Language of document : ECLI:EU:C:2023:911

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

23 novembre 2023 (*) 

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Contratto di credito al consumo – Articolo 3, paragrafo 1 – Significativo squilibrio – Costo del credito extrainteressi – Articolo 7, paragrafo 1 – Azione dichiarativa – Interesse ad agire – Articolo 6, paragrafo 1 – Accertamento del carattere abusivo di una clausola – Conseguenze»

Nella causa C‑321/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy dla Warszawy - Śródmieścia w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia centro, Varsavia, Polonia), con decisione del 22 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria il 5 maggio 2022, nel procedimento

ZL,

KU,

KM

contro

Provident Polska S.A.,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei (relatrice), J.-C. Bonichot, S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe,

cancelliere: M. Siekierzyńska, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 marzo 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Provident Polska S.A., da M. Modzelewska de Raad, adwokat, A. Salbert e B. Wodzicki, radcowie prawni;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, M. Kozak e S. Żyrek, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da M. Brauhoff e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 giugno 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di tre controversie che vedono contrapposti, rispettivamente, ZL, KU e KM alla Provident Polska S.A. in merito alla validità di diverse clausole contenute in contratti di credito al consumo che ZL, KU e KM hanno stipulato con la Provident Polska o con un’altra società nei cui diritti quest’ultima è subentrata.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, dispone quanto segue:

«Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

4        L’articolo 4 di tale direttiva stabilisce quanto segue:

«1.      Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

5        Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della suddetta direttiva:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

6        L’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva così dispone:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

7        L’articolo 8 della direttiva 93/13 così recita:

«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

 Diritto polacco

 Il codice civile

8        L’ustawa – Kodeks cywilny (legge recante il codice civile), del 23 aprile 1964 (Dz. U. n. 16, posizione 93), nella versione in vigore all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), dispone al suo articolo 58:

«§ 1.      Un atto giuridico contrario alla legge o volto ad eludere la legge è nullo e non avvenuto, a meno che una disposizione pertinente non disponga diversamente, in particolare a meno che la stessa preveda che le disposizioni invalide dell’atto giuridico siano sostituite dalle pertinenti disposizioni della legge.

§ 2.      Un atto giuridico contrario alle norme di convivenza sociale è nullo.

§ 3.      Se solo una parte dell’atto giuridico è colpita da nullità, le altre parti dell’atto restano in vigore, a meno che non risulti dalle circostanze che l’atto non sarebbe stato eseguito in assenza delle disposizioni viziate da nullità».

9        L’articolo 3851, paragrafi 1 e 2, del medesimo codice, così dispone:

«§ 1.      Le clausole di un contratto concluso con un consumatore che non sono state oggetto di trattativa individuale non sono vincolanti per il consumatore qualora definiscano i suoi diritti ed obblighi in modo contrario al buon costume, integrando una grave violazione dei suoi interessi (clausole contrattuali illecite). La presente disposizione non si applica alle clausole che determinano le prestazioni principali delle parti, compreso il prezzo o la remunerazione, purché siano formulate in modo univoco.

§ 2.      Qualora una clausola contrattuale non sia vincolante per il consumatore ai sensi del paragrafo 1, la restante parte del contratto rimane vincolante tra le parti».

10      L’articolo 405 del citato codice prevede quanto segue:

«Chiunque abbia conseguito un arricchimento patrimoniale senza causa a danno di un’altra persona è tenuto a restituire tale arricchimento in natura o, se ciò non è possibile, a rimborsarne il valore».

11      L’articolo 410 del codice civile è redatto come segue:

«1.      Le disposizioni precedenti si applicano in particolare alla prestazione indebita.

2.      Una prestazione è indebita se colui che l’ha eseguita non era obbligato o non era obbligato nei confronti della persona a favore della quale l’ha eseguita, o se la causa della prestazione è venuta meno o se lo scopo previsto della prestazione non è stato raggiunto, o se l’atto giuridico su cui si basava l’obbligo di eseguire la prestazione era invalido e non ha acquistato validità dopo l’esecuzione della prestazione».

12      Ai sensi dell’articolo 720, paragrafo 1, di tale codice:

«Con il contratto di mutuo, il mutuante si impegna a trasferire al mutuatario la proprietà su una determinata somma di denaro o su cose determinate solo nel genere, e il mutuatario si impegna a restituire la stessa somma di denaro o la stessa quantità di cose dello stesso genere e della stessa qualità».

 Il codice di procedura civile

13      L’ustawa – Kodeks cywilny (legge recante il codice di procedura civile), del 17 novembre 1964 (Dz. U. n. 43, posizione 296), nella versione in vigore all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice di procedura civile»), dispone, al suo articolo 189:

«Un ricorrente può chiedere ad un giudice di dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico o di un diritto, purché abbia un interesse ad agire».

14      Ai sensi dell’articolo 316, paragrafo 1, di tale codice:

«Dopo la chiusura dell’udienza, il giudice emette la sentenza sulla base della situazione esistente alla chiusura dell’udienza; in particolare, il fatto che un credito sia divenuto esigibile nel corso del procedimento non osta all’emissione di una sentenza di condanna al pagamento di tale credito».

 La legge sul credito al consumo

15      L’ustawa o kredycie konsumenckim (legge relativa al credito ai consumatori), del 12 maggio 2011 (Dz. U. n. 126, posizione 715), nella versione in vigore all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, dispone al suo articolo 3:

«1.      Per “contratto di credito al consumo” si intende un contratto di credito per un importo non superiore a 255 550,00 [zloty polacchi (PLN)] o per il controvalore di tale importo in una valuta diversa dalla valuta polacca, in base al quale il creditore concede o s’impegna a concedere nell’ambito della propria attività un credito al consumatore.

2.      Per contratto di credito al consumo si intende in particolare:

1)      un contratto di credito;

(...)».

16      L’articolo 30, paragrafo 1, di tale legge, nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti del procedimento principale, prevede quanto segue:

«Il contratto di credito al consumo deve precisare:

(...)

3)      la durata del contratto;

(...)

8)      le condizioni e le scadenze di rimborso del credito (...)

