Language of document : ECLI:EU:C:2023:467

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate l’8 giugno 2023 (1)

Causa C376/22

Google Ireland Limited,

Meta Platforms Ireland Limited,

Tik Tok Technology Limited

contro

Kommunikationsbehörde Austria (Komm Austria),

con l’intervento di

Bundesministerin für Frauen, Familie, Integration und Medien im Bundeskanzleramt

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Commercio elettronico – Direttiva 2000/31/CE – Servizi di piattaforme di comunicazione – Normativa che obbliga i prestatori di detti servizi ad istituire una procedura di controllo per presunti contenuti illeciti – Deroga al principio del paese d’origine»






I.      Premessa

1.        Il 19 ottobre 2022 il legislatore dell’Unione ha adottato il regolamento (UE) 2022/2065 (2) (in prosieguo: il «Digital Services Act») al fine di stabilire norme armonizzate per un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile, che faciliti l’innovazione e in cui i diritti fondamentali siano tutelati in modo effettivo (3). A tal fine, detto regolamento introduce una serie di obblighi per i prestatori di servizi detti «intermediari» in materia di relazioni di trasparenza, di designazione dei punti di contatto e di meccanismi di segnalazione dei contenuti illeciti (4). In linea di principio, il suddetto regolamento si applica a decorrere dal 17 febbraio 2024, fatta salva la sua applicazione anticipata nei confronti dei fornitori di piattaforme online di dimensioni molto grandi e di motori di ricerca online di dimensioni molto grandi (5).

2.        Fino a quel momento, le norme relative a questi aspetti non saranno oggetto di un’analoga armonizzazione a livello dell’Unione (6).

3.        Recentemente, alcuni Stati membri hanno adottato leggi che impongono ai prestatori dei servizi della società dell’informazione accessibili nel loro territorio obblighi analoghi a quelli sopra descritti (7). La normativa austriaca in questione nella presente causa, adottata nel 2020, sembra rientrare in tale tendenza (8).

4.        Tuttavia, dal 2002 la circolazione dei servizi della società dell’informazione è in gran parte disciplinata dalla direttiva 2000/31/CE (9).

5.        Così, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/31, ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio (lo Stato membro d’origine), rispettino le disposizioni nazionali che rientrano nell’«ambito regolamentato», quale definito all’articolo 2, lettera h), di tale direttiva. Il principio secondo cui i servizi della società dell’informazione dovrebbero in linea di principio essere soggetti al regime giuridico dello Stato membro d’origine è denominato il «principio del paese d’origine».

6.        In linea con tale logica, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31, gli Stati membri non possono, in linea di principio, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro. Infatti, uno Stato membro diverso da quello d’origine può derogare a tale principio solo mediante provvedimenti adottati «per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione», e che soddisfino le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettere a) e b), di tale direttiva.

7.        È questo il contesto giuridico nel quale si inserisce la prima questione pregiudiziale sottoposta alla Corte nella presente causa. Con tale questione, il giudice del rinvio desidera sapere se uno Stato membro possa derogare alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione adottando non solo provvedimenti individuali e specifici, ma anche provvedimenti legislativi generali ed astratti riguardanti una categoria di determinati servizi. Su richiesta della Corte, le presenti conclusioni si limitano all’analisi di tale questione pregiudiziale.

8.        Detta problematica rimane attuale nella vigenza del Digital Services Act, in quanto tale regolamento non abroga né il principio del paese d’origine né la facoltà di derogare a tale principio nei casi previsti all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 (10).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

9.        La direttiva 2000/31 definisce, all’articolo 2, lettera a), la nozione di «servizi della società dell’informazione» mediante rinvio all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2015/1535 (11). Quest’ultima direttiva definisce come servizio della società dell’informazione «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».

10.      L’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31 definisce l’«ambito regolamentato» come «le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati».

11.      L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Mercato interno», così recita:

«1.      Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.

2.      Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.

3.      I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai settori di cui all’allegato.

4.      Gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:

a)      i provvedimenti sono:

i)      necessari per una delle seguenti ragioni:

–        ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;

(…)

ii)      relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;

iii)      proporzionati a tali obiettivi;

b)      prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:

–        chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;

–        notificato alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.

5.      In caso di urgenza, gli Stati membri possono derogare alle condizioni di cui al paragrafo 4, lettera b). I provvedimenti vanno allora notificati al più presto alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1, insieme ai motivi dell’urgenza.

6.      Salva la possibilità degli Stati membri di procedere con i provvedimenti in questione, la Commissione verifica con la massima rapidità la compatibilità dei provvedimenti notificati con il diritto comunitario; nel caso in cui giunga alla conclusione che i provvedimenti sono incompatibili con il diritto comunitario, la Commissione chiede allo Stato membro in questione di astenersi dall’adottarli o di revocarli con urgenza».

B.      Diritto austriaco

12.      Il Bundesgesetz über Maßnahmen zum Schutz der Nutzer auf Kommunikationsplattformen (Kommunikationsplattformen-Gesetz) (legge federale sulle misure di protezione degli utenti sulle piattaforme di comunicazione) (12) (in prosieguo: il «KoPl-G») è stato promulgato il 23 dicembre 2020 ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2021. I prestatori di servizi che rientrano nell’ambito di applicazione di detta legge dovevano conformarsi agli obblighi imposti da quest’ultima entro il 31 marzo 2021 (13).

13.      L’articolo 1 del KoPl-G dispone quanto segue:

«(1)      La presente legge federale ha lo scopo di promuovere la gestione responsabile e trasparente delle segnalazioni da parte degli utenti dei seguenti contenuti presenti sulle piattaforme di comunicazione e il trattamento tempestivo di tali segnalazioni.

(2)      I prestatori di servizi nazionali ed esteri che forniscono piattaforme di comunicazione (articolo 2, punto 4) a scopo di lucro rientrano nell’ambito di applicazione della presente legge, salvo che:

1.      il numero di utenti registrati con diritto di accesso alla piattaforma di comunicazione in Austria sia stato inferiore a 100 000 persone in media nell’anno civile precedente, e

2.      il fatturato realizzato in Austria nell’anno civile precedente attraverso la gestione della piattaforma di comunicazione sia stato inferiore a EUR 500 000.

(...)

(5)      Su richiesta di un prestatore di servizi, l’autorità di vigilanza stabilisce se detto prestatore ricada nell’ambito di applicazione della presente legge.

(...)».

14.      L’articolo 2, punto 4, del KoPl-G definisce una «piattaforma di comunicazione» come un «servizio della società dell’informazione in cui lo scambio di notifiche o di rappresentazioni con contenuti di carattere intellettuale, in forma orale, scritta, sonora o figurativa, tra gli utenti e un’ampia cerchia di altri utenti, mediante diffusione di massa, costituisce lo scopo principale o una funzione essenziale».

15.      Ai sensi dell’articolo 3 del KoPl-G:

«(1)      I prestatori di servizi devono istituire una procedura efficace e trasparente per la gestione e la risoluzione delle segnalazioni di presunti contenuti illeciti presenti sulla piattaforma di comunicazione.

(...)

