Language of document : ECLI:EU:T:2010:418

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

30 settembre 2010 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani – Regolamento (CE) n. 881/2002 – Congelamento dei capitali e delle risorse economiche di una persona a seguito della sua inclusione in un elenco redatto da un organismo delle Nazioni Unite – Comitato per le sanzioni – Conseguente inclusione nell’allegato I del regolamento (CE) n. 881/2002 – Ricorso di annullamento – Diritti fondamentali – Diritto al contraddittorio, diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo e diritto al rispetto della proprietà»

Nella causa T‑85/09,

Yassin Abdullah Kadi, residente in Gedda (Arabia Saudita), rappresentato dal sig. D. Anderson, QC, dalla sig.na M. Lester, barrister, e dal sig. G. Martin, solicitor,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dai sigg. P. Hetsch, P. Aalto e F. Hoffmeister, successivamente dai sigg. Hetsch, Hoffmeister e E. Paasivirta, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. M. Bishop, dalla sig.ra E. Finnegan e dal sig. R. Szostak, in qualità di agenti,

da:

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. G. de Bergues e L. Butel, in qualità di agenti,

e da:

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalle sig.re S. Behzadi-Spencer e E. Jenkinson, in qualità di agenti, assistite dal sig. D. Beard, barrister,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda d’annullamento del regolamento (CE) della Commissione 28 novembre 2008, n. 1190, recante centunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani (GU L 322, pag. 25), nei limiti in cui tale atto riguarda il ricorrente,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto dai sigg. N.J. Forwood (relatore), presidente, E. Moavero Milanesi e J. Schwarcz, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo e fatti

1        Per un’esposizione dettagliata degli antecedenti della controversia, nonché del contesto normativo ad essi applicabile, si rinvia ai punti 3‑45 della sentenza della Corte 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑6351; in prosieguo: la «sentenza Kadi della Corte»), pronunciata su impugnazione avverso la sentenza del Tribunale 21 settembre 2005, causa T‑315/01, Kadi/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑3649; in prosieguo: la «sentenza Kadi del Tribunale»), pronunciatasi sul ricorso d’annullamento proposto dal ricorrente, sig. Yassin Abdullah Kadi, avverso il regolamento (CE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU L 139, pag. 9), nei limiti in cui tale atto lo riguardava.

2        Ai fini della presente sentenza, il contesto normativo e gli antecedenti della controversia si possono sintetizzare come segue.

 Carta delle Nazioni Unite e Trattato CE

3        La Carta delle Nazioni Unite è stata sottoscritta a San Francisco (Stati Uniti) il 26 giugno 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale. Il suo preambolo afferma la decisione dei popoli delle Nazioni Unite di salvare le future generazioni dal flagello della guerra, di proclamare la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo e di creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti. Ai sensi del suo art. 1, le Nazioni Unite hanno segnatamente lo scopo di mantenere la pace e la sicurezza internazionali e a tal fine di adottare efficaci misure collettive allo scopo di prevenire e rimuovere le minacce alla pace, ma anche di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

4        Ai sensi dell’art. 24, n. 1, della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza») si è visto attribuire la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Ai sensi dell’art. 25 di tale Carta, i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) convengono di accettare e di applicare le decisioni del Consiglio di sicurezza in conformità a tale Carta.

5        Il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite definisce le azioni da intraprendere in caso di minaccia alla pace, di violazione della pace e di atto d’aggressione. L’art. 39, che introduce tale capitolo, dispone che il Consiglio di sicurezza accerti l’esistenza di una minaccia di tal genere e faccia raccomandazioni o decida quali misure debbano essere prese in conformità agli artt. 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. Ai sensi dell’art. 41 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure.

6        In forza dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali sono eseguite dai membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano membri.

7        Secondo l’art. 103 della Carta stessa, in caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai membri delle Nazioni Unite in virtù della Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla Carta stessa.

8        Ai sensi del primo comma dell’articolo 307 CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 351 TFUE), «[l]e disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».

9        Ai sensi dell’art. 297 CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 347 TFUE), «[g]li Stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato comune abbia a risentire delle misure che uno Stato membro può essere indotto a prendere (…) per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale».

 Azioni del Consiglio di sicurezza contro il terrorismo internazionale

10      Sin dalla fine degli anni ‘90, e più ancora dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, a Washington e in Pennsylvania (Stati Uniti), il Consiglio di sicurezza ha fatto uso dei propri poteri in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, allo scopo di combattere con tutti i mezzi, nel rispetto di tale Carta e del diritto internazionale, le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli atti terroristici.

11      In questo contesto, il 15 ottobre 1999, in risposta agli attentati contro le ambasciate americane di Nairobi (Kenya) e di Dar Es Salaam (Tanzania), il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1267 (1999), il cui paragrafo 4, lett. b), prescrive a tutti gli Stati, segnatamente, di congelare i capitali e le altre risorse economiche dei Talebani d’Afghanistan, in ragione del loro sostegno ad Osama bin Laden. 

12      Al paragrafo 6 della stessa risoluzione il Consiglio di sicurezza ha deciso di istituire un comitato del Consiglio di sicurezza (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni», comunemente denominato anche «comitato 1267»), composto di tutti i suoi membri, incaricato specificamente di vegliare sull’attuazione, da parte degli Stati, delle misure imposte dal paragrafo 4 di detta risoluzione.

13      La risoluzione del Consiglio di sicurezza 19 dicembre 2000, 1333 (2000), ha considerevolmente ampliato e rinforzato tale regime di misure restrittive, originariamente diretto solo contro i Talebani. Perciò, il paragrafo 8, lett. c), della risoluzione stessa dispone in particolare che tutti gli Stati debbano congelare senza indugio i capitali e le altre risorse finanziarie di Osama bin Laden e delle persone ed entità a lui associate, quali definite dal comitato per le sanzioni, e provvedere affinché nessun capitale o altra risorsa finanziaria siano messi a disposizione o utilizzati a beneficio di Osama bin Laden o dei suoi associati, compresa l’organizzazione Al-Qaeda.

14      La risoluzione 1333 (2000) è stata seguita da una serie di altre risoluzioni del Consiglio di sicurezza che hanno modificato, rafforzato e aggiornato il regime delle misure restrittive riguardanti Osama bin Laden, l’organizzazione Al‑Qaeda, i Talebani e le persone, gruppi, imprese ed entità ad essi associati. Si tratta in particolare delle risoluzioni 16 gennaio 2002, 1390 (2002), 17 gennaio 2003, 1455 (2003), 30 gennaio 2004, 1526 (2004), 29 luglio 2005, 1617 (2005), 22 dicembre 2006, 1735 (2006), 30 giugno 2008, 1822 (2008) e 17 dicembre 2009, 1904 (2009). Adottate tutte sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, tali risoluzioni obbligano segnatamente tutti gli Stati membri dell’ONU a congelare i capitali e le altre risorse economiche di qualsiasi persona o entità associata ad Osama bin Laden, ad Al-Quaeda o ai Talebani che sia stata designata dal comitato per le sanzioni.

15      Oltre alla sorveglianza quanto all’applicazione di tali misure restrittive ad opera degli Stati, il comitato per le sanzioni aggiorna un elenco del comitato per le sanzioni (in prosieguo: l’«elenco del comitato per le sanzioni») delle persone e delle entità i cui capitali ed altre risorse economiche devono essere congelati in base alle risoluzioni citate del Consiglio di sicurezza. Gli Stati possono chiedere al comitato per le sanzioni di aggiungere nomi a tale elenco. Il comitato per le sanzioni esamina altresì le domande di radiazione di nomi da tale elenco nonché le domande di deroga al congelamento dei capitali presentate ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1452 (2002). Le procedure da attuarsi a tali fini sono attualmente definite, per un verso, dalle risoluzioni 1735 (2006), 1822 (2008) e 1904 (2009) e, per altro verso, dalle direttive che disciplinano lo svolgimento dei lavori del comitato per le sanzioni, elaborate da quest’ultimo.

16      Secondo il paragrafo 5 della risoluzione 1735 (2006), nel proporre al comitato per le sanzioni di inserire taluni nomi nel suo elenco, gli Stati devono fornire un’esposizione dei motivi, dal momento che la corrispondente memoria deve contenere un’esposizione quanto più dettagliata possibile dei motivi della domanda di iscrizione, ivi compresi: i) tutti gli elementi che consentano di dimostrare con precisione che l’individuo o l’entità soddisfano i criteri ivi indicati; ii) la natura degli elementi di informazione, e iii) qualsiasi elemento di informazione o documento giustificativo che sia possibile fornire. Secondo il paragrafo 6 di questa stessa risoluzione gli Stati, nel presentare una domanda di iscrizione, devono precisare gli elementi della memoria divulgabili ai fini della notifica all’individuo o all’entità il cui nome è indicato nell’elenco del comitato per le sanzioni, e quali siano divulgabili agli Stati che ne facciano richiesta.

17      Nell’ambito dell’impegno assunto per garantire lo svolgimento di procedimenti equi e trasparenti per l’iscrizione di individui e di entità nell’elenco del comitato per le sanzioni e per la loro radiazione dallo stesso, nonché per la concessione di esenzioni per ragioni umanitarie, il Consiglio di sicurezza ha peraltro ha adottato, il 19 dicembre 2006, la risoluzione 1730 (2006), con cui ha chiesto al segretario generale dell’ONU di creare presso il servizio del segretariato degli organi sussidiari del Consiglio di sicurezza un punto focale incaricato di ricevere le domande di radiazione e di svolgere i compiti descritti nell’allegato di tale risoluzione (in prosieguo: il «punto focale»). Coloro che desiderino presentare una domanda di radiazione possono ora farlo attraverso il punto focale, secondo il procedimento descritto nella risoluzione 1730 (2006) e nel relativo allegato, ovvero attraverso il loro Stato di residenza o di nazionalità. Con lettera (S/2007/178), datata 30 marzo 2007, il segretario generale dell’ONU ha fatto sapere al presidente del Consiglio di sicurezza che era stato creato il punto focale per le domande di radiazione.

18      Nel preambolo della risoluzione 1822 (2008), che era la risoluzione rilevante alla data d’adozione dell’atto impugnato con il presente ricorso, il Consiglio di sicurezza riafferma che il terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni, rappresenta una delle minacce più gravi alla pace e alla sicurezza, ribadisce la sua condanna alla rete Al‑Quaeda, ad Osama bin Laden, ai Talebani e alle altre persone, gruppi, imprese ed entità ad essi associati, insiste sul fatto che il terrorismo può essere vinto solo grazie all’adozione di una strategia condivisa e globale, basata sulla partecipazione e sulla collaborazione attiva di tutti gli Stati e degli organismi internazionali e regionali, sottolinea la necessità di un’attuazione rigorosa delle misure restrittive di cui al paragrafo 1 di tale risoluzione, ma prende atto altresì delle difficoltà a cui si deve confrontare l’attuazione di tali misure, riconoscendo gli sforzi attuati dagli Stati membri e dal comitato per le sanzioni allo scopo di garantire che siano attuate procedure eque e trasparenti per l’iscrizione degli interessati nell’elenco del comitato per le sanzioni e per la loro radiazione da tale elenco, felicitandosi inoltre per la creazione del punto focale. Questo stesso preambolo riafferma che le misure in questione hanno carattere preventivo e sono indipendenti dalle regole penali di diritto interno.

19      Il paragrafo 1 della risoluzione 1822 (2008) prevede il mantenimento delle misure restrittive già risultanti dalle precedenti risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002). Al paragrafo 8 di tale risoluzione si riafferma l’obbligo per tutti gli Stati di attuare e di far rispettare le misure di cui al paragrafo 1, mentre si chiede a tutti gli Stati di intensificare gli sforzi in tal senso. I paragrafi 9-18, 19-23 e 24-26 di questa stessa risoluzione riguardano, rispettivamente, le procedure di iscrizione nell’elenco del comitato per le sanzioni, di radiazione da tale elenco e di revisione nonché di aggiornamento dell’elenco stesso.

20      Quanto alla procedura d’iscrizione, al paragrafo 12 della risoluzione 1822 (2008) il Consiglio di sicurezza ribadisce che gli Stati, nel proporre al comitato per le sanzioni di inserire taluni nomi nel suo elenco, devono conformarsi al paragrafo 5 della risoluzione 1735 (2006) e fornire un’esposizione dettagliata dei motivi, e decide inoltre che gli Stati debbano precisare, per ciascuna domanda di iscrizione, quali elementi della corrispondente memoria siano divulgabili, segnatamente affinché il comitato per le sanzioni possa elaborare la sintesi descritta al paragrafo 13 o affinché la persona o l’entità il cui nome è inserito nell’elenco sia avvisata o informata. Il paragrafo 13 di tale risoluzione prevede segnatamente, per un verso, che il comitato per le sanzioni, nell’aggiungere un nome al proprio elenco, pubblichi sul suo sito Web, coordinandosi con gli Stati che hanno presentato la corrispondente domanda di iscrizione, una «sintesi dei motivi dell’iscrizione», e, per altro verso, che tale comitato si impegni a pubblicare sul suo sito Web, coordinandosi con gli Stati che hanno presentato le domande di iscrizione corrispondenti, le «sintesi dei motivi che hanno dato origine alle iscrizioni» dei nomi nell’elenco stesso prima dell’adozione della risoluzione stessa. Al suo paragrafo 17 si prevede che gli Stati interessati assumano ogni provvedimento possibile, in conformità alle loro leggi e prassi interne, per avvisare o informare in tempo utile la persona o l’entità interessata riguardo all’iscrizione del suo nome nell’elenco del comitato per le sanzioni e per allegare a tale avviso una copia della parte divulgabile della memoria, informazioni sui motivi dell’iscrizione contenute sul sito Web del comitato per le sanzioni, una descrizione degli effetti dell’iscrizione quali risultanti dalle risoluzioni pertinenti, le modalità di esame, da parte del comitato per le sanzioni, delle domande di radiazione dall’elenco stesso e le possibilità di deroga.

21      Per quanto riguarda la procedura di radiazione, al paragrafo 19 della risoluzione 1822 (2008) si rammenta che le persone, i gruppi, le imprese e le entità iscritti nell’elenco del comitato per le sanzioni hanno la possibilità di presentare una domanda di radiazione direttamente al punto focale. Ai sensi del paragrafo 21 di tale risoluzione il comitato per le sanzioni è incaricato di esaminare, in conformità alle proprie direttive, le domande di radiazione dal proprio elenco del nome di membri di Al‑Quaeda, di Osama bin Laden o dei Talebani che non soddisfino più i criteri stabiliti nelle risoluzioni pertinenti.

22      Il preambolo della risoluzione 1904 (2009) sottolinea che le sanzioni rappresentano uno strumento importante previsto dalla Carta delle Nazioni Unite per il mantenimento e la reinstaurazione della pace e della sicurezza internazionali, nonché la necessità di una rigorosa attuazione delle misure cui al paragrafo 1 di tale risoluzione. Si precisa ivi che il Consiglio di sicurezza prende atto delle difficoltà di ordine giuridico e di altro ordine con cui si confronta l’attuazione delle misure assunte dagli Stati in conformità a tale paragrafo 1, si congratula dei miglioramenti apportati alle procedure del comitato per le sanzioni ed esprime l’intenzione di continuare a operare per renderle eque e trasparenti.

