Language of document : ECLI:EU:C:2005:372

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

PRESENTATE IL 9 GIUGNO 2005 1(1)

Causa C-6/04

Commissione delle Comunità europee

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

«Conservazione degli habitat naturali – Flora e fauna selvatiche»





I –    Introduzione

1.     In questo procedimento per inadempimento la Commissione contesta al Regno Unito di non aver trasposto adeguatamente diverse disposizioni della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (in prosieguo: la «direttiva Habitat») (2).

2.     La Commissione, a questo proposito, ha dapprima effettuato il procedimento precontenzioso necessario ai sensi dell’art. 225 Trattato CE e successivamente, in data 18 luglio 2001, ha indirizzato al Regno Unito un parere motivato nel quale ha fissato un ultimo termine di due mesi per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva Habitat.

3.     Non ritenendo sufficienti le misure adottate nel frattempo dal Regno Unito, la Commissione chiede che la Corte voglia,

–       dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non avendo trasposto correttamente quanto prescritto dalla direttiva del Consiglio 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è venuto meno agli obblighi incombentigli ai sensi di tale direttiva;

–       condannare il Regno Unito alle spese.

4.     Il governo del Regno Unito chiede che la Corte voglia,

–       dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha adempiuto gli obblighi incombentigli ai sensi della direttiva 92/43 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche; e

–       condannare la Commissione alle spese.

5.     La domanda del governo britannico deve essere intesa come mirante al rigetto del ricorso. Nel caso, infatti, dovesse venire intesa – sulla base del suo tenore letterale – come una richiesta di dichiarazione di comportamento conforme alla direttiva, essa sarebbe irricevibile, dal momento che il diritto comunitario non prevede una simile domanda giudiziale.

II – Analisi dei motivi del ricorso

6.     La Commissione contesta la trasposizione di diversi articoli della direttiva Habitat. Il governo del Regno Unito si difende, da un lato, con argomenti relativi alle singole disposizioni, dall’altro, deducendo che tutte le eventuali lacune sono irrilevanti, essendo il rispetto della direttiva garantito da una norma di carattere generale.

A –    Sulla trasposizione a mezzo di una norma di carattere generale

7.     Come prima cosa il governo britannico si richiama, in via generale, alla giurisprudenza della Corte sull’esattezza richiesta nella trasposizione di una direttiva. Secondo tale giurisprudenza, la trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale non implica necessariamente la riproduzione ufficiale e testuale delle sue disposizioni in una norma di legge espressa e specifica. Può essere sufficiente, invece, a seconda del contenuto della direttiva stessa, un contesto giuridico generale, purché garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso, affinché, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (3).

8.     Nel diritto britannico esisterebbe un simile contesto giuridico generale. Le autorità competenti sarebbero obbligate per legge ad esercitare i propri poteri in maniera tale da garantire il rispetto della direttiva Habitat. Ciò risulterebbe, per l’Inghilterra, il Galles e la Scozia dalle regulation 3(2) e 3(4) delle Conservation (Natural Habitats, &c) Regulations 1994 (in prosieguo: «C(NH)R 1994»), per l’Irlanda del Nord dalle regulation 3(2) e 3(4) delle Conservation (Natural Habitats, etc.) Regulations (Northern Ireland) 1995 (in prosieguo: «C(NH)R(NI) 1995») e per la Gibilterra dalla section 17A della Nature Protection Ordinance 1991 nella versione del 1995 (in prosieguo: «NPO»). Secondo il governo britannico, quest’obbligo garantirebbe che le eventuali lacune o parti non chiare delle specifiche disposizioni di trasposizione non possano compromettere il raggiungimento degli scopi della direttiva. La High Court inglese avrebbe confermato espressamente quest’interpretazione. (4)

9.     La Commissione obietta che la Corte ha ripetutamente insistito sul fatto che «le disposizioni di una direttiva devono essere trasposte con efficacia cogente incontestabile e con la specificità, precisione e chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto» (5). Proprio nel caso della direttiva Habitat sarebbe necessaria una trasposizione concreta, dal momento che le misure ivi previste sono riferite a specifiche finalità di conservazione di un sito, di un habitat o di una specie. Secondo la logica del governo britannico sarebbe stato sufficiente, al contrario, trasporre la direttiva nel suo complesso attraverso una norma generale.

10.   La Corte ha di recente sintetizzato la propria giurisprudenza in tema di necessaria precisione nella trasposizione di direttive come segue:

«Anche se è (…) indispensabile che la situazione giuridica derivante dalle misure nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di conoscere l’ampiezza dei loro diritti ed obblighi, cionondimeno, secondo la formulazione stessa dell’art. 249, terzo comma, CE, gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato che queste ultime devono raggiungere e da tale disposizione risulta che la trasposizione in diritto interno di una direttiva non esige necessariamente un’azione legislativa in ciascuno Stato membro. La Corte ha così ripetutamente statuito che non è sempre richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in base al suo contenuto, un contesto giuridico generale» (6).

11.   Con particolare riferimento alla direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (7) (in prosieguo: la «direttiva Uccelli»), la Corte ha, però, statuito che l’accuratezza della trasposizione è particolarmente importante nei casi in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il loro territorio, ai rispettivi Stati membri (8). Questa considerazione vale in ugual misura per la direttiva Habitat (9).

12.   La norma generale può, pertanto, essere considerata come un provvedimento di trasposizione sufficiente soltanto se per gli operatori nazionali del diritto e per gli interessati non vi sia alcun dubbio sui precetti della direttiva Habitat. Solo analizzando le singole disposizioni da trasporre, e non in abstracto, si può accertare se tale sia la situazione nella fattispecie.

B –    Sui singoli motivi di ricorso

13.   La Commissione contesta in particolare la trasposizione degli artt. 6, n. 2, 6, nn. 3 e 4, 11, 12, n. 1, lett. d), 12 n. 4, 14, n. 2, 15 e 16 della direttiva Habitat e la mancanza di norme di applicazione della direttiva Habitat per quanto riguarda le zone esterne alle acque territoriali.

1.      Sull’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat: divieto di degrado

14.   L’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat recita come segue:

       «Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere delle conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.»

15.   Entrambe le parti ritengono che il Regno Unito abbia adottato le disposizioni necessarie alla trasposizione di questa disposizione con riguardo al controllo delle attività potenzialmente perturbative.

16.   La Commissione sostiene, tuttavia, che l’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat richiede, inoltre, che debba essere impedito il degrado di un sito protetto speciale causato da trascuratezza o da inattività. Le competenti autorità dovrebbero, pertanto, essere autorizzate ad adottare misure per impedire il deterioramento di un sito. Ciò sarebbe garantito da nuove normative in Inghilterra ed nel Galles, in Irlanda del Nord ed in Scozia, ma non a Gibilterra.

17.   Il governo britannico concorda con la Commissione, precisando però, restrittivamente, che il degrado da impedire è solo quello «non naturale», ad esempio quello dovuto ad una cattiva gestione, ma non quello dovuto a cause naturali, quali i mutamenti climatici o le inondazioni causate da una crescita del livello del mare. A Gibilterra detto obbligo sarebbe stato trasposto in maniera sufficiente, in particolare attraverso la succitata norma generale.

a)      Sull’inclusione dei concetti di negligenza e di omissione

18.   Nell’interpretazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat, fino ad oggi la giurisprudenza non ha, nella maggior parte dei casi, focalizzato i concetti di negligenza e di omissione. Secondo l’opinione dell’avvocato generale Fennelly, questa disposizione contiene un divieto di talune attività che potrebbero determinare un degrado degli habitat protetti o una perturbazione delle specie protette (10). Anche la sentenza sull’Owenduff-Nephin Beg Complex aveva come oggetto attività che avrebbero dovuto essere impedite, e cioè il pascolo intensivo e l’imboschimento (11). In questo caso solo l’avvocato generale Léger ha ravvisato una violazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat anche nella mancata adozione di misure idonee a porre rimedio ai danni causati da tali operazioni (12).

19.   In effetti, il testo dell’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat depone a favore di un obbligo di adottare determinate misure per la conservazione di beni protetti. In base a detta norma gli Stati membri devono impedire il degrado. Se debbano essere vietati determinati comportamenti o se debbano essere adottate misure di conservazione per evitare tale degrado può risultare, di volta in volta, solo dal tipo di degrado che si teme possa avvenire (13). La Commissione, pertanto, ritiene correttamente che possano essere necessarie sia misure di difesa – come, ad esempio, divieti (14) – contro danni e perturbazioni provenienti dall’esterno e causati dall’uomo, sia misure per neutralizzare evoluzioni naturali che potrebbero comportare un degrado dello stato di conservazione di specie e di habitat.

20.   Ciò risulta anche dalle esigenze dei singoli tipi di habitat protetti. Gli habitat desertici perdono spesso le loro particolari caratteristiche a causa della proliferazione della vegetazione, qualora questa non venga impedita da interventi dell’uomo. Nei tipi di habitat «praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis, Sanguisorba officinalis)» (Natura 2000 codice 6510) e «praterie da fieno d’altura» (Natura 2000 codice 6520) la necessità di interventi umani – qui lo sfalcio dei prati – risulta già dalla loro denominazione, sia direttamente che indirettamente (15).

21.   Contrariamente all’opinione del governo britannico, il concetto di degrado non viene limitato al degrado «non naturale». La proliferazione della vegetazione or ora menzionata costituirebbe infatti un degrado naturale. Gli esempi del governo britannico – mutamento del livello del mare, mutamenti climatici – mostrano che le sue preoccupazioni vertono, più che sulla natura in generale, sulle mutazioni strutturali dell’ambiente che compromettono le condizioni di conservazione degli habitat e delle specie protetti nei siti interessati da Natura 2000. Il trattamento di simili mutamenti è sicuramente di grande interesse, ma tale questione esula dall’ambito del presente procedimento. La Commissione, infatti, non ha contestato al Regno Unito la mancata adozione di norme per un simile caso.

b)      Sulla trasposizione

22.   L’unica disposizione ravvisabile che potrebbe riguardare misure positive per evitare il degrado a Gibilterra è la section 17G dell’Ordinance, la quale permette alle autorità competenti di stipulare degli accordi sulla cura dei siti con i proprietari o i possessori. Questa facoltà non è tuttavia connessa alla finalità di evitare il degrado. Non è neppure chiaro quali misure potrebbero venire adottate qualora i proprietari o i possessori non fossero disposti a concludere gli accordi eventualmente necessari.

23.   Queste lacune non possono essere eliminate neppure dalla norma generale contenuta nella section 17A, n. 2, NPO. L’obbligo, previsto da tale norma, che tutti i poteri derivanti dalla NPO vengano esercitati in maniera tale da garantire il rispetto della direttiva Habitat non fornisce alle competenti autorità poteri di azione sufficienti in caso di mancata cooperazione da parte dei proprietari o dei possessori, né questi ultimi possono avere conoscenza, con sufficiente chiarezza, dei loro doveri (16) derivanti dall’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat.

