ambito del trattato CE e sarebbe stata consacrata, per alcuni accordi misti nel settore della politica commerciale, nell’articolo 133, paragrafo 6, secondo comma, CE, a causa della particolare struttura delle competenze in tale settore, che avrebbe reso necessario l’esercizio cumulativo delle rispettive competenze da parte della Comunità europea e degli Stati membri. Secondo questa prassi, il presidente del Consiglio verificherebbe, consultandoli, che tutti gli Stati membri acconsentano ad essere vincolati dall’accordo misto in questione prima che il Consiglio approvi la conclusione di quest’ultimo.

149    La Repubblica d’Austria aggiunge che la prassi del «comune accordo» si limiterebbe a constatare l’esistenza, in un determinato momento, di un consenso tra gli Stati membri sull’assenso ad essere vincolati dall’accordo misto in questione; nondimeno, la ratifica potrebbe venire successivamente negata da taluni parlamenti degli Stati membri. Inoltre, nulla impedirebbe che un accordo misto diventi asimmetrico dopo l’adesione dell’Unione a tale accordo, dato che gli Stati membri potrebbero ritirarsi da esso in un qualsiasi momento.

150    La Repubblica francese precisa che detta prassi avrebbe lo scopo di garantire il consenso degli Stati membri ad essere vincolati dalle disposizioni dell’accordo rientranti nelle loro competenze nazionali, quando risulta indispensabile l’adesione congiunta dell’Unione e degli Stati membri a tale accordo, ossia quando l’accordo non può essere attuato in modo coerente senza essere concluso congiuntamente dall’Unione e dai suoi Stati membri. Questo si verificherebbe quando le disposizioni di detto accordo rientranti nella competenza dell’Unione e quelle rientranti nella competenza degli Stati membri sono, come nel caso in questione, indissolubilmente collegate.

151    La Commissione sostiene che, dopo essere stato censurato dalla Corte per aver adottato «atti ibridi», cioè decisioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in seno al Consiglio vertenti sulla conclusione di accordi, il Consiglio avrebbe modificato la sua condotta senza tuttavia modificare lo scopo della sua prassi precedente. In effetti, il Consiglio mirerebbe a reintrodurre un carattere «ibrido» aggiungendo una fase precedente all’assunzione formale di una decisione in osservanza delle procedure previste dai trattati, durante la quale esso verificherebbe l’esistenza di un «comune accordo» tra gli Stati membri.

152    La conseguenza di questa prassi sarebbe che, in un numero significativo di materie, le proposte della Commissione sulla firma e la conclusione di convenzioni e accordi rimarrebbero bloccate in seno al Consiglio, malgrado il fatto che la maggioranza qualificata richiesta potrebbe essere chiaramente raggiunta.

153    Il Consiglio sottolinea che esso avrebbe cessato di fare ricorso agli «atti ibridi» e che la sua prassi attuale deriverebbe dalla preoccupazione legittima di cercare di prevenire dubbi sulla portata e sulla validità, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, degli atti di diritto internazionale che esso adotta. A tal fine, esso si assicurerebbe che tutti gli Stati membri interessati acconsentano ad essere vincolati a titolo delle loro competenze nazionali prima di procedere all’adozione, con la maggioranza richiesta, della decisione del Consiglio.

154    Contrariamente a quanto farebbe intendere il Parlamento, questa prassi non sarebbe né una regola di voto né una procedura specifica, poiché gli Stati membri sarebbero liberi di decidere le modalità pratiche per stabilire l’esistenza del consenso. Difatti, ci sarebbero state decisioni prese dai rappresentanti dei governi durante o a margine di riunioni del Consiglio, annotazioni nei verbali delle sessioni del Consiglio o del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper), osservazioni riportate nelle note dei gruppi di lavoro e consensi puramente impliciti. L’Irlanda precisa che, nel caso di specie, non sarebbe stata avviata alcuna iniziativa per accertare l’esistenza di un «comune accordo» degli Stati membri.

b)      Sulla compatibilità della prassi del «comune accordo» con larticolo 13, paragrafo 2, TUE e con gli articoli da 2 a 6 TFUE e con larticolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE

155    La Repubblica d’Austria e la Commissione sostengono che, pretendendo il «comune accordo» degli Stati membri, il Consiglio violerebbe l’articolo 13, paragrafo 2, prima frase, TUE e l’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, che lo designano come l’istituzione legittimata ad autorizzare, su proposta e d’intesa con il Parlamento, la conclusione di accordi internazionali da parte dell’Unione. In effetti, un tale requisito non sarebbe previsto da queste disposizioni, le regole sulla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione sarebbero stabilite nei trattati e non sarebbero modificabili né dagli Stati membri né dalle istituzioni stesse.

156    Pertanto, benché il Consiglio possa decidere di non concludere un accordo, ad esempio nel caso in cui una minoranza di blocco si opponga alla sua conclusione, esso viceversa non potrebbe aggiungere alla procedura applicabile una fase di verifica preliminare dell’esistenza di un «comune accordo» degli Stati membri senza violare l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ai sensi del quale ogni istituzione agisce nei limiti delle sue attribuzioni.

157    Inoltre, poiché le competenze dell’Unione sono definite negli articoli da 2 a 6 TFUE e sono chiaramente distinte da quelle degli Stati membri, non sarebbe possibile, con una tale aggiunta, effettuare una fusione di fatto con il processo decisionale intergovernativo, persino qualora i due atti rimanessero formalmente distinti. Questa prassi snaturerebbe la procedura di cui all’articolo 218 TFUE.

158    Infatti, sebbene l’atto formalmente adottato sia certamente «non ibrido», il processo decisionale rimarrebbe «ibrido», dato che la posizione degli Stati membri, considerati singolarmente, prevarrebbe su quella dell’Unione, e ciò in assenza di un qualsiasi fondamento nei trattati, o addirittura in spregio alla lettera e allo spirito dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, ed eludendo i criteri stabiliti dalla Corte al fine di preservare l’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

159    La Commissione rileva che, ai sensi del preambolo del trattato UE, quest’ultimo nonché il trattato FUE avrebbero l’obiettivo generale di segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea. Al fine di conseguire tale obiettivo, il trattato FUE preciserebbe meglio la ripartizione e le modalità di esercizio delle competenze dell’Unione nel settore delle relazioni esterne, in particolare chiarendo le competenze dell’Unione (articoli da 2 a 6 TFUE), precisando in quali casi l’Unione possa concludere accordi internazionali (articolo 216, paragrafo 1, TFUE) e definendo in modo più preciso la procedura relativa alla negoziazione, alla firma e alla conclusione di tutti i tipi di accordi internazionali (articolo 218 TFUE).

160    La Commissione ritiene che sia quindi manifestamente contrario agli obiettivi dei trattati utilizzare, come prassi generale applicabile a tutti gli accordi misti, un processo decisionale «ibrido» che ostacolerebbe la capacità dell’Unione di decidere di impegnarsi a livello internazionale e che rivelerebbe alla comunità internazionale che l’Unione non ha il potere di prendere una decisione autonoma, dipendendo invece dalla partecipazione decisiva degli Stati membri.

161    Pertanto, con la prassi del «comune accordo», il Consiglio violerebbe il suo obbligo di leale cooperazione sancito dall’articolo 13, paragrafo 2, seconda frase, TUE, principio che si applicherebbe anche nell’ambito delle relazioni interistituzionali.

162    Inoltre, questa prassi altererebbe l’equilibrio istituzionale dell’Unione, poiché concederebbe agli Stati membri un ruolo, all’interno dell’Unione, non previsto dai trattati, posto che l’articolo 218 TFUE descrive i soli diritti e doveri rispettivi del Parlamento, del Consiglio, della Commissione e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Ebbene, il ruolo così attribuito agli Stati membri comprometterebbe l’efficacia del quadro istituzionale dell’Unione e potrebbe far prevalere gli interessi degli Stati membri su quelli dell’Unione.

163    La Commissione ricorda che l’articolo 218, paragrafo 8, TFUE prevede che il Consiglio delibera a maggioranza qualificata e ne deduce che la prassi del «comune accordo» degli Stati membri violerebbe tale disposizione, rendendola inoperante. Questa prassi minerebbe l’efficacia delle procedure dell’Unione. La Repubblica d’Austria condivide questa posizione e sottolinea che i trattati conterrebbero disposizioni tassative sulla procedura di conclusione di convenzioni da parte dell’Unione, che escluderebbero l’aggiunta della fase preliminare del «comune accordo».

164    Viceversa, la Repubblica slovacca sostiene che, non avendo ancora proceduto a una votazione, il Consiglio non potrebbe aver violato l’articolo 218, paragrafo 8, TFUE.

165    Secondo l’Irlanda, sarebbe chiaro che l’articolo 218, paragrafi 6 e 8, TFUE disciplina la procedura di voto e che né il Consiglio né gli Stati membri possono derogare a tale disposizione. Dato che il Consiglio cercherebbe, preliminarmente alla votazione, di coordinare l’azione dell’Unione e degli Stati membri, la prassi del «comune accordo» deriverebbe, quando le competenze dell’Unione e degli Stati membri sono, come in questo caso, strettamente collegate, dall’obbligo di leale cooperazione.

166    Se e in quanto la ricerca del «comune accordo» degli Stati membri precederebbe l’adozione della decisione sulla conclusione della Convenzione di Istanbul ai sensi dell’articolo 218, paragrafi 6 e 8, TFUE, la Repubblica francese e l’Ungheria ritengono che questa prassi non alteri la suddetta decisione né la regola del voto a maggioranza qualificata e non equivalga all’adozione di un «atto ibrido».

c)      Se la prassi del «comune accordo» sia compatibile con i principi di attribuzione, di cooperazione leale tra lUnione e i suoi Stati membri, di unità della rappresentanza esterna dellUnione e con il diritto internazionale pubblico

167    La Commissione ricorda che l’esigenza di unità nella rappresentanza internazionale dell’Unione comporterebbe un dovere di cooperazione da rispettare in sede di conclusione, da parte degli Stati membri e dell’Unione, degli accordi misti, quali la Convenzione di Istanbul. Inoltre, il principio di effettività e l’obbligo di proteggere la reputazione e la credibilità internazionale dell’Unione imporrebbero che l’attuazione delle decisioni prese dall’Unione sia facilitata dalle istituzioni dell’Unione e dai suoi Stati membri.

168    Così, sin dal momento della firma, e a fortiori dopo la conclusione di un accordo misto a nome dell’Unione, gli Stati membri sarebbero obbligati ad assistere l’Unione nell’attuazione di un tale accordo. Qualora la conclusione congiunta della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri fosse necessaria, ai sensi dell’articolo 216 TFUE, per realizzare gli obiettivi dei trattati in materia di tutela della dignità umana, gli Stati membri sarebbero tenuti pertanto ad adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscano all’Unione di depositare, insieme agli Stati membri, gli atti di ratifica presso il Consiglio d’Europa. Essi sarebbero quindi obbligati, come minimo, a formulare tutte le proposte utili presso le autorità nazionali competenti al fine di facilitare la conclusione di questa convenzione da parte dell’Unione.

169    In ogni caso, secondo la Commissione, esisterebbe la possibilità di corredare l’atto di adesione dell’Unione alla suddetta convenzione con una dichiarazione che ricordi il carattere evolutivo delle competenze dell’Unione, sottolineando che l’Unione non ha competenze in tutti i settori contemplati dalla medesima convenzione e precisando le materie in cui essa adotterà le proprie misure di esecuzione. In effetti, poiché la natura limitata delle competenze dell’Unione è ben nota al Consiglio d’Europa, una tale possibilità sarebbe inerente alla disposizione che permette l’adesione dell’Unione.

170    La Repubblica di Finlandia rileva che nessuna disposizione del diritto dell’Unione subordinerebbe la conclusione della Convenzione di Istanbul all’adesione di tutti gli Stati membri dell’Unione. Pertanto, non ci sarebbe nessuna base giuridica a sostegno della prassi del «comune accordo». Secondo la Repubblica di Finlandia e la Repubblica d’Austria, nemmeno il semplice fatto che una stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione sia necessaria per le trattative, la conclusione e l’attuazione di accordi internazionali autorizzerebbe a concludere che un «comune accordo» tra gli Stati membri sia necessario affinché l’Unione possa vincolarsi, o che gli Stati membri abbiano bisogno dell’accordo del Consiglio per vincolarsi nell’ambito delle loro competenze, dato che ciascuno di loro potrebbe agire da solo nell’ambito delle proprie competenze.