(4)      Inoltre, i prestatori di servizi provvedono affinché sia istituita una procedura efficace e trasparente per il riesame delle loro decisioni riguardanti il blocco o la rimozione di un contenuto oggetto di segnalazione (paragrafo 3, punto 1) (...)».

16.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del KoPl-G:

«I prestatori di servizi sono tenuti a redigere una relazione annuale o, rispettivamente, nel caso di piattaforme di comunicazione con più di un milione di utenti registrati, semestrale, sulla gestione delle segnalazioni di presunti contenuti illeciti. La relazione deve essere presentata all’autorità di vigilanza entro un mese dalla fine del periodo di riferimento e, nel contempo, deve essere resa accessibile, in maniera permanente e agevole, sul sito Internet del prestatore».

17.      L’articolo 5 del KoPl-G prevede:

«(1)      I prestatori di servizi designano un soggetto che soddisfi le condizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 4, del Verwaltungsstrafgesetz 1991 [(VStG) (legge austriaca del 1991 sulle sanzioni amministrative, BGBl., 52/1991)]. Tale soggetto:

1.      garantisce l’osservanza delle disposizioni della presente legge,

2.      dispone di un potere di ingiunzione tale da poter far rispettare le disposizioni della presente legge,

3.      dispone delle conoscenze necessarie in lingua tedesca per collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie,

4.      dispone di risorse necessarie per l’assolvimento delle sue mansioni.

(...)

(4)      Il prestatore di servizi designa una persona fisica o giuridica in qualità di mandatario per le notifiche amministrative e giudiziarie. (...)».

III. Fatti del procedimento principale

18.      Le ricorrenti nel procedimento principale, Google Ireland Limited (in prosieguo: «Google»), Meta Platforms Ireland Limited (in prosieguo: «Meta Platforms») e Tik Tok Technology Limited (in prosieguo: «Tik Tok»), sono società con sede in Irlanda che forniscono, in particolare in Austria, servizi di piattaforme di comunicazione.

19.      A seguito dell’entrata in vigore del KoPl-G nel 2021, le ricorrenti nel procedimento principale hanno chiesto all’autorità competente, la Kommunikationsbehörde Austria (autorità austriaca per le garanzie nelle comunicazioni, in prosieguo: la «Komm Austria»), di dichiarare, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, di detta legge, che esse non rientrano nel suo ambito di applicazione.

20.      Con tre decisioni del 26 marzo, del 31 marzo e del 22 aprile 2021, la KommAustria ha tuttavia dichiarato che le ricorrenti nel procedimento principale rientrano nell’ambito di applicazione del KoPl‑G, in quanto forniscono ciascuna una piattaforma di comunicazione ai sensi dell’articolo 2, punto 4, di tale legge.

21.      Le ricorrenti nel procedimento principale hanno impugnato tali decisioni dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria), che ha respinto i loro ricorsi in quanto infondati.

22.      In sostanza, per quanto riguarda la problematica di cui alla prima questione pregiudiziale, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha considerato, in primo luogo, che il principio del paese d’origine sancito dalla direttiva 2000/31 non si applica senza restrizioni e che le deroghe sono necessarie, in particolare, per mantenere e/o raggiungere un elevato livello di protezione per i beni di significativo valore (ad esempio, la protezione dei minori oppure della dignità umana). A suo parere, il KoPl-G perseguirebbe tali obiettivi. Secondo detto giudice, tale legge costituisce la base giuridica che consente di adottare, in caso di violazioni frequenti, specifici provvedimenti nei confronti di destinatari designati in modo sufficientemente individualizzato in relazione a un singolo caso specifico. Orbene, il suddetto giudice ha fatto valere che il procedimento di accertamento non poteva, nel caso di specie, (ancora) dare luogo all’adozione di provvedimenti individuali e specifici nei confronti delle ricorrenti nel procedimento principale, dal momento che esse avevano chiesto una decisione a titolo meramente dichiarativo, senza essere state sollecitate in tal senso nell’ambito di una fattispecie concreta.

23.      In secondo luogo, per quanto riguarda la procedura di cui all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha rilevato che, ai sensi di tale disposizione, non erano stati adottati provvedimenti che ricadono nell’ambito di applicazione del KoPl-G e che tale legge era stata adottata unicamente al fine di creare una base giuridica per l’adozione di provvedimenti ai sensi di detta disposizione.

24.      Nei loro ricorsi per cassazione (Revision) proposti avverso le sentenze del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), le ricorrenti nel procedimento principale sostengono dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria), giudice del rinvio, che il suddetto giudice avrebbe erroneamente confermato l’applicabilità del KoPl-G alle piattaforme da esse gestite. In particolare, esse fanno valere, da un lato, che, poiché la Repubblica d’Irlanda e la Commissione non sono state informate dell’adozione del KoPl-G ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della direttiva 2000/31, tale legge non può essere loro opponibile e, dall’altro, che gli obblighi stabiliti da detta legge sono sproporzionati e incompatibili con la libera circolazione dei servizi e con il principio del paese d’origine.

25.      Data la connessione oggettiva tra le cause cui sono parti le ricorrenti nel procedimento principale, il giudice del rinvio le ha riunite.

26.      Secondo il giudice del rinvio, è pacifico che i servizi prestati dalle ricorrenti nel procedimento principale, in particolare in Austria, costituiscono servizi della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31. Riguardo alle conclusioni del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), il giudice del rinvio considera che detti servizi devono essere qualificati anche come «piattaforme di comunicazione», ai sensi del KoPl‑G, e che le ricorrenti nel procedimento principale soddisfano le condizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 2 e 3 (14), di detta legge e rientrano pertanto nel suo ambito di applicazione.

27.      Il giudice del rinvio riconosce che, sulla base del KoPl-G, vengono effettivamente adottati provvedimenti individuali e specifici nei confronti di un prestatore di servizi in caso di inosservanza degli obblighi imposti da tale legge. Tuttavia, esso ritiene che detti obblighi, che un prestatore è tenuto a rispettare senza che sia necessario adottare preventivamente un provvedimento individuale e specifico, costituiscono le prescrizioni riguardanti l’esercizio dell’attività di un servizio della società dell’informazione e, di conseguenza, rientrano nell’ambito regolamentato ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31. Tali prescrizioni potrebbero, in linea di principio, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, in quanto devono essere rispettate anche dai prestatori di servizi stabiliti nel territorio di uno Stato membro diverso dall’Austria.

28.      Il giudice del rinvio osserva che, a determinate condizioni, l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 autorizza uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio è stabilito il prestatore dei servizi della società dell’informazione a derogare al principio del paese d’origine. Alla luce di quanto precede, il giudice del rinvio si chiede se uno Stato membro possa derogare a tale principio adottando un provvedimento riguardante una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione in funzione della loro natura, come le piattaforme di comunicazione ai sensi del KoPl-G.

29.      In sostanza, il giudice del rinvio osserva, da un lato, che, fino ad oggi, la Corte è stata chiamata a verificare se disposizioni generali ed astratte potessero essere autorizzate come provvedimenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, in base ai motivi e ai requisiti enunciati in tale disposizione. Egli cita, a tal proposito, le sentenze Ker-Optika (15), Airbnb Ireland (16) e A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (17). Dall’altro, afferma che, nelle conclusioni nella causa Airbnb Ireland (18), io avrei privilegiato l’interpretazione secondo cui le disposizioni generali non possono essere qualificate come provvedimenti ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva e che, se dovessero limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, sarebbero in ogni caso illegittime alla luce dell’articolo 3, paragrafo 2, della suddetta direttiva.