24.   Per questi motivi l’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat non è stato trasposto in maniera sufficiente per quanto riguarda Gibilterra.

2.      Sull’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat: valutazione dell’incidenza

25.   I nn. 3 e 4 dell’art. 6 della direttiva Habitat recitano come segue:

«3.      Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.

4.      Qualora, nonostante conclusioni negative dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

       Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.»

26.   La Commissione contesta il fatto che tre tipi speciali di progetti, ovvero determinati piani e progetti per l’estrazione di acqua (Water abstraction plans and projects), piani di riassetto del territorio (Land use plans) e – a Gibilterra – la verifica delle licenze edilizie esistenti (Review of existing planning rights) non sono assoggettati alle esigenze dell’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat.

a)      Su determinati progetti per l’estrazione di acqua

27.   Questa censura della Commissione non riguarda tutti i piani e i progetti per l’estrazione di acqua, ma solo quelli che vengono autorizzati ai sensi del capitolo 2 della seconda parte del Water Resources Act 1991. La Commissione non contesta la trasposizione della direttiva con riferimento ad altri (grandi) progetti per l’estrazione di acqua.

28.   Il governo britannico si richiama sostanzialmente ad un sistema di accertamento delle attività potenzialmente dannose per il sito, realizzato in connessione con le norme generali sopra indicate. Tale sistema risulterebbe, per quanto riguarda Inghilterra, Galles e Scozia, dalle regulation 18 – 27 C(NH)R 1994, per quanto riguarda l’Irlanda del Nord dalle regulation 15 – 18 C(NH)R(NI) 1995, e, per quanto riguarda Gibilterra, dalle section 17J, 17K, 17M, 17N e 17P NPO.

29.   Tutte queste norme si basano essenzialmente sul presupposto che sia possibile stabilire in anticipo, per ogni singolo sito, le attività che sembrano idonee a danneggiare la flora e la fauna tutelate. Un’attività del genere può essere esercitata solamente con il previo esperimento di un procedimento che – per quanto risulta – corrisponde alle esigenze di cui all’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat.

30.   La normativa britannica è incompatibile con l’art. 6, n. 3, della direttiva Habitat se esclude dal procedimento sopra descritto i «piani e progetti» contemplati da tale disposizione comunitaria. È certo che non tutti i progetti per l’estrazione di acqua in esame sono subordinati anche al procedimento di cui all’art. 6, n. 3, ma che lo sono solo quelli che siano stati precedentemente definiti potenzialmente dannosi per il sito. Si deve, pertanto, accertare se i progetti per l’estrazione di acqua qui in esame – indipendentemente da una loro qualificazione come potenzialmente dannosi – costituiscano «piani e progetti» ai sensi dell’art. 6, n. 3.

31.   Nella sentenza Waddenzee, affrontando l’interpretazione del concetto di «piani e progetti» ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva Habitat, la Corte ha fatto riferimento in maniera determinante alla definizione di progetto di cui all’art. 1, n. 2, secondo trattino, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, (17) concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. (18) Secondo tale definizione vanno considerati come progetti gli altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento del suolo. Anche l’estrazione di acqua può rientrare in questo concetto. Che non si tratti di misure assolutamente irrilevanti risulta già dal fatto che tali piani necessitano di un’autorizzazione (licence) ai sensi del capitolo 2 della seconda parte del Water Resources Act 1991. Il governo britannico non mette in dubbio nemmeno la qualificazione di tali piani come progetti.

32.   Ai sensi dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva Habitat, questi progetti devono essere esaminati sotto il profilo dell’incidenza che hanno sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione, qualora non siano direttamente connessi e necessari alla gestione del sito, ma possano avere su di esso incidenze significative, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti. La difesa del governo britannico consiste nel sostenere che tutti i piani ed i progetti per l’estrazione di acqua che rispondano a queste caratteristiche vengono definiti in anticipo come potenzialmente dannosi per il sito considerato. A questo proposito le autorità competenti effettuano previamente la valutazione relativa ai progetti quando stabiliscono disposizioni concrete per la tutela del sito, nel senso che escludono dall’applicazione di tali disposizioni determinati progetti che, a loro giudizio, non sono potenzialmente dannosi.

33.   Questo sistema evita valutazioni di progetti non necessarie ed informa tempestivamente gli utilizzatori del sito sui progetti che potrebbero comportare dei problemi. Tale astratta valutazione previa di rischi potenziali si può basare però su dati di fatto concreti solo in relazione ad un sito, ma non in relazione ai progetti. Una simile valutazione è pertanto per sua stessa natura, meno precisa di una valutazione del singolo caso, la quale può tener conto sia del sito sia dei progetti. Sussiste, pertanto, il pericolo che nella determinazione astratta di attività potenzialmente dannose non vengano compresi progetti che, per le loro specifiche caratteristiche, potrebbero avere incidenze significative su tale sito.

34.   A ciò si deve, inoltre, aggiungere la mancanza di chiarezza delle norme britanniche relativamente alla determinazione delle attività potenzialmente dannose per il sito. La regulation 22 C(NH)R 1994, la regulation 15 C(NH)R(NI) 1995 e la section 17H NPO non contengono alcun obbligo, ma solo una facoltà di stabilire per ciascun sito se siano ipotizzabili attività potenzialmente dannose, le quali, comunque, non rientrano nell’ambito di applicazione di una normativa di trasposizione dell’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva Habitat. È pur vero che non si deve escludere che la facoltà di valutazione prevista dalla normativa nazionale venga esercitata tenuto conto della norma generale di volta in volta applicabile, in maniera tale da garantire il rispetto della direttiva Habitat. Tuttavia, una lettura superficiale non evidenzia né l’esistenza di un obbligo, né la sua portata. (19) Ciò è tanto più grave in quanto nell’ambito della trasposizione britannica la determinazione di attività potenzialmente dannose è di centrale importanza per il raggiungimento degli scopi della direttiva Habitat e può avere importanti ripercussioni sui diritti e sui doveri dei singoli che utilizzano aree nei siti interessati. Se le autorità competenti non adempiono il loro obbligo per ogni sito e per ogni attività potenzialmente dannosa, ciò determina delle lacune nella tutela dei siti.

35.   È poco convincente anche l’ulteriore argomento del governo britannico secondo il quale nella procedura di autorizzazione di progetti per l’estrazione di acqua sarebbero già rispettati, grazie alle norme generali, i precetti dell’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat. Infatti, tenuto conto dell’importanza centrale di queste disposizioni per la tutela dei siti, delle norme di carattere generale non sono sufficienti come trasposizione nel diritto nazionale. C’è, anzi, bisogno di norme chiare, che disciplinino le procedure di valutazione da eseguire. Del resto, la garanzia che il governo britannico afferma essere esistente grazie alle norme generali viene pregiudicata anche dal fatto che dalla sussistenza della trasposizione espressa dell’obbligo di un procedimento di verifica per determinati piani si desumerà, a contrario, che tale procedimento non trovi applicazione per altri piani.

36.   Il governo britannico deduce, inoltre, che in riferimento a determinate zone tutelate, i cosiddetti Sites of Special Scientific Interest (SSSI), emerge dalle section 28E e 28H del Wildlife and Countryside Act 1981 un obbligo di valutazione dell’incidenza equiparabile a quello previsto dall’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva Habitat. Dette norme risultano valere per l’Inghilterra e per il Galles. La Commissione contesta, tuttavia, a ragione che – come ha pure comunicato il governo britannico – non tutti i siti oggetto di tutela da parte della direttiva sono identificati come SSSI. Per quanto riguarda il contenuto, anche questo regime di tutela si basa su un previo accertamento facoltativo di talune attività potenzialmente pericolose e non si sottrae pertanto alle obiezioni esposte in precedenza. Esso è, inoltre, meno rigoroso del sistema già in precedenza discusso in quanto non contiene nessuna disposizione espressa che possa essere intesa come trasposizione dell’art. 6, n. 3 e n. 4, della direttiva Habitat. Per questo motivo è ancora meno adatto, rispetto alle disposizioni sopra descritte, a garantire la trasposizione della direttiva.

37.   Per quanto riguarda la Scozia e l’Irlanda del Nord, il governo britannico si richiama poi a talune disposizioni che sono entrate in vigore soltanto dopo il 18 settembre 2001. Tali norme non possono tuttavia essere prese in considerazione in questa sede. La censura della Commissione deve essere, infatti, giudicata in base alla situazione esistente allo scadere del termine assegnato nel parere motivato. (20) Questo termine è il 18 settembre 2001.

38.   Si deve, quindi, concludere che il Regno Unito non ha trasposto in maniera sufficiente l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva Habitat con riferimento ad taluni piani e progetti per l’estrazione di acqua.

b)      Sui piani di riassetto del territorio

39.   Nel Regno Unito i piani di riassetto del territorio (Land use plans o Development plans) non vengono trattati come piani o progetti ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva Habitat. Essi non permettono di per sé l’esecuzione di un determinato progetto, che richiede invece un’ulteriore autorizzazione specifica. Questa autorizzazione dev’essere rilasciata conformemente al piano, ma solo se ad essa non ostano considerazioni determinanti (material considerations).

40.   Le parti concordano sul fatto che gli atti giuridici in esame costituiscono dei piani ai sensi dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva Habitat. Sono, però, in disaccordo sul se essi possano avere degli effetti rilevanti sui siti oggetto di tutela da parte della direttiva Habitat. Secondo il governo britannico soltanto un’autorizzazione a posteriori potrebbe causare dei danni ai siti tutelati. Tale autorizzazione dovrebbe essere negata se contrasta con la direttiva Habitat. Sarebbe, pertanto, sufficiente sottoporre soltanto questa autorizzazione al procedimento previsto per i piani ed i progetti. Per il resto, le succitate norme generali e le linee-guida pertinenti obbligherebbero le autorità di pianificazione a tenere in considerazione, nella preparazione dei piani, le esigenze della direttiva Habitat.

41.   Il riferimento ai piani contenuto all’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva Habitat mostra che l’eventuale necessità di una valutazione dell’incidenza deve essere considerata già durante la pianificazione iniziale. Il piano è, per sua natura, più distante, rispetto al progetto, della realizzazione di determinate misure. Nell’ambito dell’art. 6, n. 3, della direttiva Habitat il concetto di piano, a fianco di quello di progetto, non avrebbe alcuna essenziale funzione autonoma se vi rientrasse solo l’ultima approvazione di determinate misure da parte dell’autorità competente.

