Language of document : ECLI:EU:T:2011:330

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

6 luglio 2011 (*)

«Marchio comunitario – Domanda di marchio comunitario denominativo TDI – Impedimento assoluto alla registrazione – Descrittività – Assenza di carattere distintivo acquisito con l’uso – Art. 7, n. 1, lett. c), e n. 3, del regolamento (CE) n. 207/2009 – Art. 75 e art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009»

Nella causa T‑318/09,

Audi AG, con sede in Ingolstadt (Germania),

Volkswagen AG, con sede in Wolfsburg (Germania),

rappresentate dall’avv. P. Kather,

ricorrenti,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. G. Schneider, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 14 maggio 2009 (pratica R 226/2007‑1), riguardante la domanda di registrazione del segno denominativo TDI come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto dal sig. O. Czúcz (relatore), presidente, dalla sig.ra I. Labucka e dal sig. K. O’Higgins, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Heeren, amministratore

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 agosto 2009,

visto il controricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 27 novembre 2009,

vista la replica depositata nella cancelleria del Tribunale il 5 febbraio 2010,

in seguito all’udienza dell’8 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 22 maggio 2003, le ricorrenti Audi AG e Volkswagen AG hanno presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio di cui si è chiesta la registrazione è il segno denominativo TDI.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 12 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «veicoli e loro elementi di costruzione».

4        Con decisione 1° febbraio 2007, l’esaminatore ha respinto la domanda di registrazione per tutti i prodotti in questione, facendo applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 207/2009]. Esso ha anche ritenuto che l’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009] non fosse applicabile, in quanto il radicamento del segno richiesto come marchio presso il pubblico rilevante non era stato sufficientemente dimostrato.

5        Le ricorrenti hanno proposto ricorso avverso la decisione dell’esaminatore il 5 febbraio 2007.

6        Con decisione del 14 maggio 2009 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha disposto il rigetto del ricorso, in quanto il segno TDI aveva carattere descrittivo per tutti i prodotti previsti, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009, come dichiarato dal Tribunale nella sentenza 3 dicembre 2003, causa T‑16/02, Audi/UAMI (TDI) (Racc. pag. II‑5167). Inoltre, con riferimento all’applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009, la commissione di ricorso ha ritenuto che l’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso dovesse essere dimostrata in tutta l’Unione europea. Essa ha constatato che le ricorrenti non avevano fornito tale prova per quanto riguarda il marchio TDI. Per quanto concerne la Danimarca, i Paesi Bassi e l’Irlanda, essa ha ritenuto insufficienti i documenti versati al fascicolo. Per gli altri Stati membri, essa ha rilevato che gli elementi prodotti non erano idonei a dimostrare il radicamento del marchio richiesto, in quanto questi ultimi non attestavano che detto marchio permetteva ai consumatori di tali paesi di identificare l’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi.

 Conclusioni delle parti

7        Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

8        L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

9        A sostegno del loro ricorso le ricorrenti invocano quattro motivi. Il primo motivo pertiene ad una violazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009. Il secondo motivo è attinente all’art. 7, n. 1, lett. b) e c), di tale regolamento. I motivi terzo e quarto vertono, rispettivamente, su una violazione dell’art. 76, n. 1, e dell’art. 75 del regolamento n. 207/2009.

10      Il Tribunale considera utile esaminare anzitutto il secondo motivo, successivamente il primo motivo e, infine, i motivi terzo e quarto.

 Sul secondo motivo, attinente ad una violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 207/2009

 Argomenti delle parti

11      Le ricorrenti fanno, in primo luogo, valere che il segno TDI è stato oggetto di diverse registrazioni nazionali e di una registrazione internazionale, il che dimostrerebbe che detto segno non ha carattere descrittivo e non è privo di ogni efficacia distintiva.

12      In secondo luogo, le ricorrenti fanno osservare che l’UAMI ha valutato in modo diverso la loro domanda di registrazione del segno TDI rispetto alle domande di registrazione riguardanti segni simili, i segni CDI e HDI, presentate da altri due costruttori automobilistici, in quanto non ha preteso che venisse dimostrato l’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso ai fini delle loro registrazioni. Facendo riferimento all’ordinanza della Corte 12 febbraio 2009, cause riunite C‑39/08 e C‑43/08, Bild digital (ex Bild.T‑Online.de) (non pubblicata nella Raccolta, punto 17), esse affermano che l’UAMI è tenuto a prendere in considerazione le decisioni già prese su domande analoghe e a chiedersi con particolare attenzione se occorra pronunciarsi nello stesso senso, anche se esso non può in nessun caso essere vincolato da esse. Orbene, dalla decisione impugnata non risulterebbe che la commissione di ricorso abbia preso in considerazione le decisioni di registrazione dei segni CDI e HDI come marchi comunitari.

13      L’UAMI contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

14      Occorre preliminarmente ricordare che la commissione di ricorso ha basato la decisione impugnata esclusivamente sull’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009. Vanno quindi disattesi gli argomenti delle ricorrenti vertenti sulla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009.

15      Ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009, sono esclusi dalla registrazione «i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio». Secondo il paragrafo 2 dello stesso articolo, «il paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità».

