Language of document : ECLI:EU:T:2003:189

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

8 luglio 2003 (1)

«Dumping - Decisione che chiude il riesame di misure giunte a scadenza - Interesse comunitario - Ricorso di annullamento»

Nella causa T-132/01,

Euroalliages, con sede in Bruxelles (Belgio),

Péchiney électrométallurgie, con sede in Courbevoie (Francia),

Vargön Alloys AB, con sede in Vargön (Svezia),

Ferroatlántica, SL, con sede in Madrid (Spagna), rappresentate dagli avv.ti D. Voillemot e O. Prost,

ricorrenti,

sostenute da

Regno di Spagna, rappresentato dalla sig.ra L. Fraguas Gadea, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. V. Kreuschitz e dalla sig.ra S. Meany, in qualità di agenti, assistiti dal sig. A. P. Bentley, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

sostenuta da

TNC Kazchrome, con sede in Almaty (Kazakistan)

e da

Alloy 2000 SA, con sede in Strassen (Lussemburgo),

rappresentate dagli avv.ti J. Flynn, J. Magnin e S. Mills,

intervenienti,

avente ad oggetto un ricorso diretto all'annullamento parziale della decisione della Commissione 21 febbraio 2001, 2001/230/CE, che chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originarie del Brasile, della Repubblica popolare cinese, del Kazakistan, della Russia, dell'Ucraina e del Venezuela (GU L 84, pag. 36), per quanto riguarda le importazioni originarie della Repubblica popolare cinese, della Russia, dell'Ucraina e del Kazakistan,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dai sigg. N. Forwood, presidente, J. Pirrung, P. Mengozzi, A.W.H. Meij e M. Vilaras, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 novembre 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I - Fatti della controversia

1.
    A partire dall'inizio degli anni '80, sono state istituite misure antidumping contro importazioni di ferrosilicio originarie di alcuni paesi terzi. Nel 1983 sono state istituite misure riguardanti le importazioni originarie del Venezuela. Le importazioni originarie del Brasile e dell'Unione sovietica erano oggetto del regolamento (CEE) della Commissione 6 agosto 1987, n. 2409, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di ferro-silicio originarie del Brasile e che accetta gli impegni offerti dalla società brasiliana Italmagnésio SA e dall'esportatore sovietico Promsyrio-Import (GU 1987, L 219, pag. 24). Con regolamento (CEE) n. 3650/87, il Consiglio ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferro-silicio originario del Brasile (GU L 343, pag. 1). Nel febbraio 1990, il Consiglio, con il regolamento (CEE) n. 341/90 (GU L 38, pag. 1), ha accettato alcuni impegni e istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario dell'Islanda, della Norvegia, della Svezia, del Venezuela e della Iugoslavia, fatta eccezione per quelle effettuate a partire da vendite ai fini dell'esportazione nella Comunità da parte di società i cui impegni erano stati accettati. Tali misure sono state integrate ed estese ad opera del regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1993, n. 3359, che istituisce misure antidumping modificate sulle importazioni di ferrosilicio originario della Russia, del Kazakistan, dell'Ucraina, dell'Islanda, della Norvegia, della Svezia, del Venezuela e del Brasile (GU L 302, pag. 1). Le misure istituite sulle importazioni provenienti dall'Islanda, dalla Norvegia e dalla Svezia sono state sospese a decorrere dal 1° gennaio 1994 mediante regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1993, n. 5, relativo alla sospensione delle misure antidumping nei confronti dei paesi EFTA (GU L 3, pag. 1).

2.
    Il 17 marzo 1994, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 621, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario del Sudafrica e della Repubblica popolare cinese (GU L 77, pag. 48).

3.
    Il 14 dicembre 1992, con regolamento (CE) n. 364 (GU L 369, pag. 1), è stato inoltre istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario della Polonia e dell'Egitto. Tale dazio è scaduto a seguito della decisione della Commissione 4 giugno 1999, 1999/426/CE, che chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originario dell'Egitto e della Polonia (GU L 166, pag. 91), poiché la Commissione aveva ritenuto improbabile la reiterazione del pregiudizio. Il ricorso della Euroalliages contro quest'ultima decisione è stato respinto con sentenza del Tribunale 20 giugno 2001, causa T-188/99, Euroalliages/Commissione (Racc. pag. II-1757; in prosieguo: la «sentenza Euroalliages I»).

4.
    Il 10 giugno 1998 la Commissione ha pubblicato un avviso di imminente scadenza delle misure antidumping istituite mediante i regolamenti nn. 3359/93 e 621/94 (GU 1998, C 177, pag. 4).