42.   La giurisprudenza della Corte fornisce degli indizi a favore di questa interpretazione. Ad esempio, la Corte ha già stabilito che il requisito di una valutazione delle incidenze di un piano o progetto ai sensi dell’art. 6, n. 3, seconda frase, della direttiva Habitat è subordinato all’esistenza di una probabilità o di un rischio che quest’ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. (21) Non è necessario che il pregiudizio sia certo. (22) Tenuto conto del principio di precauzione, il grado di probabilità necessario è raggiunto allorquando non può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che il detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato. (23)

43.   Queste considerazioni sul grado di probabilità necessario si riferivano a delle incertezze scientifiche sugli effetti di misure la cui esecuzione era sicura. Nel caso dei piani qui oggetto di esame, i quali necessitano di ulteriori autorizzazioni, non è, invece, certo se essi verranno poi eseguiti. Appare però opportuno applicare anche a questo proposito criteri analoghi: è quindi determinante stabilire se, sulla base di elementi obiettivi, non possa essere escluso che un piano che necessiti di ulteriori autorizzazioni per la sua realizzazione pregiudichi significativamente il sito interessato. Questa è, in ogni caso, la situazione che si presenterebbe quando – come è previsto dalla normativa del Regno Unito per i piani qui in esame – le successive decisioni dovessero in via di principio concordare con i piani.

44.   Anche il diritto britannico prevede, in linea di principio, che dopo una valutazione negativa dell’incidenza del piano venga negata un’autorizzazione o venga effettuato il procedimento di deroga di cui all’art. 6, n. 4, della direttiva Habitat. Tuttavia, le finalità della direttiva Habitat sarebbero compromesse se, in caso di piani che contrastino con le esigenze di tutela del sito, queste ultime potessero essere fatte, di regola, valere solo all’ultimo momento, come un’eccezione alla normale procedura. Stanti simili modalità procedurali, ci sarebbe da temere che una valutazione dell’impatto successiva alla pianificazione non possa essere più effettuata con la possibilità di una decisione aperta ad ogni risultato, ma al solo scopo di realizzare il piano.

45.   La limitazione della prospettiva all’ultima autorizzazione non tiene, poi, conto del fatto che anche i piani la cui esecuzione necessita di ulteriori autorizzazioni potrebbero danneggiare indirettamente i siti. Di norma, infatti, i piani prevedono la loro esecuzione con il coordinamento di diversi progetti singoli. Ciò influenza in particolar modo la valutazione delle alternative che, in determinate circostanze, è necessaria.

46.   A questo proposito si deve menzionare anzitutto la vanificazione di potenziali alternative – non considerate nella pianificazione per mancanza di valutazione dell’incidenza – ad opera di altri elementi del piano. Se, infatti, a livello della pianificazione non vengono ancora presi in considerazione i danni, la realizzazione di parti del piano che di per sé non hanno effetti diretti sul sito può vanificare le possibili alternative alle parti che fossero dannose. Ad esempio, un piano potrebbe prevedere una zona edilizia, irrilevante per un sito protetto, e allo stesso tempo una strada tangenziale di cui v’è urgente necessità, la quale, per sua natura, nel luogo previsto danneggerebbe i siti protetti, mentre potrebbe essere costruita al posto della zona edilizia senza danneggiare i siti suddetti. Orbene, se venisse costruita per prima la zona edilizia, verrebbe a mancare un’alternativa nella successiva decisione sulla realizzazione della strada. La tutela del sito prevista dalla direttiva Habitat richiede, invece, che già nella pianificazione si debba tener conto del fatto che la realizzazione di entrambe le parti del piano causerebbe necessariamente un danno al sito protetto e, conseguentemente, avrebbe bisogno di una giustificazione.

47.   In particolare, nel caso di progetti per il traffico su strada o su ferrovia da realizzarsi in più fasi, ma in via di principio anche in tutti i progetti miranti ad ampliamenti, le prime fasi di un progetto condizionano, di norma, anche la realizzazione di quelle successive. Qualora non si valutino, né nell’ambito generale del piano né durante le prime fasi del progetto, gli effetti del progetto complessivo su siti protetti che vengono interessati solo in un successivo momento, ogni fase limita la cerchia delle possibili alternative per quelle successive, senza che venga effettuata una valutazione adeguata delle alternative. Un simile modo di procedere viene spesso definito, prosaicamente, come tattica del salame.

48.   A ciò si aggiunga che una previa valutazione degli interessi della tutela del sito impedisce i piani difettosi, ovvero quelli che dovrebbero eventualmente essere corretti qualora, soltanto sede di concreta autorizzazione, risultasse che essi non possono essere eseguiti nella forma prevista siccome dannosi per i siti tutelati. È valido, pertanto, anche per la direttiva Habitat il concetto, sviluppato nell’ambito della direttiva 85/337/CEE sulla valutazione dell’impatto ambientale, secondo il quale la valutazione dell’incidenza deve essere effettuata il prima possibile. (24)

49.   Il governo britannico obietta però, a ragione, che una valutazione dell’incidenza a livello della pianificazione iniziale non può tenere in considerazione tutti gli effetti di una misura, essendo, di norma, molti dettagli stabiliti solo al momento dell’ultima autorizzazione. Non sarebbe neanche adeguato pretendere una maggiore quantità di dettagli nella pianificazione iniziale o l’abolizione dei procedimenti di pianificazione e di autorizzazione articolati in più fasi, in modo da concentrare la valutazione dell’incidenza in un’unica fase del procediemnto. Si deve piuttosto valutare in ogni fase di procedimento rilevante, il danneggiamento dei siti protetti nella misura consentita dalla precisione del piano. Questa valutazione deve essere attualizzata con crescente concretezza nelle fasi successive.

50.   Riassumendo si può, pertanto, affermare che i piani in esame debbono essere sottoposti, in via di principio, al procedimento previsto dall’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat quando le misure previste siano idonee a pregiudicare significativamente i siti tutelati. Dal momento che il diritto del Regno Unito non lo garantisce, la trasposizione dell’art. 6, n. 3 e 4, della direttiva Habitat non è adeguata.

c)      Sul controllo delle licenze edilizie esistenti a Gibilterra

51.   La Commissione contesta il fatto che a Gibilterra le competenti autorità non sarebbero obbligate a verificare se licenze edilizie esistenti pregiudichino i siti tutelati. Di fronte a questa censura, il governo britannico si richiama alla section 34 della Town and Planning Ordinance, la quale autorizzerebbe le competenti autorità a modificare le licenze esistenti. In questo contesto le esigenze dell’art. 6, n. 3, della direttiva Habitat dovrebbero essere considerate come risultato del piano da valutare o come considerazioni determinanti (material considerations).

52.   A tale riguardo si deve, come prima cosa, osservare come le norme in vigore a Gibilterra illustrate dal governo britannico non contengono l’obbligo di controllare le licenze edilizie esistenti richiesto dalla Commissione, ma solo una facoltà di verifica. A differenza di Gibilterra, in Inghilterra e nel Galles, in Scozia (regulation 50 C(NH)R 1994) ed in Irlanda del Nord (regulation 45 C(NH)R(NI) 1995) esistono gli obblighi richiesti dalla Commissione.

53.   Un obbligo di controllare le licenze edilizie esistenti può, invero, essere di grande utilità per la tutela dei siti, impedendo che questi ultimi vengano danneggiati in base a vecchie situazioni giuridiche sorte senza tener conto della direttiva Habitat. Quest’obbligo corrisponde, in questa misura, alle finalità della direttiva Habitat. L’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva Habitat non contiene tuttavia alcuna indicazione sull’obbligo per gli Stati membri di verificare a posteriori le licenze edilizie esistenti. Il procedimento ivi previsto si applica, in linea di principio, prima che gli Stati membri creino diritti edilizi il cui esercizio potrebbe danneggiare un sito.

54.   L’opinione dell’avvocato generale Fennelly dedotta dalla Commissione non conduce ad una conclusione diversa. L’avvocato generale Fennelly ha giustamente sottolineato che tutte le attività di sviluppo devono essere assoggettate ad una valutazione dell’incidenza, ad eccezione di quelle che non risultano verosimilmente idonee a compromettere notevolmente, da sole o insieme ad altre attività di sviluppo, gli obiettivi di conservazione del sito (25). Ciò corrisponde alla lettera dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva Habitat. Tuttavia non ne consegue che le licenze edilizie esistenti debbano essere controllate a posteriori.

55.   Non si deve escludere che un simile obbligo di controllo a posteriori si possa basare sull’art. 6, n. 2, della direttiva Habitat o sui corrispondenti obblighi di tutela esistenti prima della redazione dell’elenco comunitario. Nella sentenza Waddenzee la Corte ha rilevato che detta disposizione può trovare applicazione se un piano o progetto autorizzato ai sensi dell’art. 6, n. 3, si riveli idoneo a provocare deterioramenti o perturbazioni notevoli di un sito protetto. (26) Verosimilmente l’art. 6, n. 2, potrebbe, pertanto, essere applicato anche se delle situazioni di diritto esistenti fossero idonee a causare simili deterioramenti o perturbazioni notevoli (27). La Commissione non ha, tuttavia, prospettato alcuna argomentazione in questo senso e, in particolare, non ha dedotto nessuna violazione dell’art. 6, n. 2. Questa possibilità non è stata, pertanto, neppure oggetto di discussione nel presente procedimento e non può, di conseguenza, giustificare una condanna del Regno Unito.

56.   Su questo punto il ricorso deve essere quindi respinto.

3.      Sugli artt. 11, 12, n. 4, e 14, n. 2, della direttiva Habitat: obblighi di sorveglianza

57.   Le disposizioni da trasporre recitano come segue:

«Articolo 11

Gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all’articolo 2, tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritari.

Articolo 12

1. – 3. (…)

4.       Gli Stati membri instaurano un sistema di sorveglianza continua delle catture o uccisioni accidentali delle specie faunistiche elencate nell’allegato IV, lettera a). In base alle informazioni raccolte, gli Stati membri, intraprendono le ulteriori ricerche o misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un impatto negativo significativo sulle specie in questione.

Articolo 13

(…)

Articolo 14

1. (…)

2.      Nel caso in cui dette misure siano giudicate necessarie, esse debbono comportare la continuazione della sorveglianza prevista dall’articolo 11 (…)»

58.   La Commissione contesta il fatto che gli obblighi di sorveglianza contenuti in queste disposizioni non sono stati affatto trasposti nel diritto del Regno Unito. Orbene, fino a quando questi obblighi non saranno imposti in maniera chiara alle autorità competenti, la Commissione non sarà in grado di accertare se una tale sorveglianza venga effettuata.

