Language of document : ECLI:EU:C:2022:1016

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

22 dicembre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 9, paragrafo 2, lettera a) – Diritti conferiti dal marchio dell’Unione europea – Nozione di “uso” – Gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online – Annunci pubblicati su tale mercato da venditori terzi che fanno uso, in detti annunci, di un segno identico a un marchio altrui per prodotti identici a quelli per i quali quest’ultimo è stato registrato – Percezione di tale segno come parte integrante della comunicazione commerciale di detto gestore – Modalità di presentazione degli annunci che non consente di distinguere chiaramente le offerte di detto gestore da quelle di tali venditori terzi»

Nelle cause riunite C‑148/21 e C‑184/21,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE proposte dal Tribunal d’arrondissement de Luxembourg (Tribunale circoscrizionale di Lussemburgo, Lussemburgo) e dal Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles (Tribunale del commercio di Bruxelles di lingua francese, Belgio), con decisioni del 5 marzo 2021 e del 22 marzo 2021, pervenute in cancelleria rispettivamente l’8 marzo 2021 e il 24 marzo 2021, nei procedimenti

Christian Louboutin

contro

Amazon Europe Core Sàrl (C‑148/21),

Amazon EU Sàrl (C‑148/21),

Amazon Services Europe Sàrl (C‑148/21),

Amazon.com Inc. (C‑184/21),

Amazon Services LLC (C‑184/21),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Prechal, K. Jürimäe, C. Lycourgos, M. Safjan, P.G. Xuereb, D. Gratsias, M.L. Arastey Sahún, presidenti di sezione, M. Ilešič (relatore), F. Biltgen, I. Ziemele e J. Passer, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: V. Giacobbo, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 febbraio 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Christian Louboutin, da M. Decker, N. Decker e T. van Innis, avocats;

–        per Amazon Europe Core Sàrl, Amazon EU Sàrl e Amazon Services Europe Sàrl, da S. Ampatziadis, H. Bälz, A. Conrad, F. Seip, Rechtsanwälte, e E. Taelman, advocaat;

–        per Amazon.com Inc. e Amazon Services LLC, da L. Depypere, advocaat, R. Dupont, avocat, e T. Heremans, advocaat;

–        per il governo tedesco, da J. Möller, U. Bartl e M. Hellmann, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da É. Gippini Fournier, S.L. Kalėda e J. Samnadda, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale presentate all’udienza del 2 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).

2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che oppongono il sig. Christian Louboutin, nella causa C‑148/21, alla Amazon Europe Core Sàrl, alla Amazon EU Sàrl nonché alla Amazon Services Europe Sàrl e, nella causa C‑184/21, alla Amazon.com Inc. nonché alla Amazon Services LLC (in prosieguo, congiuntamente e indistintamente in ciascuna delle due cause suddette, «Amazon»), in merito all’asserito uso, da parte di Amazon, di segni identici al marchio dell’Unione europea di cui il sig. Louboutin è titolare e senza il consenso di quest’ultimo, per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato.

 Contesto normativo

 Regolamento 2017/1001

3        L’articolo 9 del regolamento 2017/1001, dal titolo «Diritti conferiti dal marchio UE», contenuto nella sezione 2, a sua volta intitolata «Effetti di un marchio UE», del capo II di tale regolamento, prevede, ai paragrafi da 1 a 3, quanto segue:

«1.      La registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo.

2.      Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a)      il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;

(...)

3.      Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2:

(...)

b)      l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(...)

e)      l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità;

f)      l’uso del segno nella pubblicità comparativa in una maniera contraria alla direttiva 2006/114/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU 2006, L 376, pag. 21)]».

 Direttiva 2004/48/CE

4        L’articolo 11 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45, e rettifica in GU 2004, L 195, pag. 16), recante il titolo «Ingiunzioni», prevede quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un’ingiunzione è oggetto, ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di assicurarne l’esecuzione. Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU 2001, L 167, pag. 10)]».

 Direttiva 2000/31/CE

5        L’articolo 14 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1), intitolato «Hosting», dispone, al paragrafo 1, quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a)      non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione,

o

b)      non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso».