(...)».

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

17      ZL, KU e KM hanno stipulato contratti di credito al consumo con la Provident Polska o con un’altra società alla quale è subentrata la Provident Polska.

18      Il contratto concluso con ZL l’11 settembre 2019 riguardava un mutuo di PLN 8 100 (circa EUR 1 810), ad un tasso d’interesse annuo del 10%. Conformemente a tale contratto, l’importo dovuto è, in totale, di PLN 15 531,73 (circa EUR 3 473), che doveva essere oggetto di 90 pagamenti settimanali di circa PLN 172 (circa EUR 38).

19      L’importo totale dovuto comprende, oltre all’importo preso a prestito di PLN 8 100 (circa EUR 1 810), un costo totale del mutuo a carico del mutuatario di PLN 7 431,73 (circa EUR 1 662). Tale costo totale è composto, da un lato, da interessi per PLN 1 275,73 (circa EUR 285) e, dall’altro, dai costi al netto degli interessi per PLN 6 156 (circa EUR 1 377), ossia una «commissione di esborso» di PLN 4 050 (circa EUR 906), dalle «spese di pratica» di PLN 40 (circa EUR 9) e dalle «spese di piano di rimborso flessibile» di PLN 2 066 (circa EUR 462).

20      Tale «piano di rimborso flessibile», che il mutuatario era tenuto a sottoscrivere, si articola in due parti. Da un lato, esso consiste nella concessione al mutuatario, a determinate condizioni, della facoltà di differire un numero massimo di quattro scadenze, che sono rinviate alla fine del periodo normale di rimborso, senza maggiorazione degli interessi. Dall’altro, esso comporta una «garanzia della sostenibilità dell’obbligo di rimborso», con la quale il mutuante rinuncia a qualsiasi credito ancora dovuto in forza del contratto di mutuo in caso di decesso del mutuatario durante la vigenza di tale contratto.

21      Conformemente al punto 6.a del contratto di mutuo di cui trattasi, gli importi dovuti alle 90 scadenze settimanali sono pagabili esclusivamente in contanti tramite un agente del mutuante, durante le visite di quest’ultimo al domicilio del mutuatario.

22      Il contratto concluso con KU il 13 ottobre 2020 riguarda un mutuo di PLN 6 240 (circa EUR 1 395), ad un tasso d’interesse annuo del 7,2%. Tale importo è composto da una somma di PLN 6 000 (circa EUR 1 342) versata in contanti e da una somma di PLN 240 (circa EUR 53), il cui contratto precisa che è stato versato su un conto secondo istruzioni del mutuatario figuranti nella domanda di mutuo . Conformemente a detto contratto, l’importo dovuto è, in totale, di PLN 9 450,71 (circa EUR 2 113), che doveva essere oggetto di 60 pagamenti settimanali di circa PLN 157 (circa EUR 35).

23      L’importo totale dovuto comprende, oltre all’importo preso a prestito di PLN 6 240 (circa EUR 1 395), un costo totale del mutuo a carico del mutuatario di PLN 3 210,71 (circa EUR 718). Tale costo totale è composto, da un lato, da interessi per PLN 385,87 (circa EUR 86) e, dall’altro, dai costi al netto degli interessi per PLN 2 824,84 (circa EUR 632), ossia una «commissione di esborso» di PLN 556,96 (circa EUR 125), dalle «spese di pratica» di PLN 40 (circa EUR 9) e dalle «spese di piano di rimborso flessibile» di PLN 2 227,88 (circa EUR 498).

24      Detto contratto prevede che le scadenze settimanali siano pagabili al domicilio del mutuatario secondo modalità identiche a quelle descritte al punto 21 della presente sentenza.

25      Il contratto concluso con KM il 7 agosto 2019 riguarda un mutuo di PLN 6 000 (circa EUR 1 343), ad un tasso d’interesse annuo del 10%. Conformemente a tale contratto, l’importo dovuto è, in totale, di PLN 12 318,03 (circa EUR 2 757), che deve essere oggetto di 27 pagamenti mensili di circa PLN 456 (circa EUR 102).

26      L’importo totale dovuto comprende, oltre all’importo preso a prestito di PLN 6 000 (circa EUR 1 343), un costo totale del mutuo a carico del mutuatario di PLN 6 318,03 (circa EUR 1 414). Tale costo totale è composto, da un lato, da interessi pari a PLN 793,83 (circa EUR 178) e, dall’altro, dai costi al netto degli interessi, vale a dire una «commissione di esborso» di PLN 4 143,15 (circa EUR 927) e dalle «spese di gestione» di PLN 1 381,05 (circa EUR 309).

27      ZL, KU e KM, ciascuno nella parte che lo riguarda, hanno presentato dinanzi al Sąd Rejonowy dla Warszawy-Śródmieścia w Warszawie (tribunale circondariale di Varsavia centro, Varsavia, Polonia), giudice del rinvio, domande relative ai contratti che li vincolano alla Provident Polska, in data, rispettivamente, 15 aprile, 17 maggio e 14 settembre 2021.

28      Nelle loro ultime memorie dinanzi al giudice del rinvio, ciascuno di essi chiede al giudice, in sostanza, di dichiarare l’inopponibilità nei propri confronti delle clausole del contratto di mutuo che lo riguarda relative ai costi del credito diversi dagli interessi, a causa del loro carattere abusivo dovuto alla manifesta eccessività e irragionevolezza delle spese e delle commissioni di cui trattasi. Tali spese e commissioni sarebbero sproporzionate rispetto all’importo prestato e costituirebbero, di fatto, la principale fonte di reddito del mutuante.

29      La domanda di KU riguarda altresì la somma di PLN 240 (circa EUR 53) che nel contratto di mutuo che lo riguarda è stata menzionata come versata su un conto secondo le istruzioni del mutuatario figuranti nella domanda di mutuo.

30      La Provident Polska chiede il rigetto dei ricorsi di ZL, di KU e di KM e ha proposto nei confronti di ciascuno di essi una domanda riconvenzionale avente ad oggetto la loro condanna a versarle somme corrispondenti a una parte delle spese e delle commissioni previste dal contratto di mutuo che li riguarda e che non era ancora stata pagata. Le ricorrenti nel procedimento principale chiedono altresì il rigetto di tale domanda riconvenzionale.