59.   Il governo britannico sostiene che a taluni organi collegiali per la tutela della natura istituiti con legge – English Nature, Countryside Council for Wales, Scottish Natural Heritage e Department for the Environment in Northern Ireland – sono stati attribuiti, dalle section 132 und 133 dell’Environmental Protection Act 1990 e da corrispondenti disposizioni per quanto riguarda la Scozia e l’Irlanda del Nord, determinati compiti, i quali, insieme alle norme generali sopra menzionate, garantirebbero la sorveglianza prevista dalla direttiva. Questi compiti consisterebbero, in particolare, nell’amministrazione di riserve naturali nazionali, nel fornire consulenza al governo per quanto riguarda l’elaborazione e l’attuazione delle politiche, la fissazione di norme comuni per la sorveglianza e per la realizzazione di ricerche. Detti organi, nell’espletamento della loro attività, devono anche considerare i reali o possibili mutamenti ecologici.

60.   Gli artt. 11, 12, n. 4 e 14, n. 2, della direttiva Habitat contengono obblighi generali di provvedere alla sorveglianza di determinate situazioni ed evoluzioni, in particolare dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all’art. 2, tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritari. Quest’obbligo non è rilevante né direttamente né indirettamente per i diritti ed i doveri dei singoli, ma riveste un’importanza centrale per l’efficacia pratica della direttiva, dal momento che quasi tutte le misure in essa previste possono essere eseguite in maniera corretta solo sulla base delle conoscenze ottenute grazie a questa sorveglianza. L’importanza di una determinata presenza di una specie può essere valutata solo se si ha una visione generale delle altre presenze della specie. Simili valutazioni costituiscono presupposti per le decisioni sulla tutela dei siti, sulla loro amministrazione, sui danni ad essi arrecati o anche per l’applicazione delle disposizioni per la tutela delle specie. Una trasposizione deve, pertanto, garantire che gli obblighi di sorveglianza vengano adempiuti in maniera sistematica e continuativa.

61.   I compiti di taluni organi descritti dal governo britannico, sia pur combinati con le sopra indicate norme generali, non consentono di ritenere che in tal modo si provveda alla sorveglianza prescritta dalla direttiva. Dalla circostanza che detti organi debbono fissare norme di sorveglianza comuni risulta anzi, a contrario, che la sorveglianza reale deve essere effettuata da altre autorità, le quali, tuttavia, non vengono affatto designate.

62.   Anche la revisione, indicata dal governo britannico come esempio, di taluni allegati del Wildlife and Countryside Act 1981 ai sensi della section 24 di questa legge non comporta alcuna sorveglianza, ma solo la proposta di inserire o di cancellare in detti allegati piante e animali. Si deve invero ritenere che le proposte si basino sui risultati di una sorveglianza delle popolazioni interessate; tuttavia non è affatto specificato a quale autorità spetti effettuare questa sorveglianza. Orbene, se nessuna autorità britannica è incaricata dell’obbligo di sorveglianza, le summenzionate norme generali che impongono l’osservanza della direttiva Habitat non hanno alcuna efficacia.

63.   Data questa situazione giuridica, c’è da temere che le misure di sorveglianza eseguite non siano orientate verso la direttiva Habitat, ma perseguano altri fini, conseguendo gli scopi di tale normativa solo casualmente. Non viene così garantita la prescritta sorveglianza sistematica e continua.

64.   La situazione descritta per quanto riguarda Gibilterra è ancora meno idonea a costituire una trasposizione degli artt. 11, 12, n. 4 e 14, n. 2, della direttiva Habitat. La sorveglianza in quel territorio dovrebbe essere garantita dal fatto che le attività verosimilmente idonee a danneggiare la flora e la fauna nei siti protetti possono essere eseguite solo dopo una valutazione dello loro incidenza. La sorveglianza prevista dagli art. 11 e 14, n. 2 della direttiva Habitat non si esaurisce, però, in puntuali studi di determinati piani, ma deve documentare in linea generale lo stato di conservazione delle specie e dell’habitat, affinché nei singoli casi sia possibile, tra l’altro, la valutazione dei risultati di studi concreti.

65.   Si deve, di conseguenza, constatare che il Regno Unito non ha trasposto in maniera sufficiente gli artt. 11, 12, n. 4, e 14, n. 2, della direttiva Habitat.

4.      Sull’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat: tutela dei siti di riproduzione o delle aree di riposo

66.   L’art. 12, n. 1, della direttiva Habitat recita come segue:

«Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all’allegato IV, lettera a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:

a)      qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale;

b)      perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;

c)      distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell’ambiente naturale;

d)      deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo.»

67.   La Commissione contesta la trasposizione dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat sotto due punti di vista. Da un lato, esisterebbe una differenza tra la versione inglese di questa disposizione ed il testo della normativa di trasposizione: laddove la direttiva utilizza il termine «deterioration», nella normativa del Regno Unito figura il verbo «to damage». D’altro lato, a Gibilterra sarebbero vietati soltanto il deterioramento o la distruzione intenzionali dei siti di riproduzione e delle aree di riposo.

a)      Sulla trasposizione della nozione di «deterioration»

68.   La Commissione fonda questa censura sul fatto che la direttiva utilizza la nozione di «deterioration», mentre la normativa britannica impiega il verbo «to damage». Nel corso del procedimento la Commissione ha formulato tre addebiti a proposito di tale divergenza.

69.   Il primo addebito è contenuto nel parere motivato, in cui la Commissione sottolinea che l’utilizzo del termine «to damage» al posto di «deterioration» comporta che in esso non vengano compresi gli effetti di un comportamento negligente (“neglect”). Nella replica la Commissione ha chiarito, al contrario, espressamente che, a suo parere, l’art. 12, n. 1, lett.  d), non prescrive di proteggere i siti di riproduzione e le aree di riposo da un deterioramento dovuto a negligenza («neglect») o ad inattività. Pur avendo, pertanto, la Commissione criticato nella fase precontenziosa del procedimento il trattamento di comportamenti negligenti, questa censura è stata ritirata nella replica. Di conseguenza la Corte non è più tenuta a decidere su questo punto.

70.   Il secondo addebito viene mosso dalla Commissione per la prima volta nel ricorso e successivamente approfondito nella replica. La Commissione contesta il fatto che la trasposizione dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat è complessivamente limitata, nel Regno Unito, ad attività intenzionali e dolose. Questo punto del ricorso è, tuttavia, ricevibile solo se tale censura è già stata oggetto del procedimento precontenzioso. La Corte non può esaminare una censura non contenuta nel parere motivato (28).

71.   L’unico elemento del procedimento precontenzioso che avrebbe potuto contenere tale censura è l’affermazione che il concetto di «deterioration» comprende anche quello di «neglect», mentre «to damage» non lo include. «Neglect» può significare sia «comportamento negligente» sia «violazione dell’obbligo di diligenza». Quest’ultimo concetto è un criterio di colpa. Per questo motivo, la Commissione, con riferimento a Gibilterra, utilizza il termine «neglect» anche in opposizione a «deliberately», e, cioè, intenzionale (29). Orbene, se la Commissione avesse voluto contestare già nel parere motivato che l’utilizzo del termine «to damage» comporta un criterio di colpa troppo rigoroso, avrebbe dovuto esprimere tale concetto in maniera più chiara, come ha fatto con riferimento a Gibilterra. Le nozioni «deterioration» e «to damage», infatti, non differiscono per il loro significato letterale in relazione al criterio di colpa. Un ulteriore indizio atto a dimostrare l’insufficiente formulazione di questo addebito nel procedimento precontenzioso e, probabilmente, nel ricorso stesso è dato dal fatto che il governo britannico si è difeso su questo punto per la prima volta nella controreplica. L’addebito riferito al Regno Unito e relativo alla limitazione ai comportamenti intenzionali e dolosi non è stato, pertanto, nel suo complesso, oggetto del procedimento precontenzioso. La censura relativa al criterio di colpa dev’essere, quindi, ritenuta irricevibile.

72.   Qualora la Corte dovesse, invece, considerarla ricevibile, tale censura sarebbe, in ogni caso, infondata. Pur essendo richiesto dall’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat che vengano vietate, indipendentemente dall’intenzionalità o dal dolo, tutte quelle azioni che possono condurre al deterioramento o alla distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo, tuttavia la Commissione non ha dimostrato che nel Regno Unito i reati contemplati siano limitati a comportamenti intenzionali o dolosi. Mentre la Commissione ritiene che la punibilità richieda l’elemento del dolo, il governo britannico espone che si tratta di un reato cosiddetto «strict liability offence», il quale non presuppone né dolo né colpa (30). Anche indipendentemente dall’affermazione del governo britannico, esistono importanti indizi che la punibilità non sia, in ogni caso, limitata alla sussistenza di un comportamento doloso(31). Questa mancanza di chiarezza va a svantaggio della Commissione, dal momento che l’asserito inadempimento deve essere dimostrato (32). Nel presente caso, la Commissione avrebbe dovuto, pertanto, fornire almeno delle indicazioni convincenti a sostegno della propria descrizione del diritto britannico.

73.   Nella replica la Commissione precisa infine, come terzo addebito, la differenza esistente, a suo giudizio, tra «deterioration» e «to damage», nel senso che il verbo «to damage» contenuto nella normativa del Regno Unito comprenderebbe solamente i danni diretti. La nozione di «deterioration» utilizzata nella direttiva Habitat comprenderebbe invece anche i danni indiretti. Questo addebito può essere interpretato come uno sviluppo del punto di partenza contenuto nel procedimento precontenzioso, dal momento che si riferisce all’assertiva differenza tra i due termini e, in ogni caso, la tesi sostenuta dalla Commissione non contraddice manifestamente il senso letterale di entrambi i termini. Con riferimento a questo addebito il ricorso è quindi ricevibile.

74.   Si deve concordare con la Commissione quando essa afferma che l’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat vieta non solo i danni diretti ma anche gli atti che comportano solo indirettamente il deterioramento dei siti di riproduzione e delle aree di riposo. Ai sensi dell’art. 12, n. 1, lett. d), infatti, deve essere vietato ogni deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione e delle aree di riposo. Non viene effettuata alcuna distinzione tra danni diretti ed indiretti.

75.   La Commissione, nonostante le obiezioni del governo britannico, non ha tuttavia prodotto alcuna prova per dimostrare che l’interpretazione concreta della nozione di «to damage» nel Regno Unito differisca da quella della «deterioration», come essa afferma. Anche a tale riguardo la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di un inadempimento.

76.   Per quanto riguarda la trasposizione nell’intero Regno Unito dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat, il ricorso è, pertanto, in parte irricevibile e, per il resto, infondato.

b)      Sulla limitazione ad atti intenzionali nel territorio di Gibilterra

77.   Con riferimento a Gibilterra, la Commissione ha in generale contestato il fatto che la section 17T(1)(d) dell’Ordinance vieta solo il deterioramento o la distruzione intenzionali dei siti di riproduzione e delle aree di riposo. (33) Come riconosciuto dal governo britannico, ciò non basta a soddisfare quanto previsto dall’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat. Di conseguenza, questa disposizione non è stata trasposta correttamente per quanto riguarda Gibilterra.