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

6        Il sig. Louboutin è un creatore francese di calzature e di borse di lusso i cui prodotti più noti sono scarpe da donna con tacco alto. A partire dalla metà degli anni ’90, egli ha apposto alle sue calzature a tacco alto una suola esterna di un colore rosso corrispondente al codice 18.1663TP della scala colori Pantone.

7        Questo colore, applicato alla suola di una calzatura con tacco alto, è registrato quale marchio del Benelux ai sensi della Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi e disegni o modelli), del 25 febbraio 2005, sottoscritta all’Aia dal Regno del Belgio, dal Granducato di Lussemburgo e dal Regno dei Paesi Bassi. Il medesimo marchio è registrato dal 10 maggio 2016 come marchio dell’Unione europea (in prosieguo: il «marchio in questione»).

8        Amazon gestisce siti Internet di vendita online di svariate tipologie di prodotti che essa propone sia direttamente, in nome e per conto proprio, sia indirettamente, fornendo anche un mercato online a venditori terzi. La spedizione dei prodotti messi in vendita da tali venditori terzi su detto mercato online può essere presa in carico da questi ultimi o da Amazon stessa, che in tal caso stocca detti prodotti nei suoi centri di distribuzione e li invia agli acquirenti a partire dai propri depositi.

9        Su tali siti Internet compaiono regolarmente annunci di vendita relativi a scarpe con suole rosse che, secondo il sig. Louboutin, riguardano prodotti immessi in commercio senza il suo consenso.

 Causa C148/21

10      Il 19 settembre 2019, il sig. Louboutin, invocando una lesione dei diritti esclusivi che gli derivano dal marchio in questione, ha proposto un’azione per contraffazione di tale marchio nei confronti di Amazon dinanzi al Tribunal d’arrondissement de Luxembourg (Tribunale circoscrizionale di Lussemburgo, Lussemburgo), il giudice del rinvio nella causa C‑148/21. Il sig. Louboutin chiede che Amazon sia dichiarata responsabile della violazione del marchio in questione, che essa cessi, a pena di sanzione pecuniaria, di fare uso nel commercio di segni identici a detto marchio in tutto il territorio dell’Unione europea, fatta eccezione per il territorio del Benelux, e che essa sia condannata al risarcimento del danno asseritamente causato da tali usi.

11      L’azione del sig. Louboutin si fonda sull’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001. Egli sostiene che Amazon avrebbe fatto uso, senza il suo consenso, di un segno identico al marchio in questione per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio di cui trattasi è stato registrato, avendo essa, segnatamente, visualizzato sui suoi siti Internet di vendita online annunci relativi a prodotti recanti tale segno identico e avendo altresì detenuto, spedito e consegnato prodotti siffatti. A parere del sig. Louboutin, un siffatto uso sarebbe imputabile ad Amazon, posto che tale società avrebbe svolto un ruolo attivo nell’uso controverso e gli annunci relativi ai prodotti contraffatti facevano parte della sua comunicazione commerciale. Amazon non potrebbe pertanto essere considerata come un semplice host di siti Internet o un intermediario neutro, in quanto presta assistenza ai venditori terzi, segnatamente per l’ottimizzazione della presentazione delle loro offerte.

12      Amazon contesta che l’uso del marchio in questione possa esserle imputato. Essa fa valere varie sentenze della Corte pronunciate in controversie relative a gestori di mercati online, come la società eBay, per sostenere che neanch’essa, in quanto gestore di un simile mercato, può essere ritenuta responsabile per l’uso di un segno identico al marchio in questione da parte dei venditori terzi che si sono avvalsi del suo mercato online. Amazon afferma che la modalità di funzionamento dei mercati integrati nei suoi siti Internet di vendita online non è significativamente diversa da quella degli altri mercati e che l’inserimento del proprio logo negli annunci dei venditori terzi non implica che essa si appropri di tali annunci. Inoltre, a parere di Amazon, i servizi accessori che essa propone ai venditori non consentirebbero di giustificare la qualificazione delle loro offerte come parte della sua comunicazione commerciale. Il fatto, per un prestatore, di creare le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno identico a un marchio protetto e di essere remunerato per tale servizio non significherebbe che il prestatore stesso faccia uso del segno in questione.