23      Il paragrafo 1 della risoluzione 1904 (2009) prevede il mantenimento delle misure restrittive già risultanti dalle precedenti risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002). I paragrafi 8‑19, 20‑27 e 28‑32 di tale risoluzione riguardano, rispettivamente, le procedure d’iscrizione nell’elenco del comitato per le sanzioni, di radiazione da tale elenco e di revisione nonché di aggiornamento dell’elenco stesso.

24      Per quanto concerne la procedura d’iscrizione, al paragrafo 11 della risoluzione 1904 (2009) il Consiglio di sicurezza ribadisce che gli Stati, nel proporre al comitato per le sanzioni di inserire taluni nomi nel suo elenco, devono conformarsi al paragrafo 5 della risoluzione 1735 (2006) e al paragrafo 12 della risoluzione 1822 (2008) e fornire un’esposizione dettagliata dei motivi, e afferma che l’esposizione dei motivi potrà essere divulgata, su richiesta, fatti salvi gli elementi che lo Stato membro dovesse considerare riservati, e potrebbe servire alla redazione della sintesi dei motivi d’iscrizione nell’elenco di cui al paragrafo 14.

25      Per quanto riguarda la procedura di radiazione, come precisato al paragrafo 20 della risoluzione 1904 (2009), il Consiglio di sicurezza decide che, nell’esaminare le domande di radiazione dall’elenco del comitato per le sanzioni, esso sarà assistito da un «ufficio del mediatore», che sarà creato per un periodo iniziale di 18 mesi a partire dalla data d’adozione della risoluzione stessa, prega il segretario generale dell’ONU, in stretta consultazione con il comitato per le sanzioni, di designare un’eminente personalità che goda di alta considerazione morale, nota per la propria imparzialità e integrità ed avente le più elevate qualifiche e l’esperienza richieste nei settori rilevanti (diritto, diritti dell’uomo, lotta antiterrorista, sanzioni, ecc.) per esercitare le funzioni di mediatore, il cui mandato è definito all’allegato II della risoluzione medesima, e stabilisce inoltre che il mediatore eserciterà le proprie funzioni in piena indipendenza e imparzialità e non solleciterà né riceverà istruzioni da parte di alcun governo. Come precisato al paragrafo 21 della risoluzione in parola, il Consiglio di sicurezza decide che, dopo la designazione del mediatore, l’ufficio del mediatore riceverà le domande delle persone e delle entità che desiderino essere radiate dall’elenco del comitato per le sanzioni, in conformità alle modalità definite all’allegato II della risoluzione di cui trattasi, e che, dopo la designazione del mediatore, il meccanismo del punto focale non riceverà più siffatte domande. Al paragrafo 22 di questa stessa risoluzione si dispone che il comitato per le sanzioni è incaricato di continuare ad esaminare, conformemente alle proprie direttive, le domande di radiazione. Al paragrafo 25 di tale risoluzione il Consiglio di sicurezza incita il comitato per le sanzioni a tenere debitamente in considerazione, nell’esaminare le domande di radiazione, il parere degli Stati che si pongono all’origine delle iscrizioni e degli Stati di residenza, di nazionalità o di costituzione e chiede ai membri del comitato per le sanzioni di fare quanto possibile per motivare ogni obiezione alle citate domande di radiazione.

26      L’allegato II della risoluzione 1904 (2009) definisce i compiti che il mediatore è chiamato a svolgere, in conformità al paragrafo 20 di questa stessa risoluzione, quando riceve una domanda di radiazione. Questi si suddividono in una fase di raccolta di informazioni presso gli Stati interessati e in una fase di concertazione, nel corso della quale può essere avviato il dialogo con il ricorrente. All’esito di queste due fasi il mediatore redige e comunica una «relazione unitaria» al comitato per le sanzioni. Esso esamina, a questo punto, la domanda di radiazione con la collaborazione del mediatore e decide, all’esito di tale esame, se approvare o meno la domanda di radiazione.

27      Il 7 giugno 2010 il portavoce del segretario generale dell’ONU ha annunciato la nomina, da parte di quest’ultimo, della sig.ra Kimberly Prost, giudice canadese ad litem presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, come mediatrice.

28      Poiché gli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in seno al Consiglio, hanno ritenuto, in varie posizioni comuni adottate a titolo della politica estera e di sicurezza comune (PESC), che era necessaria un’azione della Comunità europea per attuare le citate risoluzioni del Consiglio di sicurezza, il Consiglio ha successivamente adottato, segnatamente, il regolamento (CE) 14 febbraio 2000, n. 337, relativo al divieto dei voli e al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Taliban dell’Afghanistan (GU L 43, pag. 1), il regolamento (CE) 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei [T]alibani dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1), ed il regolamento n. 881/2002.

29      Questi due ultimi regolamenti prescrivono, segnatamente, il congelamento dei capitali e delle altre risorse economiche delle persone, dei gruppi e delle entità designate dal comitato per le sanzioni ed individuate nel loro allegato I. La Commissione europea è legittimata a modificare o ad integrare tale allegato I sulla base delle decisioni del Consiglio di sicurezza o del comitato per le sanzioni. La procedura da attuare a tal fine è stata rivista, a seguito della sentenza Kadi della Corte, mediante il regolamento (UE) del Consiglio 22 dicembre 2009, n. 1286, che modifica il regolamento n. 881/2002 (GU L 346, pag. 42).

30      Il 17 ottobre 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un addendum al proprio elenco, che comprendeva in particolare il nome del ricorrente, identificato come persona associata ad Osama bin Laden.

31      Con regolamento (CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il regolamento n. 467/2001 (GU L 277, pag. 25), il nome del ricorrente è stato aggiunto, unitamente ad altri, nell’allegato I del citato regolamento. Il nome del ricorrente è stato in seguito iscritto nell’allegato I del regolamento n. 881/2002, in occasione dell’adozione dello stesso.

32      Parallelamente al regime di sanzioni sopra descritto, riguardante solo le persone e le entità nominativamente designate dal comitato per le sanzioni come legate ad Osama bin Laden, all’organizzazione Al‑Quaeda e ai Talebani, vi è un regime più ampio di sanzioni previsto dalla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza 28 settembre 2001, che stabilisce strategie dirette alla lotta con tutti i mezzi contro il terrorismo e, in particolare, contro il suo finanziamento, adottata anch’essa in risposta agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

33      Il paragrafo 1, lettera c), di tale risoluzione dispone, segnatamente, che gli Stati congelino senza indugio i capitali e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità appartenenti a tali persone o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone o entità. L’individuazione di tali persone o entità è tuttavia lasciata alla piena discrezionalità degli Stati.

34      Considerando necessaria un’azione della Comunità ai fini dell’attuazione di tale risoluzione del Consiglio di sicurezza, il Consiglio ha segnatamente adottato, per un verso, la posizione comune 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 93), e, per altro verso, il regolamento (CE) 27 dicembre 2001, n. 2580, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 70, rettifica in GU 2010, L 52, pag. 58).

35      Tali atti prescrivono, segnatamente, il congelamento dei capitali e delle altre risorse economiche delle persone, dei gruppi e delle entità implicati in atti terroristici, come individuati dal Consiglio stesso e indicati in un elenco allegato, regolarmente rivisto, sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che dimostrino che da parte di un’autorità competente, in linea di principio giudiziaria, è stata adottata una decisione nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati, sia che si tratti dell’avvio di indagini o di azioni penali per un atto di terrorismo, o per il tentativo di commetterlo, o per la partecipazione o l’agevolazione di un tale atto, basata su prove o indizi seri e credibili, sia che si tratti della condanna per tali fatti.

36      Secondo la sentenza della United Kingdom Supreme Court (Corte suprema del Regno Unito) 27 gennaio 2010, Her Majesty’s Treasury (Respondent) v Mohammed Jabar Ahmed and Others (Appellants), Her Majesty’s Treasury (Respondent) v Mohammed al-Ghabra (Appellant) and R (on the application of Hani El Sayed Sabaei Youssef) (Respondent) v Her Majesty’s Treasury (Appellant) [2010] UKSC 2 (in prosieguo: la «sentenza Ahmed e a. della UK Supreme Court», punto 22), dalle relazioni presentate dagli Stati membri dell’Unione al comitato per le sanzioni emerge che 11 dei 27 Stati membri si basano esclusivamente sul regolamento n. 881/2002 per conformarsi ai loro obblighi ai sensi della risoluzione 1333 (2000). Gli altri 16 altri Stati membri hanno inoltre adottato misure legislative aventi direttamente ad oggetto l’attuazione della risoluzione stessa nel diritto nazionale, le quali coesistono quindi con il regolamento n. 881/2002.

 Sentenze Kadi del Tribunale e della Corte

37      Il 18 dicembre 2001 il ricorrente ha investito il Tribunale di un ricorso avente ad oggetto l’annullamento dei regolamenti nn. 467/2001 e 2062/2001, nei limiti in cui tali atti lo riguardavano, in quanto, segnatamente, tali atti violavano il suo diritto al contraddittorio nonché il suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e che costituivano un pregiudizio sproporzionato al suo diritto di proprietà. L’oggetto di tale ricorso è stato successivamente modificato in modo da ricomprendere l’annullamento del regolamento n. 881/2002, nei limiti in cui esso riguardava il ricorrente.

38      Con la sua sentenza Kadi, pronunciata il 21 settembre 2005, il Tribunale ha respinto tale ricorso, stabilendo segnatamente, in sostanza, che dai principi che disciplinano l’articolazione dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario conseguiva che il regolamento n. 881/2002, in quanto volto ad attuare una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che non lascia alcun margine in proposito, non poteva essere soggetto ad un controllo giurisdizionale in ordine alla sua legittimità interna, ad eccezione della sua compatibilità con le norme pertinenti dello ius cogens, e beneficiava quindi, ferma restando detta riserva, di un’immunità giurisdizionale (v., altresì, sentenza della Corte 3 dicembre 2009, cause riunite C‑399/06 P e C‑403/06 P, Hassan e Ayadi/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑11393; in prosieguo: la «sentenza Hassan della Corte», punto 69).

39      Pertanto il Tribunale ha dichiarato, nella sua sentenza Kadi, che la legittimità del regolamento n. 881/2002, anche riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente circa la violazione dei suoi diritti fondamentali, poteva essere esaminata unicamente alla luce dello ius cogens, inteso come un ordine pubblico internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare (v., altresì, sentenza Hassan della Corte, punto 70).

40      Con la sua sentenza Kadi, pronunciata in data 3 settembre 2008, la Corte ha annullato la sentenza Kadi del Tribunale e ha annullato il regolamento n. 881/2002, nei limiti in cui esso riguardava il ricorrente.

41      Nonostante gli artt. 25 e 103 della Carta delle Nazioni Unite e gli artt. 297 CE e 307 CE, e pur avendo rilevato, al punto 293 della sua sentenza Kadi, che il rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite si imponeva anche in sede di attuazione, ad opera della Comunità, di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta stessa, la Corte ha affermato, al punto 316 della medesima sentenza, che il controllo da parte sua della validità di qualsiasi atto comunitario sotto il profilo dei diritti fondamentali deve essere considerato come l’espressione, in una comunità di diritto, di una garanzia costituzionale derivante dal Trattato CE, quale sistema giuridico autonomo, che non può essere compromessa da un accordo internazionale, vale a dire, nella fattispecie, dalla stessa Carta delle Nazioni Unite.

42      La Corte ha altresì stabilito, ai punti 326 e 327 della sua sentenza Kadi, che la tesi del Tribunale, riassunta ai precedenti punti 38 e 39, era costitutiva di un errore di diritto. Secondo la Corte, infatti, i giudici comunitari, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del Trattato CE, devono garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari che, come il regolamento n. 881/2002, mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (v., altresì, sentenza Hassan della Corte, punto 71).

43      Al punto 328 della sua sentenza Kadi la Corte ha concluso che, poiché i motivi del ricorrente risultavano, sul punto, fondati, si doveva annullare a tal proposito la sentenza Kadi del Tribunale.

44      Al punto 348 della sua sentenza Kadi la Corte ha peraltro stabilito che, poiché il Consiglio non aveva comunicato al ricorrente gli elementi assunti a suo carico per fondare le misure restrittive impostegli, né gli aveva concesso il diritto di prenderne conoscenza entro un termine ragionevole dopo l’adozione di tali misure, l’interessato non aveva avuto la possibilità di far conoscere utilmente il suo punto di vista in proposito. Pertanto, i diritti della difesa del ricorrente, in particolare quello al contraddittorio, non erano stati rispettati.

45      Inoltre, al punto 349 della sua sentenza Kadi la Corte ha stabilito che, non essendo stato informato degli elementi assunti a suo carico e tenuto conto dei rapporti, già rilevati ai punti 336 e 337 della citata sentenza, esistenti tra i diritti della difesa e il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, il ricorrente non aveva neppure potuto difendere i suoi diritti con riferimento a tali elementi in condizioni soddisfacenti dinanzi al giudice comunitario, cosicché doveva del pari rilevarsi una violazione del citato diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo.

46      Per quanto riguarda, infine, le censure del ricorrente relative alla violazione del diritto al rispetto della proprietà derivante dalle misure di congelamento imposte ai sensi del regolamento n. 881/2002, la Corte ha stabilito, al punto 366 della sua sentenza Kadi, che le misure restrittive imposte dal regolamento citato rappresentavano restrizioni al diritto di proprietà, in linea di principio, giustificabili (v., altresì, sentenza Hassan della Corte, punto 91).

47      La Corte ha tuttavia concluso, ai punti 369 e 370 di questa stessa sentenza, che, nelle circostanze della fattispecie, in cui il regolamento n. 881/2002, nella parte riguardante il ricorrente, era stato adottato senza fornire a quest’ultimo alcuna garanzia che gli consentisse di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti, e ciò in un contesto in cui la restrizione dei suoi diritti di proprietà doveva essere ritenuta considerevole, data la portata generale e la durata effettiva delle misure restrittive a suo carico, l’applicazione al medesimo delle misure stesse costituiva una restrizione ingiustificata del suo diritto di proprietà.

48      Ai sensi dell’articolo 231 CE, la Corte ha mantenuto gli effetti del regolamento n. 881/2002 per un periodo non eccedente tre mesi, in modo tale da consentire al Consiglio di rimediare alle violazioni constatate, pur tendendo debitamente conto della rilevante incidenza delle misure restrittive di cui trattasi sui diritti e sulle libertà del ricorrente. Essa ha rilevato in proposito, per un verso, che l’annullamento con effetto immediato di tale regolamento, nella parte riguardante il ricorrente, avrebbe potuto arrecare un pregiudizio grave ed irreversibile all’efficacia delle misure restrittive imposte da tale regolamento e che la Comunità era tenuta ad attuare, e, per altro verso, che non poteva escludersi che, nel merito, potesse comunque rivelarsi giustificata l’applicazione di tali misure al ricorrente (punti 373‑376 della sentenza Kadi della Corte).

 Seguito delle sentenze Kadi del Tribunale e della Corte

49      Con lettera 8 settembre 2008 il rappresentante permanente della Francia presso l’ONU, agendo a nome dell’Unione, ha chiesto al comitato per le sanzioni di rendere immediatamente disponibile sul proprio sito Web, in conformità al paragrafo 13 della risoluzione 1822 (2008), la sintesi dei motivi che avevano portato all’iscrizione del ricorrente nell’elenco di tale comitato.