16      I segni e le indicazioni previsti all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009 sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del pubblico di riferimento, possono servire a designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per il quale è richiesta la registrazione [sentenze del Tribunale 22 giugno 2005, causa T‑19/04, Metso Paper Automation/UAMI (PAPERLAB), Racc. pag. II‑2383, punto 24, nonché 9 giugno 2010, causa T‑315/09, Hoelzer/UAMI (SAFELOAD), non pubblicata nella Raccolta, punto 15].

17      Ne consegue che, perché il divieto enunciato dalla suddetta disposizione si applichi a un segno, questo deve presentare con i prodotti o servizi in causa un nesso sufficientemente concreto e diretto da consentire al pubblico destinatario di percepire immediatamente, e senza altra riflessione, una descrizione di tali prodotti o servizi ovvero di una delle loro caratteristiche (v. sentenze PAPERLAB, punto 16 supra, punto 25, e SAFELOAD, punto 16 supra, punto 16).

18      Per quanto riguarda il segno denominativo TDI, il Tribunale ha dichiarato nella sua sentenza TDI, punto 6 supra, punto 31, che esso costituiva l’abbreviazione di «turbo diesel injection» oppure di «turbo direct injection». Esso ha del pari considerato che, per quanto riguarda gli autoveicoli, tale segno denominativo ne designava la qualità, dato che il fatto di essere dotato di un motore «turbo diesel injection» o «turbo direct injection» costituisce una caratteristica essenziale dell’autoveicolo. Per quanto riguarda le componenti legate alla costruzione degli autoveicoli, il Tribunale ha indicato che il segno denominativo TDI ne designava il tipo (sentenza TDI, punto 6 supra, punto 34).

19      Il Tribunale, inoltre, ha dichiarato nella stessa sentenza anche che il segno TDI era descrittivo dei prodotti di cui trattavasi in tutta l’Unione. Poiché, infatti, gli autoveicoli erano posti in vendita, in linea principio, sotto le stesse denominazioni in tutto il mercato interno, non sussisteva differenza tra le diverse parti dell’Unione relativamente alla comprensione, da parte del pubblico di riferimento, del significato di detto segno e del collegamento esistente tra tale segno e i prodotti contemplati nella domanda di marchio (sentenza TDI, punto 6 supra, punto 38).

20      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento delle ricorrenti vertente sulle registrazioni nazionali e sulla registrazione internazionale del segno TDI, esso va dichiarato inefficace. È sufficiente, infatti, ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, da una parte, il regime comunitario dei marchi costituisce un sistema autonomo e, dall’altra, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso è valutata unicamente in base al regolamento n. 207/2009 [sentenze del Tribunale 3 luglio 2003, causa T‑122/01, Best Buy Concepts/UAMI (BEST BUY), Racc. pag. II‑2235, punto 41; 15 settembre 2005, causa T‑320/03, Citicorp/UAMI (LIVE RICHLY), Racc. pag. II‑3411, punto 95, e 12 marzo 2008, causa T‑128/07, Suez/UAMI (Delivering the essentials of life), non pubblicata nella Raccolta, punto 32].

21      In secondo luogo, si deve esaminare la censura delle ricorrenti vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento.

22      Anzitutto, al riguardo, occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, le decisioni che le commissioni di ricorso devono adottare, in forza del regolamento n. 207/2009, relativamente alla registrazione di un segno come marchio comunitario rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso deve essere valutata unicamente in base a detto regolamento, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi decisionale di queste ultime [sentenza della Corte 15 settembre 2005, causa C‑37/03 P, BioID/UAMI, Racc. pag. I‑7975, punto 47; sentenze del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑36/01, Glaverbel/UAMI (Superficie di una lastra di vetro), Racc. pag. II‑3887, punto 35, e 14 giugno 2007, causa T‑207/06, Europig/UAMI (EUROPIG), Racc. pag. II‑1961, punto 40].

23      Quanto agli argomenti che le ricorrenti desumono dall’ordinanza Bild digital (ex Bild.T‑Online.de), di cui al precedente punto 12, occorre poi osservare che la Corte, al punto 17 di detta ordinanza, relativo all’interpretazione dell’art. 3 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989 L 40, pag. 1), ha rilevato che l’autorità nazionale competente ai fini della registrazione doveva, nell’ambito dell’istruzione di una domanda di registrazione e nei limiti in cui disponeva di informazioni al riguardo, prendere in considerazione le decisioni già adottate per domande simili e chiedersi con particolare attenzione se occorresse o meno decidere nello stesso senso. Tuttavia, anche supponendo che siffatta considerazione dovesse per analogia applicarsi all’esame effettuato dagli organi dell’UAMI nel contesto del regolamento n. 207/2009, la Corte ha precisato anche che l’autorità di cui trattasi non può comunque trovarsi vincolata dalle decisioni già adottate su dette analoghe domande. Peraltro, la Corte ha anche ricordato, al punto 18 di detta ordinanza, che il principio della parità di trattamento doveva conciliarsi con il rispetto della legalità, di modo che una determinata impresa non può invocare dinanzi all’autorità competente il beneficio di una prassi decisionale di tale autorità che sia in contrasto con la legislazione applicabile o che induca l’autorità stessa ad adottare una decisione illegittima.

24      Ne consegue che le ricorrenti non possono validamente basarsi sulla registrazione degli altri segni come marchi comunitari al fine di dimostrare l’illegittimità della decisione impugnata.

