Language of document : ECLI:EU:T:2011:276

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

16 giugno 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Perossido d’idrogeno e perborato di sodio – Decisione che accerta un’infrazione dell’art. 81 CE – Durata dell’infrazione – Nozioni di “accordo” e di “pratica concordata” – Accesso al fascicolo – Ammende – Comunicazione sulla cooperazione – Parità di trattamento – Legittimo affidamento – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑186/06,

Solvay SA, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata inizialmente dagli avv.ti O.W. Brouwer, D. Mes, dal sig. M. O’Regan e dalla sig.ra A. Villette, solicitors, successivamente dagli avv.ti Brouwer, A. Stoffer, dal sig. O’Regan e dalla sig.ra Villette,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dal sig. F. Arbault, successivamente dai sigg. V. Di Bucci e V. Bottka, in qualità di agenti, assistiti dalla sig.ra M. Gray, barrister,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, la domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 3 maggio 2006, C (2006) 1766 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/F/38.620 – Perossido d’idrogeno e perborato), e, dall’altro, la domanda di annullamento o riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto dai sigg. V. Vadapalas (relatore), facente funzione di presidente, A. Dittrich e L. Truchot, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 marzo 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Solvay SA, ricorrente, è una società di diritto belga che all’epoca dei fatti produceva, in particolare, perossido d’idrogeno (in prosieguo: l’«HP») e perborato di sodio (in prosieguo: il «PBS»).

2        Il 7 maggio 2002 la ricorrente ha acquisito il controllo del 100% della società Ausimont SpA (divenuta Solvay Solexis SpA), la quale, all’epoca dei fatti, era controllata al 100% dalla Montedison SpA (divenuta Edison SpA).

3        Nel novembre del 2002 la Degussa AG ha informato la Commissione delle Comunità europee dell’esistenza di un’intesa nel mercato dell’HP e del PBS e ha richiesto l’applicazione della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

4        La Degussa ha fornito alla Commissione le prove materiali che le hanno consentito di effettuare, il 25 e il 26 marzo 2003, talune verifiche negli uffici di tre imprese, tra cui quelli della ricorrente.

5        In seguito a tali verifiche, diverse imprese, tra cui segnatamente la EKA Chemicals AB, la Arkema SA (già Atofina SA) e la ricorrente, hanno chiesto l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione e hanno trasmesso alla Commissione elementi di prova riguardanti l’intesa in esame.

6        Il 26 gennaio 2005 la Commissione ha trasmesso una comunicazione degli addebiti alla ricorrente e alle altre imprese coinvolte.

7        Con lettere del 29 aprile e del 27 giugno 2005, la ricorrente ha chiesto di visionare, da un lato, le versioni non riservate delle risposte alla comunicazione degli addebiti formulate dalle altre imprese coinvolte e, dall’altro, determinati documenti riservati del fascicolo prodotti dalla Degussa.

8        Con lettere del 4 maggio e del 20 luglio 2005, la Commissione ha, da una parte, negato l’accesso alle risposte alla comunicazione degli addebiti e, dall’altra, divulgato parte dei documenti prodotti dalla Degussa.

9        Dopo aver sentito le imprese interessate il 28 e il 29 giugno 2005, la Commissione ha adottato la decisione 3 maggio 2006, C (2006) 1766 def., relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE nei confronti di Akzo Nobel NV, Akzo Nobel Chemicals Holding AB, EKA Chemicals, Degussa, Edison, FMC Corp., FMC Foret SA, Kemira Oyj, L’Air liquide SA, Chemoxal SA, SNIA SpA, Caffaro Srl, la ricorrente, Solvay Solexis, Total SA, Elf Aquitaine SA e Arkema (caso COMP/F/C.38.620 – Perossido di idrogeno e perborato) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), una sintesi della quale è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 13 dicembre 2006 (GU L 353, pag. 54). Essa è stata notificata alla ricorrente con lettera dell’8 maggio 2006.

 Decisione impugnata

10      Nella decisione impugnata la Commissione ha rilevato che i destinatari di quest’ultima avevano partecipato ad un’infrazione unica e continuata dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo sullo spazio economico europeo (SEE), relativa all’HP e al suo derivato, il PBS (punto 2 della decisione impugnata).

11      L’infrazione accertata è consistita prevalentemente nello scambio tra concorrenti di informazioni rilevanti in termini commerciali e di informazioni confidenziali concernenti il mercato e le imprese, nella limitazione e nel controllo della produzione e delle capacità potenziali ed effettive di questa, nell’assegnazione di quote di mercato e di clienti nonché nella fissazione e nel monitoraggio del rispetto degli obiettivi di prezzo.

12      Ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione ha applicato il metodo esposto negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5 [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»).

13      La Commissione ha determinato l’importo di base delle ammende in funzione della gravità e della durata dell’infrazione (punto 452 della decisione impugnata) e questa è stata qualificata come molto grave (punto 457 della decisione impugnata).

14      In applicazione di un trattamento differenziato, la ricorrente, in quanto maggiore operatore sui mercati interessati nel SEE, è stata classificata all’interno della prima categoria, corrispondente ad un importo di partenza dell’ammenda pari a EUR 50 milioni (punto 460 della decisione impugnata).

15      Per assicurare un sufficiente effetto dissuasivo, al suddetto importo di partenza è stato applicato un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5, in considerazione del rilevante fatturato della ricorrente (punto 463 della decisione impugnata).

16      Dato che, secondo la Commissione, la ricorrente ha partecipato all’infrazione dal 31 gennaio 1994 al 31 dicembre 2000, ossia per un periodo di 6 anni e undici mesi, l’importo iniziale della sua ammenda è stato maggiorato del 65% (punto 467 della decisione impugnata).

17      In considerazione delle circostanze aggravanti, l’importo di base dell’ammenda è stato maggiorato del 50% a titolo di recidiva (punto 469 della decisione impugnata).

18      La Commissione ha riconosciuto che la ricorrente era la terza impresa ad aver soddisfatto la condizione posta al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione e le ha accordato, per tale motivo, una riduzione dell’ammenda del 10% (punti 501‑524 della decisione impugnata).

19      L’art. 1, lett. m), della decisione impugnata enuncia che la ricorrente, avendo partecipato all’infrazione dal 31 gennaio 1994 al 31 dicembre 2000, ha violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53 dell’accordo SEE.

20      L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente in forza dell’art. 2, lett. h), della decisione impugnata ammonta a EUR 167,062 milioni.

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 luglio 2006, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

22      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato destinato alla Sesta Sezione e, sentite le parti, la presente causa è stata assegnata alla Sesta Sezione ampliata.

23      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento del 22 luglio 2009 e del 6 gennaio 2010, il Tribunale ha posto per iscritto alcuni quesiti alle parti, ai quali queste ultime hanno risposto il 15 settembre 2009 e il 29 gennaio 2010.

24      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza che ha avuto luogo il 3 marzo 2010.

25      Conformemente all’art. 32 del regolamento di procedura del Tribunale, poiché due membri della sezione non potevano partecipare alla deliberazione, le deliberazioni del Tribunale sono proseguite con i tre giudici firmatari della presente sentenza.

26      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare, integralmente o parzialmente, la decisione impugnata, in particolare nella parte in cui la Commissione ha accertato la sua partecipazione all’infrazione nel periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997, nonché in quello ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000;

–        annullare o ridurre in modo sostanziale l’ammenda inflittale e quella inflitta alla Solvay Solexis;

–        condannare la Commissione alle spese, comprese quelle attinenti alla costituzione di una garanzia bancaria relativa al pagamento dell’ammenda.

27      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

28      Con atto del 15 settembre 2009, la ricorrente ha parzialmente rinunciato al secondo capo delle sue conclusioni, nella parte relativa all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda inflitta alla Solvay Solexis. Questa rinuncia è stata confermata in udienza, circostanza di cui è stato preso atto nel verbale.

 In diritto

29      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce cinque motivi relativi ad errori di diritto e di valutazione dei fatti per quanto concerne, in primo luogo, l’accertamento della sua partecipazione all’infrazione per il periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997, in secondo luogo, l’accertamento della sua partecipazione all’infrazione per il periodo ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000, in terzo luogo, l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, in quarto luogo, la determinazione dell’importo dell’ammenda e, in quinto luogo, il diniego di accesso a determinati elementi del fascicolo.

30      Dall’argomentazione della ricorrente si evince che i motivi relativi alla durata della sua partecipazione all’infrazione (il primo e il secondo motivo) e all’accesso al fascicolo (quinto motivo) vengono formulati a sostegno della sua domanda di annullamento della decisione impugnata, mentre i motivi relativi alla determinazione dell’importo dell’ammenda (quarto motivo) e alla sua riduzione in virtù dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione (terzo motivo) vengono invocati a sostegno della domanda di annullamento dell’ammenda o di riduzione del suo importo.

31      È opportuno, quindi, esaminarli secondo tale ordine.

 Sulla durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione

 Argomenti delle parti

32      Con il primo e il secondo motivo, la ricorrente contesta l’accertamento della sua partecipazione all’infrazione riguardo al periodo iniziale e finale dell’intesa, rispettivamente, dal 31 gennaio 1994 al mese di agosto del 1997 e dal 18 maggio al 31 dicembre 2000.

–       Sul periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997

33      La ricorrente contesta la conclusione della Commissione in merito alla sua partecipazione all’infrazione nel periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997. Essa distingue tra il periodo precedente al mese di maggio 1995 e il periodo compreso tra i mesi di maggio 1995 e di agosto 1997.

34      Per quanto attiene al periodo compreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di maggio 1995, essa osserva che la Commissione non avrebbe dimostrato la sua partecipazione ad una qualche discussione o ad uno scambio di informazioni tra i concorrenti.

35      Con riguardo, in primo luogo, alla riunione di Stoccolma tra l’EKA Chemicals e la Kemira del 31 gennaio 1994, che viene considerata il momento d’inizio dell’infrazione, non sarebbe stata data prova certa del fatto che essa abbia effettivamente avuto luogo, mancando una conferma in tal senso da parte della Kemira.

36      Gli appunti presi dall’EKA Chemicals nel corso di detta riunione, inerenti alle discussioni intercorse tra la Kemira e altre imprese, tra cui la ricorrente, non dimostrerebbero, inoltre, la natura illecita di dette discussioni. Tale elemento non sarebbe confermato da nessun’altra prova che permetta di stabilire un legame tra l’intesa bilaterale tra l’EKA Chemicals e la Kemira sul mercato scandinavo e l’asserita intesa attuata a livello europeo.

37      Gli appunti dell’EKA Chemicals, in base ai quali gli esiti delle discussioni avute con l’Air Liquide «non erano molto positivi» e le discussioni con la ricorrente «procedevano in maniera più soddisfacente», dimostrerebbero che la Kemira non aveva raggiunto un accordo, né con l’Air Liquide, né con la ricorrente. Avendo accertato che l’Air Liquide non aveva preso parte all’infrazione a tale data, la Commissione avrebbe dovuto trarre la medesima conclusione nei confronti della ricorrente.

38      In secondo luogo, la riunione tenutasi a Göteborg il 2 novembre 1994 non avrebbe perseguito alcun obiettivo anticoncorrenziale. La tesi della Commissione circa lo scambio di dati commerciali nel corso di detta riunione non troverebbe conferma nelle prove prodotte dall’EKA Chemicals e sarebbe smentita dalle informazioni fornite dalla ricorrente.

39      In terzo luogo, per quanto attiene agli incontri che avrebbero avuto luogo a margine delle riunioni dello European Chemical Industry Council (CEFIC) il 29 aprile 1994 a Roma e il 25 novembre 1994 a Zaventem, le dichiarazioni della Degussa sullo scambio di «informazioni riservate sulla concorrenza» non sarebbero da sole sufficienti a dimostrarne il carattere illecito.

40      Per quanto riguarda il periodo compreso tra il maggio 1995 e l’agosto 1997, la ricorrente ammette di aver scambiato informazioni con le concorrenti, ma sostiene che detti scambi non possono essere qualificati come accordo o pratica concordata.

41      La semplice volontà di restringere la concorrenza non integrerebbe una violazione dell’art. 81 CE. La Commissione avrebbe dovuto provare l’esistenza di un accordo, risultante dalla volontà comune di adottare sul mercato una determinata condotta. Orbene, tutti gli incontri indicati nella decisione impugnata che hanno avuto luogo fino all’agosto 1997 si sarebbero conclusi senza che le imprese avessero raggiunto un benché minimo accordo quanto al comportamento illecito da adottare.

42      Contrariamente, quindi, alle prescrizioni risultanti dalla giurisprudenza richiamata al punto 305 della decisione impugnata, la Commissione non avrebbe dimostrato che le imprese coinvolte avevano concordato una qualche linea di condotta specifica idonea a restringere la concorrenza.

43      La Commissione non avrebbe inoltre provato che gli scambi di informazioni verificatisi durante il periodo di cui trattasi integravano una pratica concordata.

44      A detta della ricorrente, una pratica concordata presuppone che i concorrenti concordino di adottare un determinato comportamento, che, grazie ai contatti tra le imprese, essi possano escludere ogni incertezza quanto alla loro condotta reciproca e che ciò abbia ripercussioni sul comportamento sul mercato.

45      La ricorrente ritiene che la giurisprudenza richiamata al punto 298 della decisione impugnata, secondo cui lo scambio di informazioni al fine di preparare la costituzione di un cartello può essere considerato come una pratica concordata, si applica soltanto laddove un accordo sia già stato raggiunto e lo scambio sia finalizzato alla sua attuazione. Ora, nella fattispecie non ci sarebbe stato né un accordo, né una pratica concordata anteriore allo scambio di informazioni in parola.

46      Le divergenze tra i partecipanti alle riunioni in parola sarebbero state, infatti, tanto gravi da non permettere alcuna collaborazione concreta tra di loro e, pertanto, neppure una pratica concordata.

47      Le informazioni scambiate non sarebbero state di natura tale da influire sul comportamento dei concorrenti, né da ridurre in modo sostanziale l’incertezza circa il comportamento delle altre imprese sul mercato.

48      Nel corso del periodo in esame, le discussioni sarebbero state incentrate sulle capacità e sui volumi dei diversi fornitori, sul modo di risolvere il problema delle nuove capacità e di ripartire la domanda aggiuntiva. Lo scambio di informazioni avrebbe riguardato i volumi di produzione e sarebbe stato finalizzato ad elaborare meccanismi di ripartizione di detti volumi per garantire un livello ragionevole di utilizzo delle capacità produttive e non la ripartizione del mercato. Dette informazioni non sarebbero state di natura tale da permettere alle imprese di adeguare il loro comportamento sul mercato.

49      Dal momento che la Commissione avrebbe omesso di verificare se le informazioni scambiate avessero potuto essere impiegate per finalità anticoncorrenziali, essa non avrebbe potuto accertare il nesso causale tra le asserite pratiche concordate e il comportamento sul mercato.

50      L’indicazione della Degussa in merito allo scambio di «informazioni riservate sulla concorrenza» non sarebbe sufficiente a dimostrare il suo carattere illecito.

51      Nella sua richiesta di clemenza e nella sua risposta del 5 settembre 2003 alla richiesta di informazioni della Commissione, la Degussa avrebbe menzionato contatti tra i concorrenti che, secondo quanto da lei asserito, avrebbero avuto luogo nell’arco di svariati anni, senza in alcun modo precisare quale sarebbe stato il contenuto delle informazioni scambiate. Queste affermazioni, fatte nell’ambito di una richiesta di clemenza, andrebbero valutate con prudenza. Le dichiarazioni della Degussa sarebbero equivoche e di dubbio valore probatorio, dal momento che non indicherebbero il periodo in cui si collocherebbero i fatti e non permetterebbero di individuare singoli testimoni. Non essendo confermate da altri elementi del fascicolo, esse non sarebbero sufficienti per accertare l’infrazione.

52      La stessa Degussa non avrebbe ammesso di aver commesso un’infrazione prima della «metà del 1997». La Degussa avrebbe precisato che «l’espressione “scambio di informazioni riservate sul mercato” individu[erebbe] il tipico tenore di una discussione tra il personale commerciale di imprese concorrenti» e che essa «non [implicherebbe] una consultazione attiva tra le imprese in merito alla linea di condotta da adottare». La Degussa avrebbe aggiunto che detti scambi «erano finalizzati solo ad ampliare le informazioni necessarie per le future decisioni dell’impresa». Esse non avrebbero avuto, quindi, altro obiettivo che quello di creare un «clima» adatto a consentire l’adozione di decisioni per il futuro.

53      Le dichiarazioni rese dalla Degussa non sarebbero state suffragate dalle altre imprese. I documenti prodotti dall’EKA Chemicals confermerebbero unicamente lo scambio di informazioni tra tale impresa e la Kemira. L’Arkema avrebbe riferito soltanto di discussioni relative ad un meccanismo da impiegare per ripartire le «capacità» produttive che si sarebbero concluse con un nulla di fatto. Ne conseguirebbe che, anche all’inizio del 1997, i produttori non avevano trovato né un accordo, né un’intesa quanto all’«organizzazione del mercato a livello europeo», e ciò malgrado i tentativi attuati in questo senso.

54      L’assenza di un accordo o di una pratica concordata troverebbe conferma, da un lato, nel comportamento tenuto all’epoca dalla Degussa e, in particolare, dal suo progetto «WAR» volto ad ampliare le sue vendite a prescindere dai prezzi e, dall’altro, dal fallimento delle discussioni intrattenute durante la riunione di Siviglia del maggio 1997, che, in base alla descrizione della Degussa e dell’Arkema, avevano condotto «ad un vicolo cieco» a causa della mancanza di fiducia tra i produttori. La Commissione stessa avrebbe riconosciuto, al punto 164 della decisione impugnata, che nessun accordo era stato raggiunto durante tale riunione, in occasione della quale il rappresentante della ricorrente era «andato via sbattendo la porta».

55      Non avendo accertato l’esistenza di una concertazione, la Commissione non avrebbe potuto presumere che le imprese avevano tenuto conto delle informazioni ricevute dalle altre imprese. Diversamente rispetto alla causa che ha dato luogo alla sentenza della Corte 8 luglio 1999, C‑199/92 P, Hüls/Commissione (Racc. pag. I‑4287, punti 161 e 162), nella fattispecie le imprese coinvolte non sono riuscite a raggiungere un accordo su un qualche aspetto della loro politica commerciale e, in ogni caso, le informazioni scambiate non erano adatte ad essere prese in considerazione per attuare una qualche pratica concordata.

56      L’assenza di una pratica concordata sarebbe inoltre confermata dal fatto che il mercato dell’HP era spiccatamente concorrenziale fino all’agosto 1997. In particolare, i prezzi dell’HP sarebbero diminuiti fortemente alla fine del 1996 e all’inizio del 1997, fino a scendere al di sotto del livello dei costi variabili.

57      Le prove dedotte da molte imprese nel corso del procedimento amministrativo attesterebbero che, nel corso del periodo di cui trattasi, il mercato era spiccatamente concorrenziale. Tenuto conto di detti elementi di prova, la Commissione avrebbe dovuto provare che lo scambio di informazioni aveva effettivamente influenzato il comportamento delle imprese sul mercato.

58      Per quanto riguarda, da ultimo, il PBS, nessun elemento di prova indicherebbe che la ricorrente ha partecipato ad un’infrazione anteriormente alla riunione di Evian‑les‑Bains del 14 maggio 1998. Prima di tale data non sarebbe stato raggiunto alcun accordo e non si sarebbe verificato alcuno scambio di informazioni commerciali riservate tra i produttori.

59      La Commissione sostiene di aver comprovato, in modo giuridicamente valido, che, a partire dal 31 gennaio 1994, il comportamento della ricorrente rientrava nel divieto previsto all’art. 81, n. 1, CE.

60      Essa avrebbe dimostrato che, nel periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997, le imprese coinvolte si erano scambiate informazioni riservate con lo scopo precipuo di prevedere il comportamento delle une e delle altre sul mercato, per quanto riguarda i volumi di produzione, la loro possibile riduzione e la possibilità di impedire l’arrivo sul mercato di nuove capacità (punti 104‑170 e 304 della decisione impugnata).

61      Le dichiarazioni della Degussa dimostrerebbero che, nel corso degli anni ‘90, le imprese si sono scambiate «informazioni riservate sulla concorrenza». Dalla descrizione fornita dalla Degussa emergerebbe che le informazioni divulgate riguardavano il comportamento adottato sul mercato, vale a dire l’«evoluzione dei volumi e dei prezzi» e l’«arrivo o [l’]uscita dal mercato dei concorrenti» (punto 104 della decisione impugnata).

62      Questi elementi troverebbero conferma nelle prove documentali prodotte dall’EKA Chemicals, la quale avrebbe dichiarato che «i fornitori si erano accordati per non entrare nei mercati gli uni degli altri». L’EKA Chemicals avrebbe elaborato la lista delle riunioni caratterizzate, a suo dire, da un comportamento collusivo. Le note redatte dall’EKA Chemicals nel corso della riunione bilaterale con la Kemira tenutasi a Stoccolma il 31 gennaio 1994 riferirebbero di discussioni, in particolare, con la ricorrente. Dal contenuto di dette informazioni emergerebbe chiaramente che i produttori controllavano reciprocamente il comportamento dei loro concorrenti e che, in tale contesto, l’Air Liquide mancava di disciplina mentre la ricorrente rispondeva alle aspettative delle altre imprese. L’EKA Chemicals avrebbe altresì fatto riferimento ad una riunione bilaterale tra lei e la ricorrente a Göteborg, il 2 novembre 1994 (punti 106‑108 e 111 della decisione impugnata).