50      Con lettera 21 ottobre 2008 il presidente del comitato per le sanzioni ha comunicato tale sintesi dei motivi al rappresentante permanente della Francia presso l’ONU, autorizzandone la comunicazione al ricorrente e/o ai suoi avvocati. Tale sintesi dei motivi è così formulata:

«L’individuo Yasin Abdullah Ezzedine Qadi (...) risponde ai requisiti per l’iscrizione ad opera del [comitato per le sanzioni] in ragione dei suoi atti consistenti: a) nel partecipare al finanziamento, all’organizzazione, alla facilitazione, alla preparazione o all’esecuzione di atti o di attività in associazione con la rete Al-Quaeda, Osama bin Laden o i Talebani, o qualsiasi cellula, filiale o emanazione o qualsiasi gruppo dissidente, a loro nome, per loro conto o con il loro sostegno; b) nel fornire, vendere o trasferire armamenti e materiali connessi ai medesimi; c) nel provvedere al reclutamento per conto degli stessi; d) nel sostenere, in qualsiasi altro modo, atti commessi da questi ultimi o attività cui questi si dedicano [v. risoluzione 1822 (2008) del Consiglio di sicurezza, paragrafo 2].

Il sig. Qadi ha ammesso di essere un membro fondatore della Fondazione Muwafaq e di dirigerne attività. La Fondazione Muwafaq ha sempre funzionato sotto l’egida dell’Ufficio afghano [Makhtab al-Khidamat] (QE.M.12.01.), organizzazione fondata da Abdullah Azzam e Osama bin Laden [Usama Muhammed Awad bin Laden] (QI.B.8.01.) e precursore di Al‑Quaeda (QE.A.4.01.). Dopo la dissoluzione dell’Ufficio afghano, all’inizio del giugno 2001 e dopo la sua aggregazione ad Al‑Quaeda, varie organizzazioni non governative, che vi erano in precedenza associate, in particolare la Fondazione Muwafaq, si sono anch’esse allineate ad Al‑Quaeda.

Nel 1992 Qadi ha affidato a Shafiq Ben Mohamed Ben Mohamed Al‑Ayadi (QI.A.25.01.) la direzione degli uffici europei della Fondazione Muwafaq. A metà degli anni ‘90, Al-Ayadi dirigeva inoltre l’ufficio della Fondazione Muwafaq in Bosnia-Erzegovina. Qadi ha reclutato Al-Ayadi su raccomandazione del celebre finanziatore di Al‑Quaeda, Wa’el Hamza Abd al-Fatah Julaidan (QI.J.79.02.), che ha combattuto a fianco di Osama bin Laden in Afghanistan negli anni ‘80. Al momento della sua nomina ad opera di Al‑Qadi all’incarico di direttore della Fondazione Muwafaq per l’Europa, Al‑Ayadi agiva sulla base di accordi con Osama bin Laden. Al-Ayadi si è recato in Afghanistan all’inizio degli anni ‘90 per seguire un addestramento paramilitare, quindi si è recato in Sudan, con altre persone, per incontrare Osama bin Laden, con cui essi hanno stipulato un accordo ufficiale riguardante l’accoglienza e la formazione di tunisini. Essi hanno incontrato Osama bin Laden una seconda volta e hanno ottenuto un consenso quanto al fatto che i collaboratori di bin Laden in Bosnia-Erzegovina accogliessero combattenti tunisini venuti dall’Italia.

Nel 1995 il dirigente di Al-Gama’at al Islamiyya, Talad Fuad Kassem, ha dichiarato che la Fondazione Muwafaq aveva fornito un appoggio logistico e finanziario ad un battaglione di combattenti in Bosnia-Erzegovina. A metà degli anni ‘90 la Fondazione Muwafaq ha contribuito al sostegno finanziario fornito ai fini dell’attività terroristica di tali combattenti, nonché al traffico d’armi proveniente dall’Albania e destinato alla Bosnia-Erzegovina. Una parte del finanziamento di tali attività è stato garantito da Osama bin Laden.

Qadi era inoltre uno dei principali azionisti della Depositna Banka, con sede in Sarajevo e attualmente chiusa, ove Al‑Ayadi esercitava altresì talune funzioni e rappresentava gli interessi di Qadi. In tale banca hanno forse avuto luogo riunioni dedicate alla preparazione di un attentato contro uno stabilimento americano in Arabia Saudita.

Qadi era inoltre proprietario in Albania di varie società che trasmettevano capitali ad estremisti ovvero attribuivano a questi posizioni che consentivano loro di controllare i capitali delle società in questione. Fino a cinque società appartenenti a Qadi in Albania hanno ricevuto capitali circolanti versati da bin Laden».

51      In seguito, tale sintesi dei motivi è stata inoltre pubblicata sul sito Web del comitato per le sanzioni, in conformità al paragrafo 13 della risoluzione 1822 (2008).

52      Con lettera 22 ottobre 2008 il rappresentante permanente della Francia presso l’Unione ha trasmesso questa stessa sintesi dei motivi alla Commissione, per consentire a quest’ultima di conformarsi alla sentenza Kadi della Corte.

53      Il 22 ottobre 2008 la Commissione ha inviato al ricorrente una lettera informandolo del fatto che, per i motivi precisati nella sintesi dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni e allegata a tale lettera, essa intendeva adottare un atto legislativo per mantenere la sua iscrizione nell’allegato I del regolamento n. 881/2002, ai sensi del suo art. 7, n. 1, primo trattino. La Commissione ha aggiunto che tale lettera mirava a fornire al ricorrente la possibilità di presentare le sue osservazioni in merito ai motivi precisati nella sintesi dei motivi e di fornirle ogni informazione ritenuta pertinente, prima dell’adozione della sua decisione definitiva. A tal fine gli è stato concesso un termine fino al 10 novembre 2008.

54      La sintesi dei motivi allegata alla lettera stessa (in prosieguo: la «sintesi dei motivi») è redatta in termini identici alla sintesi dei motivi comunicata dal comitato per le sanzioni (v. precedente punto 50).

55      Con lettera 10 novembre 2008 il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni in replica alla Commissione. In particolare:

–        ha chiesto alla Commissione di produrre le prove a sostegno delle affermazioni e delle asserzioni contenute nella sintesi dei motivi, nonché i documenti rilevanti del fascicolo della Commissione;

–        ha chiesto di disporre di un’altra possibilità di formulare osservazioni in merito a tali prove dopo averle ricevute;

–        ha tentato di smentire, sulla base di prove, le allegazioni formulate nella sintesi dei motivi, nei limiti in cui si riteneva in grado di replicare ad accuse di carattere generale.

56      Il 28 novembre 2008 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 1190/2008, recante centunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 (GU L 322, pag. 25; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

57      I ‘considerando’ dal terzo al sesto, ottavo e nono del preambolo del regolamento impugnato sono così formulati:

«(3)      Per conformarsi alla sentenza [Kadi della Corte] la Commissione ha trasmesso [la sintesi dei motivi] al sig. Kadi (...), offrendo [al medesimo] la possibilità di presentare osservazioni in proposito affinché possa(...) esprimere il [suo] punto di vista.

(4)      La Commissione ha ricevuto ed esaminato le osservazioni inviate dal sig. Kadi (...).

(5)      Nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche, stilato dal [comitato per le sanzioni], figura (...) il sig. Kadi (...).

(6)      Dopo un attento esame delle osservazioni fatte pervenire dal sig. Kadi con lettera datata 10 novembre 2008, e poiché il congelamento dei capitali e delle risorse economiche costituisce una misura di prevenzione, la Commissione ritiene giustificato l’inserimento del sig. Kadi nel suddetto elenco in ragione dei collegamenti di tale persona con la rete Al-Qaeda.

(...)

(8)      In considerazione di quanto sopra, occorre modificare l’allegato I aggiungendovi i nomi del sig. Kadi (…)

(9)      Dal momento che il congelamento dei capitali e delle risorse economiche a norma del regolamento (...) n. 881/2002 ha natura e obiettivi di misura di prevenzione, e tenuto conto dell’esigenza di tutelare gli interessi legittimi degli operatori economici che fanno affidamento sulla legittimità del regolamento oggetto dell’annullamento [mediante la sentenza Kadi della Corte], è necessario che il presente regolamento si applichi a decorrere dal 30 maggio 2002».

58      Ai sensi dell’art. 1 e dell’allegato del regolamento impugnato, l’allegato I del regolamento n. 881/2002 è modificato, segnatamente, nel senso che la voce seguente viene aggiunta all’elenco «Persone fisiche»:

«Yasin Abdullah Ezzedine Qadi [alias a) Kadi, Shaykh Yassin Abdullah; b) Kahdi, Yasin; c) Yasin Al-Qadi]; nato il 23.2.1955 al Cairo, Egitto; nazionalità saudita; passaporto n.: a) B 751550; b) E 976177 (rilasciato il 6.3.2004, scade l’11.1.2009); altre informazioni: Gedda, Arabia Saudita».

59      Ai sensi dell’art. 2 del regolamento impugnato, quest’ultimo entra in vigore il 3 dicembre 2008 e si applica a decorrere dal 30 maggio 2002.

60      Con lettera 8 dicembre 2008 la Commissione ha risposto alle osservazioni del ricorrente del 10 novembre 2008, precisando di aver esaminato le osservazioni stesse e di aver confrontato la sintesi dei motivi e gli argomenti dedotti in proposito dal ricorrente. Essa ha sottolineato, in particolare:

–        che, trasmettendogli la sintesi dei motivi e invitandolo a comunicarle le sue osservazioni, essa si era conformata alla sentenza Kadi della Corte;

–        che la sentenza Kadi della Corte non le imponeva la «comunicazione di prove aggiuntive» richiesta dal ricorrente;

–        che, poiché le risoluzioni rilevanti del Consiglio di sicurezza esigono un congelamento «preventivo» dei beni, il che sarebbe confermato dalla «raccomandazione speciale III sul finanziamento del terrorismo» del Gruppo di azione finanziaria internazionale sul riciclaggio dei capitali (GAFI), tale congelamento deve basarsi, per quanto riguarda il livello probatorio richiesto, su «motivi ragionevoli o un fondamento ragionevole per cui si possa sospettare che una persona o un’entità designata abbiano carattere terroristico, finanzino il terrorismo o costituiscano un’organizzazione terroristica»;

–        che essa era legittimata ad ignorare le prove fornite dal ricorrente per smentire le accuse formulate nei suoi confronti e in particolare quelle riguardanti l’abbandono dei procedimenti penali a suo carico in Svizzera, in Turchia e in Albania, in quanto tali prove rientravano «nell’ambito dei procedimenti penali», che hanno «requisiti in materia di prova diversi da quelli applicabili al [comitato per le sanzioni], che sono per natura preventivi».

61      La Commissione ha concluso la propria analisi nei termini seguenti: «[d]i conseguenza, dopo aver esaminato con cura le osservazioni da Lei formulate in una lettera datata 10 novembre 2008, la Commissione ritiene [che] la sua iscrizione nell’elenco si giustifichi in base ai suoi rapporti con la rete Al‑Quaeda [; l]’esposizione dei motivi è allegata alla presente». La Commissione ha altresì allegato il testo del regolamento impugnato, ha ricordato la possibilità di impugnare lo stesso dinanzi al Tribunale ed ha infine richiamato l’attenzione del ricorrente sul fatto che le persone, i gruppi e le entità interessati possono presentare in qualsiasi momento una domanda di radiazione al comitato per le sanzioni, precisando i dettagli dei contatti utili e l’indirizzo di un sito Web in cui il ricorrente poteva ottenere più ampie informazioni.

62      L’esposizione dei motivi allegata alla lettera della Commissione 8 dicembre 2008 è identica alla sintesi dei motivi.

 Procedimento

63      In questo contesto, con atto introduttivo registrato presso la cancelleria del Tribunale il 26 febbraio 2009 il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

64      Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale lo stesso giorno, il ricorrente ha presentato una domanda ai sensi dell’art. 76 bis del regolamento di procedura del Tribunale affinché la causa fosse decisa mediante procedimento accelerato. Sentita la Commissione, tale domanda è stata accolta con decisione del Tribunale (Settima Sezione) 20 marzo 2009.

65      La Commissione ha allegato al controricorso la lettera del rappresentante permanente della Francia presso l’Unione del 22 ottobre 2008, che accompagnava la trasmissione della sintesi dei motivi comunicata dal comitato per le sanzioni (v. punto 52 supra), che essa presenta come la totalità dei documenti da essa ricevuti dalle Nazioni Unite e su cui si fonda il regolamento impugnato.

66      Con ordinanze 5 maggio e 3 luglio 2009, sentite le parti, il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento, da un lato, del Consiglio dell’Unione europea e, dall’altro, della Repubblica francese e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno delle conclusioni della Commissione.

67      Con atto depositato presso la cancelleria il 18 novembre 2009 la Commissione ha depositato un documento riguardante un procedimento pendente tra il ricorrente e le autorità americane dinanzi alla United States District Court for the District of Columbia (Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto di Columbia). Il ricorrente e il Consiglio hanno presentato le proprie osservazioni scritte in merito a tale documento il 10 dicembre 2009.

68      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Settima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale.

69      Con lettera 10 giugno 2010 il ricorrente ha prodotto una copia della sentenza Ahmed e a. della UK Supreme Court.

70      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 17 giugno 2010. In tale occasione, il ricorrente ha prodotto il «nono rapporto del gruppo di sostegno analitico e di sorveglianza delle sanzioni, istituito in applicazione della risoluzione 1526 (2004)», allo scopo di coadiuvare il comitato per le sanzioni a svolgere il proprio mandato, come era stato trasmesso al presidente del Consiglio di sicurezza dal presidente del comitato per le sanzioni, unitamente ad una lettera datata 11 maggio 2009 (documento S/2009/245; in prosieguo: il «nono rapporto del gruppo di sorveglianza»).

 Conclusioni delle parti

71      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        adottare una misura di organizzazione del procedimento ai sensi dell’art. 64 del suo regolamento di procedura, volta ad ottenere dalla Commissione la divulgazione di «tutti i documenti relativi all’adozione» del regolamento impugnato;

–        annullare il regolamento impugnato nei limiti in cui esso lo riguarda;

–        condannare la Commissione alle spese.

72      La Commissione conclude che Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

73      La Commissione ritiene peraltro che, poiché l’iscrizione del ricorrente nell’allegato I del regolamento n. 881/2002 si basa esclusivamente sui documenti allegati al controricorso, non vi è motivo che il Tribunale ne richieda la produzione ricorrendo ad una misura di organizzazione del procedimento.

74      Il Consiglio, la Repubblica francese e il Regno Unito sostengono il primo capo delle conclusioni della Commissione.

 Fatti

75      Il ricorrente è un cittadino saudita, uomo d’affari e finanziere, nato nel 1955. Egli ammette di essere stato, fino alla cessazione delle sue attività nel 1998, un amministratore della Fondazione Muwafaq, che descrive come una fondazione caritativa con sede a Jersey.

76      I capitali del ricorrente sono congelati in tutta l’Unione dal 20 ottobre 2001, inizialmente in base al regolamento n. 2062/2001, adottato a seguito della sua iscrizione nell’elenco del comitato per le sanzioni, risalente al 17 ottobre 2001 (v. punti 30 e 31 supra), quindi in base al regolamento n. 881/2002 e, infine, in base al regolamento impugnato, adottato a seguito dell’annullamento parziale del citato regolamento n. 881/2002 ad opera della sentenza Kadi della Corte.

77      Il ricorrente sostiene di non essere mai stato implicato nel terrorismo e di non aver mai fornito alcun sostegno, finanziario o di altro genere, al terrorismo, e ciò né in relazione ad Osama bin Laden, né altrimenti. Egli non sarebbe mai stato giudicato né riconosciuto colpevole per un qualsivoglia reato riguardante il terrorismo, in nessun luogo al mondo.