171    Nel concludere un accordo misto, l’Unione e i suoi Stati membri sarebbero, secondo la Repubblica d’Austria, parti correlate ma distinte dell’accordo, e ciascuna di loro dovrebbe agire nell’ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze di qualsiasi altra parte contraente, applicando le proprie procedure costituzionali in materia di negoziazione, firma, conclusione e ratifica. La Repubblica di Finlandia sottolinea che un’adesione dell’Unione senza il «comune accordo» degli Stati membri non potrebbe comportare che l’Unione sia vincolata se non nell’ambito delle proprie competenze, il che sarebbe anche il parere della Repubblica d’Austria.

172    Alla luce di tali considerazioni, la Repubblica di Finlandia ritiene che richiedere il «comune accordo» degli Stati membri sia contrario sia all’articolo 13, paragrafo 2, TUE e all’articolo 218 TFUE sia al principio di autonomia del diritto dell’Unione, poiché l’Unione non sarebbe in grado di esercitare autonomamente le competenze di cui dispone e l’adozione della decisione del Consiglio richiederebbe l’accordo unanime degli Stati membri anziché il raggiungimento di una maggioranza qualificata. Il principio di leale cooperazione, al quale gli Stati membri sono segnatamente vincolati, impedirebbe parimenti un obbligo siffatto.

173    Il Consiglio sottolinea innanzitutto, da un lato, che dal principio di attribuzione, sancito dall’articolo 5 TUE, risulterebbe che qualsiasi competenza non attribuita all’Unione appartiene agli Stati membri e ritiene che da ciò consegua che nessuna istituzione dell’Unione possa ordinare agli Stati membri di adottare atti che rientrino nella loro competenza. Dall’altro, il Consiglio non sarebbe obbligato ad adottare la decisione di concludere la Convenzione di Istanbul e questa istituzione non potrebbe essere obbligata ad esercitare una competenza potenziale dell’Unione quando non si raggiunga la maggioranza richiesta. In effetti, il Consiglio e l’Ungheria rilevano che l’articolo 218, paragrafo 6, TFUE non prevederebbe nessun termine per l’adozione di una tale decisione.

174    Il Consiglio ricorda che la Convenzione di Istanbul sarebbe stata negoziata, a differenza di altri accordi internazionali, senza la partecipazione attiva dell’Unione e ne deduce che essa non sarebbe stata negoziata tenendo conto della delimitazione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri. A tale riguardo, il Consiglio rileva che, benché sia possibile delimitare chiaramente le competenze oggetto di talune disposizioni di detta convenzione, ciò non sarebbe invece il caso per i suoi capitoli da IV a VI, e da VIII a XII. In particolare, posto che la competenza esclusiva dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE si riferirebbe solo ad aspetti particolari delle direttive 2011/36 e 2011/93, esisterebbe, per ciascuna delle disposizioni in questione di tale convenzione, anche una competenza degli Stati membri in relazione ad aspetti non contemplati da tali direttive.

175    Quest’istituzione ritiene che le competenze dell’Unione e degli Stati membri siano quindi, nel caso di specie, inscindibilmente collegate e ricorda che l’articolo 133, paragrafo 6, CE avrebbe previsto che taluni accordi non potessero essere conclusi dal Consiglio qualora contenessero disposizioni che esulassero dalle competenze dell’Unione. Per l’ipotesi in cui alcuni settori fossero rientrati nella competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati membri, questa disposizione avrebbe specificato che le trattative riguardanti tali accordi richiedevano il «comune accordo» degli Stati membri e che la loro conclusione doveva essere effettuata congiuntamente dall’Unione e dagli Stati membri. Orbene, la scomparsa di tale disposizione nel trattato FUE non comporterebbe il rigetto di tale prassi, ma sarebbe la conseguenza del trasferimento all’Unione, mediante l’articolo 207, paragrafi 1 e 4, TFUE, di competenze in materia di politica commerciale.

176    Inoltre, la disposizione di cui all’articolo 102 CEEA, secondo cui un accordo misto può essere concluso dall’Unione solo quando tutti gli Stati membri interessati lo ratificano, garantirebbe la coerenza tra l’azione internazionale dell’Unione e la ripartizione delle competenze e dei poteri nella sfera interna, conformemente al principio di unità della rappresentanza esterna dell’Unione.

177    Secondo il Consiglio, dall’articolo 207, paragrafo 6, TFUE, secondo cui l’esercizio delle competenze attribuite da tale articolo non pregiudica la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri né comporta un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione, risulterebbe anche che l’Unione, nell’esercizio delle proprie competenze, non possa ignorare quelle degli Stati membri. Il principio di unità nella rappresentanza internazionale dell’Unione esigerebbe una cooperazione reciproca tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione per tutto l’arco delle trattative, della conclusione e dell’esecuzione degli accordi misti.

178    Il Regno di Spagna ritiene che, dato che la Convenzione di Istanbul riguarda settori inestricabilmente collegati, questo principio richiederebbe il coordinamento, in particolare, della firma, della conclusione e, per quanto possibile, dell’entrata in vigore di detta convenzione. Ebbene, la prassi del «comune accordo» sarebbe l’unica che garantisca il rispetto reciproco delle competenze in una tale situazione. La Repubblica di Bulgaria ritiene che, se l’Unione aderisse a detta convenzione anche qualora alcuni Stati membri non intendano aderirvi, l’Unione eccederebbe le proprie competenze, ledendo quelle degli Stati membri e violando, in tal modo, il principio di attribuzione.

179    La Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e l’Ungheria sottolineano che, nel contesto di siffatti accordi misti, ciascuna parte deve agire nell’ambito delle proprie competenze e nel rispetto di quelle di qualsiasi altra parte contraente. Ebbene, visti i collegamenti inestricabili tra le competenze dell’Unione e quelle degli Stati membri per la conclusione della Convenzione di Istanbul, il principio di attribuzione, la certezza del diritto, la leale cooperazione e l’attuazione coerente degli obblighi imporrebbero all’Unione e agli Stati membri di diventare parti di tale convenzione. Il Regno di Spagna sottolinea che l’attuazione della suddetta convenzione richiederebbe adeguamenti sia del diritto dell’Unione che del diritto degli Stati membri.

180    A questo proposito, il Consiglio rileva che, ai sensi degli articoli 27 e 46 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331; in prosieguo: la «CVDT»), né l’Unione né i suoi Stati membri potrebbero invocare, nei confronti delle altre parti contraenti, la ripartizione delle competenze tra di loro come una giustificazione dell’inosservanza di quest’ultima. Inoltre, la Repubblica francese e il Consiglio sostengono che non sarebbe compatibile con l’autonomia del diritto dell’Unione il fatto di sollevare, dinanzi al Grevio, un problema di competenza, posto che quest’ultimo sarebbe incaricato in tal caso della soluzione di una questione che ricade nella competenza riservata alla Corte.

181    La Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e l’Ungheria da ciò deducono che, in mancanza di un «comune accordo» degli Stati membri, l’Unione non sarebbe in grado di garantire la corretta esecuzione dei suoi impegni, che riguarderebbero l’insieme della Convenzione di Istanbul, per cui essa si troverebbe esposta al rischio che la sua responsabilità internazionale sia chiamata in causa per un’azione o un’omissione riguardo alle quali non le è riconosciuta nessuna competenza.

182    Infatti, se l’Unione assumesse impegni che non rientrano nella sua competenza esclusiva, essa sarebbe comunque responsabile, secondo la Repubblica ellenica e il Consiglio, in base al diritto internazionale, per l’esecuzione dell’intero accordo. Inoltre, l’adesione dell’Unione a un accordo per il quale essa avrebbe solo una competenza parziale, in assenza dell’adesione di tutti gli Stati membri, comporterebbe non solo un «mosaico di obblighi», secondo lo Stato membro interessato, ma solleverebbe anche la questione dell’esistenza e, se del caso, della portata della vigenza dell’accordo nel territorio degli Stati membri. Per la parte in cui l’adesione eccede le competenze dell’Unione, l’atto di adesione potrebbe inoltre essere annullato.

183    Per di più, benché alcune convenzioni multilaterali prevedano la possibilità di formulare una dichiarazione sulla competenza, questo non sarebbe il caso della Convenzione di Istanbul; osservazione, questa, espressa anche dalla Repubblica ellenica e dall’Ungheria. In ogni caso, secondo il Consiglio, una tale dichiarazione sarebbe di dubbio valore, in considerazione dell’evoluzione della ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.

184    Alla luce di quanto illustrato, la Repubblica ceca, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, l’Ungheria e il Consiglio sono del parere che qualora, come nel caso in questione, la piena attuazione degli impegni internazionali derivanti da un accordo sia possibile, in diritto e in fatto, solo quando tutti gli Stati membri vi partecipino, laddove non tutti tali Stati accettino di essere vincolati da tale accordo per quanto riguarda le loro competenze nazionali, i principi di leale cooperazione, di unità della rappresentanza esterna dell’Unione e di attribuzione delle competenze impedirebbero all’Unione di procedere all’adozione delle decisioni sulla firma o sulla conclusione di tale accordo, poiché ciò invaderebbe le competenze degli Stati membri.

185    Il Consiglio nega che il dovere di leale collaborazione implichi che uno Stato membro non possa opporsi all’adesione dell’Unione a una convenzione per la quale essa sia parzialmente competente, obbligando così gli Stati membri ad aderirvi essi stessi. Infatti, tale dovere non potrebbe comportare nessun obbligo per uno Stato membro di ratificare un accordo, come ritengono altresì la Repubblica ceca, la Repubblica francese, l’Ungheria e la Repubblica d’Austria; la Repubblica francese aggiunge che una siffatta interpretazione di detto obbligo sarebbe in contrasto con il principio di attribuzione e violerebbe inoltre il diritto internazionale pubblico che riconoscerebbe, come dimostrerebbe il preambolo della CVDT, il principio del libero consenso degli Stati ad essere vincolati da un accordo internazionale. Secondo la Repubblica ceca, una siffatta interpretazione violerebbe altresì il principio del diritto internazionale «pacta tertiis nec nocent nec prosunt» («le convenzioni non nuocciono né giovano ai terzi»), come codificato negli articoli da 34 a 38 della CVDT.

186    Infatti, benché dalla giurisprudenza si possa desumere che il dovere di leale cooperazione può ostare alla conclusione di accordi da parte degli Stati membri, in particolare quando è in corso una procedura di adesione a livello dell’Unione, secondo la Repubblica francese e il Consiglio non sarebbe stato ancora riscontrato nessun obbligo, per gli Stati membri, di agire in un settore di competenza dell’Unione, cosa che varrebbe a fortiori per le materie in cui l’Unione non ha nessuna competenza. Il Regno di Spagna, la Repubblica francese e il Consiglio ritengono che la volontà dell’Unione di aderire a un accordo non possa prevalere sul diritto di uno Stato membro di non farlo, in quanto un dovere di leale cooperazione sarebbe imposto anche alle istituzioni dell’Unione nei confronti degli Stati membri.

187    La Repubblica francese deduce da ciò che un tale dovere imporrebbe all’Unione di attendere il «comune accordo» degli Stati membri e, di conseguenza, la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul in assenza di un tale «comune accordo» violerebbe sia il diritto dell’Unione che il diritto internazionale. Il Regno di Spagna aggiunge che il fatto che possa essere difficile ottenere il consenso degli Stati membri non consentirebbe di presumere una violazione dell’esercizio delle competenze dell’Unione.

188    Benché la prassi attuale del Consiglio appaia poco agevole, in quanto potrebbe ritardare la conclusione di un accordo misto per un periodo di tempo considerevole, considerazioni istituzionali e politiche, compresa la legittimità degli accordi misti, giustificherebbero, secondo quest’istituzione, detta prassi. In effetti, la legittimità di questi accordi, ma anche dell’Unione, sarebbe compromessa se quest’ultima obbligasse uno Stato membro a ratificare un accordo misto nonostante un referendum negativo o l’opposizione di un ente statale, senza darsi il tempo di trovare una soluzione inclusiva che consentisse di superare le difficoltà incontrate.

189    Il Consiglio e l’Ungheria aggiungono che alcuni elementi della Convenzione di Istanbul potrebbero incidere sull’identità nazionale di alcuni Stati membri, il cui rispetto da parte dell’Unione sarebbe garantito dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE. A questo proposito, la Repubblica di Bulgaria osserva che, secondo il Konstitutsionen sad (Corte costituzionale, Bulgaria), alcune disposizioni di tale convenzione conterrebbero concetti incompatibili con la costituzione e con l’ordine pubblico bulgari, tra cui quelli di «attributi socialmente costruiti», «modelli stereotipati dei ruoli» e «genere», destinati a definire il concetto di «sesso» in modo incompatibile con la definizione accolta nella costituzione bulgara. Orbene, se l’Unione dovesse comunque aderire a detta convenzione, la Repubblica di Bulgaria correrebbe il rischio di vedersi costretta, per garantire il rispetto degli impegni internazionali dell’Unione, ad attuare misure contrarie alla sua costituzione. Pertanto, una siffatta adesione violerebbe il principio di leale cooperazione.