IV.    Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

30.      È in tale contesto che il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa), con decisione del 24 maggio 2022, pervenuta alla Corte il 10 giugno 2022, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali. Su richiesta della Corte, le presenti conclusioni vertono sulla prima questione pregiudiziale, che è formulata come segue:

«Se l’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto ii), della direttiva 2000/31/CE debba essere interpretato nel senso che per provvedimento relativo ad un “determinato servizio della società dell’informazione” possa intendersi anche un provvedimento legislativo riguardante una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione (quali le piattaforme di comunicazione) oppure se l’esistenza di un provvedimento ai sensi di detta disposizione richieda l’adozione di una decisione in relazione a un singolo caso specifico (ad esempio, relativo a una piattaforma di comunicazione nominativamente determinata)».

31.      Hanno presentato osservazioni scritte le ricorrenti nel procedimento principale, i governi austriaco, irlandese e polacco nonché la Commissione. Non è stata svolta alcuna udienza.

V.      Analisi

32.      Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da altri Stati membri adottando provvedimenti legislativi di carattere generale e astratto riguardanti una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione, senza che tali provvedimenti siano adottati in relazione a un singolo caso specifico.

33.      In via preliminare, va sottolineato che il giudice del rinvio sostiene che è pacifico che i servizi prestati dalle ricorrenti nel procedimento principale, in particolare in Austria, costituiscano servizi della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31. Sebbene la domanda di pronuncia pregiudiziale non contenga informazioni che consentano alla Corte di verificare la qualificazione adottata dal giudice del rinvio, quest’ultima non è tuttavia contestata dalle parti. L’analisi che svilupperò si basa pertanto su questa premessa.

34.      Prima di procedere all’esame della questione pregiudiziale (sezione C), esporrò anzitutto alcune osservazioni sulla normativa austriaca che si trova al centro del presente rinvio pregiudiziale (sezione A); in seguito esporrò gli argomenti addotti dalle parti (sezione B).

A.      Normativa austriaca

35.      Il presente rinvio pregiudiziale riguarda le disposizioni del KoPl‑G relative ad un rafforzamento della «responsabilità di piattaforma» a carico dei fornitori di piattaforme di comunicazione in materia di gestione delle segnalazioni da parte degli utenti relative ai contenuti di tali piattaforme (19).

36.      Tali fornitori che operano in territorio austriaco, siano essi stabiliti in tale Stato membro o all’estero, rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione del KoPl-G e sono pertanto tenuti ad adempiere determinati obblighi. Questi riguardano, in particolare, i) l’istituzione di una procedura di segnalazione e revisione per presunti contenuti illeciti (20), ii) la redazione di una relazione sulla trasparenza (21) e iii) la nomina di un mandatario responsabile e di un delegato per le segnalazioni (22). I fornitori che rientrano nell’ambito di applicazione del KoPl-G sono sottoposti alla vigilanza della KommAustria. Nell’esercizio di tale vigilanza, detta autorità è autorizzata a irrogare ammende fino a 10 milioni di EUR in caso di infrazioni di alcuni obblighi previsti dal KoPl-G (23).

37.      Un operatore economico può presentare una richiesta di accertamento alla KommAustria affinché quest’ultima dichiari se esso rientri nell’ambito di applicazione del KoPl-G. Tuttavia, gli obblighi che i fornitori sono tenuti a rispettare sono imposti agli operatori economici che rientrano nell’ambito di applicazione del KoPl-G senza la necessità della previa adozione di un atto individuale e specifico.

B.      Posizioni delle parti

38.      Per Google e Tik Tok, un atto come il KoPl-G, che si applica a un’intera categoria di prestatori di servizi stabiliti in uno Stato membro diverso, non costituisce un provvedimento adottato per un determinato servizio della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 e non può dunque essere giustificato ai sensi di tale disposizione. In tale ordine di idee, Meta Platforms ritiene che fra i provvedimenti autorizzati da detta disposizione non possa rientrare anche una normativa riguardante una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione.

39.      La Commissione sostiene che, in linea di principio, spetta allo Stato membro di destinazione determinare «come e dove» esso intenda adottare un provvedimento in deroga all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Secondo tale istituzione, può trattarsi di un provvedimento sia individuale sia di portata generale, «a condizione che [quest’ultimo] sia sufficientemente diretto, nella misura in cui si applichi chiaramente, fin dall’inizio, a un determinato servizio della società dell’informazione fornito da uno o più prestatori stabiliti in uno o più altri Stati membri». A tale riguardo, la Commissione fa valere la formulazione dell’articolo 2, lettera h), di detta direttiva, che definisce la nozione di «ambito regolamentato» e vi include prescrizioni di carattere generale. Sulla base di queste considerazioni, la Commissione conclude che i provvedimenti previsti dal KoPl-G, in ragione del loro carattere generale e astratto, siano diametralmente opposti all’essenza stessa del principio del paese d’origine, come definito all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della suddetta direttiva.

40.      Un’interpretazione sostanzialmente diversa è sostenuta dai governi austriaco e irlandese nonché, con qualche sfumatura, dal governo polacco.

41.      Le parti che sostengono l’interpretazione secondo cui anche i provvedimenti legislativi diretti a una categoria generalmente circoscritta di servizi della società dell’informazione possono rientrare nella nozione di «provvedimenti», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, sembrano trarne implicazioni diverse per quanto riguarda la libera circolazione di tali servizi. In effetti, comprendo la posizione del governo irlandese secondo cui, se con la nozione di «provvedimento» non si intendessero anche i provvedimenti legislativi generali, gli Stati membri sarebbero autorizzati ad adottare liberamente tali provvedimenti legislativi generali e a limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, senza dover rispettare le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva. Al contrario, il governo austriaco sembra ritenere che una siffatta interpretazione impedirebbe qualsiasi deroga al principio del paese d’origine mediante l’adozione di provvedimenti legislativi.

42.      Secondo il governo polacco, affinché si possa applicare l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, il provvedimento in questione deve costituire una restrizione alla libera circolazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE. A tal proposito, in primo luogo, detto governo sostiene, con riferimento alla sentenza Airbnb Ireland (24), che il KoPl-G non limita la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro, poiché tale legge obbliga semplicemente a istituire procedure per il trattamento delle segnalazioni di contenuti illeciti e la pubblicazione di relazioni al riguardo.