78      Il ricorrente soggiunge di essere stato inserito nell’elenco del comitato per le sanzioni, su domanda degli Stati Uniti, in assenza di alcun esame o valutazione indipendente delle Nazioni Unite, delle allegazioni formulate a suo carico dagli Stati Uniti. Orbene, molte di tali allegazioni sarebbero manifestamente false, tra cui quelle secondo cui il ricorrente ha un fratello, o che egli è membro del clan dei Dossari. Le autorità statunitensi si sarebbero inoltre basate su affermazioni contenute in taluni articoli di stampa, segnatamente su un articolo redatto dal giornalista Jack Kelley nel numero del quotidiano USA Today del 29 ottobre 1999, in cui si riferiva, tra l’altro, che la Fondazione Muwafaq serviva come «copertura» ad Osama bin Laden. Orbene, il sig. Kelley sarebbe stato in seguito costretto a dimettersi all’esito di un’indagine e un articolo rettificativo sarebbe stato pubblicato sul sito Internet di USA Today il 13 aprile 2004, confermando che il sig. Kelley aveva «fabbricato taluni scoop» e che l’articolo su cui si erano basate le autorità americane conteneva vari errori.

 In diritto

 Considerazioni preliminari

79      Dopo aver formulato un certo numero di considerazioni preliminari riguardanti il livello di controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie, il ricorrente deduce cinque motivi a sostegno del presente ricorso. Il primo si basa su una carenza di fondamento giuridico sufficiente. Il secondo, che si suddivide in due parti, si basa su una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Il terzo si basa su una violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 253 CE. Il quarto si basa su un errore manifesto di valutazione dei fatti, mentre il quinto, infine, si basa su una violazione del principio di proporzionalità.

80      Va anzitutto esaminata la questione del livello di controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie, giustamente qualificata da tutte le parti come questione preliminare, e poi, nell’ordine, il secondo e il quinto motivo di ricorso, che ripetono in sostanza le censure già esaminate dalla Corte nella sentenza Kadi.

81      Ai fini di tale esame, non è necessario dar seguito alla misura d’organizzazione del procedimento richiesta dal ricorrente. Non è infatti contestato che la Commissione abbia prodotto, in allegato al controricorso, tutti i documenti sulla cui base è stato adottato il regolamento impugnato, che tale misura potrebbe avere ad oggetto.

 Sul livello di controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie

 Argomenti delle parti

82      In primo luogo, il ricorrente ritiene «opportuno e necessario» che il Tribunale impieghi, nella fattispecie, un livello di controllo giurisdizionale «approfondito e rigoroso», riferendosi, in proposito, ai principi enunciati ai punti 281 e 326 della sentenza Kadi della Corte e al paragrafo 45 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate in tale causa (Racc. pag. I‑6363). Egli rinvia inoltre al livello di controllo «completo» definito dal Tribunale per valutare la legittimità delle misure comunitarie di congelamento dei capitali adottate in base al regolamento n. 2580/2001, nelle sue sentenze 12 dicembre 2006, causa T‑228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑4665; in prosieguo: la «sentenza OMPI», punti 154, 155 e 159), 23 ottobre 2008, causa T‑256/07, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑3019; in prosieguo: la «sentenza PMOI I», punti 141‑143), e 4 dicembre 2008, causa T‑284/08, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑3487; in prosieguo: la «sentenza PMOI II», punti 74 e 75).

83      In secondo luogo, il ricorrente ritiene che, per giustificare la misura di congelamento dei capitali di cui trattasi nella fattispecie, siano richieste prove particolarmente convincenti, e ciò per le seguenti ragioni:

–        tale misura, draconiana e priva di limiti temporali o quantitativi, rappresenta un considerevole pregiudizio ai suoi diritti fondamentali, con conseguenze potenzialmente devastanti (citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nell’ambito della sentenza Kadi della Corte, paragrafo 47);

–        tale misura rappresenta una sanzione, come emergerebbe obiettivamente dalle note interpretative del GAFI invocate dalla Commissione, nel senso che essa lo cataloga pubblicamente come un terrorista o un partigiano del terrorismo;

–        i suoi beni sono congelati dal 2001, laddove, per quanto riguarda il mantenimento del congelamento stesso, la Commissione è tenuta ad orientarsi in base al criterio dell’esistenza di una «minaccia attuale o futura» rispetto a quello di un mero «comportamento passato» (sentenza PMOI I, punto 110).

84      In terzo luogo, il ricorrente ritiene che il Tribunale debba esaminare il regolamento impugnato con una particolare attenzione, in quanto esso è stato adottato, a suo dire, allo scopo di rimediare alle gravi violazioni dei diritti fondamentali individuate dalla Corte nella sua sentenza Kadi (in particolare punti 334, 358, 369 e 370; v., altresì, sentenza PMOI I, punti 60-62).

85      Ad avviso della Commissione e dei governi intervenienti, si deve giungere ad un giusto equilibrio tra il diritto fondamentale ad un controllo giurisdizionale effettivo di cui dispone un individuo di cui siano stati congelati i capitali in base ad una misura comunitaria, e la necessità di contrastare il terrorismo internazionale in conformità alle decisioni vincolanti assunte dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

86      A tal proposito, la Commissione propone di distinguere due livelli di controllo giurisdizionale, a seconda del fatto che la misura in questione sia o meno riconducibile all’esercizio di un potere proprio, che comporta una valutazione discrezionale della Comunità (sentenza OMPI, punto 107).

87      Il primo livello di controllo, qualificato come «ristretto», sarebbe stato definito dal Tribunale nelle sentenze OMPI e PMOI, nell’ambito dell’attuazione della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001. Esso si estenderebbe alla valutazione dei fatti e delle circostanze addotti per giustificare la misura di congelamento dei capitali di cui trattasi, nonché alla verifica degli elementi di prova e di informazione su cui è fondata tale valutazione (sentenza OMPI, punto 154), senza tuttavia che il giudice comunitario possa sostituire la sua valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano l’adozione di una misura siffatta a quella delle istituzioni comunitarie (sentenza OMPI, punto 159). Esso si limiterebbe quindi alla verifica del rispetto delle regole del procedimento e della motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’assenza di un manifesto errore di valutazione e di sviamento di potere. Tale controllo ristretto si applica, in particolare, alla valutazione delle considerazioni di opportunità sulle quali si basa la misura di congelamento dei capitali.

88      Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, questo primo livello ristretto di controllo giurisdizionale non sarebbe trasponibile ad una causa quale quella in esame, avente ad oggetto un atto comunitario adottato, in conformità alla volontà unanimemente espressa dagli Stati membri nella posizione comune del Consiglio 27 maggio 2002, 2002/402/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell’Organizzazione Al-Quaeda e dei Taliban e di altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU L 139, pag. 4), allo scopo di attuare collettivamente le sanzioni individuali direttamente decise nei confronti di individui e di entità designati nominativamente dal comitato per le sanzioni.

89      La Commissione rammenta in proposito che il rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite si impone in sede di attuazione, ad opera della Comunità, di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (sentenza Kadi della Corte, punto 293). Ne conseguirebbe che le istituzioni comunitarie sono tenute, in forza del Trattato CE, a conformarsi alle decisioni del comitato per le sanzioni (sentenza Kadi della Corte, punto 296).

90      I giudici comunitari dovrebbero tuttavia verificare se l’adozione di una misura d’esecuzione comunitaria sia compatibile con i principi costituzionali del Trattato CE, tra cui figurano i diritti fondamentali (sentenza Kadi della Corte, punti 298‑314). Tale contesto delle Nazioni Unite non giustificherebbe quindi un’»immunità giurisdizionale generalizzata» nell’ambito dell’ordinamento giuridico comunitario, qualora la procedura di riesame da parte del comitato per le sanzioni non offra le garanzie di una tutela giurisdizionale (sentenza Kadi della Corte, punti 322 in fine, 326 e 327).

91      Ad avviso della Commissione e dei governi intervenienti, il controllo giurisdizionale esercitato dalla Corte, nelle cause riguardanti atti comunitari di attuazione di sanzioni decise dal comitato per le sanzioni, ha avuto ad oggetto sino ad oggi la verifica del rispetto delle garanzie procedurali da parte dell’autorità comunitaria interessata (sentenza Kadi della Corte, punti 336 e 345‑353). Invece, la Corte non si sarebbe ancora pronunciata sul livello del controllo giurisdizionale dei motivi su cui si basa la misura comunitaria di esecuzione. Spetterebbe quindi al Tribunale stabilire, per la prima volta, il livello di controllo adeguato, attribuendo una particolare attenzione al contesto internazionale in cui è stato adottato il regolamento impugnato.

92      A tal proposito la Commissione sottolinea l’obbligo gravante su tutti gli Stati membri dell’ONU, in conformità all’art. 2, n. 5, della Carta delle Nazioni Unite, di fornire a tale organizzazione «piena assistenza in ogni azione da essa intrapresa in conformità alle disposizioni» della Carta medesima. Al paragrafo 8 della sua risoluzione 1822 (2008) il Consiglio di sicurezza avrebbe peraltro recentemente riaffermato l’obbligo gravante su tutti gli Stati membri di attuare e di far rispettare le sanzioni assunte nei confronti delle persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni.

93      Lo stesso varrebbe quando, in seno all’Unione, le decisioni del comitato per le sanzioni sono attuate non da ciascuno Stato membro a titolo individuale, bensì mediante l’adozione di misure comunitarie sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE. La Commissione rileva che, nella sua sentenza Kadi (punto 294), la Corte ha precisato che nell’esercizio di questa competenza la Comunità è tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma dell’art. 24 della Carta delle Nazioni Unite, l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di risoluzioni in base al capitolo VII di detta Carta costituisce l’esercizio della responsabilità principale di cui è investito tale organo internazionale per mantenere, su scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilità che, nell’ambito del citato capitolo VII, «include il potere di determinare ciò che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, nonché di assumere le misure necessarie per il mantenimento o il ristabilimento di queste ultime».

94      La Commissione e i governi intervenienti sostengono che, nel comunicare al ricorrente i motivi della sua iscrizione nell’allegato I del regolamento n. 881/2002, la Comunità gli consente di comunicare il proprio punto di vista e di smentire le allegazioni secondo cui egli è collegato al terrorismo internazionale. Le osservazioni presentate dall’interessato dovrebbero essere esaminate con cura dalla Commissione. Se tuttavia egli intendesse attaccare le prove soggiacenti alla sintesi dei motivi del comitato per le sanzioni, non spetterebbe alla Comunità di sostituire ex post la sua valutazione di tali prove a quella effettuata da tale comitato. Inoltre, la Comunità non sarebbe in grado di svolgere una tale valutazione a posteriori, poiché tali prove sono meramente comunicate da uno Stato membro delle Nazioni Unite al comitato per le sanzioni.

95      In sede di udienza la Commissione ha confermato, per un verso, di non disporre di alcuno degli elementi probatori in questione. La produzione degli stessi deve essere a suo avviso richiesta agli Stati membri dell’ONU che li detengono.

96      In risposta ad un quesito del Tribunale la Commissione, sostenuta dai governi intervenienti, ha precisato, per altro verso, che il margine di cui ritiene di poter disporre per mettere in discussione le valutazioni del comitato per le sanzioni è particolarmente ridotto e si limita, in realtà, al controllo dell’errore assolutamente manifesto di fatto o di valutazione, quale un errore in merito all’identità della persona designata. Qualora dovesse risultare che è stato commesso un simile errore, la Commissione dovrebbe prendere contatto con il comitato per le sanzioni affinché vi si ponga rimedio.

97      A parere della Commissione e dei governi intervenienti, il fatto di dar seguito alla domanda del ricorrente di attuare una procedura comunitaria specifica per la comunicazione e la valutazione delle prove «minerebbe» il sistema sanzionatorio delle Nazioni Unite. Il comitato per le sanzioni, che sarebbe specializzato nella materia e sarebbe assoggettato a specifiche norme di riservatezza e di competenza, avrebbe proprio il compito di trattare prove estremamente sensibili. La Commissione e i governi intervenienti aggiungono che, se ciascuno dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite dovesse pronunciarsi, individualmente, sulle prove disponibili prima che sia adottata una misura esecutiva, il sistema centralizzato di sanzioni delle Nazioni Unite nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale «crollerebbe» immediatamente e sarebbe impossibile pervenire ad un giusto equilibrio tra il rispetto dei diritti fondamentali e la necessità di contrastare il terrorismo internazionale.

98      Per quanto riguarda l’attuazione, ad opera dei giudici comunitari, del principio costituzionale della tutela giurisdizionale effettiva, a seguito della sentenza Kadi della Corte, la Commissione e i governi intervenienti osservano che, se tali giudici sono effettivamente competenti a controllare il regolamento impugnato, tale controllo dipende a sua volta dal ruolo limitato attribuito alla Comunità, che non avrebbe il compito di controllare la decisione del comitato per le sanzioni o le prove che sono conservate esclusivamente a New York. La Commissione e i governi intervenienti sottolineano inoltre che il potere di decidere che una persona è associata ad Al‑Quaeda e che risulta pertanto necessario congelare i suoi beni per impedirle di finanziare o di preparare atti terroristici è stato attribuito al Consiglio di sicurezza e che è difficile immaginare un settore politico più importante e più complesso, che implica valutazioni riguardanti la protezione della sicurezza internazionale ed interna.

99      Ad avviso della Commissione e dei governi intervenienti, da quanto precede si evince che la Comunità nel suo insieme non può sostituire la propria valutazione a quella del comitato per le sanzioni. Il margine discrezionale di cui dispone quest’ultimo dovrebbe essere rispettato non solo dagli organi politici della Comunità, ma anche dai suoi giudici. Nella fattispecie, il Tribunale dovrebbe pertanto rispettare la decisione della Commissione di non sostituire la propria valutazione a quella del comitato per le sanzioni, salvo il caso in cui tale decisione della Commissione risulti manifestamente erronea.

100    In caso contrario il Tribunale potrebbe, secondo la Commissione e i governi intervenienti, imporre agli Stati membri dell’Unione obblighi direttamente contraddittori in base alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto comunitario. Se il Tribunale dovesse sostituire la propria valutazione a quella del comitato per le sanzioni e giungere alla conclusione che una persona non presenta i requisiti per essere inserita nell’allegato I del regolamento n. 881/2002, gli Stati membri dell’Unione sarebbero comunque tenuti, quali membri dell’ONU, ad attuare la decisione del comitato per le sanzioni, pur essendo obbligati, quali membri dell’Unione, a non adottare sanzioni. Orbene, aggiunge la Commissione, dall’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite emerge che uno Stato membro dell’Unione non può invocare il diritto comunitario per giustificare la mancata esecuzione degli obblighi che gli derivano dalla Carta delle Nazioni Unite.

101    Per tutte queste ragioni, la Commissione invita il Tribunale ad esaminare, per un verso, se il ricorrente si sia effettivamente visto riconoscere il diritto al contraddittorio e, per altro verso, se la valutazione operata dalla Commissione in merito alle osservazioni del ricorrente risulti irragionevole o viziata da un errore manifesto.

102    Anche il Consiglio contesta l’interpretazione fornita dal ricorrente alla sentenza Kadi della Corte. Quest’ultimo citerebbe taluni passaggi decontestualizzandoli ed attribuendo loro un significato che la Corte non intendeva attribuire loro. In realtà, avendo rilevato, al punto 351 di tale sentenza, di non essere in grado di controllare la legittimità dell’atto impugnato, la Corte non avrebbe esaminato la questione della portata o dell’intensità del suo controllo giurisdizionale, né avrebbe fornito la benché minima indicazione in proposito.

