Language of document : ECLI:EU:T:2006:289

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

4 ottobre 2006 (*)

«Inchieste antisovvenzioni – Compact disc registrabili originari dell’India – Calcolo dell’importo della sovvenzione – Determinazione del danno – Nesso di causalità – Diritti della difesa»

Nella causa T‑300/03,

Moser Baer India Ltd, con sede a New Delhi (India), rappresentata dal sig. A.P. Bentley, QC, dall’avv. K. Adamantopoulos e dai sigg. R. MacLean e J. Branton, solicitors,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. S. Marquardt, in qualità di agente, assistito dall’avv. G.M. Berrisch,

convenuto,

sostenuto da

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. T. Scharf e dalla sig.ra K. Talabér-Ricz, in qualità di agenti,

e da

Committee of European CD-R and DVD+/‑R Manufacturers (CECMA), già Committee of European CD-R Manufacturers (CECMA), con sede a Colonia (Germania), rappresentato dagli avv.ti D. Ehle e V. Schiller,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda di annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 2 giugno 2003, n. 960, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di compact disc registrabili originari dell’India (GU L 138, pag. 1),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dalla sig.ra P. Lindh e dal sig. V. Vadapalas, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 maggio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Ambito normativo

1        L’art. 5 del regolamento (CE) del Consiglio 6 ottobre 1997, n. 2026, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU L 288, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento base»), così dispone:

«Calcolo dell’importo della sovvenzione compensabile

«Ai fini del presente regolamento, l’importo delle sovvenzioni compensabili corrisponde al vantaggio conferito al beneficiario nel corso del periodo dell’inchiesta sulle sovvenzioni. Di norma, tale periodo coincide con l’ultimo esercizio di bilancio del beneficiario, ma può essere costituito da qualsiasi altro periodo comprendente almeno i sei mesi precedenti l’apertura dell’inchiesta per il quale si possa disporre di dati finanziari e di altra natura attendibili».

2        L’art. 7, n. 3, del regolamento base così recita:

«Qualora la sovvenzione possa essere concessa all’acquisto, presente o futuro, di capitale fisso, l’importo della sovvenzione compensabile viene calcolato ripartendo quest’ultima su un periodo corrispondente al normale periodo di ammortamento di tale capitale nel settore in questione (…)».

3        L’art. 8 del regolamento base dispone quanto segue:

«Accertamento del pregiudizio

(…)

2. L’accertamento del pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo:

a)      del volume delle importazioni sovvenzionate e del loro effetto sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario

e

b)      dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

3. Per quanto riguarda il volume delle importazioni sovvenzionate, occorre esaminare se queste sono aumentate in misura significativa, tanto in termini assoluti quanto in rapporto alla produzione o al consumo nella Comunità. Riguardo agli effetti sui prezzi, si esamina se le importazioni sovvenzionate sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Questi fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

(…)

5. L’esame dell’incidenza delle importazioni sovvenzionate sull’industria comunitaria comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici attinenti alla situazione dell’industria quali il fatto che l’industria non abbia ancora completamente superato le conseguenze di precedenti sovvenzioni o pratiche di dumping, l’entità dell’importo delle sovvenzioni compensabili, la diminuzione reale o potenziale delle vendite, dei profitti, della produzione, della quota di mercato, della produttività, dell’utile sul capitale investito o dell’utilizzazione della capacità produttiva; i fattori che incidono sui prezzi comunitari; gli effetti negativi, reali e potenziali, sul flusso di cassa, sulle scorte, sull’occupazione, sui salari, sulla crescita, sulla capacità di ottenere capitali o investimenti e, nel caso dell’agricoltura, l’aumento dell’onere per i programmi di sostegno pubblici. Detto elenco non è tassativo, né tali fattori, singolarmente o combinati, costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

6. Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni sovvenzionate causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che possa essere considerata grave.

7. Oltre alle importazioni sovvenzionate, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni sovvenzionate a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono il volume e i prezzi delle importazioni non sovvenzionate, la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi, le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e comunitari, la concorrenza tra gli stessi, nonché gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria comunitaria in materia di esportazioni e di produttività».

4        L’art. 11, n. 1, del regolamento base così dispone:

«(…) L’inchiesta riguarda tanto la sovvenzione quanto il pregiudizio, i cui aspetti sono esaminati simultaneamente. Ai fini di una conclusione rappresentativa, viene scelto un periodo dell’inchiesta che per le sovvenzioni coincide di norma con il periodo d’inchiesta di cui all’articolo 5. Le informazioni relative ad un periodo successivo al periodo d’inchiesta non sono di norma prese in considerazione».

5        Con la sua comunicazione 98/C 394/04 (GU 1998, C 394, pag. 6), la Commissione ha pubblicato gli orientamenti per il calcolo dell’importo della sovvenzione nelle inchieste sui dazi compensativi (in prosieguo: gli «orientamenti»).

6        La sezione A degli orientamenti così recita:

«Gli articoli 5, 6 e 7 del [regolamento base] contengono disposizioni circa il calcolo dell’importo della sovvenzione. Scopo della presente comunicazione è spiegare (…) l’applicazione di tali disposizioni (…) per chiarire il metodo che verrà di norma utilizzato dalla Commissione nel determinare l’importo delle sovvenzioni per stabilire i dazi compensativi, salvo quando particolari circostanze giustifichino il ricorso ad altri metodi. In tal modo si intende rendere più trasparente il procedimento di calcolo e garantire maggiore certezza agli operatori economici e ai governi di paesi non membri.

La presente comunicazione non vincola assolutamente le istituzioni comunitarie, ma si limita a fornire orientamenti per lo svolgimento delle inchieste sui dazi compensativi ai sensi del regolamento [base]».

7        La sezione F, lett. a), ii), degli orientamenti prevede quanto segue:

«Per quanto riguarda le sovvenzioni non ricorrenti, collegabili all’acquisto di capitale fisso, il valore complessivo della sovvenzione dev’essere ripartito sulla vita normale del capitale fisso [articolo 7, paragrafo 3, del regolamento (CE) di base]. Pertanto, l’importo di una sovvenzione (…) può essere ripartito su un periodo corrispondente al normale periodo di ammortamento di tale capitale nel settore in questione. A tale scopo si utilizza di solito il metodo dell’ammortamento a quote costanti».

 Fatti

8        La ricorrente è una società stabilita in India, che produce varie forme di supporti di memoria e in particolare compact disc registrabili (in prosieguo: i «CD‑R»).

9        Il 17 maggio 2002 la Commissione, a seguito di una denuncia presentata dal Commitee of European CD‑R Manufacturers (comitato dei produttori europei di CD‑R) (CECMA), ha aperto un’inchiesta antisovvenzioni sulle importazioni di CD‑R provenienti dall’India (GU C 116, pag. 4).

10      Con lettera del 4 marzo 2003, la Commissione ha comunicato alla ricorrente gli elementi di fatto e le considerazioni fondamentali in base ai quali si prevedeva di proporre la fissazione di dazi compensativi definitivi. La sovvenzione constatata dalla Commissione consisteva in un’esenzione dei dazi doganali sui beni strumentali importati dalla ricorrente. Nel calcolo dell’importo della sovvenzione, questa è stata ripartita, in applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento base, su un periodo di tre anni. La comunicazione prevedeva l’imposizione di un dazio compensativo del 10%.

11      Con due lettere del 19 marzo 2003, la ricorrente ha risposto alla detta comunicazione, contestando, da un lato, il sistema utilizzato per calcolare l’importo della sovvenzione e, dall’altro, l’esistenza e le cause del danno.

12      Con due lettere del 9 aprile 2003, la Commissione, da un lato, ha respinto gli argomenti della ricorrente relativi all’esistenza di un danno e di un nesso di causalità e, dall’altro, ha inviato alla ricorrente una comunicazione supplementare contenente un nuovo calcolo dell’importo della sovvenzione, nel quale questa è stata ripartita su un periodo di 4,2 anni. La comunicazione aggiuntiva prevedeva l’imposizione di un dazio compensativo del 7,3%.

13      Con lettera del 14 aprile 2003, la ricorrente ha contestato il nuovo calcolo dell’importo della sovvenzione. La Commissione ha inviato alla ricorrente, con lettera del 5 maggio 2003, spiegazioni supplementari per tale calcolo. La ricorrente ha risposto a tale lettera, il 9 maggio 2003, apportando ulteriori osservazioni.

14      Su proposta della Commissione, formulata il 20 maggio 2003, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) 2 giugno 2003, n. 960, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di compact disc registrabili originari dell’India (GU L 138, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Tale regolamento imponeva un dazio compensativo definitivo del 7,3% sulle importazioni di CD‑R originari dell’India.

 Procedimento e conclusioni delle parti

15      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 agosto 2003, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

16      Con ordinanza del presidente della Quarta Sezione 23 gennaio 2004, la Commissione è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Essa non ha presentato conclusioni scritte.

17      Con ordinanza del presidente della Quarta Sezione 18 aprile 2005, il Committee of European CD-R Manufacturers (CECMA), divenuto il Committee of European CD-R and DVD+/‑R Manufacturers (CECMA), è stato ammesso ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Il CECMA ha presentato la sua memoria d’intervento entro il termine impartito. La ricorrente ha presentato osservazioni su di essa.

18      La ricorrente ha chiesto, con lettere 13 aprile e 30 giugno 2004, che taluni elementi riservati contenuti nel ricorso, nel controricorso, nella replica e nella controreplica fossero esclusi dalla comunicazione al CECMA. Essa ha prodotto una versione non riservata di detti atti di procedura. Il Consiglio ha chiesto, con lettera 5 aprile 2004, che taluni elementi riservati contenuti nel controricorso fossero esclusi dalla comunicazione al CECMA. Ha prodotto una versione non riservata del controricorso che rispondeva alla propria domanda di trattamento riservato nonché a quella presentata dalla ricorrente. La comunicazione al CECMA di detti atti di procedura è stata limitata a tale versione non riservata. Il CECMA non ha presentato obiezioni al riguardo.

19      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha posto per iscritto alle parti taluni quesiti, cui è stato risposto entro il termine impartito.

20      All’udienza del 10 maggio 2006 le parti principali della controversia e la Commissione hanno svolto le loro osservazioni orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale. Il CECMA ha informato il Tribunale che non avrebbe partecipato all’udienza.

21      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella misura in cui questo si applica ad essa;

–        condannare il Consiglio alle spese;

–        ordinare, in ogni caso, che il CECMA sopporti le proprie spese.

22      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        in subordine, annullare l’art. 1, n. 2, del regolamento impugnato, nella misura in cui esso istituisce un dazio compensativo definitivo ad un’aliquota superiore a quella che sarebbe stata applicata se l’importo della sovvenzione fosse stato stabilito in funzione di un periodo di ammortamento di sei anni;

–        condannare la ricorrente alle spese.

23      Il CECMA chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese dell’interveniente.

 In diritto

24      La ricorrente formula le sue censure articolandole in cinque motivi concernenti, da un lato, la determinazione, nell’ambito del calcolo dell’importo della sovvenzione, del normale periodo di ammortamento dei beni importati e, dall’altro, la valutazione del danno e del nesso di causalità.

25      Quanto alla determinazione del normale periodo di ammortamento, la ricorrente lamenta un manifesto errore di valutazione e una violazione dell’art. 5, dell’art. 7, n. 3, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento base (primo motivo), nonché una violazione dei diritti della difesa e un difetto di motivazione (secondo motivo).

26      Quanto alla valutazione del danno e del nesso di causalità, la ricorrente lamenta un manifesto errore di valutazione e una violazione dell’art. 8, nn. 2, 6 e 7, del regolamento base, per quanto concerne, rispettivamente, l’esame degli elementi relativi alla determinazione del danno e del nesso di causalità (terzo motivo), l’esame degli effetti delle importazioni provenienti da Taiwan (quarto motivo) e l’esame degli effetti di un comportamento anticoncorrenziale di un titolare di brevetti riguardanti i CD‑R (quinto motivo).

 Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 5, dell’art. 7, n. 3, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento base e a un manifesto errore nella valutazione del normale periodo di ammortamento dei beni

 Osservazioni preliminari

27      Con il suo primo motivo la ricorrente sostiene che la determinazione del normale periodo di ammortamento dei beni importati, effettuata nel regolamento impugnato, è viziata da errori di diritto e da un manifesto errore di valutazione.

28      Occorre ricordare che, nel settore delle misure di difesa commerciale, il controllo del giudice comunitario sulle valutazioni delle istituzioni è limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errore di valutazione manifesto o di sviamento di potere (v. sentenza del Tribunale 28 ottobre 2004, causa T‑35/01, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, Racc. pag. II‑3663, punti 48 e 49, e la giurisprudenza ivi citata).

29      Lo stesso vale per la valutazione del periodo di ammortamento, in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento base, considerato nel caso di specie. Ai termini di tale disposizione, la sovvenzione relativa all’acquisto di capitale fisso è ripartita «su un periodo corrispondente al normale periodo di ammortamento di tale capitale nel settore in questione». Dai termini e dal sistema di tale disposizione, che richiede in particolare la valutazione di ciò che costituisce una prassi normale dell’industria considerata, risulta che la determinazione del periodo di cui trattasi rientra nell’ambito dell’ampio potere discrezionale di cui le istituzioni dispongono nell’analisi delle situazioni economiche complesse.

30      Alla luce di tali considerazioni, occorre esaminare ciascuna delle censure formulate dalla ricorrente nel caso di specie.

 Sulla valutazione degli elementi relativi al periodo di ammortamento (prima parte)

–       Argomenti delle parti

31      La ricorrente osserva che, in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento base, come interpretato nella sezione F, lett. a), ii), degli orientamenti, la sovvenzione avrebbe dovuto essere ripartita sulla «vita normale del capitale fisso» o sul «normale periodo di ammortamento di tale capitale nel settore in questione». Peraltro, la prassi delle istituzioni comunitarie consisterebbe nel determinare la media ponderata dei periodi di ammortamento risultanti dalle scritture contabili dei produttori nel settore di cui trattasi del paese considerato.

32      Nel caso di specie, secondo la ricorrente, il Consiglio avrebbe pertanto dovuto prendere in considerazione l’insieme degli elementi del fascicolo relativi alla vita normale dei beni di cui trattasi. A questo proposito, considerando che il periodo normale di ammortamento di tali beni, vale a dire la vita normale di questi ultimi, era di 4,2 anni, il Consiglio avrebbe considerato un periodo di durata inferiore a quella risultante dalle prove fornite durante l’inchiesta. Il periodo di ammortamento, alla luce di tale prove, sarebbe stato di tredici anni (secondo le scritture contabili della ricorrente) o persino di quindici fino a vent’anni (secondo i fornitori della ricorrente). Secondo le informazioni delle industrie comunitarie, esso sarebbe stato di sei anni.

33      Inoltre, a torto il Consiglio avrebbe considerato che il normale periodo di ammortamento dei beni di cui trattasi era di 4,2 anni in applicazione del metodo di ammortamento decrescente previsto dalla normativa indiana. Infatti, il metodo di ammortamento decrescente non ammetterebbe periodi di ammortamento. Peraltro, dai calcoli della ricorrente risulterebbe che, in applicazione di tale metodo, i beni non sarebbero interamente ammortizzati alla fine del periodo determinato dal Consiglio, poiché sussisterebbe sempre un valore residuo.

34      Il Consiglio fa valere che, in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento base, la sovvenzione relativa all’acquisto di capitali fissi dev’essere ripartita su un periodo corrispondente al normale periodo di ammortamento. La vita normale del capitale fisso, nozione diversa, potrebbe eventualmente costituire uno dei fattori che vanno considerati per determinare il periodo di ammortamento. Tale sarebbe anche la pratica delle istituzioni invocata dalla ricorrente.