63      Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Kemira non avrebbe contestato di aver partecipato alla riunione con l’EKA Chemicals del 31 gennaio 1994, ma avrebbe invece ammesso la sua partecipazione all’infrazione a partire da tale data. Dato il contenuto illecito di detta riunione, sarebbe stato evidente che le trattative con gli altri concorrenti, tra cui la ricorrente, di cui alle note dell’EKA Chemicals, erano altrettanto illecite.

64      La ricorrente avrebbe torto nel sostenere che non esiste prova alcuna della natura illecita della sua riunione con l’EKA Chemicals, tenutasi il 2 novembre 1994 a Göteborg. Emergerebbe, infatti, dalle informazioni fornite dall’EKA Chemicals che in occasione di detta riunione sono state scambiate informazioni commerciali (punto 113 della decisione impugnata).

65      La Degussa avrebbe osservato che lo scambio di «informazioni riservate sulla concorrenza» è avvenuto anche a margine della CEFIC il 29 aprile 1994 a Roma e il 25 novembre 1994 a Zaventem (punto 114 della decisione impugnata).

66      Questi fatti sarebbero confermati dalle dichiarazioni dell’Arkema, secondo le quali nell’aprile o nel giugno del 1995 la ricorrente avrebbe preso parte alle discussioni sulle «tendenze del mercato e i nuovi operatori», nel quadro delle quali «la Degussa e [la ricorrente] si auguravano che il mercato e le loro rispettive posizioni esistenti rimanessero quanto più possibile stabili», e dalle quali emerge che «un modello di ripartizione tra i produttori [era] in discussione probabilmente dal 1994‑1995» (punti 115 e 116 della decisione impugnata).

67      D’altra parte, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente avrebbe riconosciuto di aver avuto contatti con i concorrenti e di aver condiviso informazioni sul mercato a partire dal maggio 1995.

68      Detti contatti, che avrebbero avuto luogo durante il periodo iniziale dell’intesa, che avrebbero avuto l’obiettivo di restringere la concorrenza e che avrebbero portato alla conclusione di un accordo sui prezzi e sulla ripartizione dei mercati, ricadrebbero nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE (punto 305 della decisione impugnata). Essi potrebbero essere considerati come parte del medesimo progetto collusivo.

69      La Commissione riconosce che non è stato concluso alcun accordo «definitivo» sul modello della ripartizione del mercato discussa a Milano, il 31 ottobre 1995, e a Siviglia, nel maggio 1997, ma sostiene che il fatto che un simile modello sia stato proposto e discusso è sufficiente a giustificare la conclusione dell’esistenza di un’infrazione ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.

70      Già il solo fatto che, durante il periodo in parola, abbiano avuto luogo discussioni relative ai volumi, ai prezzi e ai modelli di ripartizione dei clienti dimostrerebbe una volontà comune di restringere la concorrenza. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ci sarebbe stata soltanto una «semplice intenzione», ma un progetto comune il cui obiettivo era quello di giungere ad un accordo che avrebbe influito sul loro comportamento sul mercato.

71      In via subordinata, la Commissione sostiene che il comportamento dei concorrenti durante il periodo in parola integra una pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE. Lo si potrebbe quindi far rientrare nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE, anche se non ha raggiunto la fase in cui «si può dire che un accordo [propriamente detto] è stato concluso» (punto 309 della decisione impugnata).

72      Durante detto periodo, i concorrenti si sarebbero, infatti, scambiati informazioni relative al volume delle vendite, ai prezzi e ai clienti, che sarebbero state in grado di permettere loro di adattare il loro comportamento sul mercato (punto 308 della decisione impugnata, oltre ai punti 120, 127 e 144).

73      Le informazioni scambiate sarebbero state sufficienti a ridurre l’incertezza circa il comportamento dei concorrenti sul mercato. La ricorrente stessa avrebbe ammesso di aver condiviso informazioni riservate con i suoi concorrenti, a partire dal maggio 1995, e avrebbe dichiarato che «i partecipanti hanno esaminato le possibili opzioni per migliorare la situazione di mercato e per prevedere un aumento della capacità sul mercato», dato che il problema era quello di «sapere se fosse possibile pervenire ad un accordo» (punti 130 e 133 della risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti, e punti 317‑319 della decisione impugnata). Detta affermazione confermerebbe che lo scambio in parola ha avuto per effetto di mettere i concorrenti nella condizione di adattare i propri comportamenti sul mercato. Detti scambi sarebbero serviti inoltre a «preparare il terreno» per gli incrementi del prezzo e le pratiche di ripartizione del mercato.

74      L’insieme degli indizi richiamati nella decisione impugnata, valutati complessivamente, avrebbe soddisfatto quindi i requisiti di precisione e concordanza atti a fondare il convincimento che la ricorrente abbia commesso l’infrazione sin dal 31 gennaio 1994.

–       Sul periodo ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000

75      La ricorrente afferma che la Commissione ha commesso errori di diritto e di valutazione dei fatti, ritenendo che l’intesa fosse proseguita dopo il 18 maggio 2000.

76      Da un lato, la Commissione non avrebbe provato che i partecipanti alla riunione di Turku del 18 maggio 2000 avevano deciso, in tale occasione, di continuare ad attuare un accordo o una pratica concordata.

77      La Commissione si sarebbe basata unicamente su una prova fornita dall’Arkema, non decisiva e non supportata da altri elementi. Le affermazioni dell’Arkema sarebbero contraddittorie, dal momento che essa dichiara anche che la riunione in parola sarebbe stata «l’occasione per determinati produttori per mostrare che i tempi erano cambiati» e «per comunicare l’interruzione della collaborazione». La sua indicazione circa il «consenso» che sarebbe emerso durante la riunione di cui trattasi sarebbe contraddetta dalle altre imprese.

78      Prima della riunione del 18 maggio 2000, nel corso di un incontro bilaterale a Krefeld, la ricorrente avrebbe comunicato alla Degussa di non essere più interessata all’intesa. La Commissione avrebbe erroneamente indicato che la riunione di Krefeld era posteriore a quella di Turku.

79      Quanto ad un contatto bilaterale tra la ricorrente e la FMC Foret alla fine del 2000, esso da solo, riguardando il PBS, non sarebbe sufficiente a provare la prosecuzione di un’intesa relativa all’HP. L’intesa, secondo la ricorrente, aveva già cessato di esistere, quanto al PBS, e la FMC Foret aveva interrotto la propria partecipazione all’intesa, per quanto attiene all’HP, alla fine del 1999.

80      Dall’altro, la Commissione si sarebbe fondata, a torto, sulla presunzione che gli effetti dell’intesa siano continuati dopo il maggio 2000. Per stabilire che l’accordo non più in vigore aveva continuato ad esplicare i suoi effetti, la Commissione avrebbe dovuto provarne l’impatto sui prezzi.

81      La Commissione avrebbe, in particolare, ignorato gli elementi di prova che indicano che il mercato, dopo il maggio 2000, era concorrenziale. Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi, la Commissione si sarebbe basata soltanto su un documento dell’Arkema, dal quale sarebbe emerso che i suoi prezzi medi erano rimasti relativamente stabili per tutto l’anno 2000. Orbene, altri documenti dell’Arkema indicherebbero che nel 2000 i suoi prezzi erano scesi all’interno dell’Unione europea e che il prezzo medio non era calcolato unicamente sulla base delle vendite nell’area del SEE. Inoltre, anche ammettendo che i suoi prezzi siano rimasti stabili, tale circostanza potrebbe essere spiegata alla luce del forte aumento della domanda e dell’aumento dei costi.

82      Nel sostenere che la ricorrente non si era chiaramente distanziata dal cartello dopo il 18 maggio 2000, la Commissione avrebbe ignorato il fatto che l’intesa, a quella data, era «crollata» e, così facendo, avrebbe invertito l’onere della prova in violazione del principio della presunzione di innocenza.

83      La Commissione contesta le argomentazioni della ricorrente, richiamandosi, in particolare, ai motivi esposti ai punti 355‑360 della decisione impugnata.

 Giudizio del Tribunale

84      A termini dell’art. 81, n. 1, CE, sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

85      Perché sussista un accordo ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, è sufficiente che le imprese interessate abbiano espresso la comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 256, e 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB Holding e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 199).

86      Può ritenersi che un accordo ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE sia concluso allorché vi è una comune volontà sul principio stesso del restringere la concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione prevista sono ancora oggetto di negoziazioni (v., in tal senso, sentenza HFB Holding e a./Commissione, punto 85 supra, punti 151‑157 e 206).

87      La nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza (sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 115, e Hüls/Commissione, punto 55 supra, punto 158).

88      Al riguardo, l’art. 81, n. 1, CE osta a che fra gli operatori economici abbiano luogo contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente, attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano quale oggetto o effetto la restrizione della concorrenza (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 87 supra, punti 116 e 117).

89      Il fatto di aver trasmesso informazioni ai propri concorrenti al fine di preparare un accordo anticoncorrenziale è sufficiente a provare l’esistenza di una pratica concordata ai sensi dell’art. 81 CE (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑148/89, Tréfilunion/Commissione, Racc. pag. II‑1063, punto 82, e 8 luglio 2008, causa T‑53/03, BPB/Commissione, Racc. pag. II‑1333, punto 178).

90      Secondo una giurisprudenza costante, le nozioni di accordo e di pratica concordata, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, ricomprendono forme di collusione che condividono la stessa natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme con cui si manifestano (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, punto 87 supra, punti 131 e 132, e HFB Holding e a./Commissione, punto 85 supra, punto 190).

91      Nell’ambito di una violazione complessa, che ha coinvolto per diversi anni svariati produttori i quali hanno perseguito un obiettivo di regolazione in comune del mercato, non può pretendersi da parte della Commissione che la stessa qualifichi esattamente la violazione quale accordo o quale pratica concordata, dal momento che, in ogni caso, l’una e l’altra di tali forme di violazione sono previste dall’art. 81 CE (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 87 supra, punti 111‑114, e sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. II‑931, punto 696).

92      La doppia qualificazione dell’infrazione quale accordo «e/o» pratica concordata deve essere intesa nel senso che indica un insieme complesso che comporta elementi di fatto, taluni dei quali sono stati qualificati come accordo ed altri come pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, il quale non prevede qualificazioni specifiche per tale tipo di violazione complessa (sentenze Hercules Chemicals/Commissione, punto 85 supra, punto 264, e HFB Holdings e a./Commissione, punto 85 supra, punto 187).

93      Quanto all’acquisizione della prova dell’infrazione, va ricordato che spetta alla Commissione produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare, in modo giuridicamente valido, l’esistenza dei fatti che integrano un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE (sentenza della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58).

94      Essa deve aver raccolto elementi di prova precisi e concordanti a questo riguardo (v. sentenza del Tribunale 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

95      Tuttavia, non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punto 180 e la giurisprudenza ivi citata).

96      Gli indizi fatti valere dalla Commissione nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza di una violazione dell’art. 81, n. 1, CE da parte di un’impresa vanno presi in considerazione non singolarmente, ma nel loro insieme (v. sentenza BPB/Commissione, punto 89 supra, punto 185 e giurisprudenza ivi citata).

97      Si deve anche tener conto del fatto che le attività anticoncorrenziali si svolgono in modo clandestino e, pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme in materia di concorrenza (sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C 219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 55‑57).

98      Quanto alla portata del controllo giurisdizionale, secondo una costante giurisprudenza, il Tribunale, allorché è adito con una domanda d’annullamento di una decisione emanata a norma dell’art. 81, n. 1, CE, deve in generale esercitare un controllo completo relativamente alla questione se siano o meno soddisfatte le condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE (v. sentenza del Tribunale 26 ottobre 2000, causa T‑41/96, Bayer/Commissione, Racc. pag. II‑3383, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

99      L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si accerta un’infrazione, in conformità del principio della presunzione d’innocenza che, in quanto principio generale del diritto dell’Unione, si applica anche alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono condurre alla condanna a multe o ammende (sentenza Hüls/Commissione, punto 55 supra, punti 149 e 150, e sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, cause riunite T‑44/02 OP, T‑54/02 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, Dresdner Bank e a./Commissione, Racc. pag. II‑3567, punti 60 e 61).

100    È alla luce di tali considerazioni che occorre verificare se, nel caso di specie, la Commissione abbia dimostrato in modo giuridicamente valido che, nei periodi controversi, il comportamento della ricorrente integrava un’infrazione dell’art. 81, n. 1, CE.

–       Sul periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di maggio 1995

101    La ricorrente sostiene essenzialmente che la Commissione avrebbe commesso un errore di valutazione dei fatti collocando l’inizio dell’infrazione al 31 gennaio 1994. Essa eccepisce che non è stata provata la sua partecipazione, prima del mese di maggio 1995, a un qualche contatto con i concorrenti idoneo a violare l’art. 81, n. 1, CE.

102    Dai punti 104‑114 e 351 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha considerato il 31 gennaio 1994 come data di inizio della partecipazione della ricorrente all’infrazione, sulla base delle dichiarazioni rese dalla Degussa nel quadro della sua richiesta di clemenza, avvalorate dalle prove documentali prodotte dall’EKA Chemicals e dalle dichiarazioni dell’Arkema.

103    La Commissione ha osservato innanzitutto che, in base alle dichiarazioni della Degussa, nel corso degli anni ‘90, i concorrenti si erano sempre più spesso scambiati «informazioni riservate sulla concorrenza», o anche «informazioni sul mercato». Secondo dette dichiarazioni, «[l’espressione] “scambio di informazioni sul mercato” individu[erebbe] il tipico tenore di una discussione tra il personale commerciale di imprese concorrenti». La Commissione ha aggiunto che, in base a dette stesse dichiarazioni, «[l]e informazioni comunicate verbalmente avrebbero riguardato l’andamento dei volumi e dei prezzi, il comportamento dei concorrenti e dei clienti sul mercato, l’arrivo o l’uscita dal mercato di concorrenti, l’andamento della capacità produttiva, l’innovazione in termini di prodotto quanto all’offerta e alla domanda e altri aspetti della stessa natura» (punto 104 della decisione impugnata). A detta della Degussa, i concorrenti hanno intrapreso tali discussioni, in particolare, al fine di determinare e verificare le fasce di mercato dei concorrenti e di fornire informazioni sul comportamento dei clienti (punto 105 della decisione impugnata).

104    Per quanto attiene alla data precisa di inizio dell’infrazione, la Commissione ha poi indicato che la prima prova che conferma le dichiarazioni della Degussa, con precipuo riguardo alla ricorrente, si riferisce alla riunione dell’EKA Chemicals e della Kemira del 31 gennaio 1994 a Stoccolma, e alla riunione tenutasi lo stesso giorno tra la Degussa e la EKA Chemicals. La Commissione ritiene che detta prova attesti che «l’EKA [Chemicals], la Kemira, la Degussa e la [ricorrente avevano preso] parte a comportamenti collusivi perlomeno dall’inizio del 1994» (punti 106‑108 e 351 della decisione impugnata).

105    La Commissione ha infine indicato che hanno avuto luogo, nel 1994 e nel 1995, altri contatti illeciti, riferiti dall’EKA Chemicals (punti 110 e 111 della decisione impugnata), dalla Degussa (punto 114) e dall’Arkema (punto 115 della decisione impugnata).

106    A tale riguardo occorre osservare innanzitutto che le dichiarazioni della Degussa, il cui contenuto viene contestato dalla ricorrente, non potrebbero da sole costituire prova sufficiente della partecipazione di quest’ultima all’infrazione.

107    Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da talune imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime senza essere suffragata da altri elementi di prova (sentenze del Tribunale JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 219, e 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 285).

108    Questa considerazione si applica a maggior ragione nella fattispecie, tenuto conto dell’ampia formulazione adottata dalla Degussa, che si riferisce all’insieme delle riunioni che hanno avuto luogo nel periodo iniziale dell’intesa, tra il 1994 e il 1996. Queste dichiarazioni da sole non potrebbero essere sufficienti per collocare la data di inizio della partecipazione della ricorrente all’infrazione all’inizio del 1994.

109    In quanto la Commissione si riferisce alle dichiarazioni della Degussa, a detta della quale sarebbero state scambiate «informazioni sensibili sulla concorrenza» nel corso dei contatti multilaterali a margine delle assemblee del CEFIC del 29 aprile e del 25 novembre 1994 (punto 114 della decisione impugnata), occorre osservare che detta affermazione, all’interno della quale non viene citata espressamente la ricorrente, rientra tra le sopraccitate dichiarazioni della Degussa e non potrebbe pertanto essere considerata come un elemento idoneo ad avvalorarle.

110    Per quanto attiene, inoltre, alla prova dedotta dalla Commissione per suffragare le dichiarazioni della Degussa in relazione al periodo in parola, è pacifico che la ricorrente non ha partecipato alle riunioni citate al punto 351 della decisione impugnata, vale a dire quella tra l’EKA Chemicals e la Kemira del 31 gennaio 1994 a Stoccolma e quella dello stesso giorno tra l’EKA Chemicals e la Degussa.

111    Nel quadro di dette riunioni, la Commissione ha fatto unicamente riferimento ad un documento dell’EKA Chemicals, contemporaneo ai fatti, secondo cui nel corso della riunione del 31 gennaio 1994, l’EKA Chemicals e la Kemira si erano scambiate informazioni sul mercato scandinavo e quest’ultima «[aveva] annunciato che [era stata] in trattative con [l’Air Liquide], ma che i risultati di dette discussioni non erano molto positivi». Secondo la Commissione, in base al medesimo documento, «[l]e discussioni con [la Degussa] e con [la ricorrente] proced[evano] in modo più soddisfacente» (punto 106 della decisione impugnata).

112    Ora, anche se questo documento menziona, da un lato, gli scambi di informazioni tra i produttori scandinavi, la Kemira e l’EKA Chemicals e, dall’altro, le discussioni intercorse tra queste ultime e determinati produttori in merito al «mercato continentale», il richiamo ivi contenuto alla ricorrente nell’ambito di tale contesto non costituisce una prova sufficiente della sua partecipazione ai contatti illeciti che avevano avuto luogo a margine della riunione in parola.

113    Si tratta, infatti, di una prova indiretta, proveniente dall’impresa che non ha partecipato alle asserite discussioni con la ricorrente e che non è stata confermata dalla Kemira. Le indicazioni contenute nel documento di cui trattasi, inoltre, non permettono di identificare l’oggetto delle discussioni in parola.

114    A tal riguardo, la Commissione ha ritenuto a torto di non avere «alcun motivo di dubitare che le informazioni contenute all’interno di detto documento rispecchino fedelmente le discussioni intrattenute all’epoca» e concretizzanti l’intesa cui avrebbe partecipato la ricorrente (punto 317 della decisione impugnata).

115    Per quanto attiene agli altri incontri bilaterali tenutisi nel 1994, di cui ha dato conto l’EKA Chemicals, la Commissione fa riferimento alla riunione tra l’EKA Chemicals e la ricorrente avvenuta il 2 novembre 1994 a Göteborg, in occasione della quale i partecipanti avrebbero, secondo l’EKA Chemicals, «discusso del mercato dell’HP in Europa» (punto 111 della decisione impugnata).

116    Orbene, si deve osservare che tale indicazione, formulata in modo generico, non è di per sé sufficiente per stabilire la natura illegittima della riunione in parola, dato che essa viene contestata dalla ricorrente. L’oggetto illecito di detta riunione non può neppure essere dimostrato sulla base del richiamo da parte della Commissione ad altre dichiarazioni dell’EKA Chemicals, in quanto esse non si riferiscono esplicitamente a detta riunione, bensì si limitano a dare atto che «a partire dagli anni ‘90, le riunioni tra l’EKA [Chemicals] e [la ricorrente] si concentravano essenzialmente sulle questioni generali relative al mercato, quali le informazioni sui prezzi, le previsioni di mercato, ecc.» (punto 113 e nota 84 della decisione impugnata).

117    Se, da ultimo, la Commissione ha ritenuto che le affermazioni della Degussa fossero suffragate dalle dichiarazioni dell’Arkema circa le riunioni tenutesi nel corso dell’anno 1995 e in base alle quali, in particolare, «un modello di ripartizione tra i produttori [era stato] in discussione senza dubbio dal 1994‑1995» (punti 104 e 115 della decisione impugnata), occorre tuttavia osservare che queste ultime dichiarazioni si riferiscono alla riunione multilaterale dell’«aprile o [del] maggio 1995» (punto 115 della decisione impugnata), oltre che ai contatti successivi, e non potevano pertanto essere utilizzate come prove per avvalorare le dichiarazioni della Degussa nella parte in cui si riferiscono alla partecipazione della ricorrente all’infrazione durante i periodi precedenti.

118    Alla luce di quanto precede emerge che gli elementi indicati ai punti 104‑115 e 351 della decisione impugnata, valutati complessivamente, non costituiscono un insieme di indizi sufficiente per fondare l’accertamento della Commissione quanto alla partecipazione della ricorrente all’infrazione nel periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di maggio 1995.