25      Ad abundantiam, va aggiunto che le ricorrenti non hanno dimostrato che esisteva un nesso sufficientemente concreto e diretto da consentire al pubblico destinatario di percepire immediatamente, e senza altra riflessione, le sigle HDI e CDI come una descrizione di autoveicoli o di loro componenti, ovvero di una delle loro caratteristiche. Per contro, come si è rilevato al precedente punto 18, il Tribunale ha giudicato che la sigla TDI viene percepita dal pubblico pertinente come un’abbreviazione dei termini «turbo diesel injection» oppure «turbo direct injection» e designa, pertanto, la qualità o il tipo dei prodotti contemplati nella domanda di registrazione. Quindi, le ricorrenti non hanno dimostrato che la loro situazione fosse paragonabile a quella dei richiedenti la registrazione dei marchi HDI e CDI. Orbene, il principio della parità di trattamento risulta violato soltanto quando situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica (sentenze della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale 4 luglio 2006, causa T‑304/02, Hoek Loos/Commissione, Racc. pag. II‑1887, punto 96).

26      Occorre quindi disattendere il secondo motivo.

 Sul primo motivo, attinente ad una violazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009

 Argomenti delle parti

27      In primo luogo, le ricorrenti sostengono che non occorre dimostrare il radicamento del marchio in tutti gli Stati membri. Esse ritengono anche che i principi applicabili alla notorietà di un marchio ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009 debbano essere applicati alla valutazione dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso da parte del marchio. Quindi, la dimostrazione del radicamento del marchio con riferimento ad una parte sostanziale del territorio dell’Unione sarebbe sufficiente. Al riguardo, le ricorrenti fanno valere anche la sentenza del Tribunale 15 dicembre 2005, causa T‑262/04, BIC/UAMI (Forma di un accendino a pietrina) (Racc. pag. II‑5959, punto 69), e la sentenza della Corte 6 ottobre 2009, causa C‑301/07, PAGO International (Racc. pag. I‑9429).

28      Inoltre, le ricorrenti affermano che, nel contesto dell’intepretazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009, occorre del pari prendere in considerazione il fatto che una valutazione fondata su un esame paese per paese non è nello spirito del mercato comune e dell’unione economica. Esse fanno valere che occorre piuttosto stabilire se il marchio consenta ad una parte significativa della popolazione dell’Unione di riconoscere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengono da un’impresa determinata.

29      Le ricorrenti contestano l’argomento dell’UAMI secondo cui le frontiere geografiche rileverebbero allorché si tratti di frontiere linguistiche. A loro avviso, il segno TDI, che si compone di tre lettere, sarà percepito in modo identico in tutte le lingue.

30      Per quanto riguarda l’argomento dell’UAMI secondo cui, per la Danimarca, i Paesi Bassi e l’Irlanda, esse non hanno fornito altri elementi che quelli relativi alle quote di mercato, le ricorrenti fanno riferimento alla sentenza del Tribunale 14 settembre 2009, causa T‑152/07, Lange Uhren/UAMI (Campi geometrici sul quadrante di un orologio) (non pubblicata nella Raccolta, punto 126). A loro avviso, in tale sentenza, il Tribunale ha considerato che la quota di mercato detenuta dal marchio costituiva un’indicazione che poteva rivelarsi pertinente per valutare se detto marchio avesse acquisito carattere distintivo con l’uso. Esse condividono tale parere e ritengono che sia possibile dedurre dalle quote di mercato dei prodotti sui quali il segno TDI è apposto quale sia il grado di notorietà di cui gode il segno di cui si è chiesta la registrazione, nella misura in cui detto segno viene sistematicamente effigiato sul cofano del veicolo. Detta quota di mercato consentirebbe quindi di dedurre direttamente la «diffusione» del segno TDI.

31      Le ricorrenti fanno del pari osservare che in taluni Stati membri la registrazione del marchio TDI equivale ad una prova di radicamento del marchio in tali paesi. L’acquisizione da parte di tale marchio di un carattere distintivo con l’uso sarebbe necessaria soltanto se il marchio non fosse registrato in conformità ad un diritto nazionale, armonizzato con il regime comunitario. Nella fattispecie, la popolazione dei paesi nei quali il marchio TDI è stato registrato rappresenterebbe, alla data di deposito della domanda di registrazione del segno TDI come marchio comunitario, quasi due terzi della popolazione dell’Unione.

32      In secondo luogo, le ricorrenti concordano con la valutazione fornita dalla commissione di ricorso, secondo cui il livello di attenzione del consumatore medio è elevato all’atto dell’acquisto di un autoveicolo. Esse contestano tuttavia la constatazione che figura al punto 28 della decisione impugnata, secondo cui il livello di attenzione del pubblico pertinente è diverso qualora si tratti di indicazioni di carattere tecnico. A loro avviso, trattandosi di prodotti assai costosi e ad alta tecnologia, il consumatore studia tutte le informazioni, incluso il marchio dell’autoveicolo, con particolare attenzione.