13      Secondo il giudice del rinvio nella causa C‑148/21, la modalità di funzionamento dei siti Internet di vendita online gestiti da Amazon consiste nel raggruppare, per una stessa categoria di prodotti, annunci provenienti sia dalla società stessa sia da venditori terzi attivi sul mercato online compreso in tali siti Internet. In ciò essa è diversa da quella di altre società, quali eBay o Rakuten, che si limitano a gestire un mercato online e, pertanto, pubblicano unicamente annunci di venditori terzi, senza esercitare essi stessi alcuna attività di vendita di prodotti. Tuttavia, Amazon non sarebbe l’unica ad utilizzare tale modello commerciale di tipo «ibrido». Anche operatori come la società Cdiscount accolgono prodotti di venditori terzi accanto alla propria gamma di prodotti.

14      Pertanto, occorrerebbe stabilire, alla luce della giurisprudenza della Corte e, in particolare, della sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474), se tale modalità di funzionamento dei siti Internet di vendita online di Amazon possa indurre all’uso, da parte del gestore di tali siti, di un segno identico al marchio in questione a motivo dell’integrazione nella propria comunicazione commerciale degli annunci di venditori terzi che visualizzano tale segno.

15      Detto giudice si chiede inoltre se, per quanto attiene al ruolo più o meno attivo svolto dal gestore dei siti Internet di vendita online che integrano un mercato online nella pubblicazione degli annunci, possa assumere rilievo la percezione da parte del pubblico.

16      Infine, detto giudice si chiede se si debba ritenere che un gestore siffatto utilizzi un segno identico a un marchio protetto quando si fa carico della spedizione di prodotti recanti tale segno. Nella sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany (C‑567/18, EU:C:2020:267), la Corte non si sarebbe pronunciata su questo punto, in quanto, nella causa da cui è scaturita la citata sentenza, la spedizione era effettuata da un prestatore di servizi esterno.

17      In tale contesto, il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg (Tribunale circoscrizionale di Lussemburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, del [regolamento 2017/1001] debba essere interpretato nel senso che l’uso di un segno identico a un marchio in una pubblicità pubblicata su un sito [Internet] sia imputabile al suo gestore o ad entità economicamente collegate in ragione della mescolanza su tale sito delle offerte proprie del gestore o delle entità economicamente collegate e di quelle di venditori terzi, mediante l’integrazione di tali pubblicità nella comunicazione commerciale propria del gestore o delle entità economicamente collegate.

Se siffatta integrazione sia rafforzata dal fatto che:

–      le pubblicità sono presentate in modo uniforme sul sito;

–      le pubblicità proprie del gestore e delle entità economicamente collegate e quelle dei venditori terzi sono visualizzate indistintamente per quanto riguarda la loro origine, ma mostrando chiaramente il logo del gestore delle entità economicamente collegate nelle sezioni pubblicitarie di siti Internet di terzi sotto forma di “pop-up”;

–      il gestore o entità economicamente collegate offrono un servizio integrato ai venditori terzi, che include un’assistenza all’elaborazione delle pubblicità e alla fissazione dei prezzi di vendita, lo stoccaggio dei prodotti e la loro spedizione;

–      il sito del gestore e delle entità economicamente collegate è concepito in modo tale da presentarsi sotto forma di negozi e di etichette quali “bestseller”, “i più desiderati” o “i più regalati”, senza alcuna distinzione apparente prima facie tra i prodotti propri del gestore e delle entità economicamente collegate e i prodotti di venditori terzi.

2)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, del [regolamento 2017/1001] debba essere interpretato nel senso che l’uso di un segno identico a un marchio in una pubblicità pubblicata su un sito di vendita online sia, in linea di principio, imputabile al gestore di detto sito o ad entità economicamente collegate qualora, nella percezione di un internauta normalmente informato e ragionevolmente attento, tale gestore o un’entità economicamente collegata abbia svolto un ruolo attivo nell’elaborazione della pubblicità di cui trattasi o quest’ultima sia percepita come parte della comunicazione commerciale propria di detto gestore.