119    Da un lato, infatti, le dichiarazioni della Degussa richiamate ai punti 104 e 105 della decisione impugnata non sono sufficienti, da sole, a stabilire che la ricorrente abbia partecipato agli atti collusivi del 1994 e, dall’altro, gli ulteriori elementi indicati ai punti 106‑115 e 351 della decisione impugnata non offrono una prova sufficiente a suffragare dette dichiarazioni per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente ai contatti illeciti precedenti al maggio 1995.

120    Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre accogliere la censura della ricorrente relativa ad un errore di valutazione dei fatti con riguardo alla sua partecipazione all’infrazione dal 31 gennaio 1994 al mese di maggio 1995.

–       Sul periodo ricompreso tra il mese di maggio 1995 e il mese di agosto 1997

121    Nella decisione impugnata la Commissione ha rilevato che le imprese destinatarie, tra cui la ricorrente, avevano partecipato ad un’intesa complessa che è consistita in un insieme di accordi e pratiche concordate finalizzati ad attuare restrizioni della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, n. 1, CE. I suoi principali elementi avrebbero ricompreso lo scambio di informazioni concernenti il mercato, la limitazione della produzione e delle capacità di questa, la ripartizione delle quote di mercato e la fissazione dei prezzi (punto 337 della decisione impugnata).

122    Per quanto concerne più in particolare il periodo iniziale dell’intesa, la Commissione ha segnatamente affermato che i partecipanti all’intesa, perlomeno a partire dal 31 gennaio 1994, avevano avuto incontri regolari allo scopo di scambiare informazioni riservate sul mercato e discutere i volumi di produzione, la loro eventuale riduzione o la possibilità di impedire l’arrivo sul mercato di nuove capacità (punto 304 della decisione impugnata), e che tali contatti collusivi, che hanno condotto alla conclusione di accordi definitivi sui prezzi e sulla ripartizione del mercato, potevano ritenersi parte del medesimo sistema collusivo (punto 305 della decisione impugnata).

123    Inoltre, la Commissione ha ritenuto che lo scambio di informazioni su volumi di vendita, prezzi e clienti, nell’ambito del periodo iniziale dell’intesa, fosse tale da consentire alle imprese in questione di tener conto di queste informazioni per determinare il loro comportamento sul mercato e che, conseguentemente, potesse presumersi che dette imprese avessero tenuto conto delle informazioni scambiate con i concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato (punto 308 della decisione impugnata).

124    La Commissione ha pertanto rilevato che, «sebbene nel primo periodo dell’infrazione non avesse raggiunto il livello di un accordo vero e proprio, [il comportamento di cui trattasi] poteva per lo meno essere qualificato come ricadente sotto il divieto di cui all’art. 81, n. 1, [CE (...), dato che] l’insieme di comportamenti [collusivi nelle sue diverse forme presenta] tutte le caratteristiche di un accordo e/o di una pratica concordata» (punto 309 della decisione impugnata).

125    A sostegno di tali affermazioni, relativamente al periodo compreso tra il maggio 1995 e l’agosto 1997 la Commissione ha, in particolare, menzionato le seguenti circostanze:

–        la riunione multilaterale tenutasi a Parigi nell’aprile o nel maggio 1995 è stata organizzata con l’obiettivo di instaurare rapporti stabili tra i concorrenti, dal momento che la Degussa e la ricorrente avevano espresso il desiderio di stabilizzare, per quanto possibile, le posizioni esistenti sul mercato (punti 115‑117 della decisione impugnata);

–        i contatti bilaterali a margine dell’assemblea del CEFIC dell’11 o del 12 maggio 1995 a Dresda erano incentrati sulla contrazione dei prezzi prevista a causa della realizzazione di nuovi stabilimenti di produzione (punti 118 e 119 della decisione impugnata);

–        le riunioni bilaterali del giugno 1995 tra l’Atofina e l’Air Liquide (punto 120 della decisione impugnata), tra l’Atofina e la Degussa (punto 121 della decisione impugnata), nonché tra la Degussa e l’EKA Chemicals (punto 122 della decisione impugnata) sono state dedicate alla discussione di aspetti relativi all’eccesso di capacità sul mercato dell’HP e alle possibilità di collaborazione tra i produttori, sulla base di una tabella riportante i dati dettagliati suddivisi per clienti e produttori, che comprendeva anche i dati della ricorrente;

–        in generale, intorno al 1995, sarebbero «circolate» per più di un anno diverse proposte relative alle quote di vendita e al controllo dell’eccesso di capacità che sono state oggetto di discussioni tra l’Atofina, la Degussa e la ricorrente (punti 123 e 124 della decisione impugnata);

–        la riunione tra l’Atofina, la Degussa e la Chemoxal, tenutasi a Parigi il 23 ottobre 1995, si è in particolare incentrata su una concreta proposta di limitazione delle capacità attese, tra cui quelle derivanti da un nuovo stabilimento della ricorrente, nonché su una proposta di accordo sui prezzi (punti 126 e 127 della decisione impugnata);

–        i produttori sono stati suddivisi in due gruppi, «A» e «B», coordinati, rispettivamente, dalla ricorrente e dalla Degussa, con il gruppo «B» che si sarebbe dovuto suddividere le parti di mercato definite dal gruppo «A», nel quale rientravano i «leader del mercato», vale a dire la Degussa e la ricorrente, oltre alle imprese scandinave, l’EKA Chemicals e la Kemira (punti 130 e 131 della decisione impugnata);

–        la riunione del gruppo «B» tenutasi a Milano il 31 ottobre 1995 si è incentrata sulle «basi di un modello che permetta di ripartire la crescita» e le note redatte in tale occasione fanno riferimento, in particolare, alle informazioni sulla ricorrente (punti 132 e 133 della decisione impugnata);

–        i contatti bilaterali a margine dell’assemblea del CEFIC del 21 e 22 novembre 1995 a Bruxelles, cui ha partecipato anche la ricorrente, e la riunione tenutasi in Italia hanno comportato lo scambio di informazioni sul mercato e la definizione dei livelli di prezzo dell’HP per l’anno successivo, che tuttavia poi non è stato rispettato (punti 134‑136 della decisione impugnata);

–        la riunione bilaterale tra l’Atofina e la ricorrente, all’inizio del 1996 a Parigi, aveva come obiettivo quello di confrontare le posizioni dei gruppi «A» e «B» (punto 139 della decisione impugnata);

–        gli incontri a margine delle assemblee del CEFIC, in data 24 maggio 1996 a Göteborg e 27 novembre 1996 a Bruxelles, hanno riguardato proposte concrete di ripartizione del mercato e i prezzi, senza tuttavia che fosse raggiunto un accordo preciso (punti 141‑145 della decisione impugnata);

–        numerosi contatti bilaterali tra il 1996 e il 1997, tra i quali l’incontro tra l’EKA Chemicals e la ricorrente, tenutosi nell’aprile o nel maggio 1997 a Copenaghen, nell’ambito del quale la ricorrente ha chiesto se l’EKA Chemicals fosse pronta ad unirsi agli altri produttori nello sforzo congiunto per ridurre le capacità, indicano l’esistenza di piani per la riduzione delle capacità (punti 154 e 155 della decisione impugnata);

–        le riunioni del 28 o 29 maggio 1997, parallelamente all’assemblea del CEFIC a Siviglia, hanno riunito i gruppi «A» e «B» e hanno avuto ad oggetto un modello articolato di ripartizione del mercato dell’HP; tuttavia, non è stato raggiunto alcun accordo definitivo e la discussione è stata rinviata all’agosto del 1997 (punti 156‑167 della decisione impugnata);

–        alle suddette riunioni sono seguiti contatti bilaterali tra la ricorrente, l’EKA Chemicals e la Degussa nell’estate del 1997 (punti 168‑170 della decisione impugnata).

126    La ricorrente non contesta né che detti incontri abbiano avuto luogo, né il contenuto delle discussioni riportato all’interno dei punti succitati della decisione impugnata.

127    Essa sostiene nondimeno che detti fatti non consentono di concludere per l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata prima della data della riunione multilaterale tenutasi nell’agosto 1997 a Bruxelles, conclusasi con un accordo formalizzato relativo ad un aumento del prezzo dell’HP (punti 171‑174 della decisione impugnata) e da essa riconosciuta quale momento di inizio della sua partecipazione all’infrazione.

128    In primo luogo, facendo riferimento agli elementi indicati ai punti 115‑170 della decisione impugnata la ricorrente sostiene che, sino a detta riunione dell’agosto 1997, i partecipanti alle discussioni in questione non sono stati in grado di concludere un accordo sulla ripartizione delle quote di mercato o sui prezzi e non si sono impegnati in pratiche concordate.

129    In proposito essa lamenta che la Commissione si è fondata su un’interpretazione erronea delle nozioni di accordo e di pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE ed abbia commesso un errore di valutazione dei fatti.

130    Per quanto concerne l’asserito errore di diritto, occorre rammentare che, nell’ambito di un’infrazione complessa, la Commissione non è tenuta a qualificare ciascun comportamento accertato come accordo o come pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, dal momento che si tratta di forme di collusione che condividono la stessa natura. Non si può inoltre pretendere da parte della Commissione che essa qualifichi esattamente la violazione come accordo o come pratica concordata, dal momento che, in ogni caso, l’una e l’altra di tali forme d’infrazione sono previste dalla disposizione citata (v. punti 90 e 91 supra).

131    Nella fattispecie in esame la Commissione non può pertanto essere criticata, da un punto di vista giuridico, per aver considerato che l’insieme dei comportamenti in questione presentasse tutti gli elementi costitutivi «di un accordo e/o di una pratica concordata», nella misura in cui essi potevano essere ritenuti sussumibili nell’una o nell’altra di tali forme di collusione di cui all’art. 81, n. 1, CE.

132    Per quanto riguarda l’asserito errore di valutazione dei fatti, la ricorrente adduce in sostanza che, prima dell’agosto 1997, i concorrenti, da un lato, non sono giunti ad un accordo sul comportamento specifico da tenere sul mercato e, dall’altro, non hanno adottato una forma di coordinamento qualificabile come pratica concordata.

133    Essa si riferisce, in particolare, alle informazioni richiamate nella decisione impugnata, secondo le quali, nel 1996, le discussioni «[da un anno] stagna[va]no» e sembravano «giunte a un punto morto». Essa sottolinea che, ancora nel maggio 1997, «[un’]assenza di fiducia era uno dei motivi che hanno concorso al mancato raggiungimento di un accordo circa il mantenimento dello status quo per le quote di mercato», «[avendo] i produttori di dimensioni più piccole (...) votato contro la fissazione di quote di mercato» (punti 140, 142 e 164 della decisione impugnata).

134    Ora, benché gli elementi dedotti dalla ricorrente indichino che i produttori che avevano partecipato alle riunioni tra il maggio 1995 e l’agosto 1997 non sono stati in grado di concludere un accordo «propriamente detto» relativamente alla ripartizione del mercato, circostanza che la Commissione stessa ha rilevato al punto 309 della decisione impugnata, resta tuttavia il fatto che essi hanno condotto, nel corso di un prolungato periodo di tempo, discussioni regolari sul progetto di un simile accordo.

135    Invero, dai fatti non contestati dalla ricorrente risulta che, dopo ripetuti inviti da parte della Degussa e della ricorrente rivolti ai loro concorrenti sul mercato dell’HP, nel corso del mese di maggio 1995 si sono svolti incontri allo scopo di stabilire contatti permanenti tra i concorrenti. I partecipanti hanno discusso delle tendenze del mercato e dei nuovi operatori sul mercato europeo dell’HP, dal momento che la Degussa e la ricorrente avevano espresso l’auspicio che le posizioni acquisite sul mercato rimanessero quanto più possibile stabili (punti 115‑117 della decisione impugnata).

136    Tra il mese di maggio 1995 e il mese di agosto 1997, si sono svolte discussioni regolari che hanno avuto ad oggetto progetti relativi alle quote di vendita e al controllo dell’eccesso di capacità (punti 123 e 124 della decisione impugnata), una proposta in cifre per la limitazione delle nuove capacità, tra cui quelle della ricorrente, e una proposta di accordo sui prezzi (punti 126 e 127 della decisione impugnata), «le basi di un modello che permetta di ripartire la crescita» (punti 132 e 133 della decisione impugnata), proposte in cifre di ripartizione del mercato, un accordo sui prezzi (punti 143‑145 della decisione impugnata), uno sforzo congiunto per la riduzione delle capacità (punti 154 e 155 della decisione impugnata) o ancora un modello articolato di ripartizione del mercato dell’HP (punti 159‑167 della decisione impugnata).

137    Il contenuto delle discussioni, che la ricorrente non nega, pone in evidenza l’esistenza di una volontà comune di restringere la concorrenza.

138    Difatti, tale susseguirsi di riunioni regolari, in occasione delle quali le imprese si sono incontrate per discutere progetti di riduzione delle nuove capacità, la ripartizione delle quote di mercato e un accordo sui prezzi, non sarebbe stato possibile se non vi fosse stata, all’epoca, una volontà comune tra i partecipanti a dette riunioni di stabilizzare il mercato mediante misure atte a restringere la concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 46).

139    Dal momento che le discussioni in esame sono state chiaramente guidate da una volontà comune dei partecipanti di accordarsi sullo stesso principio di una restrizione della concorrenza, tale considerazione non può essere inficiata dal fatto che gli elementi specifici della restrizione prevista sono stati oggetto di negoziazioni tra le parti fino all’agosto 1997 e che l’accordo formalizzato dell’agosto 1997, relativo ad un aumento coordinato dei prezzi dell’HP, è stato concluso con modalità diverse rispetto a quelle discusse nel corso di riunioni precedenti.

140    Il coinvolgimento della ricorrente nei contatti collusivi risulta peraltro chiaramente dalla sua partecipazione attiva alle discussioni. Essa ha partecipato alla maggior parte delle riunioni tenutesi nel corso del periodo in parola, occupandosi di «sintetizzare» le proposte (punti 123 e 124 della decisione impugnata) e di coordinare il gruppo composto dai «leader del mercato» (punti 130 e 131 della decisione impugnata).

141    A tal riguardo, l’episodio ricordato dalla ricorrente in cui, nel corso di una riunione tenutasi nel maggio 1997 (punto 162 della decisione impugnata), il suo rappresentante è «andato via sbattendo la porta, (…) irritato dalle richieste dei piccoli produttori», non costituisce un indizio idoneo a comprovare che la sua partecipazione alla riunione in parola, e a maggior ragione all’insieme dei contatti controversi, fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale.

142    Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ha rilevato, a giusto titolo, che i comportamenti di cui trattasi, risalenti ad una fase iniziale dell’intesa, ai quali la ricorrente ha preso parte, s’iscrivevano nello stesso progetto anticoncorrenziale e, quindi, ricadevano nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE.

143    Infatti, da un lato, si deve rammentare che può ritenersi che un accordo ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE sia stato concluso allorché vi è una comune volontà sul principio stesso di una restrizione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione prevista sono ancora oggetto di negoziazioni (v. precedente punto 86).

144    Nel caso di specie, pertanto, la ricorrente non può validamente sostenere che, fintanto che le imprese non hanno convenuto di adottare sul mercato specifiche linee di condotta, i comportamenti di cui trattasi configurano, tutt’al più, una semplice intenzione di restringere la concorrenza, non riconducibile alle forme di collusione contemplate dall’art. 81, n. 1, CE.

145    Dal momento che gli elementi sopra descritti dimostrano che i concorrenti disponevano già di un progetto comune il cui obiettivo era di pervenire ad un accordo anticoncorrenziale, deve ritenersi che le discussioni in esame vadano al di là di una mera intenzione o di un tentativo di accordo.

146    D’altra parte, si deve osservare che i contatti tenuti nel periodo controverso potevano, in ogni caso, essere qualificati come pratica concordata in conformità dell’art. 81, n. 1, CE.

147    Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il fatto di trasmettere informazioni ai propri concorrenti al fine di preparare un accordo anticoncorrenziale è sufficiente a provare l’esistenza di una pratica concordata ai sensi dell’art. 81 CE (v. punto 89 supra).

148    Al riguardo, anche qualora la Commissione non riesca a dimostrare che le imprese hanno concluso un accordo nel senso stretto del termine, per accertare un’infrazione dell’art. 81, n. 1, CE è sufficiente che i concorrenti abbiano preso contatti diretti al fine di «stabilizzare il mercato» (v., in tal senso, sentenza BPB/Commissione, punto 89 supra, punto 170).

149    Ciò considerato, deve essere rigettata la tesi avanzata dalla ricorrente, a detta della quale la comunicazione di informazioni ai concorrenti non può essere qualificata come pratica concordata se non dopo che un accordo anticoncorrenziale sia già stato raggiunto e le trattative siano volte soltanto a dargli attuazione.

150    Nel caso di specie la Commissione ha dimostrato che la ricorrente aveva partecipato ad un determinato numero di riunioni con i propri concorrenti e che, nel corso di queste, avvenivano scambi di informazioni sulle condizioni del mercato, si discuteva il livello dei prezzi e i partecipanti esponevano la strategia commerciale che intendevano adottare sul mercato. Risulta inoltre dimostrato che lo scambio di informazioni in questione è avvenuto allo scopo di predisporre un accordo sulla ripartizione del mercato o sui prezzi e, pertanto, il suo obiettivo aveva un manifesto carattere anticoncorrenziale.

151    Conseguentemente, la Commissione ha potuto validamente constatare che la ricorrente aveva partecipato ad una pratica concordata con l’obiettivo di restringere la concorrenza.

152    Questa considerazione non viene rimessa in discussione dall’affermazione della ricorrente, a detta della quale, data la mancanza di fiducia reciproca tra i concorrenti, non era concepibile che essi avessero potuto impegnarsi in pratiche concordate.

153    Invero, le divergenze di posizione tra i partecipanti, o addirittura la mancanza di fiducia reciproca, non sono sufficienti, in quanto tali, ad escludere l’esistenza di una concertazione qualificabile come pratica concordata. Orbene, gli argomenti della ricorrente non invalidano i fatti dimostrati dalla Commissione, dai quali si evince che, nonostante una certa diffidenza reciproca, i concorrenti si sono incontrati con regolarità nel periodo considerato e hanno scambiato tra loro informazioni sulle condizioni del mercato e sulla loro strategia commerciale, con l’obiettivo di predisporre un accordo anticoncorrenziale.

154    Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, non può addebitarsi alla Commissione di non aver dimostrato che, per il loro contenuto, le informazioni scambiate fossero idonee ad essere utilizzate a fini anticoncorrenziali.

155    Infatti, l’obiettivo anticoncorrenziale del comportamento in esame emerge chiaramente dalla natura delle informazioni scambiate durante le riunioni del periodo considerato, dal momento che esse comprendevano fatturati afferenti agli anni precedenti e previsioni per il futuro (punto 120 della decisione impugnata), nonché dal contenuto delle proposte discusse, le quali vertevano sul mantenimento dello status quo nel mercato, sulla ripartizione delle nuove capacità di produzione e sulla definizione dei livelli di prezzo dell’HP (v., ad esempio, punti 115, 127, 133, 136 e 144 della decisione impugnata).

156    Di conseguenza, la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente valido che lo scambio di informazioni in esame, che è servito a «preparare il terreno» agli aumenti di prezzo e alle pratiche di ripartizione delle quote di mercato che ne sono derivati, configurava una forma di collusione di cui all’art. 81, n. 1, CE.

157    Dalle suesposte considerazioni risulta che la Commissione ha a giusto titolo constatato che i comportamenti controversi potevano essere qualificati come ricadenti sotto il divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE, in quanto riconducibili ad un insieme che presentava tutte le caratteristiche di un accordo «e/o» di una pratica concordata (punti 308 e 309 della decisione impugnata).

158    Per quanto concerne l’argomento della ricorrente relativo al fatto che il mercato dell’HP era rimasto concorrenziale fino al mese di agosto o di settembre del 1997 essendo i prezzi dell’HP diminuiti in modo considerevole all’inizio del 1997, si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, la considerazione degli effetti concreti di un accordo o di una pratica concordata è superflua, qualora risulti che l’infrazione ha avuto l’obiettivo di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (sentenze della Corte 19 marzo 2009, causa C‑510/06 P, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. I‑1843, punto 140, e 4 giugno 2009, causa C‑8/08, T‑Mobile Netherlands e a., Racc. pag. I‑4529, punto 29).

159    Nel caso di specie, dal momento che la Commissione ha constatato che la ricorrente aveva preso parte ad un accordo anticoncorrenziale e/o ad una pratica concordata con l’obiettivo di restringere la concorrenza sul mercato dell’HP, essa non era tenuta a prendere in considerazione gli effetti concreti dei comportamenti in questione.

160    In ogni caso, per quanto riguarda più in particolare una pratica concordata, secondo una giurisprudenza costante deve presumersi, salvo prova contraria che spetta agli operatori interessati fornire, che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento su tale mercato (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, punto 87 supra, punti 118 e 121, e Hüls/Commissione, punto 55 supra, punti 161 e 162).

161    A tal riguardo, quand’anche venisse dimostrato che detti comportamenti non hanno influito sui prezzi nel periodo in parola, questo non potrebbe rimettere in discussione la legittimità delle valutazioni della Commissione.

162    In particolare, il fatto che una pratica concordata non abbia un’incidenza diretta sul livello dei prezzi non preclude la constatazione che essa ha limitato la concorrenza tra le imprese interessate, segnatamente, rimuovendo le pressioni concorrenziali (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, punto 138 supra, punti 139 e 140).