43.      In secondo luogo, il governo polacco richiama l’attenzione sul rapporto tra, da un lato, l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 e, dall’altro, gli articoli 14, paragrafo 3, e 15, paragrafo 2, di quest’ultima. Secondo tale governo, l’articolo 14, paragrafo 3, di detta direttiva deve essere considerato come una lex specialis rispetto al principio del paese d’origine. Inoltre, il suddetto governo sostiene che l’articolo 15, paragrafo 2, della suddetta direttiva consenta agli Stati membri di stabilire l’obbligo per i prestatori di servizi della società dell’informazione di informare senza indugio le pubbliche autorità competenti di presunte attività illecite dei destinatari dei loro servizi o di informazioni comunicate da tali destinatari. Secondo lo stesso governo, quest’obbligo corrisponde a quello di redigere e pubblicare relazioni sul trattamento delle segnalazioni di contenuti illeciti, previsto dal KoPl-G. Di conseguenza, a suo avviso, poiché le disposizioni di tale legge riguardano la segnalazione e la revisione dei contenuti illeciti, queste ultime rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 14, paragrafo 3, e 15, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Il governo polacco sostiene che le disposizioni di tale legge dovrebbero pertanto essere valutate non alla luce dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva, bensì dell’articolo 56 TFUE.

44.      Soltanto in terzo luogo, supponendo che la Corte non condivida tali analisi, il governo polacco osserva che la nozione di «provvedimento» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 può essere intesa anche come un provvedimento legislativo riguardante una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione.

C.      Valutazione

45.      Poiché il governo polacco sostiene, da un lato, che la questione pregiudiziale debba essere esaminata non alla luce dell’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31, bensì alla luce degli articoli 14, paragrafo 3, e 15, paragrafo 2, della stessa e, dall’altro, che, tenuto conto della giurisprudenza relativa all’articolo 56 TFUE, il KoPl-G non limita la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, cosicché non vi è motivo di esaminare l’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva, occorre innanzitutto analizzare gli argomenti di tale governo.

1.      Sugli articoli 14 e 15 della direttiva 2000/31

46.      L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31, sembra essere pertinente solo se il prestatore di un servizio della società dell’informazione rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva (25). A tal fine, l’attività di tale prestatore deve essere di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, con la conseguenza che detto prestatore non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate (26). Un siffatto prestatore può beneficiare dell’esonero dalla responsabilità per quanto riguarda le informazioni memorizzate se sussistono le condizioni previste all’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva.

47.      Nella misura in cui l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31 prevede, nella sua prima parte, che «[tale] articolo lascia impregiudicata la possibilità, per un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa, in conformità agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore ponga fine ad una violazione o la impedisca», tale disposizione comporta che un prestatore può essere destinatario di ingiunzioni emesse in base al diritto nazionale di uno Stato membro, anche se beneficia dell’esonero dalla responsabilità. Al pari del governo polacco, ritengo che dette ingiunzioni possano essere adottate dalle autorità di uno Stato membro diverso da quello sul cui territorio è stabilito il prestatore.

48.      La domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene informazioni che consentano di stabilire se le ricorrenti nel procedimento principale rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31. Orbene, ogni prestatore che rientra nell’ambito di applicazione di detta disposizione è un prestatore di un servizio della società dell’informazione, il cui servizio può avvalersi del meccanismo stabilito all’articolo 3 di detta direttiva. Se gli Stati membri sono autorizzati ad adottare ingiunzioni nei confronti di un prestatore privilegiato che può, se del caso, beneficiare dell’esonero di cui all’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva, essi dovrebbero esservi autorizzati anche quando il prestatore non può avvalersi di tale esonero.

49.      Orbene, il governo polacco intende la seconda parte dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31, secondo la quale «[tale] articolo lascia impregiudicata la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime», nel senso che essa consente agli Stati membri di imporre ad un prestatore stabilito in uno Stato membro obblighi come quelli previsti nel KoPl-G.

50.      Tuttavia, tale «possibilità» riguarda procedure o azioni relative alle singole violazioni che possono essere oggetto delle ingiunzioni previste nella prima parte dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31. Tale sarebbe il caso di una procedura preliminare nella quale la persona che può chiedere un’ingiunzione nei confronti del prestatore deve, prima di adire un organo giurisdizionale, informare il prestatore della violazione al fine di dargli la possibilità di porre immediatamente fine a tale violazione e di prevenirne la reiterazione (27). Per contro, la possibilità riservata agli Stati membri nella seconda parte dell’articolo 14, paragrafo 3, di detta direttiva non riguarda l’imposizione di obblighi generali soggetti al diritto sostanziale e che non hanno alcun nesso con una procedura che ha per oggetto un’ingiunzione che riguarda una singola violazione (28).

51.      Orbene, la questione pregiudiziale riguarda tali obblighi generali e, pertanto, nella presente causa non si pone la questione di come l’attuazione della possibilità sancita nella seconda parte dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31 si combini con il meccanismo previsto all’articolo 3, paragrafi 2 e 4, di tale direttiva.

52.      Per motivi analoghi, neppure l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 è pertinente nell’ambito della presente causa. Infatti, tale disposizione sembra precisare i contorni del divieto per gli Stati membri di imporre ai prestatori di servizi un obbligo generale di sorveglianza, come previsto dall’articolo 15, paragrafo 1, di detta direttiva (29). Come enunciato dal considerando 47 di quest’ultima, tale divieto non riguarda gli obblighi di sorveglianza «in casi specifici» e, in particolare, lascia impregiudicate le ordinanze emesse dalle autorità nazionali secondo le rispettive legislazioni (30).

2.      Sullarticolo 56 TFUE 

53.      L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 vieta agli Stati membri di limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro. Il giudice del rinvio afferma che gli obblighi derivanti dal KoPl-G possono, in linea di principio, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, in quanto tali obblighi devono essere adempiuti anche dai prestatori di servizi stabiliti nel territorio di uno Stato membro diverso dall’Austria. Il governo polacco sostiene che, per rispondere alla questione se gli obblighi derivanti dalla KoPl-G costituiscano una «limitazione» ai sensi di tale disposizione, occorre seguire il ragionamento della Corte nel contesto dell’articolo 56 TFUE. Secondo tale governo, si deve pertanto considerare, alla luce della sentenza Airbnb Ireland (31), che il KoPl-G non limita la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, in particolare perché tale legge non stabilisce le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate.

54.      A tal proposito, anzitutto, secondo la soluzione adottata dalla Corte nella sua giurisprudenza, l’opponibilità di provvedimenti nazionali, rientranti nell’ambito regolamentato, nei confronti di servizi provenienti da un altro Stato membro o nei confronti del prestatore di tali servizi deve essere valutata alla luce dell’articolo 3 della direttiva 2000/31 e non alla luce delle disposizioni del diritto primario (32).

55.      In secondo luogo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto suggerito dal governo polacco, nella causa A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (33), la Corte ha fatto riferimento alla giurisprudenza relativa all’articolo 56 TFUE non per stabilire se la misura nazionale comportasse una restrizione alla libera prestazione dei servizi della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31, ma, dopo aver constatato che tale restrizione sussisteva (34), per verificare se fossero soddisfatte le condizioni di necessità e proporzionalità.

56.      Infine, sebbene l’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31 rientri nella logica dell’articolo 56 TFUE, tale direttiva non costituisce un semplice richiamo dei principi enunciati dal diritto primario. Infatti, come chiarito dalla Corte, per quanto attiene all’ambito regolamentato, fatte salve le deroghe autorizzate secondo le condizioni di cui al paragrafo 4, l’articolo 3 di detta direttiva osta a che il prestatore di un servizio del commercio elettronico sia soggetto a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto sostanziale in vigore nello Stato membro di stabilimento di tale prestatore (35). Da ciò deduco che subordinare la prestazione di servizi a prescrizioni che eccedono quelle in vigore nello Stato membro d’origine affinché detti servizi siano accessibili sul territorio di un altro Stato membro può limitare la libera circolazione di tali servizi.

