Language of document : ECLI:EU:T:2007:179

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

14 giugno 2007 (*)

«Marchio comunitario – Domanda di marchio comunitario denominativo EUROPIG – Impedimenti assoluti alla registrazione – Carattere descrittivo – Mancanza di carattere distintivo – Art. 7, n. 1, lett. b) e c), e art. 7, n. 3, del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T‑207/06,

Europig SA, con sede in Josselin (Francia), rappresentata dall’avv. D. Masson,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. A. Folliard‑Monguiral, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI 31 maggio 2006 (procedimento R 1425/2005‑4), riguardante la domanda di registrazione del marchio denominativo EUROPIG come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dai sigg. V. Vadapalas e N. Wahl, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 agosto 2006,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 settembre 2006,

in seguito all’udienza del 1° marzo 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti della controversia

1        Il 4 maggio 2004 la ricorrente, già Olympig SA, ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo EUROPIG.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 29 e 30 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        «carne, pollame (carne); selvaggina; estratti di carne; piatti cucinati conservati a base di carne e/o di ortaggi, carne conservata; salami; salsicce; prodotti di salumeria; affumicati; prosciutto; lardo; rillettes», rientranti nella classe 29;

–        «pasticci di carne; paste (pasticceria)», rientranti nella classe 30.

4        Con decisione 28 settembre 2005, l’esaminatore ha respinto, ai sensi dell’art. 38 del regolamento n. 40/94, la domanda di marchio comunitario.

5        Il 25 novembre 2005 la ricorrente ha presentato un ricorso presso l’UAMI, ai sensi degli artt. 57-62 del regolamento n. 40/94, contro la decisione dell’esaminatore.

6        Con decisione 31 maggio 2006 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla ricorrente l’8 giugno 2006, la quarta commissione di ricorso ha respinto detto ricorso con la motivazione che il segno EUROPIG era descrittivo dei prodotti per i quali si chiedeva la registrazione e privo di carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94. Inoltre, i documenti prodotti dalla ricorrente non avrebbero consentito di concludere che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso ai sensi dell’art. 7, n. 3, del medesimo regolamento.

 Conclusioni delle parti

7        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

8        L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

9        A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce tre motivi relativi alla violazione, rispettivamente, dell’art. 7, n. 1, lett. c), dell’art. 7, n. 1, lett. b), e dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

10      La ricorrente sostiene che il marchio richiesto, preso nel suo insieme e considerato in se stesso, non è affatto descrittivo dei prodotti indicati nella domanda di registrazione.

11      Essa contesta, in primo luogo, l’affermazione della commissione di ricorso secondo la quale il termine «euro» rimanderebbe alla provenienza geografica oppure alle regole di produzione dei prodotti oggetto della domanda di registrazione.

12      Infatti l’elemento «euro» non potrebbe in alcun caso descrivere una provenienza geografica, dal momento che l’Europa non può costituire in quanto tale, per i consumatori e tanto meno per i professionisti del settore, un’indicazione di provenienza geografica. La ricorrente sottolinea inoltre che, data la menzione «suino francese» che appare sugli imballaggi dei prodotti da essa commercializzati, nessuno può fraintendere il significato dell’elemento «euro».

13      Tale abbreviazione non potrebbe neanche essere percepita dal pubblico anglofono come un’indicazione che la lavorazione dei prodotti in questione è conforme alle norme europee vigenti. Non solo una norma di certificazione non potrebbe essere presa in considerazione dal diritto dei marchi, ma la conformità di un prodotto a tali norme sarebbe identificata dai consumatori e, a fortiori, dai professionisti del settore, dalla menzione «CE» o «EC». Pertanto, l’elemento «euro» farebbe riferimento alla moneta unica europea e costituirebbe tutt’al più un’evocazione dell’Europa in senso lato.

14      La ricorrente sostiene, infine, che, se il ragionamento della commissione dovesse essere seguito, si arriverebbe a proibire a chiunque l’uso della menzione «euro» come elemento costitutivo di un marchio. Orbene, l’UAMI avrebbe accettato di registrare il marchio «Euro Ice Cream» per prodotti rientranti nelle classi 30 e 35, come pure il marchio «euro-tea» per prodotti rientranti nelle classi 5 e 30. In udienza, la ricorrente ha inoltre segnalato che, in data 23 gennaio 2007, l’UAMI ha accettato di registrare con il numero 4 818 043 il marchio figurativo «Europig». Tale registrazione sarebbe stata richiesta dalla ricorrente e riguarderebbe prodotti identici a quelli di cui al marchio richiesto.