190    Allo stesso modo, la Repubblica slovacca, mentre adotta una posizione simile a quella del Consiglio, sostiene che il Národná rada Slovenskej republiky (Consiglio nazionale della Repubblica slovacca) si è opposto alla ratifica della Convenzione di Istanbul da parte della Repubblica slovacca e dell’Unione.

191    In ogni caso, l’Irlanda, il Regno di Spagna e la Repubblica slovacca ritengono che il Consiglio possa attendere il «comune accordo» degli Stati membri, poiché esso è un’istituzione dell’Unione e, come tale, gode di indipendenza. L’equilibrio istituzionale comporterebbe, in particolare, che il Consiglio non è obbligato ad adottare una decisione sulla conclusione della Convenzione di Istanbul, poiché disporrebbe di una libertà di scelta nell’ambito delle sue competenze. L’attesa del «comune accordo» degli Stati membri non violerebbe quindi nessuna disposizione del diritto dell’Unione ed eviterebbe la necessità di risolvere controversie politiche.

VI.    Posizione della Corte

A.      Ricevibilità della domanda di parere

192    Ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati.

193    In primo luogo, è giurisprudenza consolidata della Corte che lo scopo di questa disposizione è quello di prevenire le complicazioni derivanti da contestazioni giuridiche sulla compatibilità con i trattati di accordi internazionali vincolanti per l’Unione. Difatti, una decisione giudiziaria che constati eventualmente, dopo la conclusione di un accordo internazionale vincolante per l’Unione, che quest’ultimo è incompatibile con le disposizioni dei trattati, in considerazione del suo contenuto o della procedura adottata per la sua conclusione, non mancherebbe di creare gravi difficoltà non solo all’interno dell’Unione, ma anche nelle relazioni internazionali, e rischierebbe di danneggiare tutte le parti interessate, compresi i paesi terzi [parere 1/15 (accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 69].

194    Considerata la funzione della procedura prevista dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, che è quella di prevenire, mediante un rinvio preventivo alla Corte, eventuali complicazioni a livello dell’Unione e a livello internazionale che potrebbero derivare dall’invalidazione di un atto che conclude un accordo internazionale, il semplice rischio di tale invalidazione è sufficiente per ammettere il rinvio alla Corte [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 74].

195    Viceversa, questa procedura non mira a proteggere specificamente gli interessi e i diritti dello Stato membro o dell’istituzione dell’Unione che domanda il parere, poiché essi, a tal fine, hanno la facoltà di chiedere l’annullamento della decisione del Consiglio di concludere l’accordo nonché quella di chiedere, in tal sede, misure provvisorie mediante una domanda di provvedimenti provvisori [v., in tal senso, parere 3/94 (Accordo quadro sulle banane), del 13 dicembre 1995, EU:C:1995:436, punti 21 e 22].

196    Detta procedura non ha neppure lo scopo di risolvere le difficoltà collegate all’attuazione di un accordo previsto che rientri nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri [parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 17].

197    In secondo luogo, si evince dalla giurisprudenza che, nel quadro della procedura prevista dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, dev’essere possibile esaminare tutte le questioni che possono sollevare dubbi sulla validità sostanziale o formale dell’accordo ai sensi dei trattati. Il giudizio sulla compatibilità di un accordo con i trattati può dipendere, al riguardo, segnatamente, non solo da disposizioni relative alla competenza, alla procedura o all’organizzazione istituzionale dell’Unione, ma anche da disposizioni di diritto sostanziale [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 70].

198    Tuttavia, per quanto riguarda le norme interne dell’Unione, il loro carattere di diritto interno dell’Unione esclude che esse possano costituire oggetto di una procedura di parere, la quale può riguardare solo gli accordi internazionali la cui conclusione è prevista dall’Unione [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 149].

199    In terzo luogo, occorre ricordare che la scelta della base giuridica adeguata della decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo previsto riveste un’importanza di natura costituzionale dal momento che, disponendo solo di competenze di attribuzione, l’Unione deve collegare gli atti che essa adotta alle disposizioni del trattato FUE che l’autorizzano effettivamente a tal fine. Pertanto, il ricorso a una base giuridica errata può invalidare l’atto stesso di conclusione e, di conseguenza, viziare l’assenso dell’Unione a considerarsi vincolata dall’accordo da essa stessa sottoscritto [v., in tal senso, parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 5, e parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punti 71 e 72].

200    Ciò avviene, in particolare, quando il trattato non conferisce all’Unione una competenza sufficiente per ratificare l’accordo nel suo insieme, il che equivale a esaminare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri per la conclusione dell’accordo previsto, o ancora quando la base giuridica appropriata di detto atto conclusivo prevede una procedura legislativa diversa da quella effettivamente seguita dalle istituzioni dell’Unione [v., in tal senso, parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 5].

201    In quarto luogo, la Corte ha avuto occasione di osservare che l’atto che autorizza la firma dell’accordo internazionale e quello che ne pronuncia la conclusione costituiscono due atti giuridici distinti, che comportano obblighi fondamentalmente distinti per le parti interessate, in quanto il secondo non costituisce assolutamente la conferma del primo. Ciò posto, l’assenza di un ricorso di annullamento proposto contro il primo atto non osta alla presentazione di un tale ricorso contro l’atto che conclude l’accordo previsto, né rende irricevibile una domanda di parere che sollevi la questione della sua compatibilità con il trattato [parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 11].

202    Inoltre, il fatto che alcune questioni possano essere affrontate nell’ambito di altri mezzi di ricorso, in particolare di un’azione di annullamento, non è un argomento che valga a escludere il rinvio preventivo alla Corte ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE [parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 12].

203    La procedura di parere deve permettere infatti di risolvere tutte le questioni che possano essere sottoposte alla valutazione dei giudici, a condizione che tali questioni soddisfino lo scopo di tale procedura [parere 1/13 (Adesione di Stati terzi alla Convenzione dell’Aia), del 14 ottobre 2014, EU:C:2014:2303, punto 54].

204    In quinto luogo, è importante notare che la facoltà di presentare una domanda di parere ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE non richiede, come condizione preliminare, un accordo definitivo tra le istituzioni interessate. Infatti, il diritto riconosciuto al Consiglio, al Parlamento, alla Commissione e agli Stati membri di domandare il parere della Corte può essere esercitato individualmente, senza nessuna consultazione e senza attendere l’esito finale di una procedura legislativa connessa [parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punto 55].

205    Pertanto, la circostanza che l’adozione dell’accordo di cui trattasi possa avvenire solo dopo la consultazione, se non addirittura l’approvazione, del Parlamento e che l’adozione di eventuali misure legislative di accompagnamento in seno all’Unione sia sottoposta a una procedura legislativa che coinvolga tale istituzione non incide sulla facoltà ad essa concessa, in forza dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, di domandare un parere della Corte [parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unificato di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punti 55 e 56].

206    È alla luce di questa giurisprudenza che è necessario esaminare se le domande poste dal Parlamento siano ricevibili.

207    Nel caso di specie, per quanto riguarda, in primo luogo, la ricevibilità della prima questione, lettera a), è giocoforza rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, essa mira a individuare la base giuridica appropriata per l’adozione di un atto dell’Unione recante conclusione della Convenzione di Istanbul, il che è conforme allo scopo della procedura di parere, tenuto conto della giurisprudenza menzionata nei punti 193, 195, 197, 199 e 200 del presente parere.

208    Quanto al fatto che l’Ungheria mette in dubbio l’utilità della presente procedura, poiché l’adesione a detta convenzione sia da parte dell’Unione che degli Stati membri sarebbe necessaria nei due casi menzionati dal Parlamento nell’ambito della prima questione, lettera a), è sufficiente rilevare che, se si scegliesse una base giuridica inadeguata per la conclusione da parte dell’Unione di tale convenzione, la validità dell’atto di conclusione potrebbe essere successivamente rimessa in discussione nell’ambito di un procedimento dinanzi alla Corte, dando così luogo alle difficoltà che la procedura di parere mira precisamente a prevenire, come ricordato nel punto 193 del presente parere.

209    Riguardo a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia e dall’Ungheria, e cioè che la prima questione, lettera a), della domanda di parere implicherebbe una contestazione della scelta politica del Consiglio, di procedere ad un’adesione parziale alla Convenzione di Istanbul, occorre rilevare che una tale circostanza, ammesso che sia dimostrata, sarebbe tale da influenzare la portata dell’«accordo previsto» alla luce del quale occorre individuare la base giuridica adeguata per la conclusione di tale convenzione. Poiché, come sottolineato nei punti199 e 200 del presente parere, una domanda di parere può avere segnatamente ad oggetto la scelta della base giuridica appropriata per concludere un accordo internazionale previsto, tale circostanza è quindi solo in grado di influenzare la risposta alla prima questione, lettera a), senza poter mettere in discussione la ricevibilità di quest’ultima.

210    Per quanto riguarda il fatto menzionato dall’Ungheria, secondo cui il Parlamento avrebbe il diritto di partecipare, in una fase successiva, alla procedura di conclusione della Convenzione di Istanbul e potrebbe rifiutare, se del caso, la sua approvazione in tale occasione, è sufficiente ricordare che, dalla giurisprudenza citata nei punti 204 e 205 del presente parere, risulta che una tale circostanza non impedisce affatto a questa istituzione di avviare la presente procedura.

211    Quanto all’argomento dell’Ungheria, secondo il quale la prima questione sarebbe prematura e ipotetica in quanto si riferirebbe a un futuro atto dell’Unione recante conclusione della Convenzione di Istanbul, il cui contenuto non sarebbe stato ancora definitivamente stabilito, è importante notare che la procedura di parere, tenuto conto del suo obiettivo di evitare le complicazioni a livello internazionale e dell’Unione che inevitabilmente sorgerebbero da una decisione giudiziaria che dichiarasse l’incompatibilità con i trattati di un accordo internazionale concluso dall’Unione, consente di presentare una domanda di parere alla Corte quando l’oggetto dell’accordo previsto è noto, anche qualora restino ancora aperte diverse alternative e sussistano divergenze relative alla redazione dei testi in questione, se i documenti presentati alla Corte permettono a quest’ultima di formarsi un giudizio sufficientemente preciso sulla questione sollevata [parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unificato di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punto 53 e giurisprudenza ivi citata].

212    Ebbene, nel caso in questione, la Corte non solo ha a disposizione il testo della Convenzione di Istanbul, ma la domanda di parere fornisce anche informazioni sufficienti sullo stato di avanzamento della procedura di adesione a tale convenzione fino al momento in cui la domanda è stata presentata nonché sulle posizioni del Parlamento, del Consiglio e della Commissione in merito a tale adesione, cosicché la Corte è in grado di formarsi un giudizio sufficientemente preciso sull’accordo previsto, alla luce del quale dev’essere individuata la base giuridica adeguata per la sua conclusione da parte dell’Unione.

213    Peraltro, l’affermazione del Consiglio, dell’Irlanda e dell’Ungheria, secondo cui il Parlamento, con la sua domanda di parere, contesterebbe la scelta della base giuridica delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, eludendo così i termini stabiliti per presentare un ricorso di annullamento contro tali decisioni, non può essere accolta. Infatti, da un lato, la prima questione, lettera a), non si riferisce a tali decisioni e, dall’altro, come spiegato nel punto 201 del presente parere, l’assenza di un ricorso di annullamento contro una decisione sulla firma di un accordo non osta alla ricevibilità di una domanda di parere vertente sulla compatibilità di tale accordo con i trattati.

214    Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione, lettera a), dev’essere considerata ricevibile.

215    In secondo luogo, per quanto riguarda la ricevibilità della prima questione, lettera b), occorre rilevare subito che, per la parte in cui essa riguarda la scissione in due decisioni dell’atto di conclusione della Convenzione di Istanbul, tale questione riguarda la procedura di conclusione di tale convenzione e, di conseguenza, la compatibilità formale con i trattati di un’adesione dell’Unione ad essa. Conformemente a quanto spiegato nel punto 197 del presente parere, una siffatta domanda è ricevibile dal momento che essa soddisfa lo scopo della procedura di parere.

216    Viceversa, la prima questione, lettera b), non è ricevibile nella parte in cui essa riguarda la scissione in due decisioni dell’atto di firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione.

217    È pacifico, infatti, che la firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione, autorizzata dalle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, è avvenuta il 13 giugno 2017, ossia più di due anni prima del deposito della presente domanda di parere, e pertanto ha prodotto effetti a partire da tale data.