163    Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe disconosciuto la prova del fatto che il mercato fosse rimasto concorrenziale durante il periodo considerato non può essere accolto.

164    Quanto all’argomentazione della ricorrente, a detta della quale i fatti richiamati nella decisione impugnata in relazione al periodo in parola riguardano prevalentemente il mercato dell’HP e non quello del PBS, occorre ricordare che la decisione impugnata si fonda sull’accertamento di un’infrazione unica sui due mercati coinvolti (punti 328 e seguenti della decisione impugnata), qualificazione che non è stata contestata dalla ricorrente nel caso di specie.

165    Ora, dal momento che la Commissione ha qualificato l’intesa in esame come un’infrazione unica, essa non era tenuta a rilevare, nel quadro di tale qualificazione, la diversa durata degli atti riguardanti solo il mercato del PBS. Non trattandosi di infrazioni distinte, essa non doveva nemmeno tener conto di detta differenza per stabilire la durata dell’infrazione nel suo insieme.

166    Infatti, sarebbe artificioso suddividere un comportamento continuo, caratterizzato da una finalità unica, in più infrazioni diverse perché le pratiche collusive sono mutate d’intensità a seconda del mercato interessato. Questi elementi debbono essere tenuti in considerazione solo nel valutare la gravità dell’infrazione e, all’occorrenza, nel determinare l’ammenda (v., per analogia, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra, al punto 87, punto 90).

167    Nella fattispecie, in linea con dette considerazioni, la Commissione ha osservato che, per quanto attiene alla determinazione dell’importo dell’ammenda, essa aveva tenuto conto del fatto che la collusione relativa al PBS era iniziata più tardi di quella relativa all’HP ed era cessata prima (punto 331 della decisione impugnata).

168    Non può quindi essere accolto l’argomento della ricorrente volto a sostenere l’insufficienza delle prove delle condotte anticoncorrenziali sul mercato del PBS per il periodo in parola.

169    Dal momento che la ricorrente non ha provato, da ultimo, che la decisione impugnata era viziata da un errore di diritto con riguardo all’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, si deve ugualmente respingere il suo argomento, fondato in definitiva sulla stessa premessa, secondo cui la Commissione ha interpretato tale norma in modo troppo estensivo, in violazione del principio di legalità della pena.

170    Alla luce di tutto quanto precede, la censura relativa all’accertamento dell’infrazione per il periodo ricompreso tra il maggio 1995 e l’agosto 1997 non può essere accolta.

–       Sul periodo ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000

171    Per quanto riguarda il periodo finale dell’infrazione, al punto 356 della decisione impugnata la Commissione ha rilevato che l’art. 81, n. 1, CE si applica ad un’intesa che continui a produrre effetti oltre la data di formale cessazione e che tale ipotesi ricorre in particolare nel caso di imprese che non rinuncino ad applicare i prezzi di riferimento convenuti in occasione di riunioni di cartello.

172    Applicando tali rilievi al caso specie, la Commissione ha affermato che, secondo quanto dichiarato dall’Arkema, concordemente ad altri elementi di prova, nella riunione multilaterale tenutasi a Turku il 18 maggio 2000, si era realizzato un consenso generale sul mantenimento dei livelli di prezzo per tutto l’anno 2000 e che, pertanto, poteva ritenersi che l’effetto sui prezzi fosse perdurato almeno per il secondo semestre del 2000 (punto 357 della decisione impugnata). Pertanto, la data del 31 dicembre 2000 è stata considerata quale data finale dell’infrazione, segnatamente, nei confronti della ricorrente (punto 360 della decisione impugnata).

173    La ricorrente afferma, in sostanza, che la Commissione ha commesso un errore di diritto e un errore di valutazione dei fatti, affermando che l’intesa era proseguita dopo la riunione del 18 maggio 2000.

174    A questo riguardo è opportuno rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, l’art. 81 CE si applica anche agli accordi che continuino a produrre effetti oltre la data della loro estinzione ufficiale (sentenza della Corte 3 luglio 1985, causa 243/83, Binon, Racc. pag. 2015, punto 17, e sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑14/89, Montedipe/Commissione, Racc. pag. II‑1155, punto 231).

175    In particolare, la Commissione può legittimamente constatare che l’intesa continua a produrre i propri effetti oltre la cessazione formale delle riunioni collusive, nel caso in cui gli aumenti di prezzo previsti nel corso di tali riunioni siano applicati ad un periodo successivo (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 26 aprile 2007, cause riunite T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Bolloré e a./Commissione, Racc. pag. II‑947, punto 186).

176    Nel caso di specie, dal momento che la Commissione ha dimostrato che la riunione tenutasi il 18 maggio 2000 aveva condotto ad un consenso generale circa il mantenimento dei livelli di prezzo per il secondo semestre del 2000, essa ha potuto giustamente concludere che gli effetti dell’intesa erano persistiti sino al 31 dicembre 2000.

177    Tale conclusione non è rimessa in discussione dagli argomenti della ricorrente relativi, in primo luogo, all’insufficienza delle prove fornite dalla Commissione.

178    Occorre rilevare che la ricorrente non nega che la riunione informale in parola si sia tenuta né la propria partecipazione a tale riunione. A tal riguardo, essa ha torto nel sostenere che le dichiarazioni rese dall’Arkema, che fanno riferimento ad un «consenso», non implicano l’esistenza di una volontà condivisa tra i partecipanti quanto al mantenimento degli effetti dell’accordo. Un simile argomento contrasta, infatti, con il contenuto di dette dichiarazioni, che riferiscono dell’esistenza di «ultime discussioni» sui prezzi per il 1° gennaio 2001 e di un «consenso generale» circa il mantenimento del loro livello (punto 282 della decisione impugnata).

179    È altresì a torto che la ricorrente fa valere una presunta contraddizione tra quanto affermato dall’Arkema circa il consenso sui prezzi e altre sue dichiarazioni, secondo cui la riunione di Turku era stata «l’occasione per taluni produttori di mostrare che i tempi erano cambiati» e «per segnalare l’interruzione della concertazione e porre così fine alla regolazione controllata del mercato». Infatti, queste ultime dichiarazioni, che riportano l’intenzione di porre fine al comportamento anticoncorrenziale e segnalano in tal modo la formale cessazione dell’intesa, non sono in contraddizione con l’esistenza di un consenso sul mantenimento dei suoi effetti fino alla fine dell’anno.

180    Inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, le dichiarazioni dell’Arkema concordano con altri elementi agli atti, in particolare con l’informazione, confermata da svariate imprese e non contestata dalla ricorrente, secondo cui, nell’ambito delle riunioni a margine delle assemblee biennali del CEFIC, i prezzi erano di solito stabiliti per il semestre successivo (punto 357 della decisione impugnata).

181    A questo riguardo è opportuno rilevare che, a fronte di un complesso di indizi concordanti che dimostrano l’esistenza dell’intesa, è necessario un chiarimento realmente solido per provare che, nel corso di una determinata riunione, si sono prodotte circostanze totalmente diverse da quelle realizzatesi nel corso delle riunioni precedenti, quando in tutte le riunioni era presente la stessa cerchia di partecipanti, esse si svolgevano in circostanze esterne omogenee e perseguivano incontestabilmente lo stesso obiettivo (conclusioni del giudice Vesterdorf, facente funzioni di avvocato generale nella sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, causa T‑1/89, Rhône‑Poulenc/Commissione, Racc. pag. II‑867, in particolare pag. II‑954).

182    In ogni caso, l’affermazione secondo cui vari concorrenti hanno proseguito la collusione almeno fino alla fine del 2000, nonostante la sua formale cessazione, è stata corroborata dall’esistenza di taluni contatti bilaterali successivi alla riunione del 18 maggio 2000 (punto 357 della decisione impugnata).

183    L’argomento della ricorrente, volto a comprovare la legittimità di uno di tali contatti, vale a dire il suo incontro con la FMC Foret, non è idonea, a questo riguardo, a rimettere in discussione l’accertamento della Commissione circa il mantenimento degli effetti dell’intesa, dal momento che detto accertamento non si fonda su tale evento isolato, il quale rappresenta invece unicamente un elemento secondario nel complesso degli indizi dedotti dalla Commissione.

184    La ricorrente non può neppure sostenere efficacemente di aver dichiarato, nel corso di una riunione bilaterale con la Degussa nel maggio o nel giugno del 2000 (punti 283‑285 della decisione impugnata), che «non era più possibile procedere, sulla base delle discussioni tra i produttori presenti sul mercato, alla ripartizione delle capacità e alla loro ridistribuzione».

185    A tale riguardo basti considerare che detta posizione, espressa dalla ricorrente nel corso di un contatto bilaterale e che potrebbe d’altronde essere interpretata come volta a fare il punto sulle difficoltà di mantenere l’intesa, non prova che essa si sia pubblicamente distanziata dall’infrazione, mettendo fine alla sua partecipazione all’intesa.

186    Da tali considerazioni risulta che la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente valido che la riunione del 18 maggio 2000 aveva condotto ad un consenso generale sul mantenimento dei livelli di prezzo e che, quindi, l’intesa aveva continuato a produrre i suoi effetti nel corso del secondo semestre del 2000.

187    Tale conclusione non è inficiata dall’argomentazione della ricorrente relativa, in secondo luogo, alla mancata analisi dei prezzi effettivi, praticati sul mercato durante il periodo considerato, nonché alla presenza nel fascicolo di indicazioni relative al carattere concorrenziale del mercato.

188    Infatti, dal momento che la Commissione ha dimostrato che i livelli di prezzo oggetto di un consenso generale durante la riunione in esame dovevano applicarsi nel corso del secondo semestre del 2000, essa ha potuto validamente constatare il perdurare degli effetti dell’intesa durante tale periodo, senza dover dimostrare che l’intesa avesse avuto incidenza concreta sui prezzi praticati (v., in tal senso, sentenza Bolloré e a./Commissione, punto 175 supra, punto 186).

189    Dal momento che detto accertamento si fonda sulla considerazione, comprovata in modo giuridicamente valido, che esisteva una volontà comune delle parti di prolungare gli effetti dell’intesa malgrado la sua formale cessazione, esso non comporta, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un’inversione dell’onere della prova e, per tale motivo, non viola il principio della presunzione d’innocenza.

190    Alla luce di quanto precede si deve rilevare che gli argomenti addotti dalla ricorrente non hanno rimesso in discussione la constatazione operata dalla Commissione secondo cui l’infrazione era continuata sino al 31 dicembre 2000.

191    Detta censura non può pertanto trovare accoglimento.

192    Alla luce dell’esame del primo e del secondo motivo, occorre constatare che la Commissione non ha stabilito, in modo giuridicamente valido, che la ricorrente aveva partecipato all’infrazione nel periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il maggio 1995.

193    Il primo e il secondo motivo devono essere respinti quanto al resto.

194    Occorre, di conseguenza, annullare l’art. 1, lett. m), della decisione impugnata, nella parte in cui la Commissione ha accertato la partecipazione della ricorrente all’infrazione nel corso del periodo precedente al mese di maggio 1995 e rivedere l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta all’art. 2, lett. h), della decisione impugnata, al fine di tener conto della ridotta durata della sua partecipazione all’infrazione. Le conseguenze concrete di tale riforma sono precisate ai punti 440 e 441 qui di seguito.

 Sulla presunta violazione dei diritti della difesa

 Argomenti delle parti

195    Nell’ambito del quinto motivo, la ricorrente contesta che la Commissione le ha negato l’accesso, da un lato, a una parte dei documenti del fascicolo prodotti dalla Degussa e, dall’altro, alle risposte alla comunicazione degli addebiti trasmesse dalle altre imprese coinvolte. Tale diniego costituirebbe una violazione dei diritti della difesa della ricorrente, nonché dell’art. 27, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. [81 CE] e [82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1).

196    La ricorrente sostiene, in primo luogo, di aver avuto un accesso limitato ai documenti prodotti dalla Degussa, contenenti i suoi rapporti mensili interni relativi al mercato dell’HP per l’anno 2000. La Commissione avrebbe commesso un errore di diritto e un errore di valutazione negandole l’accesso integrale a detta documentazione.

197    Le informazioni in parola non avrebbero potuto obiettivamente essere considerate riservate, dato che si trattava di rapporti, vecchi almeno di cinque anni, che rispecchiavano strategie a breve termine. La Commissione avrebbe ritenuto che informazioni equiparabili provenienti dalla ricorrente non potevano più essere considerate come riservate dopo tre anni.

198    Il carattere riservato di un documento non rappresenterebbe d’altronde un ostacolo assoluto alla sua divulgazione. I diritti della difesa della ricorrente avrebbero dovuto prevalere sulla confidenzialità dei dati. Sarebbe stato possibile adottare misure idonee per proteggere la riservatezza delle informazioni.

199    I documenti della Degussa sarebbero stati rilevanti per accertare se sia stata commessa un’infrazione dopo l’incontro di Turku del 18 maggio 2000 e, quindi, sarebbero stati indispensabili per la difesa della ricorrente. Gli estratti dai documenti della Degussa relativi all’anno 2000 mostrerebbero che il mercato era concorrenziale, il che avrebbe permesso di confutare l’esistenza dell’infrazione in quel periodo.

200    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato l’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003 come anche i suoi diritti della difesa, negandole l’accesso alle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle altre imprese coinvolte.

201    A torto la Commissione sosterrebbe che il diritto dell’Unione non imponeva di garantire tale accesso. Nel corso di procedimenti anteriori, essa avrebbe divulgato le risposte alla comunicazione degli addebiti. Il punto 27 della comunicazione della Commissione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio della Commissione nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], degli articoli 53, 54 e 57 dell’accordo SEE e del regolamento (CE) n. 139/2004 (GU 2005, C 325, pag. 7) sarebbe illegittimo nella misura in cui esclude, in linea di principio, l’accesso alle risposte in parola.

202    La ricorrente sostiene che le risposte fornite dalle altre imprese coinvolte alla comunicazione degli addebiti avrebbero potuto rafforzare la sua posizione con riguardo alla durata dell’infrazione, dal momento che anche dette imprese avevano contestato le date dell’inizio e della fine dell’intesa e, in particolare, la prosecuzione dell’infrazione, tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000.

203    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

204    A termini dell’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003:

«Nel corso del procedimento sono pienamente garantiti i diritti di difesa delle parti interessate. Esse hanno diritto d’accesso al fascicolo della Commissione, fermo restando il legittimo interesse delle imprese alla tutela dei propri segreti aziendali (…)».

205    Secondo una giurisprudenza costante, il diritto di accesso al fascicolo, corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, implica che la Commissione debba dare all’impresa interessata la possibilità di procedere ad un esame di tutti i documenti presenti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti per la sua difesa (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑199/99 P, Corus UK/Commissione, Racc. pag. I‑11177, punti 125‑128, e sentenza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 81).

206    Questi comprendono tanto i documenti a carico quanto quelli a discarico, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e altre informazioni riservate (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 97 supra, punto 68).

207    Quanto ai documenti a carico, la mancata comunicazione di un documento costituisce una violazione dei diritti della difesa solo se l’impresa interessata dimostra, da un lato, che la Commissione si è basata su tale documento per suffragare il suo addebito relativo all’esistenza di un’infrazione e, dall’altro, che l’addebito possa essere provato solo facendo riferimento al documento stesso. L’impresa interessata ha pertanto l’onere di dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella propria decisione sarebbe stato diverso se tale documento fosse stato espunto dai mezzi di prova (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 97 supra, punti 71‑73).

208    Per contro, per quanto riguarda la mancata trasmissione di un documento a discarico, l’impresa interessata deve solo provare che la sua mancata divulgazione abbia potuto influenzare, a suo discapito, lo svolgimento del procedimento ed il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare detti documenti a discarico ai fini della propria difesa (sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 318, e sentenza Hercules Chemicals/Commissione, punto 85 supra, punto 81), in particolare comprovando che essa avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni operate dalla Commissione al momento della comunicazione degli addebiti e che avrebbe potuto quindi influenzare, in una qualsiasi maniera, le valutazioni svolte nella decisione (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 97 supra, punto 75).

209    Nell’ambito del presente motivo, la ricorrente sostiene di non aver avuto accesso, da un lato, ad una parte dei documenti del fascicolo della Commissione prodotti dalla Degussa e, dall’altro, alle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle altre imprese coinvolte.

–       Sull’accesso ai documenti della Degussa

210    Dal fascicolo risulta che, nel corso del procedimento amministrativo, la ricorrente ha chiesto di accedere ai rapporti del servizio vendite della Degussa relativi al periodo di durata dell’infrazione.

211    La Commissione ha accordato completo accesso ai documenti relativi agli anni 1996‑1999, ma ha divulgato solo alcuni estratti dei documenti relativamente al 2000 e al 2001, considerati, su domanda della Degussa, riservati.

212    Nell’ambito del presente motivo, la ricorrente critica il diniego di accesso alla versione integrale dei documenti relativi all’anno 2000, deducendo, da una parte, la violazione dell’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003 e, dall’altra, la violazione dei suoi diritti della difesa.

213    Occorre ricordare che il diritto di accesso al fascicolo previsto all’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003, ricade nell’ambito delle garanzie procedurali volte a tutelare i diritti della difesa e a garantire, in particolare, l’esercizio effettivo del diritto ad essere sentiti.

214    L’accesso al fascicolo non costituisce quindi un fine in sé, bensì è inteso a tutelare i diritti della difesa (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, causa T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 156).

215    Ne consegue che la ricorrente può far valere la violazione dell’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003, deducendo l’accesso negato al fascicolo integrale, solo in quanto detti documenti potevano essere rilevanti ai fini della sua difesa, circostanza questa che spetta alla ricorrente dimostrare.

216    A tale riguardo, la ricorrente sostiene che i documenti in parola potevano contenere indizi del carattere concorrenziale del mercato dell’HP nel corso del secondo semestre del 2000, idonei a costituire elementi a discarico quanto alla prosecuzione dell’infrazione durante detto periodo. Essa osserva che gli estratti di detti documenti che sono stati divulgati mostrano già che il mercato dell’HP nel 2000 era concorrenziale, essendo aumentati i costi di produzione e rimasti invariati i prezzi.

217    Orbene, come constatato al precedente punto 188, dal momento che la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente valido che, nel corso della riunione a Turku, sussisteva un consenso generale circa il mantenimento dei livelli di prezzo per il secondo semestre del 2000, essa ha potuto a buon diritto concludere che gli effetti dell’intesa erano perdurati fino alla fine di tale periodo, senza essere tenuta a prendere in considerazione eventuali indizi del fatto che gli obiettivi di tale consenso non si fossero potuti conseguire.

218    Pertanto, gli indizi sulla situazione del mercato nel corso del secondo semestre del 2000, e segnatamente sui livelli di prezzo praticati dalle imprese coinvolte, non erano tali da incidere, in alcun modo, sulla valutazione della Commissione relativa al perdurare dell’infrazione fino alla fine del 2000. Tali indizi non possono quindi costituire elementi a discarico in ordine al perdurare dell’intesa durante tale periodo.

219    Ne consegue che, non avendo la ricorrente dimostrato che avrebbe potuto invocare gli elementi tratti dai documenti in parola ai fini della sua difesa, la presente censura deve essere rigettata senza che sia necessario esaminare l’argomento della ricorrente relativa ad un asserito errore della Commissione nella valutazione del carattere riservato di detti documenti.

–       Sull’accesso alle risposte fornite dalle altre imprese coinvolte alla comunicazione degli addebiti

220    Dal fascicolo emerge che, nel corso del procedimento amministrativo, la Commissione ha rigettato la richiesta della ricorrente volta ad ottenere l’accesso alla versione non riservata delle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle altre imprese destinatarie di tale comunicazione.

221    La ricorrente sostiene che il diniego dell’accesso ha violato i suoi diritti della difesa, in quanto le risposte in parola avrebbero potuto contenere elementi a discarico.

222    Si deve ricordare che la comunicazione degli addebiti è un atto volto a circoscrivere l’oggetto del procedimento avviato contro un’impresa e a garantire l’efficace esercizio dei diritti della difesa (v. sentenza del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑69/04, Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, Racc. pag. II‑2567, punto 80, e la giurisprudenza ivi richiamata).

223    È sotto questo profilo che i destinatari della comunicazione degli addebiti beneficiano di garanzie procedurali, in attuazione del principio del rispetto dei diritti della difesa, tra cui figura il diritto di accesso ai documenti rilevanti del fascicolo della Commissione.

224    Le risposte alla comunicazione degli addebiti non fanno parte del fascicolo dell’istruttoria propriamente detto (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 214 supra, punto 380).

225    Trattandosi di documenti che non fanno parte del fascicolo costituito al momento della notifica della comunicazione degli addebiti, la Commissione è tenuta a divulgare dette risposte ad altre parti coinvolte esclusivamente qualora risulti che esse contengono nuovi elementi a carico o a discarico.

226    Al riguardo, per quanto attiene, da una parte, ai nuovi elementi a carico, secondo costante giurisprudenza, qualora la Commissione intenda basarsi su un passo di una risposta ad una comunicazione degli addebiti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione, le altre imprese coinvolte in detto procedimento devono essere messe in condizione di potersi pronunciare in merito a tale nuovo elemento di prova (sentenze del Tribunale Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 214 supra, punto 386, e 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, punto 50).