15      La ricorrente, in secondo luogo, sostiene che il marchio richiesto non può essere descrittivo perché la menzione «euro» è associata al termine «pig».

16      Infatti, il pubblico anglofono utilizzerebbe il termine «pork» per designare la carne di maiale e non il termine «pig». Pertanto, solo la denominazione «european pork» potrebbe essere considerata come descrittiva dei prodotti in questione. L’utilizzo del termine «pig» tutt’al più potrebbe costituire un elemento evocativo, e in nessun caso descrittivo, dei prodotti in questione. Lo attesterebbe il fatto che il marchio EUROPIG è stato registrato nel Regno Unito il 21 dicembre 2004 con il numero 2 380 867 per prodotti e servizi identici a quelli indicati nella domanda di marchio. Allo stesso modo e per analogia, il marchio EUROVEAU sarebbe stato registrato nel 1988 in Francia, pur essendo il termine «veau» immediatamente compreso dal consumatore francese. Benché l’UAMI non sia certamente vincolato dalle decisioni prese dagli uffici nazionali, tali decisioni costituirebbero un serio indizio del fatto che il marchio richiesto è privo di carattere descrittivo.

17      La ricorrente ne conclude che il marchio EUROPIG, preso nel suo insieme, non ha un significato preciso, costante e immediato per il pubblico anglofono e non può, conseguentemente, essere considerato descrittivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94. Questo marchio sarebbe al contrario suscettibile di interpretazioni differenti. Orbene, dalla giurisprudenza risulterebbe che, ai sensi della suddetta disposizione, potrebbero essere esclusi dalla registrazione solo i segni che consentono al pubblico di scoprire immediatamente e senza alcuna riflessione la descrizione di una delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi [sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑193/99, Wrigley/UAMI (DOUBLEMINT), Racc. pag. II‑417; 7 giugno 2001, causa T‑359/99, DKV/UAMI (EuroHealth), Racc. pag. II‑1645, e 12 gennaio 2005, causa T‑334/03, Deutsche Post EURO EXPRESS/UAMI (EUROPREMIUM), Racc. pag. II‑65]. La Corte avrebbe altresì precisato che un eventuale carattere descrittivo deve essere constatato non solo per ciascuno dei termini costituenti il marchio, ma anche per l’insieme che essi compongono (sentenza della Corte 20 settembre 2001, causa C‑383/99 P, Procter & Gamble/UAMI, Racc. pag. I‑6251, punto 40).

18      L’UAMI ritiene che, per quanto riguarda la percezione degli elementi «euro» e «pig» da parte del pubblico interessato, ossia il consumatore medio anglofono, è a giusto titolo che la commissione di ricorso ha concluso che il marchio richiesto aveva natura descrittiva dei prodotti di cui trattasi.

19      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’elemento «euro», l’UAMI sostiene che esso designa, in almeno uno dei suoi significati potenziali, una caratteristica pertinente dei prodotti alimentari in questione, ossia la loro origine geografica. D’altra parte, questo elemento potrebbe essere inteso come un riferimento alla normativa applicabile alla produzione dei prodotti derivanti dall’allevamento suino in seno alla Comunità europea.

20      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’elemento denominativo «pig», l’UAMI ritiene che sia ininfluente il fatto che la parola inglese «pork» possa apparire più adatta a designare prodotti alimentari, poiché non esclude che il termine «pig» descriva, per il consumatore medio di lingua inglese, la materia prima da cui derivano tali prodotti alimentari.

21      Per quanto riguarda, infine, la parola composta «europig», l’UAMI fa notare che il fatto che si tratti di un neologismo, come constatato dalla stessa commissione di ricorso, non implica che corrisponda ad un’invenzione lessicale inusuale nella sua struttura.