218    Ciò premesso, anche ipotizzando che un atto di firma di un accordo internazionale possa essere oggetto, come tale, di una domanda di parere, è giocoforza constatare che, in ogni caso, l’obiettivo di prevenzione perseguito dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE non può più essere conseguito nei confronti di un tale atto se la Corte è chiamata ad esprimersi sulla sua compatibilità con i trattati solo dopo la sua adozione [v., per analogia, parere 3/94 (Accordo quadro sulle banane), del 13 dicembre 1995, EU:C:1995:436, punto 19].

219    In questo contesto, l’Irlanda, l’Ungheria e il Consiglio ricordano giustamente che il Parlamento avrebbe potuto impugnare le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 con un ricorso di annullamento e che il rispetto dell’obbligo di informare il Parlamento, previsto dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE ha lo scopo, segnatamente, di porre in grado tale istituzione di esercitare in tempo utile il suo controllo sull’azione del Consiglio.

220    Di conseguenza, la prima questione, lettera b), è ricevibile solo in quanto si riferisce all’atto di conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul.

221    In terzo luogo, per quanto riguarda la ricevibilità della seconda questione, riguardante una prassi di «comune accordo» degli Stati membri prima della conclusione di un accordo misto, occorre innanzitutto respingere l’obiezione della Repubblica ellenica, secondo cui il Parlamento non avrebbe sufficientemente individuato un comportamento lesivo del Consiglio. In effetti, tale questione mira non a individuare un siffatto comportamento, ma a determinare se la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul sia compatibile con i trattati, e in particolare con l’articolo 218 TFUE, in assenza di un «comune accordo» di tutti gli Stati membri ad essere vincolati da tale convenzione nei settori di loro competenza.

222    Ne consegue anche che, contrariamente a quanto sostengono la Repubblica di Bulgaria, il Regno di Spagna, l’Ungheria e il Consiglio, tale questione non riguarda il regolamento interno del Consiglio, di cui al punto 82 del presente parere, il calendario del Consiglio o le sue procedure interne, né il diritto internazionale pubblico, e nemmeno i diritti sovrani degli Stati membri, bensì gli obblighi procedurali derivanti dai trattati e, in particolare, dall’articolo 218 TFUE ai fini della conclusione della Convenzione di Istanbul.

223    Orbene, come ha sottolineato la Repubblica di Finlandia, se i trattati richiedessero l’attesa di un tale «comune accordo», la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, che avvenisse prima di un siffatto accordo, potrebbe essere invalidata, dando così luogo alle stesse difficoltà che la procedura di parere intende proprio prevenire, come sottolineato nel punto 193 del presente parere.

224    Ne consegue altresì, da un lato, che la seconda questione non mira a dimostrare, come consentirebbe il ricorso per carenza previsto dall’articolo 265 TFUE, che il Consiglio abbia omesso di deliberare in violazione dei trattati e, dall’altro, che il Regno di Spagna, l’Ungheria, la Repubblica slovacca e il Consiglio non possono quindi validamente sostenere che la seconda questione comporti uno sviamento della procedura di parere.

225    Non può accogliersi nemmeno l’obiezione del Consiglio secondo cui, una volta raggiunto il «comune accordo» di tutti gli Stati membri ad essere vincolati dalla Convenzione di Istanbul nei settori di loro competenza, la conclusione di tale convenzione avverrebbe nel rigoroso rispetto dei requisiti procedurali dei trattati. Una simile affermazione, infatti, non è tale da chiarire se la prassi del «comune accordo» sia conforme alle procedure espressamente previste dai trattati e non può quindi precludere la ricevibilità di tale questione.

226    Infine, quanto al fatto che l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, l’Ungheria e il Consiglio sostengono che la seconda questione sarebbe prematura e ipotetica, è sufficiente ricordare, come risulta dal punto 211 del presente parere, che una domanda di parere può essere presentata alla Corte quando è noto l’oggetto dell’accordo previsto, anche qualora sussistano ancora diverse alternative aperte e divergenze di opinione sulla redazione dei testi in questione, se i documenti esibiti alla Corte permettono a quest’ultima di formarsi un giudizio sufficientemente preciso sulla questione sollevata.

227    Ebbene, dato che l’oggetto dell’accordo previsto è noto, che l’esistenza della prassi del «comune accordo» non è smentita né dagli Stati membri partecipanti al presente procedimento né dal Consiglio e che quest’ultimo sottolinea di prevedere la conclusione della Convenzione di Istanbul a nome dell’Unione solo dopo che tale «comune accordo» sia stato raggiunto, la seconda questione non può essere considerata irricevibile a causa del suo presunto carattere prematuro o ipotetico.

228    Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda di parere è ricevibile, ad eccezione della prima questione, lettera b), per la parte in cui quest’ultima riguarda la firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione.

B.      Sulla prassi del «comune accordo» degli Stati membri

229    Con la seconda questione, che dev’essere esaminata per prima, il Parlamento chiede, in sostanza, se i trattati permettano o impongano al Consiglio di attendere il «comune accordo» degli Stati membri ad essere vincolati dalla Convenzione di Istanbul nei settori di loro competenza prima di concludere detta convenzione a nome dell’Unione.

230    Occorre ricordare che i trattati fondativi dell’Unione hanno dato vita, diversamente dai trattati internazionali ordinari, ad un ordinamento giuridico nuovo, dotato di proprie istituzioni, a favore del quale gli Stati che ne sono membri hanno limitato, in settori sempre più ampi, i propri poteri sovrani, e che riconosce come soggetti non soltanto tali Stati, ma anche i cittadini degli stessi [v., in particolare, parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unificato di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punto 65; parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 157, e sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 39].

231    Inoltre, gli Stati membri, in virtù della loro appartenenza all’Unione, hanno accettato che i loro reciproci rapporti, relativamente alle materie costituenti l’oggetto del trasferimento di competenze dagli Stati membri all’Unione, fossero disciplinati dal diritto dell’Unione, con esclusione, se così prescritto da quest’ultimo, di qualsiasi altro diritto [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 193, e sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 40].

232    Inoltre, le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione sono stabilite dai trattati e non sono a disposizione né degli Stati membri né delle istituzioni stesse (sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

233    Difatti, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ciascuna istituzione deve agire nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste.

234    Per quanto concerne, in particolare, gli accordi internazionali che l’Unione è competente a concludere nelle materie di sua competenza, l’articolo 218 TFUE, per rispondere ad esigenze di chiarezza, coerenza e razionalità, prevede una procedura unificata e di portata generale concernente, in particolare, la negoziazione e la conclusione di accordi siffatti, salvo il caso in cui i trattati prevedano procedure speciali [v., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 21 e giurisprudenza ivi citata].

235    La Corte ha rilevato che tale procedura, proprio per il suo carattere generale, deve tener conto delle specificità previste dai trattati per ciascuna materia di competenza dell’Unione, in particolare per quanto riguarda le attribuzioni delle istituzioni, e che essa mira a riflettere, sul piano esterno, la ripartizione dei poteri tra le istituzioni applicabile a livello interno, in particolare mediante l’istituzione di una simmetria tra la procedura di adozione di misure dell’Unione a livello interno e la procedura di adozione degli accordi internazionali, al fine di garantire che, riguardo a una data materia, il Parlamento e il Consiglio dispongano degli stessi poteri, nel rispetto dell’equilibrio istituzionale previsto dai trattati [sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 22 e giurisprudenza ivi citata].

236    Pertanto, l’articolo 218, paragrafo 1, TFUE impone che gli accordi tra l’Unione e i paesi terzi o le organizzazioni internazionali i quali, conformemente all’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri dopo la loro conclusione, siano negoziati e conclusi secondo la procedura di cui ai pertinenti paragrafi del primo di tali articoli.

237    A tale riguardo, ai sensi dell’articolo 218, paragrafi 2 e 6, TFUE, la decisione di concludere tali accordi è adottata dal Consiglio, eventualmente previa approvazione o consultazione del Parlamento. Orbene, per l’adozione di una decisione di tal genere non è riconosciuta nessuna competenza agli Stati membri.

238    Peraltro, dall’articolo 218, paragrafo 8, TFUE si evince che, relativamente a una decisione come quella menzionata nel punto precedente, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata nei casi in cui una decisione siffatta non rientri in nessuna delle ipotesi per le quali l’articolo 218, paragrafo 8, secondo comma, TFUE richiede l’unanimità [v., in tal senso, sentenza del 2 settembre 2021, Commissione/Consiglio (Accordo con l’Armenia), C‑180/20, EU:C:2021:658, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].

239    Nella fattispecie, è pacifico tra le parti del presente procedimento che, innanzitutto, la Convenzione di Istanbul è destinata eventualmente ad essere un accordo misto, concluso come tale dall’Unione e dagli Stati membri; inoltre, che la decisione del Consiglio recante la conclusione di tale convenzione a nome dell’Unione può essere adottata solo dopo l’approvazione del Parlamento e, infine, che è conformemente alle disposizioni dell’articolo 218, paragrafo 8, primo comma, TFUE, che il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, dovrà eventualmente adottare tale decisione, in quanto che una tale decisione non rientra in nessuna delle ipotesi per le quali l’articolo 218, paragrafo 8, secondo comma, TFUE richiede l’unanimità.

240    Nel contesto di un accordo misto con paesi terzi, l’Unione e gli Stati membri sono parti. Nel negoziare e concludere un tale accordo, ciascuna di queste parti deve agire nell’ambito delle competenze di cui dispone e nel rispetto delle competenze di ogni altra parte contraente (sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 47).

241    La Corte ha certamente riconosciuto che, quando risulta che l’oggetto di un accordo rientra, in parte, nella competenza dell’Unione e, in parte, in quella degli Stati membri, è importante assicurare una stretta cooperazione tra questi ultimi e le istituzioni dell’Unione sia nel processo di negoziazione e di conclusione sia nell’adempimento degli impegni assunti (sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

242    Tuttavia, tale principio di stretta cooperazione non può giustificare l’inosservanza, da parte del Consiglio, delle norme di procedura e delle modalità di voto previste dall’articolo 218 TFUE (sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 55).

243    La Corte ha avuto modo, infatti, di precisare che due atti diversi, uno dei quali richieda il consenso dei rappresentanti degli Stati membri, e quindi il loro accordo unanime, laddove l’altro debba essere adottato conformemente all’articolo 218, paragrafo 8, TFUE, che prevede che il Consiglio delibera a nome dell’Unione a maggioranza qualificata, non possono essere riuniti in una sola decisione né essere adottati secondo una procedura unica (v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 52).

244    Nella presente fattispecie, è certamente pacifico che la prassi del «comune accordo» non si traduce nella combinazione di due atti diversi, di cui uno sarebbe il risultato del consenso degli Stati membri mentre l’altro sarebbe adottato dall’Unione, nell’ambito di un’unica decisione di natura ibrida, come quella annullata nella sentenza citata nel punto precedente.

245    Tuttavia, posto che tale prassi implica che la constatazione del «comune accordo» degli Stati membri ad essere vincolati da un accordo misto nei settori di loro competenza sia considerata, secondo il Consiglio, un presupposto necessario per qualsiasi avvio della procedura di conclusione prevista dall’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, detta prassi porta ad aggiungere a tale procedura una fase che non è prevista dai trattati e che quindi è in contrasto con la giurisprudenza citata nel punto 232 del presente parere e con le constatazioni svolte nei punti 237 e 243 dello stesso.

246    In particolare, come hanno giustamente sostenuto la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, il Parlamento e la Commissione, posto che tale prassi subordina l’avvio di detta procedura al consenso dei rappresentanti degli Stati membri, e quindi al loro accordo unanime, mentre l’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE concepisce la conclusione, da parte dell’Unione, di un accordo internazionale come un atto autonomo dell’Unione, adottato a maggioranza qualificata dal Consiglio, eventualmente previa approvazione o consultazione del Parlamento, essa istituisce un processo decisionale ibrido incompatibile con quanto prescritto da tali disposizioni e contrario alla giurisprudenza derivante dalla sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio (C‑28/12, UE:C:2015:282).

247    In effetti, se la prassi del «comune accordo» avesse una portata come quella esposta nel punto 245 del presente parere, la possibilità stessa che l’Unione concluda un accordo misto dipenderebbe interamente dalla volontà di ciascuno Stato membro di essere vincolato da un tale accordo nelle materie che rientrano nelle sue competenze e, di conseguenza, dalle scelte che gli Stati membri fanno in modo sovrano in tali materie.

248    Ebbene, conformemente all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, quando la conclusione di un accordo internazionale è proposta al Consiglio, solo quest’ultimo decide, in linea di principio a maggioranza qualificata e, se del caso, previa approvazione o consultazione del Parlamento, sulla conclusione di tale accordo. Del resto, è stato dichiarato, a questo proposito, che il Consiglio può decidere, in tale occasione, che l’Unione eserciti da sola la competenza esterna che condivide con gli Stati membri nel settore d’intervento interessato, a condizione che la maggioranza richiesta a tal fine sia raggiunta in seno al Consiglio (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, Germania/Consiglio, C‑600/14, EU:C:2017:935, punto 68).