31      In primo luogo, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che clausole che fissano spese o commissioni dovute a un professionista possono essere dichiarate abusive per il solo motivo che tali spese o commissioni sono palesemente eccessive rispetto alla prestazione del professionista.

32      A tal riguardo, esso indica che è normale che un’impresa di credito cerchi di coprire i suoi costi di gestione nonché i rischi di mancato pagamento e di procurarsi un utile. Esso ritiene tuttavia che, nei procedimenti principali, la remunerazione che il mutuante si concede in un periodo di tempo relativamente breve superi tale norma, dal momento che tale remunerazione corrisponde a diverse decine di punti percentuali dell’importo prestato, o addirittura è vicina a tale importo.

33      Essa ritiene che i costi legati al «piano di rimborso flessibile» e alla «commissione di esborso» siano molto elevati e non corrispondano a un servizio reale, e che i costi reali coperti dalle «spese di pratica» siano trascurabili. Essa rileva che tali spese, al pari della «commissione di esborso», si riferiscono, in definitiva, unicamente alla concessione del mutuo di cui trattasi.

34      L’esame dei dati relativi ai procedimenti principali nonché a una decina di altri che sono stati oggetto di recenti decisioni di varie sezioni del tribunale di cui fa parte il giudice del rinvio induce quest’ultimo a ritenere che il modello economico della resistente nel procedimento principale possa consistere nel concedere prestiti per importi poco elevati per brevi periodi traendo un beneficio non solo dagli interessi, ma soprattutto dai costi di credito extrainteressi, i quali rappresenterebbero generalmente tra il 70 e il 90% dell’importo prestato.

35      Peraltro, il giudice del rinvio osserva che una percentuale significativa dei prestiti concessi dalla convenuta nel procedimento principale riguarda le stesse persone. Essa considera, al riguardo, che è noto che le persone che contraggono prestiti a breve termine sono generalmente persone che hanno difficoltà di gestione delle loro finanze e che, non potendo ottenere un mutuo presso una banca, si rivolgono ad istituti di credito che concedono prestiti a condizioni molto sfavorevoli, i cui costi sono talmente elevati che i mutuatari spesso non hanno altra soluzione se non quella di contrarre un nuovo mutuo per rimborsare il precedente, entrando così in una «spirale di indebitamento», per importi crescenti, finendo per superare ampiamente la somma inizialmente presa in prestito.

36      In secondo luogo, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e con il principio di effettività dell’articolo 189 e dell’articolo 316, paragrafo 1, del codice di procedura civile, come interpretati dal Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia).

37      Conformemente a tali disposizioni del codice di procedura civile, un’azione di accertamento può essere accolta solo se il ricorrente dimostra di avere un interesse ad agire e che tale interesse persiste fino alla chiusura del dibattimento. Il giudice del rinvio espone che, secondo la giurisprudenza del Sąd Najwyższy (Corte suprema), un siffatto interesse sussiste qualora il chiarimento di una situazione giuridica sia oggettivamente giustificato da dubbi e sia necessario. Ciò sarebbe escluso, in particolare, qualora una tutela più completa di un asserito diritto possa essere ottenuta mediante un’altra azione giudiziaria, ad esempio perché vi è stata una violazione di tale diritto che, a sua volta, fa sorgere un diritto a prestazione tutelabile.

38      Nel caso di un debitore, quest’ultimo avrebbe un interesse a far accertare la portata, o addirittura l’esistenza della sua obbligazione, fintantoché il suo creditore non abbia chiesto l’esecuzione di tale obbligazione. Qualora tale esecuzione sia stata richiesta, il debitore deve provvedere alla propria difesa nell’ambito del procedimento relativo a tale domanda di esecuzione. Analogamente, se un debitore ha pagato una somma in esecuzione di un’obbligazione che ritiene dubbia, egli disporrebbe di un’azione più estesa di un’azione di accertamento, vale a dire un’azione di ripetizione dell’indebito.

39      Il dubbio del giudice del rinvio deriva dal fatto che, sebbene un consumatore dimostri l’inopponibilità o la nullità di un contratto o di parti di esso, la sua azione di accertamento deve essere respinta se non dimostra il suo interesse ad agire. Inoltre, l’assenza di una definizione legale di tale nozione provocherebbe divergenze nelle decisioni emesse al riguardo e, di conseguenza, un’incertezza per i consumatori, che potrebbe indurli ad esitare a proporre un’azione di accertamento del carattere abusivo di clausole di un contratto stipulato con un professionista, visto il rischio che tale azione sia respinta per mancanza di interesse ad agire e che essi debbano pertanto sopportarne le spese.

40      In terzo e ultimo luogo, il giudice del rinvio si chiede se il principio di proporzionalità e il principio della certezza del diritto ostino all’annullamento dei contratti conclusi da ZL e KU a causa dell’invalidità della clausola secondo la quale i pagamenti settimanali possono essere effettuati solo in contanti tramite un agente della Provident Polska durante le visite di quest’ultimo presso il domicilio del mutuatario. Infatti, tale clausola sarebbe abusiva, in quanto non presenterebbe alcun vantaggio per il mutuatario, ma gli impedirebbe di effettuare i rimborsi settimanali con lo strumento usuale di versamenti bancari, e si spiegherebbe solo con la possibilità che essa offre al mutuante di esercitare una pressione emotiva sul mutuatario. Di conseguenza, detta clausola non vincolerebbe quest’ultimo.