103    Più specificamente, il Consiglio afferma che la questione se il ricorrente fosse collegato alla rete Al‑Quaeda o ai Talebani implica una valutazione ad opera del comitato per le sanzioni, basata su considerazioni di sicurezza, in merito alle misure da assumersi per contrastare il terrorismo sulla base delle informazioni e delle indicazioni raccolte.

104    La Corte avrebbe riconosciuto la preponderanza del ruolo del Consiglio di sicurezza in tale settore, al punto 294 della sua sentenza Kadi. In pratica, ciò significherebbe che le istituzioni comunitarie non devono sostituire la propria valutazione quanto all’esistenza o meno di un legame tra un individuo e la rete Al‑Quaeda o i Talebani a quella contenuta in una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza.

105    Il Consiglio ritiene inoltre che il Tribunale debba adottare, nella fattispecie, lo stesso orientamento impiegato quando le istituzioni comunitarie si dedicano a valutazioni vertenti su obiettivi complessi e definiti in termini ampi. Secondo costante giurisprudenza della Corte, esse beneficerebbero in tal caso di un ampio potere discrezionale e le loro scelte sarebbero annullabili solo qualora fossero incorse in un manifesto errore di valutazione o qualora si fossero rese responsabili di uno sviamento di potere (sentenze della Corte 17 luglio 1997, cause riunite C‑248/95 e C‑249/95, SAM Schiffahrt e Stapf, Racc. pag. I‑4475, punti 24 e 25, e 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 80).

106    Le valutazioni di cui trattasi nella fattispecie sarebbero, in effetti, complesse e presupporrebbero una valutazione delle misure necessarie per garantire la sicurezza internazionale ed interna. A tal fine sarebbe necessaria la competenza dei servizi informativi e l’accortezza politica che, a parere del Consiglio, solo i governi possiedono.

107    Il fatto che, nella fattispecie, la valutazione sia quella del comitato per le sanzioni e non quella delle istituzioni comunitarie non inciderebbe sulla sua natura e non modificherebbe in alcun modo il principio secondo cui il giudice comunitario dovrebbe astenersi dal sostituire la propria valutazione a quella delle autorità politiche competenti. Il Consiglio ritiene in proposito che il Tribunale non possa e non debba esaminare il merito della valutazione, che a suo avviso rientra nell’esclusiva responsabilità dei governi nell’ambito della lotta al terrorismo.

108    In sede di udienza il Consiglio ha sostenuto peraltro che dalla sentenza Kadi della Corte non emergeva che il controllo giurisdizionale – marginale – delle misure comunitarie di congelamento dei capitali dovesse estendersi alla valutazione degli elementi probatori in quanto tali (in opposizione al controllo – marginale – dei motivi dedotti per giustificare il congelamento dei capitali). Ciò emergerebbe in maniera particolarmente netta da talune versioni linguistiche della sentenza citata, segnatamente dalle versioni inglese e svedese.

109    Il Consiglio richiama inoltre l’attenzione sulle più generali conseguenze di un controllo approfondito del Tribunale, richiesto dal ricorrente. Come la Commissione e i governi intervenienti, anche il Consiglio ritiene che un controllo siffatto potrebbe produrre una situazione in cui gli Stati membri si troverebbero sottoposti ad obblighi concorrenti e tra loro contraddittori, essendo membri delle Nazioni Unite e dell’Unione.

110    A parere del Consiglio, se tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite adottassero un simile orientamento, il sistema basato sulle Nazioni Unite non funzionerebbe più. Il Consiglio osserva che, nella sua sentenza Kadi, la Corte ha sottolineato il ruolo fondamentale del Consiglio di sicurezza nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. A suo modo di vedere, l’orientamento auspicato dal ricorrente comprometterebbe la capacità del Consiglio di sicurezza di svolgere tale funzione.

111    In conclusione, il Consiglio ritiene che il Tribunale dovrebbe riaffermare il ruolo fondamentale del Consiglio di sicurezza in tale ambito ed affermare che le istituzioni comunitarie non devono sostituire la loro specifica valutazione dell’esistenza di un legame tra un individuo e la rete Al‑Quaeda o i Talebani a quella contenuta in una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

 Giudizio del Tribunale

112     Si deve in primis sottolineare che il Tribunale non è vincolato, ai sensi dell’art. 61 dello statuto della Corte di giustizia, nell’ambito della presente causa, dai punti di diritto decisi dalla sentenza Kadi della Corte.

113    Orbene, le istituzioni e i governi intervenienti hanno ribadito con forza, nell’ambito della presente causa, le preoccupazioni già espresse nell’ambito della causa che ha dato origine alla sentenza Kadi della Corte, quanto al rischio di perturbazione del regime sanzionatorio attuato dalle Nazioni Unite, nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale, che deriverebbe dall’instaurazione a livello nazionale o regionale di un controllo giurisdizionale del tipo di quello auspicato dal ricorrente alla luce della sentenza Kadi della Corte.

114    È vero che, nel momento in cui si ammette la competenza di principio del Consiglio di sicurezza ad adottare sanzioni nei confronti degli individui, anziché degli Stati o del loro regime (smart sanctions), un simile controllo giurisdizionale è idoneo ad interferire con le prerogative del Consiglio di sicurezza, segnatamente per quanto concerne la definizione di ciò che costituisce una minaccia alla pace o alla sicurezza internazionali, la constatazione dell’esistenza di una minaccia di tal genere e l’individuazione degli strumenti per porvi fine.

115    Fondamentalmente, negli ambienti giuridici sono stati espressi taluni dubbi quanto alla piena conformità della sentenza Kadi della Corte, per un verso, al diritto internazionale, e segnatamente agli artt. 25 e 103 della Carta delle Nazioni Unite, e, per altro verso, ai Trattati CE e UE, e segnatamente all’art. 177, n. 3, CE, gli artt. 297 CE e 307 CE, l’art. 11, n. 1, UE e l’art. 19, n. 2, UE (v., inoltre, l’art. 3, n. 5, TUE e l’art. 21, nn. 1 e 2, TUE, nonché la dichiarazione n. 13 della conferenza intergovernativa degli Stati membri relativa alla politica estera e di sicurezza comune, allegata al Trattato di Lisbona, che sottolinea che «l’Unione europea e i suoi Stati membri resteranno vincolati dalle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e, in particolare, dalla responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza e dei suoi membri per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali»).

116    A tal proposito si è sostenuto in particolare che, benché la Corte abbia affermato al punto 287 della sua sentenza Kadi, che non spettava al giudice comunitario, nell’ambito della competenza esclusiva prevista dall’art. 220 CE, controllare la legittimità di una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, è altresì vero che controllare la legittimità di un atto comunitario che si limiti ad attuare, a livello della Comunità, una siffatta risoluzione che non lascia alcun margine a tal fine, equivale necessariamente a controllare, alla luce delle norme e dei principi dell’ordinamento giuridico comunitario, la legittimità della risoluzione così attuata.

117    Peraltro, si è osservato che ai punti 320‑325 della sentenza Kadi la Corte ha svolto comunque un siffatto controllo giurisdizionale della conformità del regime sanzionatorio instaurato dalle Nazioni Unite al regime di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali previsto dal Trattato CE, in replica all’argomento della Commissione secondo cui i citati diritti fondamentali erano ormai sufficientemente tutelati nell’ambito di tale regime, tenuto conto in particolare del miglioramento della procedura di riesame che conferiva agli individui e alle entità di cui trattasi un’accettabile possibilità di essere sentiti dal comitato per le sanzioni. La Corte ha stabilito in particolare, ai punti 322 e 323 della citata sentenza, che la procedura di riesame in questione non offriva «manifestamente le garanzie di una tutela giurisdizionale» e che le persone o le entità coinvolte non avevano «alcuna possibilità effettiva di difendere i loro diritti».

118    Del pari, se è vero che la Corte ha affermato, al punto 288 della sentenza Kadi, che l’eventuale sentenza di un giudice comunitario con cui si stabilisse che un atto comunitario volto ad attuare una risoluzione siffatta è contrario a una norma superiore facente parte dell’ordinamento giuridico comunitario non rimetterebbe in discussione la prevalenza di tale risoluzione sul piano del diritto internazionale, è stato rilevato che una simile sentenza, ai sensi della quale l’atto comunitario in questione sarebbe annullato, avrebbe necessariamente la conseguenza di rendere inoperante tale prevalenza nell’ordinamento giuridico comunitario.

119    Quindi, mentre la Corte intende normalmente i rapporti tra il diritto comunitario e il diritto internazionale alla luce dell’art. 307 CE [v., in proposito, sentenza 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro-Com, Racc. pag. I‑81, punti 56-61, dove si è stabilito che l’art. 234 CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 307 CE) può consentire deroghe anche al diritto primario, nella fattispecie l’art. 133 CE], nella sua sentenza Kadi essa ha escluso l’applicabilità di tale articolo quando siano in gioco i «principi di libertà, di democrazia nonché di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sanciti dall’art. 6, n. 1, UE quale fondamento dell’Unione» (punto 303) o, secondo una diversa formulazione, i «principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali» (punto 304). Quanto a tali principi, la Corte sembra quindi avere interpretato il quadro costituzionale del Trattato CE come quello di un ordinamento giuridico puramente autonomo, non subordinato alle norme superiori del diritto internazionale, nella fattispecie il diritto derivante dalla Carta delle Nazioni Unite.

120    Infine, dal momento che la Carta delle Nazioni Unite rappresenta un accordo tra Stati e che la sua adozione è stata, oltretutto, precedente all’adozione del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957, l’assimilazione di tale Carta ad un accordo internazionale stipulato tra la Comunità e uno o più Stati o organizzazioni internazionali, ai sensi dell’art. 300 CE, effettuata ai punti 306‑309 della sentenza Kadi della Corte, per giustificare la conclusione che la sua «prevalenza sul piano del diritto comunitario non si estende(...) al diritto primario» (punto 308), ha potuto sollevare taluni interrogativi.

121    Il Tribunale riconosce che tali critiche non sono del tutto prive di serietà. Tuttavia, quanto alla loro pertinenza, il Tribunale ritiene che, in circostanze quali quelle della fattispecie, aventi ad oggetto un atto adottato dalla Commissione in sostituzione di un atto anteriore, annullato dalla Corte nell’ambito di un’impugnazione proposta avverso una sentenza del Tribunale che ha respinto il ricorso d’annullamento avverso l’atto medesimo, il principio stesso dell’impugnazione e la struttura giurisdizionale gerarchica che ne rappresenta il corollario gli suggeriscono, in linea di principio, di non mettere esso stesso in discussione i punti di diritto risolti dalla decisione della Corte. Ciò vale a maggior ragione quando, come nella fattispecie, la Corte ha statuito in Grande Sezione ed ha manifestamente inteso pronunciare una sentenza di principio. Pertanto, se dovesse essere necessario fornire una risposta agli interrogativi sollevati dalle istituzioni, dagli Stati membri e dagli ambienti giuridici interessati, a seguito della sentenza Kadi della Corte, sarebbe opportuno che vi provvedesse la Corte stessa nell’ambito delle future cause di cui essa potrebbe essere investita.

122    Va osservato a titolo incidentale che, se talune alte giurisdizioni nazionali hanno adottato un orientamento piuttosto simile a quello seguito dal Tribunale nella sua sentenza Kadi [v., in tal senso, la decisione del Tribunale federale di Losanna (Svizzera) 14 novembre 2007 nella causa 1A.45/2007, Youssef Mustapha Nada c/Secrétariat d’État pour l’Économie, e la sentenza della House of Lords (Camera dei Lords, Regno Unito) 12 dicembre 2007 nella causa Al-Jedda v Secretary of State for Defence [2007] UKHL 58, su cui verte attualmente la causa n. 27021/08, Al-Jedda c. Regno Unito, pendenti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo; in prosieguo: la «Corte eur. D.U.»], altre hanno piuttosto seguito l’orientamento della Corte, ritenendo che il sistema di designazione del comitato per le sanzioni fosse incompatibile con il diritto fondamentale ad un ricorso giurisdizionale effettivo dinanzi ad un Tribunale indipendente e imparziale (v., in tal senso, la sentenza della Corte federale canadese 4 giugno 2009, nella causa Abousfian Abdelrazik v The Minister of Foreign Affairs and the Attorney General of Canada [2009] FC 580, citata al punto 69 della sentenza Ahmed e a. della UK Supreme Court).

123    Orbene, limitare nella fattispecie la portata e l’intensità del controllo giurisdizionale nei termini suggeriti dalla Commissione e dai governi intervenienti (v. punti 86-101 supra) nonché dal Consiglio (v. punti 102‑111 supra) equivarrebbe ad attuare non un controllo giurisdizionale effettivo del tipo di quello richiesto dalla Corte nella sua sentenza Kadi, bensì una parvenza di un controllo siffatto. Ciò equivarrebbe, di fatto, ad accogliere l’orientamento seguito dal Tribunale nella sua sentenza Kadi, che la Corte, nella sua sentenza pronunciata all’esito dell’impugnazione, ha giudicato viziata da un errore di diritto. Il Tribunale ritiene che spetti in linea di principio alla Corte – e non al Tribunale stesso – effettuare eventualmente un simile cambiamento giurisprudenziale, qualora ciò dovesse apparire giustificato alla luce, segnatamente, dei gravi inconvenienti segnalati dalle istituzioni e dai governi intervenienti.

124    Certamente, come rilevato dalla Commissione e dal Consiglio, la Corte ha ricordato in particolare, nella sua sentenza Kadi, che le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (punto 291), che il rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite si impone anche nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, in sede di attuazione ad opera della Comunità, mediante l’adozione di atti comunitari ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE, di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (punto 293), che nell’esercizio di quest’ultima competenza la Comunità è tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma dell’art. 24 della Carta delle Nazioni Unite, l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di tali risoluzioni costituisce l’esercizio della responsabilità principale di cui è investito tale organismo internazionale per mantenere, su scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilità che, nell’ambito del citato capitolo VII, include il potere di determinare ciò che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, nonché di assumere le misure necessarie per il mantenimento o il ristabilimento di queste ultime (punto 294), e che, nell’elaborare misure intese ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, la Comunità deve tenere in debita considerazione i termini e gli obiettivi della risoluzione di cui trattasi nonché gli obblighi pertinenti che derivano dalla Carta delle Nazioni Unite relativamente ad una siffatta attuazione (punto 296).

125    Ciò non toglie che la Corte ha peraltro rilevato in particolare, nella sua sentenza Kadi, che l’attuazione delle risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite deve intervenire nel rispetto delle modalità applicabili a tal fine nell’ordinamento giuridico interno di ciascun membro dell’ONU (punto 298), che i principi che disciplinano l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite non implicano che un controllo giurisdizionale della legittimità interna di un atto comunitario, quale il regolamento impugnato, sotto il profilo dei diritti fondamentali, sia escluso per il fatto che l’atto in questione mira ad attuare una risoluzione siffatta (punto 299), che una simile immunità giurisdizionale di un atto di tal genere non trova neppure alcun fondamento nell’ambito del Trattato CE (punto 300), che il controllo da parte della Corte medesima della validità di qualsiasi atto comunitario sotto il profilo dei diritti fondamentali deve essere considerato l’espressione, in una comunità di diritto, di una garanzia costituzionale derivante dal Trattato CE, quale sistema giuridico autonomo, che non può essere compromessa da un «accordo internazionale» (punto 316), e che, pertanto, «i giudici comunitari devono, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del Trattato CE, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari che (...) mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite» (punto 326).