249    Ne consegue che i trattati non solo non impongono al Consiglio di attendere, prima di concludere la Convenzione di Istanbul a nome dell’Unione, il «comune accordo» degli Stati membri ad essere vincolati da tale convenzione nelle materie di loro competenza, ma gli vietano anche di subordinare l’avvio della procedura di conclusione di tale convenzione, prevista dall’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, alla previa constatazione di un tale «comune accordo».

250    Ciò premesso, la conclusione di un accordo internazionale da parte dell’Unione dipende dalla possibilità, per il Consiglio, di raccogliere, al suo interno, la maggioranza richiesta.

251    Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale nel paragrafo 200 delle sue conclusioni, i trattati non stabiliscono nessun termine entro il quale il Consiglio sia tenuto ad adottare una decisione sulla conclusione di un tale accordo.

252    Ne consegue che, nei limiti della procedura di cui all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE e fatta salva l’approvazione del Parlamento, ove richiesta, sia la decisione di dare o meno seguito alla proposta di concludere un accordo internazionale, e in tal caso in quale misura, sia la scelta del momento opportuno per l’adozione di tale decisione rientrano nella discrezionalità politica del Consiglio.

253    Ne consegue che, a condizione di agire conformemente al suo regolamento interno e di garantire la piena efficacia dell’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, nulla impedisce al Consiglio di prorogare il dibattito al suo interno per conseguire, in particolare, la più ampia maggioranza possibile al fine della conclusione di un accordo internazionale, la maggioranza necessaria per un più ampio esercizio delle competenze esterne dell’Unione o ancora, nel caso di accordi misti, una più stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione nel processo di conclusione, il che può comportare l’attesa di un «comune accordo» degli Stati membri.

254    In effetti, una siffatta stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione nel processo di conclusione di un accordo misto, come la Convenzione di Istanbul, richiesta dal principio richiamato nei punti 241 e 242 del presente parere, in particolare quando le disposizioni di quest’accordo che rientrano nelle competenze dell’Unione e quelle che rientrano nelle competenze degli Stati membri sono inestricabilmente collegate, permette di tener conto, come ha sottolineato il Consiglio, se necessario attraverso un dibattito prolungato, di considerazioni istituzionali e politiche suscettibili di influenzare la percezione della legittimità e l’efficacia dell’azione esterna dell’Unione.

255    A questo proposito, è importante sottolineare che, conformemente all’articolo 218, paragrafo 8, TFUE, questo margine di discrezionalità politica è esercitato, in linea di principio, a maggioranza qualificata, cosicché tale maggioranza in seno al Consiglio può imporre, in qualsiasi momento e secondo le norme previste dal regolamento interno di quest’ultimo, comprese, in particolare, quelle che conferiscono a qualsiasi Stato membro e alla Commissione il diritto di chiedere l’apertura di una procedura di voto e che disciplinano la trasparenza di tale procedura, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, TFUE, la chiusura del dibattito e l’adozione della decisione relativa alla conclusione dell’accordo internazionale. Spetta quindi al Consiglio esercitare tale margine di discrezionalità caso per caso e alla luce degli sviluppi del dibattito in seno a detta istituzione, nel pieno rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE.

256    Tali constatazioni, e in particolare quella secondo la quale il Consiglio non può, in violazione della procedura di conclusione di un accordo internazionale prevista dall’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, subordinare la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul al «comune accordo» tra gli Stati membri ad essere vincolati da tale convenzione nei settori di loro competenza, non sono invalidate dagli argomenti della Repubblica di Bulgaria, della Repubblica ceca, dell’Irlanda, della Repubblica ellenica, del Regno di Spagna, della Repubblica francese, dell’Ungheria, della Repubblica slovacca e del Consiglio, che lamentano l’incompatibilità, in mancanza di un siffatto «comune accordo», della conclusione, da parte dell’Unione, di tale convenzione con i principi di attribuzione, leale cooperazione, certezza del diritto, unità della rappresentanza esterna dell’Unione e autonomia dell’Unione, nonché con il rispetto, da parte dell’Unione, delle identità nazionali degli Stati membri, né dagli argomenti di detti Stati membri e del Consiglio, relativi al rischio che sorga una responsabilità internazionale dell’Unione qualora quest’ultima dovesse concludere tale convenzione in assenza dell’adesione ad essa di tutti gli Stati membri nei settori di loro competenza.

257    In primo luogo, detti Stati membri e il Consiglio non possono validamente sostenere che, in assenza di un’adesione alla Convenzione di Istanbul da parte di uno o più Stati membri nelle materie della convenzione che rientrano nelle loro competenze, l’adesione dell’Unione a tale convenzione interferirebbe con le competenze di tali Stati membri e violerebbe così i principi di attribuzione, di leale cooperazione, di certezza del diritto e di unità della rappresentanza esterna dell’Unione.

258    Infatti, è stato ricordato nel punto 240 del presente parere che, in particolare, nel negoziare e concludere un accordo misto, l’Unione e gli Stati membri devono agire nell’ambito delle competenze di cui dispongono e nel rispetto delle competenze di ogni altra parte contraente.

259    Ne consegue che la conclusione di un accordo misto da parte dell’Unione e degli Stati membri non implica affatto che questi ultimi esercitino competenze dell’Unione o che l’Unione eserciti competenze di detti Stati, ma che ciascuna di queste parti agisce esclusivamente nell’ambito delle sue competenze, fatta salva la facoltà per il Consiglio, ricordata nel punto 248 del presente parere, di decidere che l’Unione da sola eserciti una competenza che condivide con gli Stati membri nel settore d’intervento in questione, purché la maggioranza richiesta a tal fine sia raggiunta in seno al Consiglio.

260    Ciò avviene anche quando gli Stati membri decidono di non concludere un accordo misto che l’Unione decide di concludere, sulla base delle sole competenze attribuitele.

261    Per quanto riguarda la Convenzione di Istanbul, come hanno sostenuto la Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, il Regno di Spagna, la Repubblica d’Austria e la Commissione e come ha notato l’avvocato generale nel paragrafo 217 delle sue conclusioni, il carattere limitato delle competenze dell’Unione è noto al Consiglio d’Europa, per cui non c’è motivo di presumere che l’articolo 75 di tale convenzione, quando afferma che essa è aperta alla firma, tra l’altro e specificamente, dell’«Unione europea», preveda un’adesione dell’Unione che ecceda le sue competenze.

262    A questo proposito, la Corte ha avuto occasione di rilevare che, mediante la scelta delle basi giuridiche a fondamento della decisione sulla conclusione di un accordo internazionale, l’Unione fornisce anche indicazioni all’attenzione degli altri partecipanti a un tale accordo per quanto riguarda, anzitutto, la portata giuridica di tale decisione, in seguito, l’ampiezza delle competenze dell’Unione riguardo a detto accordo e, infine, la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri; detta ripartizione dev’essere tenuta in conto anche in fase di attuazione dell’accordo a livello dell’Unione [v., in tal senso, sentenze del 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio, C‑94/03, EU:C:2006:2, punto 55; del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio, C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 49, e del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (CMR-15), C‑687/15, EU:C:2017:803, punto 58].

263    Inoltre, come è stato sottolineato, durante l’udienza dinanzi alla Corte, dal Regno del Belgio, dalla Repubblica ceca, dall’Irlanda, dalla Repubblica ellenica, dalla Repubblica d’Austria, dalla Repubblica di Finlandia, dal Parlamento e dalla Commissione, non sembra escluso che il Consiglio e il Parlamento possano scegliere di depositare una dichiarazione sulle competenze dell’Unione al momento della sua adesione alla Convenzione di Istanbul, la quale permetterebbe, se del caso, di precisare ancora meglio, a titolo indicativo, i limiti delle sue competenze.

264    Di conseguenza, nell’ambito del presente procedimento non è stato assolutamente dimostrato che la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, in assenza di un «comune accordo» degli Stati membri ad essere vincolati da tale convenzione nei settori di loro competenza, sia di natura tale da invadere detta competenza.

265    In secondo luogo, lo stesso vale per l’argomentazione, in particolare della Repubblica di Bulgaria, dell’Ungheria e della Repubblica slovacca, secondo cui una tale adesione dell’Unione comporterebbe una violazione, da parte di quest’ultima del suo obbligo di leale cooperazione e di quello, enunciato dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, inerente alle loro strutture politiche e costituzionali fondamentali, in quanto potrebbe implicare che questi Stati membri, per garantire il rispetto degli impegni internazionali dell’Unione, debbano attuare misure contrarie alle loro costituzioni.

266    Infatti, è giocoforza constatare che, con questo argomento, detti Stati membri cercano di mettere in discussione la compatibilità della conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul con gli obblighi dell’Unione ricordati nel punto precedente. Ebbene, un’eventuale incompatibilità di una tale conclusione con i suddetti obblighi potrebbe essere accertata solo dopo un esame preciso degli obblighi eventualmente assunti dall’Unione in seguito alla conclusione della Convenzione di Istanbul, il che non è oggetto della presente domanda di parere ed esula pertanto dall’ambito del presente procedimento.

267    In terzo luogo, la Repubblica francese e il Consiglio sostengono che la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul in assenza di un «comune accordo» degli Stati membri ad essere vincolati da tale convenzione nei settori di loro competenza non sarebbe compatibile con l’autonomia del diritto dell’Unione, poiché implicherebbe di trasferire all’esterno, per l’esattezza al Grevio, una questione interna dell’Unione relativa alla ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.

268    Vero è che la Corte ha già dichiarato che può essere incompatibile con i trattati il fatto di affidare a un giudice internazionale il compito di valutare le norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i suoi Stati membri, nonché i criteri di imputazione degli atti o delle omissioni di questi ultimi, al fine di adottare una decisione definitiva al riguardo che vincoli sia gli Stati membri sia l’Unione [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punti 224, 231 e 234]. Tuttavia, è importante notare che la Corte ha formulato questa constatazione specificamente in relazione a decisioni di un tribunale internazionale da considerare definitive e vincolanti per l’Unione e i suoi Stati membri, e nel contesto di un esame dettagliato sulla compatibilità sostanziale dell’accordo previsto con i trattati, considerando l’ipotesi in cui sia l’Unione sia tutti i suoi Stati membri sarebbero vincolati dall’accordo in questione.

269    Ne consegue che decidere se, come sostengono la Repubblica francese e il Consiglio, una tale constatazione possa essere estesa a un’ipotesi in cui, da un lato, l’Unione, ma non uno dei suoi Stati membri, sia vincolata dalla Convenzione di Istanbul e, dall’altro, intervenga un organismo quale il Grevio, che ha le competenze illustrate nel punto 35 del presente parere, richiede un esame preciso della compatibilità sostanziale della Convenzione di Istanbul con i trattati, che non è oggetto della presente domanda di parere e non rientra quindi nell’ambito della presente procedura.

270    In quarto luogo, la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, l’Ungheria e il Consiglio ritengono che la piena attuazione degli impegni internazionali che l’Unione assumerebbe con la conclusione della Convenzione di Istanbul sarà possibile, in diritto e in fatto, solo quando tutti gli Stati membri parteciperanno a questi impegni e ne deducono che, in mancanza del «comune accordo» degli Stati membri, l’Unione non sarebbe in grado di garantire la corretta esecuzione dei suoi impegni, che riguarderebbero l’insieme di tale convenzione, per cui sarebbe esposta al rischio che la sua responsabilità internazionale sia chiamata in causa per un’azione o un’omissione riguardo alle quali non le sarebbe riconosciuta nessuna competenza.

271    A tal proposito, vero è che, secondo una giurisprudenza consolidata, quando l’Unione decide di esercitare le proprie competenze, un tale esercizio deve rispettare il diritto internazionale [sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico), C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 127 e giurisprudenza ivi citata].

272    Tuttavia, dai termini stessi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE si evince che la procedura di parere riguarda la compatibilità con i trattati di accordi internazionali che l’Unione intenda concludere. Ne consegue che questa procedura non riguarda la compatibilità con il diritto internazionale pubblico della conclusione, da parte dell’Unione, di un accordo internazionale né, pertanto, le conseguenze che possano derivare da un’eventuale futura inosservanza di tale diritto nell’attuazione di un siffatto accordo. In particolare, la sussistenza di un’eventuale responsabilità internazionale dell’Unione nella fase di attuazione della Convenzione di Istanbul, dovuta al fatto che essa non garantirebbe la corretta esecuzione dei suoi impegni, non sarebbe di per sé atta a rimettere in discussione la validità della decisione con cui il Consiglio ha concluso tale convenzione a nome dell’Unione.