22      Pertanto, il marchio richiesto sarebbe una semplice combinazione di due elementi descrittivi che non crea un’impressione sufficientemente diversa da quella prodotta dalla semplice unione degli elementi che la compongono. D’altro canto, la ricorrente non avrebbe dimostrato che il termine composto «europig» sia entrato nel linguaggio corrente ed abbia acquistato un significato proprio.

 Giudizio del Tribunale

23      Ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione «i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio». Inoltre, l’art. 7, n. 2, del medesimo regolamento stabilisce che il «paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità».

24      Secondo una giurisprudenza costante, l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle caratteristiche di prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti [sentenza della Corte 23 ottobre 2003, causa C‑191/01 P, UAMI/Wrigley, Racc. pag. I‑2447, punto 31; sentenze del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑219/00, Ellos/UAMI (ELLOS), Racc. pag. II‑753, punto 27; 27 novembre 2003, causa T‑348/02, Quick/UAMI (Quick), Racc. pag. II‑5071, punto 27, e 7 giugno 2005, causa T‑316/03, Münchener Rückversicherungs-Gesellschaft/UAMI (MunichFinancialServices), Racc. pag. II‑1951, punto 25; per analogia, v. anche sentenze della Corte 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I‑2779, punto 25; 12 febbraio 2004, causa C‑363/99, Koninklijke KPN Nederland, Racc. pag. I‑1619, punti 54 e 95, e causa C‑265/00, Campina Melkunie, Racc. pag. I‑1699, punto 35].

25      Inoltre, l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 riguarda i segni inidonei a svolgere la funzione sostanziale del marchio, cioè quella di identificare l’origine commerciale del prodotto o servizio, al fine di consentire così al consumatore che acquista il prodotto o il servizio designato dal marchio di fare, al momento di un successivo acquisto, la stessa scelta, qualora l’esperienza si riveli positiva, o di fare un’altra scelta, qualora essa risulti negativa (sentenza ELLOS, cit., punto 28).

26      Infatti, i segni e le indicazioni di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del pubblico destinatario, possono servire per designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per cui è chiesta la registrazione [v. sentenza del Tribunale 22 giugno 2005, causa T‑19/04, Metso Paper Automation/UAMI (PAPERLAB), Racc. pag. II‑2383, punto 24 e giurisprudenza ivi citata].

27      Ne consegue che, perché il divieto enunciato dalla suddetta disposizione si applichi a un segno, questo deve presentare con i prodotti o servizi in causa un nesso sufficientemente concreto e diretto da consentire al pubblico destinatario di percepire immediatamente, e senza altra riflessione, una descrizione di tali prodotti o servizi ovvero di una delle loro caratteristiche (v. sentenza PAPERLAB, cit., punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

28      Affinché un marchio costituito da un neologismo o da un termine risultante da una combinazione di elementi sia considerato descrittivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, non è sufficiente che un eventuale carattere descrittivo venga constatato per ciascuno dei detti elementi. Tale carattere deve essere constatato anche per il neologismo o il termine stesso (v. sentenza PAPERLAB, cit., punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

29      Un marchio costituito da un neologismo o da un termine composto di elementi, ciascuno dei quali descrittivo delle caratteristiche dei prodotti o servizi per i quali viene richiesta la registrazione, è esso stesso descrittivo delle caratteristiche di tali prodotti o servizi, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, salvo che esista uno scarto percettibile tra il neologismo o il termine e la semplice somma degli elementi che lo compongono. Ciò presuppone che, a causa del carattere insolito della combinazione rispetto ai detti prodotti o servizi, il neologismo o il termine crei un’impressione sufficientemente diversa da quella prodotta dalla semplice unione delle indicazioni fornite dagli elementi che lo compongono, in modo tale da prevalere sulla somma di questi ultimi. A tale proposito, l’analisi del termine in questione alla luce delle regole lessicali e grammaticali appropriate è altresì pertinente (v. sentenza PAPERLAB, cit., punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

30      È importante altresì ricordare che la valutazione del carattere distintivo di un segno può essere effettuata soltanto, da una parte, in relazione alla percezione da parte del pubblico cui ci si rivolge e, dall’altra, in relazione ai prodotti o ai servizi interessati (v. sentenza MunichFinancialServices, cit., punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

31      Nella fattispecie, i prodotti per cui è stata chiesta la registrazione sono «carne, pollame (carne); selvaggina; estratti di carne; piatti cucinati conservati a base di carne e/o di ortaggi, carne conservata; salami; salsicce; prodotti di salumeria; affumicati; prosciutto; lardo; rillettes», rientranti nella classe 29, e «pasticci di carne; paste (pasticceria)», rientranti nella classe 30.