33      In terzo luogo, le ricorrenti fanno valere che, nel corso del procedimento dinanzi all’esaminatore, esse gli hanno trasmesso, da una parte, i dati idonei a dimostrare che i loro autoveicoli, sui quali è apposto il segno TDI, rappresentavano, al momento del deposito della domanda di registrazione, una quota di mercato importante nel mercato automobilistico dell’Unione e, dall’altra, il fatturato realizzato dalla vendita dei detti autoveicoli. Esse affermano, inoltre, che il fatto che ciascun autoveicolo circolasse con il segno TDI apposto sul cofano costituisce un supporto pubblicitario mobile, il che rende ancora più importanti le cifre comunicate. Peraltro, esse ritengono che il grado di notorietà del marchio richiesto sia proporzionale al fatturato e costituisca un indizio importante per valutare il radicamento di detto marchio. Esse rinviano, infine, ai materiali pubblicitari e alle dichiarazioni dei club automobilistici da esse stesse presentati nell’ambito del procedimento dinanzi all’esaminatore.

34      Le ricorrenti si riferiscono inoltre alle dichiarazioni dei concorrenti secondo cui questi ultimi non utilizzano il segno TDI e quest’ultimo è associato alle ricorrenti. Per quanto riguarda taluni costruttori automobilistici, le ricorrenti fanno osservare che detti costruttori automobilistici comprano i loro motori, che esse hanno autorizzato tali costruttori a utilizzare il marchio TDI per fare promozione di detti motori e che uno tra essi non ha posto in vendita nessun motore diesel prima del 2009.

35      Inoltre, secondo le ricorrenti, l’uso da parte dei concorrenti di sigle distinte per designare i loro autoveicoli diesel rafforza nello spirito del consumatore la convinzione che la sigla TDI sia l’appellativo usato dalle ricorrenti per i loro autoveicoli diesel.

36      In quarto luogo, le ricorrenti contestano alla commissione di ricorso di aver ritenuto che esse non utilizzassero in commercio il segno TDI come marchio, bensì come «acronimo descrittivo». Esse sostengono che, secondo la giurisprudenza, l’uso come marchio non comporta che il segno di cui trattasi sia utilizzato da solo. Un uso di tale segno in combinazione con altri segni sarebbe anch’esso pertinente. Orbene, nella fattispecie, esse sostengono di aver fornito la prova dell’uso del segno TDI in combinazione con altri marchi.

37      Le ricorrenti contestano la considerazione della commissione di ricorso secondo cui occorre dimostrare che il pubblico di riferimento percepisce il segno di cui trattasi come marchio. Esse affermano che è sufficiente dimostrare che gli ambienti interessati percepiscono effettivamente il prodotto o servizio, designato dal solo marchio di cui si chiede la registrazione, come proveniente da un’impresa determinata. Le ricorrenti censurano la commissione di ricorso per aver argomentato in modo circolare affermando che il segno TDI costituiva un’indicazione descrittiva e che, conseguentemente, gli ambienti interessati non avrebbero associato detto segno ad un’impresa determinata. Siffatto ragionamento implicherebbe che un segno intrinsecamente descrittivo non potrebbe mai acquisire carattere distintivo con l’uso, in quanto esso non potrebbe essere percepito dal pubblico pertinente come indicazione dell’origine commerciale dei prodotti o dei servizi su cui è apposto. Tale approccio renderebbe l’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009 privo di senso. Esse si riferiscono, al riguardo, alla sentenza della Corte 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips (Racc. pag. I‑5475, punto 40). Inoltre, la nozione di radicamento del marchio è per l’esattezza destinata a compensare il «deficit che si suppone addebitato ad un’indicazione descrittiva».

38      L’UAMI contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

39      Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009, gli impedimenti assoluti alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. b)‑d), del suddetto regolamento non impediscono la registrazione di un marchio se quest’ultimo ha acquisito, per i prodotti e servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto.

40      L’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009 non prevede un diritto autonomo alla registrazione di un marchio. Esso contiene una deroga agli impedimenti alla registrazione stabiliti all’art. 7, n. 1, lett. b)‑d), di tale regolamento. La sua portata deve quindi essere interpretata in funzione di questi impedimenti alla registrazione (sentenza Campi geometrici sul quadrante di un orologio, punto 30 supra, punto 121; v. anche, analogamente, sentenza della Corte 7 settembre 2006, causa C‑108/05, Bovemij Verzekeringen, Racc. pag. I‑7605, punto 21).

41      Emerge peraltro dalla giurisprudenza che, da una parte, l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso del marchio richiede che almeno una frazione significativa del pubblico destinatario identifichi, grazie al marchio, i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata [sentenze del Tribunale 29 aprile 2004, causa T‑399/02, Eurocermex/UAMI (Forma di una bottiglia), Racc. pag. II‑1391, punto 42, e Campi geometrici sul quadrante di un orologio, punto 30 supra, punto 122].

42      La Corte ha inoltre dichiarato, nella sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I‑2779), che, per stabilire se un marchio abbia acquisito carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto, l’autorità competente deve valutare globalmente gli elementi che possono dimostrare che il marchio è divenuto idoneo ad identificare il prodotto di cui trattasi come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, a contraddistinguere tale prodotto da quelli di altre imprese.