273    Inoltre, nei punti 258 e 264 del presente parere è stato osservato che non è stato dimostrato che l’Unione, concludendo la Convenzione di Istanbul in assenza di un «comune accordo» degli Stati membri, si impegnerebbe ad essere vincolata da tale convenzione in materie che rientrano nelle loro competenze e che eccedono le proprie.

274    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione che, fermo restando il pieno rispetto, in ogni momento, delle prescrizioni di cui all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, i trattati non vietano al Consiglio, agendo conformemente al suo regolamento interno, di attendere, prima di adottare la decisione recante conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, il «comune accordo» degli Stati membri a essere vincolati da tale convenzione nelle materie della stessa che rientrano nelle loro competenze. Viceversa, essi gli vietano di aggiungere una fase supplementare alla procedura di conclusione prevista da tale articolo, subordinando l’adozione della decisione sulla conclusione di detta convenzione al previo accertamento di un tale «comune accordo».

C.      Sulle basi giuridiche appropriate per la conclusione della Convenzione di Istanbul

275    Con la sua prima questione, lettera a), il Parlamento chiede, in sostanza, se le basi giuridiche appropriate per l’adozione dell’atto del Consiglio recante conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione siano gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE o se tale atto debba essere basato sugli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE.

276    Tenuto conto degli argomenti dedotti dalle parti in causa nell’ambito della prima questione, lettera a), è necessario innanzitutto chiarire lo scopo e la portata dell’esame da effettuare per rispondere a detta questione.

277    Come osservato nei punti da 234 a 239 del presente parere, secondo l’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, la decisione recante conclusione della Convenzione di Istanbul dev’essere adottata dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento.

278    Di conseguenza, nei limiti delle questioni sollevate nella presente domanda di parere, spetta in primo luogo al Consiglio e al Parlamento precisare alla Corte la portata dell’«accordo previsto», ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, oggetto del presente procedimento e alla luce del quale dev’essere valutata la base giuridica sulla quale dovrà eventualmente fondarsi l’atto del Consiglio recante conclusione di tale accordo a nome dell’Unione.

279    A questo proposito, è pacifico, innanzitutto, che né il Consiglio né il Parlamento prevedono l’adesione dell’Unione a quelle parti della Convenzione di Istanbul che non sono di competenza dell’Unione.

280    Inoltre, sebbene il Consiglio abbia rilevato di voler limitare l’adesione dell’Unione a tale convenzione alle sole materie di quest’ultima per le quali essa dispone di competenze esterne esclusive e che le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 rifletterebbero le basi giuridiche che esso ha individuato a tale riguardo, occorre rilevare che la prima questione, lettera a), della domanda di parere non presenta una tale limitazione, poiché il Parlamento postula, in tal sede, la conclusione di detta convenzione sul fondamento delle basi giuridiche menzionate in tale questione, indipendentemente dal fatto che risulti che l’Unione abbia o meno una competenza esclusiva a tale titolo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

281    Infine, quanto al fatto che il Parlamento e la Commissione fanno riferimento alla possibilità di aderire alla Convenzione di Istanbul per tutte le parti di questa convenzione che rientrano nelle competenze dell’Unione, il Consiglio ha sostenuto che non sarebbe stato possibile raggiungere al suo interno la maggioranza richiesta per tale adesione. Ne consegue che una siffatta adesione appare, in questa fase, ipotetica e non può quindi servire da riferimento per definire l’«accordo previsto» alla luce del quale occorre rispondere alla prima questione, lettera a), della domanda di parere.

282    Ciò premesso, spetta alla Corte esaminare la prima questione, lettera a), della domanda di parere partendo dal presupposto che la portata dell’«accordo previsto», ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, sia definita dai termini di tale questione e dal contenuto delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866.

283    Per quanto riguarda il fatto che la Commissione e diversi Stati membri sostengono che tale accordo previsto, che implica un’adesione parziale dell’Unione, limitata solo ad alcune delle sue competenze, alla Convenzione di Istanbul, sarebbe contrario agli obiettivi e ai termini stessi di tale convenzione, in particolare al suo articolo 78, si è già ricordato, nel punto 272 del presente parere, che la procedura di parere riguarda la compatibilità di un accordo previsto con i trattati e non la compatibilità di un tale accordo con il diritto internazionale pubblico, in particolare per quanto riguarda le condizioni stabilite dall’accordo riguardo all’adesione allo stesso.

284    Secondo costante giurisprudenza della Corte, la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione, compreso quello adottato per la conclusione di un accordo internazionale, deve basarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano il contesto, lo scopo e il contenuto di tale atto [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 76; sentenze del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 36, nonché del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico), C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 76].

285    Se l’esame di un atto dell’Unione dimostra che esso persegue una duplice finalità o che possiede una duplice componente, e se una di tali finalità o componenti è identificabile come principale mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o dalla componente principale o preponderante. In via eccezionale, qualora sia dimostrato, viceversa, che l’atto persegue contemporaneamente più finalità o ha più componenti tra loro inscindibili, senza che l’una sia accessoria rispetto all’altra, di modo che siano applicabili diverse disposizioni dei trattati, una siffatta misura deve fondarsi sulle diverse basi giuridiche corrispondenti [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 77, e sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 37].

286    Per quanto concerne, in particolare, un accordo internazionale che persegua diverse finalità o abbia diverse componenti, occorre verificare, quindi, se le disposizioni di quest’accordo che perseguono una finalità o che costituiscono una componente di tale accordo siano il corollario indispensabile del carattere effettivo delle disposizioni di detto accordo che perseguono altre finalità o costituiscono altre componenti, oppure se esse rivestano una «portata estremamente limitata» [v., in tal senso, parere 1/08 (Accordi di modifica degli elenchi di impegni specifici ai sensi del GATS), del 30 novembre 2009, EU:C:2009:739, punto 166]. Infatti, in entrambi questi casi, l’esistenza di tale finalità o componente non giustifica che essa si rifletta specificamente nella base giuridica sostanziale della decisione recante la firma o la conclusione di tale accordo a nome dell’Unione.

287    Inoltre, tra i criteri che consentono di individuare il carattere accessorio, o meno, di una finalità o di una componente di un atto rientrano il numero di disposizioni ad essa dedicate rispetto al complesso delle disposizioni di tale atto nonché il tenore e la portata degli obblighi enunciati da queste disposizioni [v., in tal senso, sentenze dell’11 giugno 2014, Commissione/Consiglio, C‑377/12, EU:C:2014:1903, punto 56, nonché del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punti 44 e 45].

288    Tuttavia, il ricorso a una doppia base giuridica è precluso quando le procedure previste per l’una e l’altra di tali basi sono incompatibili [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 78].

289    Nel caso di specie, per quanto riguarda il contesto dell’atto di conclusione dell’accordo previsto, quale individuato nel punto 282 del presente parere, risulta dai considerando da 1 a 3 delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 che l’Unione ha partecipato, in qualità di osservatore, insieme agli Stati membri, ai negoziati per la Convenzione di Istanbul, che quest’ultima, in virtù del suo articolo 75, è aperta alla firma dell’Unione e che essa stabilisce un quadro giuridico completo e multiforme per tutelare le donne contro tutte le forme di violenza. A quest’ultimo riguardo, si specifica che questa convenzione:

–        mira a prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e le ragazze e la violenza domestica;

–        contempla una vasta gamma di misure, dalla raccolta dei dati e dalla sensibilizzazione alle misure legali per qualificare come reati diverse forme di violenza contro le donne;

–        comprende, in particolare, misure per la protezione delle vittime e la messa a disposizione di servizi di sostegno;

–        affronta la dimensione della violenza di genere in materia di asilo ed emigrazione; e

–        istituisce uno specifico meccanismo di controllo per garantire l’attuazione efficace delle sue disposizioni a opera delle parti.

290    Quest’analisi è corroborata dal contenuto della Convenzione di Istanbul, quale riassunto nei punti da 15 a 40 del presente parere.

291    Per quanto riguarda la finalità dell’atto di conclusione dell’accordo previsto, i considerando 4 delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 affermano che la conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul:

–        contribuirà alla realizzazione della parità tra uomini e donne in tutti gli ambiti, quale valore e obiettivo fondamentale dell’Unione che quest’ultima deve perseguire in tutte le sue attività, ai sensi degli articoli 2 e 3 TUE, dell’articolo 8 TFUE e dell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali; e

–        permetterà all’Unione di confermare il proprio impegno a combattere la violenza contro le donne nel proprio territorio e a livello globale, e rafforzare l’attuale azione politica e il quadro giuridico sostanziale esistente nel settore del diritto processuale penale, che è di particolare importanza per le donne e le ragazze.

292    Ebbene, dai considerando 6 e 7 di tali decisioni sulla firma risulta che l’atto di conclusione dell’accordo previsto cercherà di realizzare tali obiettivi trasversali solo per quanto riguarda le disposizioni della Convenzione di Istanbul che, nel contempo, ricadono nella competenza dell’Unione e riguardano, anzitutto, la cooperazione giudiziaria in materia penale, in seguito, l’asilo e il non respingimento e, infine, le istituzioni e la pubblica amministrazione dell’Unione. Sebbene gli articoli 1 delle suddette decisioni sulla firma non facciano riferimento a quest’ultima parte, relativa alle istituzioni e all’amministrazione pubblica dell’Unione, il Consiglio ha precisato tuttavia, in risposta a un quesito della Corte, che si prevede tuttora che l’atto di conclusione di questa convenzione verta su tale parte.

293    Questa finalità limitata dell’atto di conclusione dell’accordo previsto è corroborata dalla base giuridica sostanziale cui fanno riferimento sia le decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, ossia l’articolo 78, paragrafo 2, l’articolo 82, paragrafo 2, e l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, sia la prima questione, lettera a), della domanda di parere, che fa riferimento a queste stesse disposizioni nonché all’articolo 84 TFUE.

294    Occorre quindi assumere come premessa per il ragionamento in risposta alla prima questione, lettera a), della domanda di parere che il contenuto dell’atto di conclusione dell’accordo previsto riguarderà le disposizioni della Convenzione di Istanbul che siano collegate alla cooperazione giudiziaria in materia penale, all’asilo e al non respingimento e agli obblighi incombenti alle istituzioni e alla pubblica amministrazione dell’Unione, se e in quanto dette disposizioni rientrino nella competenza dell’Unione (in prosieguo: la «parte della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto»).

295    Per quanto riguarda, in primo luogo, la cooperazione giudiziaria in materia penale, occorre ricordare che gli articoli 44, 47 e 48 del capitolo V, gli articoli 49, 50 e da 54 a 58 del capitolo VI e gli articoli da 62 a 65 del capitolo VIII della Convenzione di Istanbul, come risulta, segnatamente, dalla sintesi di tali capitoli contenuta nei punti da 25 a 29, 33 e 34 del presente parere, riguardano la competenza territoriale per il perseguimento dei reati previsti da detta convenzione, la presa in considerazione delle condanne pronunciate sul territorio di un’altra parte contraente, il divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, la necessità di indagini, azioni penali e procedimenti giudiziari efficaci e rapidi, eventualmente d’ufficio o ex parte, tenendo sempre conto dei diritti della vittima, la fornitura di protezione, informazione, assistenza e aiuto legale adeguati alle vittime, le prove ammissibili, il diritto della vittima di essere ascoltata e la protezione dei testimoni, la prescrizione dei reati, la cooperazione in materia penale allo scopo di prevenire, combattere e perseguire tutte le forme di violenza, proteggere e assistere le vittime, condurre indagini o procedimenti per i reati ed eseguire le sentenze penali, la possibilità per le vittime di un reato commesso sul territorio di una parte contraente di presentare una denuncia alle autorità competenti del loro Stato di residenza, l’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale, l’estradizione o l’esecuzione di sentenze penali, la condivisione di informazioni che possano aiutare a prevenire la criminalità o ad avviare o continuare le indagini e di informazioni secondo le quali una persona rischi immediatamente di subire atti di violenza, e il rispetto della protezione dei dati personali.

296    Come ritenuto dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione, nonché da diversi Stati membri parti del presente procedimento, tali disposizioni rientrano in larga misura nella competenza dell’Unione di cui all’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, ai sensi del quale l’Unione, laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, può stabilire norme minime riguardanti, in particolare, l’ammissibilità delle prove tra gli Stati membri, i diritti delle persone nei procedimenti penali e i diritti delle vittime della criminalità. Tenuto conto del numero e della portata di queste disposizioni, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE dev’essere quindi considerato come una delle basi giuridiche dell’atto recante conclusione dell’accordo previsto.