35      La ricorrente confonderebbe queste due nozioni sostenendo, a torto, che le istituzioni hanno adottato un periodo di 4,2 anni non soltanto come periodo di ammortamento, ma anche come durata di vita dei beni. Quanto alle prove citate dalla ricorrente, le lettere dei suoi fornitori indicherebbero soltanto la durata di vita fisica dei beni considerati e non la loro durata adeguata di ammortamento. In ogni caso, nella fattispecie, il Consiglio si sarebbe basato sulla legge indiana relativa al diritto delle società, che prescriverebbe un periodo di ammortamento obbligatorio e indipendente dalla durata di vita dei beni.

36      Per quanto concerne il riferimento al metodo di ammortamento decrescente, il Consiglio vi avrebbe fatto ricorso per determinare la differenza fra il periodo di ammortamento in applicazione di tale metodo e il periodo di ammortamento di sei anni utilizzato in media dall’industria comunitaria. Al riguardo, il calcolo alternativo presentato dalla ricorrente non sarebbe adeguato, poiché non prenderebbe in considerazione gli investimenti costanti.

–       Giudizio del Tribunale

37      Con la prima parte del primo motivo la ricorrente formula, in sostanza, due censure. In primo luogo, essa sostiene che il periodo di ammortamento adottato è manifestamente errato rispetto alle informazioni provenienti, rispettivamente, da essa stessa, dai fornitori dei beni considerati nonché dall’industria comunitaria. In secondo luogo, essa sostiene che il Consiglio ha commesso un manifesto errore nella valutazione del periodo di ammortamento derivante dal metodo di ammortamento decrescente previsto dalla legislazione indiana.

38      Quanto alla prima censura, dai ‘considerando’ 43 e 45 del regolamento impugnato risulta in particolare che, nella determinazione del periodo di ammortamento, il Consiglio ha preso in considerazione il metodo di ammortamento prescritto, in materia contabile, dalla legislazione del paese della ricorrente.

39      Occorre pertanto, anzitutto, esaminare se il Consiglio abbia potuto legittimamente basarsi su tale elemento, anziché sulle informazioni invocate dalla ricorrente.

40      L’art. 7, n. 3, del regolamento base non contiene norme specifiche concernenti gli elementi da prendere in considerazione nel determinare il periodo di ammortamento. Pertanto, le istituzioni comunitarie dispongono di un ampio potere discrezionale quanto agli elementi che possono essere considerati come pertinenti.

41      Quanto all’obiettivo della disposizione menzionata al punto di cui sopra, dal combinato disposto dell’art. 5 e dell’art. 7, n. 3 del regolamento base risulta che lo scopo della determinazione di un periodo normale di ammortamento nel settore in questione è quello di calcolare la parte del beneficio ottenuto dall’esportatore al momento dell’acquisto di capitale fisso, imputabile al periodo d’inchiesta. Occorre rilevare che la ricorrente non sostiene che il metodo di ammortamento prescritto dalla legislazione del paese esportatore non è pertinente al riguardo.

42      Essa osserva tuttavia che la presa in considerazione di tale elemento si discosta dagli orientamenti e dalla prassi precedente delle istituzioni comunitarie.

43      Per quanto concerne gli orientamenti, a tenore della loro sezione F, lett. a), ii), l’importo della sovvenzione è ripartito «sulla vita normale del capitale fisso» e «di conseguenza, l’importo di una sovvenzione (…) può essere ripartito su un periodo corrispondente al normale periodo di ammortamento di tale capitale nel settore in questione». Se occorre quindi osservare che gli orientamenti fanno riferimento, contemporaneamente, al «normale periodo di ammortamento» e «alla vita normale» dei beni considerati, non risulta tuttavia dall’esistenza di questi due riferimenti che la Commissione abbia limitato la portata degli elementi utilizzati nell’applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento base.

44      Peraltro, la stessa ricorrente fa valere che la prassi precedente delle istituzioni comunitarie, relativa all’applicazione delle disposizioni menzionate del regolamento base e degli orientamenti, consiste nel prendere in considerazione il periodo medio di ammortamento applicato nelle scritture contabili dell’industria del paese interessato. Ebbene, dato che l’ammortamento è disciplinato in tale paese, il metodo di ammortamento prescritto dalla normativa nazionale può essere pertinente al riguardo.

45      Per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo il quale le istituzioni comunitarie, nel calcolare una sovvenzione, non hanno mai fatto riferimento ad un metodo di ammortamento previsto dalla legislazione del paese interessato, occorre ricordare che l’art. 7, n. 3, del regolamento base consente alle istituzioni un potere discrezionale quanto agli elementi da prendere in considerazione nel determinare il periodo normale di ammortamento. Il fatto che le istituzioni comunitarie non abbiano impiegato il metodo di cui trattasi in altre inchieste antisovvenzioni non comporta di per sé la violazione di tale disposizione (v., per analogia, sentenza del Tribunale 8 luglio 2003, causa T‑132/01, Euroalliages e a./Commissione, Racc. pag. II‑2359, punti 68 e 69).

46      Del resto, se l’argomento della ricorrente, relativo alla prassi precedente, dovesse essere interpretato come basato su una violazione del principio di certezza del diritto, occorre osservare che, quando la normativa applicabile consente alle istituzioni un certo margine discrezionale, il fatto che esse utilizzino tale margine discrezionale senza spiegare dettagliatamente e anticipatamente i criteri che esse intendono applicare in ciascuna situazione concreta non viola tale principio, anche nei casi in cui esse adottano nuove scelte di principio (sentenze della Corte 5 ottobre 1988, causa 250/85 Brother/Consiglio, Racc. pag. 5683, punti 28 e 29, e 7 maggio 1991, causa C‑69/89, Nakajima/Consiglio, Racc. pag. I‑2069, punto 118; sentenza del Tribunale 17 luglio 1998, causa T‑118/96, Thai Bicycle/Consiglio, Racc. pag. II‑2991, punti 67‑69).

47      Pertanto, si deve considerare che le istituzioni comunitarie hanno potuto prendere in considerazione il metodo di ammortamento previsto dalla legislazione del paese dell’esportatore interessato per determinare il periodo normale di ammortamento dei beni di cui trattasi, senza con ciò violare l’art. 7, n. 3, del regolamento base.

48      Inoltre, quanto alle informazioni della ricorrente, secondo le quali essa applicava il periodo di ammortamento medio di tredici anni nella sua contabilità, dal ‘considerando’ 40 del regolamento impugnato risulta che l’affidabilità di tali dati è stata smentita dal fatto che la classificazione dei capitali fissi, nei suoi registri contabili e nei suoi registri fiscali, non era la stessa.

49      Quanto ai certificati provenienti dai fornitori, secondo i quali le attrezzature di cui trattasi potevano essere utilizzate per un periodo da quindici a vent’anni, occorre osservare, coma ha fatto il Consiglio, che questi certificati non indicano il periodo di ammortamento di tali attrezzature nel settore in questione, ma indicano soltanto quanto esse durano materialmente.

50      Quanto al periodo di ammortamento di sei anni, applicato dall’industria comunitaria, dai ‘considerando’ 44 e 45 del regolamento impugnato risulta che la situazione economica di tale industria non era comparabile a quella dell’industria indiana considerata.

51      Pertanto, le informazioni invocate dalla ricorrente non sono tali da dimostrare che la valutazione fatta dal Consiglio nel caso di specie è manifestamente errata.

52      Con riferimento alla seconda censura della ricorrente, relativa ad un manifesto errore nell’applicazione del metodo di ammortamento prescritto dalla legislazione indiana, occorre osservare che tale metodo di ammortamento decrescente non implica di per sé il ricorso a un periodo di ammortamento determinato.

53      Nella specie, il Consiglio ha utilizzato una formula per calcolare tale periodo corrispondente all’applicazione del metodo di ammortamento decrescente da parte di un’impresa che si trovi nella situazione della ricorrente. Esso ha in particolare constatato, al ‘considerando’ 45 del regolamento impugnato, che l’applicazione di tale metodo in condizioni di investimenti regolari e costanti consente, su un periodo rappresentativo di sei anni, un ammortamento dei beni del «30% più rapido» del metodo a quote fisse, il che corrisponde al periodo di 4,2 anni utilizzato nella fattispecie.

54      Al riguardo, la ricorrente non ha dimostrato che siffatto approccio fosse, di per sé, manifestamente errato. Tuttavia, essa mira a rimettere in discussione l’esattezza dei calcoli effettuati dal Consiglio, presentando un calcolo alternativo, secondo il quale l’applicazione dell’ammortamento decrescente porta ad un valore residuo alla fine del quinto anno.

55      Va rilevato a questo riguardo che il calcolo alternativo presentato dalla ricorrente si basa sull’ammortamento di un capitale fisso investito durante il primo anno e non su investimenti costanti. Essendo tale calcolo basato su elementi di valutazione diversi da quelli presi in considerazione dal Consiglio, esso non può essere invocato per contestare l’esattezza della valutazione effettuata da quest’ultimo.

56      Alla luce di quanto precede, le censure formulate dalla ricorrente con la prima parte del primo motivo non possono essere accolte.

 Sulla classificazione dei beni nella categoria degli stampi e sulla mancata presa in considerazione delle informazioni risultanti dalle scritture contabili della ricorrente (prima e seconda censura della seconda parte)

–       Argomenti delle parti

57      La ricorrente fa riferimento alla prassi del Consiglio secondo la quale le scritture contabili dell’esportatore costituiscono la fonte principale delle informazioni. Tale prassi sarebbe comparabile alla presa in considerazione dei registri contabili tenuti conformemente ai principi di solito accettati dal paese interessato per calcolare i costi di produzione nelle pratiche di dumping. Il Consiglio avrebbe dunque dovuto basare la sua valutazione sul periodo di ammortamento risultante dalle scritture contabili.

58      Il Consiglio avrebbe violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base, come interpretato nella sua prassi, rifiutando di prendere in considerazione tale periodo e classificando i beni di cui trattasi nella categoria degli stampi, mentre tali beni figurerebbero nelle scritture contabili della ricorrente come macchine. La ricorrente ammette che la classificazione degli stessi beni nei suoi registri contabili e in quelli fiscali è stata diversa. Tuttavia, in caso di divergenza, la classificazione effettuata nei registri fiscali non può prevalere su quella figurante nelle scritture contabili.

59      Il regolamento impugnato sarebbe del pari viziato da un errore di motivazione su tale punto. Infatti, il Consiglio avrebbe dovuto motivare la sua scelta quanto alla classificazione dei beni di cui trattasi deducendo elementi oggettivi legati alla loro natura e non la sola esistenza di una contraddizione fra i registri contabili e quelli fiscali della ricorrente.

60      Peraltro, nella sua lettera alla Commissione del 14 aprile 2003, la ricorrente avrebbe osservato che soltanto una parte dei beni di cui trattasi era stata riclassificata nella categoria degli stampi nei suoi registri fiscali. Tale informazione sarebbe stata confermata dalla dichiarazione dei redditi della ricorrente, esaminata dalla Commissione durante l’inchiesta. Quest’ultima avrebbe quindi disposto di tutte le informazioni necessarie per verificare i calcoli effettuati dalla ricorrente stessa.

61      Il Consiglio fa valere che, anche se le scritture contabili dell’esportatore costituiscono, in via di principio, la fonte principale di informazione, le istituzioni non sono vincolate da questi dati, ma devono porsi nella prospettiva di ciò che costituisce il periodo normale di ammortamento nel settore in questione. Nel caso di specie, non sarebbe stato opportuno basarsi sul periodo di ammortamento risultante dalle scritture contabili della ricorrente. Da un lato, la classificazione dei beni in questi documenti sarebbe stata incoerente con la loro classificazione a fini fiscali. D’altro lato, l’industria comunitaria, che sarebbe stata deficitaria, avrebbe applicato in media un periodo di ammortamento di circa sei anni e il periodo di ammortamento utilizzato dalla ricorrente, impresa redditizia e che effettuava investimenti costanti e sostanziali, avrebbe dovuto essere nettamente inferiore a tale media.

62      La ricorrente avrebbe riclassificato i beni di cui trattasi nella categoria degli stampi nella sua dichiarazione fiscale. Orbene, risulterebbe dalla legislazione indiana che le classificazioni contabili e fiscali di beni identici dovevano essere coerenti fra loro. Per definire il periodo di ammortamento adeguato, il Consiglio sarebbe quindi partito dall’ipotesi che il cambiamento di classificazione ai fini fiscali avrebbe dovuto del pari comportare un cambiamento identico nelle scritture contabili della ricorrente.

63      Tale ragionamento sarebbe sufficientemente motivato, in particolare, dal ‘considerando’ 41 del regolamento impugnato. Alla luce di tale motivazione, il Consiglio non sarebbe stato tenuto ad approfondire la questione della natura oggettiva dei beni di cui trattasi. Peraltro, neanche la ricorrente avrebbe dimostrato che la riclassificazione dei beni ai fini fiscali fosse basata sulla loro natura oggettiva, e non esclusivamente sui suoi interessi fiscali.

64      Quanto all’affermazione della ricorrente secondo la quale la riclassificazione ai fini fiscali non riguardava l’insieme dei beni di cui trattasi, il Consiglio ribatte che quest’ultima non ha fornito, nella sua lettera alla Commissione del 14 aprile 2003 né nel suo ricorso, alcuna prova per corroborare tale fatto. Peraltro, dalla risposta della Commissione 8 maggio 2003 risulterebbe che le informazioni indicate nella lettera del 14 aprile 2003, vale a dire il valore totale dei beni importati, sarebbero state in contraddizione con quelle fornite precedentemente e verificate durante l’inchiesta. Così, la Commissione non avrebbe potuto verificare le nuove informazioni né di conseguenza prenderle in considerazione.

–       Giudizio del Tribunale

65      Dai ‘considerando’ 39‑43 del regolamento impugnato risulta che il Consiglio ha valutato il periodo di ammortamento dei beni di cui trattasi facendo riferimento al metodo di ammortamento prescritto dalla legislazione indiana per le attrezzature quali gli stampi. Esso ha quindi rifiutato di fondare tale valutazione sul periodo di ammortamento considerato nei registri contabili della ricorrente, nei quali questi beni figuravano come macchine.

66      La ricorrente ammette di avere riclassificato i beni di cui trattasi nella categoria degli stampi nella sua dichiarazione fiscale riferentesi al periodo d’inchiesta. Essa sostiene tuttavia che il Consiglio ha violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base fondando la sua valutazione su una classificazione figurante nei registri fiscali, invece di prendere in considerazione le informazioni risultanti dalle scritture contabili.

67      Anzitutto, occorre ricordare, come è stato rilevato sopra al punto 45, che il mero fatto che le istituzioni comunitarie non abbiano utilizzato lo stesso metodo in altre inchieste antisovvenzione non comporta di per sé la violazione della summenzionata disposizione. Inoltre, nel caso di specie, dai ‘considerando’ 40 e 41 del regolamento impugnato risulta che la presa in considerazione dei dati fiscali è stata motivata dal fatto che la classificazione dei beni di cui trattasi nei registri contabili della ricorrente non era coerente con quella figurante nei suoi registri fiscali. Non si può quindi sostenere che il Consiglio abbia accantonato le informazioni risultanti dalle scritture contabili della ricorrente per motivi arbitrari.

68      Inoltre, occorre osservare come dal ‘considerando’ 38 del regolamento impugnato emerga che le istituzioni comunitarie hanno basato la loro valutazione sul periodo di ammortamento applicabile sotto il profilo contabile. Nell’ambito di tale esame, il riferimento alla dichiarazione fiscale della ricorrente è stato limitato alla ricerca della classificazione adeguata dei beni di cui trattasi in materia di contabilità. Come risulta dal ‘considerando’ 41 del regolamento impugnato, tale riferimento è stato giustificato dal fatto che gli stessi beni avrebbero dovuto essere classificati in modo identico nei registri contabili e fiscali. Pertanto, a torto la ricorrente sostiene che le istituzioni comunitarie hanno illegittimamente fatto prevalere i registri fiscali sui registri contabili.