43      Al riguardo occorre prendere in considerazione, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che, grazie al marchio, identificano il prodotto come proveniente da una determinata impresa, le dichiarazioni di camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali nonché i sondaggi d’opinione (v. sentenza Forma di una bottiglia, punto 41 supra, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

44      Nella fattispecie, la commissione di ricorso ha ritenuto, sulla base della sentenza TDI, punto 6 supra, che, in quanto il segno TDI si componeva delle iniziali dei termini contenuti nell’espressione «turbo direct injection» o nell’espressione «turbo diesel injection», l’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009 esistesse in tutta l’Unione e che, quindi, il marchio TDI dovesse aver acquisito carattere distintivo con l’uso in ciascuno dei quindici Stati membri dell’Unione alla data di deposito della domanda di registrazione, cioè il 22 maggio 2003 (punti 32 e 33 della decisione impugnata). Orbene, secondo la commissione di ricorso, le ricorrenti non avevano dimostrato il radicamento del marchio con l’uso in Danimarca, nei Paesi Bassi e in Irlanda (punto 40 della decisione impugnata). Inoltre, la commissione di ricorso ha considerato che, negli altri Stati membri, il segno TDI non era stato utilizzato come marchio, ma soltanto come indicazione descrittiva, di modo che esso non poteva acquisire carattere distintivo mediante detto uso (punti 41 e 44 della decisione impugnata).

45      In primo luogo, le ricorrenti contestano l’affermazione della commissione di ricorso secondo cui la prova di un radicamento del marchio TDI deve essere fornita per ciascuno degli Stati membri dell’Unione. Esse sono del parere che sia sufficiente la dimostrazione di detto radicamento con riferimento ad una parte sostanziale del territorio dell’Unione.

46      Secondo la giurisprudenza, un marchio può essere registrato in base all’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009 solo se viene fornita la prova che esso ha acquisito, in seguito all’uso che ne è stato fatto, un carattere distintivo nella parte dell’Unione in cui esso non aveva ab initio un tale carattere. La parte dell’Unione considerata al n. 2 del detto articolo può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro (sentenza della Corte 22 giugno 2006, causa C‑25/05 P, Storck/UAMI, Racc. pag. I‑5719, punto 83).

47      Il marchio richiesto deve quindi aver acquisito carattere distintivo con l’uso in tutti gli Stati membri dell’Unione in cui esso non disponeva ab initio di carattere distintivo per essere ammissibile alla registrazione in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009 [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T‑141/06, Glaverbel/UAMI (Struttura di una superficie di vetro), non pubblicata nella Raccolta, punto 38]. Inoltre, le prove fornite nei confronti di taluni Stati membri non sono idonee a dimostrare che il segno abbia acquisito carattere distintivo negli altri Stati membri dell’Unione (v., in tal senso, citata sentenza Struttura di una superficie di vetro, punto 39).

48      Ne deriva che, nella fattispecie, poiché il segno TDI era intrinsecamente descrittivo nella totalità dell’Unione, l’acquisizione del carattere distintivo con l’uso deve essere provata per ciascuno degli Stati membri dell’Unione.

49      Gli argomenti delle ricorrenti non possono rimettere in discussione tale conclusione.

50      In primo luogo, per quanto riguarda gli argomenti tratti dalla sentenza Forma di un accendino a pietrina, punto 27 supra, risulta dai punti 68 e seguenti di tale sentenza che il Tribunale non intendeva pronunciarsi sui principi da applicare quanto alla definizione del territorio rilevante ai fini della valutazione dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso, ma si è limitato a constatare che in tale controversia «[la prova dell’uso] [doveva] essere fornita per una parte sostanziale della Comunità». Il Tribunale, inoltre, ha giudicato del pari in tale causa che le prove fornite per dimostrare il radicamento del marchio tridimensionale richiesto erano insufficienti, di modo che non era necessario stabilire, per dirimere la controversia, se l’assenza di prove dell’acquisizione di un carattere distintivo con l’uso in taluni paesi ostacolasse o meno la registrazione in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009.

51      Pertanto, le ricorrenti non possono far valere la sentenza Forma di un accendino a pietrina, punto 27 supra, per porre nuovamente in discussione la soluzione accolta dalla commissione di ricorso, che è compatibile con la giurisprudenza citata al precedente punto 45.

52      In secondo luogo, le ricorrenti affermano che la commissione di ricorso avrebbe dovuto utilizzare lo stesso criterio di quello che essa stessa applica per stabilire l’esistenza della notorietà del marchio ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009 e considerare che sarebbe sufficiente la dimostrazione dell’acquisizione del carattere distintivo per quanto riguarda una parte sostanziale dell’Unione.

53      Occorre rammentare che, in forza dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009, in assenza del consenso del titolare di un marchio comunitario, quest’ultimo è autorizzato a vietare a qualsiasi terzo di fare uso nel commercio di un segno identico o simile a tale marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali quest’ultimo è stato registrato, se esso gode di notorietà nell’Unione e l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.

54      Al riguardo va considerato che le ricorrenti non possono validamente porre in discussione la soluzione accolta dalla commissione di ricorso, compatibile con la giurisprudenza specifica riguardante l’acquisizione del carattere distintivo con l’uso, in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009, basandosi sulla giurisprudenza riguardante un’altra disposizione di tale regolamento.

55      In particolare, considerata la differenza della logica inerente all’applicazione, da una parte, dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009, concernente la notorietà, e, dall’altra, dell’art. 7, n. 3, di detto regolamento, riguardante l’acquisizione del carattere distintivo con l’uso, nonché il posto da essi occupato nell’economia di detto regolamento, non può essere ammesso il medesimo esame relativo al territorio pertinente nell’ambito dell’applicazione delle dette due disposizioni.