227    Per quanto riguarda, d’altra parte, i nuovi elementi a favore, secondo la medesima giurisprudenza, la Commissione non ha l’obbligo di renderli accessibili di sua iniziativa. Nell’ipotesi in cui la Commissione abbia respinto, nel corso del procedimento amministrativo, la domanda di una ricorrente diretta ad ottenere l’accesso a documenti che non compaiono nel fascicolo istruttorio, la violazione dei diritti della difesa può essere constatata solo ove venga dimostrato che il procedimento amministrativo avrebbe potuto concludersi con un risultato diverso nel caso in cui la ricorrente avesse avuto accesso ai documenti di cui trattasi nel corso di tale procedimento (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 214 supra, punto 383).

228    La ricorrente, inoltre, non può far valere la considerazione che si evince dalla sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 97 supra (punto 126), secondo cui la determinazione dei documenti utili alla difesa dell’impresa interessata non può spettare alla sola Commissione. Detta considerazione, riferita ai documenti che fanno parte del fascicolo della Commissione, non trova applicazione con riguardo alle risposte fornite dalle altre imprese coinvolte alla comunicazione degli addebiti della Commissione.

229    Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, quindi, le considerazioni fondate sul rispetto del principio della parità delle armi e del rispetto dei diritti della difesa, non possono, in linea di principio, portare ad obbligare la Commissione a divulgare le risposte in parola alle altre parti, affinché queste possano verificare l’assenza di eventuali elementi a discarico.

230    Considerato che la ricorrente invoca l’esistenza di asseriti elementi a favore in risposte non divulgate, le incombe l’onere di fornire un primo indizio dell’utilità, ai fini della sua difesa, di tali documenti.

231    In particolare, essa deve indicare i potenziali elementi a discarico in questione o fornire un indizio della loro esistenza e, pertanto, della loro utilità ai fini del procedimento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 351‑359).

232    Nella fattispecie, la ricorrente sostiene che le risposte delle altre imprese alla comunicazione degli addebiti avrebbero potuto suffragare le sue argomentazioni volte a dimostrare la più breve durata dell’infrazione. Essa indica, in particolare, che determinate altre imprese hanno contestato la data dell’inizio e la data della fine dell’intesa, mettendo in discussione, nello specifico, l’analisi della Commissione quanto alla prosecuzione dell’intesa fino alla fine dell’anno 2000. Essa sostiene, inoltre, che le risposte in parola potevano contenere elementi idonei a chiarire sotto un’altra luce l’esistenza dell’infrazione nel corso del secondo semestre del 2000, tenuto conto in particolare dell’assenza di prove di un impatto sui prezzi durante tale periodo.

233    In base alla giurisprudenza, tuttavia, il solo fatto che altre imprese coinvolte abbiano formulato, in sostanza, le stesse argomentazioni della ricorrente quanto alla durata dell’infrazione, non è sufficiente per considerare dette argomentazioni come elementi a discarico (v., in tal senso, sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 231 supra, punti 353 e 355).

234    Allo stesso modo, il fatto che determinate imprese siano riuscite a dimostrare, nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti, che la loro partecipazione alle infrazioni contestate non era stata sufficientemente provata, non comporta assolutamente che dette risposte contengano elementi di natura tale da mettere in una luce diversa le prove documentali dirette sulle quali si è fondata la Commissione con riguardo ad altre imprese (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 214 supra, punto 405).

235    Ciò vale a maggior ragione nella fattispecie, in quanto le argomentazioni dedotte dalle altre imprese coinvolte nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti sono state rigettate dalla Commissione nella decisione impugnata. Date le circostanze, quindi, le eventuali osservazioni che la ricorrente avrebbe potuto formulare sulla base di tali risposte avrebbero potuto contenere soltanto elementi già integralmente valutati dalla Commissione e non avrebbero potuto condurre il procedimento ad un risultato differente.

236    D’altronde, come già osservato ai punti 188, 217 e 218 che precedono, le eventuali osservazioni sul carattere concorrenziale del mercato e sul livello dei prezzi praticati tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000, durante il periodo finale dell’intesa, non erano idonee ad influire sulla constatazione della Commissione secondo cui l’intesa era proseguita nel corso di detto periodo e, per questo motivo, non potevano essere considerate come elementi a discarico.

237    Da tali considerazioni emerge che le argomentazioni dedotte dalla ricorrente non forniscono un primo indizio dell’utilità, ai fini della sua difesa, delle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle altre imprese coinvolte.

238    Di conseguenza, si deve constatare che la ricorrente non ha dimostrato che il fatto di non aver avuto accesso a dette risposte abbia nuociuto alla sua difesa.

239    Per la parte in cui la ricorrente lamenta un’errata applicazione del punto 27 della comunicazione della Commissione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio della Commissione nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 CE e 82 CE, degli articoli 53, 54 e 57 dell’accordo SEE e del regolamento n. 139/2004 o, in subordine, la sua illegittimità, è sufficiente ricordare che la comunicazione in parola, che peraltro non è richiamata nella decisione impugnata, è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 22 dicembre 2005 e non può pertanto, ratione temporis, trovare applicazione al diniego di accesso controverso, opposto il 4 maggio 2005.

240    L’argomentazione della ricorrente relativa a detta comunicazione è, quindi, priva di efficacia.

241    Alla luce di quanto precede, la censura relativa all’accesso negato alle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle altre imprese coinvolte e il presente motivo nel suo insieme, devono essere rigettati in quanto infondati.

 Sui presunti errori nella determinazione dell’importo di base dell’ammenda

 Argomenti delle parti

242    Il quarto motivo è suddiviso in quattro censure, relative alle valutazioni operate dalla Commissione in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda, per quanto riguarda, in primo luogo, la gravità dell’infrazione, in secondo luogo, la sua durata, in terzo luogo, l’effetto deterrente dell’ammenda e, in quarto luogo, la mancata valutazione della cooperazione della ricorrente quale circostanza attenuante.

243    La ricorrente sostiene, in primo luogo, che la Commissione ha commesso errori di diritto e di valutazione dei fatti nel valutare la gravità dell’infrazione. L’importo di partenza dell’ammenda sarebbe, di conseguenza, eccessivo e sproporzionato.

244    Da un lato, nel determinare l’importo di partenza, la Commissione avrebbe omesso di considerare che la durata dell’intesa sul PBS era stata più breve dell’intesa relativa all’HP. L’importo di partenza sarebbe stato determinato sulla base della dimensione dei mercati combinati dell’HP e del PBS nel SEE nel 1999, senza considerare il fatto che l’intesa sul PBS era stata più breve. Dato che il mercato dell’HP rappresenta tra il 60 e il 65% dei mercati combinati dei due prodotti, la Commissione avrebbe dovuto ridurre l’importo di base al fine di rispecchiare i periodi di infrazione durante i quali il mercato dell’HP è stato l’unico mercato interessato.

245    D’altra parte, la Commissione avrebbe omesso di esaminare l’impatto dell’intesa sul mercato. Un siffatto esame sarebbe stato necessario per tutti i periodi diversi da quelli in cui gli accordi sui prezzi erano stati effettivamente applicati, vale a dire tra l’agosto 1997 e il 18 maggio 2000 per l’HP e tra il 14 maggio 1998 e il 19 dicembre 1999 per il PBS. Orbene, nella decisione impugnata la Commissione avrebbe indicato che non era possibile misurare gli effetti reali dell’infrazione (punto 455 della decisione impugnata), senza però illustrare le ragioni di detta affermazione.

246    Dal momento che la Commissione non avrebbe provato che l’infrazione aveva avuto un impatto sui prezzi nel periodo iniziale e finale dell’intesa, essa avrebbe dovuto ridurre in maniera corrispondente l’importo dell’ammenda. La Commissione avrebbe commesso un errore di diritto, non avendo verificato se le pratiche anticoncorrenziali fossero state attuate né cercato di quantificarne gli effetti sul mercato.

247    La decisione impugnata sarebbe inoltre inficiata da un errore di motivazione per quanto attiene alla determinazione dell’importo di partenza in EUR 50 milioni, dal momento che la Commissione si sarebbe limitata a sostenere che quello era l’importo che «doveva essere inflitto». Detto importo sarebbe sproporzionato alla luce degli orientamenti e della prassi decisionale della Commissione.

248    In secondo luogo, a detta della ricorrente, nel determinare l’importo della sua ammenda, la Commissione poteva considerare unicamente il periodo ricompreso tra il febbraio 1998 e il maggio 2000.

249    Da un lato, infatti, la Commissione avrebbe dato prova soltanto dell’infrazione commessa dalla ricorrente tra l’agosto 1997 e il 18 maggio 2000. Dall’altro, la ricorrente sarebbe stata la prima impresa ad aver fornito prova dell’esistenza di un’intesa tra l’agosto 1997 e il febbraio 1998. Detto periodo non avrebbe pertanto potuto essere considerato ai fini di stabilire l’importo dell’ammenda a suo carico.

250    In terzo luogo, la Commissione non avrebbe giustificato in alcun modo l’applicazione della maggiorazione dell’importo dell’ammenda in funzione dell’effetto deterrente. Essa avrebbe omesso di spiegare le ragioni per cui detta maggiorazione fosse necessaria e, in particolare, non avrebbe spiegato perché, in mancanza di una siffatta maggiorazione, la recidiva dovesse ritenersi probabile.

251    La maggiorazione in parola sarebbe eccessiva e sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, vale a dire quello di prevenire la recidiva. L’importo dell’ammenda prima di tale maggiorazione sarebbe stato manifestamente sufficiente ad avere un effetto deterrente, a prescindere dal fatturato e dalle disponibilità della ricorrente.

252    In quarto luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha tenuto pienamente conto, nell’applicare la comunicazione sulla cooperazione, della sua collaborazione nel corso del procedimento. Per non violare gli orientamenti e i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, essa avrebbe dovuto quindi tenerne conto al di fuori dell’ambito di detta comunicazione.

253    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

–       Sulla valutazione della gravità dell’infrazione e sul livello dell’importo di base dell’ammenda

254    Ai sensi dell’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto della durata e della gravità dell’infrazione.

255    Secondo una costante giurisprudenza, la gravità dell’infrazione è determinata tenendo conto di numerosi elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, rispetto ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (sentenze della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 241, e 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑3921, punto 43).

256    In base al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, «[l]a valutazione della gravità dell’infrazione deve prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante».

257    Nel caso di specie la Commissione, per qualificare l’infrazione come molto grave, ha tenuto conto della natura dell’infrazione commessa, consistita in comportamenti che figurano tra le infrazioni più gravi dell’art. 81 CE, del fatto che essa ha interessato l’intero ambito SEE, nel quale i mercati combinati dell’HP e del PBS rappresentavano un notevole valore totale, e il fatto che la predetta infrazione doveva aver avuto un impatto sul mercato, benché non quantificabile (punti 453‑457 della decisione impugnata).

258    L’importo di base generale dell’ammenda è stato poi individualizzato per ciascun partecipante in funzione, in particolare, del suo peso specifico sul mercato. Alla ricorrente, il maggior produttore sui mercati congiunti dell’HP e del PBS, è stato attribuito un importo di partenza di EUR 50 milioni (punti 460‑462 della decisione impugnata).

259    La ricorrente contesta dette valutazioni, eccependo, in primo luogo, che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che l’intesa sul PBS era di durata più breve di quella sull’HP e che il mercato dell’HP rappresentava tra il 60 e il 65% dei mercati combinati dei due prodotti.

260    Si deve osservare che, benché l’importo di partenza venga determinato in funzione della gravità dell’infrazione nel suo insieme, nel caso di un’infrazione unica e continuata, può risultare opportuno dare rilievo, in questa fase di determinazione dell’importo dell’ammenda, alla diversa intensità dei comportamenti illeciti (v., in tal senso, sentenza BPB/Commissione, punto 89 supra, punto 364).

261    Nel caso di specie, al punto 331 della decisione impugnata la Commissione ha affermato che, «pur continuando a ritenere che in causa [fosse] un’unica infrazione riguardante sia l’HP che il PBS», ai fini della fissazione dell’ammenda essa avrebbe tenuto conto «del fatto che la collusione relativa al PBS [era] iniziata più tardi di quella relativa all’HP [e che era] cessata prima».

262    Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione ha preso in considerazione, nella determinazione dell’importo dell’ammenda, il fatto che i comportamenti relativi al PBS fossero di durata più breve rispetto all’infrazione nel suo complesso.

263    La ricorrente non può validamente sostenere che la Commissione, in realtà, non abbia proceduto in tal modo, per il mero fatto che i punti 457‑462 della decisione impugnata contengono il riferimento alle dimensioni dei mercati congiunti dell’HP e del PBS e non descrivono con precisione come la durata dei comportamenti collusivi, relativi all’uno o all’altro di detti prodotti, sia stata considerata nella determinazione dell’importo di partenza.

264    Invero, da un lato, nella motivazione della propria decisione la Commissione non è tenuta ad indicare dati numerici o ad esporre in modo dettagliato le modalità di calcolo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punto 50).

265    Dall’altro, in risposta al quesito posto per iscritto dal Tribunale, la Commissione ha precisato di aver effettivamente deciso di tener conto della diversa durata dei comportamenti relativi al PBS, non nell’ambito dell’aumento dell’importo dell’ammenda per la durata, bensì nella determinazione dell’importo di partenza, fermo restando che si trattava solo di uno dei fattori presi in considerazione nel fissare l’importo di partenza ad un livello adeguato.

266    A tale riguardo, sostenendo che la presa in considerazione della durata limitata dei comportamenti sul mercato del PBS avrebbe dovuto tradursi in una proporzionale riduzione dell’importo di partenza dell’ammenda, la ricorrente disconosce la giurisprudenza secondo cui la fissazione di un importo di partenza adeguato non può essere il risultato di un semplice calcolo aritmetico, dato che, del resto, le dimensioni del mercato colpito costituiscono solo uno dei fattori che può essere preso in considerazione per determinare tale importo (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 255 supra, punto 243).

267    La censura relativa alla mancata valutazione della durata limitata delle condotte relative al PBS non è quindi fondata.

268    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l’importo di partenza dell’ammenda, fissato in EUR 50 milioni, è sproporzionato rispetto sia agli orientamenti, sia alla precedente prassi della Commissione e che, sul punto, la decisione impugnata non è adeguatamente motivata.

269    A tale riguardo, quanto alla prassi anteriore, di cui la ricorrente si avvale, occorre ricordare che la Commissione dispone di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende, al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza. Di conseguenza, il fatto che la Commissione abbia inflitto, nel passato, ammende di una determinata entità per taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare questo livello per assicurare l’attuazione della politica della concorrenza e per rinforzare l’effetto dissuasivo (v. sentenza del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑68/04, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. II‑2511, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

270    Per quanto attiene agli orientamenti, occorre osservare che, dato che nella fattispecie l’infrazione è stata qualificata come molto grave, qualificazione questa non contestata dalla ricorrente, un importo di partenza di EUR 50 milioni non può essere ritenuto manifestamente sproporzionato rispetto alla scala prevista negli orientamenti.

271    Per quanto riguarda l’asserita insufficienza di motivazione della decisione impugnata relativamente alla determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla ricorrente, secondo una giurisprudenza costante, i requisiti di tale formalità sostanziale risultano soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (v. sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, punto 208 supra, punto 463 e giurisprudenza ivi citata).

272    Nella fattispecie in esame la Commissione ha soddisfatto tali requisiti, avendo indicato, ai punti 453‑462 della decisione impugnata, gli elementi che hanno consentito di misurare la gravità dell’infrazione di cui trattasi, vale a dire quelli legati alla sua natura, all’estensione e alle dimensioni dei mercati interessati, ed avendone illustrato l’applicazione al caso di specie.

273    Inoltre, per quanto attiene alla motivazione dell’importo di partenza in termini assoluti, occorre ricordare che le ammende costituiscono uno strumento della politica in materia di concorrenza della Commissione che deve poter disporre di un margine di discrezionalità nella fissazione del loro importo al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle norme in materia di concorrenza. Pertanto, non si può pretendere che la Commissione fornisca a questo proposito elementi di motivazione diversi da quelli relativi alla gravità e alla durata dell’infrazione (sentenza 8 ottobre 2008, SGL Carbon/Commissione, punto 269 supra, punto 32).

274    La seconda censura è quindi destituita di fondamento.

275    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha, a torto, omesso di esaminare l’impatto reale dell’intesa sul mercato con riguardo a tutti i periodi diversi da quelli in cui gli accordi sui prezzi, secondo la ricorrente, erano stati effettivamente applicati, vale a dire tra l’agosto 1997 e il 18 maggio 2000 per l’HP e tra il 14 maggio 1998 e il 19 dicembre 1999 per il PBS.

276    Essa sostiene che la Commissione era tenuta ad esaminare l’entità dell’impatto sui prezzi o, in ogni caso, a stimare la probabilità di un effetto reale sui prezzi nel corso dei periodi considerati.

277    A tale proposito, si deve ricordare che, se l’esistenza di un impatto concreto dell’infrazione sul mercato è un elemento da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione stessa, si tratta di un criterio che si accompagna ad altri, quali la natura propria dell’infrazione e l’ampiezza del mercato geografico. Allo stesso modo, dal punto 1 A, primo comma, degli orientamenti risulta che tale impatto deve essere preso in considerazione unicamente qualora sia misurabile.

278    Si deve parimenti rilevare che le intese orizzontali sui prezzi o di ripartizione dei mercati, quali l’infrazione oggetto del caso di specie, possono essere qualificate come infrazioni molto gravi sul solo fondamento della loro stessa natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato. L’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, costituisce solo uno dei vari fattori che possono consentire alla Commissione di aumentare l’importo di partenza dell’ammenda oltre l’importo minimo applicabile di EUR 20 milioni (sentenza della Corte 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punti 74 e 75).

279    Nel caso di specie, dal punto 455 della decisione impugnata risulta che la Commissione non ha ritenuto possibile misurare l’impatto concreto sul mercato SEE dell’insieme degli accordi illeciti in questione e che, quindi, non si è fondata specificamente su un simile impatto, in particolare, in base alla considerazione che deve tenersi conto dell’impatto concreto solo qualora esso sia misurabile.

280    Nell’ambito dello stesso punto la Commissione ha affermato che gli accordi collusivi erano stati posti in atto dai produttori europei e che tale attuazione aveva certamente avuto un impatto sul mercato, benché il suo effetto concreto fosse «per natura difficilmente misurabile».

281    Inoltre, al punto 457 della decisione impugnata, in cui la Commissione conclude per la qualificazione dell’infrazione come molto grave, essa si è riferita non soltanto alla natura dell’infrazione, all’estensione geografica e alle dimensioni del mercato, ma anche al fatto che l’infrazione «[aveva] avuto necessariamente degli effetti».

282    A questo proposito si deve rilevare che, posto che l’intesa in parola è stata attuata in tutto il territorio SEE e che ha avuto ad oggetto la ripartizione delle quote di mercato e dei clienti nonché la fissazione di obiettivi di prezzo, la Commissione ha potuto validamente qualificare l’infrazione come molto grave, in considerazione della sua natura, senza dover dimostrare un impatto concreto della stessa sul mercato.

283    In tal modo, la constatazione operata dalla Commissione del fatto che l’infrazione, considerata nel suo insieme, «[avesse] avuto necessariamente degli effetti» sul mercato deve essere ritenuta solo un ulteriore indizio di cui si è tenuto conto nella determinazione della sua gravità.

284    D’altronde, la ricorrente non mette in dubbio la suddetta constatazione in quanto tale, ma si limita a sostenere che la Commissione avrebbe dovuto riconoscere il fatto che l’infrazione non aveva avuto effetti reali durante determinati periodi dell’infrazione e tenerne conto nella determinazione dell’importo di partenza.

285    Tale argomentazione, dunque, non è in realtà diretta contro la qualificazione dell’infrazione come molto grave ma mira a rimettere in discussione l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione in funzione della sua gravità.

286    In proposito si deve rilevare che, benché l’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, costituisca uno dei fattori che possono condurre ad un aumento dell’importo di partenza dell’ammenda al di là dell’importo minimo applicabile, nel caso di specie, dal punto 455 della decisione impugnata risulta chiaramente che la Commissione non ha ritenuto misurabile l’impatto di cui trattasi e che, pertanto, esso non poteva assumere rilevanza nella determinazione dell’importo dell’ammenda.

287    Dato che la ricorrente si rifà alla sentenza 5 aprile 2006, Degussa/Commissione (T‑279/02, Racc. pag. II‑897, punti 241‑254), nella quale il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda stabilito in funzione della gravità dell’infrazione, dopo aver constatato che la Commissione aveva stabilito detto importo tenendo conto dell’impatto concreto sul mercato, benché detta circostanza non fosse stata dimostrata con riguardo a tutta la durata dell’infrazione, occorre osservare che, diversamente da quanto accaduto nella causa che ha dato origine a detta sentenza, nel caso di specie la Commissione non si è basata sull’impatto concreto dell’infrazione sul mercato per determinare l’importo dell’ammenda.

288    D’altro canto, trattandosi di un elemento facoltativo nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda, la ricorrente non può validamente addebitare alla Commissione di non aver esplicitato i motivi della propria valutazione del carattere non misurabile dell’impatto concreto dell’infrazione.

