CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MICHAL BOBEK
presentate il 7 marzo 2017 (1)
Causa C‑621/15
W
X
Y
contro
Sanofi Pasteur MSD SNC
Caisse primaire d’assurance maladie des Hauts‑de‑Seine
Caisse Carpimko
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia)]
«Responsabilità per danno da prodotti difettosi – Laboratori farmaceutici – Vaccinazione contro l’epatite B – Vittima di sclerosi multipla – Onere della prova – Prova del danno per difetto del vaccino e del nesso causale tra difetto e danno a carico del ricorrente – Mezzo di prova – Sistema delle presunzioni – Mancanza di consenso scientifico – Nesso causale»
I – Introduzione
1. Nel 1998 e nel 1999 il sig. W. è stato vaccinato contro l’epatite B. Poco tempo dopo ha sviluppato i sintomi della sclerosi multipla. Le sue condizioni sono peggiorate negli anni successivi. Il sig. W. è deceduto nel 2011.
2. I familiari del sig. W. (in prosieguo: le sigg.re «W.» o le «ricorrenti») hanno proposto un’azione di risarcimento danni contro la Sanofi Pasteur MSD SNC, produttrice del vaccino e una delle tre convenute nella causa in esame (in prosieguo: la «Sanofi» o la «prima convenuta»). Le ricorrenti hanno sostenuto che la sclerosi multipla del deceduto era stata causata dal vaccino. La domanda è stata respinta, tuttavia, per la mancata prova di un nesso causale tra il difetto del vaccino e il danno subito dal sig. W. Per dimostrare tale nesso, le ricorrenti avevano fatto valere una norma del diritto francese, secondo la quale un nesso causale si può presumere qualora la malattia in quanto tale si manifesti subito dopo la somministrazione del farmaco asseritamente difettoso e non sussistano precedenti personali o familiari relativi alla malattia.
3. Le ricorrenti hanno adito infine la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), che interroga ora questa Corte riguardo all’interpretazione della direttiva europea sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (in prosieguo: la «direttiva») (2). In particolare, il giudice del rinvio chiede se: i) le presunzioni descritte supra siano compatibili con tale direttiva; ii) l’applicazione sistematica di tali presunzioni sia compatibile con la direttiva; e iii) se, nel caso in cui siffatte presunzioni non siano compatibili con la direttiva, il ricorrente debba produrre prove scientifiche del nesso causale.
II – Quadro normativo
A – Diritto dell’Unione
1. Direttiva 85/374
4. La direttiva armonizza talune norme in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in particolare attraverso le seguenti disposizioni:
«Articolo 4
Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno».
(…)
«Articolo 6
1. Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui:
a) la presentazione del prodotto,
b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato,
c) il momento della messa in circolazione del prodotto.
(…)
Articolo 7
Il produttore non è responsabile ai sensi della presente direttiva se prova:
(…)
e) che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto; (…)»
B – Diritto francese
5. All’epoca dei fatti, l’articolo 1386‑1 (ora articolo 1245‑8) del codice civile francese prevedeva che il produttore sia responsabile per il danno causato dai suoi prodotti difettosi, indipendentemente dalla circostanza che esso abbia un rapporto contrattuale con il danneggiato. L’articolo 1386‑9 prevede che il ricorrente debba provare il danno, il difetto e il nesso di causale tra il difetto e il danno.
6. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Cour de cassation (Corte di cassazione), per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale dei laboratori farmaceutici, derivante da vaccini prodotti da questi ultimi, la prova di un nesso causale tra il difetto del prodotto e il danno subito dal danneggiato può essere ricavato da «presunzioni gravi, precise e concordanti» (3).
7. Secondo la giurisprudenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) un giudice può dichiarare che il breve lasso di tempo tra l’inoculazione del vaccino contro l’epatite B e la comparsa dei primi sintomi della sclerosi multipla, unitamente alla mancanza di precedenti personali o familiari di tale malattia, si configura come una di tali presunzioni gravi, precise e concordanti. Ciò può avvenire anche se la ricerca medica non conferma, in genere, l’esistenza di tale nesso (4).
III – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali
8. Tra il dicembre 1998 e il luglio 1999, al sig. W. sono state praticate tre iniezioni di un vaccino contro l’epatite B, prodotto dalla Sanofi. Nell’agosto 1999 il sig. W. ha iniziato a manifestare vari disturbi. Nel novembre 2000 gli è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Le condizioni sig. W. sono peggiorate progressivamente. Al momento della sua morte, avvenuta il 30 ottobre 2011, il sig. W. era affetto da una disabilità funzionale del 90% e necessitava di assistenza continua.
9. Nel 2006 il sig. W., la moglie e le due figlie hanno intentato un’azione per responsabilità extracontrattuale contro la Sanofi per il danno causatogli dai vaccini. Essi hanno sostenuto che il breve lasso di tempo tra l’inoculazione del vaccino e la comparsa dei primi sintomi della sclerosi multipla, unitamente alla mancanza di precedenti personali o familiari di tale malattia, hanno fatto sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti dell’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso causale tra tale difetto e la malattia del sig. W.
10. La domanda è stata accolta in primo grado dal Tribunal de Grande Instance de Nanterre (Tribunale regionale di Nanterre, Francia). Tuttavia, la sentenza è stata successivamente annullata in appello dalla Cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles, Francia). Quest’ultima ha dichiarato che gli elementi fatti valere dalle sigg.re W portavano a presumere l’esistenza di un nesso causale, ma erano insufficienti per dimostrare un difetto del vaccino. La Cour de cassation (Corte di cassazione) ha annullato la sentenza della Court d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles), dichiarando che quest’ultima non aveva fornito una base giuridica per la sua decisione relativamente alla questione della mancanza di difetto dei vaccini.