56      Infatti, l’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009 del regolamento n. 207/2009 protegge gli interessi legittimi dei titolari dei marchi che, per il loro sforzo commerciale e pubblicitario, hanno raggiunto la notorietà. Quindi, l’uso del marchio da parte di un altro operatore economico può consentire di trarre indebito vantaggio dal marchio che gode di notorietà oppure arrecargli pregiudizio anche se il marchio è noto, eventualmente, soltanto ad una parte significativa del pubblico di riferimento in un solo Stato membro.

57      Per contro, nel contesto dell’applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009, occorre tenere conto del fatto che tale disposizione costituisce una deroga al divieto di registrare, in particolare, un segno descrittivo come marchio comunitario e che, secondo il n. 2 di tale disposizione, tale divieto si applica anche se l’impedimento alla registrazione esiste soltanto in una parte dell’Unione. Orbene, qualora l’interpretazione proposta dalle ricorrenti dovesse essere accolta, ciò comporterebbe che il marchio descrittivo possa essere registrato sulla base dell’acquisizione del carattere distintivo con l’uso in una parte sostanziale dell’Unione, mentre esso permarrebbe descrittivo per le altre parti dell’Unione. Pertanto, l’interpretazione proposta dalle ricorrenti è in contrasto con il dettato stesso del regolamento n. 207/2009.

58      Di conseguenza, occorre respingere l’argomento con cui le ricorrenti contestano alla commissione di ricorso di non avere interpretato il territorio pertinente, ai fini della dimostrazione dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso, nello stesso modo in cui la Corte si era pronunciata nelle sentenze riguardanti la dimostrazione dell’esistenza della notorietà, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009.

59      In terzo luogo, le ricorrenti non possono validamente asserire che, considerata l’istituzione di uno spazio economico unico nell’Unione, le frontiere geografiche abbiano perduto il loro rilievo.

60      Al riguardo occorre ricordare che, nella sua sentenza Struttura di una superficie di vetro, punto 47 supra (punto 40), il Tribunale ha dichiarato quanto segue:

«[L’argomento] secondo cui l’orientamento consistente nel calcolare il numero di paesi dai quali provengono le prove sarebbe in contrasto con la necessità di considerare l’[Unione] come un mercato unico non può essere accolto. Infatti, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. [207/2009], in combinato disposto con il n. 2 dello stesso articolo, la registrazione di un marchio dev’essere negata se esso è privo di carattere distintivo in una parte dell’[Unione] e la parte dell’[Unione] di cui al n. 2 di detto articolo può eventualmente essere costituita da un solo Stato membro (…) La commissione di ricorso ha quindi giustamente esaminato separatamente le prove riguardanti il carattere distintivo acquistato mediante l’uso per ciascuno Stato membro».

61      Alla luce di quanto precede, occorre considerare che la commissione di ricorso ha correttamente valutato che, essendo il segno descrittivo in tutta l’Unione, le ricorrenti avrebbero dovuto fornire la prova dell’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso in ciascuno dei quindici Stati membri dell’Unione al momento del deposito della domanda di registrazione.

62      In secondo luogo, le ricorrenti affermano che, contrariamente alla valutazione della commissione di ricorso, esse hanno fornito la prova dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso in ciascuno degli Stati membri, inclusa l’Irlanda, la Danimarca e i Paesi Bassi.

63      Al riguardo occorre constatare che l’unica prova pertinente fornita dalle ricorrenti con riferimento a questi ultimi tre Stati membri consiste nella quota di mercato che esse vi detengono.

64      Orbene, le circostanze in cui la condizione connessa all’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso può ritenersi soddisfatta non possono essere accertate solo in base a dati generali ed astratti, come percentuali determinate [v. sentenze del Tribunale Struttura di una superficie di vetro, punto 47 supra, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata, e 15 ottobre 2008, causa T‑405/05, Powerserv Personalservice/UAMI – Manpower (MANPOWER), Racc. pag. II‑2883, punto 131].

65      In particolare, i dati riguardanti la quota di mercato, in quanto tali, non dimostrano che il pubblico interessato dei prodotti di cui trattasi percepisca il segno descrittivo come indicazione d’origine commerciale (v., per analogia con la produzione dei dati riguardanti i volumi di vendita dei materiali pubblicitari, sentenza Struttura di una superficie di vetro, punto 47 supra, punto 41). Peraltro, quanto ai suddetti Stati membri, le ricorrenti non hanno presentato informazioni complete caso per caso, segnatamente sull’intensità, sull’estensione geografica e sulla durata dell’uso, oppure sull’entità degli investimenti da esse effettuati per promuovere il marchio TDI.

66      Conseguentemente, va constatato che la commissione di ricorso ha correttamente accertato l’assenza di una prova sufficiente dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso in Irlanda, in Danimarca e nei Paesi Bassi.

67      Dato che le ricorrenti dovevano fornire la prova dell’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso in ciascuno dei quindici Stati membri dell’Unione (v. la conclusione al punto 61 supra), l’assenza di prova sufficiente relativa ai detti tre Stati membri basta di per sé a dare sostegno alla decisione della commissione di ricorso di respingere la domanda di registrazione.

68      Non è pertanto necessario esaminare la fondatezza degli argomenti delle ricorrenti proposti in merito alla motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda l’assenza dell’uso del segno TDI come marchio.