69      Infine, da un lato, occorre rilevare che la ricorrente non ha messo in discussione la considerazione del Consiglio secondo la quale, benché un’impresa possa utilizzare metodi di ammortamenti diversi nei suoi registri contabili e fiscali, la classificazione dello stesso bene nei due registri dev’essere identica. D’altro lato, essa non sostiene che la classificazione dei beni nei suoi registri fiscali fosse errata. L’inchiesta condotta dalla Commissione non ha del resto rivelato che la classificazione dei beni nella dichiarazione fiscale fosse stata contestata dalle autorità indiane o corretta dalla ricorrente.

70      Di conseguenza, il Consiglio ha potuto legittimamente considerare che, avendo la ricorrente modificato la classificazione dei beni di cui trattasi nei suoi registri fiscali, la stessa modifica doveva essere presa in considerazione a fini contabili.

71      Quanto all’argomento dedotto in subordine della ricorrente relativo ad una motivazione insufficiente della detta constatazione, si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’argomentazione dell’istituzione comunitaria da cui emana l’atto considerato, onde consentire agli interessati di prendere conoscenza delle ragioni del provvedimento adottato per tutelare i propri diritti e al giudice comunitario di esercitare il proprio sindacato [v. sentenza del Tribunale 12 settembre 2002, causa T‑89/00, Europe Chemi‑Con (Germania)/Consiglio, Racc. pag. II‑3651, punto 65 e la giurisprudenza ivi citata].

72      A questo proposito, i ‘considerando’ 40‑42 del regolamento impugnato indicano che le informazioni da parte della ricorrente, relative alla classificazione dei beni nei registri contabili, sono state contraddette dalla modifica della loro classificazione nei registri fiscali, mentre la classificazione degli stessi beni avrebbe dovuto essere identica in entrambi i registri. Quindi, il regolamento impugnato chiarisce sufficientemente i motivi per i quali il Consiglio non ha basato la sua valutazione sulla classificazione dei beni risultante dalla contabilità della ricorrente, ma si è riferito ad altri elementi pertinenti.

73      Infine, la ricorrente deduce che la classificazione dei beni nella categoria degli stampi non riguardava l’insieme dei beni di cui trattasi, fatto che essa avrebbe segnalato alla Commissione con lettera del 14 aprile 2003.

74      Il Consiglio controdeduce che le informazioni presentate a suo sostegno non erano coerenti con altri elementi ottenuti durante l’inchiesta e che, pertanto, quanto dedotto non ha potuto essere preso in considerazione.

75      Dagli elementi presentati dalle parti in risposta al quesito scritto posto dal Tribunale emerge che, a sostegno dell’affermazione in esame, la ricorrente ha fatto riferimento alle informazioni risultanti dalla sua dichiarazione fiscale per il periodo d’inchiesta. È pacifico che il valore dei beni iscritto in detta dichiarazione non corrisponde al loro valore come utilizzato per calcolare la sovvenzione. Il Consiglio osserva che le istituzioni non sono state in grado, in base a questi soli elementi, di confrontare l’informazione di cui trattasi con le altre informazioni accertate nel corso dell’inchiesta.

76      La ricorrente sostiene tuttavia che la differenza di valori che ne risulta, dovuta all’aggiunta dei costi di trasporto e di installazione, non impediva alle istituzioni comunitarie di notare che la modifica della classificazione non riguardava l’insieme dei beni importati.

77      A questo riguardo il Consiglio ha precisato che le istituzioni comunitarie non avevano potuto stimare il valore esatto dei beni classificati nella categoria degli stampi, poiché, da un lato, la ricorrente non aveva spiegato i criteri di classificazione dei suoi beni nella dichiarazione fiscale e, dall’altro, essa non aveva fornito l’elenco completo e verificabile di tali beni. In mancanza di tali elementi, le istituzioni comunitarie non avevano potuto verificare le cifre presentate dalla ricorrente a sostegno della sua affermazione.

78      Alla luce di questi ultimi elementi, che la ricorrente non ha contestato dinanzi al Tribunale, si deve considerare che essa non ha presentato alle istituzioni comunitarie elementi che avrebbero loro consentito di verificare l’esattezza della sua affermazione e, eventualmente, di prendere in considerazione la parte dei beni di cui trattasi che non sarebbe stata classificata nella categoria degli stampi. Pertanto, essa non può, con questa sola affermazione, contestare la valutazione operata nel regolamento impugnato.

79      Di conseguenza, il Consiglio, senza violare l’art. 7, n. 3, del regolamento base, ha potuto legittimamente considerare che i beni di cui trattasi, classificati come stampi ai fini fiscali, avrebbero dovuto essere del pari presi in considerazione come tali nella valutazione del loro periodo di ammortamento in materia contabile e che, pertanto, non era adeguato fondare tale valutazione sulle informazioni figuranti nelle scritture contabili della ricorrente. Inoltre, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un difetto di motivazione al riguardo.

80      Occorre pertanto respingere le affermazioni formulate dalla ricorrente con le prime due censure della seconda parte, in quanto infondate.

 Sulla presa in considerazione della redditività e degli investimenti della ricorrente (terza censura della seconda parte)

–       Argomenti delle parti

81      Secondo la ricorrente, il Consiglio ha violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base stabilendo una distinzione fra le imprese redditizie e le imprese non redditizie per determinare il periodo di ammortamento. Da un lato, una decisione del genere non risulterebbe affatto dal regolamento base. D’altro lato, essa sarebbe illogica, poiché il periodo normale di vita di un bene nonché il suo periodo normale di ammortamento sarebbero collegati alla sua natura e non alla redditività o al piano di investimenti dell’impresa proprietaria.

82      Ipotizzando che la ricorrente avrebbe effettuato cospicui investimenti durante un periodo di sei anni, il Consiglio avrebbe del pari violato l’art. 5 e l’art. 11, n. 1, del regolamento base. Il fatto che la ricorrente sia stata redditizia e che essa abbia investito durante il periodo di inchiesta nonché durante i due anni precedenti non costituirebbe la prova che essa ha mantenuto lo stesso grado di redditività e di investimenti per sei anni. L’approccio del Consiglio implicherebbe quindi speculazioni su elementi successivi al periodo d’inchiesta.

83      Il Consiglio replica che esso non ha effettuato distinzioni fra le società redditizie e le società non redditizie. Esso avrebbe soltanto considerato il fatto che la ricorrente procedeva ad investimenti costanti e cospicui per concludere che quest’ultima avrebbe effettuato l’ammortamento dei suoi beni molto rapidamente. Così facendo, il Consiglio avrebbe appurato quale fosse il normale periodo di ammortamento per una società posta nella stessa situazione della ricorrente. Quest’ultima sosterrebbe a torto che la redditività non incide sul periodo di ammortamento, mentre il fatto di essere redditizia sarebbe importante per la scelta di tale periodo.

84      Per stabilire che la ricorrente è redditizia e che essa effettua cospicui investimenti il Consiglio si sarebbe basato sugli elementi accertati durante l’inchiesta e non contestati. Esso non avrebbe utilizzato alcun elemento successivo al periodo d’inchiesta, conformemente all’art. 5 e all’art. 11, n. 1, del regolamento base.

–       Giudizio del Tribunale

85      È pacifico che il Consiglio ha preso in considerazione il fatto, accertato nel corso dell’inchiesta, che la ricorrente era molto redditizia e che essa effettuava investimenti in modo regolare e costante. Tale circostanza di fatto è stata presa in considerazione sotto un duplice profilo. In primo luogo, il Consiglio ha fatto riferimento, fra i due metodi di ammortamento ammessi dalla legislazione indiana, al metodo di ammortamento decrescente, che offriva un ammortamento più rapido. In secondo luogo, il Consiglio ha calcolato il periodo di ammortamento conformemente a tale metodo in condizioni d’investimenti regolari e costanti.

86      Quanto sopra emerge dal ‘considerando’ 45 del regolamento impugnato:

«La posizione del produttore esportatore è tuttavia estremamente diversa da quella di una società media. Si tratta di un’impresa molto redditizia che effettua costantemente investimenti cospicui, ed è pertanto ragionevole presupporre che il suo periodo di ammortamento sia nettamente inferiore a quello della suddetta media. Si è pertanto ritenuto opportuno applicare un metodo di ammortamento [decrescente], che consente un ammortamento più rapido rispetto al metodo di ammortamento a quote fisse. Si osserva che in una situazione in cui vengono effettuati investimenti regolari e costanti, il metodo di ammortamento [decrescente] previsto dalla legge indiana sulle società, di cui al ‘considerando’ 43, consente un ammortamento più rapido del 30% rispetto al metodo di ammortamento a quote fisse equivalente su un periodo rappresentativo di sei anni, applicabile in caso di ricorso al metodo di ammortamento a quote fisse. Ciò corrisponde ad un periodo di 4,2 anni rispetto ai sei anni del metodo di ammortamento a quote fisse».

87      La ricorrente sostiene che, prendendo in considerazione la sua redditività e i suoi investimenti, il Consiglio ha violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base, nonché l’art. 5 e l’art. 11, n. 1, del detto regolamento.

88      Per quanto concerne l’art. 7, n. 3, del regolamento base, occorre osservare che, in forza di tale disposizione, il Consiglio è tenuto a valutare il periodo di ammortamento nel settore in questione. Tale valutazione può quindi implicare il fatto di prendere in considerazione circostanze proprie dell’esportatore interessato. Come è già stato rilevato supra, al punto 40, in mancanza di norme specifiche in materia, le istituzioni comunitarie dispongono di un potere discrezionale quanto agli elementi pertinenti da prendere in considerazione.

89      A questo proposito, la ricorrente non ha fornito alcuna prova a sostegno della sua affermazione secondo la quale la redditività di un esportatore non può incidere sul periodo di ammortamento dei suoi beni. Per contro, il Consiglio ha rilevato, a ragione, che la scelta di un metodo di ammortamento da parte dell’esportatore può dipendere, in particolare, dagli investimenti previsti e, quindi, dalla redditività dell’impresa considerata.

90      Pertanto, la ricorrente non ha dimostrato che il Consiglio aveva violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base.

91      Quanto all’art. 5 del regolamento base, tale disposizione dispone che l’importo della sovvenzione corrisponde al vantaggio conferito al beneficiario come constatato e determinato per il periodo d’inchiesta. Nel caso di specie, le istituzioni comunitarie hanno concluso che la situazione favorevole della ricorrente, durante i tre esercizi di bilancio considerati, aveva potuto influenzare la sua scelta del metodo di ammortamento. Inoltre, esse hanno fatto riferimento al metodo così scelto per determinare la parte della sovvenzione imputabile al periodo d’inchiesta. Pertanto, la ricorrente sostiene a torto che le istituzioni comunitarie hanno incluso, nel calcolo dell’importo della sovvenzione, un vantaggio imputabile ad un periodo diverso dal periodo d’inchiesta.

92      Quanto all’art. 11, n. 1, del regolamento base, questo prevede, in particolare, che le informazioni relative a un periodo successivo al periodo d’inchiesta non siano, di regola, prese in considerazione per valutare la sovvenzione e il danno. Di conseguenza, i dati pertinenti ai fini dell’analisi delle istituzioni comunitarie sono di regola quelli relativi ad un lasso di tempo che termina con il periodo d’inchiesta. Tale disposizione non esclude tuttavia la presa in considerazione, nell’analisi di tali dati, di previsioni concernenti eventi futuri, purché pertinenti e basate su elementi oggettivi ottenuti nel corso dell’inchiesta.

93      Per quanto concerne la pertinenza di tali previsioni nel caso di specie, occorre ricordare che la ricorrente non è riuscita a mettere in discussione la valutazione del Consiglio secondo la quale la redditività dell’esportatore interessato e i suoi investimenti previsti possono essere pertinenti per determinare il metodo di ammortamento da utilizzare.

94      Per quanto concerne la fondatezza delle previsioni considerate dal Consiglio, occorre osservare che la ricorrente non contesta di avere regolarmente investito importi cospicui durante un periodo di tre anni protrattosi fino alla fine del periodo d’inchiesta. Anche se tale elemento fattuale non porta necessariamente a considerare che l’ammortamento di cui trattasi si effettuasse in condizioni di investimenti regolari e costanti come ha ritenuto il Consiglio, va rilevato che tale valutazione, di carattere economico, rientra nell’ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni comunitarie nell’analisi delle situazioni economiche complesse. Orbene, la ricorrente non ha dimostrato che la valutazione del Consiglio al riguardo fosse viziata da un errore manifesto.

95      Pertanto, la ricorrente non ha provato che il Consiglio avesse violato l’art. 5 o l’art. 11, n, 1, del regolamento base.

96      Alla luce di quanto precede, la censura in esame è infondata.

 Sull’impiego del metodo di ammortamento decrescente (quarta censura della seconda parte)

–       Argomenti delle parti

97      La ricorrente sostiene che il Consiglio ha violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base, impiegando il metodo di ammortamento decrescente per calcolare l’importo della sovvenzione. Gli orientamenti nonché la prassi delle istituzioni si riferirebbero all’utilizzazione del metodo a quote fisse. Al riguardo, il regolamento impugnato non spiegherebbe le ragioni per le quali le istituzioni comunitarie si sono discostate da una prassi consolidata, mentre la ricorrente aveva utilizzato il metodo a quote fisse nelle sue scritture contabili.

98      Il Consiglio ribatte che l’art. 7, n. 3, del regolamento base non esclude l’impiego di un metodo di ammortamento diverso dal metodo a quote fisse, anche se è quest’ultimo in genere ad essere utilizzato. Il fatto che il metodo di ammortamento decrescente non sia stato utilizzato nel passato sarebbe irrilevante.

–       Giudizio del Tribunale

99      Dal ‘considerando’ 45 del regolamento impugnato risulta che le istituzioni comunitarie hanno determinato il periodo di ammortamento applicando il metodo di ammortamento decrescente previsto dalla legislazione indiana per i beni di cui trattasi.

100    A questo proposito, la ricorrente sostiene che l’uso del metodo di ammortamento decrescente, in quanto tale, viola l’art. 7, n. 3, del regolamento base, come interpretato dagli orientamenti della Commissione e applicato nella sua prassi precedente.

101    Occorre osservare che i termini dell’art. 7, n. 3, del regolamento base non escludono l’uso del metodo di ammortamento decrescente.

102    Quanto agli orientamenti, la loro sezione F, lett. a), ii), prevede che, per ripartire l’importo della sovvenzione, la Commissione usi in genere il metodo di ammortamento a quote fisse. Per contro, da tale indicazione non risulta escluso il ricorso ad un altro metodo di ammortamento. Inoltre, secondo la sezione A degli orientamenti, le indicazioni contenute in questi ultimi non valgono se circostanze particolari giustificano un approccio diverso.

103    Nel caso di specie, il Consiglio ha spiegato, ai ‘considerando’ 44 e 45 del regolamento impugnato, che l’uso del metodo di ammortamento decrescente previsto dalla legislazione indiana, che comportava un ammortamento più rapido rispetto al metodo a quote fisse previsto dalla stessa legislazione, era più adeguato tenuto conto del periodo di ammortamento utilizzato dall’industria comunitaria e delle circostanze speciali di cui beneficava la ricorrente. Pertanto, le istituzioni comunitarie hanno potuto legittimamente adottare un approccio diverso da quello previsto in generale dagli orientamenti.

104    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui il metodo di ammortamento decrescente non è stato impiegato dalle istituzioni comunitarie in altre inchieste antisovvenzioni, va ricordato che tale argomento non è sufficiente, di per sé, a rimettere in discussione la legittimità del suo impiego nel caso di specie (v. supra, punti 45 e 46).