Se su tale percezione influisca:

–      la circostanza che detto gestore e/o entità economicamente collegate siano un noto distributore di un’ampia varietà di prodotti, tra cui prodotti della stessa categoria di quelli pubblicizzati;

–      o la circostanza che la pubblicità così pubblicata presenti un’intestazione nella quale è riprodotto il marchio di servizio di tale gestore o delle entità economicamente collegate, essendo detto marchio rinomato come marchio di distributore;

–      o ancora la circostanza che tale gestore o entità economicamente collegate offrano, contemporaneamente a detta pubblicazione, servizi tradizionalmente offerti dai distributori di prodotti della medesima categoria in cui rientra il prodotto pubblicizzato.

3)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, del [regolamento 2017/1001] debba essere interpretato nel senso che la spedizione, nel commercio e senza il consenso del titolare di un marchio, al consumatore finale di un prodotto recante un segno identico al marchio costituisca un uso imputabile al mittente solo se quest’ultimo ha una conoscenza effettiva dell’apposizione di tale segno sul prodotto.

Se detto mittente sia l’utilizzatore del segno in questione qualora esso stesso o un’entità economicamente collegata abbia indicato al consumatore finale che si incaricherà della spedizione dopo che esso stesso o un’entità economicamente collegata ha stoccato il prodotto a tal fine.

Se detto mittente sia l’utilizzatore del segno in questione qualora esso stesso o un’entità economicamente collegata abbia precedentemente contribuito in modo attivo alla pubblicazione, nel commercio, di una pubblicità del prodotto recante tale segno o abbia registrato l’ordine del consumatore finale, tenuto conto di tale pubblicità».

 Causa C184/21

18      Il 4 ottobre 2019, il sig. Louboutin, invocando una lesione dei diritti esclusivi che gli derivano dal marchio in questione, ha proposto dinanzi al Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles (Tribunale del commercio di Bruxelles di lingua francese, Belgio), il giudice del rinvio nella causa C‑184/21, un’azione per contraffazione di tale marchio nei confronti di Amazon diretta a ottenere l’inibitoria dell’uso, da parte di quest’ultima, di tale marchio e il risarcimento del danno cagionato da detto uso, facendo valere, in sostanza, i medesimi argomenti dedotti a sostegno della domanda proposta dinanzi al giudice del rinvio nella causa C‑148/21.

19      Secondo Amazon, invece, il fatto, da un lato, di pubblicare, sui mercati online integrati nei suoi siti Internet di vendita online, le offerte di venditori terzi di scarpe asseritamente contraffatte e, dall’altro, di prendere in carico la spedizione di tali scarpe non costituisce un uso del marchio in questione da parte di tale società.

20      Il giudice del rinvio nella causa C‑184/21 ritiene che, ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito, sia necessario sapere, in primo luogo, in quali circostanze l’uso di un segno contraffatto in un’offerta di vendita di un venditore terzo possa essere imputato al gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online, in secondo luogo, se e in quali circostanze la percezione del pubblico riguardo a detta offerta sia rilevante per concludere nel senso dell’imputabilità di tale uso e, in terzo luogo, se ed eventualmente in quali circostanze il fatto che Amazon prenda in carico la spedizione di un prodotto recante un segno identico a un marchio costituisca, di per sé, un atto d’uso di quest’ultimo imputabile a tale società ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001.

21      In tale contesto, il Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles (Tribunale del commercio di Bruxelles di lingua francese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, del [regolamento 2017/1001] debba essere interpretato nel senso che l’uso di un segno identico a un marchio in una pubblicità pubblicata su un sito [Internet] sia, in linea di principio, imputabile al gestore di detto sito qualora, nella percezione di un internauta normalmente informato e ragionevolmente attento, tale gestore abbia svolto un ruolo attivo nell’elaborazione della pubblicità di cui trattasi o quest’ultima possa essere percepita dall’internauta in questione come parte della comunicazione commerciale propria di detto gestore.