69      Si deve tuttavia constatare ad abundantiam, che la commissione di ricorso ha giustamente considerato, al punto 53 della decisione impugnata, che non era possibile considerare sussistente un uso del segno TDI come marchio, poiché tale segno era utilizzato in modo direttamente descrittivo, oppure era accompagnato, su materiali pubblicitari, da altri marchi delle ricorrenti dotati di capacità distintiva.

70      Secondo la giurisprudenza, per quanto riguarda l’acquisizione del carattere distintivo con l’uso, l’identificazione da parte degli ambienti interessati del prodotto o del servizio come proveniente da un’impresa determinata deve essere effettuata grazie all’uso del marchio in quanto marchio. L’espressione «l’uso del marchio in quanto marchio» deve pertanto essere intesa come riferentesi esclusivamente ad un uso del marchio finalizzato all’identificazione da parte degli ambienti interessati del prodotto o del servizio come proveniente da una determinata impresa (v., per analogia, sentenza della Corte 7 luglio 2005, causa C‑353/03, Nestlé, Racc. pag. I‑6135, punti 26 e 29).

71      In contrasto con l’asserto delle ricorrenti, la commissione di ricorso non ha concluso che era assente un uso come marchio in base ad un ragionamento circolare, che parte dalla supposizione che il segno, essendo descrittivo, non possa essere utilizzato come marchio.

72      Infatti, ai punti 45‑52 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha esaminato diversi materiali pubblicitari ad essa sottoposti dalle ricorrenti. Inoltre, come la commissione di ricorso ha giustamente considerato, siffatti materiali pubblicitari danno chiaramente l’impressione al pubblico di riferimento che il segno TDI non venisse utilizzato per identificare l’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi, bensì per descrivere una caratteristica delle automobili che vi figurano, cioè quella di essere dotate di un motore diesel a iniezione diretta.

73      Inoltre, nei materiali pubblicitari prodotti dalle ricorrenti e acclusi al dossier amministrativo, il segno TDI è sempre accompagnato da un altro marchio di cui le ricorrenti sono titolari, come il marchio Audi, il marchio VW e il marchio Volkswagen. Orbene, il Tribunale ha giudicato in più occasioni che i materiali pubblicitari sui quali un segno privo di carattere distintivo intrinseco è sempre accompagnato da altri marchi che sono per contro dotati di tale carattere non costituiscono prova che il pubblico percepisca il segno richiesto come un marchio che indica l’origine commerciale dei prodotti (sentenza Forma di una bottiglia, punto 41 supra, punto 51, e Forma di un accendino a pietrina, punto 27 supra, punto 77). Comunque, citando un sito Internet secondo cui il pubblico spagnolo percepisce il segno TDI come abbreviazione che rinvia al tipo di motore diesel a iniezione diretta, indipendentemente dal costruttore automobilistico, la commissione di ricorso ha dimostrato che, malgrado tutti gli sforzi pubblicitari delle ricorrenti in Spagna, il pubblico destinatario non percepiva tale segno come identificativo dell’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi, bensì come un termine descrittivo e generico.

74      Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, il primo motivo deve essere respinto.

 Sul terzo motivo, vertente su una violazione dell’art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009.

 Argomenti delle parti

75      Le ricorrenti sostengono che l’esaminatore non ha risposto alle loro domande relative ad un colloquio finalizzato a discutere della necessità e dell’ampiezza di un eventuale sondaggio d’opinione che avrebbe dovuto dimostrare l’acquisizione da parte del marchio TDI di un carattere distintivo mediante l’uso per i prodotti di cui trattasi. Esse affermano che la loro volontà era guidata dal fatto che tali sondaggi sono fonte di costi considerevoli e dal fatto che, in mancanza di accordo sui parametri del sondaggio, esse si sarebbero esposte ad un lavoro superfluo, il che non avrebbe agevolato il loro compito né quello dell’UAMI. Quest’ultimo peraltro avrebbe dovuto, nel rispetto del principio dell’esame d’ufficio dei fatti, contattarle in merito ai parametri di siffatto sondaggio. Dato che detta concertazione non ha avuto luogo, l’UAMI avrebbe violato l’art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009.

76      Inoltre, le ricorrenti censurano la considerazione della commissione di ricorso che compare al punto 55 della decisione impugnata, secondo cui, sostanzialmente, il fatto che l’esaminatore non abbia accolto la loro domanda di concertazione sulle condizioni relative ad un sondaggio è spiacevole, ma non esonera le dichiaranti dal rischio che le prove permangano insufficienti in assenza della presentazione di siffatto sondaggio. In forza del principio dell’esame d’ufficio dei fatti, l’UAMI sarebbe tenuto a rispondere alla «domanda di orientamento», al fine di fornire al dichiarante la possibilità di attribuire, immediatamente, al suo sondaggio d’opinione le caratteristiche che lo renderanno per esso accettabile. Infine, le ricorrenti considerano che, qualora la commissione di ricorso constati un errore nella valutazione svolta dall’esaminatore, com’è avvenuto, nella fattispecie, utilizzando il termine «spiacevole», essa ne può esercitare le competenze e rettificare tale errore.

77      L’UAMI contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

78      Secondo l’art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009, «nel corso della procedura l’[UAMI] procede d’ufficio all’esame dei fatti».