289    Infatti, nello stabilire l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla ricorrente, la Commissione ha potuto, giustamente, senza essere tenuta a giustificare tale scelta, non tener conto del fattore in esame e fondarsi su altri elementi, quali la natura dell’infrazione, l’estensione geografica e le dimensioni del mercato.

290    Conseguentemente, la ricorrente ha torto nel sostenere che la Commissione fosse tenuta a determinare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato e a tener conto della mancanza di un simile impatto durante determinati periodi dell’infrazione, o a indicare i motivi specifici che l’hanno indotta a ritenere che detto impatto non fosse misurabile.

291    Alla luce di tutte queste considerazioni, le censure relative alla valutazione della gravità dell’infrazione e alla determinazione dell’importo di partenza non possono essere accolte.

–       Sull’effetto deterrente

292    La ricorrente sostiene che la Commissione non ha giustificato l’applicazione della maggiorazione dell’importo dell’ammenda in funzione dell’effetto deterrente, avendo omesso di spiegarne la necessità alla luce della situazione particolare della ricorrente e di valutare la probabilità di recidiva. Secondo la ricorrente, inoltre, la maggiorazione in parola, pari al 50%, è eccessiva rispetto al suo obiettivo, vale a dire la prevenzione della recidiva, ed è, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa, sproporzionata.

293    Con riguardo alla motivazione della decisione impugnata, si deve osservare che la Commissione ha stabilito che occorreva fissare l’importo delle ammende ad un livello che garantisse, tenuto conto delle dimensioni di ciascuna impresa, un sufficiente effetto deterrente (punto 463 della decisione impugnata).

294    Allo stesso punto la Commissione ha previsto l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5 all’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla ricorrente, in considerazione delle sue notevoli dimensioni, comprovate da considerevole fatturato mondiale conseguito durante l’ultimo esercizio finanziario anteriore alla decisione impugnata.

295    Occorre constatare che, con tali considerazioni, la Commissione ha illustrato in modo giuridicamente valido gli elementi valutati per maggiorare, in funzione dell’effetto deterrente, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente ed ha così permesso, a quest’ultima, di conoscere il motivo di tale maggiorazione, effettuata in considerazione della sua situazione particolare, e di far valere i suoi diritti, nonché, al giudice dell’Unione, di esercitare il suo controllo.

296    Nell’indicare i motivi che giustificano il livello dell’ammenda, la Commissione non è tenuta, infatti, ad indicare i dati che, in particolare per quanto riguarda l’effetto dissuasivo ricercato, hanno ispirato l’esercizio del suo potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza Cascades/Commissione, punto 264 supra, punti 39‑48, e sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, Akzo Nobel/Commissione, causa T‑330/01, Racc. pag. II‑3389, punto 125).

297    Per quanto riguarda la fondatezza della decisione impugnata, occorre innanzitutto ricordare che, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo (sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 106, e Archer Daniels Midland/Commissione, punto 158 supra, punto 63).

298    A questo proposito, la Commissione può tener conto, in particolare, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa in parola (v., in tal senso, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, punto 297 supra, punto 120, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 255 supra, punto 243).

299    Analogamente, il punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti prevede la necessità di prendere in considerazione la capacità economica effettiva degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantire un carattere sufficientemente dissuasivo.

300    Nel caso di specie, con riguardo all’affermazione della ricorrente circa il carattere asseritamente sproporzionato della maggiorazione in parola, occorre evidenziare che, dato che l’infrazione sanzionata si riferisce a comportamenti la cui illegittimità è stata reiteratamente affermata dalla Commissione fin dai suoi primi interventi nella materia, la Commissione ha potuto fissare l’importo dell’ammenda ad un livello sufficientemente dissuasivo, senza essere tenuta a valutare la probabilità di recidiva da parte della ricorrente (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T‑101/05 e T‑111/05, BASF e UCB/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punti 46 e 47).

301    Occorre poi osservare che la Commissione dispone di un potere discrezionale nella fissazione dell’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle norme in materia di concorrenza. A tal proposito, tenuto conto delle dimensioni della ricorrente, comprovate dal suo fatturato mondiale particolarmente consistente, la maggiorazione in parola, pari al 50%, non può essere ritenuta sproporzionata rispetto allo scopo dissuasivo.

302    D’altro canto, dato che la maggiorazione in parola si basa su una considerazione di cui non si è tenuto conto nel determinare l’importo di partenza, vale a dire la necessità di assicurare il carattere dissuasivo dell’ammenda avuto riguardo alle risorse complessive della ricorrente, quest’ultima non può validamente sostenere che lo scopo dissuasivo è stato sufficientemente preso in considerazione in fase di determinazione dell’importo di partenza.

303    Alla luce di quanto precede, la presente censura non può essere accolta.

–       Sulla durata dell’infrazione

304    Al punto 467 della decisione impugnata, la Commissione ha accertato che la ricorrente aveva partecipato ad un’infrazione di lunga durata, che si è protratta dal 31 gennaio 1994 al 31 dicembre 2000, vale a dire per un periodo di sei anni e undici mesi. L’importo di partenza dell’ammenda inflittale è stato pertanto maggiorato del 65%, vale a dire del 10% per ciascun anno intero di partecipazione all’infrazione e del 5% per il periodo restante.

305    Da un lato, la ricorrente contesta detta valutazione, sostenendo che la Commissione non ha dimostrato la sua partecipazione all’infrazione per il periodo anteriore al mese di agosto 1997 e neppure per quello posteriore al 18 maggio 2000.

306    Ora, dato che detta censura coincide in toto con l’argomentazione sviluppata dalla ricorrente nell’ambito dei primi due motivi esaminati in precedenza, relativi alla durata dell’infrazione, non occorre esaminarla separatamente.

307    D’altra parte, la ricorrente sostiene di essere stata la prima impresa ad aver fornito, nell’ambito della sua cooperazione con la Commissione, le prove dell’esistenza di un’intesa tra l’agosto 1997 e il febbraio 1998. Secondo la ricorrente, la Commissione non avrebbe potuto tener conto, quindi, di detto periodo nel determinare l’importo dell’ammenda inflittale.

308    Ai sensi del punto 23, lett. b), terzo comma, della comunicazione sulla cooperazione, «se un’impresa fornisce elementi di prova relativi a fatti in precedenza ignorati dalla Commissione che hanno un’incidenza diretta sulla gravità o la durata della presunta intesa, la Commissione non terrà conto di questi elementi nel determinare l’importo di eventuali ammende da infliggere all’impresa che li ha forniti».

309    Nella fattispecie, la ricorrente sostiene, in sostanza, che le prove dell’infrazione che essa ha fornito nell’ambito della sua cooperazione hanno avuto un impatto diretto sull’accertamento della durata dell’intesa, avendo permesso alla Commissione di collocare la data dell’inizio dell’infrazione nel mese di agosto 1997.

310    Si deve osservare che questo argomento si fonda sull’opinione secondo la quale la Commissione non avrebbe dimostrato, in modo giuridicamente valido, l’esistenza dell’infrazione nel periodo anteriore al mese di agosto 1997.

311    Ora, dal momento che detta opinione è stata smentita in sede di esame del primo motivo (v. punto 170 supra), il presente argomento non può trovare accoglimento. In effetti, dal momento che la Commissione ha sostenuto, a buon diritto, che l’intesa si riferiva anche a periodi antecedenti al mese di agosto 1997, la prova fornita dalla ricorrente, relativa al periodo successivo, non ha potuto avere un impatto diretto sulla determinazione della durata dell’intesa.

312    Alla luce di tutto quanto precede, la presente censura, nella parte in cui si riferisce alla durata dell’infrazione, non necessita di una valutazione autonoma rispetto a quella già effettuata in relazione al primo e al secondo motivo ed è, quanto al resto, infondata.

–       Sulla mancata presa in considerazione della cooperazione della ricorrente al di fuori della comunicazione sulla cooperazione

313    In subordine, con riguardo al terzo motivo relativo all’errata applicazione della comunicazione sulla cooperazione, che verrà esaminato qui di seguito, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha preso in considerazione pienamente la sua cooperazione, quale circostanza attenuante, al di fuori del campo di applicazione di detta comunicazione.

314    È sufficiente ricordare, a tal proposito, che, per quanto riguarda le infrazioni che rientrano nel campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione, in linea di principio, l’interessato non può validamente addebitare alla Commissione di non aver preso in considerazione il grado della sua cooperazione come circostanza attenuante al di fuori dell’ambito giuridico della comunicazione sulla cooperazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 586 e la giurisprudenza ivi citata).

315    Ciò vale nella fattispecie tanto più che la Commissione ha preso in considerazione la cooperazione della ricorrente, riducendo l’importo dell’ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Date le circostanze, non si può validamente contestare alla Commissione di non aver ulteriormente ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, al di fuori dell’ambito di applicazione di detta comunicazione.

316    Di conseguenza, la presente censura e, quindi, il quarto motivo nel suo insieme, non possono trovare applicazione.

 Sull’applicazione della comunicazione sulla cooperazione

 Argomenti delle parti

317    Il presente motivo si articola in tre censure relative, in primo luogo, alla valutazione della data della richiesta di clemenza della ricorrente, in secondo luogo, al suo inquadramento rispetto ad altre due imprese coinvolte e, in terzo luogo, all’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda accordata.

–       Sulla valutazione della data della richiesta della ricorrente

318    La ricorrente sostiene che la Commissione ha torto nel ritenere che la sua richiesta di clemenza fosse stata presentata il 4 aprile 2003, invece che il 3 aprile, alle ore 9.30, momento in cui essa avrebbe contattato la Commissione telefonicamente, ammettendo la propria partecipazione all’infrazione e sollecitando un incontro urgente per presentare prova orale.

319    Le richieste di clemenza dovrebbero essere esaminate nell’ordine in cui sono ricevute, indipendentemente da ogni verifica circa la disponibilità del richiedente a fornire informazioni per iscritto o verbalmente. Nella fattispecie, la ricorrente avrebbe presentato la propria richiesta nel corso della conversazione telefonica del 3 aprile, cui avrebbe fatto seguito il fax, inviato lo stesso giorno alle 13.24, con il quale la ricorrente avrebbe sollecitato un incontro urgente per rendere una dichiarazione orale.

320    Il rifiuto della Commissione di considerare una simile richiesta come una richiesta di clemenza penalizzerebbe l’impresa che intenda fare una dichiarazione orale, la quale, dal punto di vista organizzativo, richiede tempo. Secondo la ricorrente, quando un’impresa riconosce di aver commesso un’infrazione e intende cooperare, rilasciando, senza ritardo e in un momento concordato con la Commissione, una dichiarazione, si deve presumere che la sua richiesta sia stata presentata nel momento in cui essa ha richiesto un incontro con la Commissione per rendere la propria dichiarazione.

321    Le dichiarazioni orali delle imprese sarebbero un mezzo riconosciuto per presentare le richieste di clemenza. Orbene, l’approccio adottato dalla Commissione nella decisione impugnata scoraggerebbe le imprese dal fornire una prova orale e contrasterebbe con gli obiettivi della comunicazione sulla cooperazione. Nella fattispecie, la ricorrente sarebbe stata la sola impresa a mettere a disposizione i propri dirigenti, testimoni diretti dell’intesa, per rendere dichiarazioni orali e rispondere alle domande della Commissione.

322    Secondo la ricorrente, la telefonata e il fax del 3 aprile confermavano la sua richiesta di ottenere un incontro per presentare una richiesta di clemenza, indicando la natura delle informazioni che intendeva fornire alla Commissione il più rapidamente possibile. Con un secondo fax, inviato lo stesso giorno alle ore 17.24, la ricorrente avrebbe comunicato che era pronta a fornire immediatamente le informazioni e avrebbe dato la propria disponibilità alla Commissione per un incontro lo stesso giorno o il giorno successivo.

323    Nelle comunicazioni in parola sarebbe stato chiaramente indicato l’obiettivo della riunione e la natura delle informazioni che la ricorrente intendeva fornire alla Commissione. Il fatto che esse non contenessero direttamente informazioni relative all’infrazione sarebbe irrilevante.

324    Rifiutandosi di riconoscere che la ricorrente aveva introdotto la sua richiesta di clemenza il 3 aprile 2003 alle ore 9.30 o, in subordine, alle ore 13.24, la Commissione avrebbe disconosciuto le peculiarità specifiche di una richiesta orale, in violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 e dei punti 21‑23 della comunicazione sulla cooperazione.

325    La Commissione avrebbe inoltre violato il principio della tutela del legittimo affidamento e il principio di buona amministrazione. La ricorrente avrebbe potuto legittimamente credere che la sua richiesta sarebbe stata considerata come presentata all’atto della sua telefonata. Date le circostanze, sarebbe stato compito della Commissione informare la ricorrente di come intendeva applicare la comunicazione sulla cooperazione, mettendo la ricorrente nelle condizioni di formulare immediatamente una richiesta scritta per fax.

326    Accordando un trattamento preferenziale all’impresa che ha inviato i documenti per fax, la Commissione avrebbe violato il principio di parità di trattamento a danno della ricorrente, che intendeva fornire la prova orale.

327    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

–       Sull’inquadramento della ricorrente rispetto ad altre due imprese coinvolte

328    La ricorrente sostiene che la Commissione ha errato nel ritenere che l’EKA Chemicals e l’Arkema avessero soddisfatto, al momento delle rispettive richieste di clemenza, le condizioni di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione.

329    La Commissione avrebbe preso in considerazione unicamente il momento di presentazione delle richieste di clemenza da parte dell’EKA Chemicals e dell’Arkema e avrebbe omesso di esaminare se esse avessero fornito una prova di valore aggiunto significativo, in violazione dei punti 21‑23 della comunicazione sulla cooperazione, dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, nonché dell’obbligo di motivazione su di essa gravante.

330    Ora, gli elementi forniti dall’EKA Chemicals e dall’Arkema non avrebbero costituito una prova di valore aggiunto significativo e, quindi, non avrebbero soddisfatto la condizione di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione.

331    Per quanto riguarda l’EKA Chemicals, la maggior parte degli elementi forniti con il suo fax del 29 marzo 2003 e con la sua dichiarazione orale del 31 marzo 2003 si sarebbero riferiti agli accordi tra i due produttori scandinavi e non sarebbero pertanto rilevanti ai fini di dimostrare l’intesa nel SEE. Gran parte delle informazioni si sarebbe riferita a fatti anteriori all’inizio dell’intesa.

332    Nella decisione impugnata, la Commissione si sarebbe basata sugli elementi forniti dall’EKA Chemicals soltanto sei volte e unicamente con riguardo al periodo precedente al mese di agosto 1997. Detti elementi di prova sarebbero stati di rilevanza limitata, in quanto non confermati, imprecisi e non convincenti. La Commissione avrebbe, in realtà, fatto ricorso solo agli elementi forniti dall’EKA Chemicals in data 8 ottobre 2004. Dato che l’EKA Chemicals aveva preso parte all’intesa solo fino alla sua entrata sul «mercato continentale» (punto 364 della decisione impugnata), essa non avrebbe potuto fornire informazioni relative a detto mercato.

333    Per quanto riguarda l’Arkema, i suoi consulenti legali avrebbero inviato alla Commissione un fax il 3 aprile 2003 unitamente a tredici allegati indicanti che si trattava di documenti relativi all’infrazione.

334    Si trattava di note e schede, redatte a mano, non datate e senza titolo, alcune delle quali difficilmente leggibili e di cattiva qualità, talvolta incomplete; altre contenevano simboli o abbreviazioni, incomprensibili in mancanza di altre spiegazioni. La stessa Commissione avrebbe riconosciuto, nella sua lettera inviata alla ricorrente il 1° aprile 2005, che le risultava difficile leggere detti documenti. L’Arkema non avrebbe fornito alcuna spiegazione né alcun commento a tali documenti fino al 26 maggio 2003.

335    I documenti in parola non potrebbero essere considerati come elementi di prova, poiché non permetterebbero di stabilire i fatti senza ulteriori spiegazioni. Non conterrebbero alcuna indicazione circa le date, i luoghi, l’oggetto della discussione e i partecipanti e non permetterebbero di capire che si riferiscono all’HP.

336    Soltanto i chiarimenti resi successivamente, il 26 maggio 2003, avrebbero dato forza di prova ai documenti in parola. Per ciascuno dei documenti del 3 aprile 2003 sarebbe stata necessaria, infatti, una spiegazione dettagliata per comprenderne il contenuto ed apprezzarne la portata, spiegazione che è stata data il 26 maggio 2003.

337    Solo il 26 maggio 2003, circa sette settimane dopo il fax iniziale, l’Arkema avrebbe fornito elementi di prova. Il tempo necessario per predisporre detti elementi attesterebbe il carattere inadeguato e incompleto della comunicazione del 3 aprile 2003, che sarebbe stato il risultato di un «tentativo precipitoso e inopportuno» dell’Arkema volto ad ottenere la clemenza contemporaneamente nell’ambito di più controversie. Detta avventatezza sarebbe dimostrata dal fatto che gli allegati inviati il 3 aprile 2003 non sarebbero stati presentati nell’ordine corretto, e addirittura in forma incompleta, inoltre avrebbero dovuto essere integrati dai documenti forniti il 26 maggio 2003.

338    Nella decisione impugnata, la Commissione si sarebbe basata contemporaneamente sui documenti inviati il 3 aprile 2003, su quelli messi a disposizione il 26 maggio successivo e sui chiarimenti forniti lo stesso giorno. Quando la Commissione si riferisce ad un documento fornito il 3 aprile 2003, essa si fonderebbe espressamente sulle spiegazioni del 26 maggio 2003 (v., ad esempio, il punto 185 della decisione impugnata). I documenti inviati il 3 aprile 2003 sarebbero stati utilizzati soltanto in riferimento ad un’unica riunione (punto 192 della decisione impugnata) e anche in tal caso sarebbe stato necessario ricorrere alle spiegazioni del 26 maggio 2003.

339    L’Arkema non avrebbe peraltro richiesto la clemenza con riguardo al PBS e non avrebbe fornito alcun elemento relativo al PBS prima del 15 luglio 2003. La Commissione non avrebbe pertanto potuto fondatamente concludere che i documenti forniti il 3 aprile 2003 riguardavano i due prodotti oggetto dell’inchiesta.

340    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

–       Sull’entità della riduzione riconosciuta alla ricorrente

341    In subordine, la ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso un errore di diritto ed un manifesto errore di valutazione, non riconoscendole, in virtù della sua cooperazione, la riduzione massima, pari al 20%, prevista per la terza impresa che soddisfi la condizione di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione.

342    L’entità della riduzione sarebbe fissata in base al momento in cui vengono fornite le prove e al valore aggiunto delle stesse. La Commissione non avrebbe verificato in che misura le informazioni fornite dalla ricorrente rappresentavano un valore aggiunto significativo.

343    La Commissione, inoltre, non avrebbe valutato correttamente la portata delle informazioni della ricorrente. A differenza delle informazioni dell’EKA Chemicals e dell’Arkema, quelle fornite dalla ricorrente avrebbero riguardato contemporaneamente l’HP e il PBS. La ricorrente avrebbe fornito informazioni dettagliate e precise in merito a tutte le riunioni importanti menzionate all’interno della decisione impugnata e che sono state organizzate, quanto all’HP, tra l’agosto 1997 e la fine del 1998 e, quanto al PBS, tra il maggio 1998 e il dicembre 1999. Per dar prova dell’infrazione, la Commissione si sarebbe basata praticamente su tutte le riunioni indicate dalla ricorrente.

344    A questo riguardo la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che la ricorrente era stata la prima a fornire informazioni dettagliate, e quindi nuove, sull’insieme di dette riunioni che costituiscono l’aspetto essenziale dell’intesa. La Commissione avrebbe torto nel sostenere che altre imprese l’avevano già informata di dette riunioni. Essa non si sarebbe potuta limitare a valutare la prova fornita dalla ricorrente «come un insieme», ma avrebbe dovuto valutare ciascuno degli elementi.

345    Nell’affermare che le informazioni della ricorrente si limiterebbero a confermare quelle già fornite dalla Degussa, la Commissione ne avrebbe disconosciuto la natura. La ricorrente avrebbe fornito prove aggiuntive essenziali, ivi comprese delle testimonianze dirette. Solo in dieci punti la Commissione si sarebbe basata sulle informazioni della Degussa, le quali, in particolare, non verterebbero sulle riunioni del 1997 relative all’HP e al PBS, indicate dalla ricorrente.

346    La Commissione avrebbe dovuto valutare il fatto che solo la ricorrente le ha messo a disposizione il suo personale dirigente, che avrebbe offerto prova diretta dell’infrazione, che essa non si è limitata a fare dichiarazioni scritte tramite i propri legali e che ha cooperato in modo continuativo dopo la presentazione della sua richiesta di clemenza, rispondendo alle richieste di informazioni e fornendo spontaneamente informazioni integrative. La Commissione avrebbe ritenuto, a torto, che le testimonianze orali dei partecipanti ad una riunione avevano un valore probatorio inferiore rispetto alle prove documentali.

347    La decisione impugnata si baserebbe in ampia misura sulle informazioni fornite dalla ricorrente. La Commissione non avrebbe applicato correttamente il punto 23 della comunicazione sulla cooperazione, non avendo tenuto in considerazione la portata importante di detta cooperazione.