41      Il giudice del rinvio espone al riguardo che l’eliminazione dell’elemento abusivo della clausola che fissa le modalità di rimborso del mutuo equivarrebbe a rivedere il contenuto di quest’ultima incidendo sulla sua sostanza, cosicché dovrebbe essere l’integralità di tale clausola a non vincolare il consumatore. Orbene, in assenza di detta clausola, i contratti di cui trattasi non potrebbero più essere eseguiti, in quanto non conterrebbero più alcuna disposizione relativa alle modalità di rimborso e non sarebbe possibile interpretarli nel senso che autorizzano rimborsi mediante versamento bancario, poiché le parti hanno inteso escludere tale modalità di rimborso. Peraltro, non occorrerebbe applicare le disposizioni suppletive del diritto nazionale, poiché l’impossibilità di eseguire i contratti di cui trattasi non esporrebbe i consumatori interessati a conseguenze particolarmente dannose, poiché essi sarebbero unicamente tenuti a rimborsare l’importo del mutuo principale.

42      È in tale contesto che il Sąd Rejonowy dla Warszawy-Śródmieścia w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia centro, Varsavia, Polonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che ammette la dichiarazione di abusività di una clausola contrattuale che concede ad un professionista una commissione o spese di un’entità palesemente eccessiva rispetto al valore del servizio da esso prestato.

2)      Se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e il principio di effettività debbano essere interpretati nel senso che ostano a disposizioni di diritto nazionale o all’interpretazione giurisprudenziale di tali disposizioni nazionali ai sensi delle quali la sussistenza dell’interesse ad agire del consumatore costituisce una condizione necessaria perché sia accolta la domanda, proposta dal consumatore nei confronti del professionista, di accertamento della nullità o dell’inefficacia di un contratto o di una sua parte, contenente clausole contrattuali abusive.

3)      Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e i principi di effettività, di proporzionalità e di certezza del diritto debbano essere interpretati nel senso che ammettono che un contratto di prestito, la cui unica clausola (...) dichiarata abusiva sia quella che stabilisce le condizioni di rimborso del prestito, non possa rimanere in vigore dopo l’esclusione di tale clausola e che, quindi, sia nullo».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

43      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che può avere carattere abusivo una clausola relativa a costi extrainteressi di un contratto di mutuo concluso tra un professionista e un consumatore che preveda il pagamento da parte di quest’ultimo di spese o di una commissione di importo manifestamente sproporzionato rispetto al servizio fornito in cambio.

44      Va ricordato che, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

45      Secondo costante giurisprudenza, per quanto riguarda l’esame della sussistenza di un siffatto significativo squilibrio, esso non può limitarsi ad una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto, da un lato, e i costi posti a carico del consumatore dalla clausola contrattuale di cui trattasi, dall’altro. Infatti, un significativo squilibrio può risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto di cui trattasi, viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili, sia esso in forma di restrizione al contenuto dei diritti che, ai sensi di tali disposizioni, egli trae da tale contratto o di ostacolo all’esercizio dei medesimi o ancora dell’imposizione di un obbligo ulteriore, non previsto dalla disciplina nazionale [sentenze del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punto 51 e del 16 marzo 2023, Caixabank (Commissione di apertura del mutuo), C‑565/21, EU:C:2023:212, punto 51].

46      Da tale giurisprudenza discende che il giudice nazionale, qualora accerti che una valutazione economica di natura quantitativa non fa emergere un significativo squilibrio, non può limitare il suo esame a tale valutazione. Esso è tenuto, in un caso del genere, ad esaminare se un tale squilibrio risulti da un altro elemento, come una restrizione ad un diritto derivante dal diritto nazionale o un obbligo supplementare non previsto da tale diritto.

47      Per contro, qualora una valutazione economica di natura quantitativa riveli un significativo squilibrio, quest’ultimo può essere accertato senza che sia necessario esaminare altri elementi. Nel caso di un contratto di credito, un siffatto accertamento può essere effettuato, in particolare, se i servizi forniti come corrispettivo dei costi extrainteressi non rientrano ragionevolmente tra le prestazioni effettuate nell’ambito della conclusione o della gestione di tale contratto, o se gli importi posti a carico del consumatore a titolo di spese di concessione e di gestione del mutuo appaiono manifestamente sproporzionati rispetto all’importo prestato. Il giudice del rinvio deve tener conto, al riguardo, dell’effetto delle altre clausole contrattuali al fine di stabilire se le suddette clausole determinino un significativo squilibrio a danno del mutuatario (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska (C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punto 95).

48      Nel caso di specie, il giudice del rinvio esprime dubbi quanto alla proporzionalità del rapporto tra l’importo prestato a ciascuno dei ricorrenti nel procedimento principale e l’importo totale dei costi al netto degli interessi posti a suo carico, importo che appare manifestamente sproporzionato rispetto, al contempo, alle prestazioni che sono normalmente inerenti alla concessione e alla gestione di un credito nonché all’importo dei crediti concessi. Dalla giurisprudenza ricordata al punto precedente risulta che un siffatto accertamento è idoneo a configurare un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

49      Ciò premesso, spetta al giudice del rinvio verificare preliminarmente se l’esame del carattere eventualmente abusivo delle clausole contrattuali in questione, relative ai costi del credito extrainteressi, non sia escluso in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

50      Occorre ricordare al riguardo che, secondo l’articolo 8, della direttiva succitata, la valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

51      A tal riguardo, occorre ricordare che una commissione che copra la remunerazione dei servizi connessi all’esame, alla concessione o al trattamento del mutuo o del credito o di altri servizi analoghi inerenti all’attività del mutuante occasionata dalla concessione del mutuo o del credito non può essere considerato come rientrante negli impegni principali risultanti da un contratto di credito. [v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2023, Caixabank (Commissione di apertura del mutuo), C‑565/21, EU:C:2023:212, punti 22 e 23].

52      Invece, le clausole relative alla contropartita dovuta dal consumatore al mutuante o che incidono sul prezzo effettivo da pagare a quest’ultimo da parte del consumatore non rientrano dunque, in linea di principio, in tale seconda categoria di clausole, salvo per quanto riguarda la questione se l’importo della contropartita o del prezzo quale stabilito nel contratto sia commisurato al servizio fornito in cambio dal mutuante. (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

53      Il governo polacco fa tuttavia presente che l’articolo 3851, paragrafo 1, del codice civile, che costituirebbe il recepimento dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 nel diritto polacco, autorizza l’esame del rapporto tra il prezzo e il servizio quando si tratta di clausole che non sono connesse alle prestazioni principali delle parti, stabilendo così una tutela più ampia del consumatore. Orbene, poiché una siffatta disposizione nazionale conferisce effettivamente una portata più restrittiva all’eccezione stabilita da detto articolo 4, paragrafo 2, consentendo un controllo più esteso del carattere eventualmente abusivo delle clausole contrattuali che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, essa rientra nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito da detta direttiva e rientra nella facoltà, conferita agli Stati membri dall’articolo 8 di quest’ultima, di adottare o mantenere disposizioni più rigorose volte a garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore. (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska, C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punti da 83 a 85).