Se su tale percezione influisca:

–      la circostanza che detto gestore sia un noto distributore di un’ampia varietà di prodotti, tra cui prodotti della stessa categoria di quelli pubblicizzati;

–      o la circostanza che la pubblicità così pubblicata presenti un’intestazione nella quale è riprodotto il marchio di servizio di tale gestore, essendo detto marchio rinomato come marchio di distributore;

–      o ancora la circostanza che tale gestore offra, contemporaneamente a detta pubblicazione, servizi tradizionalmente offerti dai distributori di prodotti della medesima categoria in cui rientra il prodotto pubblicizzato.

2)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, del [regolamento 2017/1001] debba essere interpretato nel senso che la spedizione, nel commercio e senza il consenso del titolare di un marchio, al consumatore finale di un prodotto recante un segno identico al marchio costituisca un uso imputabile al mittente solo se quest’ultimo ha una conoscenza effettiva dell’apposizione di tale segno sul prodotto.

Se detto mittente sia l’utilizzatore del segno in questione qualora esso stesso o un’entità economicamente collegata abbia indicato al consumatore finale che si incaricherà della spedizione dopo che esso stesso o un’entità economicamente collegata ha stoccato il prodotto a tal fine.

Se detto mittente sia l’utilizzatore del segno in questione qualora esso stesso o un’entità economicamente collegata abbia precedentemente contribuito in modo attivo alla pubblicazione, nel commercio, di una pubblicità del prodotto recante tale segno o abbia registrato l’ordine del consumatore finale, tenuto conto di tale pubblicità».

22      Con decisione del presidente della Corte del 16 aprile 2021, le cause C‑148/21 e C‑184/21 sono state riunite ai fini della fase orale e della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

23      Con le loro questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001 debba essere interpretato nel senso che si possa ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online usi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita su detto mercato, senza il consenso del titolare del citato marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno. Essi si chiedono, in particolare, se sia rilevante a tal riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei loro prodotti, servizi complementari consistenti nel fornire assistenza per la presentazione dei loro annunci nonché nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti proposti sul medesimo mercato. In siffatto contesto, i giudici del rinvio si interrogano altresì sulla questione se occorra prendere in considerazione, eventualmente, la percezione degli utenti del sito Internet in questione.

24      In forza dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001, la registrazione del marchio dell’Unione europea conferisce al titolare il diritto di vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico a tale marchio in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali esso è stato registrato.

25      A tale proposito, occorre anzitutto rilevare che la nozione di «usare», ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001, non è definita da detto regolamento.

26      Dalla giurisprudenza costante della Corte risulta che il titolare del marchio ha diritto di vietare a un terzo, salvo proprio consenso, di usare un segno identico a detto marchio quando tale uso avviene nel commercio, è effettuato per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato, e pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio, tra le quali rientra in particolare la funzione essenziale del marchio che consiste nel garantire ai consumatori la provenienza del prodotto o del servizio (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2016, Daimler, C‑179/15, EU:C:2016:134, punto 26 e giurisprudenza citata).

27      La Corte ha inoltre precisato che, nella sua accezione abituale, il verbo «usare» implica un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso e ha rilevato che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, il quale fa un elenco non tassativo dei tipi di uso che il titolare del marchio può vietare, menziona esclusivamente comportamenti attivi da parte del terzo (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 37 e giurisprudenza citata), tra i quali figura, in tale articolo 9, paragrafo 3, lettera b), l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti contraffatti a tali fini.

28      In tale contesto, la Corte ha ricordato che l’articolo 9 del regolamento 2017/1001 ha lo scopo di fornire al titolare di un marchio dell’Unione europea uno strumento legale che gli consenta di vietare, e quindi di far cessare, ogni uso del suo marchio compiuto da un terzo senza il suo consenso. Ebbene, solo un terzo che abbia il controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso è effettivamente in grado di cessare tale uso e quindi di conformarsi a detto divieto (sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 38 e giurisprudenza citata).

29      Inoltre, la Corte ha ripetutamente dichiarato che l’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001, implica, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Una persona può così permettere ai propri clienti di fare uso di segni identici o simili a marchi senza utilizzare essa stessa tali segni (sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 39 e giurisprudenza citata).

30      È in tale senso che la Corte ha considerato, con riguardo al gestore di un mercato online, che l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte di vendita che compaiono in detto mercato ha luogo unicamente ad opera dei clienti‑venditori di tale gestore e non ad opera di questo, in quanto esso non utilizza il suddetto segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale (v., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punti 102 e 103, e del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 40).