105    Quanto alla censura della ricorrente secondo la quale il Consiglio ha applicato un metodo diverso da quello applicato nelle sue scritture contabili occorre ricordare che quest’ultimo ha considerato, a buon diritto, che nel caso di specie l’uso del metodo di ammortamento impiegato in dette scritture contabili fosse inadeguato (v. supra punti 65‑67 e 79).

106    Pertanto, la ricorrente non è legittimata a sostenere che le istituzioni comunitarie hanno violato l’art. 7, n. 3, del regolamento base, per il solo fatto di essersi discostate dall’approccio previsto dagli orientamenti e utilizzato nelle inchieste antisovvenzioni precedenti.

107    Tenuto conto di tali considerazioni, la censura in esame dev’essere respinta in quanto infondata.

 Sull’asserita arbitrarietà dei calcoli (quinta censura della seconda parte)

–       Argomenti delle parti

108    La ricorrente afferma che il metodo utilizzato dal Consiglio per giungere a un periodo di 4,2 anni è arbitrario. Le istituzioni avrebbero, in particolare, arbitrariamente scelto il periodo di sei anni per paragonare i due metodi di ammortamento, a quote fisse e decrescente, nonché il periodo di sei anni nel corso del quale si supponeva che la ricorrente avrebbe investito in maniera costante. Ove le istituzioni avessero scelto un numero di anni diverso, avrebbero potuto giungere a un altro risultato.

109    L’arbitrarietà nel determinare il periodo di ammortamento di cui trattasi sarebbe desumibile dal fatto che, nella sua prima comunicazione, la Commissione aveva proposto un periodo di tre anni, sostituito poi, pur in presenza dei medesimi elementi a sua disposizione, da un periodo di 4,2 anni.

110    Secondo il Consiglio, il fatto che, modificando i parametri del calcolo, esso avrebbe potuto giungere a un periodo di ammortamento diverso non prova che il suo approccio sia stato arbitrario. In proposito, la ricorrente non avrebbe dimostrato che il Consiglio avesse ecceduto i limiti del suo potere discrezionale.

111    A parere del Consiglio, la Commissione poteva modificare il proprio approccio nel corso dell’inchiesta, sebbene tale modifica non fosse fondata su elementi nuovi. Ciò non significherebbe che il nuovo approccio sia arbitrario.

–       Giudizio del Tribunale

112    Con la presente censura, la ricorrente sostiene che la determinazione del normale periodo di ammortamento in discussione non è stata obiettiva. Essa afferma, in primo luogo, che le istituzioni comunitarie hanno scelto arbitrariamente i parametri da utilizzare per porre a confronto i due metodi alternativi previsti dalla legislazione indiana e, in secondo luogo, che esse hanno modificato il periodo di ammortamento in una fase avanzata dell’inchiesta e in mancanza di prove nuove.

113    Per quanto riguarda il primo argomento, risulta dal ‘considerando’ 45 del regolamento impugnato che il periodo rappresentativo di sei anni utilizzato nella fattispecie corrispondeva, al contempo, al periodo medio di ammortamento applicato dall’industria comunitaria e a quello derivante dal metodo di ammortamento a quote fisse, previsto dalla legislazione indiana, che era uno dei metodi utilizzabili. Non può quindi dirsi che le istituzioni, scegliendo tale periodo, abbiano effettuato una scelta arbitraria. L’argomento della ricorrente secondo il quale il risultato del calcolo su un altro periodo sarebbe stato diverso non è tale da inficiare la constatazione che precede in ordine alla mancanza di arbitrarietà nella scelta del periodo.

114    Quanto al secondo argomento, secondo il quale la Commissione avrebbe inizialmente proposto un periodo di tre anni, si deve ricordare che un’inchiesta nel settore delle misure di difesa commerciale costituisce un processo continuo, nel corso del quale svariate conclusioni vengono sottoposte a continua revisione. Pertanto, non si può escludere che le conclusioni finali delle istituzioni comunitarie differiscano dalle conclusioni raggiunte in un determinato momento dell’inchiesta (sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 182). La ricorrente non può quindi sostenere che una modifica nella valutazione del periodo di ammortamento, che ha influito sul corso dell’inchiesta, costituisca un indizio dell’arbitrarietà di tale valutazione. Inoltre, come ha affermato il Consiglio, la modifica di cui trattasi, ancorché non fondata su prove nuove, è stata adottata previa presentazione di osservazioni scritte e orali da parte della ricorrente.

115    La ricorrente non ha quindi dimostrato che la valutazione effettuata dalle istituzioni comunitarie fosse stata arbitraria. La presente censura va pertanto disattesa.

116    Alla luce di tutto quanto precede, il primo motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa e su un difetto di motivazione con riferimento alla valutazione del periodo normale di ammortamento del capitale fisso

 Argomenti delle parti

117    La ricorrente afferma che, nella comunicazione 9 aprile 2003, la Commissione ha presentato un nuovo metodo di calcolo del periodo di ammortamento, sostanzialmente diverso da quello utilizzato nell’informazione finale del 4 marzo 2003. Tale comunicazione non le avrebbe consentito di comprendere il nuovo metodo. Questa circostanza sarebbe stata implicitamente riconosciuta dalla Commissione, allorché, il 5 maggio 2003, ha inviato chiarimenti complementari.

118    Peraltro, nemmeno tali chiarimenti complementari del 5 maggio 2003 avrebbero consentito alla ricorrente di esercitare i suoi diritti della difesa. In primo luogo, la ricorrente non avrebbe potuto presentare utilmente osservazioni dopo il 5 maggio 2003, atteso che, in tale fase, sarebbe stato impossibile modificare la proposta relativa all’adozione del regolamento impugnato. In secondo luogo, nemmeno i chiarimenti complementari le avrebbero permesso di comprendere come la Commissione avesse determinato il periodo di ammortamento di 4,2 anni. Sarebbe bastato, a tal proposito, allegare una tabella con i calcoli numerici, cosa che la Commissione avrebbe omesso di fare.

119    Quanto all’argomento del Consiglio secondo il quale la ricorrente avrebbe dovuto chiedere chiarimenti sulla comunicazione 9 aprile 2003, essa rileva che tale comunicazione impartiva un termine di risposta molto breve e che la sua risposta, datata 14 aprile 2003, conteneva un tacito invito a fornire più ampi chiarimenti.

120    La ricorrente sostiene, in subordine, che il regolamento impugnato è affetto da vizio di motivazione, in quanto riprende la motivazione carente contenuta nella comunicazione 9 aprile 2003.

121    A parere del Consiglio, la comunicazione integrativa 9 aprile 2003 era sufficiente. Se la ricorrente non aveva compreso il metodo di calcolo illustrato in quella comunicazione, avrebbe dovuto chiedere chiarimenti. Orbene, nella sua risposta del 14 aprile 2003 la ricorrente si sarebbe limitata ad esprimere il proprio disaccordo rispetto al metodo applicato dalla Commissione.

122    Inoltre, il fatto che la Commissione abbia inviato chiarimenti complementari il 5 maggio 2003 non implicherebbe che essa abbia riconosciuto l’insufficienza della comunicazione 9 aprile 2003. Tali chiarimenti costituivano infatti soltanto una risposta in merito al calcolo presentato dalla ricorrente il 14 aprile 2003. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, essi sarebbero stati inviati in tempo utile.

123    La ricorrente sarebbe stata al corrente dei metodi di ammortamento impiegati dalla Commissione e non avrebbe dovuto incontrare difficoltà nel calcolare gli importi di cui trattasi. Nel corso del procedimento amministrativo, essa non avrebbe mai chiesto di ricevere i calcoli numerici sotto forma di tabella.

124    Infine, in ogni caso, la ricorrente non avrebbe dedotto alcun argomento idoneo a dimostrare che l’eventuale difetto di informazione le avrebbe impedito di difendersi.

 Giudizio del Tribunale

125    Occorre osservare che, ai sensi dell’art. 30, nn. 1 e 2, del regolamento base, gli esportatori interessati possono chiedere informazioni finali sui fatti e sulle considerazioni principali in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive. Tale obbligo di fornire informazioni finali è diretto a garantire il rispetto dei diritti di difesa delle imprese interessate (v., per analogia, in materia di dumping, sentenza del Tribunale 21 novembre 2002, causa T‑88/98, Kundan e Tata/Consiglio, Racc. pag. II‑4897, punto 131).

126    Inoltre, secondo una giurisprudenza costante in materia di misure di difesa commerciale, le imprese interessate da un’inchiesta preliminare all’adozione di misure definitive devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati (v. sentenza Kundan e Tata/Consiglio, cit., punto 132 e la giurisprudenza ivi citata).

127    In proposito, l’incompletezza delle informazioni finali comporta l’illegittimità di un regolamento che istituisce dazi definitivi soltanto se, a causa di tale omissione, le parti interessate non hanno potuto difendere efficacemente i propri interessi (v. sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 292 e la giurisprudenza ivi citata).

128    Alla luce di questi principi, occorre esaminare le critiche della ricorrente in merito all’incompletezza dell’informazione di cui trattasi.

129    Occorre osservare che il metodo di calcolo della sovvenzione, esposto nella comunicazione 4 marzo 2003, è stato modificato con la comunicazione 9 aprile 2003. Pertanto, è nella comunicazione 9 aprile 2003 che la Commissione ha presentato l’informazione finale in merito alla determinazione del periodo di ammortamento scelto per ripartire la sovvenzione nel tempo.

130    Così si legge al punto 28 di tale comunicazione:

«È stato ritenuto opportuno applicare il metodo di ammortamento [decrescente], che offre un periodo di ammortamento più rapido rispetto al metodo a quote fisse. Occorre rilevare che, in condizioni di investimenti regolari e costanti, il metodo di ammortamento [decrescente] previsto dalla legge indiana sulle società e illustrato al ‘considerando’ 43 consente l’ammortamento su un periodo del 30% più rapido rispetto al metodo a quote fisse equivalente su un periodo rappresentativo di sei anni, applicabile nel caso si faccia ricorso al metodo a quote fisse. Ciò corrisponde a un periodo di 4,2 anni, contro 6 anni nel caso del metodo a quote fisse. Per ripartire il vantaggio ottenuto si è dunque fatto ricorso a questo periodo più breve».

131    La ricorrente afferma sostanzialmente che l’informazione finale di cui trattasi, pur facendo riferimento a una situazione caratterizzata da investimenti regolari e costanti, non menziona il fatto che la Commissione abbia valutato il periodo di ammortamento de quo prendendo in considerazione l’investimento di importi annuali uguali su un periodo di sei anni.

132    Occorre osservare in proposito che l’informazione finale di cui trattasi riguarda il raffronto tra i due metodi di ammortamento previsti dalla legislazione del paese della ricorrente e contiene tutti gli elementi del calcolo, nonché il suo risultato. Ciò considerato, benché si debba ammettere che la frase «in condizioni di investimento regolari e costanti» non significa necessariamente che gli importi annuali investiti siano uguali nel periodo di cui trattasi, l’ambiguità che può scaturire da tale formulazione non poteva impedire alla ricorrente di comprendere il metodo applicato. Infatti, quand’anche la ricorrente avesse nutrito dubbi sul preciso significato della frase, essa, disponendo di tutti gli elementi di calcolo e conoscendo i metodi di ammortamento utilizzati, sarebbe stata in grado di verificarne il significato rispetto agli altri elementi di calcolo.

133    Occorre inoltre rilevare che la ricorrente non ha mai interrogato la Commissione sul significato di questa frase. Nella sua risposta alla comunicazione in parola, datata 14 aprile 2003, la ricorrente si è limitata a contestare l’esattezza del calcolo della Commissione presentando un calcolo alternativo. Come risulta da tale calcolo alternativo, la ricorrente ha proposto di calcolare l’ammortamento con riferimento a un investimento iniziale, anziché prendere in considerazione investimenti regolari e costanti. La corrispondenza intercorsa non dimostra pertanto che quest’ultima non fosse in grado di comprendere il metodo applicato, bensì che essa ha contestato uno degli elementi del calcolo.

134    Alla luce di quanto sopra, occorre dichiarare che la ricorrente non ha dimostrato che la comunicazione 9 aprile 2003 fosse incompleta per quanto riguarda la valutazione del periodo normale di ammortamento dei beni di cui trattasi.

135    Si deve in ogni caso rilevare che, nella sua lettera 5 maggio 2003, la Commissione ha risposto alla proposta di calcolo alternativo della ricorrente affermando che il calcolo fatto dalle istituzioni si fondava su investimenti di importo annuo uguale per tutto il periodo rappresentativo. Atteso che tale informazione è stata trasmessa alla ricorrente prima dell’adozione, da parte della Commissione, della proposta relativa al regolamento impugnato, la ricorrente non può sostenere che non è stata inviata tempestivamente (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 19 novembre 1998, causa T‑147/97, Champion Stationery e a./Consiglio, Racc. pag. II‑4137, punto 82).

136    Per quanto riguarda l’argomento dedotto dalla ricorrente in subordine, vertente sul difetto di motivazione, occorre rilevare che il punto 28 della comunicazione 9 aprile 2003 è stato ripreso al ‘considerando’ 45 del regolamento impugnato. Atteso che la ricorrente non ha dimostrato che tale comunicazione fosse incompleta, la motivazione del regolamento impugnato dev’essere considerata sufficiente sotto tale profilo.

137    Alla luce di quanto precede, la ricorrente non ha dimostrato che l’informazione finale fosse incompleta, né che essa abbia in tal modo determinato una violazione dei suoi diritti della difesa.

138    Il secondo motivo dev’essere pertanto respinto.

 Sul terzo motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione e sulla violazione dell’art. 8, nn. 2 e 6, del regolamento di base, con riferimento all’esame degli elementi relativi alla determinazione del danno e del nesso di causalità

 Osservazioni preliminari

139    Occorre ricordare che, per accertare se l’industria comunitaria abbia subito un danno e se questo sia imputabile ad importazioni sovvenzionate, si deve procedere alla valutazione di questioni economiche complesse, per la quale le istituzioni godono di un ampio potere discrezionale. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione dev’essere esercitato entro i limiti richiamati supra, al punto 28.

140    Spetta inoltre alla ricorrente produrre gli elementi di prova che consentano al Tribunale di accertare che il Consiglio ha commesso un errore di valutazione manifesto nella stima del danno (v. sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 119, e la giurisprudenza ivi citata).

141    Con il presente motivo la ricorrente afferma che l’analisi, effettuata dalle istituzioni comunitarie, degli indicatori economici pertinenti ai fini della determinazione del danno e del nesso di causalità è stata arbitraria, viziata da manifesti errori di valutazione e, in subordine, da una carenza di motivazione. In proposito, essa solleva quattro censure.

 Sul metodo utilizzato per porre a confronto le tendenze economiche (prima censura)

–       Argomenti delle parti

142    La ricorrente sostiene che, nella loro analisi degli indicatori relativi al danno, le istituzioni comunitarie hanno sottostimato l’importanza delle tendenze positive per l’industria comunitaria. Essa non contesta i dati di fatto, bensì il loro raffronto nonché le conclusioni che ne sono state tratte.

143    Anzitutto, erroneamente le istituzioni comunitarie avrebbero valutato l’impatto delle importazioni sulla base dei dati relativi agli anni 1998-2000.

144    In proposito, in primo luogo, le istituzioni comunitarie avrebbero a torto preso in considerazione i dati dell’Ufficio statistico delle Comunità europee (Eurostat) relativi al 1998. Risulterebbe dalle informazioni contenute nella tabella riportata al ‘considerando’ 62 del regolamento impugnato che la ricorrente, unico produttore esportatore indiano del prodotto di cui trattasi, ha iniziato a esportare nel corso dell’esercizio di bilancio 1999/2000.