348    La riduzione accordata alla ricorrente sarebbe estremamente contenuta e non proporzionata, sia con riguardo alla riduzione massima prevista dalla comunicazione sulla cooperazione, sia con riguardo alle riduzioni accordate ad altre imprese coinvolte, in particolare all’Arkema, il che avrebbe comportato una violazione del principio della parità di trattamento. La ricorrente avrebbe contribuito all’accertamento dell’infrazione in maniera più decisiva rispetto all’Arkema. La riduzione dell’importo dell’ammenda accordato alla ricorrente sarebbe quindi «manifestamente illegittima e irragionevolmente modesta».

349    La Commissione sostiene di aver esposto, in modo giuridicamente valido, al punto 523 della decisione impugnata, le ragioni in forza delle quali essa aveva accordato alla ricorrente una riduzione dell’importo della sua ammenda del 10% a titolo della sua cooperazione.

350    Per quanto riguarda la portata e l’entità del valore aggiunto delle prove fornite dalla ricorrente, la Commissione avrebbe tenuto in adeguata considerazione il fatto che le prove in parola riguardavano sia l’HP che il PBS. È comunque vero che la ricorrente ha essenzialmente fornito elementi di prova che hanno permesso di suffragare le informazioni provenienti dalla Degussa e dall’Arkema.

351    Secondo la Commissione, è vero che le prove fornite dalla ricorrente sono citate nella decisione impugnata con riguardo a tutte le riunioni multilaterali che hanno avuto luogo tra il 1997 e il 2000; al momento della presentazione della richiesta di clemenza da parte della ricorrente, dette riunioni erano state però già segnalate da altre imprese. La Commissione avrebbe quindi potuto sostenere che le prove fornite dalla ricorrente non facevano che suffragare quello che essa già sapeva sull’intesa nel suo insieme.

352    Per quanto attiene alla portata e alla continuità della cooperazione della ricorrente dopo la presentazione della richiesta di clemenza, dal punto 23, lett. b), secondo comma, ultima frase, della comunicazione sulla cooperazione si evincerebbe che la Commissione non è tenuta a prendere in considerazione tali elementi. Si può presumere che la cooperazione debba essere continuativa, mentre la norma in parola permetterebbe piuttosto di penalizzare una cooperazione che, dopo la presentazione della richiesta di clemenza, si riveli debole.

353    Con riferimento alla contestata violazione del principio della parità di trattamento, la posizione della ricorrente e quella dell’Arkema non sarebbero state tra loro comparabili, per le ragioni illustrate ai punti 510 e 513 della decisione impugnata, e detta differenza giustificherebbe la concessione della riduzione nella misura massima all’Arkema, ma non alla ricorrente. La Commissione, inoltre, avrebbe espressamente preso in considerazione la data della presentazione delle prove da parte della ricorrente al punto 515 della decisione impugnata.

 Giudizio del Tribunale

354    La comunicazione sulla cooperazione stabilisce, ai punti 21‑23, quanto segue:

«21. Al fine di poter beneficiare di un[a riduzione dell’importo dell’ammenda], un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che costituiscano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione, e deve inoltre cessare la presunta infrazione entro il momento in cui presenta tali elementi di prova.

22. Il concetto di “valore aggiunto” si riferisce alla misura in cui gli elementi di prova forniti rafforzano, per la loro stessa natura e/o per il loro grado di precisione, la capacità della Commissione di dimostrare i fatti in questione. Nel procedere a tale valutazione, la Commissione riterrà di norma che gli elementi di prova scritti risalenti al periodo a cui si riferiscono i fatti abbiano un valore maggiore [di quello] degli elementi di prova venuti ad esistenza successivamente. Analogamente, gli elementi di prova direttamente legati ai fatti in questione saranno in genere considerati come più importanti di quelli che hanno solo un legame indiretto.

23. In ogni decisione finale adottata al termine del procedimento amministrativo, la Commissione determinerà:

a)      se gli elementi di prova forniti da un’impresa hanno rappresentato un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione in quello stesso momento;

b)      il livello della riduzione di cui un’impresa beneficerà, che verrà stabilito come indicato di seguito in relazione all’importo delle ammende che la Commissione avrebbe altrimenti inflitto:

–        prima impresa a soddisfare la condizione di cui al punto 21: riduzione del 30‑50%,

–        seconda impresa a soddisfare la condizione di cui al punto 21: riduzione del 20‑30%,

–        altre imprese che soddisfano la condizione di cui al punto 21: riduzione massima del 20%.

Al fine di definire il livello della riduzione all’interno di queste forcelle, la Commissione terrà conto della data in cui gli elementi di prova che soddisfano le condizioni menzionate al punto 21 le sono stati comunicati e del grado di valore aggiunto che detti elementi hanno rappresentato. La Commissione potrà anche tenere conto dell’entità e della continuità della cooperazione dimostrata dall’impresa a partire d[a]lla data del suo contributo.

Inoltre, se un’impresa fornisce elementi di prova relativi a fatti in precedenza ignorati dalla Commissione che hanno un’incidenza diretta sulla gravità o la durata della presunta intesa, la Commissione non terrà conto di questi elementi nel determinare l’importo di eventuali ammende da infliggere all’impresa che li ha forniti».

355    Nella fattispecie, in applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha constatato che la Degussa soddisfaceva le condizioni per beneficiare della piena esenzione dall’ammenda. L’EKA Chemicals e l’Arkema, considerate rispettivamente la prima e la seconda impresa ad aver soddisfatto la condizione di cui al punto 21 di detta comunicazione, hanno ottenuto una riduzione dell’importo dell’ammenda pari, rispettivamente, al 40 e al 30%. La ricorrente, ritenuta la terza impresa ad aver soddisfatto detta condizione, ha beneficiato di una riduzione del 10% (punti 501‑524 della decisione impugnata).

–       Sulla valutazione della data della richiesta formulata dalla ricorrente

356    Dalla decisione impugnata si evince che l’EKA Chemicals ha presentato la sua richiesta di clemenza il 29 marzo 2003, ha reso una dichiarazione orale il 31 marzo 2003 e ha fornito elementi di prova dell’infrazione nel corso della stessa settimana (punti 67, 503 e 505 della decisione impugnata).

357    Con fax del 3 aprile 2003, alle ore 15.50, l’Arkema ha inviato alla Commissione la sua richiesta di clemenza, accompagnata da tredici allegati contenenti documenti relativi all’intesa in parola. Il 26 maggio 2003, l’Arkema ha prodotto davanti alla Commissione nuovi elementi attinenti alla sua richiesta di clemenza, tra i quali le spiegazioni dei documenti trasmessi il 3 aprile 2003 (punti 69, 510 e 516 della decisione impugnata).

358    Dal fascicolo, e dai punti 68‑71 della decisione impugnata, emerge che la ricorrente ha contattato la Commissione per la prima volta telefonicamente la mattina del 3 aprile 2003.

359    Con il fax inviato lo stesso giorno alle ore 13.15, essa ha informato la Commissione che intendeva «con la presente» inoltrare una richiesta di applicazione della comunicazione sulla cooperazione e che, data la natura orale della prova, intendeva «incontrare la Commissione il prima possibile per poterla mettere al corrente di detti elementi, in base alla procedura [che permette] di rendere tali dichiarazioni verbalmente». La ricorrente ha infine chiesto alla Commissione conferma della sua «disponibilità per un incontro [il giorno dopo]».

360    Con il fax inviato lo stesso giorno alle ore 17.24, la ricorrente ha confermato di essere «pronta a fornire subito le informazioni aggiuntive e si [metteva] quindi completamente a disposizione della Commissione per un incontro [lo stesso giorno o l’indomani]». Con il fax delle ore 17.28 dello stesso giorno, la ricorrente ha confermato la sua partecipazione ad un incontro con la Commissione previsto per il giorno successivo, il 4 aprile 2003, alle ore 14.15.

361    Il 4 aprile 2003 la ricorrente ha reso una dichiarazione orale nei locali della Commissione, accompagnata dalle testimonianze dei suoi dirigenti. Il 9 aprile 2003 ha reso una dichiarazione orale che verteva, più nel dettaglio, sul PBS. Essa ha confermato le sue dichiarazioni per iscritto, integrandole con alcuni elementi aggiuntivi, l’11 e il 16 aprile 2003.

362    Sulla base di dette circostanze, che non sono oggetto di contestazione da parte della ricorrente, la Commissione ha dichiarato, nella decisione impugnata, che «il 4 aprile 2003 (…) [la ricorrente aveva] formulato una richiesta di applicazione della comunicazione sulla [cooperazione] mediante una dichiarazione verbale» (punto 515 della decisione impugnata).

363    Nel quadro della presente censura, la ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso un errore di diritto nell’applicare i punti 21‑23 della comunicazione sulla cooperazione. Secondo la ricorrente, quando un’impresa intende collaborare, rendendo una dichiarazione senza ritardo e nel momento concordato con la Commissione, la sua richiesta deve essere considerata come proposta nel momento in cui essa ha preso contatto con la Commissione per rendere detta dichiarazione.

364    Si deve osservare, a tal proposito, che dai punti 21 e 23 della comunicazione sulla cooperazione si evince che, per poter esigere una riduzione dell’importo dell’ammenda, un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova che rechino un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione. Ai fini dell’applicazione delle forcelle di riduzione dell’importo dell’ammenda previste al punto 23, lett. b), di detta comunicazione, inoltre, la Commissione deve definire il momento in cui l’impresa ha soddisfatto detta condizione.

365    Emerge altresì chiaramente dal tenore letterale delle disposizioni in parola che, ai fini dell’applicazione delle forcelle di riduzione previste al punto 23, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione deve stabilire il momento in cui l’impresa le ha fornito effettivamente elementi di prova che costituiscono un valore aggiunto significativo rispetto a quelli già in suo possesso.

366    Detta interpretazione trova conferma nelle considerazioni relative al sistema previsto dalla comunicazione in parola, in base alle quali la Commissione è tenuta a stabilire il momento preciso in cui le condizioni per la riduzione dell’importo dell’ammenda possono dirsi soddisfatte da parte dell’impresa interessata, confrontando gli elementi di prova forniti con quelli che erano già in suo possesso alla data della domanda, e deve, quindi, disporre di detti elementi.

367    Quanto all’affermazione della ricorrente, secondo cui un tale approccio, basato sull’individuazione del momento in cui sono stati effettivamente forniti gli elementi di prova da parte dell’impresa che ha formulato richiesta di clemenza, disincentiverebbe le imprese interessate a sottoporre una prova orale, che potrebbe comprendere peraltro anche le testimonianze rese dalle persone direttamente coinvolte nei comportamenti illeciti, si deve rilevare che detta osservazione, quand’anche fondata, non è idonea a rimettere in discussione l’interpretazione desumibile dal tenore letterale stesso della comunicazione sulla cooperazione.

368    In ogni caso, la ricorrente sbaglia nel sostenere che l’approccio in esame possa condurre ad una disparità di trattamento a svantaggio delle imprese che intendono rendere una dichiarazione orale.

369    Le disposizioni della comunicazione sulla cooperazione in parola, infatti, che impongono di individuare il momento preciso della presentazione degli elementi di prova che possiedono un valore aggiunto significativo rispetto a quelli che erano già in possesso della Commissione, si applicano indistintamente a tutte le imprese che formulano richiesta di clemenza.

370    Per quanto attiene alla determinazione della data della richiesta, le imprese che inoltrano una richiesta di clemenza in base a detta comunicazione devono essere valutate come se si trovassero in situazioni tra loro equiparabili, indipendentemente dalle modalità di presentazione degli elementi di prova, che dipendono dalla scelta compiuta dall’autore della richiesta. Dette situazioni devono pertanto godere dello stesso trattamento.

371    Alla luce di dette considerazioni, la tesi della ricorrente, secondo cui, ai fini dell’applicazione delle forcelle di riduzione dell’importo dell’ammenda, occorre tener conto del momento in cui l’impresa ha preso contatto con la Commissione per rendere una dichiarazione orale, non può essere accolta.

372    Nel caso di specie, è pacifico che la ricorrente non ha prodotto alla Commissione nessun elemento di prova relativo all’infrazione prima della sua dichiarazione orale del 4 aprile 2003. La Commissione ha, quindi, correttamente dichiarato che era in tale data che la ricorrente aveva soddisfatto la condizione prevista al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione.

373    A tal proposito, la ricorrente non può legittimamente invocare le esigenze temporali legate alla presentazione della sua dichiarazione orale.

374    Infatti, è proprio perché la trasmissione orale di informazioni si dimostra essere una modalità di cooperazione di regola meno rapida della trasmissione delle informazioni per iscritto che l’impresa interessata, se sceglie di trasmettere oralmente le informazioni, deve tener conto del rischio che un’altra impresa faccia pervenire alla Commissione, per iscritto e prima di essa, elementi determinanti per provare l’esistenza dell’intesa (v., in tal senso, sentenza BASF/Commissione, punto 314 supra, punto 505).

375    La ricorrente, inoltre, non sostiene che il momento in cui essa ha depositato la richiesta di clemenza sia stato condizionato, in un modo o nell’altro, dalla disponibilità di risorse da parte della Commissione. Dalle circostanze del caso in esame emerge peraltro che la Commissione ha pienamente tenuto conto dell’urgenza manifestata dalla ricorrente e ha organizzato un incontro alla data proposta per ricevere la sua richiesta.

376    Per quanto riguarda l’asserita violazione del principio di tutela dell’affidamento legittimo, è di giurisprudenza costante che il diritto di invocarlo si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione dell’Unione gli abbia suscitato aspettative fondate (v. sentenza del Tribunale 7 giugno 2006, cause riunite T‑213/01 e T‑214/01, Österreichische Postsparkasse e Bank für Arbeit und Wirtschaft/Commissione, Racc. pag. II‑1601, punto 210 e la giurisprudenza ivi citata).

377    Nel caso di specie, la ricorrente si limita a sostenere che la Commissione avrebbe dovuto informarla di come intendeva applicare la comunicazione sulla cooperazione.

378    Orbene, tenuto conto del chiaro tenore letterale delle citate disposizioni della comunicazione in parola, che richiedono che gli elementi di prova rappresentino un valore aggiunto significativo rispetto a quelli già in possesso della Commissione, la ricorrente non poteva legittimamente credere che la posizione della sua cooperazione sarebbe stata fissata, ai fini dell’applicazione delle forcelle di riduzione dell’importo dell’ammenda, sulla base della data delle sue comunicazioni del 3 aprile 2003, non avendo essa fornito alcun elemento di prova nell’ambito di dette comunicazioni.

379    La ricorrente peraltro non afferma che la Commissione le abbia dato una qualche garanzia di trattare la sua richiesta come se fosse stata presentata il 3 aprile 2003 e non le contesta neppure di non aver agito con la celerità richiesta dalle circostanze.

380    Occorre quindi riconoscere che la Commissione non ha preso nessuna misura, né adottato alcun comportamento che avrebbe potuto ingenerare nella ricorrente una qualsivoglia aspettativa fondata del fatto che la sua richiesta di clemenza sarebbe stata considerata come rispondente alla condizione di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione nel momento in cui ha contattato la Commissione, vale a dire il 3 aprile 2003.

381    Ne consegue che si deve rigettare l’argomentazione della ricorrente relativa ad una violazione del principio di legittimo affidamento, così come quella relativa ad una violazione del principio di buona amministrazione, fondandosi entrambe sui medesimi argomenti.

382    Alla luce di quanto precede, la censura relativa alla valutazione della data della richiesta di clemenza presentata dalla ricorrente non è fondata.

–       Sulla valutazione delle informazioni rese da altre due imprese coinvolte

383    La ricorrente sostiene che né l’EKA Chemicals, né l’Arkema hanno fornito elementi di prova che rappresentano un valore aggiunto significativo rispetto a quelli già in possesso della Commissione alla data delle rispettive richieste.

384    Essa sostiene, in primo luogo, che, per classificare ciascuna impresa, ai fini dell’applicazione delle forcelle di riduzione dell’importo dell’ammenda previste al punto 23, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha tenuto unicamente conto del momento della presentazione della loro richiesta di clemenza, senza considerare il valore aggiunto degli elementi forniti. Essa sostiene, inoltre, che le valutazioni di cui trattasi non sarebbero state adeguatamente motivate.

385    Occorre osservare, innanzitutto, come, ai punti 503 e 509 della decisione impugnata, la Commissione abbia riconosciuto che l’EKA Chemicals e l’Arkema avevano, ciascuna di esse, fornito elementi di prova che arrecavano un valore aggiunto significativo rispetto a quelli che erano già in suo possesso alla data dei loro rispettivi contributi.

386    Per quanto riguarda l’EKA Chemicals, la Commissione ha osservato, in particolare, che essa le aveva fornito elementi di prova relativi al periodo compreso tra il 31 gennaio 1994 e il 14 ottobre 1997, inerenti a fatti che essa precedentemente ignorava e che hanno pertanto influito direttamente sulla determinazione della durata dell’intesa. Essa ha osservato, inoltre, che l’EKA Chemicals aveva fornito elementi che suffragavano e integravano quelli prodotti dalla Degussa per il periodo ricompreso tra il 14 ottobre 1997 e il 31 dicembre 1999 (punto 506 della decisione impugnata).

387    Malgrado dette osservazioni siano state formulate nel quadro della valutazione del livello di riduzione dell’importo dell’ammenda all’interno della forcella applicabile, la Commissione si è ugualmente fondata su dette considerazioni per stabilire la forcella applicabile all’EKA Chemicals in relazione agli elementi forniti da quest’ultima tra il 29 e il 31 marzo 2003, dal momento che, tra quelle due date, non è pervenuta nessun’altra richiesta di clemenza.

388    Per quanto riguarda l’Arkema, la Commissione ha osservato che la sua comunicazione del 3 aprile 2003 includeva documenti redatti a mano comprovanti i comportamenti anticoncorrenziali con riguardo ai due prodotti oggetto dell’intesa e che detti documenti, in quanto tali, erano sufficientemente chiari da essere comprensibili già da soli, pur essendo stati completati successivamente (punto 510 della decisione impugnata). La Commissione ha così ritenuto che la prima comunicazione dell’Arkema recante un valore aggiunto significativo risalisse al 3 aprile 2003 (punto 513 della decisione impugnata).

389    Emerge chiaramente da detti motivi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, per determinare la forcella della riduzione dell’importo dell’ammenda applicabile, la Commissione ha verificato ed ha accertato l’esistenza di un valore aggiunto significativo dei contributi dell’EKA Chemicals e dell’Arkema rispetto agli elementi che erano già in suo possesso alla data di ciascuna delle loro richieste.

390    L’argomentazione della ricorrente relativa ad un asserito errore di diritto nella valutazione delle domande in parola deve pertanto essere rigettata.

391    Le considerazioni succitate esposte nella decisione impugnata permettono inoltre di riconoscere, in maniera chiara e non equivoca, gli elementi essenziali del ragionamento che ha condotto la Commissione a ritenere che ciascuno dei contributi in parola rappresentava, al momento in cui è stato fornito, un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, aspetto questo che è stato preso in considerazione per determinare la forcella di riduzione dell’importo dell’ammenda applicabile a ciascuna delle due imprese interessate in forza del punto 23, lett. b), della succitata comunicazione.

392    L’argomentazione della ricorrente relativa alla asserita violazione dell’obbligo di motivazione non può pertanto trovare accoglimento.

393    La ricorrente sostiene, in secondo luogo, che le valutazioni in parola effettuate dalla Commissione sono viziate da un errore manifesto.

394    Occorre ricordare, a tal proposito, che, benché la Commissione non possa, nel valutare la cooperazione fornita dai partecipanti ad un’intesa, ignorare il principio di parità di trattamento, essa gode di un ampio margine di discrezionalità nel valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da una determinata impresa. Pertanto, solo un errore manifesto di valutazione da parte della Commissione può essere censurato (v. sentenza del Tribunale 6 maggio 2009, causa T‑116/04, Wieland‑Werke/Commissione, Racc. pag. II‑1087, punto 124, e la giurisprudenza citata).

395    Ne consegue che la ricorrente non può limitarsi a proporre, in allegato al ricorso, la sua valutazione dei contributi offerti dall’EKA Chemicals e dall’Arkema, ma deve dimostrare, con un’argomentazione concreta, sotto quale profilo la valutazione operata dalla Commissione possa dirsi viziata da un errore manifesto.

396    A tal proposito, per quanto attiene al contributo offerto dall’EKA Chemicals, occorre ricordare innanzitutto che, come si evince dal punto 506 della decisione impugnata, essa ha fornito documenti risalenti al periodo controverso ed inerenti a determinate riunioni e ad altri contatti collusivi, relativi a fatti precedentemente ignorati dalla Commissione e che hanno avuto, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 31 gennaio 1994 e il 14 ottobre 1997, un impatto diretto sulla determinazione della durata dell’intesa, oltre che elementi che suffragano ed integrano quelli prodotti dalla Degussa in relazione al periodo successivo.

397    Per quanto attiene all’affermazione per cui l’infrazione si sarebbe estesa all’intero territorio del SEE, la correttezza di detta valutazione non viene messa in discussione dal fatto, invocato dalla ricorrente, che le informazioni fornite dall’EKA Chemicals abbiano riguardato prevalentemente il mercato scandinavo. Occorre ricordare che l’EKA Chemicals ha prodotto informazioni sui contatti tra i produttori sul «continente» e che, inoltre, alcuni dei comportamenti illeciti hanno interessato indistintamente il mercato scandinavo e quello «continentale» (v., in particolare, i punti 106 e 144 della decisione impugnata).