57.      In tali circostanze, assoggettare le ricorrenti nel procedimento principale a obblighi che, da un lato, non riguardano informazioni e contenuti illegali specifici (36) e che, dall’altro, stabiliscono prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato che non sembrano corrispondere a quelle previste dalla legge dello Stato membro nel cui territorio sono stabilite e che riguardano l’esercizio della prestazione dei loro servizi nel territorio di un altro Stato membro limiterebbe la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione e, pertanto, derogherebbe all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31.

58.      Resta così da stabilire se uno Stato membro possa derogare all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 adottando provvedimenti legislativi di carattere generale e astratto riguardanti una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione.

3.      Sullarticolo 3 della direttiva 2000/31

a)      Osservazioni preliminari

59.      Nelle mie conclusioni presentate nella causa Airbnb Ireland (37), alle quali si fa riferimento nel presente rinvio pregiudiziale e nelle osservazioni scritte delle parti, la mia analisi mi ha indotto a concludere che uno Stato membro diverso da quello d’origine può derogare alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione soltanto per mezzo di provvedimenti presi «su base individuale».

60.      Devo rammentare che, in dette conclusioni, ho ricordato in un primo tempo le condizioni sostanziali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31 (38), vale a dire i) la necessità di adottare un provvedimento per ragioni relative all’ordine pubblico, alla tutela della sanità pubblica, alla pubblica sicurezza o alla tutela dei consumatori, ii) il pregiudizio arrecato da un servizio della società dell’informazione a uno di questi obiettivi o un rischio serio e grave di un tale pregiudizio, e iii) la proporzionalità del provvedimento rispetto a tale obiettivo.

61.      Successivamente, ho osservato che, in assenza di chiarimenti quanto alla necessità di adottare il provvedimento in questione e al pregiudizio eventualmente arrecato dal servizio della AIRBNB Ireland a uno degli obiettivi specificati all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto i), della direttiva 2000/31, la seconda questione pregiudiziale in tale causa poteva essere intesa soltanto nel senso di essere volta a consentire eventualmente ad uno Stato membro diverso da quello di origine di imporre, d’ufficio e senza un esame delle condizioni sostanziali, le prescrizioni relative all’esercizio della professione di agente immobiliare ai prestatori di una categoria di servizi della società dell’informazione. È in tale contesto che, infine, ho dedotto una serie di argomenti per ritenere che uno Stato membro diverso da quello d’origine possa derogare alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione soltanto per mezzo di provvedimenti presi «su base individuale».

62.      Nella presente causa, il giudice del rinvio ritiene che gli obblighi imposti dal KoPl-G siano, in linea di principio, idonei a contribuire ad assicurare l’ordine pubblico nonché di disporre di elementi sufficienti per stabilire se le disposizioni di detta legge siano necessarie per garantire tale obiettivo e se siano proporzionate a quest’ultimo. È vero che la formulazione della prima questione pregiudiziale può indurre a ritenere che, con la stessa, il giudice del rinvio si riferisca all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto ii), della direttiva 2000/31, che stabilisce la condizione sostanziale relativa al pregiudizio arrecato da un servizio della società dell’informazione a un determinato obiettivo o a un rischio serio e grave di un siffatto pregiudizio. Tuttavia, egli ammette di nutrire dubbi in realtà quanto alla questione se disposizioni generali ed astratte che impongono ai fornitori di servizi della società dell’informazione, definiti in funzione della loro natura, obblighi generali che producono effetti in assenza di qualsiasi atto individuale e specifico possano effettivamente costituire provvedimenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva. Di conseguenza, gli argomenti che ho avanzato nell’ambito dell’analisi nelle mie conclusioni nella causa Airbnb Ireland (39) sono rilevanti anche per la presente causa. Nelle presenti conclusioni, svilupperò tali argomenti tenendo conto della problematica sollevata dal giudice del rinvio nella presente causa ed esporrò alcuni argomenti aggiuntivi.

b)      Analisi

63.      In primo luogo, al fine di non «diluire» il principio del paese d’origine enunciato all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/31, l’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva potrebbe essere inteso nel senso di autorizzare gli Stati membri diversi da quello d’origine a derogare a tale principio unicamente in via incidentale. Ritenere che una disposizione generale e astratta che si applica a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi della società dell’informazione possa costituire un «provvedimento» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva equivarrebbe a consentire la frammentazione del mercato interno mediante le normative nazionali.

64.      In secondo luogo, l’articolo 3 della direttiva 2000/31 deve essere interpretato in modo da garantire la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra gli Stati membri (40). Inoltre, una deroga alla disposizione generale di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva, come l’articolo 3, paragrafo 4, di quest’ultima, deve essere interpretata restrittivamente. In tale ottica, come risulta dai considerando 5 e 6 di detta direttiva, con quest’ultima il legislatore dell’Unione cercava di sopprimere gli ostacoli giuridici al buon funzionamento del mercato interno, vale a dire gli ostacoli che derivano da divergenze tra le normative nazionali, nonché dall’incertezza sul diritto nazionale applicabile a tali servizi. Consentire l’applicazione di leggi diverse a un prestatore o al suo servizio sarebbe contrario a tale obiettivo.

65.      In terzo luogo, la natura di un provvedimento con il quale uno Stato membro di destinazione può derogare al principio del paese d’origine può essere determinata con riferimento alle condizioni sostanziali e procedurali previste dall’articolo 3, paragrafo 4, lettere a) e b), della direttiva 2000/31.

66.      Da un lato, i provvedimenti adottati sulla base dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 riguardano un determinato servizio che, come richiesto dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto ii), della stessa direttiva, deve essere lesivo dell’obiettivo in questione o costituire un rischio serio e grave di pregiudizio a tale obiettivo. In queste circostanze, autorizzare, ai sensi della suddetta direttiva, che si basa sui principi del paese d’origine e del controllo alla fonte dei servizi della società dell’informazione (41), uno Stato membro a limitare la libera circolazione di una categoria di servizi provenienti da altri Stati membri metterebbe in discussione la fiducia reciproca tra questi ultimi (42) e presupporrebbe una generale mancanza di fiducia da parte di qualsiasi altro Stato membro in materia di sorveglianza dei servizi della società dell’informazione forniti dai prestatori stabiliti sul loro territorio. Questo è un ulteriore motivo per ritenere che, in tutti i casi che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva, occorra procedere ad un esame delle circostanze del caso di specie.

67.      Dall’altro lato, poiché l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 obbliga uno Stato membro di destinazione a chiedere allo Stato membro di origine di adottare provvedimenti in materia di servizi della società dell’informazione, tale disposizione presuppone che lo Stato membro al quale è rivolta una siffatta richiesta sia ben identificabile e identificato prima dell’adozione di un provvedimento ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della stessa direttiva. Un provvedimento legislativo di carattere generale e astratto che si applichi indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi non rispetterebbe la logica della condizione procedurale di cui all’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva.