32      Quanto al pubblico rispetto al quale va valutato l’impedimento assoluto alla registrazione di cui trattasi, esso è costituito dal consumatore medio anglofono, così come indicato dalla commissione di ricorso al punto 10 della decisione impugnata, senza che ciò sia contestato dalla ricorrente. Infatti, da un lato, i prodotti oggetto della domanda di marchio, che si rivolgono sia ai professionisti del settore sia ai consumatori finali, sono destinati al consumo generale e, dall’altro, il segno in esame è composto da termini tratti dalla lingua inglese.

33      Pertanto, occorre esaminare se, dal punto di vista di tale pubblico, esista una relazione sufficientemente diretta e concreta tra il segno EUROPIG e i prodotti per i quali è stata richiesta la registrazione.

34      A tale proposito si deve necessariamente constatare, così come ha rilevato a giusto titolo la commissione di ricorso, che il segno EUROPIG consiste nella combinazione dell’abbreviazione «euro», che rimanda in uno dei suoi significati potenziali all’aggettivo «europeo», con il termine «pig», che designa il maiale. Questo segno è quindi composto esclusivamente da indicazioni che possono servire per designare determinate caratteristiche dei prodotti di cui trattasi. Associato a questi ultimi, tale segno potrà infatti essere percepito dal pubblico interessato come l’indicazione del fatto che si tratta di prodotti prelevati da maiali e di provenienza europea. Questa conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che, come afferma la ricorrente, gli elementi «euro» e «pig» possano avere altri significati.

35      Inoltre, il neologismo «europig» non presenta una struttura insolita, ma corrente alla luce delle regole lessicali della lingua inglese. Il marchio richiesto non crea dunque, presso il pubblico destinatario, un’impressione sufficientemente diversa da quella prodotta dalla semplice giustapposizione degli elementi denominativi che lo compongono in modo tale da modificarne il senso o la portata.

36      Ne consegue che, considerato nel suo insieme, il segno EUROPIG presenta un rapporto sufficientemente diretto e concreto con i prodotti contemplati nella domanda di registrazione.

37      Nessuno degli argomenti sollevati dalla ricorrente è di natura tale da rimettere in discussione tale conclusione.

38      Innanzitutto, deve essere rigettato l’argomento secondo il quale la carne di maiale è designata, in inglese, dalla parola «pork» e non dal termine «pig», dal momento che la specie animale da cui proviene la carne di maiale è ben designata da quest’ultimo vocabolo e che l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 qualifica come descrittive le indicazioni relative alle caratteristiche del prodotto, quali la materia prima dalla quale è ricavato.

39      È inoltre ininfluente l’argomento secondo cui il termine «euro» non potrebbe essere inteso come un’indicazione dell’origine geografica dei prodotti, in considerazione dell’apposizione sugli imballaggi della menzione «porc français». Nell’addurre questo argomento, la ricorrente si riferisce alle condizioni in cui intende commercializzare i suoi prodotti. Orbene, il carattere descrittivo di un segno, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, deve essere valutato individualmente in relazione ad ogni categoria di prodotti e/o di servizi indicati nella domanda di registrazione. Conseguentemente, è irrilevante, ai fini della valutazione del carattere descrittivo di un segno in relazione a una categoria determinata di prodotti o servizi, stabilire se il richiedente del marchio in questione persegua o intenda attuare un determinato piano di commercializzazione [v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑355/00, DaimlerChrysler/UAMI (TELE AID), Racc. pag. II‑1939, punto 42; causa T‑356/00, DaimlerChrysler/UAMI (CARCARD), Racc. pag. II‑1963, punto 46, e causa T‑358/00, DaimlerChrysler/UAMI (TRUCKCARD), Racc. pag. II‑1993, punto 47].