5.      Sugli artt. 12, n. 2, e 13, n. 1, della direttiva Habitat

78.   L’art. 12, n. 2, della direttiva Habitat prevede che gli Stati membri vietino il possesso, il trasporto, la commercializzazione ovvero lo scambio e l’offerta a scopi commerciali o di scambio di esemplari presi dall’ambiente naturale delle specie animali elencate nell’allegato IV, lett.  a), salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della direttiva Habitat.

79.   L’art. 13, n. 1, della direttiva Habitat recita come segue:

«Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie vegetali di cui all’allegato IV, lettera b), con divieto di:

a)      raccogliere, nonché collezionare, tagliare, estirpare o distruggere deliberatamente esemplari delle suddette specie nell’ambiente naturale, nella loro area di ripartizione naturale;

b)      possedere, trasportare, commercializzare o scambiare e offrire a scopi commerciali o di scambio esemplari delle suddette specie, raccolti nell’ambiente naturale, salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della presente direttiva.»

80.   La Commissione contesta il fatto che le disposizioni del Regno Unito dirette alla trasposizione dell’art. 12, n. 2, della direttiva Habitat contengono una deroga per gli esemplari che sono stati catturati, uccisi o venduti legalmente. Si tratta delle regulation 39(4) C(NH)R 1994 e 34(4) C(NH)R(NI) 1995 e della section 17T(4) NPO. Anche con riferimento alle piante oggetto di tutela ai sensi dell’art. 13, n. 1, della direttiva Habitat esisterebbe una deroga per gli esemplari venduti legalmente. Si tratta, in questo caso, delle regulation 43(5) C(NH)R 1994 e 38(5) C(NH)R(NI) 1995 e della section 17X(5) NPO.

81.   Il governo britannico ammette che le deroghe sono incompatibili con la direttiva Habitat. Sussisterebbe, tuttavia, un sistema di autorizzazioni che garantirebbe il raggiungimento degli scopi previsti dagli artt. 12, n. 2 e 13, n. 1.

82.   Si deve concordare con la Commissione quando afferma che gli artt. 12, n. 2 e 13, n. 1, della direttiva Habitat non ammettono deroghe a favore di esemplari acquisiti legalmente. Ciò corrisponde al dettato letterale delle norme ed impedisce che si faccia abuso della possibilità di esercitare attività legalmente consentite che recano pregiudizio alle specie animali e vegetali rigorosamente protette per ottenerne oggetti di commercio.

83.   Nella misura in cui il governo britannico si richiama al proprio sistema di autorizzazioni, questa eccezione, da un lato, è tardiva, essendo stata formulata per la prima volta nella controreplica, e, dall’altro, non approfondita in maniera sufficiente a contrastare la censura di trasposizione non adeguata.

84.   Per questi motivi, gli artt. 12, n. 2, e 13, n. 1, della direttiva Habitat non sono stati trasposti in maniera sufficiente nel Regno Unito.

6.      Sull’art. 15 della direttiva Habitat: mezzi di cattura e di uccisione non selettivi

85.   L’art. 15 della direttiva Habitat recita come segue:

«Per quanto riguarda la cattura o l’uccisione delle specie faunistiche selvatiche elencate nell’allegato V, lettera a), qualora deroghe conformi all’articolo 16 siano applicate per il prelievo, la cattura o l’uccisione delle specie di cui all’allegato IV, lettera a), gli Stati membri vietano tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di tali specie, ed in particolare:

a)      l’uso dei mezzi di cattura e di uccisione specificati nell’allegato VI, lettera a);

b)      qualsiasi forma di cattura e di uccisione dai mezzi di trasporto di cui all’allegato VI, lettera b).»

86.   Inizialmente la Commissione ha formulato su questo punto due censure. Da un lato, il Regno Unito, pur avendo espressamente vietato i metodi di cui all’allegato VI, lett. a) e b) (34), non avrebbe tuttavia introdotto nessun divieto generale di utilizzo di mezzi non selettivi. D’altro lato, il Conservation of Seals Act 1970 vieterebbe solo due metodi di uccisione e renderebbe possibile il rilascio di autorizzazioni a condizioni che vanno oltre le deroghe previste dalla direttiva Habitat.

a) Sul divieto di tutti i mezzi non selettivi

87.   L’art. 15 della direttiva Habitat prescrive che siano vietati in particolare i metodi espressamente indicati nell’allegato VI, lett. a) e b), prevedendo però anche un divieto di utilizzo di tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni delle specie animali protette. Non è, pertanto, sufficiente limitare una trasposizione ai soli metodi indicati espressamente, dovendo, piuttosto, essere introdotto un divieto generale.

88.   Il governo britannico ritiene, tuttavia, che la propria lista dei metodi vietati comprenda nel Regno Unito tutti i metodi che sarebbero proibiti in base ad un divieto generale. Qualora venissero scoperti nuovi metodi, la lista verrebbe aggiornata, essendo a ciò già obbligate le competenti autorità in forza delle norme generali sopra citate. Questo modo di procedere garantirebbe, in pratica, la trasposizione dell’art. 15 della direttiva Habitat, mentre un divieto generale sarebbe contrario al principio della certezza del diritto.

89.   Queste argomentazioni non sono convincenti. La possibilità di attualizzare una lista di metodi proibiti è meno efficace di un divieto generale. Dei ritardi nell’aggiornamento determinano necessariamente proprio quelle lacune di tutela che l’art. 15 della direttiva Habitat mira ad evitare con un divieto generale.

90.   Il principio della certezza del diritto invocato dal governo britannico richiede, tra l’altro, che la normativa sia certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti, in particolare quando essa è idonea a comportare conseguenze finanziarie (35). Un divieto generale di cattura e di uccisione di specie protette con l’utilizzo di mezzi non selettivi, atti a provocare provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di tali specie, risponde, tuttavia, a queste esigenze. Il concetto di «mezzo non selettivo» è chiaro e la sua applicazione prevedibile. Con la condizione supplementare che il suo utilizzo sia suscettibile di provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di specie protette, esso viene limitato ulteriormente. Pur essendo corretto affermare che una elencazione espressa di tutti i metodi vietati sarebbe ancora più chiara, tuttavia questo grado di chiarezza non costituisce un presupposto di legittimità per un divieto. Nulla impedisce alle autorità britanniche di garantire chiarezza, provvedendo, oltre a stabilire un divieto generale, ad attualizzare, in maniera immediata e costante, una lista non esclusiva dei metodi vietati.

91.   Per questi motivi, il Regno Unito non ha trasposto adeguatamente l’art. 15 della direttiva Habitat per quanto riguarda il divieto di tutti i mezzi non selettivi.

b) Sul Conservation of Seals Act

92.   Poiché nella replica la Commissione ha ritirato la censura relativa al Conservation of Seals Act 1970 ma poi, nel corso della fase orale, ha dichiarato invece che intendeva tenerla ferma, occorre anzitutto esaminare la ricevibilità di questa censura.

93.   Il comportamento della Commissione si spiega col fatto che nel controricorso il governo del Regno Unito aveva manifestato l’intenzione di modificare detta legge in modo conforme al punto di vista della Commissione. Dopo il ritiro di tale motivo di ricorso, detto governo ha però affermato chiaramente che intendeva attendere l’esito del presente procedimento e che avrebbe modificato la legge di cui trattasi soltanto se ciò fosse stato necessario in base alla pronuncia della Corte. Per questo motivo la Commissione ha dichiarato all’udienza di voler tener ferma la sua censura, deducendo che la precedente rinuncia alla stessa era basata su di un errore.

94.   Dal punto di vista procedurale gli atti della Commissione vanno qualificati come segue: la sua dichiarazione di non voler più insistere sulla predetta censura è chiara e incondizionata. Di conseguenza si tratta di una rinuncia parziale al ricorso. Non vi è alcuna base giuridica che consenta di revocare quest’atto processuale o di contestarlo a motivo di un errore. Pertanto, la dichiarazione della Commissione all’udienza di tener ferma la censura contiene un motivo nuovo rispetto alla replica.

95.   Per quanto riguarda i procedimenti dinanzi alla Corte, l’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura disciplina le condizioni cui è subordinata una modifica dell’oggetto del giudizio mediante motivi nuovi. A tenore di questa disposizione, «è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento».

96.   Orbene, nel nostro caso sussiste un tale elemento di fatto. La rinuncia al motivo di ricorso si basava infatti su di una promessa del governo britannico che è stata successivamente revocata. È vero che detta promessa, quanto al suo contenuto, non era giuridicamente vincolante; tuttavia, già in base al principio della lealtà comunitaria, la Commissione poteva confidare che il governo del Regno Unito si sarebbe, quanto meno, adoperato per mantenerla. Solo dopo aver letto la controreplica la Commissione ha potuto rendersi conto che il governo del Regno Unito aveva deluso la sua fiducia. Si tratta quindi di un elemento di fatto emerso soltanto durante il procedimento.

97.   Nei procedimenti per inadempimento la deduzione di motivi nuovi è soggetta ad ulteriori limitazioni. Infatti la Commissione non può ampliare la materia del contendere nel corso di tali procedimenti. La Corte si è pronunciata in questo senso soprattutto in relazione al caso in cui una determinata censura sia formulata nella lettera di diffida, ma non sia più riproposta nel parere motivato (36). Lo scopo è quello di garantire che l’oggetto del procedimento sia fissato con chiarezza e che lo Stato membro interessato si possa difendere efficacemente.

98.   Poiché nei procedimenti giudiziari la certezza della materia del contendere è già disciplinata dall’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura, il quale non osta al motivo dedotto dalla Commissione, resta solo da stabilire se i diritti della difesa del Regno Unito siano compromessi se si considera ricevibile il motivo relativo al Conservation of Seals Act 1970. Siccome l’identica censura ha già costituito oggetto della fase precontenziosa e della fase contenziosa del procedimento prima di essere nel frattempo ritirata, il governo britannico è stato in grado di difendersi efficacemente contro tutte le censure della Commissione. A ciò aggiungasi che, manifestamente, detto governo non ha nulla da obiettare all’esame della censura di cui trattasi. Invero, il suo silenzio di fronte alla riproposizione di questa censura nel corso della fase orale e le sue deduzioni in sede di controreplica indicano piuttosto che esso accetta tacitamente tale riproposizione, per cui la controversia può adesso essere definita in relazione al Conservation of Seals Act.