68.      Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 subordina l’effetto derogatorio dei provvedimenti adottati a livello nazionale alla previa notifica alla Commissione dell’intenzione di adottare tali provvedimenti. Se il termine «provvedimento», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva, dovesse essere interpretato nel senso che esso ricomprende provvedimenti legislativi di carattere generale e astratto che si applicano indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi, ciò significherebbe che l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della suddetta direttiva aggiunge una notifica supplementare a quella prevista dalla direttiva 2015/1535. Infatti, ai sensi di quest’ultima direttiva, gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione i requisiti di natura generale relativi all’accesso alle attività di servizio della società dell’informazione e al loro esercizio (43).

69.      In quarto luogo, sono sensibile all’argomento della Commissione secondo cui spetta, in linea di principio, allo Stato membro di destinazione determinare «come e dove» esso intenda adottare un provvedimento in deroga all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Infatti, il sistema delle fonti del diritto in ciascuno Stato membro può assumere forme diverse. Da questo punto di vista, la Commissione non esclude che possa trattarsi di un provvedimento di portata generale, «a condizione che il provvedimento sia sufficientemente diretto nella misura in cui si applichi chiaramente, fin dall’inizio, a un determinato servizio della società dell’informazione fornito da uno o più prestatori stabiliti in uno o più altri Stati membri». Tuttavia, per le ragioni esposte ai paragrafi da 63 a 68 delle presenti conclusioni, un provvedimento legislativo di carattere generale e astratto che si applichi indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi non rispetterebbe tale condizione.

70.      La definizione di «ambito regolamentato» di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31 non mette in discussione tale considerazione. Il riferimento alle prescrizioni che rivestono un carattere generale nella definizione di tale nozione riguarda non la gamma dei poteri che uno Stato membro di destinazione può esercitare per derogare all’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva, bensì quella di uno Stato membro d’origine.

71.      Neppure l’analisi dei lavori preparatori della direttiva 2000/31 rimette in discussione la suddetta considerazione. È vero che nella proposta di tale direttiva si affermava che «[l]a Commissione terrà nella massima considerazione il bisogno degli Stati membri di far rispettare le norme finalizzate a salvaguardare interessi essenziali della società [e] non impedirebbe certo a uno Stato membro di prevedere l’applicazione di una norma volta a vietare la trasmissione di messaggi razzistici» (44). Tuttavia, da un lato, non è chiaro come, in questo contesto, si debba intendere il riferimento a «l’applicazione di una norma volta a vietare la trasmissione di [un contenuto specifico]», nella misura in cui tale applicazione rientra nell’ambito delle problematiche delle ingiunzioni di cui agli articoli 14 e 15 di tale direttiva e, dall’altro lato, secondo la stessa proposta, sono ammesse deroghe al principio del paese d’origine «in alcuni casi molto particolari».

72.      Per completezza, osservo che l’interpretazione secondo cui un provvedimento legislativo di carattere generale e astratto che si applica indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi non costituisce un «provvedimento» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 è quella adottata dalla maggioranza degli autori della dottrina (45). I sostenitori dell’interpretazione opposta sottolineano che occorre tenere conto della grande rilevanza che riveste, in questo dibattito, l’argomento relativo al contrasto all’illecito incitamento all’odio. A sostegno di questa interpretazione, essi sostengono che tale approccio riecheggia la direttiva 2000/31, il cui considerando 10 afferma che essa deve garantire un alto livello di tutela degli obiettivi di interesse generale (46). Sono d’accordo con questa argomentazione e non escludo che il Digital Services Act sia inteso a rispondere a tali preoccupazioni. Tuttavia, per quanto riguarda la direttiva 2000/31, devo osservare che il suo considerando 22 afferma che «[i]l controllo dei servizi della società dell’informazione deve essere effettuato all’origine dell’attività, al fine di assicurare una protezione efficace degli obiettivi di interesse pubblico (...) non soltanto per i cittadini [dello Stato membro nel cui territorio un prestatore è stabilito], ma anche per tutti i cittadini [dell’Unione]».

73.      Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro limiti la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da altri Stati membri mediante l’adozione di provvedimenti legislativi di carattere generale e astratto riguardanti una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione, senza che tali provvedimenti siano adottati in relazione a un singolo caso specifico.

74.      Per completezza, vorrei sottolineare che le considerazioni sopra esposte non sono in alcun modo messe in discussione dagli orientamenti tratti dalle sentenze Ker-Optika, Airbnb Ireland e A (Pubblicità e vendita di medicinali on line).

c)      Sulla sentenza KerOptika

75.      Nella sentenza Ker-Optika (47), la Corte ha dichiarato che la normativa nazionale oggetto di tale sentenza, prevedendo un divieto di vendita di lenti a contatto via Internet, non poteva essere considerata proporzionata all’obiettivo di tutela della sanità pubblica, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31. Tale passaggio può pertanto suggerire, a contrario, che una normativa nazionale come quella controversa in detta sentenza possa costituire un «provvedimento» ai sensi di tale disposizione. Tuttavia, il riferimento a detta disposizione deve essere letto nel contesto in cui si inserisce.

76.      Infatti, il giudice del rinvio nella causa che ha dato luogo alla sentenza Ker‑Optika chiedeva se il diritto dell’Unione ostasse ad una normativa nazionale che consente la vendita di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati nella vendita di dispositivi medici e che vietava, di conseguenza, la loro commercializzazione via Internet.

77.      In tale sentenza, la Corte ha considerato che, nell’ambito di una vendita via Internet di lenti a contatto, si possono distinguere due elementi, vale a dire l’atto di vendita propriamente detto e la consegna del prodotto. Dopo aver operato tale distinzione, la Corte ha proceduto a individuare le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili a questi due elementi della vendita. La Corte ha quindi ritenuto che le condizioni di vendita propriamente dette rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/31 (48), mentre, in considerazione della definizione della nozione di «ambito regolamentato» contenuta in tale direttiva, le condizioni di consegna del prodotto non vi rientrano (49) e devono essere valutate alla luce delle disposizioni del diritto primario relative alla libera circolazione delle merci (50).

78.      In un primo momento, la Corte ha ritenuto che le condizioni di consegna introdotte dalla normativa nazionale costituissero una limitazione alla libera circolazione delle merci e che tale limitazione non potesse essere giustificata in quanto eccessiva rispetto a quanto necessario per il perseguimento dell’obiettivo invocato a sostegno della limitazione messa in atto da tale normativa (51). In un secondo momento, con riguardo alle condizioni di vendita propriamente dette, la Corte ha ritenuto che «per gli stessi motivi», detta normativa, prevedendo un divieto di vendita di lenti a contatto via Internet, non poteva essere considerata proporzionata all’obiettivo di tutela della sanità pubblica, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 (52). Su tale base, la Corte ha concluso che gli articoli 34 e 36 TFUE nonché detta direttiva, senza tuttavia citarne le disposizioni specifiche, ostano ad una normativa nazionale che autorizzi la commercializzazione di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati in dispositivi medici (53).