5.
    Successivamente alla pubblicazione di tale avviso, la ricorrente Euroalliages ha depositato una domanda di riesame delle misure in scadenza, ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»), per quanto riguarda le importazioni originarie del Brasile, della Repubblica popolare cinese, del Kazakistan, della Russia, dell'Ucraina e del Venezuela.

6.
    Avendo determinato, previa consultazione del comitato consultivo, che esistevano elementi di prova sufficienti per avviare un riesame ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base, la Commissione ha pubblicato un avviso di apertura della detta procedura sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (GU 1998, C 382, pag. 9) e ha avviato un'inchiesta. L'inchiesta relativa alle pratiche di dumping ha riguardato il periodo compreso tra il 1° ottobre 1997 e il 30 settembre 1998 (in prosieguo: il «periodo dell'inchiesta»). L'esame del pregiudizio ha riguardato il periodo dal 1994 fino al termine del periodo dell'inchiesta. Ai fini della valutazione dell'interesse comunitario, la Commissione ha proceduto a un'analisi a partire dal 1987 fino al periodo dell'inchiesta.

7.
    In conformità all'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, le misure istituite nei confronti delle importazioni oggetto della domanda di riesame sono rimaste in vigore in attesa del risultato del riesame.

8.
    L'inchiesta è durata più di due anni, a causa, secondo le spiegazioni della Commissione, delle difficoltà incontrate nel raccogliere talune informazioni, in relazione al gran numero di paesi interessati e al mutamento di struttura della Comunità intervenuto con l'ingresso dei nuovi Stati nel 1995, e del periodo di tempo concesso alle parti per presentare le loro osservazioni, dovuto alla complessità dell'analisi dell'interesse comunitario.

9.
    Nel documento 28 agosto 2000, la Commissione ha illustrato i fatti e gli elementi essenziali in base ai quali s'intendeva raccomandare che le misure fossero lasciate scadere (in prosieguo: il «disclosure document»).

10.
    Il 21 febbraio 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2001/230/CE, che chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originarie del Brasile, della Repubblica popolare cinese, del Kazakistan, della Russia, dell'Ucraina e del Venezuela (GU L 84, pag. 36; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

11.
    In tale decisione si afferma che, in esito al riesame effettuato, la Commissione ha ritenuto che, quanto alle importazioni di ferrosilicio proveniente dalla Cina, dal Kazakistan, dalla Russia e dall'Ucraina, la scadenza delle misure favorirebbe la persistenza o la reiterazione del dumping e del pregiudizio. Il punto 129 dei motivi della decisione controversa così recita:

«Alla luce delle conclusioni relative alla probabilità di persistenza e reiterazione del dumping, delle risultanze in merito al fatto che le importazioni in dumping originarie della Cina, del Kazakistan, della Russia e dell'Ucraina potrebbero aumentare notevolmente, qualora le misure venissero lasciate scadere, si è concluso che la situazione dell'industria comunitaria peggiorerebbe. Benché la portata di tale deterioramento sia difficile da valutare, considerando gli andamenti negativi dei prezzi e della redditività di tale industria, è tuttavia probabile che si verifichi una reiterazione del pregiudizio. Per quanto riguarda il Venezuela, qualora le misure venissero lasciate scadere, appare improbabile che ciò comporti gravi effetti pregiudizievoli».

12.
    La Commissione esaminava successivamente se il mantenimento delle misure antidumping rispondesse all'interesse generale della Comunità. Nell'ambito di tale valutazione ha tenuto in considerazione diversi elementi, vale a dire, in primo luogo, il fatto che l'industria comunitaria non era stata in grado di trarre sufficiente vantaggio dalle misure in vigore fin dal 1987 né aveva potuto beneficiare, in termini di quote di mercato, della cessazione delle attività di precedenti produttori comunitari e, in secondo luogo, del fatto che i produttori comunitari di acciaio avevano dovuto sostenere costi supplementari collegati alle misure antidumping durante il periodo di validità di dette misure.

13.
    Ai punti 153 e 154 della motivazione della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato quanto segue:

«(153) Di conseguenza, sebbene gli effetti della scadenza delle misure sull'industria comunitaria non possano essere valutati con precisione, e benché l'esperienza passata dimostri che non è garantito che il mantenimento delle misure apporti benefici sostanziali all'industria comunitaria, è evidente che l'industria siderurgica ha dovuto sostenere nel lungo periodo effetti cumulativi negativi che verrebbero ad essere indebitamente prolungati qualora le misure venissero mantenute.