99.   Di conseguenza, è lecito, in via eccezionale, considerare ricevibile la censura relativa al Conservation of Seals Act nonostante essa sia stata ritirata, come si è detto, in una determinata fase processuale.

100. In proposito si deve anzitutto rilevare che l’art. 15 della direttiva Habitat si applica alla caccia alle foche delle specie incluse nell’allegato IV, ossia la foca monaca (Monachus monachus) e la foca dagli anelli del lago di Saimaa (Phoca hispida saimensis) nonché, secondo l’allegato V, alla caccia a tutte le altre specie di «foca vera» (Famiglia Phocidae (37). Nel Regno Unito vivono, ad esempio, la «foca comune» (Phoca vitulina) e la «foca grigia» (Halichoerus grypus).

101. Il Conservation of Seals Act 1970 riguarda tutte le specie di foche e fa espresso divieto di avvelenarle o di dar loro la caccia mediante talune armi da fuoco. Esso consente però alle autorità competenti di autorizzare, a determinate condizioni, l’uso di veleni per ucciderle.

102. La Commissione sostiene che tali prescrizioni sono meno rigorose di quanto dispone l’art. 15 della direttiva Habitat. Il Conservation of Seals Act 1970 vieterebbe solo due mezzi di uccisione e consentirebbe il rilascio di autorizzazioni a condizioni che travalicano i limiti delle deroghe previste dalla direttiva.

103. Il governo britannico ribatte che la legge di cui trattasi contiene precetti supplementari rispetto alle norme generali dirette a trasporre la direttiva Habitat. La Regulation 41 C(NH)R 1994 garantirebbe la tutela prescritta dalla direttiva. Le eventuali autorizzazioni rilasciate ai sensi del Conservation of Seals Act 1970 dovrebbero essere conformi alla direttiva Habitat in base alle predette norme generali.

104. Quest’argomentazione non può risultare convincente per quanto riguarda i mezzi di uccisione consentiti. Nel lettore spassionato il Conservation of Seals Act 1970 suscita l’impressione che, per quanto riguarda l’uccisione delle foche, siano vietati solo i due mezzi ivi espressamente menzionati. Può essere vero che vigono inoltre i divieti scaturenti dalla regulation 41 C(NH)R 1994, ma sussiste un notevole rischio che, in considerazione del Conservation of Seals Act 1970 – normativa manifestamente pertinente – tali divieti vengano ignorati. Di conseguenza la disciplina dei mezzi di uccisione contenuta nel Conservation of Seals Act 1970 è incompatibile con l’art. 15 della direttiva Habitat.

105. Per contro si deve ritenere che, nel decidere sulle autorizzazioni a norma del Conservation of Seals Act 1970, le autorità competenti del Regno unito siano consapevoli di dover al tempo stesso rispettare gli obblighi derivanti dalle pertinenti disposizioni che recepiscono gli artt. 15 e 16 della direttiva Habitat. È vero che a tale proposito sarebbe auspicabile un espresso rinvio legislativo, ma esso non sembra imperativamente necessario per chiarire gli obblighi giuridici di un’autorità specializzata. Pertanto non può riscontrarsi al riguardo alcuna violazione della direttiva Habitat.

7.      Sull’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat: deroghe alla tutela delle specie

106. L’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat recita come segue:

«A condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni previste dagli articoli 12, 13, 14 e 15, lettere a) e b):

a)      per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali;

b)      per prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà;

c)      nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente;

d)      per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni di riproduzione necessarie a tal fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante;

e)      per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva ed in misura limitata, la cattura o detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all’allegato IV, specificato dalle autorità nazionali competenti.»

107. La Commissione muove due censure in relazione alla trasposizione di questa norma. Da un lato, le deroghe previste nelle regulation 40 C(NH)R 1994 e 35 C(NH)R(NI) 1995 e nella section 17U NPO non conterrebbero alcun riferimento al fatto che tali deroghe sono ammissibili solamente se, in primo luogo, non esista un’altra soluzione valida e se, in secondo luogo, la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione generale. D’altro lato, sussisterebbero deroghe incompatibili con l’art. 16 se le sue norme venissero violate in relazione ad un’attività legalmente consentita.

a)      Sulla mancata considerazione di alternative e dello stato di conservazione

108. Il governo britannico riconosce che delle deroghe alla tutela delle specie sono lecite soltanto se, come prima cosa, non esista un’altra soluzione valida e se, come seconda, la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione generale. Lo stesso governo sostiene, tuttavia, che le autorità competenti applicherebbero, grazie alle succitate norme generali, entrambe le condizioni, le quali sarebbero, inoltre, implicitamente un presupposto delle due specifiche disposizioni derogatorie relative alla cattura di animali feriti a fini di cura ed all’uccisione di animali non curabili. In entrambi i casi non esisterebbe un’altra soluzione valida e non verrebbe pregiudicato lo stato di mantenimento della popolazione.

109. Con riferimento alle norme in esame, le norme generali richiamate dal governo britannico rilevano, al massimo, nella misura in cui probabilmente impediscono alle autorità competenti di avvalersi delle deroghe quando una delle due condizioni non sia soddisfatta. I privati possono, al contrario, avvalersi delle deroghe previste dal diritto britannico senza dover tener conto di queste condizioni. Per questo motivo le norme generali non sono validamente opponibili alla censura della Commissione.

110. Con riguardo alle specifiche deroghe per la cura o per l’uccisione di animali feriti, si osserva che, contrariamente all’assunto del governo britannico, non è obbligatorio che esse trovino applicazione solo in assenza di un’altra soluzione valida. Secondo il diritto britannico la cura è giustificata a prescindere dal se il fatto di lasciare l’animale in libertà, affinché guarisca con le proprie forze, costituisca o meno una soluzione valida alternativa. Per quanto riguarda l’uccisione di animali ammalati e incurabili, si pone l’ulteriore questione, non sollevata dalla Commissione, se l’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat contenga o meno una giustificazione in tal senso. Almeno in una parte dei casi costituirebbe una soluzione alternativa valida accettare il corso naturale delle cose, anziché intervenire per attuare quelli che sono, in definitiva, punti di vista dell’uomo circa il decorso delle malattie animali.

111. Per questi motivi, la rinuncia ai requisiti della mancanza di alternative e della preservazione dello stato di conservazione della popolazione interessata, che caratterizza le norme britanniche indicate dalla Commissione, sono incompatibili con l’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat.

b)      Sui danni connessi ad attività legalmente consentite

112. Ai sensi delle regulation 40(3)(c) e 43(4) C(NH)R 1994, delle regulation 35(3)(c) e 38(4) C(NH)R(NI) 1995 e delle section 17U(2)(c) e 17X(4) NPO i divieti emanati in sede di trasposizione degli artt. 12, 13 e 16 della direttiva Habitat non si applicano quando un determinato evento si è verificato in connessione ad un’attività legittima e non poteva essere ragionevolmente evitato (38).

113. L’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat non prevede deroghe alle norme di tutela degli animali e piante indicati nell’allegato IV qualora queste siano state violate in rapporto ad attività legalmente consentite. Il governo britannico sottolinea, tuttavia, che queste deroghe non costituiscono la trasposizione dell’art. 16, n. 1, bensì dell’art. 12 per quanto riguarda gli animali e dell’art. 13 per quanto riguarda le piante. Questa affermazione è fondata nella misura in cui ogni restrizione delle norme di tutela delle specie possa essere intesa come una limitazione del loro campo di applicazione, il che rappresenterebbe una trasposizione degli art. 12, n. 1, o 13, n. 1, oppure come una deroga, da valutarsi ai sensi dell’art. 16, n. 1. Ciò dimostra, però, che gli artt. 12, 13 e 16 formano congiuntamente un sistema di tutela chiuso, di modo che ogni deroga alle norme di tutela delle specie incompatibile con la direttiva costituisce una violazione sia dei divieti posti dagli artt. 12 e 14, sia della normativa derogatoria di cui all’art. 16. Di conseguenza, la Commissione può muovere la censura che le norme derogatorie in oggetto costituiscono una violazione dell’art. 16.

114. Il governo britannico si richiama, poi, al fatto che gli artt. 12 e 13 della direttiva Habitat sono stati trasposti con una normativa di tipo penale. Per questo motivo sarebbe necessario limitare la sua applicazione nel caso in cui delle persone agiscano ignorando di mettere in pericolo delle specie protette. Non appena, però, sussista la consapevolezza di metterle in pericolo, non ci si potrebbe più appellare alle citate deroghe poiché i danni avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati.

115. L’esposizione, effettuata dal governo britannico, delle disposizioni di deroga in esame è, però, contraria alla più recente giurisprudenza inglese. Due sentenze nella causa Newsum and others v. Welsh Assembly Government indicano che la deroga prevista nella regulation 40(3)(c) C(NH)R 1994 esula dall’ambito consentito ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat. La High Court afferma espressamente che la regulation 40(3)(c) esclude l’applicazione dei divieti stabiliti in sede di trasposizione dell’art. 12 se il pregiudizio si verifica nell’esercizio di una attività in sè legittima e se l’attività non poteva essere ragionevolmente effettuata in un altro modo (39). In quel caso si trattava di decidere se una cava di pietra autorizzata potesse essere sfruttata, nonostante tale attività potesse comportare la distruzione di una popolazione di tritoni crestati (Triturus Cristatus) e di uno stagno, cioé del loro sito di riproduzione e della loro area di riposo. La Court of Appeal, pur annullando questa sentenza, ha tuttavia rilevato in un obiter dictum che propendeva a ritenere che la deroga permettesse simili danni nell’ambito di un’attività legalmente consentita. (40) In considerazione di questa giurisprudenza, più aderente al testo della regulation 40(3)(c) C(NH)R 1994 rispetto all’interpretazione del governo britannico, si deve considerare che la deroga a favore di comportamenti legittimi consente delle attività che, con o senza la consapevolezza dell’agente, comportano l’uccisione di esemplari di specie protette oppure il deterioramento o la distruzione dei loro siti di riproduzione e delle loro aree di riposo, se queste attività, come tali, sono legittime.

116. Questa deroga non è espressamente prevista nella direttiva Habitat. Tuttavia sarebbe con questa compatibile se recepisse giustamente in senso delimitativo le fattispecie vietate dall’art. 12, n. 1, o dell’art. 13, oppure le fattispecie di deroga di cui all’art. 16.

117. Con riguardo all’art. 12, n. 1, lett. d), si deve anzitutto rilevare che il divieto di deteriorare o distruggere i siti di riproduzione o le aree di riposo non consente una deroga siffatta. Detto divieto non presuppone l’intenzionalità, ma vale anche a prescindere dalla consapevolezza dell’agente.