145    In secondo luogo, i dati di Eurostat per gli anni 1998-2000 non sarebbero attendibili. La categoria di cui trattasi della nomenclatura redatta ai fini delle statistiche comprenderebbe vari altri prodotti oltre ai CD‑R, importati con diversi tipi di imballaggio, e i loro quantitativi sarebbero indicati in tonnellate, cosicché per stimare il numero di CD‑R importati sarebbe stato necessario applicare una formula matematica ai dati di Eurostat. Orbene, essendo i quantitativi molto esigui, una formula del genere non sarebbe statisticamente attendibile.

146    In terzo luogo, dai ‘considerando’ 55‑64 del regolamento impugnato emergerebbe che, dal 1998 al 2000, le importazioni dall’India non hanno superato la soglia dell’1% del mercato comunitario. Esse sarebbero state pertanto trascurabili ai sensi dell’art. 14, n. 4, del regolamento base.

147    In quarto luogo, il fatto che le importazioni siano state scarse nei primi tre anni del periodo considerato non sarebbe stato preso sufficientemente in conto nel valutare la situazione dell’industria comunitaria. Infatti, le istituzioni comunitarie avrebbero posto a confronto i dati per l’anno 1998 e il periodo d’inchiesta per concludere che l’industria comunitaria era aumentata di 3,7 punti percentuali sul mercato comunitario, quando invece il raffronto tra l’anno 2000, primo anno nel corso del quale le importazioni sono divenute non trascurabili, e il periodo d’inchiesta avrebbe denotato un aumento più significativo, di 5 punti percentuali.

148    Inoltre, le istituzioni comunitarie sarebbero incorse in un errore allorché hanno fondato le proprie conclusioni sul raffronto tra periodi che si sovrappongono.

149    In primo luogo, il raffronto tra, da un lato, gli anni civili e, dall’altro, il periodo d’inchiesta sarebbe stato erroneo. Infatti, l’anno civile 2001 e il periodo d’inchiesta, che va dall’aprile 2001 al marzo 2002, si sovrappongono di nove mesi, il che non consentirebbe di prendere in considerazione le variazioni stagionali nell’ambito del raffronto.

150    In secondo luogo, il Consiglio avrebbe a torto posto a confronto tendenze che si riferiscono a svariati anni consecutivi precedenti il 2001 con tendenze rilevate tra tale anno e il periodo d’inchiesta o nel corso di quest’ultimo. Ad esempio, in sede di raffronto dell’andamento della produzione comunitaria, al ‘considerando’ 73 del regolamento impugnato, la conclusione secondo la quale l’incremento avrebbe subito un rallentamento nel corso del periodo d’inchiesta sarebbe inesatta, in quanto la relativa cifra verterebbe su un periodo molto più breve rispetto al periodo cui si riferiscono le altre cifre utilizzate per il raffronto. Lo stesso varrebbe nel caso delle conclusioni relative al calo dei prezzi, all’aumento solo limitato delle capacità nonché alla lentezza nell’incremento dei volumi delle vendite, evocati rispettivamente ai ‘considerando’ 59, 74 e 76 del regolamento impugnato.

151    Il Consiglio afferma preliminarmente che l’accertamento del danno presuppone, secondo la prassi seguita dalle istituzioni comunitarie, la valutazione degli indicatori economici su un periodo di esame del danno che va da quattro a cinque anni e che si conclude con il periodo d’inchiesta. Nella fattispecie, le istituzioni comunitarie avrebbero esaminato l’evoluzione dei fattori di danno nel corso degli anni 1998-2001 e nel periodo d’inchiesta.

152    Anzitutto, a torto la ricorrente allegherebbe che tale esame avrebbe dovuto escludere gli anni 1998, 1999 e 2000, nel corso dei quali le importazioni erano scarse.

153    In primo luogo, poco importerebbe che la ricorrente non abbia esportato verso la Comunità nel 1998, dovendo le istituzioni comunitarie analizzare i dati a livello del paese interessato e non a livello dell’esportatore.

154    In secondo luogo, la ricorrente non avrebbe dimostrato che i dati di Eurostat per gli anni in parola fossero errati. In ogni caso, le istituzioni comunitarie avrebbero esaminato l’andamento degli indicatori relativi alle importazioni anche sulla base delle cifre fornite dalla ricorrente e sarebbero pervenute a risultati analoghi a quelli che emergono dai dati di Eurostat.

155    In terzo luogo, il raffronto tra le informazioni relative agli anni di cui trattasi non sarebbe in contrasto con l’art. 14, nn. 3 e 4, del regolamento base, che riguarderebbe il caso in cui le importazioni siano state trascurabili nel periodo d’inchiesta.

156    In quarto luogo, il Consiglio avrebbe preso in considerazione il fatto che le importazioni erano state scarse nel periodo 1998-2000. Quanto all’argomento della ricorrente vertente sull’aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria, l’evoluzione di tale indicatore sarebbe stata considerata positiva e la ricorrente non dimostrerebbe come l’analisi complementare richiesta avrebbe potuto influire sulla valutazione del danno.

157    Inoltre, a torto la ricorrente affermerebbe che il raffronto fra tendenze riferite a periodi che si sovrappongono può aver determinato un errore di valutazione.

158    In primo luogo, con riferimento al raffronto effettuato tra l’anno civile 2001 e il periodo d’inchiesta, le istituzioni comunitarie, conformemente all’art. 5 del regolamento base, farebbero di regola riferimento, come periodo d’inchiesta, all’ultimo esercizio di bilancio dell’esportatore, che può essere diverso dall’anno civile. In un caso del genere, nulla impedirebbe alle istituzioni comunitarie di raffrontare le tendenze nel corso del periodo d’inchiesta con le tendenze dell’anno precedente, che si sovrappone parzialmente al periodo d’inchiesta. Peraltro, la ricorrente non avrebbe dimostrato che l’importazione di CD‑R sia soggetta a oscillazioni stagionali tali da rendere inappropriato il raffronto tra i due periodi di cui trattasi.

159    In secondo luogo, la ricorrente non avrebbe dedotto alcun errore di fatto che invalidi i dati utilizzati o l’analisi condotta dalle istituzioni. In particolare, essa non contesterebbe gli accertamenti di fatto cui fanno riferimento i ‘considerando’ 59, 73, 74 e 76 del regolamento impugnato. La ricorrente non spiegherebbe d’altronde sotto quale profilo i presunti vizi nel raffronto dei dati avrebbero compromesso la valutazione globale del danno.

–       Giudizio del Tribunale

160    Nell’ambito della sua prima censura, la ricorrente contesta sostanzialmente che siano stati presi in considerazione dati relativi a diversi periodi per porre a confronto l’evoluzione di tendenze economiche.

161    Secondo una costante giurisprudenza, le istituzioni comunitarie dispongono di un ampio potere discrezionale nel determinare il periodo da prendere in considerazione ai fini dell’accertamento del danno (v. sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 277 e la giurisprudenza ivi citata).

162    Si deve altresì rilevare che le istituzioni comunitarie possono esaminare il danno nel corso di un periodo più lungo di quello oggetto dell’inchiesta. Questa possibilità è giustificata dal fatto che l’esame delle tendenze economiche va effettuato su un periodo sufficientemente lungo (sentenza Nakajima/Consiglio, cit., punto 87).

163    Nella fattispecie, dal ‘considerando’ 10 del regolamento impugnato risulta che il periodo d’inchiesta andava dal 1° aprile 2001 al 31 marzo 2002 e corrispondeva all’ultimo esercizio di bilancio della ricorrente. Il periodo preso in considerazione ai fini dell’accertamento del danno comprendeva il periodo d’indagine e i quattro anni civili precedenti, andando quindi dal 1° gennaio 1998 al 31 marzo 2002.

164    La ricorrente afferma di non contestare la scelta del periodo in quanto tale. Per contro essa sostiene, anzitutto, che le istituzioni comunitarie non potevano fondare le proprie conclusioni sui dati relativi agli anni 1998, 1999 e 2000, nel corso dei quali le importazioni erano molto scarse.

165    Come risulta dai ‘considerando’ 55 e 57 del regolamento impugnato, le importazioni sono state trascurabili, in termini di volume e di quote di mercato, dal 1998 al 1999, mentre nel 2000 hanno raggiunto soltanto l’1% del mercato comunitario.

166    Occorre accertare se, nel valutare i fattori del danno, le istituzioni comunitarie abbiano tenuto conto di questa circostanza.

167    A tal proposito, in primo luogo, la ricorrente afferma che essa era il solo esportatore indiano e che ha iniziato a esportare verso la Comunità dall’aprile del 1999.

168    Occorre osservare, anzitutto, che l’esistenza di un danno dev’essere valutata globalmente, senza che sia necessario specificare l’effetto delle importazioni effettuate da ciascuna delle società responsabili (v., per analogia, in materia di dumping, sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 63, e la giurisprudenza ivi citata). Emerge peraltro dalla giurisprudenza che le istituzioni comunitarie non commettono un errore manifesto nell’ambito di tale valutazione quando si basano sui dati di cui possano ragionevolmente disporre (v. sentenza Shanghai Teraoka Electonic/Consiglio, cit., punti 229 e 230, e la giurisprudenza ivi citata).

169    Inoltre, nella fattispecie, anche ammettendo che i dati presentati alla Commissione dalla ricorrente, secondo i quali quest’ultima aveva iniziato a esportare dal 1° aprile 1999, potessero indurre a rimettere in discussione la rappresentatività dei dati di Eurostat per il 1998 e l’inizio del 1999, occorre osservare che le istituzioni comunitarie hanno rilevato, al ‘considerando’ 64 del regolamento impugnato, che la valutazione degli indicatori relativi alle importazioni si è concentrata su un periodo che è iniziato nel 2000, durante il quale la ricorrente ha effettivamente esportato verso la Comunità.

170    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che il volume ridotto delle importazioni aveva inficiato la rappresentatività dei dati statistici di Eurostat per gli anni 1998‑2000.

171    In proposito, è opportuno osservare che la ricorrente non ha prodotto alcuna prova a sostegno del proprio argomento secondo il quale la formula statistica applicata da Eurostat per giungere ai dati di cui trattasi non sarebbe attendibile nel caso di quantitativi ridotti. Ciò considerato, il solo argomento connesso al volume ridotto delle importazioni nel periodo di cui trattasi non è idoneo a dimostrare che i dati di Eurostat in proposito fossero inattendibili. In ogni caso, risulta dai ‘considerando’ 61 e 62 del regolamento impugnato che le istituzioni comunitarie hanno posto a confronto i dati di Eurostat con le cifre fornite dalla ricorrente e sono giunte a conclusioni simili per il periodo di cui trattasi.

172    Occorre pertanto dichiarare che legittimamente il Consiglio, senza incorrere in alcun errore manifesto di valutazione, ha preso in considerazione i dati di Eurostat per gli anni 1998, 1999 e 2000.

173    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che l’art. 10, n. 11, e l’art. 14, nn. 3 e 4, del regolamento base escludevano la possibilità di prendere in considerazione i dati relativi a questi anni, posto che si tratta di anni nei quali le importazioni sono state trascurabili.

174    Ai sensi dell’art. 10, n. 11, e dell’art. 14, nn. 3 e 4, del regolamento base, il procedimento antisovvenzioni non può essere avviato o viene immediatamente chiuso qualora il pregiudizio sia considerato trascurabile, vale a dire quando la quota di mercato delle importazioni è inferiore all’1%.

175    Nella fattispecie, la ricorrente non sostiene che la quota di mercato delle importazioni si trovasse al di sotto della citata soglia dell’1% in un momento qualunque del periodo d’inchiesta, che va dal 1° aprile 2001 al 31 marzo 2002. Orbene, il fatto che la quota di mercato di tali importazioni fosse inferiore a tale soglia all’inizio del periodo, più lungo, che è stato preso in considerazione per valutare le tendenze economiche, è irrilevante ai fini delle citate disposizioni. L’argomento della ricorrente fondato su tali disposizioni è pertanto inconferente.

176    Per quanto riguarda, in quarto e ultimo luogo, l’argomento della ricorrente vertente sulla valutazione degli indicatori relativi alla situazione dell’industria comunitaria negli anni 1998‑2000, occorre rilevare che, per effettuare lo studio delle tendenze economiche, le istituzioni comunitarie possono legittimamente prendere in considerazione le evoluzioni registrate nell’industria comunitaria durante tutto l’arco di tempo considerato, ivi compresi gli anni in cui le importazioni non hanno ancora raggiunto un livello significativo.

177    Nella specie, la ricorrente non ha dimostrato che dalla scelta della data iniziale del periodo considerato sia derivata una presentazione inesatta delle tendenze economiche, per quanto riguarda la concomitanza tra l’ingresso delle importazioni di cui trattasi sul mercato e l’evoluzione negativa dell’industria comunitaria. Se infatti, stando all’esempio fornito dalla ricorrente, è vero che l’industria comunitaria ha conseguito una quota di mercato più elevata tra il 2000 e il periodo d’inchiesta che non tra il 1998 e il periodo d’inchiesta, occorre osservare che tale indicatore è stato comunque considerato positivo. A tal fine, la ricorrente non ha dimostrato in che senso le conclusioni tratte dal Consiglio in merito all’esistenza di un danno e di un nesso di causalità sarebbero state diverse se l’inizio del periodo considerato fosse stato collocato nel 2000.

178    Gli argomenti della ricorrente in merito alla presa in considerazione dei dati relativi agli anni 1998, 1999 e 2000 vanno pertanto respinti.

179    La ricorrente critica, poi, la valutazione effettuata dei dati relativi ai periodi che si sovrappongono parzialmente.

180    A tal proposito, in primo luogo, essa rileva che le istituzioni comunitarie sono incorse in un manifesto errore di valutazione ponendo a confronto i dati relativi ad anni civili, in particolare gli anni 1998 e 2001, con quelli del periodo d’inchiesta, che si sovrappone per 9 mesi all’anno 2001.

181    Occorre rilevare, a tal proposito, che il periodo d’inchiesta scelto nella fattispecie è di un anno. Il raffronto operato tra i dati relativi agli anni civili e tale periodo, di durata identica, non avrebbe quindi potuto dar luogo ad una presentazione inesatta delle tendenze economiche, salvo dimostrare che il mercato dei CD‑R conosceva fluttuazioni stagionali. Orbene, la ricorrente non indica che il mercato dei CD‑R subisca simili fluttuazioni.

182    In secondo luogo, la ricorrente contesta al Consiglio di aver posto a confronto le evoluzioni da un anno all’altro con quelle constatate tra l’anno 2001 e il periodo d’inchiesta. Tale critica riguarda la valutazione della produzione, dei livelli di prezzo, delle capacità e dei volumi di vendita comunitari, contenuta rispettivamente ai ‘considerando’ 59, 73, 74 e 76 del regolamento impugnato.

183    A questo proposito si deve osservare che le evoluzioni verificatesi tra gli anni civili successivi esaminati non sono direttamente paragonabili a quelle verificatesi tra il 2001 e la fine del periodo d’inchiesta, in quanto queste ultime si riferiscono a un periodo di durata diversa.