11. La causa è stata rinviata dinanzi alla Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia), che ha nuovamente annullato la sentenza di primo grado del Tribunal de Grande Instance de Nanterre (Tribunale regionale di Nanterre). La Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha dichiarato che il breve lasso di tempo tra l’inoculazione del vaccino e la comparsa di primi sintomi della sclerosi multipla, unitamente alla mancanza di precedenti personali o familiari di tale malattia, non potrebbero far sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti di un nesso causale tra il vaccino e la malattia del sig. W.
12. Al riguardo, la Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha rilevato la mancanza di consenso scientifico a sostegno della tesi del nesso causale tra la vaccinazione contro l’epatite B e la sclerosi multipla. Le autorità sanitarie nazionali e internazionali hanno negato l’esistenza di una connessione tra la probabilità di essere colpiti da malattia demielinizzante centrale o periferica (caratteristica della sclerosi multipla) e la vaccinazione contro l’epatite B. La Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha altresì osservato che la causa della sclerosi multipla era sconosciuta. Infine, essa ha fatto riferimento a studi epidemiologici da cui risultava che una percentuale di persone affette da sclerosi multipla, compresa tra il 92% e il 95%, non presentava precedenti in famiglia.
13. La sentenza della Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) è stata nuovamente presentata dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione), la quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«Prima questione:
Se l’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, osti, per quanto riguarda la responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini da essi prodotti, a un mezzo di prova che prevede che il giudice di merito, nell’esercizio del suo libero apprezzamento, possa ritenere che gli elementi di fatto presentati dal ricorrente costituiscano presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da dimostrare il difetto del vaccino e l’esistenza di un nesso causale tra quest’ultimo e la malattia, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce alcun nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia.
Seconda questione:
In caso di risposta negativa alla prima questione, se l’articolo 4 della (…) direttiva 85/374 osti a un sistema di presunzioni secondo cui l’esistenza di un nesso causale tra il difetto attribuito a un vaccino e il danno subito dal danneggiato debba sempre essere considerata dimostrata in presenza di determinati indizi di causalità.
Terza questione:
In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 4 della (…) direttiva 85/374 debba essere interpretato nel senso che la dimostrazione, a carico del danneggiato, dell’esistenza di un nesso causale fra il difetto attribuito a un vaccino e il danno da essa subito, possa essere considerata fornita soltanto qualora tale nesso venga determinato in maniera scientifica».
14. Hanno presentato osservazioni scritte le ricorrenti e la prima convenuta, nonché i governi ceco, tedesco e francese e la Commissione europea. Le parti interessate che hanno partecipato alla fase scritta, ad eccezione del governo tedesco, hanno anche presentato osservazioni orali all’udienza del 23 novembre 2016.
IV – Valutazione
A – Introduzione
15. L’articolo 4 della direttiva prevede che, nei casi di responsabilità per danno da prodotti difettosi, il danneggiato ha l’onere provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno. La causa in esame riguarda i requisiti e le condizioni imposti dal diritto dell’Unione relativamente alle possibili modalità di adempimento di tale onere.
16. Osservo anzitutto che il livello probatorio e il tipo di prova sufficiente per il raggiungimento di tale livello non sono oggetto di armonizzazione da parte della direttiva. In via di principio, si tratta quindi di questioni che devono essere risolte dal giudice nazionale, fatte salve, in particolare, le condizioni di equivalenza e di effettività. Non è compito di questa Corte desumere norme dettagliate in materia di prove da tali principi generali o, in realtà, da una direttiva che fissa soltanto norme di base ai fini della determinazione della responsabilità per quanto attiene, potenzialmente, a milioni di prodotti di diversa natura.
17. Tuttavia, il diritto dell’Unione impone effettivamente taluni limiti in materia di prove, che analizzerò in modo più approfondito in appresso, al fine di assistere il giudice nazionale nella definizione della controversia.
18. Prima di esaminare le questioni sollevate dal giudice del rinvio in modo più dettagliato (D), inizierò con alcune osservazioni di carattere generale sui requisiti fissati dalla direttiva in materia di prove (B) e con una nota terminologica.
B – Requisiti fissati dalla direttiva in materia di prove
19. La direttiva impone alla parte danneggiata l’onere di provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra questi due elementi (5). La conseguenza processuale di tale norma è evidente: se la parte danneggiata omette di adempiere tale onere, la sua domanda deve essere respinta (6).
20. Tuttavia, come è già stato dichiarato da questa Corte, la direttiva non aspira ad un’armonizzazione completa del settore della responsabilità per danno da prodotti difettosi al di fuori degli aspetti che essa disciplina (7). In particolare, la direttiva non armonizza norme in materia di prove per stabilire il modo in cui la parte danneggiata può adempiere l’onere della prova (8). Per quanto riguarda la causa in esame, la direttiva non prevede un elenco preciso di prove che la parte danneggiata deve presentare al giudice nazionale. La direttiva non specifica nemmeno l’ammissibilità delle prove presentate, o la forza probatoria da attribuire alle stesse, oppure le conclusioni che possono o devono esserne tratte (9).
21. Spetta quindi all’ordinamento giuridico nazionale di ciascuno Stato membro, conformemente al principio dell’autonomia processuale, stabilire norme dettagliate in materia di prove ai fini dell’applicazione pratica della direttiva (10).
22. Inoltre, tenuto conto dell’estrema diversità dei prodotti rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva, del tipo di danno che essi potrebbero causare e delle modalità con cui tale danno potrebbe essere causato, ci si deve attendere che tali norme dettagliate possano non essere identiche in tutti i casi. Pertanto, a mio avviso, rimanendo entro i limiti dell’articolo 4 della direttiva, gli Stati membri dovrebbero essere legittimati a differenziare ragionevolmente e ad adeguare le norme probatorie applicabili a seconda del tipo o dei tipi di prodotto in questione.