31      Invero, il fatto di creare le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e di essere remunerati per tale servizio non significa che chi rende detto servizio usi egli stesso il segno, nemmeno qualora agisca nel proprio interesse economico (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 43 e giurisprudenza citata).

32      Nella stessa prospettiva, la Corte ha sostanzialmente dichiarato, ai punti 45 e 53 della sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany (C‑567/18, EU:C:2020:267), che, quando il gestore di un mercato online offre servizi di stoccaggio ai venditori terzi attivi su tale mercato, in modo da conservare per conto di tali venditori terzi prodotti che violano un diritto di marchio, senza tuttavia essere a conoscenza della natura contraffatta dei prodotti in questione e senza avere l’obiettivo di offrire esso stesso i prodotti che ha stoccato o di immetterli in commercio, i segni apposti sui prodotti stoccati non sono utilizzati dal gestore, bensì unicamente da tali venditori.

33      Tuttavia, occorre sottolineare che, mentre la causa da cui è scaturita tale sentenza riguardava il gestore del medesimo sito Internet di vendita che integrava il mercato online, vale a dire Amazon, il giudice del rinvio in detta causa, l’unico competente ad effettuare gli accertamenti fattuali necessari, aveva indicato senza ambiguità che detto gestore non era a conoscenza del fatto che i prodotti in questione violavano un diritto di marchio, non aveva esso stesso offerto in vendita i prodotti di cui si trattava e non li aveva immessi in commercio né intendeva farlo esso stesso. Detto giudice aveva inoltre rilevato che la spedizione di tali prodotti era effettuata da prestatori esterni (v. sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punti 9, 30 e 47).

34      Inoltre, né nella suddetta causa né in quella da cui è scaturita la sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474), fatta valere da Amazon e citata al punto 30 della presente sentenza, la Corte era stata interpellata in merito alla rilevanza del fatto che il sito Internet di vendita online in questione integri, oltre al mercato online, offerte di vendita del gestore stesso di tale sito.

35      Orbene, nei presenti procedimenti, i giudici del rinvio si interrogano proprio su tale rilevanza e sull’importanza da attribuire, in un contesto siffatto, alla percezione degli utenti del sito di cui trattasi nonché ad altre circostanze, quali il fatto che il gestore ricorra ad una modalità di presentazione uniforme delle offerte di vendita pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo i propri annunci e quelli dei venditori terzi e facendo apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci, nonché al fatto che esso offra servizi supplementari a tali venditori terzi nell’ambito della commercializzazione dei loro prodotti, quali segnatamente l’assistenza per la presentazione dei loro annunci nonché lo stoccaggio e la spedizione dei loro prodotti.

36      In siffatto contesto, i giudici del rinvio si chiedono, in particolare, se in tali circostanze si possa ritenere che non sia solo il venditore terzo, ma anche il gestore del sito Internet di vendita online che integra un mercato online a usare, eventualmente, nella propria comunicazione commerciale, un segno identico a un marchio altrui per prodotti identici a quelli per i quali detto marchio è stato registrato e possa quindi essere considerato responsabile della violazione dei diritti del titolare di tale marchio, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001, quando il suddetto venditore terzo propone in vendita sul mercato in parola simili prodotti recanti il segno di cui trattasi.

37      Occorre precisare, a questo proposito, che tale questione si pone indipendentemente dal fatto che il ruolo di un gestore siffatto, nella misura in cui permette a un altro operatore economico di fare uso del marchio, possa, all’occorrenza, essere esaminato con riferimento ad altre norme giuridiche, quali l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 o l’articolo 11, prima frase, della direttiva 2004/48 (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 49 e giurisprudenza citata).

38      Sebbene spetti, in definitiva, al giudice del rinvio valutare se, in ciascuno dei procedimenti principali, Amazon, in qualità di gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online, faccia uso di un segno identico al marchio in questione per prodotti identici ai prodotti per i quali tale marchio è stato registrato, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001, la Corte può tuttavia fornire a detti giudici gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che potrebbero essere loro utili a tale riguardo (v., per analogia, sentenza del 7 aprile 2022, Berlin Chemie A. Menarini, C‑333/20, EU:C:2022:291, punto 46 e giurisprudenza citata).