118. Nemmeno gli altri divieti sanciti dall’art. 12, n. 1, lett. a)-c), e dall’art. 13, n. 1, lett. a), vengono limitati a favore di attività legittime. Non è necessario stabilire come la nozione di «deliberatamente» ivi utilizzata – a differenza dell’art. 12, n. 1, lett. d) – debba essere interpretata nei dettagli. La sentenza relativa alla tartaruga marina Caretta caretta risulta interpretarla nel senso di una consapevole accettazione delle conseguenze (41). Anche se si interpreta «deliberatamente» in senso restrittivo, questo termine non può essere trasposto mediante una deroga a favore di attività legittime, giacché un comportamento legittimo non esclude necessariamente l’intenzione di danneggiare (42).

119. Nemmeno l’art. 16, n. 1, della direttiva Habitat può giustificare simili deroghe. Le deroghe da esso consentite non possono venire fondate sulla legittimità delle azioni, ma solo su motivi ben precisi, ad esempio motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. L’applicazione di una simile deroga richiede, poi, che non esista un’altra soluzione valida e che non venga pregiudicato il mantenimento, in un soddisfacente stato di conservazione, delle popolazioni della specie interessata (43).

120. Il governo britannico non può, del resto, nemmeno sostenere che le norme di diritto penale qui in esame dovrebebro venire limitate con una deroga a favore delle azioni legalmente consentite. Questi reati sono quasi tutti limitati alle azioni intenzionali. Solo la tutela dei siti di riproduzione e delle aree di riposo in Inghilterra, Galles, Scozia ed Irlanda del Nord non è collegata ad un intento lesivo, ma – secondo le indicazioni del governo britannico (44) – è indipendente dall’elemento della colpa. Non è qui necessario verificare se l’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva Habitat preveda effettivamente un reato che sia indipendente dall’elemento della colpa. In nessun caso, tuttavia, la limitazione di una fattispecie penale, il cui ambito di applicazione risulti eventualmente eccessivamente ampio, attraverso una deroga a sua volta eccessivamente ampia può costituire una adeguata trasposizione.

121. Conseguentemente le deroghe relative a danni provocati in occasione di azioni legalmente consentite sono incompatibili con l’art. 16 della direttiva Habitat.

8.      Sull’applicazione della direttiva in zone esterne alle acque territoriali

122. Quest’ultimo motivo di ricorso riguarda i siti marittimi all’interno dei quali il Regno Unito, pur non avendo la piena sovranità, esercita, quantomeno, determinati poteri. Ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (45) (in prosieguo: la «Convenzione sul diritto del mare»), alla quale ha aderito la Comunità nel 1998, (46) la piena sovranità dello Stato costiero si estende alle proprie acque territoriali. Queste sono denominate dalla Convenzione mare territoriale. Ai sensi dell’art. 3 della Convenzione sul diritto del mare lo Stato costiero ha il diritto di fissare la larghezza del proprio mare territoriale fino ad un limite massimo di 12 miglia marine, misurate a partire dalle linee di base determinate conformemente alla citata Convenzione.

123. Lo Stato costiero può, inoltre, rivendicare una zona economica esclusiva, la quale non si estende al di là di 200 miglia marine dalle linee di base. Ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. a), della Convenzione sul diritto del mare, in questa zona lo Stato costiero ha, in particolare, diritti sovrani ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo. Oltre a ciò, ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. b), punto iii), lo Stato costiero gode della giurisdizione, conformemente alle pertinenti disposizioni della stessa Convenzione, in materia di protezione e preservazione dell’ambiente marino.

124. La piattaforma continentale si può, infine, estendere fino a una distanza di 350 miglia marine dalle linee di base. Ai sensi dell’art. 77 della Convenzione sul diritto del mare, su di essa lo Stato costiero esercita diritti sovrani allo scopo di esplorarla e di sfruttarne le risorse naturali. Ciò riguarda solo le risorse naturali immobili.

125. La Commissione muove al Regno Unito la censura che l’applicazione delle disposizioni di trasposizione della direttiva Habitat è limitata alle acque territoriali. La Commissione ritiene che la direttiva debba operare ovunque gli Stati membri esercitino la loro giurisdizione, in particolare nella zona economica esclusiva, relativamente alla quale si richiama espressamente all’art. 56, n. 1, lett.  a), della Convenzione sul diritto del mare. Nella zona economica esclusiva il Regno Unito non avrebbe rispettato, in particolare, gli obblighi di proposta di siti di importanza comunitaria ai sensi dell’art. 4 della direttiva e di tutela delle specie ai sensi dell’art. 12.

126. Il governo del Regno Unito riconosce, in linea di principio, la fondatezza di tale addebito e comunica che sono state emanate pertinenti normative per l’industria del petrolio già nel 2001 (47), mentre per il resto sono in preparazione altre norme.

127. Del resto già nel 1999 (48) la High Court inglese ha dichiarato l’applicabilità della direttiva Habitat al di là delle acque territoriali. Essa si è basata, in particolare, sulle seguenti considerazioni: pur essendo la direttiva fortemente orientata alla superficie emersa, tuttavia i suoi scopi di tutela, con riferimento a determinati tipi di habitat e di specie – in particolare mammiferi marini e barriere coralline d’acqua fredda (49) – potrebbero essere conseguiti soltanto se essa non fosse limitata alle acque territoriali. Questo risultato deriverebbe, in particolare, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sull’applicazione territoriale dei diritti di pesca della Comunità, dall’interpretazione britannica della direttiva 85/337 sulla valutazione dell’impatto ambientale, in rapporto alla sua applicazione territoriale, e da dichiarazioni pubbliche di esponenti del governo sulla portata applicativa della direttiva Habitat.

128. Sebbene il Regno Unito non non neghi che la direttiva Habitat si applica al di là delle acque territoriali, prima di procedere ad una condanna si deve, a questo punto, verificare se la direttiva sia realmente applicabile in quella zona.

129. Nella sentenza Kramer la Corte ha dedotto da una situazione normativa relativa alla disciplina della pesca, con riguardo alla tutela delle risorse ittiche e delle risorse biologiche del mare (50), e dalla stessa natura delle cose, che la competenza normativa ratione materiae della Comunità si estende del pari – ove un’analoga competenza spetti agli Stati in forza del diritto internazionale pubblico – alla pesca in mare libero. La preservazione delle risorse biologiche marine può essere garantita efficacemente e al tempo stesso equamente solo mediante una normativa che vincoli tutti gli Stati interessati, compresi i paesi terzi. (51) In un’altra sentenza la Corte, allo scopo di determinare l’ambito geografico di applicazione di un regolamento, ha interpretato le disposizioni di tale atto tenendo conto della situazione giuridica in cui il regolamento, è venuto ad inserirsi, come pure del suo contenuto e del suo scopo. La Corte è giunta in proposito alla conclusione che l’ambito geografico di applicazione di detto regolamento coincide con la sfera d’applicazione del diritto comunitario nel suo complesso, quale si presenta definita in un qualsiasi momento. Qualsiasi ampliamento delle zone marittime degli Stati membri implica, pertanto, automaticamente un corrispondente ampliamento dell’ambito di applicazione del regolamento. (52)

130. Ne consegue che la direttiva Habitat è applicabile al di là delle acque territoriali del Regno Unito se ricorrono due condizioni: la prima è che il Regno Unito abbia ampliato la propria giurisdizione alla zona esterna alle acque territoriali e la seconda è che la direttiva Habitat vada interpretata in maniera tale da estenderla a quest’ambito.

131. È pacifico tra le parti che il Regno Unito gode della giurisdizione nella zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale. In quelle zone può, pertanto, trovare applicazione anche la normativa comunitaria pertinente.

132. Pur non contenendo la direttiva Habitat alcuna disposizione espressa sulla propria applicazione territoriale, tuttavia risponde alla sua finalità estenderne la validità oltre le acque territoriali. Ai sensi dell’art. 2, n. 1, la direttiva deve contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato. Questa finalità consente di far coincidere l’applicazione territoriale della direttiva con quella del Trattato, il cui ambito, secondo la sopra menzionata giurisprudenza, non è limitato alle acque territoriali. La direttiva tutela, inoltre, habitat come la barriera corallina e specie come i mammiferi marini, che spesso, ed a volte in misura prevalente, si trovano al di là delle acque territoriali.

133. Per questi motivi, anche il legislatore comunitario si adopera, nel frattempo, per trasporre la direttiva Habitat nelle acque comunitarie esterne a quelle territoriali. Il regolamento (CE) del Consiglio 26 aprile 2004, n. 812, che stabilisce misure relative alla cattura accidentale di cetacei nell’ambito della pesca e che modifica il regolamento (CE) n. 88/98 (53), ha ad oggetto la trasposizione delle esigenze della tutela dei cetacei ai sensi degli artt. 12 e 15 e dell’allegato IV, lett. a), della direttiva Habitat per quanto riguarda la pesca. Sono interessati da questo regolamento in particolare taluni siti esterni alle acque territoriali.

134. Non si ravvisa, poi, alcun motivo per il quale gli Stati membri, nell’esercizio della loro giurisdizione al di là delle acque territoriali, debbano essere esonerati dal rispetto dei vincoli posti dalla direttiva Habitat. La Convenzione sul diritto del mare, pur ponendo dei limiti ai loro poteri, li obbliga tuttavia, in linea di principio, a tutelare l’ambiente marino, anche nella zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale. La Convenzione sulla diversità biologica (Convenzione di Rio), alla quale hanno aderito la Comunità e gli Stati membri (54), rafforza quest’obbligo. Ai sensi dell’art. 4, lett. b), di questa Convenzione, le sue disposizioni si applicano, per quanto riguarda ciascuna delle parti contraenti, nel caso di procedimenti ed attività realizzati sotto la sua giurisdizione od il suo controllo, indipendentemente da dove si manifestino i loro effetti, nel territorio soggetto alla sua giurisdizione o al di fuori di esso. Quanto sopra riguarda, in particolare, le attività nella zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale.

135. La direttiva Habitat deve essere, pertanto, trasposta anche in relazione ai siti posti al di là delle acque territoriali, nella misura in cui gli Stati membri o la Comunità vi esercitano la loro giurisdizione.

136. Si deve, comunque, osservare, che le disposizioni relative all’industria del petrolio sono entrate in vigore prima dello scadere del termine assegnato con il parere motivato e che pertanto il Regno Unito ha tempestivamente adempiuto, quantomeno in questa misura, il proprio obbligo di trasposizione per quanto riguarda le zone esterne alle acque territoriali. Dal momento che queste norme, tuttavia, sono limitate, nella loro portata applicativa, all’industria del petrolio, il Regno Unito non ha trasposto in maniera completa la direttiva per quanto riguarda le zone esterne alle acque territoriali.