23. È stato inoltre riconosciuto da questa Corte che, quando stabiliscono norme in materia di prove, gli Stati membri possono tentare di correggere gli squilibri tra il consumatore e il produttore, che potrebbero derivare, ad esempio, da un’asimmetria delle informazioni (11). Tale possibilità riflette altresì le più ampie prescrizioni del diritto dell’Unione di accesso alla giustizia e di protezione dei consumatori (12). In relazione a quanto affermato nel precedente paragrafo, è evidente che siffatta asimmetria di informazioni potrebbe essere particolarmente accentuata in ambiti quali la responsabilità delle società farmaceutiche.
24. Tuttavia, nel definire le norme in materia di prove, applicabili ai casi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva, l’autonomia processuale degli Stati membri non è illimitata. L’effetto congiunto delle norme nazionali in materia di prove deve consistere nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (13). In altri termini, la trasposizione nazionale delle disposizioni della direttiva in generale e del suo articolo 4 in particolare deve rimanere entro i limiti di tali disposizioni, garantendo al contempo la loro effettiva applicazione nell’ordinamento giuridico nazionale.
25. In particolare, le norme nazionali in materia di prove che ostacolano indebitamente la capacità del giudice nazionale di valutare le prove rilevanti (14) o che non sono sufficientemente rigorose così da comportare, in pratica, un’inversione dell’onere della prova, non sarebbero conformi al principio di effettività (15).
26. Stabilire se le norme nazionali in materia di prove, applicate nell’attuazione della direttiva, rispettino tale principio costituisce la principale questione sostanziale al centro della causa in esame.
27. Prima di formulare osservazioni generali su quanto esposto supra, enuncerò anzitutto alcune considerazioni preliminari sulla terminologia e in particolare sulla nozione di «presunzione».
C – Presunzione
28. L’esatto significato del termine «présomption» (in lingua originale francese), che rappresenta il punto centrale della causa in esame, ha dato origine a un acceso dibattito nel corso dell’udienza. È emerso che nozioni che suonano apparentemente identiche (o che sono quantomeno tradotte) sono intese, ed effettivamente applicate, in modo alquanto diverso nei vari ordinamenti giuridici nazionali. Come spesso accade in un ordinamento giuridico multilingue e multiculturale come quello dell’Unione, una nozione che reca apparentemente lo stesso nome può avere significati diversi (16).
29. Pertanto, conformemente diritto francese, ritengo che il termine «présomption» possa essere definito come una forma di ragionamento giuridico con la quale un fatto non provato viene dedotto da un altro fatto provato. Una presunzione viene qualificata «semplice» quando il giudice è libero di adottare tale ragionamento deduttivo in una particolare fattispecie. Una presunzione viene denominata «legale», ossia, generalmente applicabile, quando il legislatore deduce un fatto non provato da un altro fatto provato. Una presunzione legale è «relativa» quando può essere superata mediante una prova contraria. Quando non può essere superata, viene definita «irrefutabile» o «assoluta» (17).
30. Nel diritto tedesco è previsto un approccio leggermente diverso, benché simile (18). Per contro, il seguente passaggio sull’uso di tale nozione nel diritto inglese sottolinea gli evidenti limiti di una traslitterazione del termine francese «présomption» nell’inglese «presumption»: «in talune situazioni il giudice può trarre conclusioni dai fatti provati da una parte. (…) questi non sono altro che esempi di indizi solitamente ricorrenti. Trattarli come presunzioni in senso stretto è quindi frutto di una concezione errata, in quanto essi non trasferiscono mai l’onere della prova alla persona contro la quale la prova viene presentata (…) essi sono spesso indicati, erroneamente, secondo quanto si sostiene, come “presunzioni”» (19).
31. Il giudice del rinvio utilizza il termine «présomption» nella domanda di pronuncia pregiudiziale. Detto termine è stato tradotto in tal modo nelle altre versioni linguistiche delle questioni pregiudiziali e pubblicato nella Gazzetta ufficiale, e le parti e gli intervenienti presentano le loro osservazioni alla Corte utilizzando detto termine. Pertanto, per non generare ulteriore confusione terminologica in questa fase, manterrò lo stesso termine. Tuttavia, per ragioni di chiarezza, esporrò più avanti il mio modo di utilizzare tale concetto, che corrisponde al modo in cui intendo il funzionamento di tale nozione conformemente al diritto francese, come utilmente sottolineato dalle parti in udienza.
32. Pertanto, nelle presenti conclusioni, utilizzerò il termine «presunzione» per indicare una situazione in cui si è ottenuta la prova di un fatto o di una serie di fatti (A), e da tale fatto o serie di fatti si desume la probabilità che si siano verificati un altro fatto o un’altra serie di fatti (B). Per quanto riguarda il suo funzionamento pratico, il termine «presunzione» viene utilizzato in questa sede per indicare essenzialmente una forma di indizio o di prova indiretta.
33. Le «presunzioni» nel senso di indizi quali descritti supra sono un fenomeno piuttosto comune. Esse tendono a riflettere l’esperienza precedente sul modo in cui gli eventi possono normalmente a svolgersi, trasformata in criteri empirici al fine di facilitare e accelerare il procedimento giudiziario. In un certo senso, tali presunzioni possono essere considerate semplicemente come un’etichetta per descrivere parte del processo di convincimento del giudice su quale delle parti debba risultare vittoriosa. Il ricorrente presenta al giudice alcune prove di fatti, da cui il giudice trae determinate conclusioni riguardo alla probabilità che si siano verificati altri fatti collegati. In questa fase, la posizione del ricorrente sembra più forte. Il convenuto ribatte con altre solide prove, riportando la situazione a suo favore (20). In risposta il ricorrente deve proporre qualcosa di più convincente o rischia di perdere la causa (21).