398    Nella misura in cui la ricorrente contesta il valore probatorio degli elementi dedotti dall’EKA Chemicals, si deve osservare inoltre che essi hanno permesso alla Commissione, in particolare, di fissare al 31 gennaio 1994 la data di inizio dell’intesa e di suffragare le dichiarazioni della Degussa relative al periodo iniziale dell’intesa. Il fatto che, nell’ambito dell’esame del primo motivo, detti elementi siano stati ritenuti insufficienti per stabilire la partecipazione della ricorrente all’infrazione a partire da tale data, non rimette in discussione il loro valore probatorio con riguardo all’accertamento dell’intesa in quanto tale.

399    La tesi della ricorrente, secondo cui il contributo reso dall’EKA Chemicals farebbe riferimento in larga parte a fatti anteriori all’inizio dell’intesa, si fonda peraltro sulla censura da essa sollevata volta a sostenere che l’intesa avrebbe avuto inizio nel mese di agosto 1997, censura questa rigettata, in quanto non fondata in base all’esame del primo motivo (v. punto 170 che precede).

400    Il fatto, da ultimo, che gli elementi forniti dall’EKA Chemicals sarebbero stati presi in considerazione, secondo la ricorrente, solo in pochi punti della decisione impugnata non ne rimette in discussione il valore probatorio. La circostanza poi che alcuni di detti punti facciano riferimento agli elementi forniti in seguito alla domanda iniziale dell’EKA Chemicals non è da sola sufficiente a fondare la tesi della ricorrente a detta della quale la Commissione si sarebbe basata, in realtà, sulle informazioni fornite dall’EKA Chemicals successivamente alla sua richiesta di clemenza.

401    Con riguardo a dette considerazioni, si deve osservare che le argomentazioni dedotte dalla ricorrente non dimostrano che la Commissione abbia commesso un errore manifesto nel concludere che l’EKA Chemicals aveva fornito elementi di prova di un valore aggiunto significativo, ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, prima della presentazione, da parte della ricorrente, della richiesta di clemenza.

402    Per quanto attiene agli elementi forniti dall’Arkema, la Commissione ha osservato, in particolare, nella decisione impugnata, che «la sua prima comunicazione comprendeva [tredici] documenti redatti a mano comprovanti l’esistenza di comportamenti anticoncorrenziali tra i concorrenti in relazione ai due prodotti oggetto dell’inchiesta» e che, «anche se detti documenti erano, di per sé, sufficientemente chiari per essere compresi [da essa] nel contesto delle informazioni già in suo possesso, l’[Arkema] [aveva] integrato la sua comunicazione iniziale solo il 26 maggio 2003, con una dichiarazione scritta contenente precisazioni con riguardo a ciascuno dei documenti trasmessi il 3 aprile 2003, nonché nuovi documenti e le relative spiegazioni» (punto 510 della decisione impugnata).

403    Essa ha indicato, in termini generali, che gli elementi forniti dall’Arkema «[avevano] riguardato un’intesa su scala europea relativa ai due prodotti, dato che l’[Arkema] aveva essenzialmente fornito documenti del periodo interessato, che [le] hanno permesso (…) di suffragare le informazioni già comunicate dalla Degussa e che sono stati ampiamente utilizzati all’interno della presente decisione» (punto 513 della decisione impugnata).

404    Con riguardo a dette valutazioni, la ricorrente sostiene che gli elementi forniti dall’Arkema il 3 aprile 2003 non avevano alcun valore probatorio, dal momento che, a suo dire, consistevano in note e schede redatte a mano, non datate e senza titolo, che erano difficilmente leggibili e/o incomplete, dato che contenevano simboli o abbreviazioni, e che sarebbero stati pertanto incomprensibili in mancanza di altre spiegazioni. Secondo la ricorrente, sono le spiegazioni aggiuntive fornite dall’Arkema il 26 maggio 2003 ad aver dato valore probatorio al suo contributo.

405    Occorre ricordare, a questo proposito, che gli elementi in parola si riferiscono a comportamenti clandestini, che prevedevano riunioni da tener segrete e una documentazione ridotta al minimo.

406    Tenuto conto della difficoltà di ottenere prove dirette di tali comportamenti, quali le note o i resoconti delle riunioni del periodo dell’infrazione, il loro valore probatorio non può essere messo in discussione per il solo fatto che sono redatti a mano o frammentari, che contengono abbreviazioni e simboli, che possono eventualmente necessitare di ulteriori precisazioni o devono essere esaminati alla luce di altre informazioni in possesso della Commissione.

407    In particolare, il fatto che per ben comprendere detti documenti fosse necessario un chiarimento di determinati dettagli, quali l’impiego di abbreviazioni, non impedisce di ammettere che siano sufficientemente chiari (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 561).

408    Nel caso di specie, i documenti in parola, trasmessi dall’Arkema il 3 aprile 2003, contengono note e tabelle numeriche, redatte all’epoca dell’infrazione, che costituiscono una prova documentale diretta del carattere anticoncorrenziale delle discussioni intrattenute all’epoca. Il valore probatorio di detti documenti non viene inficiato dal fatto che, per comprendere integralmente il loro contenuto, fosse necessario contestualizzarli, confrontarli con altre informazioni o chiarire i simboli e gli acronimi ivi contenuti.

409    Si deve poi osservare che almeno una parte dei documenti in parola, vale a dire le note redatte all’epoca, contengono nomi di persone e di imprese, date e proposte in cifre quanto agli obiettivi di prezzo e alle quote di mercato, che erano idonei a fungere da prova autonoma dell’infrazione. Alcuni di detti documenti sono stati utilizzati dalla Commissione, in quanto tali, nella decisione impugnata, per comprovare lo svolgimento e i risultati concreti delle riunioni dell’intesa, in particolare, ai punti 176 e 181 della stessa.

410    Occorre ugualmente ricordare che, quando l’Arkema ha formulato la propria richiesta, la Commissione disponeva già di un numero notevole di elementi sullo svolgimento dell’intesa, desunti dai contributi offerti dalla Degussa e dall’EKA Chemicals, e che è stato possibile impiegare gli elementi di prova forniti dall’Arkema nel contesto delle informazioni che erano già in possesso della Commissione.

411    Il fatto che, nel richiamare detti elementi nell’ambito di alcuni motivi della decisione impugnata, la Commissione abbia contestualmente citato un documento fornito il 3 aprile 2003 e le spiegazioni inviate dall’Arkema il 26 maggio 2003 non significa peraltro che essa abbia riconosciuto che i documenti forniti inizialmente, in quanto tali, erano privi di valore probatorio. Gli elementi forniti in data 26 maggio 2003, infatti, indubbiamente contenevano alcune spiegazioni o le trascrizioni dei documenti del 3 aprile 2003, ma la maggior parte di dette informazioni consisteva in mere precisazioni sui documenti già prodotti.

412    L’argomento della ricorrente, relativo all’asserita mancanza di valore probatorio dei documenti forniti dall’Arkema il 3 aprile 2003, non può pertanto trovare accoglimento.

413    Per quanto attiene al valore aggiunto significativo degli elementi in causa, occorre ricordare che si tratta di documenti dell’epoca, relativi a riunioni collusive tenutesi nel corso degli anni 1997 e 1998, richiamate in più occasioni nella decisione impugnata ove si riferisce a detto periodo, alcune delle quali sono state citate direttamente.

414    A questo proposito, nella parte in cui la ricorrente ha sostenuto che la Commissione ha errato nel ritenere che la richiesta iniziale dell’Arkema si riferisse ai due prodotti in parola, basti osservare che, benché i documenti forniti dall’Arkema il 3 aprile 2003 si riferissero unicamente ai comportamenti illeciti relativi all’HP, trattandosi nel caso di specie di un’infrazione unica compiuta sui due mercati, tale circostanza non può rimettere in discussione la conclusione in merito al valore aggiunto significativo della cooperazione.

415    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, non può dirsi provato che la Commissione abbia commesso un manifesto errore di valutazione nel concludere che l’Arkema aveva prodotto, con il fax del 3 aprile 2003, elementi di prova con un valore aggiunto significativo, ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione.

416    In occasione dell’udienza, la ricorrente ha contestato, per la prima volta, che la valutazione compiuta nel caso di specie diverge da quella compiuta dalla Commissione con riguardo alla cooperazione prestata dall’Arkema nell’ambito del caso che ha portato alla decisione C (2006) 2098, del 31 maggio 2006, relativa a un procedimento ex articolo 81 [CE] ed ex articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/F/38.645 – Metacrilati).

417    La Commissione, interrogata su tale punto, non si è opposta alla deduzione di detto nuovo argomento.

418    Occorre ricordare che, in forza dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, la deduzione di motivi nuovi in corso di causa è vietata, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

419    Nel caso di specie, anche supponendo che l’argomento in parola possa essere considerato come un motivo nuovo, esso non ricade in tale divieto, dal momento che si basa sulla valutazione di fatto compiuta dalla Commissione nella decisione C (2006) 2098, la quale, come ammesso dalla Commissione in udienza, è stata resa pubblica solo dopo la chiusura della fase scritta del presente procedimento.

420    Quanto al merito di detta argomentazione, si deve osservare che dal fax del 3 aprile 2003, allegato al ricorso, emerge come l’Arkema abbia, con tale comunicazione, sollecitato l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione fornendo documenti relativi a tre prodotti, tra cui l’HP, oggetto della decisione impugnata, e i metacrilati, oggetto della decisione C (2006) 2098.

421    Al punto 405 della decisione C (2006) 2098, richiamato dalla ricorrente, la Commissione ha osservato, nell’ambito della determinazione dell’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda da riconoscere all’Arkema, che, «benché [essa] abbia presentato una richiesta di clemenza in uno stadio relativamente precoce della procedura, vale a dire il 3 aprile 2003, ovvero nel corso del mese che ha seguito le ispezioni», è stato soltanto «dopo il ricevimento delle sue ulteriori dichiarazioni» che essa è giunta alla conclusione che «detta impresa soddisfaceva le condizioni per beneficiare di una misura di clemenza, vista la natura e la precisione degli elementi di prova forniti, i quali rafforzavano la sua capacità di comprovare i fatti in parola». La Commissione ha osservato, allo stesso punto, che, «anche se l’[Arkema] aveva fornito elementi recanti un valore aggiunto significativo fin dalla sua prima comunicazione (…), il valore aggiunto che essa [aveva] apportato [ai suoi] argomenti [era] rimasto limitato per tutta la durata del procedimento».

422    Come si evince da dette considerazioni, nel caso che ha portato alla decisione C (2006) 2098, la Commissione ha ritenuto che, malgrado l’Arkema avesse presentato la sua richiesta di clemenza il 3 aprile 2003, solo con il ricevimento delle sue dichiarazioni integrative essa era pervenuta alla conclusione che detta impresa aveva fornito elementi di prova recanti un valore aggiunto significativo.

423    Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tuttavia, le considerazioni in parola non permettono di dimostrare che la Commissione, nel valutare il contributo reso nel caso di specie, abbia ugualmente preso in considerazione le dichiarazioni dell’Arkema successive al suo fax del 3 aprile 2003.

424    Da un lato, la valutazione effettuata nell’ambito della decisione C (2006) 2098, riferita ai documenti di cui agli allegati A 14 e A 15 del fax del 3 aprile 2003, non riguardava gli stessi elementi oggetto di esame nel caso di specie, che sono stati invece prodotti unitamente alla stessa comunicazione sub allegati da A 1 ad A 13. La valutazione fatta valere si riferiva peraltro alla quantificazione dell’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda all’interno della forcella, ai sensi del punto 23, lett. b), secondo comma, della comunicazione sulla cooperazione, e non alla determinazione della forcella stessa applicabile, ai sensi del punto 23, lett. b), primo comma, della comunicazione, di cui si discute nella fattispecie.

425    Dall’altro, dalla decisione C (2006) 2098 si evince che, nel caso che ha portato a detta decisione, non è stata formulata alcuna richiesta di clemenza nel periodo ricompreso tra il 3 aprile 2003 e il ricevimento da parte della Commissione delle dichiarazioni integrative dell’Arkema. Diversamente rispetto al caso di specie, nel caso che ha portato alla decisione C (2006) 2098, la Commissione ha potuto così legittimamente prendere in considerazione le dichiarazioni integrative dell’Arkema per valutare se quest’ultima soddisfacesse le condizioni per la riduzione dell’importo dell’ammenda stabilite nella comunicazione sulla cooperazione.

426    Alla luce delle considerazioni svolte, la valutazione effettuata nella decisione C (2006) 2098 non permette di rimettere in discussione la legittimità di quella effettuata nel caso di specie.

427    In base alle considerazioni svolte, la censura della ricorrente relativa alla valutazione dei contributi dell’EKA Chemicals e dell’Arkema deve essere rigettata in quanto infondata.

–       Sull’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda riconosciuta alla ricorrente

428    Ai punti 523 e 524 della decisione impugnata, la Commissione ha stabilito che la ricorrente era la terza impresa ad aver soddisfatto il requisito indicato al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, avendo fornito, il 4 aprile e il 17 maggio 2003, documenti su un’intesa a livello europeo avente ad oggetto i due prodotti coinvolti. Quanto al valore aggiunto di detta cooperazione, la Commissione ha osservato che la ricorrente aveva «essenzialmente fornito elementi di prova che [le] hanno permesso (…) di suffragare determinate informazioni già fornite dalla Degussa e dall’[Arkema] e alle quali viene fatto ampio ricorso nella [decisione impugnata]». In base a dette considerazioni, la Commissione ha applicato una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda della ricorrente.

429    La ricorrente sostiene, in subordine, che la Commissione, a torto, non le ha accordato la riduzione massima, pari al 20%, prevista all’interno della forcella applicabile alla terza impresa ai sensi del punto 23, lett. b), primo comma, della comunicazione sulla cooperazione.

430    Occorre ricordare che, in virtù del punto 23, lett. b), secondo comma, della comunicazione sulla cooperazione, per stabilire l’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda all’interno della forcella applicabile, la Commissione può tener conto della data del contributo, del grado di valore aggiunto degli elementi forniti, nonché dell’entità e della continuità della cooperazione.

431    Nel caso di specie, la Commissione ha stabilito, al punto 515 della decisione impugnata, che la ricorrente era intervenuta in una fase precoce del procedimento, poco dopo la data delle verifiche, che il suo contributo aveva rappresentato un valore aggiunto significativo ed era stato reso in modo continuativo, essendo stati forniti elementi, in particolare, in data 4, 9, 11 e 16 aprile, oltre che il 17 maggio 2003. È pacifico che gli elementi prodotti dalla ricorrente sono stati ampiamente utilizzati nella decisione impugnata per comprovare l’infrazione, con riguardo in particolare al periodo ricompreso tra il 1997 e il 2000.

432    Inoltre, come emerge dalla risposta inviata dalla Commissione il 15 settembre 2009 a un quesito scritto posto dal Tribunale, la ricorrente è stata la prima a produrre elementi di prova in relazione ad un certo numero di riunioni tenutesi tra l’agosto e il novembre 1997 a Bruxelles. Si deve ugualmente osservare che le informazioni relative a dette riunioni hanno permesso alla Commissione di comprovare determinati aspetti essenziali dell’intesa in parola, vale a dire l’esistenza di accordi vincolanti sui rialzi concordati dei prezzi dell’HP, nonché di iniziative collusive con riguardo al PBS.

433    Occorre di conseguenza constatare che la Commissione ha errato nel ritenere, al punto 523 della decisione impugnata, che, da un lato, gli elementi forniti dalla ricorrente avessero essenzialmente suffragato informazioni già fornite dalla Degussa e dall’Arkema e che, dall’altro, gli elementi indicati all’interno del succitato punto non giustificassero in alcun modo, con riferimento ai criteri indicati al punto 23, lett. b), secondo comma, della comunicazione sulla cooperazione, il ricorso al tasso di riduzione in parola nell’ambito della forcella applicabile.

434    Si deve quindi ritenere che la Commissione ha commesso manifestamente un errore nel fissare, basandosi su dette considerazioni, al 10% l’entità della riduzione dell’ammenda da accordare alla ricorrente a titolo della sua cooperazione.

435    La valutazione in parola, che ha condotto ad una riduzione modesta dell’importo dell’ammenda accordata alla ricorrente, contrasta d’altronde con quella effettuata in relazione alla cooperazione dell’Arkema, dato che la Commissione, pur avendo riconosciuto che detta impresa aveva fornito elementi aggiuntivi soltanto il 26 maggio 2003, varie settimane dopo la sua richiesta iniziale, le ha comunque accordato la riduzione massima all’interno della forcella applicabile (punti 510 e 513 della decisione impugnata).

436    Le dichiarazioni rese dalla ricorrente, a differenza di quelle dell’Arkema, fornivano inoltre prova dell’infrazione con riguardo ai due prodotti coinvolti, dal momento che le dichiarazioni della ricorrente contenevano altresì un’esposizione, dettagliata e supportata dalle testimonianze dirette dei partecipanti all’intesa, del contenuto degli accordi illeciti, aspetto questo che peraltro emerge chiaramente alla luce del fatto che esse sono state ampiamente utilizzate nella decisione impugnata.

437    Alla luce delle considerazioni che precedono, l’ultima censura formulata dalla ricorrente deve essere accolta.

438    Il motivo qui in esame deve essere rigettato quanto al resto.

439    Nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche di merito, il Tribunale ritiene che, alla luce delle considerazioni svolte ai punti 430‑437 supra, occorre innalzare al 20% la riduzione dell’importo dell’ammenda accordata alla ricorrente a titolo della sua cooperazione. L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente deve pertanto essere ridotto proporzionalmente.

 Sulla determinazione dell’importo finale dell’ammenda

440    Alla luce dell’esame dei motivi sollevati dalla ricorrente e nell’ambito dell’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza giurisdizionale anche di merito, si deve riformare l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, riducendo la maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda, applicata dalla Commissione in considerazione della durata della partecipazione all’infrazione, al 55%, e aumentando al 20% la percentuale di riduzione dell’importo dell’ammenda applicabile in forza della comunicazione sulla cooperazione.

441    A seguito di detta modifica, l’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è pari a EUR 139,5 milioni.

 Sulle spese

442    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

443    Nella specie, poiché le conclusioni della ricorrente sono state dichiarate parzialmente fondate, il Tribunale procederà ad un’equa valutazione delle circostanze decidendo che la ricorrente sopporterà l’80% delle proprie spese nonché di quelle esposte dalla Commissione e che quest’ultima sopporterà il 20% delle proprie spese nonché di quelle esposte dalla ricorrente.

444    Si deve d’altronde rigettare la domanda formulata dalla ricorrente nell’ambito delle sue conclusioni sulle spese, finalizzata a chiedere la condanna della Commissione al rimborso delle spese sostenute per la costituzione e il mantenimento di una garanzia bancaria al fine di evitare l’esecuzione forzata della decisione impugnata. In base ad una giurisprudenza costante, infatti, dette spese non rientrano tra le spese del giudizio (v., in tal senso, sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 214 supra, punto 5133, e la giurisprudenza citata).

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1, lett. m), della decisione della Commissione 3 maggio 2006, C (2006) 1766 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso C.38.620 – Perossido d’idrogeno e perborato), è annullato nella parte in cui la Commissione europea vi ha accertato che la Solvay SA aveva preso parte all’infrazione nel periodo antecedente al maggio 1995.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta alla Solvay all’art. 2, lett. h), della decisione C (2006) 1766 def. è fissato in EUR 139,5 milioni.

3)      Il ricorso è respinto per il resto.

4)      La Solvay sopporterà l’80% delle proprie spese nonché di quelle della Commissione.

5)      La Commissione sopporterà il 20% delle proprie spese nonché di quelle della Solvay.

Vadapalas

Dittrich

Truchot

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 giugno 2011.

Firme

Indice


Fatti

Decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione

Argomenti delle parti

– Sul periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di agosto 1997

– Sul periodo ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000

Giudizio del Tribunale

– Sul periodo ricompreso tra il 31 gennaio 1994 e il mese di maggio 1995

– Sul periodo ricompreso tra il mese di maggio 1995 e il mese di agosto 1997

– Sul periodo ricompreso tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2000

Sulla presunta violazione dei diritti della difesa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sull’accesso ai documenti della Degussa

– Sull’accesso alle risposte fornite dalle altre imprese coinvolte alla comunicazione degli addebiti

Sui presunti errori nella determinazione dell’importo di base dell’ammenda

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulla valutazione della gravità dell’infrazione e sul livello dell’importo di base dell’ammenda

– Sull’effetto deterrente

– Sulla durata dell’infrazione

– Sulla mancata presa in considerazione della cooperazione della ricorrente al di fuori della comunicazione sulla cooperazione

Sull’applicazione della comunicazione sulla cooperazione

Argomenti delle parti

– Sulla valutazione della data della richiesta della ricorrente

– Sull’inquadramento della ricorrente rispetto ad altre due imprese coinvolte

– Sull’entità della riduzione riconosciuta alla ricorrente

Giudizio del Tribunale

– Sulla valutazione della data della richiesta formulata dalla ricorrente

– Sulla valutazione delle informazioni rese da altre due imprese coinvolte

– Sull’entità della riduzione dell’importo dell’ammenda riconosciuta alla ricorrente

Sulla determinazione dell’importo finale dell’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.