184    Tuttavia, dall’analisi dei ‘considerando’ 59, 73, 74 e 76 del regolamento impugnato non emerge che le conclusioni, riguardo all’evoluzione degli indicatori di cui trattasi, si siano fondate sulle tendenze manifestatesi tra l’anno 2001 e la fine del periodo d’inchiesta. Infatti, se è vero che il Consiglio ha indicato, ai ‘considerando’ 73, 74 e 76, che l’incremento della produzione comunitaria «ha subito un rallentamento durante il periodo dell’inchiesta», che l’aumento delle sue capacità a partire dal 2001 «è stato limitato» e che l’incremento del volume delle vendite dell’industria comunitaria «durante il periodo dell’inchiesta [è cresciuto] soltanto del 6% rispetto al 2001», da tali constatazioni esso non ha tuttavia desunto che la situazione dell’industria comunitaria evidenziata dai citati indicatori si fosse deteriorata. Per quanto riguarda il ‘considerando’ 59, sebbene il Consiglio abbia indicato che il prezzo delle importazioni è aumentato del 17% tra il 2001 e il periodo d’inchiesta, esso ha comunque fondato le proprie conclusioni in merito al danno, al ‘considerando’ 102, sul calo di prezzo globale, del 59%, tra il 2000 e la fine del periodo d’inchiesta. È d’uopo rilevare che la ricorrente non contesta alcuna di queste constatazioni di fatto.

185    Inoltre, benché la ricorrente critichi il fatto che le istituzioni comunitarie non abbiano estrapolato i dati relativi all’anno 2002, essa non dimostra tuttavia in che modo, in mancanza di una tale estrapolazione, il Consiglio avrebbe dato un’immagine inesatta dell’evoluzione degli indicatori di cui trattasi. La ricorrente non dimostra quindi che questo asserito vizio nella presentazione dei dati abbia determinato un errore nella valutazione di tali indicatori.

186    Occorre osservare che, in ogni caso, la ricorrente non indica quale incidenza l’errore asseritamente commesso dal Consiglio nel paragonare i dati in causa avrebbe potuto avere sulle sue conclusioni in merito all’esistenza di un danno e di un nesso di causalità (v., in tal senso, sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit., punto 167, e la giurisprudenza ivi citata). Né essa indica sotto quale profilo tali conclusioni avrebbero potuto essere sensibilmente modificate ove il Consiglio avesse preso in considerazione i dati estrapolati relativi al 2002.

187    Si deve pertanto dichiarare che la ricorrente non ha dimostrato che il Consiglio avesse commesso un errore di fatto o un manifesto errore nella valutazione degli indicatori in discussione.

188    Infine, nell’ambito della presente censura, la ricorrente si richiama all’art. 8, nn. 2 e 6, del regolamento base, affermando che le istituzioni comunitarie non hanno proceduto ad un’analisi obiettiva dei dati relativi ai diversi periodi.

189    Atteso che la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un errore di fatto né di un manifesto errore di valutazione dei dati in discussione, essa non può sostenere che i periodi di raffronto siano stati scelti arbitrariamente. L’argomento vertente su una mancanza di obiettività in proposito dev’essere pertanto disatteso.

190    La presente censura va pertanto respinta in quanto infondata.

 Sulla valutazione del livello delle scorte (seconda censura)

–       Argomenti delle parti

191    La ricorrente sostiene che le istituzioni comunitarie sono incorse in un manifesto errore allorché hanno concluso, al ‘considerando’ 103 del regolamento impugnato, che l’evoluzione del livello delle scorte dell’industria comunitaria costituiva uno degli indicatori che hanno registrato un netto deterioramento. Le scorte dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta sarebbero diminuite, dimostrando così, al contrario, una tendenza positiva. Già questo solo errore potrebbe determinare l’annullamento del regolamento impugnato.

192    Il Consiglio sostiene che la valutazione delle scorte effettuata al ‘considerando’ 103 del regolamento impugnato è esatta, posto che essa si riferisce al deterioramento di tale fattore nel corso del periodo d’esame del danno, tra il 1998 e il periodo d’inchiesta, e non alla situazione nel corso del periodo d’inchiesta. Il livello delle scorte, in ogni caso, non sarebbe stato un elemento determinante del danno. Un eventuale errore non sarebbe quindi tale da determinare l’annullamento del regolamento impugnato, in quanto non inciderebbe sull’esito dell’accertamento del danno.

–       Giudizio del Tribunale

193    Nell’ambito della presente censura, la ricorrente deduce che la valutazione dell’andamento delle scorte dell’industria comunitaria è manifestamente errata. Essa non mette in discussione i relativi dati numerici, contenuti al ‘considerando’ 80 del regolamento impugnato, ma rileva che, sulla scorta di tali dati, il Consiglio non avrebbe potuto concludere, al ‘considerando’ 103 del regolamento impugnato, che l’indicatore delle scorte aveva registrato un notevole deterioramento nel periodo considerato.

194    Giova ricordare che il periodo considerato nella fattispecie va dall’anno 1998 alla fine del periodo d’inchiesta. Risulta dai dati non contestati dalla ricorrente che, in tutto questo periodo, le scorte dell’industria comunitaria sono significativamente aumentate.

195    In proposito, la ricorrente non ha dimostrato che il miglioramento dell’indicatore relativo alle scorte espresso in percentuale di produzione a partire dal 2000 sarebbe stato tale da sovvertire la tendenza negativa registrata sull’insieme del periodo considerato. Come risulta, infatti, dal ‘considerando’ 80 del regolamento impugnato, le scorte si sono attestate su livelli elevati nell’arco di tutto il periodo considerato, aumentando in termini assoluti verso la fine del 2001 – il che coincideva quindi con l’aumento del volume delle importazioni – e rappresentando, in termini relativi, una quota elevata, pari al 15%, della produzione nel periodo d’inchiesta.

196    La presente censura è quindi destituita di fondamento.

 Sulla valutazione dei prezzi delle importazioni (terza censura)

–       Argomenti delle parti

197    La ricorrente sostiene che, nel constatare un calo dei prezzi delle importazioni, le istituzioni comunitarie si sono fondate sui dati relativi agli anni 1998, 1999 e 2000, che non erano né pertinenti né attendibili. L’unico elemento attendibile quanto alle tendenze dei prezzi delle importazioni sarebbe il fatto che essi sono aumentati del 15% tra il 2001 e il periodo d’inchiesta. Tale aumento sarebbe, in realtà, addirittura più significativo, in quanto i due periodi si sovrappongono.

198    Il fatto che i prezzi all’importazione siano stati analizzati anche sulla base dei dati forniti dalla ricorrente nulla muterebbe al riguardo. Peraltro, i dati di cui trattasi sarebbero stati presentati dalle istituzioni comunitarie in modo inadeguato. I dati relativi agli esercizi di bilancio della ricorrente sarebbero stati imputati interamente agli anni civili più recenti. Ad esempio, i prezzi per l’esercizio di bilancio 1999/2000, che si riferiscono solo a tre mesi del 2000, sarebbero stati imputati all’anno 2000 e non all’anno 1999, nel corso del quale sarebbe stata realizzata la maggior parte degli introiti.

199    Secondo il Consiglio, a torto la ricorrente afferma che l’analisi del prezzo delle importazioni avrebbe dovuto effettuarsi sul periodo che va dal 2001 al periodo d’inchiesta, e non nel corso di tutto il periodo di accertamento del danno. Il fatto che il livello delle importazioni non superi, all’inizio, la soglia dell’1% del mercato comunitario non sarebbe pertinente.

200    Le istituzioni comunitarie avrebbero ammesso che i prezzi di Eurostat per il 1998 e il 1999 non erano rappresentativi a causa della scarsità delle importazioni. Di conseguenza, al ‘considerando’ 59 del regolamento impugnato, esse avrebbero operato un raffronto dell’evoluzione dei prezzi tra il 2000 e il periodo d’inchiesta. Inoltre, esse avrebbero proceduto a un’altra analisi dei prezzi sulla base dei dati forniti dalla ricorrente per il periodo del suo esercizio di bilancio 1999/2000 e il periodo d’inchiesta. I risultati sarebbero stati analoghi.

–       Giudizio del Tribunale

201    La valutazione dei livelli di prezzo delle importazioni costituiva nella fattispecie l’elemento essenziale in base al quale si è potuto concludere per l’esistenza di una sottoquotazione dei prezzi comunitari e, pertanto, di un danno. Le istituzioni comunitarie hanno analizzato tale indicatore, ai ‘considerando’ 58‑64 del regolamento impugnato, sulla base dei dati di Eurostat, nonché su quelli forniti dalla ricorrente.

202    Quanto ai dati di Eurostat, le istituzioni hanno concluso, in via principale, che vi era stato un calo significativo di prezzo, del 59%, tra il 2000 e la fine del periodo d’inchiesta. La ricorrente contesta che siano stati presi in considerazione dati relativi al 2000, in quanto le importazioni erano ancora insignificanti. Orbene, tale argomento è già stato esaminato e respinto supra, ai punti 170‑175.

203    Quanto all’analisi dei dati forniti dalla ricorrente, giova ricordare che essa ha condotto a risultati del tutto simili a quelli fondati sui dati di Eurostat, attestando in particolare un calo dei prezzi del 54%. La ricorrente sostiene però che la presentazione di tali dati è inesatta.

204    Come risulta dalla tabella contenuta nel ‘considerando’ 62 del regolamento impugnato, la percentuale del 54% si riferisce all’andamento dei prezzi tra i due esercizi di bilancio della ricorrente. Anche volendo ammettere che il ‘considerando’ 63 non sia sufficientemente preciso allorché indica che tale percentuale riguarda l’andamento tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, tale imprecisione non configurerebbe neanch’essa un errore. Emerge chiaramente dalla tabella che precede il ‘considerando’ in oggetto che si tratta dell’andamento tra l’esercizio di bilancio 2000 e il periodo d’inchiesta. La ricorrente non ha quindi dimostrato che i dati da essa forniti siano stati presentati in maniera inesatta.

205    Inoltre, anche se i dati forniti dalla ricorrente si riferiscono al periodo che inizia il 1° aprile 1999, mentre i dati di Eurostat interessano il periodo a decorrere dal 1° gennaio 2000, questo fatto non rende di per sé inesatta la constatazione del Consiglio secondo la quale i dati di Eurostat e quelli della ricorrente dimostrano tendenze concordanti. Orbene, la ricorrente non afferma che, se si fosse preso in considerazione un altro dies a quo per i suoi dati, si sarebbe giunti a conclusioni diverse in merito ai prezzi delle importazioni.

206    Di conseguenza, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un errore di fatto né di un manifesto errore di valutazione nell’analisi dei prezzi delle importazioni.

207    La presente censura dev’essere pertanto respinta in quanto non fondata.

 Sulla valutazione delle tendenze positive e negative (quarta censura)

–       Argomenti delle parti

208    La ricorrente sostiene che le istituzioni comunitarie non hanno ponderato gli indicatori positivi e quelli negativi del danno, in violazione dell’art. 8, nn. 2 e 5, del regolamento base. La valutazione globale esposta ai ‘considerando’ 104 e 105 del regolamento impugnato non includerebbe tutti gli indicatori positivi e negativi. Il Consiglio avrebbe concluso essenzialmente che la sottoquotazione dei prezzi delle importazioni aveva pregiudicato l’attitudine dell’industria comunitaria a mobilizzare capitali, come risulterebbe dall’evoluzione negativa del rendimento degli investimenti, della redditività e del flusso di cassa. Così, escludendo fattori positivi, esso avrebbe fondato la propria valutazione globale su un numero ridotto di indicatori strettamente connessi.

209    Sebbene il periodo considerato si estenda dal 1998 al periodo d’inchiesta, le istituzioni avrebbero dovuto prendere in considerazione il fatto che le importazioni anteriori al 2000 erano state trascurabili. Orbene, esse non avrebbero spiegato perché varie tendenze positive registrate tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, in particolare gli aumenti, rispettivamente, della produzione comunitaria, del fatturato dell’industria comunitaria, della sua quota di mercato, della sua produttività nonché la simultanea riduzione dei costi di produzione, sarebbero state neutralizzate dalle tendenze negative.

210    Il Consiglio rammenta che il periodo di esame del danno è iniziato nel 1998. Pertanto, le tendenze relative al periodo successivo al 2000, evidenziate dalla ricorrente, avrebbero un valore limitato. Inoltre, le istituzioni comunitarie non avrebbero mai contestato l’esistenza di tendenze positive. Queste ultime, tuttavia, non potrebbero essere contabilizzate né ponderate con le tendenze negative, dovendo invece essere valutate globalmente alla luce delle circostanze.

211    Nella fattispecie, le istituzioni comunitarie avrebbero constatato l’esistenza di un danno sulla base dei fattori relativi all’attitudine dell’industria a mobilizzare i capitali. Esse avrebbero preso in considerazione, da un lato, l’evoluzione negativa dell’industria comunitaria in termini di prezzi, di redditività e di flusso di cassa, che hanno determinato una sensibile riduzione degli investimenti, e, dall’altro, il fatto che tale industria non è riuscita a trarre vantaggio dalle proprie riduzioni dei costi. Le tendenze positive, connesse essenzialmente alla crescita, sarebbero state giudicate meno rilevanti, alla luce di un forte incremento del consumo comunitario. Infatti, l’aumento delle vendite e le riduzioni dei costi dell’industria comunitaria non sarebbero stati sufficienti a compensare il calo dei prezzi e, pertanto, a determinare l’evoluzione positiva della sua redditività. Le istituzioni comunitarie sarebbero state pertanto legittimate a ritenere che le tendenze positive fossero neutralizzate dalle tendenze negative.

212    La ponderazione dei diversi fattori nell’ambito di questa analisi globale rientrerebbe nella discrezionalità delle istituzioni comunitarie, e la ricorrente non avrebbe dimostrato l’esistenza di un manifesto errore a questo proposito.

–       Giudizio del Tribunale

213    Secondo una costante giurisprudenza, l’esame del danno deve vertere su un insieme di fattori, nessuno dei quali può, di per sé, costituire una base di giudizio determinante. L’evoluzione positiva di un fattore non è di ostacolo all’accertamento di un danno grave, in quanto tale accertamento si fonda su diversi fattori che il regolamento base prevede siano presi in considerazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 marzo 2000, causa T‑51/96, Miwon/Consiglio, Racc. pag. II‑1841, punto 105, e la giurisprudenza ivi citata).

214    Nel concludere in ordine al danno cagionato nella fattispecie, segnatamente ai ‘considerando’ 103‑105 del regolamento impugnato, il Consiglio ha preso in considerazione l’esistenza di tendenze positive nella situazione dell’industria comunitaria. Ha inoltre spiegato le ragioni per cui altri indicatori, che hanno registrato un andamento negativo, hanno, ciò nonostante, determinato il verificarsi di un danno grave.

215    La ricorrente non ha confutato alcuna delle constatazioni di fatto relative a tale valutazione, né ha dimostrato l’esistenza di un manifesto errore nella valutazione dei vari fattori di danno. Nell’ambito della presente censura, essa sostiene tuttavia che le istituzioni comunitarie non hanno proceduto ad un esame corretto dei diversi indicatori, positivi e negativi.

216    In proposito occorre osservare che, allorché contesta la valutazione globale del danno, un ricorrente non può limitarsi a proporre la propria interpretazione dei diversi fattori economici, ma deve precisare le ragioni per cui il Consiglio, sulla scorta di tali fattori, avrebbe dovuto giungere a una conclusione diversa in merito all’esistenza di un danno (v., in questo senso, sentenza Miwon/Consiglio, cit., punto 103).

217    Nel caso di specie, vero è che la ricorrente sottolinea che alcuni indicatori relativi alla situazione dell’industria comunitaria sono stati positivi, segnatamente gli aumenti, rispettivamente, della produzione, del fatturato, della quota di mercato e della produttività di tale industria, nonché la riduzione dei costi di produzione; tuttavia, ciò non dimostra, di per sé, che l’industria in oggetto non abbia subito un danno grave, consistente, in particolare, secondo il Consiglio, in un andamento negativo della redditività nonché in perdite sostanziali registrate nel periodo d’inchiesta, che hanno determinato una contrazione degli investimenti.

218    Orbene, la ricorrente non sviluppa argomenti idonei a dimostrare che il Consiglio abbia errato nel ritenere che l’industria avesse subito il danno menzionato al punto precedente, alla luce dell’analisi globale dei fattori pertinenti.