34. Ai fini della successiva analisi e traendo ancora spunto dal diritto francese, opero qui una distinzione tra presunzioni «legali» e presunzioni «semplici». Utilizzerò l’espressione «presunzione legale» per indicare una presunzione che il giudice è tenuto ad applicare per legge. In altri termini, per utilizzare il precedente esempio, il giudice deve desumere il fatto B da un fatto A, e in tal senso la sua libera valutazione delle prove è in qualche misura ostacolata. Per contro, utilizzo qui l’espressione «presunzione semplice» per indicare una situazione in cui esiste la possibilità, secondo il nostro esempio, per il giudice di desumere B da A, ma solo come parte della sua libera valutazione delle prove.
35. Una seconda distinzione rilevante ai fini della presente analisi è quella tra presunzioni relative e presunzioni assolute. Tornando all’esempio precedente, ritengo che una presunzione sia assoluta qualora la controparte non possa superarla, indipendentemente dalle prove presentate al giudice da tale controparte. Per contro, una presunzione è relativa qualora tale controparte possa presentare ulteriori prove che portino il giudice a concludere, nella valutazione complessiva, che la presunzione non può essere mantenuta.
36. Tenendo conto di tali chiarimenti terminologici, passo ora all’esame delle questioni specifiche sollevate dal giudice nazionale.
D – Questioni sollevate dal giudice nazionale
37. L’articolo 4 della direttiva osta a un metodo mediante il quale taluni fatti possono dar luogo a una presunzione semplice secondo cui un vaccino è difettoso e ha causato una malattia, anche se la ricerca medica non stabilisce, a livello generale, l’esistenza di un nesso causale tra il vaccino e la malattia? La risposta a tale questione sarebbe diversa se la presunzione fosse legale anziché semplice? Il nesso causale tra il vaccino e la malattia deve essere dimostrato facendo ricorso a prove scientifiche? Sono queste, in sostanza, le tre questioni sollevate dal giudice nazionale.
38. Per utilizzare la terminologia esaminata supra (nella parte C), intendo la prima questione nel senso che va riferita a una «presunzione semplice relativa». Pertanto, il giudice investito della causa non è tenuto in alcun modo ad applicare la presunzione e, anche se sceglie di farlo, tale decisione rientra semplicemente nella sua valutazione complessiva dei fatti. Il convenuto è quindi libero di presentare ulteriori prove per superare la presunzione. Siffatte prove possono presentarsi sotto forma di elementi che contraddicono direttamente la base fattuale della presunzione o qualsiasi altro elemento che convinca il giudice del fatto che la domanda deve essere respinta (22).
39. A mio avviso, la direttiva non osta in via di principio a tali presunzioni semplici. Essa non richiede neppure che sia attribuita particolare rilevanza alla ricerca medica o, più in generale, alla ricerca scientifica.
40. Come spiegato supra al paragrafo 20, l’articolo 4 della direttiva disciplina l’onere della prova, non già regole in materia di prove o il mezzo di prova o il livello probatorio. In particolare, essa non stabilisce in generale quale forza probatoria debba essere attribuita a specifici elementi di prova né disciplina l’uso delle presunzioni.
41. Ritengo opportuno distinguere, in questa sede, tre aspetti della prima questione ai fini dell’analisi, ossia: 1) il ruolo della ricerca medica; 2) l’uso delle presunzioni; e 3) la prova del nesso causale contro la prova del difetto.
1. Ricerca medica
42. La direttiva richiede la prova di un nesso causale tra il difetto e il danno. Tuttavia, essa non richiede che il nesso causale sia dimostrato con un qualsiasi tipo di prova specifica, medica o di altra natura. La direttiva non stabilisce neppure che la mancanza di ricerche in campo medico che stabiliscono l’esistenza di un nesso causale costituisce una prova concludente della mancanza di un difetto o di un nesso causale. Ciò non sorprende data la portata assai generale della direttiva, applicabile alla responsabilità per danno da prodotti difettosi in un gran numero di settori (23), per molti dei quali la ricerca medica sarà meramente irrilevante.
43. Si possono formulare tuttavia alcune considerazioni di carattere generale sui requisiti che devono essere osservati dai ricorrenti nella presentazione di prove aventi la forma specifica della ricerca medica e sul ruolo svolto da tali prove. Nel seguente punto a) valuterò se la ricerca medica possa essere richiesta quale condizione di accoglimento della domanda. Nel seguente punto b) valuterò se la ricerca medica possa essere richiesta ai fini dell’applicazione di una presunzione semplice.
a) Ricerca medica quale condizione di accoglimento della domanda
44. Il requisito secondo il quale, ai fini dell’applicazione dell’articolo 4 della direttiva, deve essere dimostrata specificamente l’esistenza di un nesso causale in base alla ricerca medica sarebbe, a mio avviso, incompatibile con tale disposizione e con il principio di effettività, per le seguenti ragioni.
45. In primo luogo, tale requisito probatorio specifico potrebbe rendere praticamente impossibile dimostrare la responsabilità nei casi in cui manchi la ricerca medica indipendentemente dalla natura o dalla qualità di altre prove. In tali casi, la direttiva sarebbe privata di efficacia e la libertà del giudice nazionale di valutare le prove sarebbe indebitamente ostacolata.
46. In secondo luogo, la valutazione giudiziale del nesso causale in una situazione specifica deve essere distinta dalla valutazione scientifica del (potenziale) nesso causale in generale. La seconda può essere rilevante per la prima e vice versa, ma i due tipi di valutazione non dovrebbero essere confusi (24). L’articolo 4 della direttiva impone al ricorrente l’onere di provare che la sostanza somministratagli ha causato il danno da esso subito nel singolo caso. Detto articolo non richiede al ricorrente di dimostrare che la ricerca medica generale ha stabilito la potenziale nocività della sostanza in termini più generali. Di conseguenza, imporre sistematicamente siffatto requisito supplementare andrebbe ben oltre l’articolo 4 della direttiva (25).