39      A tale proposito, per quanto riguarda la «comunicazione commerciale» di un’impresa, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 29 della presente sentenza, occorre rilevare, al pari dell’avvocato generale ai paragrafi 55 e 56 delle sue conclusioni, che essa indica di norma tutte le forme di comunicazione destinata ai soggetti terzi, volte a promuovere le sue attività, i suoi beni o i suoi servizi o a indicare lo svolgimento di una siffatta attività. L’uso di un segno nella propria comunicazione commerciale da parte di un gestore siffatto presuppone quindi che tale segno appaia, agli occhi dei terzi, come parte integrante di essa e, pertanto, come rientrante nella sua attività.

40      In tale contesto, si deve ricordare che la Corte ha già dichiarato che, in una situazione in cui il prestatore di un servizio utilizza un segno identico o simile a un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, il suddetto prestatore fa uso di detto segno laddove lo utilizzi in modo tale da creare un nesso tra il citato segno e i servizi da esso forniti (sentenze del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 92, e del 15 dicembre 2011, Frisdranken Industrie Winters, C‑119/10, EU:C:2011:837, punto 32).

41      La Corte ha quindi considerato che un simile prestatore non fa uso esso stesso di un segno identico o simile a un marchio altrui quando il servizio da esso fornito non è, per sua natura, paragonabile a un servizio volto a promuovere la commercializzazione di prodotti recanti tale segno e non comporta la creazione di un nesso tra questo servizio e detto segno, in quanto il prestatore in questione non ha visibilità per il consumatore, il che esclude ogni associazione tra i suoi servizi e il segno di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 15 dicembre 2011, Frisdranken Industrie Winters, C‑119/10, EU:C:2011:837, punto 33).

42      Per contro, la Corte ha dichiarato che un nesso del genere esiste allorché il gestore di un mercato online fa pubblicità, mediante un servizio di posizionamento su Internet e partendo da una parola chiave identica a un marchio altrui, a prodotti recanti detto marchio messi in vendita dai suoi clienti nel suo mercato online. Infatti, una simile pubblicità crea, per gli internauti che effettuano una ricerca a partire da tale parola chiave, un’evidente associazione fra i suddetti prodotti contrassegnati da marchio e la possibilità di acquistarli attraverso detto mercato. È per questo motivo che il titolare di tale marchio può vietare al menzionato gestore un uso del genere, qualora siffatta pubblicità violi il diritto di marchio in quanto non consente, o consente soltanto difficilmente, all’internauta normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o servizi in parola provengano dal titolare di detto marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punti 93 e 97).

43      Da tale giurisprudenza risulta che, come ha rilevato in sostanza l’avvocato generale ai paragrafi 58, 59 e 72 delle sue conclusioni, al fine di accertare se il gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio altrui, che compare negli annunci relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, occorre valutare se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento del menzionato sito Internet stabilisca un nesso tra i servizi di detto gestore e il segno in questione.

44      La rilevanza di tale analisi non è in alcun modo rimessa in discussione dall’argomento, dedotto da Amazon e dalla Commissione europea nelle loro osservazioni scritte, secondo cui la giurisprudenza esistente della Corte non avrebbe preso in considerazione la percezione degli utenti.

45      È vero che, ai punti 102 e 103 della sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474), il cui contenuto è stato richiamato al punto 30 della presente sentenza, la Corte non ha espressamente menzionato la percezione dell’utente del mercato online, destinatario della comunicazione commerciale di cui trattasi.

46      Tuttavia, ciò non significa che la Corte abbia escluso che la percezione degli utenti del mercato online sia presa in considerazione in quanto elemento rilevante per stabilire se il segno in questione sia utilizzato nel contesto della comunicazione commerciale del gestore di tale mercato.

47      Infatti, nella causa da cui è scaturita detta sentenza, il sito Internet in questione comprendeva unicamente un mercato online, senza includere anche offerte di vendita proprie del gestore di tale sito.