219    Per quanto riguarda, inoltre, l’argomento della ricorrente relativo alla data di inizio del periodo considerato, esso è già stato esaminato e respinto supra, ai punti 176 e 177.

220    Di conseguenza, la presente censura, vertente sulla valutazione globale degli indicatori del danno, non può essere accolta.

221    Il terzo motivo dev’essere pertanto respinto in quanto infondato.

 Sul quarto motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione nell’applicazione dell’art. 8, nn. 6 e 7, del regolamento base, per quanto riguarda l’esame degli effetti delle importazioni da Taiwan

 Argomenti delle parti

222    La ricorrente afferma che, nel regolamento impugnato, il Consiglio ha esaminato se il danno causato all’industria comunitaria fosse imputabile ad altri fattori, diversi dalle importazioni indiane, e segnatamente alle importazioni oggetto di dumping, provenienti da Taiwan, nei confronti delle quali nel dicembre 2001 è stato istituito un dazio antidumping provvisorio.

223    Prima dell’istituzione di tale dazio, le importazioni da Taiwan avrebbero rappresentato una quota di mercato del 62% e il loro prezzo medio sarebbe stato considerevolmente inferiore a quello delle importazioni indiane. Nel corso del periodo d’inchiesta, tale differenza di prezzo, del 27,5%, sarebbe stata superiore al dazio antidumping imposto agli esportatori di Taiwan, ad eccezione della Princo Corp e degli esportatori non cooperanti. Pertanto, il danno cagionato nel corso di tale periodo non avrebbe potuto essere imputato alle importazioni indiane.

224    Per escludere gli effetti delle importazioni da Taiwan, il Consiglio non avrebbe potuto fondare la propria valutazione soltanto sull’esame del periodo di tre mesi e mezzo che va dall’istituzione del dazio antidumping provvisorio alla fine del periodo d’inchiesta. Orbene, il Consiglio non sarebbe stato in grado di dimostrare che l’industria comunitaria ha dovuto far fronte a una pressione dei prezzi delle importazioni indiane durante tale periodo. Tra il 2001 e il periodo d’inchiesta, le importazioni da Taiwan avrebbero perduto il 6% del mercato, mentre i produttori comunitari, indiani e quelli degli altri paesi terzi avrebbero rispettivamente guadagnato il 2%. Durante il periodo d’inchiesta, il volume delle importazioni indiane sarebbe aumentato soltanto di 16 187 000 unità, pari allo 0,73% del mercato. Questi elementi sarebbero insufficienti a concludere che le importazioni indiane potevano, di per sé, aver cagionato un danno grave.

225    Peraltro, nello stesso periodo, l’incremento delle importazioni provenienti da altri paesi terzi, in particolare da Hong Kong, dalla Svizzera e dalla Cina, sarebbe stato superiore a quello delle importazioni indiane, e i prezzi di tali importazioni più bassi dei prezzi indiani.

226    Il Consiglio afferma che il nesso di causalità tra le importazioni controverse e il danno continua a sussistere anche se tali importazioni fanno parte di un insieme più ampio di fattori, purché questi altri fattori non interrompano il nesso di causalità tra le importazioni e il danno.

227    Nella fattispecie, il Consiglio avrebbe concluso che il danno causato dalle importazioni da Taiwan non fosse idoneo a interrompere tale nesso di causalità. In primo luogo, il produttore indiano avrebbe conseguito una quota di mercato di più dell’8% tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, vale a dire prima dell’entrata in vigore dei provvedimenti antidumping contro Taiwan. In secondo luogo, dopo l’istituzione delle misure antidumping, il produttore indiano avrebbe recuperato una parte della quota di mercato perduta dagli esportatori di Taiwan. In terzo luogo, il prezzo basso delle importazioni indiane avrebbe comportato una sensibile sottoquotazione dei prezzi comunitari.

228    L’argomento della ricorrente si fonderebbe, a torto, su una scissione del periodo d’inchiesta in due parti, prima e dopo l’introduzione di un dazio antidumping nei confronti di Taiwan. Inoltre, le sue allegazioni in merito al periodo successivo all’istituzione delle misure relative a Taiwan non sarebbero pertinenti. La ricorrente sosterrebbe che l’effetto delle importazioni indiane si risolveva nel guadagno di quote di mercato risultante da un aumento del volume delle importazioni di 16 187 000 unità e, quindi, in una ipotetica perdita di tale quota di mercato da parte dell’industria comunitaria. Orbene, il danno nella fattispecie non si sarebbe verificato sotto forma di una perdita di mercato, bensì sotto forma di perdite economiche dell’industria comunitaria che si sono ripercosse sulla sua capacità di investimento. Sotto tale profilo, la sottoquotazione dei prezzi, collegata alle importazioni indiane pari al 9% del mercato, avrebbe avuto un’incidenza significativa su queste perdite economiche.

229    Quanto alle osservazioni della ricorrente in merito alle importazioni provenienti da Hong Kong, dalla Svizzera e dalla Cina, la quota di mercato che esse rappresentavano sarebbe stata troppo esigua per influenzare i prezzi comunitari.

 Giudizio del Tribunale

230    L’art. 8, n. 7, del regolamento base impone di esaminare i fattori noti che, contemporaneamente alle importazioni oggetto di sovvenzioni, causano pregiudizio all’industria comunitaria. Tale esame è volto ad evitare che il pregiudizio dovuto a questi altri fattori sia attribuito alle importazioni di cui trattasi. I detti fattori comprendono, segnatamente, il volume e il prezzo delle importazioni non sovvenzionate.

231    Nella fattispecie, dal ‘considerando’ 116 del regolamento impugnato risulta che, nel corso del periodo considerato, l’industria comunitaria di cui trattasi ha dovuto far fronte alle importazioni provenienti da Taiwan, che hanno costituito oggetto di pratiche di dumping e che le hanno causato un danno grave tra il 1997 e il 2000. Non poteva peraltro escludersi che gli effetti negativi di tali importazioni si fossero protratti fino all’istituzione delle misure provvisorie, nel dicembre 2001, mediante il regolamento (CE) della Commissione 17 dicembre 2001, n. 2479, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di compact disc registrabili originari di Taiwan (GU L 334, pag. 8).

232    Alla luce di questo fattore, noto, le istituzioni comunitarie erano tenute, nel determinare il danno cagionato dalle importazioni indiane, ad esaminare se l’effetto delle importazioni da Taiwan non fosse tale da interrompere il nesso di causalità tra le importazioni indiane e il danno arrecato all’industria comunitaria (v., in questo senso, sentenze del Tribunale 14 luglio 1995, causa T‑166/94, Koyo Seiko/Consiglio, Racc. pag. II‑2129, punto 81; 29 gennaio 1998, causa T‑97/95, Sinochem/Consiglio, Racc. pag. II‑85, punto 98, e 15 dicembre 1999, cause riunite T‑33/98 e T‑34/98, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. II‑3837, punto 176).

233    Occorre rilevare che il Consiglio ha effettivamente esaminato le ripercussioni delle importazioni da Taiwan ai ‘considerando’ 116‑118 del regolamento impugnato, giungendo alla conclusione che, se pure esse avevano influenzato il mercato comunitario nel periodo considerato, tuttavia tale influenza non era idonea ad interrompere il nesso causale.

234    La ricorrente contesta alle istituzioni comunitarie di aver commesso un manifesto errore nel procedere a tale esame.

235    Occorre anzitutto osservare che la ricorrente illustra il suo argomento delineando una distinzione tra il periodo precedente e quello successivo all’istituzione delle misure provvisorie nei confronti delle importazioni da Taiwan, sottintendendo quindi che le istituzioni comunitarie erano tenute ad esaminare i due periodi separatamente. Tuttavia, in forza dell’art. 11, n. 1, del regolamento base, il danno da determinare è quello subito nel corso del periodo d’inchiesta. Pertanto, se è vero che il Consiglio ha dovuto tener conto dell’istituzione di misure provvisorie nel corso del periodo d’inchiesta, cosa che ha fatto, segnatamente, ai ‘considerando’ 116 e 117 del regolamento impugnato, tuttavia le sue conclusioni in merito al danno e al nesso di causalità giustamente si riferiscono all’insieme del detto periodo.

236    Inoltre, è pacifico che le importazioni da Taiwan possono aver contribuito al danno arrecato all’industria comunitaria per una parte del periodo considerato. A torto la ricorrente sostiene che già questo solo fatto conduce ad escludere la possibilità che le importazioni indiane abbiano anch’esse causato un danno grave nello stesso periodo.

237    Secondo la giurisprudenza, la responsabilità di un danno può essere imputata alle importazioni considerate anche se i loro effetti costituiscono soltanto una parte di un pregiudizio più ampio imputabile ad altri fattori (v., in tal senso, sentenza della Corte 5 ottobre 1988, cause riunite 277/85 e 300/85, Canon e a./Consiglio, Racc. pag. 5731, punto 62). Non può quindi escludersi a priori che un danno possa essere simultaneamente cagionato da più fattori, ciascuno dei quali, di per sé, è causa di un danno grave.

238    Pertanto, la presenza di un fattore esterno importante, quale le importazioni da Taiwan in discussione, non comporta automaticamente un’interruzione del nesso causale tra le importazioni controverse e il danno arrecato all’industria comunitaria. Occorre comunque esaminare se le istituzioni comunitarie fossero legittimate a constatare che, nonostante tale fattore esterno, le importazioni sovvenzionate hanno cagionato un danno grave.

239    A questo proposito, in primo luogo, la ricorrente rileva che le importazioni da Taiwan rappresentavano una quota di mercato del 62% e che il loro prezzo medio era considerevolmente inferiore a quello delle importazioni indiane. Alla luce del volume e dei prezzi di tali importazioni, nessun danno potrebbe essere imputato alle importazioni indiane, posto che queste rappresentavano soltanto il 9% del mercato ed erano praticate a prezzi notevolmente superiori.

240    Anzitutto, anche ammettendo che la ricorrente voglia così suggerire di essere stata costretta ad allineare i propri prezzi su quelli delle importazioni da Taiwan oggetto di dumping, tale fatto non esclude che le sue importazioni abbiano causato un danno grave all’industria comunitaria.

241    Si deve poi osservare che la ricorrente non mette in discussione il fatto che le importazioni indiane rappresentavano una quota di mercato significativa, che i loro prezzi erano inferiori ai prezzi comunitari e che esse facevano concorrenza ai produttori di Taiwan. Orbene, alla luce di queste circostanze, la sua allegazione, secondo la quale l’esistenza delle importazioni da Taiwan, molto più ingenti e a prezzi inferiori, escluderebbe ogni possibilità di sottoquotazione da parte sua, è priva di fondamento. Non può infatti escludersi a priori che un danno grave, consistente nelle perdite causate dalla sottoquotazione dei prezzi comunitari, sia il risultato di importazioni provenienti da paesi diversi, aventi eventualmente un’influenza diversa.

242    Giova infine osservare che le istituzioni comunitarie hanno spiegato le ragioni per cui la presenza delle importazioni da Taiwan, anche a prezzi molto bassi e a volumi rilevanti, non escludeva che le importazioni indiane, considerate separatamente, avessero esercitato una pressione sui prezzi comunitari. Risulta in particolare dal ‘considerando’ 117 del regolamento impugnato che le importazioni indiane sono state in grado non solo di far fronte alla concorrenza di Taiwan, bensì anche di guadagnare una quota di mercato di più dell’8% tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, recuperando una parte della quota di mercato perduta dagli esportatori di Taiwan tra il 2001 e il periodo d’inchiesta. Queste considerazioni, non contestate dalla ricorrente, hanno permesso al Consiglio di concludere giustamente, nel medesimo ‘considerando’, che il basso livello dei prezzi indiani ha avuto un impatto considerevole sui prezzi comunitari.

243    A torto, di conseguenza, la ricorrente sostiene che, visti i volumi e i prezzi delle importazioni da Taiwan, alle sue importazioni non può essere imputato alcun danno.

244    In secondo luogo, la ricorrente afferma che il fatto che le importazioni indiane siano state in grado di guadagnare, parallelamente alle produzioni comunitarie, una parte del mercato perduta dagli esportatori di Taiwan a seguito dell’instaurazione delle misure provvisorie era insufficiente a concludere che esse avevano avuto un impatto rilevante sul mercato comunitario.

245    A tal proposito occorre rilevare che le conclusioni del Consiglio, come esposte al ‘considerando’ 117 del regolamento impugnato, non si fondano sulla sola considerazione che le importazioni indiane sono state in grado di recuperare una parte della quota di mercato perduta dagli esportatori di Taiwan, bensì anche sul fatto che esse, a fronte della concorrenza di Taiwan, sono state in grado di acquisire una quota importante del mercato comunitario e che il basso livello dei loro prezzi ha influito sui prezzi comunitari.

246    Il fatto che altri operatori sul mercato, in particolare i produttori comunitari, abbiano anch’essi recuperato una quota di mercato perduta dagli esportatori di Taiwan non è in grado di inficiare la conclusione del Consiglio secondo la quale le importazioni indiane, da sole, hanno arrecato ai produttori comunitari un danno grave durante il periodo d’inchiesta.

247    Alla luce di tutte le considerazioni innanzi esposte, appare chiaro che la ricorrente non ha dimostrato che le istituzioni comunitarie fossero incorse in un manifesto errore di valutazione allorché hanno constatato che le importazioni originarie di Taiwan non erano idonee ad interrompere il nesso di causalità nel caso di specie.

248    La ricorrente sottolinea peraltro che l’incremento cumulato delle importazioni provenienti da Hong Kong, dalla Svizzera e dalla Cina è stato superiore, e che queste importazioni sono state praticate a prezzi inferiori, rispetto alle importazioni indiane.

249    Si deve ricordare in proposito che le conclusioni del Consiglio non si fondano sulla sola considerazione che le importazioni indiane sono state in grado di recuperare una quota importante delle quote di mercato perdute dagli esportatori di Taiwan. In ogni caso, la ricorrente ammette che la quota recuperata dalle importazioni indiane era paragonabile a quelle guadagnate, rispettivamente, dai produttori comunitari e dall’insieme dei produttori di altri paesi terzi.

250    Inoltre, ove l’osservazione della ricorrente debba interpretarsi nel senso che le istituzioni non avrebbero esaminato a sufficienza gli effetti delle importazioni provenienti da Hong Kong, dalla Svizzera e dalla Cina, un argomento del genere non potrebbe comunque essere accolto. Risulta infatti dal ‘considerando’ 121 del regolamento impugnato, non contestato dalla ricorrente, che le importazioni originarie dell’India rappresentavano, in volume, il quintuplo o il sestuplo delle importazioni di ciascuno dei tre paesi menzionati e che questi ultimi detenevano, singolarmente, una quota di mercato del 2% durante il periodo d’inchiesta, mentre la quota detenuta dal produttore indiano era del 9%. Legittimamente quindi, in ogni caso, il Consiglio ha ritenuto che le importazioni da questi paesi terzi non fossero abbastanza ingenti da interrompere il nesso di causalità nel caso di specie.

251    Di conseguenza, il quarto motivo non può essere accolto.

 Sul quinto motivo, vertente su una violazione dell’art. 8, nn. 6 e 7, del regolamento base, con riferimento all’esame degli effetti del comportamento anticoncorrenziale di un titolare di brevetti

 Argomenti delle parti

252    La ricorrente afferma che, nel corso del procedimento amministrativo, l’industria comunitaria ha sostenuto che un titolare di brevetti aventi ad oggetto i CD‑R abusava della sua posizione dominante fatturando diritti di concessione eccessivi. Respingendo tale allegazione, al ‘considerando’ 135 del regolamento impugnato, per la sola ragione che non era confermato da alcuna decisione formale delle autorità responsabili in materia di concorrenza, le istituzioni comunitarie avrebbero violato l’art. 8, nn. 6 e 7, del regolamento base, quale interpretato dalle sentenze della Corte 11 giugno 1992, causa C‑358/89, Extramet Industrie/Consiglio (Racc. pag. I‑3813), e del Tribunale 19 settembre 2001, causa T‑58/99, Mukand e a./Consiglio (Racc. pag. II‑2521).