47. In terzo luogo, sempre che un produttore non debba essere ritenuto responsabile in mancanza di ricerche in campo medico che stabiliscono l’esistenza di un nesso causale, costituirebbe violazione dell’articolo 4 della direttiva anche l’effettiva estensione dell’elenco di eccezioni alla responsabilità enumerate all’articolo 7 della direttiva. L’articolo 7, lettera e), prevede espressamente e specificamente che la responsabilità possa essere esclusa quando è dimostrato che, nel momento in cui il prodotto è stato immesso nel mercato, era scientificamente impossibile stabilire l’esistenza di un difetto (26). Se il legislatore avesse voluto inserire ulteriori esempi di situazioni in cui (la mancanza di) ricerca medica deve escludere la responsabilità, avrebbe provveduto in tal senso.
48. Per tali ragioni, ritengo che considerare la mancanza di ricerche mediche in generale un motivo sistematico e concludente per respingere gli argomenti del ricorrente sarebbe problematico ai sensi della direttiva e del principio di effettività.
49. Ciò non significa ovviamente che la ricerca medica sia irrilevante in contesti come quello in esame. Al contrario. Come osservato supra, anche se la ricerca medica stabilisce che un prodotto presenta un potenziale rischio in generale, ciò non equivale a dimostrare che tale prodotto ha causato un danno nel singolo caso.
50. Tuttavia, sotto il profilo probatorio, sarebbe errato ignorare tale ricerca. Pertanto, respingere sistematicamente una prova sotto forma di ricerca medica, in quanto irrilevante, sarebbe problematico, alla luce della direttiva e del principio di effettività, proprio come respingere sistematicamente altri tipi di prova quando manca la ricerca medica. La prova presentata sotto forma di ricerca medica deve essere tenuta in debita considerazione.
51. Per concludere su questo punto, le precedenti osservazioni riflettono ciò che ritengo possa essere considerato come regola generale predefinita, derivante dal principio di effettività, ossia la libera valutazione delle prove da parte dei giudici nazionali nell’applicazione del diritto dell’Unione (27). Come sarà discusso più avanti, ciò non osta, di per sé, a che il diritto nazionale attribuisca particolare forza probatoria a specifici elementi di prova o associ presunzioni agli stessi. Tuttavia, ciò implica che, nell’applicazione dell’articolo 4 della direttiva, le norme nazionali in materia di prove farebbero sorgere un grave rischio di conflitto con il principio di effettività qualora i) vietassero espressamente ai giudici di tener conto di elementi di prova potenzialmente rilevanti (28) o ii) indicassero specifici elementi di prova come costituenti sistematicamente prove concludenti e irrefutabili di un determinato fatto (29).
b) Ricerca medica quale condizione per l’applicazione di una presunzione
52. Nella prima questione, il giudice del rinvio non dichiara espressamente che, in mancanza di qualsiasi ricerca medica, la domanda non sarebbe automaticamente accolta. Al contrario, la questione sembra implicare che, se non vengono svolte ricerche mediche, la domanda potrebbe essere comunque accolta ma le presunzioni semplici non potrebbero essere utilizzate a tal fine (30).
53. Come avviene per altre norme dettagliate in materia di prove, la direttiva non disciplina la scelta se ricorrere o meno alle presunzioni semplici e a quali condizioni. Si tratta quindi, generalmente, di una questione di diritto nazionale, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività. A fortiori anche il rifiuto di applicare tale presunzione quando manca uno specifico elemento di prova, come la ricerca medica, è una questione di diritto nazionale.
54. Il diritto dell’Unione, in genere, riguarda piuttosto l’ingiustificata applicazione di presunzioni che potrebbero comportare un’inversione dell’onere della prova o compromettere in altro modo il principio di effettività, segnatamente in quanto siffatta applicazione si basa su elementi di prova irrilevanti o insufficienti (31). Tuttavia, ciò di cui si discute in questa sede è specificamente il rifiuto di applicare presunzioni esistenti ai sensi del diritto nazionale quando talune condizioni non sono soddisfatte (mancanza di ricerche mediche).
55. Siffatte condizioni possono essere in conflitto con il principio di effettività? Almeno in teoria, sì. La Corte ha dichiarato, ad esempio, nel settore del diritto della concorrenza, che, date le difficoltà di provare la collusione con prove dirette, deve essere possibile far ciò ricorrendo a prove indirette (ossia, utilizzando «presunzioni semplici» come definite supra (32)). Spetta al giudice del rinvio stabilire se, nelle circostanze del caso di specie, l’esclusione di presunzioni renda impossibile o eccessivamente difficoltoso per le ricorrenti provare il nesso causale o il difetto, a causa della mancanza di prove dirette, e sia quindi potenzialmente in conflitto con il principio di effettività.
56. Non anticiperò tale valutazione da parte del giudice del rinvio. Ciò detto, andando oltre l’esatta formulazione della questione, la mia interpretazione in senso più ampio della controversia non consiste tanto nel fatto che esiste una proposta per escludere qualsiasi uso delle presunzioni in mancanza di ricerche mediche. Al contrario, ciò che il giudice del rinvio tenta di accertare è se sia giustificata l’esclusione di una particolare presunzione semplice (33). In tal senso, la questione pratica che il giudice del rinvio intende approfondire è la sufficienza della prova sottesa a una specifica presunzione regolarmente applicata in questo tipo di controversia.
57. Passo ora all’esame di tale questione.
2. Presunzioni
58. Conformemente all’approccio generale relativo alle norme in materia di prove, esposto supra nella parte B), spetta al giudice nazionale applicare l’articolo 4 della direttiva per concludere in ordine alla compatibilità con i principi di equivalenza e di effettività di specifiche presunzioni previste dal diritto nazionale.
59. Tuttavia, supponendo che la norma in questione sia una «presunzione semplice relativa» (34), presenterò di seguito alcuni orientamenti generali che possono forse assistere il giudice nazionale nell’effettuare la sua valutazione.