54      Peraltro, se il carattere abusivo di una clausola del genere è dedotto dinanzi al giudice nazionale a causa dell’assenza di prestazione effettiva del mutuante che può costituire la contropartita di una commissione da essa prevista, la questione così sollevata non verte sulla congruità tra l’importo di tale commissione e una qualsivoglia prestazione, e non rientra pertanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

55      Inoltre, spetta al giudice nazionale verificare se il consumatore sia stato informato dei motivi che giustificano il pagamento di detta commissione (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punto 41).

56      Infine, occorre rilevare che l’esclusione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non pregiudica, in ogni caso, il rispetto del requisito di trasparenza imposto da tale disposizione, che ha la stessa portata del requisito di cui all’articolo 5 di tale direttiva e deve intendersi nel senso che impone non solo che la clausola di cui trattasi sia intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale, ma anche che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punti 36 e 37 e giurisprudenza ivi citata).

57      A tal riguardo, occorre ricordare che, senza che il mutuante sia tenuto a precisare nel contratto la natura di tutti i servizi forniti a fronte delle spese o delle commissioni previste da talune clausole contrattuali, occorre, da un lato, che la natura dei servizi effettivamente forniti possa essere ragionevolmente compresa o dedotta a partire dal contratto considerato nel suo complesso e, dall’altro, che il consumatore sia in grado di verificare che non vi sia sovrapposizione tra le diverse spese o tra i servizi che sono posti a suo carico. Tale esame deve essere effettuato alla luce di tutti gli elementi di fatto pertinenti, tra i quali figurano non solo le clausole del contratto di cui trattasi, ma anche la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione del contratto (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punti 44 e 45).

58      Ne consegue che, se il giudice del rinvio dovesse accertare che le clausole di cui trattasi non sono formulate in modo chiaro e comprensibile, esse dovrebbero, in ogni caso, essere oggetto di una valutazione del loro eventuale carattere abusivo, anche qualora detto giudice ritenesse peraltro che tali clausole facciano parte dell’oggetto principale del contratto o che esse siano di fatto contestate con riferimento alla congruità del prezzo o della remunerazione rispetto ai servizi forniti in cambio (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

59      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, purché l’esame del carattere eventualmente abusivo di una clausola relativa a costi extrainteressi di un contratto di mutuo stipulato tra un professionista e un consumatore non sia escluso in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, in combinato disposto con l’articolo 8 della stessa, il carattere abusivo di una siffatta clausola può essere accertato in considerazione del fatto che tale clausola prevede il pagamento da parte di tale consumatore di spese o di una commissione di importo manifestamente sproporzionato rispetto al servizio fornito in cambio.

 Sulla seconda questione

60      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce del principio di effettività, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come interpretata nella giurisprudenza, che impone, affinché possa essere accolta l’azione giudiziaria di un consumatore diretta a far dichiarare l’inopponibilità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato con un professionista, la prova di un interesse ad agire, qualora si ritenga che un siffatto interesse non sussista quando tale consumatore dispone di un altro ricorso più protettivo dei suoi diritti, in particolare un’azione di ripetizione dell’indebito, o quando egli può far valere tale inopponibilità nell’ambito della sua risposta ad un’azione riconvenzionale di esecuzione intentata nei suoi confronti da tale professionista sulla base di tale clausola.

61      In via preliminare, occorre ricordare che, in mancanza di una disciplina specifica dell’Unione in materia, le modalità di attuazione della tutela dei consumatori prevista dalla direttiva 93/13 rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Tali modalità, tuttavia, non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 13 luglio 2023, CAJASUR Banco, C‑35/22, EU:C:2023:569, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

62      Pertanto, fatto salvo il rispetto di questi due principi, la questione dell’interesse ad agire di un consumatore nell’ambito di un’azione diretta a far dichiarare l’inopponibilità di clausole abusive nonché quella dell’onere delle spese di una siffatta azione rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri.

63      Per quanto concerne, più in particolare, il principio di effettività, che è l’unico di tali principi preso in considerazione nella presente questione occorre rilevare che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento nonché dello svolgimento e delle peculiarità di quest’ultimo dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 13 luglio 2023, CAJASUR Banco, C‑35/22, EU:C:2023:569, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

64      Inoltre, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico alla tutela dei consumatori, i quali si trovano in una situazione d’inferiorità rispetto ai professionisti, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, di prevedere mezzi adeguati ed efficaci «per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» (sentenza del 13 luglio 2023, CAJASUR Banco, C‑35/22, EU:C:2023:569, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

65      Pertanto, detta direttiva conferisce a un consumatore il diritto di rivolgersi a un giudice al fine di far accertare il carattere abusivo di una clausola contrattuale che un professionista ha concluso con lui e di far escludere l’applicazione di quest’ultima (sentenza del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).

66      Inoltre, l’obbligo degli Stati membri di prevedere modalità procedurali che consentano di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza della direttiva 93/13 contro l’utilizzo di clausole abusive implica un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva, sancita parimenti dall’articolo 47 della Carta. Tale tutela deve valere, in particolare, per quanto riguarda la definizione delle modalità procedurali relative alle azioni fondate sul diritto dell’Unione. Tuttavia, la tutela del consumatore non è assoluta. Pertanto, la circostanza che una determinata procedura comporti vari requisiti procedurali che il consumatore deve rispettare al fine di far valere i suoi diritti non significa comunque che egli non goda di una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punti 49 e 50 e giurisprudenza citata).