297    In secondo luogo, gli articoli 7, 8, 10 e 11 del capitolo II, gli articoli da 12 a 16 del capitolo III, gli articoli da 18 a 28 del capitolo IV, gli articoli da 51 a 53 del capitolo VI e gli articoli 62 e 63 del capitolo VIII della Convenzione di Istanbul obbligano le parti contraenti, tra l’altro, ad attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate per prevenire e combattere ogni forma di violenza, ad assegnare risorse finanziarie e umane appropriate, a designare organismi ufficiali responsabili del coordinamento, dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche, a raccogliere dati statistici, a sostenere la ricerca sulle cause profonde della violenza e sui loro effetti, la loro frequenza e le percentuali di condanne, a promuovere cambiamenti per sradicare tutte le pratiche basate sull’idea di un’inferiorità delle donne o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, a prevenire ogni forma di violenza coperta da questa convenzione, a mettere al centro delle loro misure i bisogni specifici delle persone vulnerabili e delle vittime, a vigilare affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto «onore» non siano considerati come giustificazioni degli atti di violenza, a condurre programmi di sensibilizzazione, a stabilire programmi volti a insegnare agli autori di violenze domestiche ad adottare un comportamento non violento, a prendere le misure necessarie per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza, compresi i meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, le informazioni adeguate e tempestive sui servizi di sostegno e sulle misure legali disponibili, la consulenza legale e psicologica, l’assistenza finanziaria, i servizi sanitari e sociali, le informazioni sui meccanismi di denuncia individuale/collettiva, i rifugi adeguati, facilmente accessibili e in numero sufficiente, le linee telefoniche gratuite, centri di prima assistenza per le vittime di stupro e di violenza sessuale, consulenza psicosociale adattata all’età dei bambini testimoni di violenze, a prevedere le misure necessarie a garantire che le norme sulla riservatezza non costituiscano un ostacolo alla segnalazione di un grave atto di violenza commesso o temuto, a prevedere misure operative preventive, a effettuare una valutazione dei rischi per le vittime, a consentire l’adozione di ordinanze di divieto e di ingiunzione, a prevedere una protezione, informazione, assistenza e patrocinio legale adeguati per le vittime, a garantire la cooperazione in materia penale allo scopo di prevenire, combattere e perseguire tutte le forme di violenza, a proteggere e assistere le vittime, a condurre indagini o procedere penalmente per i reati e ad applicare le sentenze penali, a prevedere la condivisione di informazioni che possano aiutare nella prevenzione dei reati o nell’avvio o nel proseguimento delle indagini nonché di informazioni secondo le quali una persona è a rischio immediato di subire atti di violenza.

298    Obblighi di tal genere rientrano, come sostengono, in particolare, il Parlamento e la Commissione, in larga misura nell’ambito della prevenzione della criminalità, per la quale l’articolo 84 TFUE conferisce all’Unione il potere di stabilire misure per incoraggiare e sostenere l’azione degli Stati membri. Tenuto conto del numero e della portata delle disposizioni di cui al punto precedente che, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 158 delle sue conclusioni, comprendono obblighi ampiamente autonomi rispetto a quelli riassunti nel punto 295 del presente parere, occorre considerare che questa parte dell’accordo previsto non è puramente accessoria a questi ultimi obblighi e non presenta una portata «estremamente limitata». Da ciò consegue che anche l’articolo 84 TFUE dovrebbe essere incluso tra le basi giuridiche dell’atto recante conclusione dell’accordo previsto.

299    In terzo luogo, gli articoli da 33 a 43 del capitolo V della Convenzione di Istanbul riguardano, in particolare, l’impegno delle parti contraenti a istituire, come reati penali, punibili con pene efficaci, proporzionate e dissuasive, la commissione, il tentativo, la complicità e il favoreggiamento di attentati all’integrità psicologica di una persona mediante coercizione o minacce, comportamenti minacciosi nei confronti di un’altra persona, che la portino a temere per la propria incolumità, atti di violenza fisica, atti di natura sessuale non consensuali, l’atto di costringere un adulto o un bambino a contrarre matrimonio, l’escissione, l’infibulazione o qualsiasi altra mutilazione degli organi genitali di una donna, l’aborto su una donna senza il suo preliminare consenso, interventi chirurgici che interrompano la capacità riproduttiva di una donna senza il suo consenso e qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, che violi la dignità di una persona, in particolare quando crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

300    A questo proposito, l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE conferisce all’Unione la competenza a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel campo, in particolare, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento sessuale di donne e minori.

301    Ebbene come, segnatamente, la Commissione ha argomentato e l’avvocato generale ha sottolineato nel paragrafo 155 delle sue conclusioni, la sovrapposizione tra, da un lato, gli obblighi previsti dalla Convenzione di Istanbul, quali elencati nel punto 299 del presente parere e, dall’altro, il campo d’azione attribuito all’Unione ai sensi dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, è così puntuale che gli obblighi contenuti in questa parte di detta convenzione, che rientrano in tale ambito d’azione, devono essere considerati di importanza «estremamente limitata» per l’Unione e che, di conseguenza, tale disposizione non dev’essere inclusa tra le basi giuridiche dell’atto recante conclusione dell’accordo previsto.

302    In secondo luogo, per quanto riguarda l’asilo e il non-respingimento, di cui al capitolo VII della Convenzione di Istanbul, dalla sintesi degli articoli da 59 a 61 di tale convenzione, riportata nei punti da 30 a 32 del presente parere, risulta che tali disposizioni stabiliscono, in sostanza, obblighi relativi alla concessione di permessi di soggiorno autonomi e rinnovabili, al recupero dello status di residente perso a seguito di matrimonio forzato, alla sospensione delle procedure di espulsione, al riconoscimento di una protezione sussidiaria, all’applicazione di un’interpretazione sensibile al genere di ciascuno dei motivi di riconoscimento dello status di rifugiato previsti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, (Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150) e al divieto di respingimento in determinate circostanze.

303    Come è pacifico tra i partecipanti al presente procedimento, tali obblighi rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

304    Come rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi da 160 a 162 delle sue conclusioni, sebbene la Convenzione di Istanbul contenga solo tre articoli relativi alle questioni menzionate nel punto 302 del presente parere, tali articoli costituiscono un capitolo separato di detta convenzione e prevedono obblighi precisi e sostanziali che impongono, se del caso, l’adeguamento della legislazione delle parti contraenti in tali materie. Alla luce di ciò, tale aspetto non può essere considerato accessorio o di portata «estremamente limitata», ai sensi della giurisprudenza citata nei punti 285 e 286 del presente parere, cosicché l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE dovrebbe essere incluso tra le basi giuridiche dell’atto di conclusione dell’accordo previsto.

305    In terzo luogo, è pacifico, anzitutto, che una parte significativa degli obblighi relativi all’adozione di misure preventive, imposti dagli articoli 7, 8, 10 e 11 del capitolo II, dagli articoli da 12 a 16 del capitolo III, dagli articoli da 18 a 28 del capitolo IV, dagli articoli da 51 a 53 del capitolo VI e dagli articoli 62 e 63 del capitolo VIII della Convenzione di Istanbul, quali riassunti nel punto 297 del presente parere, sarebbero, in sostanza, vincolanti per l’Unione anche nei confronti del personale della sua amministrazione e del pubblico che visita i locali e gli edifici delle sue istituzioni, organi e organismi. Lo stesso varrebbe, poi, per un certo numero di obblighi derivanti dagli articoli 49, 50 e 56 del capitolo VI e dagli articoli da 63 a 65 del capitolo VIII della stessa convenzione, quali riassunti nel punto 295 del presente parere. Infine, sembra che ulteriori obblighi, come quelli previsti dall’articolo 30 della Convenzione di Istanbul, relativi al pagamento di un adeguato risarcimento alle vittime di violenza, possano essere imposti all’Unione in relazione specificamente alla sua amministrazione pubblica.

306    Come previsto, in sostanza, dal Consiglio nei considerando 7 delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, obblighi di tal genere rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 336 TFUE.

307    Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale nel paragrafo 164 delle sue conclusioni, a differenza delle materie coperte dall’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e dall’articolo 84 TFUE, nel caso della sua pubblica amministrazione, l’Unione non dovrebbe limitarsi a stabilire prescrizioni minime o misure di sostegno, ma dovrebbe garantire essa stessa il pieno rispetto degli obblighi descritti nel punto 305 del presente parere.

308    Ne consegue che, tenuto conto del numero di disposizioni interessate e della portata degli obblighi che l’Unione dovrebbe assumere nei confronti della sua pubblica amministrazione, nonché del numero limitato di materie oggetto dell’accordo previsto, questa componente dell’accordo previsto non è di natura puramente accessoria o di portata «estremamente limitata» e che l’articolo 336 TFUE dovrebbe essere incluso pertanto tra le basi giuridiche dell’atto recante conclusione di tale accordo.

309    In quarto luogo, per quanto riguarda gli obblighi dell’Unione derivanti dagli articoli da 66 a 70 del capitolo IX e dall’articolo 74 del capitolo XII della Convenzione di Istanbul, relativi al meccanismo di controllo e alla risoluzione delle controversie, è sufficiente ricordare che la competenza dell’Unione ad assumere impegni internazionali comprende la competenza a prevedere disposizioni istituzionali in accordo a tali impegni. La loro presenza nell’accordo è irrilevante riguardo alla natura della competenza a concludere quest’ultimo. Infatti, tali disposizioni hanno carattere ausiliario e rientrano quindi nell’ambito delle stesse competenze in cui ricadono le disposizioni sostanziali che esse accompagnano [v., in tal senso, parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017, EU:C:2017:376, punto 276 e giurisprudenza ivi citata].

310    Occorre inoltre sottolineare, come fa l’avvocato generale nel paragrafo 165 delle sue conclusioni, che il cumulo delle basi giuridiche appropriate individuate nel presente parere non è in contrasto con la giurisprudenza menzionata nel punto 288 del presente parere, poiché la procedura di adozione della decisione recante conclusione dell’accordo previsto è la stessa, ai sensi dell’articolo 218 TFUE, per l’insieme di queste basi giuridiche, le quali prevedono tutte il ricorso, a livello interno, alla procedura legislativa ordinaria.

311    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione, lettera a), della domanda di parere dichiarando che la base giuridica sostanziale appropriata per l’adozione dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, è costituita dall’articolo 78, paragrafo 2, dall’articolo 82, paragrafo 2, nonché dagli articoli 84 e 336 TFUE.

D.      Sulla scissione dell’atto di conclusione della Convenzione di Istanbul in due distinte decisioni

312    Alla luce delle constatazioni fatte nei punti 228 e 294 del presente parere, si deve considerare che, con la prima questione, lettera b), della domanda di parere, il Parlamento chiede, in sostanza, se sia necessario o possibile dividere in due distinte decisioni l’atto di conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto.

313    Come risulta dalla domanda di parere e dalle osservazioni presentate alla Corte, tale questione è connessa all’applicabilità del protocollo n. 21 per quanto riguarda l’Irlanda, a causa dell’individuazione, tra gli altri, dell’articolo 78, paragrafo 2, dell’articolo 82, paragrafo 2, e dell’articolo 84 TFUE, contenuti nel titolo V della terza parte del trattato FUE, quali basi giuridiche appropriate per la conclusione di detto accordo. Peraltro, anche se la Repubblica di Bulgaria ha sottolineato la potenziale rilevanza anche del protocollo n. 22 per la suddetta questione, il Consiglio ha sostenuto che l’applicazione di tale protocollo non ha comportato particolari difficoltà nel caso di specie.

314    Per quanto concerne il protocollo n. 21, dalle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866 risulta che, sulla base di detto protocollo, l’Irlanda intendeva, in effetti, non partecipare alla conclusione, da parte dell’Unione, della parte della Convenzione di Istanbul relativa all’asilo e al non respingimento, pur partecipando alla conclusione delle altre parti di tale convenzione.

315    Come risulta dal considerando 10 della decisione sulla firma 2017/865 e dalle argomentazioni dell’Irlanda e del Consiglio, questa distinzione tra questi diverse parti della Convenzione di Istanbul si basa sul fatto che l’Irlanda è vincolata dalle direttive 2011/36 e 2011/93, mentre non è vincolata dalle direttive 2011/95 e 2013/32.

316    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo l’articolo 1 del protocollo n. 21, l’Irlanda «non [partecipa] all’adozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma della parte terza, titolo V del trattato [FUE]».