79      Le ricorrenti contestano all’UAMI il fatto che l’esaminatore non abbia risposto alle loro domande relative ad un colloquio per discutere della necessità e dell’ampiezza di un sondaggio d’opinione inteso a dimostrare l’acquisizione da parte del marchio TDI del carattere distintivo mediante l’uso per i prodotti di cui trattasi. Orbene, l’assenza di sondaggio sarebbe stata presa in considerazione dalla commissione di ricorso anche nel respingere il ricorso promosso dalle ricorrenti dinanzi ad essa, di modo che la mancanza di una risposta da parte dell’esaminatore inficerebbe la validità della decisione impugnata.

80      Va constatato che tale motivo delle ricorrenti non è aderente alla realtà.

81      Infatti, con lettera del 20 ottobre 2004 l’esaminatore ha informato le ricorrenti, ai sensi della regola 11, n. 1, del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1), che il segno TDI non era ammissibile alla registrazione. In tale lettera l’esaminatore ha osservato che «i sondaggi d’opinione [erano] quasi sempre indispensabili nelle procedure d’esame aventi ad oggetto il radicamento [del marchio]».

82      È in risposta alla comunicazione dei motivi di rifiuto che le ricorrenti, con lettera del 20 gennaio 2005, hanno proposto che il loro consulente «approfittasse di un prossimo viaggio d’affari in Spagna per convenire con l’esaminatore dell’UAMI un appuntamento in cui avrebbe potuto essere direttamente discusso il seguito da dare al procedimento; l’esperienza dimostra che un confronto diretto relativo al seguito da dare ad un procedimento è più efficace e più economico di lunghi carteggi».

83      La lettera del 20 gennaio 2005 non contiene, tuttavia, alcun riferimento all’offerta di produrre un sondaggio d’opinione, il cui contenuto avrebbe potuto essere discusso con l’esaminatore nel corso di un «incontro professionale», e, in tale lettera, le ricorrenti hanno menzionato l’«utilità che si prevede assai modesta» dei sondaggi d’opinione a livello europeo e hanno affermato che, secondo la prassi dell’UAMI e degli organi giurisdizionali dell’Unione, ai sondaggi d’opinione si poteva anche rinunciare.

84      Occorre, pertanto, necessariamente constatare che l’esaminatore ha chiaramente indicato che i sondaggi d’opinione sono «quasi sempre indispensabili» per dimostrare il radicamento del marchio. Per contro, dalla lettera delle ricorrenti del 20 gennaio 2005 non risulta che esse offrissero di produrre sondaggi d’opinione o che desiderassero precisare la loro ampiezza prima di produrli, tanto più che esse hanno espresso la loro opinione secondo cui è possibile rinunciare ai sondaggi d’opinione sulla base della prassi dell’UAMI e della giurisprudenza.

85      In tal contesto, le ricorrenti non possono validamente sostenere che, nella fattispecie, la mancanza di una riunione di carattere professionale con il loro consulente, finalizzata a precisare il contenuto dei sondaggi d’opinione da produrre, abbia costituito una qualsivoglia causa di illegittimità idonea a inficiare la validità della decisione impugnata.

86      Conseguentemente, il terzo motivo dev’essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente su una violazione dell’art. 75 del regolamento n. 207/2009

 Argomenti delle parti

87      Secondo le ricorrenti, la decisione impugnata si basa essenzialmente sulla considerazione della commissione di ricorso secondo cui l’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso non era possibile, poiché il marchio aveva carattere descrittivo. La commissione di ricorso avrebbe al riguardo considerato che era necessario un sondaggio d’opinione (punto 54 della decisione impugnata).

88      Le ricorrenti sostengono anche che la commissione di ricorso non le avrebbe informate del fatto che essa si allineava, in proposito, al parere dell’esaminatore. Alla luce della loro offerta di fornire la prova, la commissione di ricorso avrebbe dovuto informarle che, parimenti dal suo punto di vista, l’acquisizione del carattere distintivo mediante l’uso poteva essere dimostrata soltanto mediante un sondaggio d’opinione. La commissione di ricorso avrebbe tuttavia adottato la decisione impugnata senza aver previamente fornito la minima indicazione in merito alla necessità di produrre sondaggi d’opinione.

89      L’UAMI contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

90      Secondo l’art. 75 del regolamento n. 207/2009, le decisioni dell’UAMI sono motivate e devono essere fondate esclusivamente su motivi in merito ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni.

91      È sufficiente ricordare, al riguardo, che l’argomentazione delle ricorrenti riposa su una premessa errata, cioè sul fatto che esisteva un’offerta di prova diretta alla produzione di sondaggi d’opinione. Orbene, come si è constatato al precedente punto 84, dalla lettera delle ricorrenti del 20 gennaio 2005 non risulta che esse offrissero di produrre sondaggi d’opinione o che desiderassero precisarne l’ampiezza prima di produrli.

92      Per di più, si deve constatare che le ricorrenti non menzionano alcuna regola di diritto che avrebbe obbligato la commissione di ricorso a comunicare loro, prima dell’adozione della decisione impugnata, la sua intenzione di prendere in considerazione l’assenza di un mezzo di prova – cioè i sondaggi d’opinione – la cui importanza era stata già sottolineata dall’esaminatore.

93      Di conseguenza, il quarto motivo va disatteso in quanto infondato e, quindi il ricorso va respinto nel suo insieme.

 Sulle spese

94      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, vanno condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Audi AG e la Volkswagen AG sono condannate alle spese.

Czúcz

Labucka

O’Higgins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 luglio 2011.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.