67      A tal riguardo, occorre rilevare che la sussistenza di un interesse ad agire costituisce il presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale (sentenza del 23 novembre 2017, Bionorica e Diapharm/Commissione, C‑596/15 P e C‑597/15 P, EU:C:2017:886, punto 83). Evitando in particolare che i giudici siano ostacolati da azioni che mirerebbero, di fatto, ad ottenere consulenze giuridiche, il requisito di un interesse ad agire persegue un interesse generale di buona amministrazione della giustizia e può prevalere sugli interessi particolari (v., per analogia, sentenza del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

68      Di conseguenza, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 30 a 32 delle sue conclusioni, si deve ritenere che un siffatto requisito sia, in linea di principio, legittimo.

69      Solo nel caso in cui norme procedurali fossero così complesse e contenessero requisiti così gravosi da andare al di là di quanto necessario per raggiungere il loro obiettivo tali norme inciderebbero in modo sproporzionato sul diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 52) e, di conseguenza, sarebbero contrari al principio di effettività, in quanto renderebbero eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dalla direttiva 93/13.

70      Nel caso di specie, dagli elementi sottoposti alla Corte risulta che i consumatori, che sono i ricorrenti nel procedimento principale, avevano già parzialmente adempiuto alle obbligazioni stipulate nelle clausole di cui trattasi quando hanno proposto azioni dirette a far dichiarare il loro carattere abusivo. In tale contesto, il giudice del rinvio sembra indicare che, alla luce delle pertinenti disposizioni del diritto nazionale, come interpretate nella giurisprudenza nazionale, le azioni di accertamento di cui è stato investito dovrebbero essere respinte per mancanza di interesse ad agire e i consumatori dovrebbero essere condannati alle spese di tali azioni, per due motivi.

71      In primo luogo, qualora una persona abbia già adempiuto, nel caso di specie parzialmente, un’obbligazione contrattuale, la mancanza di interesse ad agire per accertare l’inesistenza di tale obbligazione deriverebbe dal fatto che tale persona dispone di un’azione considerata maggiormente protettiva dei suoi diritti, vale a dire un’azione di ripetizione dell’indebito, nell’ambito della quale essa potrebbe ottenere la condanna della sua controparte contrattuale a rimborsarle le somme pagate in esecuzione dell’obbligazione controversa.

72      In secondo luogo, qualora una persona contesti l’esistenza di un’obbligazione che non ha ancora adempiuto, anche solo in parte, essa perderebbe il suo interesse a proporre l’azione di accertamento qualora il suo contraente proponga un’azione diretta ad ottenere l’adempimento di tale obbligazione, nella fattispecie un’azione riconvenzionale, a causa della possibilità di far valere l’inesistenza dell’obbligazione di cui trattasi nell’ambito della sua risposta all’azione di tale controparte.

73      Il governo polacco contesta tuttavia che la giurisprudenza del Sąd Najwyższy (Corte suprema) relativa all’applicazione dell’articolo 189 e dell’articolo 316, paragrafo 1, del codice di procedura civile comporti le implicazioni descritte dal giudice del rinvio. Occorre tuttavia ricordare che, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non compete alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali e giudicare se l’interpretazione o l’applicazione a cui procede il giudice nazionale sia corretta, poiché un’interpretazione del genere rientra nella competenza esclusiva di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2020, Sociálna poisťovňa, C‑799/19, EU:C:2020:960, punti 44 e 45 e giurisprudenza citata). È quindi sulla base delle indicazioni fornite dal giudice del rinvio che sono formulate le seguenti considerazioni.

74      Nella prima situazione, menzionata al punto 71 della presente sentenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, respingere l’azione del consumatore di accertamento del carattere abusivo delle clausole contrattuali per mancanza di un interesse ad agire idoneo, ma non di qualsiasi interesse ad agire, e condannarlo alle spese rinviando al giudice competente equivarrebbe ad introdurre nei procedimenti diretti ad accordare ai consumatori la tutela voluta dalla direttiva 93/13 una fonte di complessità, di gravosità, di spese e di incertezza giuridica inutili, tale da dissuaderli dal far valere i diritti che essi traggono da tale direttiva, in violazione del principio di effettività.

75      Inoltre, come sottolineato nello stesso paragrafo delle conclusioni dell’avvocato generale, in un contesto come quello dei procedimenti principali, il rigetto dell’azione di accertamento del consumatore e l’obbligo per quest’ultimo di proporre un’azione maggiormente protettiva dei suoi diritti, mentre il giudice del rinvio sarà in ogni caso tenuto ad esaminare la problematica giuridica interessata da tale azione di accertamento nell’ambito dell’azione riconvenzionale proposta dal professionista, sarebbe contrario all’interesse generale ad una buona amministrazione della giustizia, in particolare all’esigenza di economia processuale.

76      Infine, nei limiti in cui si debba ritenere che la seconda questione verta anche sulla seconda situazione, menzionata al punto 72 della presente sentenza, in cui il consumatore, dopo aver proposto un’azione di accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale, perderebbe il proprio interesse ad agire nel corso del procedimento a causa della proposizione, da parte del professionista, di un’azione riconvenzionale volta ad ottenere l’adempimento delle obbligazioni stipulate in tale clausola, il fatto di respingere l’azione del consumatore e di condannarlo alle spese di quest’ultima, indipendentemente dall’eventuale accertamento del carattere abusivo di detta clausola abusiva, equivarrebbe a far gravare su di lui un rischio finanziario tanto più ingiustificato in quanto il verificarsi di tale rischio dipenderebbe esclusivamente da un’iniziativa processuale del professionista. Orbene, far dipendere l’esito della ripartizione delle spese dall’azione del consumatore da una siffatta iniziativa del professionista sarebbe tale da dissuadere il consumatore dall’esercitare il suo diritto di rivolgersi ad un giudice al fine di far accertare il carattere abusivo di una clausola contrattuale e di farla disapplicare, in violazione del principio di effettività (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).