60. Come è stato dichiarato in precedenza dalla Corte, le norme nazionali in materia di prove possono non essere sufficientemente rigorose, con la conseguenza che esse determinerebbero in concreto l’inversione dell’onere della prova e sarebbero in conflitto con il principio di effettività (35). Tale inversione dell’onere della prova comporterebbe altresì, nella fattispecie, una violazione dell’articolo 4 della direttiva. Ritengo che si tratti proprio di quanto viene affermato, in via principale, dalla prima convenuta nella causa in esame.
61. In quali circostanze una presunzione potrebbe «non essere sufficientemente rigorosa»?
62. Individuo tre situazioni in cui potrebbe ricorrere tale ipotesi: a) non è richiesta alcuna prova ed esiste semplicemente la presunzione che il ricorrente abbia provato la sua tesi; b) la prova sulla quale si basano le presunzioni è irrilevante, o c) la prova è rilevante ma semplicemente «debole».
a) Mancanza di qualsiasi base probatoria per la presunzione
63. Per quanto riguarda il punto a), il fatto che il ricorrente non debba presentare alcuna prova prima che la sua domanda sia considerata fondata equivarrebbe a un’inversione dell’onere della prova, in contrasto con l’articolo 4 della direttiva e il principio di effettività (36). Ritengo che, nel procedimento principale, il ricorrente sia tenuto a presentare taluni elementi di prova prima che la presunzione sia applicata; pertanto, la situazione in esame non è oggetto di ulteriore discussione.
b) Presunzione basata sulla prova irrilevante
64. Per quanto riguarda il punto b), con il termine irrilevante intendo la mancanza di un nesso logico o razionale tra la prova presentata e la conclusione che ne viene tratta. Ad esempio, nella fattispecie, sarebbe a mio avviso problematico assumere il fatturato o il numero dei dipendenti della prima convenuta come prova che i prodotti in questione sono difettosi. Questi due fatti sono semplicemente, di sicuro prima facie, non collegati.
65. Ammettere che siano tratte conclusioni solo da una prova irrilevante, e che si basino presunzioni sulla stessa, equivarrebbe a sollevare del tutto il ricorrente dalla necessità di presentare prove. Come già esposto supra, ciò comporterebbe un’inversione dell’onere della prova.
66. Nelle sue memorie la prima convenuta sostiene che non sussiste alcun nesso logico tra la prova presentata e le conclusioni tratte. Al riguardo, essa afferma in particolare che, data l’incertezza che pervade la causa della sclerosi multipla, la prossimità temporale della vaccinazione e l’insorgenza della malattia non è concludente. Infatti, tale connessione temporale potrebbe anche escludere il nesso causale, se fosse dimostrato che la malattia ha avuto un periodo di incubazione piuttosto lungo.
67. A prescindere dai punti di vista sul ragionamento post hoc ergo propter hoc, l’assoluta irrilevanza del nesso temporale quale sostenuto dalla prima convenuta non è, a mio avviso, di tale lampante ovvietà come gli esempi del fatturato e del numero dei dipendenti proposti in precedenza.
68. Tuttavia, non ritengo che sia compito di questa Corte pronunciarsi sulla questione se il nesso temporale – o altri elementi di prova della presunzione in discussione – siano pertinenti o meno oppure avviare un dibattito approfondito sull’argomento. Sussistono almeno due ragioni assai convincenti per cui ciò avviene.
69. In primo luogo, come accennato supra, il giudice nazionale ha redatto la sua questione in termini generali, senza includere le varie condizioni di applicazione della presunzione. Infatti, sebbene discusso in qualche misura nelle osservazioni delle parti, l’esatto contenuto di tali condizioni rimane poco chiaro (37).
70. In secondo luogo, fornire un’analisi dettagliata in questa sede sarebbe pericolosamente simile all’attribuzione di una forza probatoria specifica a singoli elementi di prova in casi di responsabilità per danno da particolari tipi di prodotto difettoso Tali pronunce sarebbero, a mio avviso, incompatibili con la natura del procedimento di rinvio pregiudiziale, con la nozione dell’autonomia processuale nazionale e con la libertà di valutazione delle prove da parte dei giudici nazionali.
c) Prova rilevante ma «debole»
71. Per quanto riguarda il punto c), poiché non è compito di questa Corte rendere pronunce dettagliate sulla pertinenza di singoli elementi di prova, a fortiori non è compito di questa Corte dichiarare se, considerati congiuntamente, elementi di una prova rilevante giustifichino una particolare presunzione. Infatti, la questione se una presunzione sia o meno giustificata può essere ancor più soggettiva di quella della rilevanza. I due esempi tratti dal settore del diritto della concorrenza dell’Unione contribuiscono a chiarire questo punto (38).
72. In primo luogo, nel difendere le sue decisioni contro i ricorsi di annullamento, la Commissione europea può far valere una presunzione relativa (39) semplice (40) secondo la quale una società controllante ha esercitato il controllo su una propria controllata detenuta al 100% – e su tale base — è ritenuta responsabile per la violazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza da parte di tale controllata (41). Non è richiesta alcuna prova di un’effettiva partecipazione. La detenzione della totalità del capitale è sufficiente. Tale presunzione è stata rimessa in discussione in varie occasioni. Il timore è che la detenzione della totalità del capitale costituisca semplicemente una base insufficiente ai fini della presunzione (42). In altri termini, la presunzione potrebbe essere ritenuta priva di rigore probatorio. Sarebbe errato fingere che tali argomenti, come la mancanza di rigore probatorio, non esistano o siano in qualche modo forzati (43). Tuttavia, la Corte ha chiaramente e ripetutamente approvato la presunzione (44).
73. In secondo luogo, nei casi di cartelli, la Commissione deve provare l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata. Spesso ciò deve essere fatto ricorrendo a indizi (ossia presunzioni secondo il significato qui utilizzato). La sufficienza di tale prova viene in genere valutata caso per caso. Tuttavia, in varie occasioni, la Corte ha ribadito che il parallelismo di comportamenti delle imprese, in quanto tale, non è una prova sufficiente per giustificare una presunzione di collusione. In altri termini, la Corte ha introdotto una norma giuridica che chiarisce che tale prova, di per sé, è semplicemente troppo debole (45).