48      Pertanto, per accertare se un annuncio, pubblicato su un sito Internet di vendita online che integra un mercato online da un venditore terzo attivo su quest’ultimo, che utilizza un segno identico a un marchio altrui possa essere considerato parte integrante della comunicazione commerciale del gestore di detto sito Internet, occorre verificare se tale annuncio possa stabilire un nesso tra i servizi offerti da detto gestore e il segno in questione, per il motivo che un utente normalmente informato e ragionevolmente attento potrebbe ritenere che sia il suddetto gestore a commercializzare, in nome e per conto proprio, il prodotto per il quale viene utilizzato il segno in questione.

49      Nell’ambito di tale valutazione globale delle circostanze del caso di specie, assumono particolare rilevanza, segnatamente, la modalità di presentazione degli annunci, sia individualmente che nel loro complesso, sul sito Internet in questione nonché la natura e la portata dei servizi forniti dal suo gestore.

50      Per quanto riguarda, in primo luogo, la modalità di presentazione di tali annunci, si deve ricordare che la necessità che gli annunci su Internet siano mostrati in modo trasparente è sottolineata nella legislazione dell’Unione sul commercio elettronico (sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 95). Gli annunci pubblicati su un sito Internet di vendita online che integra un mercato online devono quindi essere presentati in modo da consentire a un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di distinguere facilmente le offerte provenienti, da un lato, dal gestore di tale sito Internet e, dall’altro, da venditori terzi attivi sul mercato online ivi integrato (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 94).

51      Orbene, la circostanza che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo i propri annunci e quelli dei venditori terzi e facendo apparire il proprio logo di noto distributore tanto sul suo sito Internet quanto su tutti i suddetti annunci, compresi quelli relativi a prodotti offerti da venditori terzi, può rendere difficile tale chiara distinzione e dare quindi all’utente normalmente informato e ragionevolmente attento l’impressione che sia il suddetto gestore a commercializzare, in nome e per conto proprio, anche i prodotti offerti in vendita dai menzionati venditori terzi. Pertanto, se detti prodotti recano un segno identico a un marchio altrui, tale presentazione uniforme è idonea a creare un collegamento, agli occhi di siffatti utenti, fra il segno in questione e i servizi forniti dal medesimo gestore.

52      In particolare, quando il gestore di un sito Internet di vendita online associa alle varie offerte, provenienti da lui stesso o da terzi, senza distinzioni in funzione della loro origine, etichette quali «bestseller», «i più desiderati» o «i più regalati», al fine segnatamente di promuovere alcune di tali offerte, siffatta presentazione è idonea a rafforzare nell’utente normalmente informato e ragionevolmente attento l’impressione che i prodotti così promossi siano commercializzati da detto gestore, in nome e per conto proprio.

53      In secondo luogo, la natura e la portata dei servizi forniti dal gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online ai venditori terzi che propongono su tale mercato prodotti recanti il segno in questione, come quelli consistenti, in particolare, nel trattamento delle domande degli utenti relative a tali prodotti o nello stoccaggio, nella spedizione e nella gestione dei resi di detti prodotti, possono del pari dare l’impressione, a un utente normalmente informato e ragionevolmente attento, che questi stessi prodotti siano commercializzati da detto gestore, in nome e per conto proprio, e quindi creare un nesso, agli occhi di tali utenti, tra i suoi servizi e i segni che appaiono su detti prodotti nonché negli annunci dei menzionati venditori terzi.

54      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001 deve essere interpretato nel senso che si può ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita sul mercato in parola, senza il consenso del titolare di detto marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno, se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisce un nesso tra i servizi del menzionato gestore e il segno in questione, il che si verifica in particolare quando, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, un utente siffatto potrebbe avere l’impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno. È rilevante a tale riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti.

 Sulle spese

55      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea,

dev’essere interpretato nel senso che:

si può ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita sul mercato in parola, senza il consenso del titolare di detto marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno, se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisce un nesso tra i servizi del menzionato gestore e il segno in questione, il che si verifica in particolare quando, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, un utente siffatto potrebbe avere l’impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno. È rilevante a tale riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.