79.      Orbene, come emerge dalle conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi presentate in tale causa (54), la normativa ungherese che vietava la vendita di lenti a contatto via Internet è stata opposta a una società di diritto ungherese. Si trattava dunque di una situazione che rientrava nell’ambito di applicazione non dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, ma dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa.

80.      In tali circostanze, il riferimento a detta disposizione nella sentenza Ker‑Optika (55) si presta a diverse letture. Infatti, si può pensare che, con il riferimento alla suddetta disposizione, la Corte abbia voluto mantenere la narrazione adottata dal giudice dell’Unione per valutare le condizioni di consegna alla luce delle disposizioni del diritto primario relative alla libera circolazione delle merci, le quali si applicano solo in situazioni quantomeno potenzialmente transfrontaliere. Un’altra possibile interpretazione è che la conclusione della Corte secondo cui la direttiva 2000/31 osta a una normativa nazionale che non autorizzi la commercializzazione di lenti a contatto online si riferisca all’articolo 9 della suddetta direttiva, anch’esso citato in tale sentenza (56), che prevede che gli Stati membri provvedano affinché il loro ordinamento giuridico renda possibili i contratti per via elettronica.

d)      Sulla sentenza Airbnb Ireland

81.      Come osserva il giudice del rinvio, nella sentenza Airbnb Ireland, la Corte non si è pronunciata sulla nozione di «provvedimento» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31. Infatti, in considerazione dell’omessa notifica da parte della Repubblica francese della legge in questione in tale causa, come richiesto all’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva, la Corte ha ritenuto opportuno limitarsi a considerare che tale legge non poteva «comunque» essere applicata a un privato, «indipendentemente dal fatto che questa legge soddisfi le altre condizioni previste da tale disposizione» (57).

e)      Sulla sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line)

82.      La questione pregiudiziale sollevata nella causa che ha dato luogo alla sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) verteva sulla conformità con il diritto dell’Unione dell’applicazione di una normativa nazionale dello Stato membro di destinazione di un servizio di vendita on line di medicinali non soggetti a prescrizione medica al prestatore di tale servizio stabilito in un altro Stato membro. Con tale questione, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte se la suddetta normativa nazionale fosse compatibile con l’articolo 34 TFUE, con l’articolo 85 quater della direttiva 2001/83/CE (58) e/o con l’articolo 3 della direttiva 2000/31. Nella sua sentenza, la Corte ha ritenuto che la questione pregiudiziale dovesse essere esaminata dal punto di vista di quest’ultima direttiva.

83.      Sebbene la lettura di tale sentenza possa suggerire che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, uno Stato membro possa derogare alla libera circolazione dei servizi adottando una normativa generale ed astratta, la risposta della Corte non può essere intesa come una sentenza definitiva sul merito della causa senza tenere conto della natura del procedimento pregiudiziale e della portata della domanda presentata alla Corte. Infatti, la Corte non è stata interrogata sulla questione se la normativa nazionale in questione potesse costituire un «provvedimento» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva. Analogamente, nella causa di cui trattasi, si è sostenuto che tale normativa non era stata notificata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva. Tuttavia, la Corte di giustizia ha risposto alla questione pregiudiziale dichiarando che occorreva autorizzare l’applicazione di detta normativa a un prestatore stabilito in un altro Stato membro, tenuto conto della presunzione di rilevanza delle questioni pregiudiziali vertenti sul diritto dell’Unione (59).

84.      Sempre in questo contesto, è sintomatico che il dispositivo della sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) non faccia riferimento a una specifica disposizione della direttiva 2000/31, nonostante la questione pregiudiziale menzioni l’articolo 3 di tale direttiva. Ancor più importante è il fatto che, in detta sentenza, la Corte abbia fatto riferimento anche all’articolo 8, paragrafo 1, della suddetta direttiva (60).

85.      A questo proposito, la normativa nazionale oggetto di detta causa e la giustificazione addotta a sostegno della stessa possono far pensare che tale normativa includesse, in sostanza, regole professionali relative ai farmacisti e alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali da parte di questi ultimi. È opportuno ricordare, in questo contesto, che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 stabilisce che «[g]li Stati membri provvedono affinché l’impiego di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, siano autorizzate nel rispetto delle regole professionali relative, in particolare, all’indipendenza, alla dignità, all’onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi». Al pari degli articoli 14 e 15 di detta direttiva, questa disposizione è contenuta non nel capo I, che contiene l’articolo 3, ma nel capo II della direttiva. Non si può dunque escludere che l’articolo 8 della direttiva 2000/31, così come i suoi articoli 14 e 15 (61), si applichi anche agli Stati membri di destinazione, che determinano quali siano le attività professionali regolamentate all’interno dei loro ordinamenti giuridici e che possono pertanto adottare alcune norme relative alle comunicazioni commerciali fornite da chi esercita una professione regolamentata, senza violare il meccanismo dell’articolo 3 di tale direttiva.

86.      Alla luce di quanto precede, confermo la posizione che ho esposto al paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

VI.    Conclusione

87.      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale sollevata dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) nei seguenti termini:

L’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta a che uno Stato membro limiti la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da altri Stati membri adottando provvedimenti legislativi di carattere generale e astratto riguardanti una categoria generalmente circoscritta di taluni servizi della società dell’informazione, senza che tali provvedimenti siano adottati in relazione a un singolo caso specifico.


1      Lingua originale: il francese.


2      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (regolamento sui servizi digitali) (GU 2022, L 277, pag. 1).


3      V. articolo 1 del Digital Services Act.


4      Per una descrizione di tali obblighi, v., in particolare, Wilman, F., «The Digital Services Act (DSA) – An Overview», SSRN (papers.ssrn.com), 27 dicembre 2022, pagg. 7 e segg.


5      V. articoli 92 e 93 del Digital Services Act.


6      Fatte salve le eccezioni previste da atti più specifici che disciplinano tali aspetti, quali la direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio (GU 2011, L 335, pag. 1, e rettifica in GU 2012, L 18, pag. 7) e il regolamento (UE) 2021/784 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, relativo al contrasto della diffusione di contenuti terroristici online (GU 2021, L 172, pag. 79).


7      In particolare, la Repubblica federale di Germania e la Repubblica francese, che hanno adottato, rispettivamente, la Netzwerkdurchsetzungsgesetz (NetzDG) (legge sul controllo dei social network) del 1° settembre 2017 (BGBl. 2017 I, pag. 3352) e la loi no 2020-766, du 24 juin 2020, visant à lutter contre les contenus haineux sur l’internet (legge n. 2020-766 del 24 giugno 2020 relativa alla lotta contro i contenuti che istigano all’odio su Internet) (JORF n. 0156 del 25 giugno 2020).


8      La Commissione europea ha indicato, nelle sue osservazioni scritte, che tale normativa austriaca prevede obblighi che si sovrappongono a quelli previsti dal Digital Services Act.


9      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1).


10      V. articolo 2, paragrafo 3, del Digital Services Act. Peraltro, sebbene tale regolamento armonizzi pienamente talune norme applicabili ai servizi intermediari nel mercato interno, esso, tuttavia, verosimilmente non elimina la facoltà di derogare al principio del paese d’origine sancito all’articolo 3 della direttiva 2000/31 per quanto riguarda gli aspetti diversi da quelli oggetto delle norme armonizzate. V. considerando 9 di detto regolamento.