77      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce del principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come interpretata nella giurisprudenza, che impone, affinché possa essere accolta l’azione giudiziaria di un consumatore diretta a far accertare l’inopponibilità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso con un professionista, la prova di un interesse ad agire, qualora si ritenga che un siffatto interesse non sussista quando tale consumatore dispone di un’azione di ripetizione dell’indebito o quando egli può far valere detta inopponibilità nell’ambito della propria difesa contro una domanda riconvenzionale di adempimento proposta nei suoi confronti da tale professionista sulla base di detta clausola.

 Sulla terza questione

78      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce dei principi di effettività, di proporzionalità e di certezza del diritto, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un contratto di mutuo concluso tra un professionista e un consumatore sia dichiarato nullo nell’ipotesi in cui si accerti che solo la clausola di tale contratto che fissa le modalità concrete di pagamento delle somme dovute alle scadenze periodiche è abusiva e che detto contratto non può sussistere senza tale clausola.

79      Il giudice del rinvio indica al riguardo che l’unica clausola che fissa tutte le modalità e le scadenze di rimborso dei prestiti di cui trattasi contiene una pattuizione secondo cui il consumatore può effettuare i pagamenti settimanali solo in contanti tramite un agente della Provident Polska durante le visite di quest’ultimo al domicilio del consumatore. Essa ritiene che una clausola del genere sia abusiva per il motivo che, in sostanza, non risponde ad alcun altro obiettivo se non quello di porre il mutuante in condizione di esercitare una pressione illegittima sul mutuatario. Di conseguenza, occorrerebbe invalidare tale pattuizione e, di conseguenza, l’intera clausola nella quale essa si inserisce, poiché un intervento limitato alla soppressione di detta pattuizione equivarrebbe a rivedere il contenuto di tale clausola modificando la sua sostanza. Orbene, in assenza di altre clausole che consentano di determinare le modalità di rimborso di tali prestiti, sarebbe impossibile eseguire i contratti di cui trattasi.

80      Per quanto riguarda le conseguenze da trarre dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola di un contratto tra un consumatore e un professionista, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone che gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.

81      Secondo costante giurisprudenza della Corte, tale disposizione, e in particolare la sua seconda parte di frase, ha lo scopo non di annullare tutti i contratti contenenti clausole abusive, ma di sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, fermo restando che il contratto di cui trattasi deve, in via di principio, sussistere senza nessun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive. A condizione che quest’ultima condizione sia soddisfatta, il contratto in questione può essere mantenuto purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile, il che va verificato secondo un approccio obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

82      Tale approccio oggettivo implica, segnatamente, che la situazione di una delle parti del contratto non può essere considerata il criterio determinante che disciplina la sorte futura di un contratto contenente una o diverse clausole abusive di modo che la valutazione da parte del giudice nazionale della possibilità che un tale contratto possa essere mantenuto in vigore in assenza di dette clausole, non può basarsi unicamente sull’eventuale vantaggio, per il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti 56 e 57 e giurisprudenza citata).

83      L’articolo 6, paragrafo 1, seconda parte di frase, della direttiva 93/13 non enuncia quindi esso stesso i criteri che disciplinano la possibilità che un contratto resti in vigore senza le clausole abusive, ma lascia agli Stati membri il compito di definire, nei loro diritti nazionali, le modalità secondo le quali avviene l’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto e si materializzano gli effetti giuridici concreti di tale accertamento. In ogni caso, un siffatto accertamento deve in ogni caso consentire di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato se tale clausola abusiva non fosse esistita (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15, e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 66).

84      Di conseguenza, qualora un giudice nazionale ritenga che, in applicazione delle pertinenti disposizioni del suo diritto interno, il mantenimento di un contratto senza le clausole abusive in esso contenute non sia possibile, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta, in linea di principio, a che esso sia dichiarato invalido (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 43).

85      Peraltro, l’obiettivo del ripristino della situazione di diritto e di fatto che sarebbe stata quella di tale consumatore in assenza di tale clausola abusiva deve essere perseguito nel rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, esige che la normativa nazionale che attua tale diritto non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti [v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 73 e giurisprudenza ivi citata].

86      Di conseguenza, a meno che la determinazione secondo un approccio oggettivo delle conseguenze che occorre trarre, conformemente al diritto nazionale, dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola per quanto riguarda la persistenza o meno del contratto in cui essa si inserisce non lasci alcun margine di discrezionalità o di interpretazione al giudice nazionale, quest’ultimo non può concludere per l’invalidazione di tale contratto qualora la situazione di diritto e di fatto che sarebbe stata quella del consumatore in assenza di tale clausola abusiva possa essere ripristinata pur mantenendo in vigore detto contratto.

87      A tal riguardo, occorre ricordare che il giudice nazionale può sostituire ad una clausola abusiva una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o una disposizione applicabile in caso di accordo tra le parti del contratto di cui trattasi, a condizione che tale sostituzione sia conforme all’obiettivo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e consenta di ripristinare un equilibrio reale tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti. Tuttavia, tale possibilità eccezionale è limitata ai casi in cui l’invalidazione della clausola abusiva obbligherebbe il giudice ad annullare il contratto nel suo insieme, con l’effetto di esporre il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, di modo che quest’ultimo ne risulterebbe penalizzato. [v., in tal senso, sentenze del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank, C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 33 e giurisprudenza ivi citata, e del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punto 60].

88      Nel caso di specie, una simile eventualità è esclusa dal giudice del rinvio, dal momento che l’invalidazione dei contratti di cui trattasi non sarebbe pregiudizievole per i consumatori che li hanno stipulati.

89      Occorre altresì ricordare che le disposizioni della direttiva 93/13 ostano a che una clausola dichiarata abusiva sia parzialmente mantenuta mediante l’eliminazione degli elementi che ne determinano l’abusività, laddove l’eliminazione equivarrebbe a rivedere il contenuto della clausola stessa incidendo sulla sua sostanza (sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

90      Ciò non si verifica tuttavia quando l’elemento abusivo di una clausola consiste in un obbligo contrattuale distinto dalle altre clausole, che può essere oggetto di un esame individualizzato quanto al suo carattere abusivo (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 71), poiché la pattuizione che prevede un obbligo del genere può essere considerata separabile dalle altre pattuizioni della clausola di cui trattasi.