126    È questa la ragione per cui il Tribunale ritiene, in definitiva, di essere tenuto a garantire nella fattispecie, come sancito dalla Corte ai punti 326 e 327 della sua sentenza Kadi, un controllo, «in linea di principio completo», della legittimità del regolamento impugnato alla luce dei diritti fondamentali, senza far beneficiare tale regolamento di una qualsivoglia immunità giurisdizionale per il fatto che esso mira ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

127    Lo stesso deve valere, quanto meno, fin quando le procedure di riesame attuate dal comitato per le sanzioni non offrano manifestamente le garanzie di una tutela giurisdizionale effettiva, come suggerito dalla Corte al punto 322 della sua sentenza Kadi (v. altresì, in tal senso, le citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nell’ambito di tale causa, paragrafo 54).

128    Orbene, le considerazioni svolte a tal proposito dalla Corte, ai punti 323-325 della sua sentenza Kadi, segnatamente per quanto riguarda il punto focale, rimangono, ad oggi, fondamentalmente valide, anche tenendo conto dell’«ufficio del mediatore», la cui creazione è stata decisa, in principio, dalla risoluzione 1904 (2009) e che è stato assai recentemente attuato. In sostanza, il Consiglio di sicurezza non ha ancora ritenuto opportuno istituire un organo indipendente ed imparziale con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni. Inoltre, né il meccanismo del punto focale né l’ufficio del mediatore mettono in discussione il principio secondo cui la radiazione di una persona dall’elenco del comitato per le sanzioni richiede un consenso in seno a tale comitato. Oltretutto, la scelta degli elementi probatori che possono essere rivelati all’interessato continua ad essere riconducibile alla piena discrezionalità dello Stato che ha proposto l’iscrizione del medesimo nell’elenco del comitato per le sanzioni, e nessun meccanismo garantisce che l’interessato disponga di elementi di informazione sufficienti per consentirgli di difendersi utilmente (né addirittura che conosca l’identità dello Stato che ne ha chiesto l’iscrizione nell’elenco del comitato per le sanzioni). Per tali motivi, quanto meno, la creazione del punto focale e del mediatore non può essere assimilata all’istituzione di un ricorso giurisdizionale effettivo avverso le decisioni del comitato per le sanzioni (v. altresì, in proposito, le considerazioni svolte ai punti 77, 78, 149, 181, 182 e 239 della sentenza Ahmed e a. della UK Supreme Court e le considerazioni formulate al punto III del nono rapporto del gruppo di sorveglianza).

129    Di conseguenza, il controllo esercitato dal giudice comunitario sulle misure comunitarie di congelamento di capitali potrà essere qualificato come effettivo solo qualora abbia ad oggetto, indirettamente, le valutazioni di merito effettuate dal comitato per le sanzioni stesso, nonché gli elementi a queste soggiacenti (v. altresì, in tal senso, sentenza Ahmed e a. della UK Supreme Court, punto 81).

130    Per quanto concerne, più specificamente, la portata e l’intensità di tale controllo giurisdizionale che il Tribunale è chiamato a svolgere, la Commissione sostiene che nella sua sentenza Kadi la Corte non si è pronunciata su tale questione (v. punto 91 supra). Del pari, il Consiglio afferma che la Corte non ha esaminato tale questione, né ha fornito il benché minimo orientamento in proposito (v. punti 102 e 108 supra).

131    Tale argomento è manifestamente erroneo.

132    In primis, nello stabilire, a conclusione di un lungo ragionamento, che il controllo di legittimità in questione doveva essere «in linea di principio completo», ed esercitarsi «in conformità alle competenze di cui [i giudici comunitari] sono investiti in forza del Trattato CE» (sentenza Kadi della Corte, punto 326), e nel respingere esplicitamente, oltretutto, la tesi del Tribunale secondo cui l’atto in questione doveva beneficiare di un’«immunità giurisdizionale» in quanto si limitava a dare attuazione a risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (sentenza Kadi della Corte, punto 327), la Corte ha fornito, al contrario, un’indicazione assolutamente chiara quanto alla portata e all’intensità da attribuirsi normalmente a tale controllo.

133    In secondo luogo, al punto 336 della sua sentenza Kadi la Corte ha concluso che tale controllo doveva avere ad oggetto, segnatamente, la legittimità dei motivi sui quali si basa l’atto comunitario impugnato. Orbene, dalla giurisprudenza richiamata al citato punto 336 per giustificare tale conclusione (v., in particolare, sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 462), risulta che tale controllo di legittimità dei motivi si estende, segnatamente, alla verifica della fondatezza dell’atto impugnato nonché dei vizi di cui potrebbe risultare affetto.

134    In terzo luogo, ai punti 342-344 della sua sentenza Kadi la Corte ha sottolineato che, se considerazioni imperative riguardanti la sicurezza o la conduzione delle relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri possono ostare alla comunicazione agli interessati di taluni elementi, ciò non significa tuttavia, quanto all’osservanza del principio di tutela giurisdizionale effettiva, che misure restrittive quali quelle imposte dal regolamento impugnato si sottraggano a qualsivoglia controllo del giudice comunitario in quanto si affermi che l’atto che le prevede riguarda la sicurezza nazionale e il terrorismo. In casi simili, spetta al giudice comunitario attuare, nell’ambito del controllo giurisdizionale da esso esercitato, tecniche che consentano di conciliare, per un verso, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazioni prese in considerazione nell’adottare l’atto di cui trattasi e, per altro verso, la necessità di concedere in maniera adeguata al singolo di beneficiare delle regole procedurali.

135    Emerge con tutta evidenza da questi punti della sentenza Kadi della Corte, nonché dal riferimento ivi effettuato alla sentenza della Corte eur. D.U., Chahal c. Regno Unito del 15 novembre 1996 (Recueil des arrêts et décisions, 1996‑V, § 131), che la Corte ha inteso svolgere il suo controllo giurisdizionale, «in linea di principio completo», non solo sulla fondatezza apparente dell’atto impugnato, ma anche sugli elementi probatori e di informazione su cui si basano le valutazioni svolte nell’atto stesso.

136     Il gruppo di sorveglianza ha peraltro inteso la questione in tal senso, in quanto, al punto 19 del suo nono rapporto, si precisa che, nella sua sentenza Kadi, la Corte ha ritenuto che le procedure seguite dall’Unione per applicare le sanzioni avessero arrecato pregiudizio ai diritti fondamentali degli interessati «poiché gli elementi probatori che giustificavano le misure restrittive imposte non erano stati loro comunicati e, pertanto, essi non avevano potuto esercitare il proprio diritto alla difesa».

137    La Corte ha oltretutto confermato di recente, nell’ambito di una causa relativa all’attuazione delle sanzioni previste dal regolamento n. 2580/2001, che la possibilità di un «controllo giurisdizionale adeguato» della legittimità di merito di una misura comunitaria di congelamento di capitali, vertente, segnatamente, sulla «verifica dei fatti nonché degli elementi probatori e di informazione invocati a suo sostegno», risulta indispensabile per consentire di assicurare un giusto equilibrio fra le esigenze della lotta al terrorismo internazionale e la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali (sentenza della Corte 29 giugno 2010, causa C‑550/09, E e F, Racc. pag. I‑6209, punto 57).

138    In quarto luogo, si deve osservare che una gran parte dei motivi sviluppati dalla Corte nella sua sentenza Kadi, nell’ambito dell’esame dei motivi del ricorrente basati sulla violazione dei propri diritti della difesa e del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, sono ripresi dai motivi sviluppati dal Tribunale nell’ambito del suo esame dei motivi equivalenti dedotti dal ricorrente nella causa che ha dato origine alla sentenza OMPI. Così, segnatamente, i punti 336, 340, 342, 343, 344, 345, 346, 348, 349, 351 e 352 della sentenza Kadi della Corte riprendono, quantomeno, la sostanza dei corrispondenti punti 129, 128, 133, 156, 158, 160, 161, 162, 165, 166 e 173 della sentenza OMPI. Se ne deve dedurre che, riprendendo la parte essenziale della motivazione sviluppata dal Tribunale nella sentenza OMPI, in relazione alle presunte violazioni dei diritti della difesa e del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, la Corte abbia approvato ed abbia inteso far propri il livello e l’intensità del controllo giurisdizionale effettuato dal Tribunale nella causa che ha dato origine alla sentenza OMPI.

139    Per quanto concerne la portata e l’intensità del controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie, si devono quindi trasporre alla presente fattispecie i principi enucleati dal Tribunale nella sua sentenza OMPI, nonché nella sua successiva giurisprudenza nel settore del contenzioso di cui al precedente punto 82, in merito all’attuazione delle misure indicate ai punti 32-35 supra.

140    Si deve rammentare in proposito che, al punto 153 della sentenza OMPI, il Tribunale ha stabilito che il controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione comunitaria di congelamento dei capitali è quello previsto all’art. 230, secondo comma, CE, ai sensi del quale il giudice comunitario è competente a pronunciarsi sui ricorsi di annullamento per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del Trattato CE o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere.

141    Il Tribunale ha riconosciuto, al punto 159 della sentenza OMPI, al punto 137 della sentenza PMOI I, al punto 55 della sentenza PMOI II ed al punto 97 della sentenza 30 settembre 2009, causa T‑341/07, Sison/Consiglio (Racc. pag. II‑3625), che l’istituzione comunitaria competente dispone di un ampio potere discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare sanzioni economiche e finanziarie sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, conformemente ad una posizione comune adottata in base alla PESC. Tale potere discrezionale riguarda, in particolare, le considerazioni di opportunità sulle quali si fondano siffatte decisioni.

142    Tuttavia, (sentenze PMOI I, punto 138, PMOI II, punto 55, e Sison/Consiglio, cit., punto 98), se è vero che il Tribunale riconosce all’istituzione comunitaria competente un margine discrezionale in materia, ciò non implica che esso debba astenersi dal controllare l’interpretazione dei dati rilevanti fornita da tale istituzione. Il giudice comunitario è tenuto, in particolare, non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare la situazione e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte. Tuttavia, nell’ambito di tale controllo, egli non è tenuto a sostituire la propria valutazione d’opportunità a quella dell’istituzione comunitaria competente (v., per analogia, sentenza della Corte 22 novembre 2007, causa C‑525/04 P, Spagna/Lenzing, Racc. pag. I‑9947, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

143    Al punto 154 della sentenza OMPI (v., altresì, sentenza PMOI II, punto 74), il Tribunale ha peraltro dichiarato che il controllo giurisdizionale di legittimità di una decisione comunitaria di congelamento dei capitali si estende alla valutazione dei fatti e delle circostanze addotti per giustificarla, nonché alla verifica degli elementi di prova e di informazione su cui è fondata tale valutazione, come il Consiglio aveva peraltro espressamente riconosciuto nelle sue memorie nella causa all’origine della sentenza del Tribunale 21 settembre 2005, causa T‑306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑3533) (v. punto 225 di tale sentenza). Il Tribunale deve anche accertarsi del rispetto dei diritti della difesa e del requisito della motivazione al riguardo nonché, eventualmente, della fondatezza delle ragioni imperative eccezionalmente fatte valere dall’istituzione comunitaria competente per sottrarvisi.

144    Al punto 155 della sentenza OMPI (v., altresì, sentenza PMOI II, punto 75), il Tribunale ha osservato che, nel caso di specie, tale controllo appare tanto più indispensabile in quanto rappresenta la sola garanzia procedurale che consenta di assicurare il giusto equilibrio fra le esigenze della lotta al terrorismo internazionale e la tutela dei diritti fondamentali. Poiché le limitazioni apportate dalle istituzioni comunitarie competenti ai diritti della difesa degli interessati devono essere bilanciate da un severo controllo giurisdizionale indipendente e imparziale (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 maggio 2006, causa C‑341/04, Eurofood IFSC, Racc. pag. I‑3813, punto 66), il giudice comunitario deve poter controllare la legittimità e la fondatezza delle misure di congelamento dei capitali, senza che possano essergli opposti il segreto o la riservatezza degli elementi di prova e di informazione utilizzati dall’istituzione comunitaria competente.

145    In proposito il Tribunale ha aggiunto, al punto 73 della sentenza PMOI II, che il Consiglio non può fondare la sua decisione di congelamento dei capitali su informazioni o elementi del fascicolo comunicati da uno Stato membro, se tale Stato membro non è disposto ad autorizzarne la comunicazione al giudice comunitario investito del controllo della legittimità di tale decisione. Al punto 76 della sentenza PMOI II il Tribunale ha sottolineato che il rifiuto del Consiglio e delle autorità francesi di comunicare, anche al solo Tribunale, talune informazioni su cui si basava l’atto ivi impugnato aveva l’effetto di impedire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo di legittimità della decisione impugnata. Al punto 78 della sentenza PMOI II il Tribunale ha concluso che, in tali circostanze, era stato leso il diritto fondamentale del ricorrente ad un controllo giurisdizionale effettivo.

146    Al punto 156 della sentenza OMPI il Tribunale ha altresì sottolineato, in proposito, che se è vero che la Corte eur. D.U. riconosce che l’utilizzazione di informazioni riservate può rivelarsi indispensabile qualora sia in pericolo la sicurezza nazionale, ciò non significa tuttavia, a suo avviso, che le autorità nazionali sfuggano a qualsiasi controllo dei tribunali interni per il solo fatto di affermare che la questione riguarda la sicurezza nazionale ed il terrorismo (v. Corte europea D.U., sentenze Chahal c. Regno Unito, cit., § 131, e giurisprudenza ivi citata, e Öcalan c. Turchia del 12 marzo 2003, n. 46221/99, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 106, e giurisprudenza ivi citata).

147    Al punto 158 della sentenza OMPI il Tribunale ha aggiunto che non era necessario prendere posizione, nell’ambito del ricorso di cui era investito, sulla questione distinta se il ricorrente e/o i suoi avvocati potessero ricevere comunicazione degli elementi di prova e di informazione di cui si allegava la riservatezza, ovvero se la comunicazione di questi ultimi dovesse essere riservata al solo Tribunale, secondo una peculiare procedura che rimaneva da definire in modo da preservare gli interessi generali in causa, pur accordando all’interessato un sufficiente grado di tutela giurisdizionale.

148    A queste considerazioni ben consolidate nella giurisprudenza derivante dalla sentenza OMPI si devono aggiungere talune considerazioni basate sulla natura e sugli effetti delle misure di congelamento dei capitali quali quelli di cui trattasi nella fattispecie, considerate nella loro dimensione temporale.

149    Tali misure sono infatti particolarmente oppressive per coloro che vi sono sottoposti. Il ricorrente è soggetto, da quasi dieci anni, ad un regime che congela indefinitamente tutti i suoi capitali e ogni altro bene, di cui non può disporre senza aver ottenuto una deroga del comitato per le sanzioni. Al punto 358 della sua sentenza Kadi la Corte aveva già osservato che la restrizione all’esercizio del diritto di proprietà del ricorrente, implicita nella misura di congelamento dei suoi capitali, doveva essere ritenuta considerevole, data la sua portata generale e tenuto conto del fatto che essa gli era applicabile dal 20 ottobre 2001. Nella sua sentenza Ahmed e a. (punti 60 e 192), la UK Supreme Court ha a sua volta ritenuto che non fosse esagerato sostenere che le persone in tal modo designate sono di fatto «prigioniere» delle autorità statali: la loro libertà di movimento è gravemente limitata, non avendo accesso ai propri capitali, mentre gli effetti del congelamento di questi ultimi possono essere opprimenti per tali persone e per le loro famiglie.