III – Sulle spese

137. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente viene condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Dal momento che in questa sede la Commissione è risultata ampiamente vittoriosa, possono tralasciarsi, ai fini della decisione sulle spese, il ritiro di talune sue censure subordinate e la sua soccombenza su altri punti. Il Regno Unito deve essere, conseguentemente, condannato a sopportare le spese.

IV – Conclusione

138. Propongo, pertanto, alla Corte di decidere come segue:

1.       Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi incombentigli ai sensi degli artt. 10 e 249 del Trattato e dell’art. 23 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, non avendo trasposto in maniera corretta le seguenti disposizioni:

–       art. 6, n. 2, con riferimento a Gibilterra,

–       art. 6, n. 3 e 4, con riferimento a determinati piani e progetti per l’estrazione di acqua ed ai piani di riassetto del territorio,

–       art. 11,

–       art. 12, n. 1, lett. d), con riferimento a Gibilterra,

–       art. 12, n. 2,

–       art. 12, n. 4,

–       art. 13, n. 1,

–       art. 14, n. 2,

–       art. 15,

–       art. 16, n. 1, e

–       l’intera direttiva per quanto riguarda le zone marine al di là delle acque territoriali sulle quali il Regno Unito gode di giurisdizione, ad eccezione dell’industria del petrolio.

2.      Per il resto il ricorso è respinto.

3.      Il Regno Unito è condannato alle spese.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2  – GU L 206, pag. 7.


3  – Sentenza 30 maggio 1991, causa C‑59/89, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑2607, punto 18).


4  – Il governo britannico si richiama alla sentenza Friends of the Earth v. Environment Agency and Able [2003] EWHC 3193, punti 57 e 59.


5  – La Commissione si richiama alle sentenze Commissione/Germania (cit. alla nota 3, punti 18 e 24), 19 maggio 1999, causa C-225/97, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑3011, punto 37), e 17 maggio 2001, causa C‑159/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑4007, punto 32).


6  –      Sentenza 20 novembre 2003, causa C‑296/01, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑13909, punto 55).


7  – GU L 103, pag. 1.


8  – Sentenze 8 luglio 1987, causa 262/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 3073, punto 9), 13 ottobre 1987, causa 236/85, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 3989, punto 5) e 7 dicembre 2000, causa C‑38/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑10941, punto 53).


9  – Conclusioni dell’avvocato generale Fennelly del 16 settembre 1999, causa C‑256/98, Commissione/Francia (Racc. 2000, pag. I-2487, paragrafo 20), e dell’avvocato generale Tizzano del 29 gennaio 2002, causa C-75/01, Commissione/Lussemburgo, (Racc. 2003, pag. I‑1585, paragrafo 38).


10  – Conclusioni nella causa C-256/98 (cit. alla nota 6, paragrafo 25).


11  – Sentenza 13 giugno 2002, causa C-117/00, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑5335, punti 22 e segg.).


12  – Conclusioni del 7 marzo 2002 nella causa C‑117/00, Commissione/Irlanda (Racc. 2002, pag. I-5335, paragrafo 77).


13  – V., per quanto riguarda la particolare situazione dell’autorizzazione di un progetto che non è considerato piano o progetto, le mie conclusioni del 29 gennaio 2004 nella causa C‑127/02, Landelijke Vereniging tot Behoud van de Waddenzee e Nederlandse Vereniging tot Bescherming van Vogels (Racc. pag. I‑0000, paragrafo 118).


14  – V., in questo senso l’interpretazione data all'art. 6, n. 2, della direttiva Habitat dall’avvocato generale Fennelly nelle sue conclusioni nella causa C‑256/98 (cit. alla nota 9, paragrafo 25).


15  – Ad esempio, le denominazioni inglese ed olandese si riferiscono non allo sfalcio, ma al fieno, che, però, presuppone lo sfalcio.


16  – Questo punto di vista è sottolineato dall’avvocato generale Fennelly nelle sue conclusioni nella causa C‑256/98 (cit. alla nota 9, paragrafo 19).


17  – GU L 175, pag. 40.


18 – Sentenza 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Landelijke Vereniging tot Behoud van de Waddenzee e Nederlandse Vereniging tot Bescherming van Vogels (Racc. Pag. I‑0000, punti 24 e segg.).


19  – In Germania esiste un analogo regime di tutela per piani e progetti di minori dimensioni, i quali, all’esterno dei siti protetti, sono esonerati da autorizzazioni. Per quella zona, tuttavia, il paragrafo 33, n. 3, terza frase, del Bundesnaturschutzgesetz contiene un obbligo esplicito per il contenuto della dichiarazione di tutela: «Occorre garantire mediante adeguati precetti e divieti nonché misure di preservazione e di sviluppo il rispetto delle prescrizioni dell'art. 6 della direttiva 92/43/CEE».


20  – V. le sentenze 25 maggio 2000, causa C-384/97, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-3823, punto 35), 16 gennaio 2003, causa C-63/02, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-821, punto 11), e 9 settembre 2004, causa C‑417/02, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑0000, punto 22).


21  – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 18, punto 43).


22  – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 18, punto 41).


23  – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 18, punto 44).


24  – V. in questo senso la sentenza 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Delena Wells (Racc. pag. I‑0723, punti 49 e segg.)


25  – Conclusioni nella causa C‑256/98 (citate alla nota 9, paragrafo 33).


26  – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 18, punto 37).


27  – V. le mie conclusioni nella causa Waddenzee (cit. alla nota 13, paragrafo 58).


28  – Sentenza 24 giugno 2004, causa C‑350/02, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑0000, punto 20 con ulteriori rinvii). Questo presupposto della ricevibilità di un ricorso per inadempimento può essere verificato d’ufficio: sentenze 15 gennaio 2002, causa C‑439/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑305, punto 8), e 31 marzo 1992, causa C-362/90, Commissione/Italia, (Racc. pag. I‑2353, punto 8).


29  – V. su questa censura , infra, il paragrafo 77.


30  – Questa esposizione è confermata dalle dichiarazioni del ministero scozzese per l’Ambiente, «European Protected Species, Development Sites and the Planning System» (ottobre 2001), http://www.scotland.gov.uk/library3/environment/epsg.pdf, pag. 2, n. 12, sito visitato il 27 maggio 2005. D’altro canto la questione se si tratti di una «strict liability offence» viene esplicitamente lasciata insoluta nella sentenza 5 novembre 1999, causa R v Secretary of State for Trade and Industry ex parte Greenpeace Ltd, Common Market Law Reports 2000 (n. 1279), pag. 94 (122). V. anche Environmental Audit – Sixth Report del 5 maggio 2004, http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200304/cmselect/cmenvaud/126/12602.htm, n. 9, visitato il 27 maggio 2005,secondo cui la maggior parte dei reati ambientali si baserebbero sulla «strict liability».


31 – V. entrambi i documenti di consultazione “Consultation Paper on Legislative proposals of the Habitatas Directive Provisions on Conservation of European Protected Species into the Land-Use Planning Regime” del governo del Galles del giugno 2002, http://www.wales.org.uk/subienvironment/content/consultations/landuseplan.doc, Section 1, n. 4, visitato il 27 maggio 2005, e “Technical Amendments to the Conservation (Natural Habitats &c.) Regulations 1994, A Consultation Paper on Amendments to the Habitats Regulations“ del governo scozzese del marzo 2003, http://www.scotland.gov.uk/consultations/environment/tacnh.pdf, n. 20, visitato il 27 maggio 2005, e la sentenza della High Court 4 febbraio 2004 nella causa Newsum and others v. Welsh Assembly Government, [2004] EWHC 50 [Admin], punti 17 e 101.


32  – Sentenza 6 novembre 2003, causa C‑434/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑13239, punto 21, con ulteriori indicazioni).


33  – Tale disposizione recita: «It is an offence (…) – (d) deliberately to damage or destroy a breeding site or resting place of any such animal.»


34  – regulation 41 C(NH)R 1994, regulation 36(2) C(NH)R(NI) 1995 e section 17V(2) NPO 1991.


35  – Sentenze 15 dicembre 1987, causa 326/85, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. 5091, punto 24), 22 novembre 2001, causa C-301/97, Paesi Bassi/Consiglio (Racc. pag. I‑8853, punto 43), e 29 aprile 2004, causa C-17/01, Sudholz (Racc. pag. I‑0000, punto 34).


36  – Sentenza nella causa C‑350/02 (cit. alla nota 28, punti 18 e segg.).


37  – Oltre alle «foche vere», c'è anche la famiglia delle «otarie» (Otariidae).


38  – La regulation 40(3)(c) C(NH)R 1994 recita: «(…) (A) person shall not be guilty of an offence by reason of – … any act made unlawful by that regulation if he shows that the act was the incidental result of a lawful operation and could not reasonably have been avoided.»


39  – Cit. alla nota 31, punto 101.


40  – Sentenza 22 novembre 2004 ([2004] EWCA [Civ] 1565, punti 8 e 15 e segg.).


41  – Sentenza 30 gennaio 2002, causa C-103/00, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑1147, punti 32 e segg).


42  – V. già sentenza 17 dicembre 1987, causa 412/85, Commissione/Germania (Racc. pag. 3503, punti 14 e seguenti.): l’intenzione dello sfruttamento del suolo, ad es. nell’agricoltura, non esclude di poter, allo stesso tempo, uccidere o catturare uccelli intenzionalmente, danneggiare o distruggere intenzionalmente i loro nidi o uova o di disturbarli intenzionalmente, ai sensi dall’art. 5 della direttiva Uccelli.


43  – V. sopra, paragrafi 108 e segg.


44  – V. sopra, paragrafo 72.


45  – Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Official Documents, Vol. XVII, 1984, Doc. A/Conf.62/122, pagg. 157-231.


46  – Decisione del Consiglio 23 marzo 1998, concernente la conclusione, da parte della Comunità europea, della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 e dell’accordo del 28 luglio 1994 relativo all’attuazione della parte XI della convenzione (98/392/CE), GU L 179, pag. 1.


47  – Offshore Petroleum Activities (Conservation of Habitats) Regulations 2001, entrate in vigore il 31 maggio 2001.


48  – Cit. alla nota 30, pagg.  102 e segg. (114).


49  – Secondo la descrizione della High Court questo tipo di corallo viene compreso nell’habitat Barriera corallina (Natura 2000, codice 1170).


50  – Art. 102 dell’Atto di adesione del 22 gennaio 1972.


51  – Sentenza 14 luglio 1976, cause riunite 3, 4 e 6/76, Kramer (Racc. pag. 1279, punti 30-33).


52  – Sentenza 16 febbraio 1978, causa 61/77, Commissione/Irlanda (Racc. pag. 417, punti 45-51).


53  – GU L 150, pag. 12.


54  – GU L 309 del 13 dicembre 1993, pag. 3.