317    Ai sensi dell’articolo 2 di tale protocollo, «nessuna delle disposizioni della parte terza, titolo V del trattato [FUE], nessuna misura adottata a norma di detto titolo, nessuna disposizione di accordi internazionali conclusi dall’Unione a norma di detto titolo e nessuna decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione di tali disposizioni o misure è vincolante» per l’Irlanda «o applicabile» nei suoi confronti e «nessuna di tali disposizioni, misure o decisioni pregiudica in alcun modo le competenze, i diritti e gli obblighi» di detto Stato membro. Inoltre, nessuna di tali disposizioni, misure o decisioni «pregiudica in alcun modo l’acquis comunitario e quello dell’Unione né costituisce parte del diritto dell’Unione, quali applicabili» a tale Stato membro.

318    Ai sensi dell’articolo 3 di tale protocollo, tuttavia, l’Irlanda può «notificare (...) che [desidera] partecipare all’adozione ed applicazione di una delle misure proposte; una volta effettuata detta notifica, tal[e] Stat[o è] abilitato a partecipare».

319    Ai sensi dell’articolo 4 del protocollo n. 21, «l’Irlanda può, in qualsiasi momento dopo l’adozione di una misura da parte del Consiglio a norma della parte terza, titolo V del trattato [FUE], notificare (...) la [propria] intenzione di accettarla».

320    L’articolo 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21 precisa che le disposizioni di quest’ultimo «si applicano, per (...) l’Irlanda, anche alle misure proposte o adottate a norma della parte terza, titolo V del trattato [FUE] per modificare una misura in vigore vincolante per tal[e] paes[e]».

321    Ebbene, come rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi da 186 a 189 delle sue conclusioni, dagli articoli da 1 a 4 bis del protocollo n. 21 risulta che non si può ritenere che la partecipazione dell’Irlanda alle direttive 2011/36 e 2011/93 implichi automaticamente che tale Stato membro sia obbligato a partecipare alla conclusione, da parte dell’Unione, delle parti corrispondenti della Convenzione di Istanbul. Infatti, fatta salva la procedura prevista all’articolo 4 bis, paragrafo 2, di tale protocollo, la cui applicazione non è prevista nel presente procedimento, tali disposizioni precisano inequivocabilmente che, a meno che essa non notifichi la propria intenzione di partecipare all’adozione e all’applicazione della misura proposta, l’Irlanda non partecipa né alle misure originarie rientranti nella terza parte, titolo V, del trattato FUE né alle misure, rientranti nel medesimo titolo, che modificano una misura in vigore, vincolante nei suoi confronti.

322    Quest’interpretazione è corroborata da una lettura sistematica del protocollo n. 21, da cui risulta che l’articolo 2 di quest’ultimo non può essere letto o applicato separatamente dall’articolo 1 del medesimo. Infatti, la norma, prevista da detto articolo 2, secondo cui l’Irlanda non è vincolata, in forza del summenzionato articolo 1 e fatti salvi gli articoli 3, 4 e 6 del citato protocollo, dalle misure, disposizioni e decisioni ivi contemplate, è intrinsecamente connessa a quella, prevista dallo stesso articolo 1, secondo la quale tale Stato membro non partecipa all’adozione delle misure rientranti nel titolo V della terza parte del trattato FUE, cosicché queste due norme non possono comprendersi l’una senza l’altra [v., per analogia, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punti 115 e 116].

323    Pertanto, sarebbe contrario allo scopo perseguito dal protocollo n. 21 sia consentire all’Irlanda di partecipare all’adozione di un atto dell’Unione senza essere vincolata da tale atto, sia ammettere che detto Stato membro sia vincolato da detto atto senza aver partecipato alla sua adozione [v., in tal senso e per analogia, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 116].

324    La Corte ha affermato parimenti che il protocollo n. 21 non è tale da incidere in alcun modo sulla questione della base giuridica adeguata per l’adozione della decisione in questione [parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017,EU:C:2017:592, punto 108].

325    Infatti, la regola enucleata dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui è la base giuridica sostanziale di un atto quella che determina le procedure da seguire per la sua adozione, si applica non solo alle procedure previste per l’adozione di un atto interno, ma anche a quelle applicabili alla conclusione di accordi internazionali (sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio, C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 57).

326    Di conseguenza, le basi giuridiche appropriate per la conclusione dell’accordo previsto determinano l’applicabilità dell’articolo 1 del protocollo n. 21 e, in virtù di tale disposizione, la partecipazione o meno dell’Irlanda all’adozione dell’atto di conclusione di tale accordo determina, a sua volta, ai sensi dell’articolo 2 di detto protocollo, se tale atto di conclusione sia destinato a vincolare o meno detto Stato membro e, di conseguenza, a rendere o meno applicabili nei suoi confronti le disposizioni della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto.

327    Questi nessi intrinseci tra gli articoli 1 e 2 del protocollo n. 21 e il fatto che nessuna delle disposizioni di detto protocollo preveda la partecipazione parziale a una misura escludono la partecipazione selettiva a una stessa misura oggetto dei suddetti articoli. Ciò è corroborato dalla formulazione dell’articolo 3 di tale protocollo, che prevede solo la possibilità per l’Irlanda di notificare la sua volontà di partecipare all’adozione e all’attuazione della «misur[a] propost[a]».

328    Da ciò consegue che il protocollo n. 21 non autorizza una scissione in due decisioni dell’atto di conclusione dell’accordo previsto al fine di consentire all’Irlanda di partecipare all’adozione di una delle due decisioni, ma non all’altra, persino laddove, come nel caso delle decisioni sulla firma 2017/865 e 2017/866, ciascuna delle decisioni sulla conclusione verta su misure rientranti nella terza parte, titolo V, del trattato FUE, che ricadono pertanto nell’ambito di applicazione di tale protocollo.

329    Una tale scissione in due o più decisioni di un atto di conclusione di un accordo previsto potrebbe porsi del resto in contrasto sia con la giurisprudenza citata nei punti da 285 a 287 del presente parere, sia con i termini dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ai sensi del quale le istituzioni devono agire, in particolare, nel rispetto delle procedure, condizioni e finalità previste dai trattati, nonché con la giurisprudenza di cui al punto 232 del presente parere, secondo la quale le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione sono stabilite dai trattati e non sono a disposizione né degli Stati membri, né delle stesse istituzioni.

330    Ciò premesso, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 182 delle sue conclusioni, se è accertato che l’atto di conclusione di un accordo internazionale persegue più obiettivi o comporta più elementi indissolubilmente collegati, senza che l’uno sia considerato accessorio rispetto all’altro, di modo che a tale atto sono applicabili basi giuridiche diverse, una differenza nelle norme in materia di voto in seno al Consiglio può comportare l’incompatibilità di dette basi giuridiche [v., in tal senso, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 109].

331    Ebbene, in una simile ipotesi, può rivelarsi necessario adottare due o più decisioni al fine di adottare un atto di conclusione di un accordo internazionale previsto [v., in tal senso, sentenza del 2 settembre 2021, Commissione/Consiglio (Accordo con l’Armenia), C‑180/20, EU:C:2021:658, punto 40].

332    Da ciò discende che possono sussistere situazioni in cui si manifesti una necessità oggettiva di scindere un atto di conclusione di un accordo previsto in due o più decisioni.

333    Ciò può avvenire, in particolare, se una tale scissione mira a tener conto del fatto che l’Irlanda non partecipa alle misure previste dalla conclusione di un accordo internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione del protocollo n. 21, laddove altre misure previste dalla stessa conclusione non vi rientrano.

334    Ciò può avvenire anche nel caso in cui una siffatta scissione miri a tener conto del fatto che il Regno di Danimarca non partecipa alle misure previste dalla conclusione di un accordo internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione del protocollo n. 22, laddove altre misure previste dalla stessa conclusione non rientrano in tale ambito.

335    A questo proposito, occorre ricordare che l’obiettivo del protocollo n. 22 mira, come si evince dai commi dal terzo al quinto del suo preambolo, a istituire un quadro giuridico nell’ambito del quale gli Stati membri possano sviluppare ulteriormente la loro cooperazione nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia adottando, senza la partecipazione del Regno di Danimarca, misure che non siano vincolanti per tale Stato membro, offrendo nel contempo a quest’ultimo la possibilità di partecipare all’adozione di misure in questo settore e di essere vincolato dalle medesime alle condizioni stabilite dall’articolo 8 del suddetto protocollo. A tal fine, l’articolo 1, primo comma, del protocollo n. 22 dispone che il Regno di Danimarca non partecipa all’adozione, da parte del Consiglio, delle misure proposte a norma della terza parte, titolo V, del trattato FUE, mentre l’articolo 2 del medesimo protocollo prevede che il Regno di Danimarca non è vincolato da siffatte misure [v., in tal senso, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punti 111 e 112].

336    Nel caso di specie, dalla risposta data alla prima questione, lettera a), discende che tra le componenti della base giuridica sostanziale dell’atto di conclusione dell’accordo previsto, compare l’articolo 336 TFUE, che non rientra né nel titolo V della terza parte del trattato FUE né, pertanto, nell’ambito di applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22. Alla luce di ciò, si può constatare un’esigenza effettiva di scindere l’atto di conclusione di tale accordo, al fine di tener conto della circostanza che l’Irlanda o il Regno di Danimarca non partecipano a tale conclusione, nei limiti in cui essa implica l’esercizio, da parte dell’Unione, delle sue competenze esterne derivanti dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, dall’articolo 82, paragrafo 2, TFUE e dall’articolo 84 TFUE.

337    Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione, lettera b), della domanda di parere che i protocolli n. 21 e n. 22 giustificano la scissione in due distinte decisioni dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto, unicamente nella misura in cui tale scissione è volta a tener conto del fatto che l’Irlanda o il Regno di Danimarca non partecipano alle misure adottate a titolo della conclusione di detto accordo e che rientrano nel campo di applicazione di tali protocolli, considerate nel loro insieme.

VII. Risposta alla domanda di parere

338    Da tutte le considerazioni sin qui svolte risulta che:

–        fermo restando il pieno rispetto, in ogni momento, delle prescrizioni di cui all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, i trattati non vietano al Consiglio, agendo conformemente al suo regolamento interno, di attendere, prima di adottare la decisione recante conclusione, da parte dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, il «comune accordo» degli Stati membri a essere vincolati da tale convenzione nelle materie della stessa che rientrano nelle loro competenze. Viceversa, essi gli vietano di aggiungere una fase supplementare alla procedura di conclusione prevista da tale articolo, subordinando l’adozione della decisione sulla conclusione di detta convenzione al previo accertamento di un tale «comune accordo»;

–        la base giuridica sostanziale appropriata per l’adozione dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, è costituita dall’articolo 78, paragrafo 2, dall’articolo 82, paragrafo 2, nonché dagli articoli 84 e 336 TFUE;

–        i protocolli n. 21 e n. 22 giustificano la scissione in due distinte decisioni dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto, unicamente nella misura in cui tale scissione è volta a tener conto del fatto che l’Irlanda o il Regno di Danimarca non partecipano alle misure adottate a titolo della conclusione di detto accordo e che rientrano nel campo di applicazione di tali protocolli, considerate nel loro insieme.

Di conseguenza, la Corte (Grande Sezione) emette il seguente parere:

1)      Fermo restando il pieno rispetto, in ogni momento, delle prescrizioni di cui all’articolo 218, paragrafi 2, 6 e 8, TFUE, i trattati non vietano al Consiglio dell’Unione europea, agendo conformemente al suo regolamento interno, di attendere, prima di adottare la decisione recante conclusione, da parte dell’Unione europea, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), il «comune accordo» degli Stati membri a essere vincolati da tale convenzione nelle materie della stessa che rientrano nelle loro competenze. Viceversa, essi gli vietano di aggiungere una fase supplementare alla procedura di conclusione prevista da tale articolo, subordinando l’adozione della decisione sulla conclusione di detta convenzione al previo accertamento di un tale «comune accordo».

2)      La base giuridica sostanziale appropriata per l’adozione dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, è costituita dall’articolo 78, paragrafo 2, dall’articolo 82, paragrafo 2, nonché dagli articoli 84 e 336 TFUE.

3)      Il protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al trattato UE e al trattato FUE, e il protocollo (n. 22) sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato UE e al trattato FUE, giustificano la scissione in due distinte decisioni dell’atto del Consiglio recante conclusione, da parte dell’Unione, delle parti della Convenzione di Istanbul oggetto dell’accordo previsto, unicamente nella misura in cui tale scissione è volta a tener conto del fatto che l’Irlanda o il Regno di Danimarca non partecipano alle misure adottate a titolo della conclusione di detto accordo e che rientrano nel campo di applicazione di tali protocolli, considerate nel loro insieme.

Lenaerts      Silva de Lapuerta      Arabadjiev

Prechal      Vilaras      Ilešič

Bay Larsen      Kumin      Wahl

von Danwitz      Biltgen      Jürimäe

Rossi      Jarukaitis      Jääskinen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 ottobre 2021.

Il cancelliere

 

Il presidente

A. Calot Escobar

 

K. Lenaerts