40      Per quanto riguarda, poi, l’argomento della ricorrente secondo cui l’UAMI avrebbe accettato di registrare, da un lato, vari marchi contenenti l’elemento denominativo «euro» e, dall’altro, il marchio figurativo «Europig», è sufficiente rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, le decisioni che le commissioni di ricorso devono adottare, in forza del regolamento n. 40/94, relativamente alla registrazione di un segno come marchio comunitario rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso deve essere valutata unicamente in base a detto regolamento, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi decisionale di queste ultime [sentenza della Corte 15 settembre 2005, causa C‑37/03 P, BioID/UAMI, Racc. pag. I‑7975, punto 47, e sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑36/01, Glaverbel/UAMI (Superficie di una lastra di vetro), Racc. pag. II‑3887, punto 35].

41      Ad ogni modo, sembra che le registrazioni citate dalla ricorrente riguardino marchi figurativi, circostanza di natura tale da modificare la valutazione della registrabilità di un segno. In effetti, l’esistenza di un elemento figurativo aggiuntivo può modificare la percezione del marchio preso nel suo insieme.

42      Per quanto riguarda, infine, l’argomento relativo alla registrazione, da un lato, del marchio EUROPIG nel Regno Unito e, dall’altro, del marchio EUROVEAU in Francia, è sufficiente ricordare che il regime dei marchi rappresenta un sistema autonomo, costituito da un complesso di norme e finalizzato ad obiettivi specifici e la cui applicazione resta indipendente da ogni sistema nazionale [sentenza del Tribunale 5 dicembre 2000, causa T‑32/00, Messe München/UAMI (electronica), Racc. pag. II‑3829, punto 47]. Di conseguenza, la registrabilità di un segno come marchio comunitario deve essere valutata solo sulla base della normativa pertinente. L’UAMI e, se del caso, il giudice comunitario non sono quindi vincolati, anche se possono prenderle in considerazione, da decisioni intervenute a livello di Stati membri, in particolare da decisioni che riconoscano la registrabilità di detto segno. Ciò vale anche nel caso in cui dette decisioni siano state adottate in applicazione di una legislazione nazionale armonizzata in forza della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), o ancora in un paese appartenente all’area linguistica nella quale trae origine il segno denominativo controverso [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 16 marzo 2006, causa T‑322/03, Telefon & Buch/UAMI – Herold Business Data (WEISSE SEITEN), Racc. pag. II‑835, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].

43      Da quanto sopra esposto risulta che il primo motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 deve essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94

44      Secondo la ricorrente, il marchio richiesto presenta un carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Infatti, non solo la denominazione «europig» non sarebbe usuale nel settore della conservazione della carne, ma nessun concorrente della ricorrente utilizzerebbe tale denominazione per designare prodotti identici o analoghi a quelli indicati nella domanda di marchio.

45      In proposito, il Tribunale rammenta che dalla formulazione dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94 risulta molto chiaramente che è sufficiente che sia applicabile uno degli impedimenti assoluti elencati in questa disposizione affinché il segno di cui trattasi non possa essere registrato come marchio comunitario (sentenza della Corte 19 settembre 2002, causa C‑104/00 P, DKV/UAMI, Racc. pag. I‑7561, punto 29).

46      Pertanto, nel caso di specie non occorre esaminare il presente motivo, essendo stato respinto il primo motivo.

47      Del resto, secondo una costante giurisprudenza, un marchio denominativo che sia descrittivo delle caratteristiche di determinati prodotti o servizi ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 è, per ciò stesso, necessariamente privo di carattere distintivo in relazione agli stessi prodotti o servizi, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento [v. sentenza del Tribunale 12 gennaio 2005, cause da T‑367/02 a T‑369/02, Wieland-Werke/UAMI (SnTEM, SnPUR, SnMIX), Racc. pag. II‑47, punto 47 e giurisprudenza ivi citata].

48      In tali circostanze, il secondo motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, non può, in ogni caso, essere accolto.

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

49      La ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto deciso dalla commissione di ricorso, il marchio richiesto ha assunto carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto, conformemente all’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

50      Tale uso sarebbe attestato dai documenti che essa ha presentato nel corso del procedimento davanti all’UAMI. Il fatto che il marchio menzionato in questi documenti sia, contrariamente al marchio richiesto, di natura figurativa non sarebbe determinante, dal momento che la denominazione «europig» è utilizzata oralmente in commercio, ciò che gli ha fatto acquisire un carattere distintivo autonomo rispetto alla sua rappresentazione grafica.