150    È addirittura lecito chiedersi se la valutazione svolta dal Tribunale al punto 248 della sua sentenza Kadi e sostanzialmente ripresa dalla Corte al punto 358 della sua sentenza Kadi, secondo cui il congelamento dei capitali è una misura cautelare che, a differenza di una confisca, non lede la sostanza stessa del diritto di proprietà degli interessati sulle loro disponibilità finanziarie, ma soltanto l’utilizzo di queste ultime, non debba ora essere riconsiderata, essendo trascorsi quasi dieci anni dal congelamento iniziale dei capitali del ricorrente. Lo stesso vale per l’affermazione del Consiglio di sicurezza, richiamata in varie occasioni, segnatamente nella sua risoluzione 1822 (2008), secondo cui le misure in questione «hanno carattere preventivo e sono indipendenti dalle norme penali di diritto interno». Sulla scala di una vita umana, dieci anni rappresentano infatti una durata considerevole e la qualificazione delle misure in questione come aventi natura preventiva o repressiva, conservativa o di confisca, civile o penale, sembra ormai aperta (v. altresì, in proposito, il nono rapporto del gruppo di sorveglianza, paragrafo 34). Questo è inoltre il parere dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo che, in una relazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 settembre 2009, dal titolo «Report (...) on the protection of human rights and fundamental freedoms while countering terrorism» (documento A/HRC/12/22, punto 42), precisa quanto segue:

«Poiché le decisioni individuali d’iscrizione nell’elenco sono attualmente illimitate nel tempo, esse possono far sì che un temporaneo congelamento dei capitali divenga permanente, il che a sua volta può equivalere ad una sanzione penale, considerata la severità della sanzione. Ciò rischia di andare ben oltre l’obiettivo delle Nazioni Unite di combattere la minaccia terroristica rappresentata da un caso singolo. Inoltre, non vi è alcuna uniformità quanto agli standard probatori e alle procedure. Ciò pone seri problemi in materia di diritti dell’uomo, in quanto tutte le decisioni penali dovrebbero essere giudiziarie o assoggettabili a controllo giudiziario».

151    Benché l’esame di tale questione oltrepassi l’ambito della presente controversia, come definita dai motivi articolati nel ricorso, il Tribunale ritiene che il principio di un controllo giurisdizionale completo e rigoroso delle misure di congelamento dei capitali, quali quelle di cui trattasi nella fattispecie, è a maggior ragione giustificato per il fatto che tali misure incidono in maniera sensibile e duratura sui diritti fondamentali degli interessati, dal momento che si accoglie la premessa, sancita dalla sentenza Kadi della Corte, secondo cui non può riconoscersi alcuna immunità giurisdizionale a simili atti per la ragione che essi mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

152    È alla luce e con il beneficio delle considerazioni precedenti che si deve ora procedere all’esame del secondo e del quinto motivo.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva

 Argomenti delle parti

153    Il ricorrente, che si riferisce segnatamente alla sentenza Kadi della Corte (punti 336, 337, 346 e 352), alle citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate nell’ambito di tale causa (paragrafo 52), e alle sentenze OMPI (punti 138 e 144), PMOI I (punti 131 e 176), e PMOI II (punti 56 e 73), insiste sul carattere fondamentale del diritto al contraddittorio con le autorità amministrative, nonché del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, nel contesto dell’adozione di una misura di congelamento dei capitali. Egli sottolinea che le istituzioni comunitarie non hanno rispettato tali diritti nelle cause che hanno dato origine alle sentenze citate (sentenza Kadi della Corte, punti 334, 345, 346 e 348-352; citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nell’ambito di tale causa, paragrafo 55; sentenze OMPI, punti 165 e 173, PMOI I, punti 177-186, e PMOI II, punti 41 e 44).

154    Il ricorrente aggiunge che l’importanza dell’obbligo gravante sulle istituzioni comunitarie di comunicare i fatti, le prove e gli elementi del fascicolo su cui si basa una decisione di congelamento dei capitali è evidenziata dalla natura del controllo giurisdizionale in tale contesto. A suo avviso, al Tribunale deve essere data la possibilità di effettuare un controllo completo ed effettivo della correttezza materiale dei fatti, delle prove e delle informazioni su cui si basa la decisione d’iscrizione nell’allegato I del regolamento n. 881/2002, allo scopo di decidere se esistano motivi ragionevoli e prove sufficienti ai fini di tale decisione e se sussista o meno un errore di valutazione. 

155    Il ricorrente ritiene che, nell’adottare il regolamento impugnato, la Commissione abbia di nuovo gravemente violato gli obblighi sanciti con chiarezza nelle sentenze Kadi della Corte, OMPI, PMOI I e PMOI II.

156    In primis, nonostante la sentenza Kadi della Corte (punto 352), né il regolamento n. 881/2002 né il regolamento impugnato prevedrebbero alcuna procedura per comunicargli le prove su cui si basa la decisione di congelamento dei suoi beni o per consentirgli di formulare osservazioni in merito a tali prove.

157    In secondo luogo, il semplice invio al ricorrente della sintesi dei motivi non potrebbe essere ragionevolmente considerato come rispondente alle esigenze di una procedura equa e di una tutela giurisdizionale effettiva. La sintesi dei motivi conterrebbe un certo numero di allegazioni generiche, prive di fondamento, vaghe ed imprecise riguardanti il ricorrente. Non vi sarebbe allegata alcuna prova a sostegno di tali gravi accuse. Di conseguenza, il ricorrente si troverebbe nell’impossibilità di smentire le accuse rivoltegli e di far conoscere utilmente il proprio punto di vista in replica. In particolare:

–        la sintesi dei motivi indicherebbe che il ricorrente «soddisfa» i «criteri d’iscrizione» nell’elenco delle Nazioni Unite, ma non preciserebbe quali aspetti di tali criteri [v., a tal proposito, il paragrafo 2 della risoluzione 1822 (2008)] si presumano soddisfatti dal ricorrente; di conseguenza, il ricorrente non saprebbe se gli si addebiti di aver partecipato ad attività di Al‑Quaeda, dei Talebani o di un altro gruppo, di averle organizzate o di averle sostenute;

–        secondo la sintesi dei motivi, il ricorrente sarebbe stato un azionista importante di una banca in cui «hanno forse avuto luogo riunioni dedicate alla preparazione di un attentato contro uno stabilimento americano in Arabia Saudita»; non vi sarebbe alcuna indicazione per quanto riguarda l’attacco in questione, lo stabilimento, la data, l’effettivo svolgimento di tali riunioni, l’asserito collegamento con Al‑Quaeda o ancora la presunta implicazione del ricorrente;

–        secondo la sintesi dei motivi, il ricorrente avrebbe nominato il sig. Ayadi a ricoprire un incarico presso la Fondazione Muwafaq e il sig. Ayadi «agiva in base ad accordi» con Osama bin Laden; la natura di tali presunti accordi non sarebbe specificata, né sarebbero specificate le ragioni per le quali un presunto collegamento con il sig. Ayadi giustificherebbe il mantenimento del congelamento dei capitali del ricorrente; sembrerebbe che il sig. Ayadi e il ricorrente siano entrambi iscritti nell’allegato I del regolamento n. 881/2002 in ragione dei loro reciproci rapporti; secondo il ricorrente, il fatto di iscrivere una persona in tale allegato per la semplice ragione di un suo presunto collegamento con l’altro rappresenta un ragionamento meramente circolare;

–        secondo la sintesi dei motivi, il ricorrente avrebbe «detenuto varie società in Albania che hanno fornito capitali ad estremisti o che hanno impiegato estremisti per incarichi di controllo dei capitali delle società»; nessuna informazione relativa alle società, ai capitali, alla data, agli estremisti o all’asserita implicazione del ricorrente sarebbe fornita; egli sottolinea che, all’esito di un’indagine effettuata sulle sue attività in Albania, l’indagine penale promossa nei suoi confronti in tale paese è stata abbandonata per l’assenza di prove a suo carico;

–        la sintesi dei motivi si limiterebbe a riprendere e a riaffermare, in termini quasi identici, talune delle ragioni formulate dall’Ufficio di controllo dei capitali stranieri (Office of Foreign Assets Control o OFAC) del Ministero delle Finanze americano per congelare i beni del ricorrente negli Stati Uniti.

158    Sarebbe essenziale che al ricorrente fossero forniti gli elementi considerati a suo carico dalla Commissione, in modo tale da disporre di una leale opportunità di replicarvi e di restituire dignità al suo nome. Il ricorrente rileva che ogniqualvolta è stata data un’occasione significativa di far conoscere il proprio punto di vista e di contestare le prove, egli lo ha fatto con successo. Così, l’indagine penale promossa a suo carico in Svizzera sarebbe stata abbandonata nel dicembre 2007 all’esito di un’indagine approfondita durata più di sei anni. Indagini simili in Turchia e in Albania sarebbero state chiuse dopo che le risultanze investigative avrebbero dimostrato che non vi era alcuna ragione di avviare procedimenti penali a suo carico.

159    Il ricorrente ritiene inoltre che gli elementi dedotti a sua difesa siano di fondamentale importanza e che la Commissione, lungi dal poterli ignorare, era tenuta ad esaminarli singolarmente e ad assumere una decisione motivata quanto alla questione se, tenuto conto di tali elementi, vi fossero prove convincenti tali da giustificare il mantenimento del congelamento dei suoi capitali. Inoltre, il ricorrente afferma che la Commissione non può ignorare talune prove in quanto gli elementi utilizzati nell’ambito di un’indagine penale possono essere sottoposti ad «esigenze diverse in materia di prova». A suo avviso, le esigenze probatorie in materia penale sono perfettamente congrue rispetto alle misure di congelamento dei capitali quali quelle di cui trattasi nella fattispecie.

160    La sintesi dei motivi non consentirebbe neppure di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, in quanto non conterrebbe informazioni sufficienti per consentire ad un giudice di stabilire se la decisione di mantenere il congelamento dei suoi capitali sia legittima e basata su prove inconfutabili in merito alla presunta minaccia attuale o futura che egli rappresenta, se essa si basi su un errore manifesto di valutazione o se i fatti siano materialmente esatti.

161    In terzo luogo, il ricorrente sostiene che la Commissione ha interpretato ed applicato erroneamente la sentenza Kadi della Corte ritenendo, nella sua lettera 8 dicembre 2008, che i criteri applicabili ad una decisione di congelamento dei capitali siano quelli esposti in una nota interpretativa della «raccomandazione speciale III in merito al finanziamento del terrorismo» del GAFI, vale a dire se esistano «motivi ragionevoli o un fondamento ragionevole per cui si possa sospettare o credere che una persona o un’entità abbiano carattere terroristico, finanzino il terrorismo o costituiscano un’organizzazione terroristica».

162     Ad avviso del ricorrente, la Corte ha infatti stabilito che le istituzioni comunitarie non possono imporre un congelamento dei capitali per il semplice fatto che esse ritengano (e ancor meno per il fatto che le Nazioni Unite ritengano) che sussistono «motivi ragionevoli» o un «fondamento ragionevole» per cui si possa sospettare o credere qualcosa, senza fornire all’interessato alcuna prova a sostegno di tale sospetto o di tale convinzione. Le istituzioni comunitarie non potrebbero quindi limitarsi a riutilizzare una sintesi di accuse formulate dalle Nazioni Unite, in una versione riciclata di accuse americane, ma dovrebbero esse stesse fornire «prove serie e credibili», «informazioni precise o (...) elementi del fascicolo», nonché «ragioni specifiche e concrete» in base alle quali permanga giustificato mantenere il congelamento dei capitali. Esse dovrebbero inoltre consentire all’interessato di avere una «piena cognizione di causa» dei fatti e delle circostanze che giustificano il congelamento dei suoi beni, delle prove e delle informazioni su cui esso è basato, nonché informazioni sufficienti per stabilire se si sia verificato un errore materiale. Nulla di simile si sarebbe verificato nella fattispecie, neanche dopo che il ricorrente ha chiesto espressamente l’accesso ai fatti e alle prove su cui si basano le affermazioni formulate nella sintesi dei motivi.

163    In quarto luogo, erroneamente la Commissione vorrebbe giustificare il suo orientamento facendo valere il «carattere preventivo» delle misure di congelamento dei capitali che, a suo parere, giustificano il suo rifiuto di divulgare al ricorrente le prove su cui si basa la sua decisione di mantenimento del congelamento dei suoi beni. Secondo la sentenza Kadi della Corte, il contesto rilevante non sarebbe la natura «preventiva» di una misura siffatta, bensì piuttosto il suo carattere inopportuno e la sua gravità nonché il grave pregiudizio ai diritti fondamentali dell’interessato, che renderebbe necessario aumentare – piuttosto che ridurre – le tutele procedurali. Il punto 2 delle citate note interpretative della «raccomandazione speciale III sul finanziamento del terrorismo» riconoscerebbe peraltro che gli obiettivi delle misure di congelamento dei capitali raccomandate non sono solo preventivi, ma anche punitivi.

164    In quinto luogo, le sole circostanze in cui la Corte ipotizza la possibilità per le istituzioni di non divulgare prove relative a misure di tal genere sarebbero quelle in cui sussistono «considerazioni imperative riguardanti la sicurezza o la conduzione delle relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri», che «possono ostare alla comunicazione agli interessati di taluni elementi e, pertanto, all’audizione degli stessi in merito a tali elementi» (sentenza Kadi della Corte, punti 342‑344).

165    Tali circostanze non sussisterebbero nella fattispecie. In particolare, la Commissione non avrebbe espresso alcuna ragione credibile per cui la divulgazione al ricorrente della lettera del rappresentante permanente della Francia presso l’Unione o di qualsiasi altro elemento di prova a suo carico arrecherebbe pregiudizio alle relazioni internazionali dell’Unione. 

166    La Commissione replica che, in conformità al suo diritto al contraddittorio, il ricorrente si è visto attribuire la possibilità di formulare i propri argomenti nel corso della procedura d’adozione del regolamento impugnato. La sintesi dei motivi comunicata dal comitato per le sanzioni al rappresentante permanente della Francia presso l’Unione e trasmessa da quest’ultimo alla Commissione sarebbe stata inviata già il giorno dopo al ricorrente e ai suoi avvocati, dandogli altresì la possibilità di esprimere il suo parere e di comunicare le sue osservazioni sul merito. Il ricorrente vi avrebbe replicato con lettera 10 novembre 2008. Dopo avere esaminato con cura le sue osservazioni, la Commissione avrebbe assunto la decisione di iscriverlo nell’allegato I del regolamento n. 881/2002. Tale regolamento, accompagnato da una lettera, sarebbe stato inviato per posta al ricorrente e ai suoi avvocati.

167    Essendo stato effettivamente sentito nel corso del procedimento amministrativo, il ricorrente sarebbe peraltro pienamente in grado di contestare la motivazione del regolamento impugnato nell’ambito del presente ricorso, in conformità al suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

168    Per quanto concerne il rispetto dei diritti della difesa, il Consiglio ritiene anch’esso che la Commissione abbia corretto, nel corso della procedura d’adozione del regolamento impugnato, le lacune procedurali individuate dalla Corte nella sua sentenza Kadi, comunicando al ricorrente tutti gli elementi a suo carico, vale a dire la sola sintesi dei motivi, dandogli la possibilità di far conoscere utilmente il suo punto di vista in proposito e tenendo debitamente conto dello stesso.