74. Certo, gli esempi summenzionati sono tratti da un settore giuridico sostanziale assai diverso, che è quello, tuttavia, in cui la giurisprudenza sul rigore probatorio e sulle presunzioni è particolarmente copiosa. Come tali, ritengo che essi aiutino a chiarire, nel contesto del diritto dell’Unione, la delicatezza e in definitiva la natura alquanto soggettiva e spesso particolarmente dipendente dal singolo caso di qualsiasi dichiarazione definitiva sull’adeguatezza di specifici elementi di prova, o norme generali riguardanti la forza probatoria di tali prove e delle presunzioni ad esse collegate.
75. In conclusione, prima di fare ricorso a una particolare presunzione semplice, il giudice nazionale deve essere convinto che questa è basata su prove rilevanti ed è sufficientemente rigorosa da conformarsi al principio di effettività e da non equivalere in sostanza a un’inversione dell’onere della prova contrario all’articolo 4 della direttiva.
3. Difetto e nesso causale
76. Nella prima questione il giudice nazionale specifica che la presunzione si applica sia al nesso causale sia al difetto. Per chiarire, il ragionamento esposto supra relativamente alla possibilità generale, per il giudice nazionale, di fare ricorso a presunzioni semplici e i limiti imposti dal diritto dell’Unione su tale facoltà si applicano allo stesso modo alle presunzioni riguardanti il difetto e il nesso causale.
77. Aggiungerei tuttavia tre ulteriori osservazioni.
78. In primo luogo, ritengo che gli elementi di fatto che forniscono la base per la presunzione del difetto e del nesso causale sono gli stessi. A mio avviso, siffatto approccio non è di per sé contrario all’articolo 4 della direttiva o al principio di effettività. Conformemente al ragionamento esposto supra, il diritto dell’Unione non prescrive requisiti probatori specifici relativamente al difetto e al nesso causale né specifica che la base probatoria del difetto e del nesso causale debba essere diversa.
79. In secondo luogo, nelle sue memorie, la prima convenuta dichiara che il difetto è dedotto dal nesso causale.
80. Non è questo il modo in cui il giudice del rinvio formula la sua questione. La prima questione implica piuttosto che gli stessi fatti costituiscono la base di entrambi gli elementi – nesso causale e difetto. Come esposto supra, se tali fatti siano rilevanti e costituiscano una base sufficiente per concludere che ciascuno di tali elementi è dimostrato è una questione che compete al giudice del rinvio.
81. E se la prima convenuta avesse ragione e tecnicamente ciò che accade ai sensi del diritto nazionale è che il difetto viene dedotto dal nesso causale?
82. Ritengo che tale approccio per deduzione non sia di per sé problematico. In concreto, la prova utilizzata per dimostrare il nesso causale serve indirettamente per dimostrare il difetto. Tale approccio in materia di prove è analogo alla presunzione quale definita supra. La deduzione del difetto (difficile da provare direttamente a causa, nella fattispecie, della «distruzione» del prodotto attraverso l’uso (46)) deriva da una prova più indiretta (47). Come nel caso delle presunzioni, la questione sostanziale, secondo il diritto dell’Unione, è ancora una volta se la deduzione sia basata su prove rilevanti e sufficienti.
83. In terzo luogo, come nel caso delle presunzioni del nesso causale, in genere qualsiasi valutazione dettagliata della rilevanza e della sufficienza di specifici elementi di prova quale base per dedurre un difetto è una questione di competenza del giudice nazionale.
84. Tuttavia, esiste un aspetto della prova del difetto che va considerato in questa sede, in quanto si riferisce proprio alla definizione di «difetto».
85. Ai sensi dell’articolo 6 della direttiva, un prodotto è difettoso quando «non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze». La prima convenuta sostiene in particolare, su tale base, che gli elementi che dimostrano l’esistenza di un nesso causale tra il prodotto e il danno in un singolo caso non possono essere di per sé sufficienti per provare la natura difettosa. È necessaria una valutazione più ampia del rapporto costi/benefici del prodotto, che vada al di là del caso concreto.
86. Non sono d’accordo.
87. La direttiva non stabilisce espressamente che la nozione di difetto richiede, al di là del caso specifico in esame, che il prodotto sia più in generale nocivo o potenzialmente nocivo, o effettua un’analisi più ampia dei costi e dei benefici del prodotto per la collettività. È vero che la definizione di difetto contenuta dell’articolo 6 e il relativo considerando sono formulati in termini non specifici (la sicurezza che «ci si può legittimamente attendere» o che «il grande pubblico può legittimamente attendersi»). Tuttavia, a mio avviso, tale linguaggio è estremamente ambiguo. Ritengo piuttosto che esso si riferisca essenzialmente ad aspettative di base relativamente al prodotto in normali condizioni d’uso. Esso non indica che quando il prodotto viene utilizzato normalmente e causa gravi danni in un singolo caso, la conclusione sulla presenza di una natura difettosa richiede necessariamente un bilanciamento dei costi e dei benefici del prodotto.
88. Parallelamente a quanto è già stato dichiarato supra riguardo al rapporto tra la ricerca medica generale e il singolo caso (48), imporre siffatto requisito relativamente al difetto equivarrebbe, a mio avviso, a creare (o almeno a dedurre manifestamente) nuove condizioni di responsabilità.
89. La prima convenuta non può neppure far valere la sentenza Boston Scientific, citata dalla stessa a sostegno della sua tesi (49). In tale causa, particolari dispositivi medici, contenuti in un lotto di produzione, sono risultati difettosi. La questione dibattuta nella causa Boston Scientific era se da tale constatazione potesse essere dedotta la natura difettosa di altri dispositivi contenuti nello stesso lotto. Ciò differisce notevolmente dall’affermazione che un prodotto specifico può essere considerato difettoso solo se il prodotto è ritenuto, più in generale, pericoloso.