91      Infatti, la direttiva 93/13 non esige che il giudice nazionale disapplichi, oltre alla clausola dichiarata abusiva, anche quelle che non sono state qualificate come tali, poiché l’obiettivo perseguito dal legislatore nell’ambito di tale direttiva consiste nel tutelare il consumatore e nel ristabilire l’equilibrio tra le parti escludendo l’applicazione delle clausole considerate abusive, conservando al tempo stesso, in linea di principio, la validità delle altre clausole del contratto in questione (sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Tale insegnamento vale anche per le diverse disposizioni di una medesima clausola, purché l’eliminazione di una disposizione abusiva non pregiudichi la sostanza stessa di tale clausola.

92      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’unica clausola che fissa tutte le condizioni relative al rimborso dei prestiti di cui trattasi, quali gli importi da pagare e le diverse rate, contiene parimenti una pattuizione relativo alle modalità concrete secondo le quali tali pagamenti devono essere eseguiti, vale a dire presso il domicilio del mutuatario tramite un agente del mutuante.

93      Fatta salva la valutazione che spetterà al giudice del rinvio operare tenendo conto di tutte le circostanze relative ai contratti di cui trattasi e alle pertinenti disposizioni del diritto nazionale, risulta che una pattuizione che determina siffatte modalità concrete di esecuzione dell’obbligazione di pagamento del consumatore costituisce un’obbligazione contrattuale distinta dalle altre pattuizioni di una clausola unica come quella descritta al punto precedente della presente sentenza e riveste carattere accessorio rispetto agli elementi del contratto che definiscono la sostanza di tale clausola, come quelli relativi alla determinazione degli importi da pagare e delle rate alle quali tali pagamenti devono aver luogo. Peraltro, la soppressione di tale pattuizione non appare tale da incidere sulla sostanza stessa della clausola di cui trattasi, dal momento che il consumatore resta tenuto ad adempiere il suo obbligo di rimborso conformemente alle altre condizioni previste da tale clausola scegliendo qualsiasi modalità di pagamento tra quelle ammissibili in forza del diritto nazionale.

94      Infine, occorre aggiungere, da un lato, che l’accertamento giurisdizionale del carattere abusivo di una clausola o, eventualmente, di un elemento di una clausola di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 deve, in linea di principio, avere la conseguenza di ripristinare la situazione di diritto e di fatto del consumatore in cui si sarebbe trovato in assenza di tale clausola o di tale elemento [v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 57 e giurisprudenza ivi citata]. Il rispetto del principio di effettività dipende quindi, in linea di principio, dall’adozione di misure che consentano il ripristino di tale situazione.

95      Dall’altro, misure che costituiscono l’attuazione concreta del divieto di clausole abusive non possono essere considerate contrarie al principio della certezza del diritto [v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 72]. Infatti, fatta salva, in particolare, l’applicazione di talune norme processuali interne, segnatamente quella che conferisce autorità di cosa giudicata a una decisione giurisdizionale, tale principio non può pregiudicare la sostanza del diritto, conferito ai consumatori dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, di non essere vincolati da una clausola reputata abusiva (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti 67, 68 e 71).

96      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce dei principi di effettività, di proporzionalità e di certezza del diritto, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un contratto di mutuo stipulato tra un professionista e un consumatore sia dichiarato nullo nell’ipotesi in cui si accerti che solo la clausola di tale contratto che fissa le modalità concrete di pagamento delle somme dovute alle scadenze periodiche è abusiva e che detto contratto non può sussistere senza tale clausola. Tuttavia, qualora una clausola contenga una pattuizione separabile dalle altre pattuizioni di tale clausola, idonea ad essere oggetto di un esame individualizzato del suo carattere abusivo, la cui soppressione consentirebbe di ristabilire un equilibrio reale tra le parti senza incidere sulla sostanza del contratto di cui trattasi, tale disposizione, letta alla luce di detti principi, non implica che siffatta clausola, né che tale contratto, siano invalidati nel loro insieme.

 Sulle spese

97      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,

deve essere interpretato nel senso che:

purché l’esame del carattere eventualmente abusivo di una clausola relativa a costi extrainteressi di un contratto di mutuo stipulato tra un professionista e un consumatore non sia escluso in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, in combinato disposto con l’articolo 8 della stessa, il carattere abusivo di una siffatta clausola può essere accertato in considerazione del fatto che tale clausola prevede il pagamento da parte di tale consumatore di spese o di una commissione di importo manifestamente sproporzionato rispetto al servizio fornito in cambio.

2)      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce del principio di effettività,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta a una normativa nazionale, come interpretata nella giurisprudenza, che impone, affinché possa essere accolta l’azione giudiziaria di un consumatore diretta a far accertare l’inopponibilità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato con un professionista, la prova di un interesse ad agire, qualora si ritenga che un siffatto interesse non sussista quando tale consumatore dispone di un’azione di ripetizione dell’indebito o quando egli può far valere detta inopponibilità nell’ambito della propria difesa contro una domanda riconvenzionale di adempimento presentata nei suoi confronti da tale professionista sulla base di detta clausola.

3)      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce dei principi di effettività, di proporzionalità e di certezza del diritto,

deve essere interpretato nel senso che:

esso non osta a che un contratto di mutuo stipulato tra un professionista e un consumatore sia dichiarato nullo nell’ipotesi in cui si accerti che solo la clausola di tale contratto che fissa le modalità concrete di pagamento delle somme dovute alle scadenze periodiche è abusiva e che detto contratto non può sussistere senza tale clausola. Tuttavia, qualora una clausola contenga una pattuizione separabile dalle altre pattuizioni di tale clausola, idonea ad essere oggetto di un esame individualizzato del suo carattere abusivo, la cui soppressione consentirebbe di ristabilire un equilibrio reale tra le parti senza incidere sulla sostanza del contratto di cui trattasi, tale disposizione, letta alla luce di detti principi, non implica che siffatta clausola, né che tale contratto, siano invalidati nel loro insieme.

Firme


*      Lingua processuale: il polacco.