169    Il Consiglio ritiene quindi che le procedure previste consentano altresì al Tribunale di svolgere la propria missione di controllo, di modo che anche il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo risulta rispettato.

170    Il Consiglio soggiunge che le garanzie procedurali supplementari attuate nella fattispecie dalla Commissione, a seguito della sentenza Kadi della Corte, corrispondono a quelle attuate dal Consiglio stesso a seguito della sentenza OMPI. Orbene, tali garanzie sarebbero state approvate dal Tribunale nella sentenza PMOI I. Il Consiglio non rileva alcuna differenza fattuale o giuridica idonea a condurre il Tribunale ad una diversa conclusione nella fattispecie.

 Giudizio del Tribunale

171    Nell’ambito di un controllo giurisdizionale «in linea di principio completo» della legittimità del regolamento impugnato con riferimento ai diritti fondamentali (sentenza Kadi della Corte, punto 326), e senza che tale regolamento possa beneficiare di una qualsivoglia «immunità giurisdizionale» (sentenza Kadi della Corte, punto 327), emerge con ogni evidenza dagli argomenti e dalle spiegazioni formulati dalla Commissione e dal Consiglio, segnatamente nell’ambito delle loro osservazioni preliminari sul livello di controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie, che i diritti della difesa del ricorrente sono stati «rispettati» solo in maniera puramente formale e apparente, dal momento che, in realtà, la Commissione si è considerata rigorosamente vincolata alle valutazioni del comitato per le sanzioni e pertanto non ha mai considerato l’ipotesi di metterle in discussione alla luce delle osservazioni del ricorrente.

172    Così facendo, la Commissione non ha debitamente considerato l’opinione espressa dall’interessato, nonostante quanto da essa affermato al quarto, quinto e sesto ‘considerando’ del regolamento impugnato, sicché il ricorrente non ha avuto la possibilità di far valere utilmente il proprio punto di vista.

173    Inoltre, la procedura seguita dalla Commissione, a seguito dell’istanza del ricorrente, non ha fornito a quest’ultimo il benché minimo accesso agli elementi di prova a suo carico. In realtà, tale accesso è stato negato all’interessato, nonostante la sua esplicita domanda, senza alcuna ponderazione dei suoi interessi rispetto alla necessità di tutelare la riservatezza delle informazioni in questione (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punti 342‑344).

174    Pertanto, i pochi elementi di informazione e le vaghe allegazioni contenute nella sintesi dei motivi appaiono manifestamente insufficienti a consentire al ricorrente di smentire efficacemente le accuse mossegli, in relazione alla sua presunta partecipazione ad attività terroristiche.

175    Lo stesso vale, a titolo di esempio particolarmente significativo ma assolutamente non esaustivo, per l’affermazione, non diversamente corroborata e pertanto inidonea ad essere smentita, secondo cui il ricorrente sarebbe stato azionista di una banca bosniaca in cui si sarebbero «forse» tenute riunioni dedicate alla preparazione di un attentato contro uno stabilimento americano in Arabia Saudita.

176    Tale conclusione è conforme a quella cui è giunta la Corte eur. D.U. nella sua sentenza A. e a. c. Regno Unito del 19 febbraio 2009 (non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions). In tale sentenza, la Corte eur. D.U. ha rammentato che quando una persona è privata della libertà in quanto sussistono ragionevoli motivi di sospettare che abbia commesso un reato, l’equità del procedimento garantita dall’art. 5, n. 4, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) impone che alla stessa sia data l’occasione di replicare utilmente alle allegazioni a suo carico, il che presuppone generalmente la comunicazione di tutti gli elementi d’accusa. La Corte eur. D.U. ha altresì ricordato le restrizioni che possono essere poste al diritto alla comunicazione di tutte le prove rilevanti, in presenza di un interesse pubblico rilevante che deponga in favore della riservatezza, ad esempio per proteggere testimoni vulnerabili o fonti di informazione, a condizione che il detenuto conservi la possibilità di replicare utilmente alle allegazioni. La Corte eur. D.U. ha quindi effettuato una valutazione caso per caso in ordine alla sufficienza o all’insufficienza, ai fini dell’esercizio dei diritti della difesa, delle informazioni e degli elementi probatori comunicati ai ricorrenti e ha concluso nel senso di una violazione dell’art. 5, n. 4, della CEDU nei casi in cui gli elementi non riservati erano consistiti esclusivamente in affermazioni generiche e il giudice nazionale si era basato unicamente o in misura determinante su documenti segreti. Così, in un caso in cui gli addebiti non confidenziali mossi a taluni ricorrenti comprendevano affermazioni precise in merito, ad esempio, all’acquisto di attrezzature di telecomunicazione chiaramente individuate, al possesso di questo o di quel documento relativo a presunti terroristi indicati nominativamente e ad incontri con presunti terroristi in luoghi e in date determinati, la Corte eur. D.U. ha ritenuto che le allegazioni in questione fossero sufficientemente circostanziate da consentire agli interessati di contestarle utilmente. Invece, in un caso in cui si contestava essenzialmente a taluni ricorrenti il fatto di aver raccolto capitali destinati ad organizzazioni terroristiche legate ad Al-Quaeda, e in cui risultava dalle informazioni non riservate ad essi relative che importanti somme erano transitate su un conto bancario e che talune frodi avevano consentito di raccogliere capitali, ma gli elementi che si ritenevano atti a dimostrare il legame esistente tra il denaro raccolto e il terrorismo erano stati occultati ai ricorrenti, la Corte eur. D.U. ha ritenuto che questi non fossero stati posti nelle condizioni di contestare effettivamente gli addebiti loro mossi. Del pari, in un caso in cui gli addebiti non riservati mossi a taluni ricorrenti, principalmente incentrati sulla presunta appartenenza ad organizzazioni islamiste radicali legate ad Al-Quaeda, avevano carattere assai generico e in cui gli elementi a loro carico erano essenzialmente contenuti in documenti segreti, la Corte eur. D.U. ha ritenuto che agli interessati non fosse stata data la possibilità di contestare utilmente le allegazioni formulate a loro carico.

177    Applicando alla fattispecie criteri identici a quelli in tal modo elaborati dalla Corte eur. D.U., è pacifico che al ricorrente non è stata data la possibilità di contestare utilmente nessuna delle allegazioni formulate a suo carico, sulla base della sola sintesi dei motivi che gli è stata comunicata. Il Tribunale riconosce espressamente, a tal proposito, la fondatezza di tutte le osservazioni e di tutti gli argomenti del ricorrente riassunti al precedente punto 157.

178    È inoltre significativo il fatto che la Commissione non abbia compiuto alcuno sforzo serio per smentire gli elementi difensivi fatti valere dal ricorrente, nei rari casi in cui le allegazioni formulate a suo carico erano sufficientemente precise da consentirgli di comprendere ciò che gli veniva addebitato.

179    Ne consegue che il regolamento impugnato è stato adottato in violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

180    Peraltro, la possibilità per il ricorrente di essere sentito dal comitato per le sanzioni nell’ambito della procedura di riesame, al fine di ottenere la propria radiazione dall’elenco di tale comitato non è manifestamente idonea a rimediare a tale violazione dei suoi diritti della difesa (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punti 319‑325, e citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nell’ambito di tale causa, paragrafo 51).

181    Inoltre, non avendo avuto il benché minimo accesso utile alle informazioni e agli elementi probatori assunti a suo carico e tenuto conto dei rapporti, già rilevati dai giudici comunitari, esistenti tra i diritti della difesa e il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, il ricorrente non ha neppure potuto difendere i propri diritti con riferimento a tali elementi in condizioni soddisfacenti dinanzi al giudice comunitario, cosicché deve del pari rilevarsi una violazione del citato diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punto 349).

182     Si deve inoltre rilevare che nell’ambito del presente ricorso non è stato posto rimedio a tale violazione. Infatti, dal momento che nessuna informazione o elemento probatorio di siffatta natura può essere oggetto di verifica da parte del giudice comunitario, secondo la posizione di principio adottata dalla Commissione e sostenuta dal Consiglio nonché dai governi intervenienti, tali istituzioni non hanno fatto valere alcun elemento a tal fine (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punto 350). Peraltro, benché nell’ambito del presente ricorso la Commissione abbia preso atto dell’insegnamento della sentenza Kadi della Corte, deve rilevarsi che tale istituzione non ha fornito alcuna indicazione quanto agli elementi probatori fatti valere a carico del ricorrente.

183    Il Tribunale può quindi solo constatare di non essere in grado di procedere al controllo della legittimità del regolamento impugnato, cosicché deve concludersi che, anche per tale motivo, il diritto fondamentale ad un ricorso giurisdizionale effettivo di cui il ricorrente beneficia non è stato, nella fattispecie, rispettato (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punto 351).

184    Deve pertanto concludersi che il regolamento impugnato è stato adottato senza fornire alcuna garanzia reale quanto alla comunicazione delle informazioni e degli elementi probatori a carico del ricorrente o quanto alla possibilità per il medesimo di essere utilmente ed effettivamente sentito in proposito, cosicché si deve constatare che tale regolamento è stato adottato nell’ambito di un procedimento in cui non sono stati rispettati i diritti della difesa, il che ha avuto altresì come conseguenza la violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punto 352).

185    Infine, per quanto riguarda l’argomento del Consiglio secondo cui le garanzie procedurali supplementari poste in essere nella fattispecie dalla Commissione, a seguito della sentenza Kadi della Corte, corrispondono a quelle attuate dal Consiglio stesso a seguito della sentenza OMPI, e che sono state approvate dal Tribunale nella sentenza PMOI I, tale argomento disconosce le profonde differenze procedurali esistenti tra i due regimi comunitari indicati di congelamento dei capitali.

186    Il regime comunitario di congelamento dei capitali di cui alle cause che hanno dato origine alle sentenze OMPI e PMOI I è infatti caratterizzato da un procedimento a due livelli, l’uno nazionale, l’altro comunitario (sentenza OMPI, punto 117). In tale regime i diritti della difesa sono anzitutto effettivamente garantiti nell’ambito del procedimento nazionale, in cui l’interessato deve essere posto in grado di far conoscere utilmente il suo punto di vista in merito agli elementi fatti valere a suo carico (sentenza OMPI, punto 119), sotto il controllo dei giudici nazionali o, se del caso, della Corte eur. D.U. (sentenza OMPI, punto 121). Sono proprio tali garanzie dei diritti della difesa esistenti a livello nazionale, soggette ad un controllo giurisdizionale effettivo, che dispensano le istituzioni comunitarie da qualsiasi obbligo di prevedere nuovamente garanzie vertenti sullo stesso oggetto a livello comunitario (v., in tal senso, sentenza OMPI, punti 121‑125).

187    A differenza di questo primo regime, il regime comunitario di congelamento dei capitali di cui trattasi nella fattispecie, pur prevedendo anch’esso un procedimento a due livelli, il primo a livello dell’ONU, l’altro a livello comunitario, è caratterizzato da un’assenza di garanzie dei diritti della difesa su cui si eserciti un controllo giurisdizionale effettivo nell’ambito del procedimento dinanzi al comitato per le sanzioni (v. punti 127 e 128 supra). Ne consegue, contrariamente a quanto stabilito nella causa OMPI, che le istituzioni comunitarie sono tenute a vigilare affinché siffatte garanzie siano instaurate ed attuate a livello comunitario (v. altresì, in tal senso, le citate conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nell’ambito della sentenza Kadi della Corte, paragrafo 54).

188    Da tutte le considerazioni che precedono risulta che il secondo motivo è fondato in entrambe le sue parti, basate rispettivamente su una violazione dei diritti della difesa e su una violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza Kadi della Corte, punto 353).

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

 Argomenti delle parti

189    Il ricorrente, che si riferisce alla sentenza Kadi della Corte (punti 283, 284, 355, 358, 360, 362, 369 e 370), afferma che il pregiudizio al suo diritto di proprietà derivante dal regolamento impugnato è ancora più grave di quello derivante dal regolamento n. 881/2002 di cui si trattava nella causa che ha dato origine a tale sentenza, in ragione della sua durata.

190    Egli osserva che, pertanto, la limitazione imposta dal regolamento impugnato non è giustificata, poiché quest’ultimo è stato adottato senza nessuna delle garanzie che la Corte ha considerato essere costitutive delle esigenze fondamentali del diritto comunitario e non è basato su prove convincenti, bensì su semplici affermazioni.

191    Riferendosi, segnatamente, ai punti 355, 366, 369 e 370 della sentenza Kadi della Corte, la Commissione rileva che le circostanze della presente causa sono diverse da quelle della causa che ha dato origine alla sentenza citata. Per un verso, nella sua corrispondenza con il ricorrente la Commissione avrebbe ricordato che le persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni avevano la possibilità di rivolgersi direttamente al punto focale dell’ONU a New York, precisando l’indirizzo del servizio da contattare e il sito Web che consentiva di ottenere più ampie informazioni. Peraltro, la Commissione avrebbe fornito al ricorrente la possibilità di difendere le proprie ragioni dinanzi alle autorità dell’Unione. La Commissione ritiene di aver in tal modo correttamente applicato le procedure imposte dalla Corte.

 Giudizio del Tribunale

192    Dall’esame del secondo motivo risulta che il regolamento impugnato è stato adottato senza fornire alcuna garanzia reale che consentisse al ricorrente di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti, e ciò in un contesto in cui la restrizione del suo diritto di proprietà dev’essere ritenuta considerevole, data la portata generale e la persistenza delle misure di congelamento a suo carico (v., in tal senso, sentenze Hassan della Corte, punto 92, e Kadi della Corte, punto 369).

193    Si deve quindi concludere che, nelle circostanze della presente causa, l’applicazione al ricorrente delle misure restrittive derivanti dal regolamento n. 881/2002, a causa della sua inclusione nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento medesimo, effettuata mediante il regolamento impugnato, costituisce una restrizione ingiustificata del suo diritto di proprietà (v., in tal senso, sentenze Hassan della Corte, punto 93, e Kadi della Corte, punto 370).

194    Pertanto, le censure del ricorrente relative ad una violazione del principio di proporzionalità, nel pregiudizio che il regolamento impugnato ha arrecato al suo diritto fondamentale al rispetto della proprietà, sono fondate (v., in tal senso, sentenza Hassan della Corte, punto 94).

195    Dalle considerazioni che precedono consegue che il regolamento impugnato deve essere annullato, nei limiti in cui riguarda il ricorrente, senza che si debbano esaminare gli altri motivi di ricorso.

 Sulle spese

196    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. La Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda del ricorrente.

197    Ai termini dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, le istituzioni e gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Si deve quindi stabilire che il Consiglio, la Repubblica francese e il Regno Unito sopportino le loro spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento (CE) della Commissione 28 novembre 2008, n. 1190, recante centunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani è annullato nella parte in cui riguarda il sig. Yassin Abdullah Kadi.

2)      La Commissione europea è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal sig. Kadi.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea, la Repubblica francese e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.

Forwood

Moavero Milanesi

Schwarcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 settembre 2010.

Firme

Indice


Contesto normativo e fatti

Carta delle Nazioni Unite e Trattato CE

Azioni del Consiglio di sicurezza contro il terrorismo internazionale

Sentenze Kadi del Tribunale e della Corte

Seguito delle sentenze Kadi del Tribunale e della Corte

Procedimento

Conclusioni delle parti

Fatti

In diritto

Considerazioni preliminari

Sul livello di controllo giurisdizionale appropriato nella fattispecie

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul secondo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.