51      L’UAMI sostiene che un marchio può essere registrato ai sensi di tale disposizione soltanto a determinate condizioni. Infatti, l’acquisizione da parte di un marchio di un carattere distintivo in seguito all’uso richiederebbe che una quota significativa del pubblico possa identificare, grazie a quel marchio, i prodotti come provenienti da un’impresa determinata. Tale carattere distintivo dovrebbe inoltre essere dimostrato nella parte sostanziale dalla Comunità dove detto marchio ne era privo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), c) e d), del regolamento n. 40/94.

52      Orbene, i documenti prodotti dalla ricorrente non avrebbero consentito di concludere che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso. Questi documenti, in primo luogo, sarebbero privi di data o posteriori alla domanda di registrazione, in secondo luogo, riguarderebbero vendite di prodotti in zone geografiche dove l’inglese non è la lingua ufficiale e, in terzo luogo, si riferirebbero unicamente a un segno figurativo diverso dal marchio richiesto o a una denominazione sociale. In ogni caso, tali documenti, che non permettono di stabilire la parte di mercato dei prodotti venduti sotto questo marchio, non proverebbero che il pubblico anglofono percepirà il segno come un indicatore di origine.

 Giudizio del Tribunale

53      Ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, gli impedimenti assoluti alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del suddetto regolamento non impediscono la registrazione di un marchio se quest’ultimo ha acquisito, per i prodotti e servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto.

54      Si deduce da tale disposizione che segni o marchi possono acquisire carattere distintivo con l’uso sebbene privi di carattere distintivo intrinseco.

55      Dalla giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art. 3, n. 3, della direttiva 89/104, il cui contenuto normativo è, nella sostanza, identico a quello dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, risulta che, ai fini dell’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso del marchio, è necessario che quanto meno una frazione significativa del pubblico destinatario identifichi, grazie al marchio, i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa. Tuttavia, le circostanze in cui il requisito dell’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso possa essere considerato soddisfatto non possono essere dimostrate soltanto sulla base di dati generali e astratti, come ad esempio determinate percentuali [v., in tal senso, sentenze della Corte Windsurfing Chiemsee, cit., punto 52, e 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips, Racc. pag. I‑5475, punti 61 e 62; v. altresì, relativamente al regolamento n. 40/94, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, causa T‑399/02, Eurocermex/UAMI (Forma di una bottiglia di birra), Racc. pag. II‑1391, punto 42].

56      Secondo una giurisprudenza constante, ai fini della valutazione dell’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso, occorre tener conto di fattori come, fra l’altro, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo e la percentuale degli ambienti interessati che identifica, grazie al marchio, il prodotto come proveniente da una determinata impresa. Mezzi di prova adeguati in proposito sono, in particolare, le dichiarazioni delle camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali (sentenza Forma di una bottiglia di birra, cit., punto 44; v. altresì, in tal senso e per analogia, sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punto 51, e Philips, cit., punto 60).

57      È in considerazione di tali fattori che occorre esaminare se, nella fattispecie, la commissione di ricorso abbia violato l’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 ritenendo che il marchio richiesto non potesse essere registrato ai sensi di tale disposizione.

58      A tale proposito si deve necessariamente constatare che i documenti complessivamente presentati dalla ricorrente, che essenzialmente consistono in fatture e opuscoli commerciali, sono privi di data oppure posteriori alla data della domanda di registrazione del marchio EUROPIG, ossia il 4 marzo 2004. Inoltre, detti documenti, riguardanti vendite effettuate in zone non anglofone, non consentono di concludere che almeno una parte significativa del pubblico destinatario identifichi, grazie al marchio richiesto, i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa.

59      Quindi, è a buon diritto che la commissione di ricorso ha concluso che i documenti presentati dalla ricorrente erano insufficienti a provare l’acquisizione di un carattere distintivo da parte del marchio richiesto.

60      Da quanto sopra esposto risulta che anche il motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 dev’essere respinto.

61      Conseguentemente, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

62      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Legal

Vadapalas

Wahl

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 giugno 2007.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       H. Legal


* Lingua processuale: il francese.