253    La Commissione sarebbe stata al corrente di questa allegazione di abuso di posizione dominante, considerato che, come risulterebbe dal suo comunicato stampa 3 agosto 2003, al momento dell’adozione del regolamento impugnato, l’inchiesta relativa a tale infrazione delle regole di concorrenza si sarebbe trovata nella sua fase finale.

254    Quanto alla valutazione degli effetti dei diritti di concessione effettuata al ‘considerando’ 134 del regolamento impugnato, essa non sarebbe sufficiente ad escludere gli effetti dell’abuso di posizione dominante allegato e, segnatamente, gli effetti dei diritti di concessione eccessivi. In primo luogo, la circostanza che l’esportatore indiano possa anch’esso aver subito un danno a causa di diritti di concessione eccessivi non sarebbe pertinente ai fini della valutazione del danno subito dall’industria comunitaria. In secondo luogo, se è vero che la redditività dell’industria comunitaria era giunta al suo apice nel 1999, in un momento in cui i diritti di concessione erano già applicabili, ciò non escluderebbe peraltro che tali diritti abbiano contribuito al verificarsi del danno durante il periodo d’inchiesta. In terzo luogo, l’osservazione del Consiglio secondo la quale una pressione al ribasso sui prezzi avrebbe impedito all’industria comunitaria di trasferire sui consumatori i costi dei diritti di concessione non sarebbe pertinente. Le istituzioni comunitarie avrebbero infatti dovuto esaminare se, in assenza di diritti di concessione eccessivi, l’industria comunitaria avrebbe comunque subito un danno. Inoltre, se i costi dell’industria comunitaria erano artificialmente elevati a causa dei diritti di concessione eccessivi, l’analisi della sottoquotazione dei prezzi, nel caso di specie, non sarebbe esatta.

255    Il Consiglio sostiene di aver esaminato dettagliatamente l’incidenza dei diritti di concessione e, pertanto, del preteso comportamento anticoncorrenziale ai ‘considerando’ 134 e 135 del regolamento impugnato, ancorché tale comportamento non sia mai stato confermato. L’allegazione della ricorrente secondo la quale il Consiglio ha escluso tale elemento per l’assenza di una decisione formale si fonderebbe quindi su una lettura errata del regolamento impugnato.

256    Le allegazioni vertenti su un comportamento anticoncorrenziale avrebbero fatto riferimento alla fissazione dell’importo dei diritti di concessione. A tal proposito, dato che i diritti di concessione sono pagati tanto dai produttori comunitari quanto da quelli indiani, il loro pagamento non spiegherebbe la differenza di prezzo. Inoltre, l’industria comunitaria avrebbe dovuto versare diritti di concessione tanto nel 1999, anno in cui la sua redditività era all’apice, quanto nel 2000 e durante il periodo d’inchiesta, in cui la sua produttività sarebbe stata negativa. Così, contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, accertare se l’industria comunitaria abbia subito un danno a causa dei diritti di concessione asseritamente eccessivi non sarebbe pertinente, nella fattispecie, ai fini della valutazione del nesso di causalità, in quanto sarebbe stato impossibile per un unico fattore di costo, identico per tutti gli operatori sul mercato, interrompere tale nesso di causalità. Il Consiglio avrebbe tuttavia spiegato, al ‘considerando’ 135, che l’allegazione vertente su un comportamento anticoncorrenziale non era stata confermata da alcuna decisione formale.

257    Il Consiglio rileva che le circostanze del caso di specie differiscono da quelle oggetto della citata sentenza Mukand e a./Consiglio. I fatti relativi al comportamento qui in discussione non sarebbero mai stati provati, non esisterebbe alcun nesso automatico tra il comportamento allegato e i prezzi del prodotto di cui trattasi e tale comportamento pregiudicherebbe in egual misura l’esportatore interessato.

258    Quanto al comunicato stampa della Commissione, allegato alla replica, il Consiglio osserva che la ricorrente non ha spiegato per quale ragione essa non l’ha prodotto unitamente al ricorso, conformemente all’art. 48, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale. Inoltre, tale comunicato menzionerebbe i CD preregistrati, e non i CD‑R, e non riguarderebbe d’altronde né un abuso di posizione dominante né i pagamenti di diritti di concessione eccessivi cui si richiama la ricorrente.

259    Il CECMA afferma che le istituzioni non erano tenute ad esaminare l’allegazione di cui trattasi ai sensi dell’art. 8, n. 7, del regolamento base. Da un lato, il comportamento dedotto pregiudicherebbe in egual misura i produttori comunitari e quelli mondiali. Non sarebbe quindi idoneo a ledere la concorrenza tra i produttori di paesi terzi e comunitari. D’altro lato, l’asserito comportamento anticoncorrenziale non costituirebbe un fattore noto.

 Giudizio del Tribunale

260    Secondo una giurisprudenza costante, nel determinare il danno, le istituzioni comunitarie sono tenute a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni e a escludere invece ogni danno derivante da altri fattori, in particolare quello causato da un comportamento anticoncorrenziale che coinvolga i produttori comunitari (sentenze Extramet Industrie/Consiglio, cit., punto 16, e Mukand e a./Consiglio, cit., punti 39 e 40).

261    Nella fattispecie, come emerge dagli atti di causa, l’industria comunitaria denunciante ha dedotto, in una memoria del 7 gennaio 2003, che una società titolare di brevetti su CD‑R abusava della propria posizione dominante fatturando diritti di concessione eccessivi e che un produttore europeo si era ritirato dal mercato a seguito di una controversia con tale società. L’industria ha fatto tale osservazione per contrastare l’allegazione della ricorrente secondo la quale il grado di sostegno alla denuncia, ai sensi dell’art. 10, n. 8, del regolamento base, era sceso al di sotto della soglia richiesta per proseguire il procedimento. La ricorrente ha formulato la stessa osservazione nel corso dell’inchiesta, affermando che gli effetti dell’asserito comportamento anticoncorrenziale, consistente nella fissazione di diritti di concessione eccessivi, costituivano un fattore da esaminare nell’ambito dell’accertamento del danno.

262    Nell’ambito del presente motivo, la ricorrente sostiene che il Consiglio ha omesso di esaminare tale fattore, limitandosi a constatare, al ‘considerando’ 135 del regolamento impugnato, che l’allegazione di cui trattasi non è stata confermata da alcuna decisione formale in esito a un’inchiesta delle autorità responsabili della concorrenza.

263    A questo proposito si deve osservare che non risulta dal ‘considerando’ 135 del regolamento impugnato che le istituzioni comunitarie abbiano effettivamente proceduto a verificare se il danno constatato non discendesse dall’asserito comportamento anticoncorrenziale.

264    Se è vero che questo ‘considerando’ non basta quindi a escludere gli effetti del fattore invocato dalla ricorrente, occorre tuttavia osservare che accertare se il Consiglio abbia o meno omesso di prendere in considerazione tali effetti è comunque questione da esaminarsi rispetto all’intero iter logico seguito nel regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza Koyo Seiko/Consiglio, cit., punto 79).

265    Orbene, il Consiglio afferma di aver preso in considerazione tale fattore al ‘considerando’ 134 del regolamento impugnato. Da tale ‘considerando’ risulta che il Consiglio ha esaminato, in generale, gli effetti del pagamento dei diritti di concessione collegati ai brevetti, constatando che, nella fattispecie, tale fattore non era idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Il Consiglio sostiene di avere, con tale constatazione, risposto anche all’argomento secondo il quale tali diritti di concessione erano eccessivi e integravano un comportamento anticoncorrenziale.

266    A questo proposito, sebbene i ‘considerando’ 134 e 135 rientrino in sottotitoli diversi, vale a dire «Diritti di concessione» e «Altri fattori», risulta peraltro dagli argomenti delle parti che essi riguardano entrambi il medesimo elemento del fascicolo, cioè il pagamento di diritti di concessione. Inoltre, questi due ‘considerando’ si susseguono, cosicché una loro lettura in combinato disposto è imposta dalla sistematica del regolamento impugnato.

267    Occorre quindi esaminare le constatazioni effettuate al ‘considerando’ 134 per verificare se il Consiglio abbia escluso il danno eventualmente derivante dal comportamento anticoncorrenziale richiamato dalla ricorrente.

268    In primo luogo, la ricorrente contesta la pertinenza di tali constatazioni, affermando che le istituzioni, per concludere che, anche in assenza di diritti eccessivi, l’industria comunitaria avrebbe subito un danno, avrebbero dovuto valutare gli effetti dei diritti di concessione in maniera precisa.

269    A questo proposito si deve rilevare che, per escludere gli effetti derivanti da un fattore esterno, le istituzioni comunitarie sono tenute ad accertare se i detti effetti siano stati tali da interrompere il nesso di causalità tra le importazioni di cui trattasi e il danno arrecato all’industria comunitaria (v. supra, punto 232). Orbene, tale accertamento non implica necessariamente la determinazione degli effetti precisi del fattore in esame. È sufficiente che le istituzioni comunitarie constatino che, nonostante la presenza di un tale fattore esterno, il danno causato dalle importazioni in discussione è stato grave.

270    Nel caso di specie, il Consiglio ha rilevato che le importazioni indiane avevano causato un danno grave all’industria comunitaria, derivante in particolare da una sottoquotazione dei prezzi comunitari. Esso ha spiegato che, sebbene i diritti di concessione avessero influito negativamente sugli utili dell’industria comunitaria, tale fattore, che incideva su tutti i produttori del mercato, era già presente nel 1999, prima che le importazioni fossero divenute rilevanti. L’andamento negativo della situazione dei produttori comunitari a partire dal 1999 non era quindi imputabile a tale fattore. Alla luce di questi elementi, non era irragionevole per il Consiglio ritenere che il pagamento di diritti di concessione non avesse influito sul danno provocato dalle importazioni sovvenzionate.

271    Correttamente il Consiglio afferma che l’esito dell’esame diretto ad accertare se i diritti di concessione fossero eccessivi a causa del comportamento anticoncorrenziale di un titolare di brevetti non potrebbe in ogni caso rimettere in discussione la sua conclusione, menzionata al punto precedente.

272    Si deve altresì osservare che, a differenza delle situazioni all’origine delle cause definite con le citate sentenze Extramet e Mukand e a./Consiglio, la prassi anticoncorrenziale qui dedotta non è imputabile al comportamento dei produttori comunitari. Per valutare gli effetti di tale fattore nel caso di specie le istituzioni comunitarie non erano quindi tenute ad esaminare se l’industria comunitaria non avesse essa stessa contribuito al danno subito.

273    In secondo luogo, la ricorrente, richiamandosi alla citata sentenza Mukand e a./Consiglio, sostiene che, se i prezzi comunitari erano artificialmente elevati a causa dei diritti di concessione eccessivi, il danno, determinato dalla sottoquotazione dei prezzi, non è stato valutato correttamente.

274    Occorre ricordare che all’origine della causa definita con la citata sentenza Mukand e a./Consiglio vi era un comportamento che incideva sui prezzi comunitari, ma non quelli all’importazione. Orbene, nella specie il Consiglio ha constatato che i diritti di concessione di cui trattasi dovevano essere versati da tutti i produttori, ivi compresa la ricorrente. La ricorrente non ha contestato questo dato di fatto.

275    Pertanto, legittimamente il Consiglio ha potuto ritenere, al ‘considerando’ 134 del regolamento impugnato, che il fattore esterno di cui trattasi non fosse idoneo a giustificare la differenza tra i prezzi comunitari e i prezzi indiani e che, pertanto, fosse ininfluente sugli elementi presi in considerazione per calcolare il livello di sottoquotazione. Anche volendo ammettere che i diritti di concessione fossero eccessivi a causa di un comportamento anticoncorrenziale, tale fattore non sarebbe tale da inficiare questa valutazione.

276    Alla luce di questi elementi, si deve dichiarare che la ricorrente non ha dimostrato che il Consiglio avesse omesso di escludere, nella valutazione del danno, gli effetti derivanti da un preteso comportamento anticoncorrenziale.

277    Ciò considerato, non è necessario pronunciarsi sull’ammissibilità dell’elemento di fatto dedotto dalla ricorrente nella replica, cioè il comunicato stampa della Commissione 3 agosto 2003, ove si menzionava un’inchiesta relativa all’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE a un accordo standard sui brevetti relativi a determinati tipi di CD. Risulta infatti dagli argomenti della ricorrente che questo elemento è stato dedotto per suffragare la sua tesi secondo la quale il fattore in esame era noto alle istituzioni comunitarie. Per contro, essa non ha spiegato in quale senso tale comunicato potesse suffragare l’argomento secondo il quale questo fattore era idoneo a interrompere il nesso di causalità nella fattispecie.

278    Pertanto, il quinto motivo non può essere accolto.

279    Da tutto quanto precede risulta che il ricorso dev’essere integralmente respinto. Non occorre dunque pronunciarsi sulle conclusioni formulate dal Consiglio in subordine.

 Sulle spese

280    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese sostenute dalla parte convenuta, conformemente alle conclusioni di quest’ultima.

281    La Commissione sopporterà le proprie spese, a norma dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.

282    Ai sensi dell’art. 87, n. 4, terzo comma, del regolamento di procedura, il Tribunale può ordinare che una parte interveniente diversa dagli Stati membri e dalle istituzioni sopporti le proprie spese. Date le circostanze, e tenuto conto segnatamente del fatto che le osservazioni del CECMA, intervenuto in qualità di associazione a difesa degli interessi dell’industria comunitaria interessata, non hanno aggiunto elementi decisivi agli argomenti del Consiglio, il Tribunale reputa equo che detta associazione sopporti le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal convenuto.

3)      Le intervenienti sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Legal

Lindh

Vadapalas

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 ottobre 2006.

Il cancelliere

 

       Il presidente

Indice


Ambito normativo

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 5, dell’art. 7, n. 3, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento base e a un manifesto errore nella valutazione del normale periodo di ammortamento dei beni

Osservazioni preliminari

Sulla valutazione degli elementi relativi al periodo di ammortamento (prima parte)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sulla classificazione dei beni nella categoria degli stampi e sulla mancata presa in considerazione delle informazioni risultanti dalle scritture contabili della ricorrente (prima e seconda censura della seconda parte)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sulla presa in considerazione della redditività e degli investimenti della ricorrente (terza censura della seconda parte)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sull’impiego del metodo di ammortamento decrescente (quarta censura della seconda parte)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sull’asserita arbitrarietà dei calcoli (quinta censura della seconda parte)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sul secondo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa e su un difetto di motivazione con riferimento alla valutazione del periodo normale di ammortamento del capitale fisso

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul terzo motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione e sulla violazione dell’art. 8, nn. 2 e 6, del regolamento di base, con riferimento all’esame degli elementi relativi alla determinazione del danno e del nesso di causalità

Osservazioni preliminari

Sul metodo utilizzato per porre a confronto le tendenze economiche (prima censura)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sulla valutazione del livello delle scorte (seconda censura)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sulla valutazione dei prezzi delle importazioni (terza censura)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sulla valutazione delle tendenze positive e negative (quarta censura)

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Sul quarto motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione nell’applicazione dell’art. 8, nn. 6 e 7, del regolamento base, per quanto riguarda l’esame degli effetti delle importazioni da Taiwan

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quinto motivo, vertente su una violazione dell’art. 8, nn. 6 e 7, del regolamento base, con riferimento all’esame degli effetti del comportamento anticoncorrenziale di un titolare di brevetti

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l'inglese.