11      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 2015, L 241, pag. 1). Prima dell’entrata in vigore della direttiva 2015/1535, l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31 definiva i «servizi della società dell’informazione» come i «servizi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva [98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU 1998, L 204, pag. 37)]». Dall’entrata in vigore della direttiva 2015/1535, questo riferimento, conformemente all’articolo 10 di quest’ultima, va inteso come rinvio al suo articolo 1, paragrafo 1, lettera b).


12      BGBl. I, 151/2020.


13      Articolo 14 del KoPl-G.


14      L’articolo 1, paragrafo 3, del KoPl-G non è stato citato dal giudice del rinvio. In sostanza, tale disposizione esclude dall’ambito di applicazione di questa legge i fornitori di piattaforme di comunicazione (1) utilizzate esclusivamente per la negoziazione o la vendita di beni o servizi, nonché per la negoziazione di immobili o di offerte di lavoro, (2) il cui scopo principale è quello di fornire servizi senza scopo di lucro e (3) offerti da società di media.


15      Sentenza del 2 dicembre 2010 (C‑108/09, in prosieguo: la «sentenza Ker-Optika», EU:C:2010:725).


16      Sentenza del 19 dicembre 2019 (C‑390/18; in prosieguo: la «sentenza Airbnb Ireland», EU:C:2019:1112).


17      Sentenza del 1° ottobre 2020 [C‑649/18, in prosieguo: la «sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali online)», EU:C:2020:764].


18      C‑390/18, EU:C:2019:336, paragrafi 134 e 135.


19      V. articolo 1 del KoPl-G.


20      V. articolo 3, paragrafi 1 e 4, del KoPl-G.


21      V. articolo 4, paragrafo 1, del KoPl-G.


22      V. articolo 5, paragrafi 1 e 4, del KoPl-G.


23      V. articolo 10 del KoPl-G, che non è riportato nella domanda di pronuncia pregiudiziale.


24      Sentenza Airbnb Ireland (punto 42).


25      L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 prevede che «gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso».


26      V. sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando (C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 105).


27      V. sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando (C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punti 131 e 133).


28      Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 4, del Digital Services Act, che riprende la funzione dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2000/31, si limita ad indicare che tale articolo «lascia impregiudicata la possibilità, conformemente all’ordinamento giuridico dello Stato membro, che un’autorità giudiziaria o amministrativa esiga che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine a una violazione» (come la prima parte dell’articolo 14, paragrafo 3), senza riprendere la seconda parte dell’articolo 14, paragrafo 3 (riportata nel paragrafo 49 delle presenti conclusioni). Orbene, da un lato, le norme relative alle ingiunzioni sono ormai armonizzate da tale regolamento e, dall’altro, detto regolamento enuncia che le condizioni e le prescrizioni relative a queste ultime non pregiudicano il diritto processuale civile. V. articolo 9, paragrafo 6, e articolo 10, paragrafo 6, del medesimo regolamento.


29      L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 stabilisce che, «[n]ella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite». L’articolo 15, paragrafo 2 di detta direttiva aggiunge che: «[g]li Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della società dell’informazione siano tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati».


30      V. altresì, in tal senso, la sentenza del 3 ottobre 2019, Glawischnig-Piesczek (C‑18/18, EU:C:2019:821, punto 35), nella quale la Corte ha indicato che «un caso specifico di tal genere può scaturire, in particolare, come nel procedimento principale, da un’informazione precisa, memorizzata dal prestatore di servizi di hosting interessato su richiesta di un determinato utente del suo social network, il cui contenuto sia stato analizzato e valutato da un giudice competente dello Stato membro che, in esito alla sua valutazione, l’abbia dichiarata illecita».


31      Punto 42 di tale sentenza.


32      V., in tal senso, sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (punto 34). V., altresì, le mie conclusioni nella causa LEA (C‑10/22, EU:C:2023:437, paragrafo 84).


33      Punto 64 di tale sentenza.


34      Sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (punto 62). V., altresì, in tal senso, sentenza Airbnb Ireland (punti 81 e 82).


35      V. sentenza del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a. (C‑509/09 e C‑161/10, EU:C:2011:685, punti 67 e 68).


36      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni. V. altresì considerando 38 del Digital Services Act.


37      C‑390/18, EU:C:2019:336, paragrafo 135.


38      V. mie conclusioni nella causa Airbnb Ireland (C‑390/18, EU:C:2019:336, paragrafi da 123 a 125).


39      C‑390/18, EU:C:2019:336, paragrafo 135.


40      V. sentenza del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a. (C‑509/09 e C‑161/01, EU:C:2011:685, punto 64).


41      V. considerando 24 della direttiva 2000/31.


42      V. considerando 22 della direttiva 2000/31.


43      V. articolo 1, paragrafo 1, lettera e), e articolo 5 della direttiva 2015/1535. Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione afferma che il KoPl-G le è stato notificato non ai sensi della direttiva 2000/31 bensì ai sensi della direttiva 2015/1535, senza tuttavia escludere che uno Stato membro possa, attraverso un’unica notifica, adempiere gli obblighi di notifica previsti da entrambe le direttive.


44      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno COM(1998) 586 def., pag. 34.


45      V., in particolare, Crabit, E., «La directive sur le commerce électronique: le projet “Méditerranée”», Revue du droit de l’Union européenne, 2000, n. 4, pag. 749 e, in particolare, pagg. 762 e 792; Drexl, J., «Mondialisation et société de l’information. Le commerce électronique et la protection des consommateurs», Revue internationale de droit économique, 2002, n. 2 e 3, pag. 405 e, in particolare, pag. 432 («[lo Stato membro di destinazione] può adottare provvedimenti individuali»); Gkoutzinis, A., Internet Banking and the Law in Europe: Regulation, Financial Integration and Electronic Commerce, Cambridge University Press, Cambridge-New York, 2006, pag. 283, e Schulz, W., «Regulating Intermediaries to Protect Privacy Online – the Case of the German NetzDG», HIIG Discussion Paper Series, 2018, pag. 7 («exemption clause of art. 3 sec. 4 e-Commerce Directive [is] restricted to individual cases and does not allow members states to apply their jurisdiction all together “through the backdoor”»).


46      V., Holznagel, D., «Platform Liability for Hate Speech & the Country of Origin Principle: Too Much Internal Market?», Computer Law Review International, 2020, vol. 4, pag. 107.


47      Punto 76 di tale sentenza.


48      Sentenza Ker-Optika (punto 28).


49      Sentenza Ker-Optika (punto 31).


50      Sentenza Ker-Optika (punto 41).


51      Sentenza Ker-Optika (punto 75).


52      Sentenza Ker-Optika (punto 76).


53      Sentenza Ker-Optika (punto 78).


54      V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:341, paragrafo 21).


55      Punto 76 di tale sentenza.


56      Sentenza Ker-Optika (punto 26).


57      Sentenza Airbnb Ireland (punto 99).


58      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU 2001, L 311, pag. 67), come modificata dalla direttiva 2004/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (GU 2004, L 136, pag. 34).


59      V. sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (punti 41 e 44).


60      V. sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali on line) (punto 66).


61      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.