90. Alla luce delle suesposte considerazioni, ed esaminando la situazione evidenziata nella prima questione del giudice del rinvio, ritengo che l’articolo 4 della direttiva non osti a presunzioni semplici del nesso causale e del difetto. Tuttavia, siffatte presunzioni devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività nonché i requisiti minimi fissati dall’articolo 4. La presunzione deve essere sufficientemente rigorosa in modo da non comportare un’inversione dell’onere della prova. In particolare, le presunzioni devono basarsi su prove rilevanti e sufficienti.
91. Tale risposta sarebbe diversa se la presunzione del nesso causale fosse una presunzione legale (anziché semplice)? È questa, in sostanza, la seconda questione posta dal giudice del rinvio.
92. Mi riferisco al ragionamento esposto supra secondo il quale le norme in materia di prova, tra cui l’uso delle presunzioni e le condizioni sottese alle presunzioni costituiscono materia di diritto nazionale, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività. La decisione finale sulla questione se tali principi siano rispettati nella causa in esame spetta al giudice nazionale.
93. Aggiungerei, tuttavia, le tre osservazioni seguenti.
94. In primo luogo, ritengo che, di norma, le presunzioni legali assolute – ossia l’obbligo del giudice di desumere determinati fatti, che non possono essere quindi contestati indipendentemente dal tipo di prove presentate dalla controparte – hanno maggiori probabilità di destare preoccupazione e possono risultare certamente in contrasto con il principio di effettività. Mi riferisco, al riguardo, al precedente paragrafo 51 per quanto riguarda la libera valutazione delle prove da parte del giudice. Tuttavia, secondo quanto appreso in udienza, le presunzioni fatte valere nella causa in esame non sono assolute e, pertanto, non esaminerò questo aspetto in modo più dettagliato.
95. In secondo luogo, sebbene non «assoluta» in senso stretto, una presunzione legale può essere talvolta superata solo fornendo la prova che compromette specificamente la base stessa della presunzione. In tali casi, sono imposti, ancora una volta, notevoli limiti alla libera valutazione delle prove da parte del giudice secondo modalità che possono ben confliggere con il principio di effettività.
96. Pertanto, quando il fatto A funge da base per una presunzione relativa del fatto B, tale presunzione può essere in teoria superata: o i) fornendo la prova che A non è stato in realtà dimostrato o ii) fornendo la prova di un ulteriore fatto «C» che, nella valutazione complessiva dei fatti da parte del giudice, comporta un rovesciamento della presunzione. La prima ipotesi limita in misura maggiore la libera valutazione delle prove da parte del giudice.
97. In terzo luogo, come chiarito supra, affinché le presunzioni semplici siano conformi al principio di effettività, è necessario che esse siano basate su prove rilevanti, sufficienti per sostenere quanto dedotto. Ciò vale anche nel caso delle presunzioni legali.
98. La differenza sta nel fatto che, per definizione, il giudice nazionale deve applicare le presunzioni legali quando gli elementi di fatto richiesti sono provati dal ricorrente. Di conseguenza, è chiaro che è più probabile che la presunzione sia applicata in casi concreti nei quali, in realtà, non è giustificata.
99. Tuttavia, a mio avviso, una simile probabilità non è, di per sé, in contrasto con il principio di effettività. Infatti, è quasi inevitabile che le presunzioni legali, data la loro automaticità, siano «errate» in casi specifici. Il loro scopo non è la perfezione del risultato, ma l’efficiente amministrazione della giustizia. L’elemento fondamentale consiste nel fatto che, in caso di errata applicazione della presunzione legale, esista la possibilità pratica per il convenuto di superare la presunzione presentando prove rilevanti. Ciò sottolinea ancora una volta l’importanza della natura relativa di qualsiasi presunzione legale.
100. Dopo aver risposto alle precedenti questioni del giudice del rinvio, non è necessario esaminare la terza questione, relativa al valore della ricerca scientifica. Tuttavia, quale parte della risposta alla prima questione del giudice del rinvio, ho formulato varie osservazioni relative al valore attribuito specificamente alla prova sotto forma di ricerca medica. Nella misura in cui possano essere utili al giudice del rinvio, tali osservazioni sono, a mio avviso, parimenti valide per quanto attiene all’importanza e ai limiti della prova scientifica più in generale.
V – Conclusione
101. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dalla Cour de cassation (Corte di Cassazione) nei seguenti termini:
L’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi non osta, di per sé, per quanto riguarda la responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini da essi prodotti, a un mezzo di prova che prevede che il giudice di merito, nell’esercizio del suo del suo libero apprezzamento, possa ritenere che gli elementi di fatto presentati dal ricorrente costituiscano presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da dimostrare il difetto del vaccino e l’esistenza di un nesso causale tra quest’ultimo e la malattia, nonostante la constatazione che la ricerca medica generale non stabilisce alcun nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia, purché siffatto mezzo di prova non comporti effettivamente un’inversione dell’onere della prova del difetto, del danno o del nesso causale tra questi due elementi.
In particolare, un simile mezzo di prova può solo riguardare presunzioni che:
– siano basate su prove sia rilevanti sia sufficientemente rigorose per sostenere quanto dedotto;
– siano relative;
– non limitino indebitamente la libera valutazione delle prove da parte del giudice nazionale, in particolare impedendogli, salve le norme nazionali generali sull’ammissibilità della prova, di tener conto di prove rilevanti, o richiedendo che specifici elementi di prova siano trattati come prove concludenti che una o più condizioni di cui all’articolo 4 sono soddisfatte, indipendentemente dalle altre prove presentate;
– non impediscano ai giudici nazionali di tenere in debita considerazione qualsiasi ricerca medica rilevante presentatagli, fatte salve le norme sull’ammissibilità della prova, o impongano come requisito assoluto che la ricerca medica sia presentata per dimostrare il difetto o il nesso causale.