(154) Pertanto, dopo aver effettuato una valutazione dell'eventuale impatto derivante dal mantenimento o dall'abrogazione delle misure sui diversi interessi in gioco, in conformità dell'articolo 21 del regolamento di base, la Commissione ha potuto chiaramente concludere che il mantenimento delle misure in vigore sarebbe contrario agli interessi della Comunità. Di conseguenza, tali misure devono essere lasciate scadere».

14.
    Per tali motivi, il dispositivo della decisione impugnata dispone la chiusura del procedimento antidumping di cui trattasi e, di conseguenza, la scadenza delle misure relative alle importazioni in esame.

II - Procedimento e conclusioni delle parti

15.
    Con atto introduttivo, depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 giugno 2001, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

16.
    Con separato atto, depositato nella cancelleria del Tribunale in pari data, esse hanno proposto anche una domanda diretta, in via principale, ad ottenere la sospensione dell'esecuzione della decisione controversa nella parte in cui essa chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originarie della Cina, del Kazakistan, della Russia e dell'Ucraina e l'ingiunzione, nei confronti della Commissione, di ripristinare i dazi antidumping istituiti per mezzo dei regolamenti nn. 3359/93 e 621/94; in subordine, è stato chiesto che si ingiungesse alla Commissione di imporre agli importatori di ferrosilicio originario dei suddetti quattro paesi il deposito di una cauzione corrispondente ai dazi antidumping istituiti dai suddetti regolamenti e l'assoggettamento delle proprie importazioni a registrazione, o, in ulteriore subordine, di imporre ai suddetti importatori l'assoggettamento a registrazione delle proprie importazioni.

17.
    Con atto separato, depositato in cancelleria sempre in pari data, le ricorrenti hanno proposto, inoltre, una domanda diretta ad ottenere che il Tribunale decidesse mediante un procedimento accelerato a norma dell'art. 76 bis del regolamento del Tribunale. Tale domanda è stata respinta con decisione 12 luglio 2001 della Seconda Sezione ampliata.

18.
    Con ordinanza 1° agosto 2001, causa T-132/01 R, Euroalliages e a./Commissione (Racc. pag. II-2307), il presidente del Tribunale ha disposto che le importazioni di ferrosilicio originarie della Cina, del Kazakistan, della Russia e dell'Ucraina fossero assoggettate a registrazione, senza costituzione di garanzie da parte degli importatori.

19.
    Con ordinanza 14 dicembre 2001, causa C-404/01 P(R), Commissione/Euroalliages e a. (Racc. pag. I-10367), il presidente della Corte ha annullato l'ordinanza del presidente del Tribunale 1° agosto 2001 e ha rinviato la causa dinanzi al Tribunale.

20.
    Con ordinanza 27 febbraio 2002, causa T-132/01 R, Euroalliages e a./Commissione (Racc. pag. II-777), il presidente del Tribunale ha respinto la domanda di provvedimenti provvisori.

21.
    Con ordinanza 6 novembre 2001 del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale, il Regno di Spagna è stato ammesso a intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti. Con ordinanza 7 gennaio 2002 del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale, le imprese TNC Kazchrome e Alloy 2000 S.A. sono state ammesse a intervenire a sostegno della Commissione. Le ricorrenti hanno chiesto, a norma dell'art. 116, n. 2, del regolamento di procedura, che talune informazioni riservate, contenute nella domanda di procedimento accelerato, siano escluse dalla comunicazione agli intervenienti. Esse hanno presentato una versione non riservata di tale memoria. La comunicazione agli intervenienti dei documenti procedurali è stata limitata a tale versione non riservata. Gli intervenienti non hanno sollevato eccezioni in proposito. Essi hanno depositato le loro memorie nel termine loro imposto a tal fine.

22.
    Le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

-    annullare la decisione impugnata per quanto riguarda le importazioni originarie della Repubblica popolare cinese, della Russia, dell'Ucraina e del Kazakistan;

-    condannare la Commissione alle spese.

23.
    La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare le ricorrenti alle spese.

24.
    Il Regno di Spagna chiede che il Tribunale voglia:

-    dichiarare il ricorso ricevibile;

-    accogliere le conclusioni delle ricorrenti;

-    condannare la Commissione alle spese.

25.
    Gli intervenienti TNC Kazchrome e Alloy 2000 SA chiedono che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare le ricorrenti alle spese sostenute dagli intervenienti.

III - In diritto

26.
    Le ricorrenti articolano le loro censure in due motivi tratti, da un lato, dalla violazione degli artt. 11, n. 2, 21 e 6, n. 6, del regolamento di base nonché dei diritti della difesa nella determinazione dell'interesse comunitario e, dall'altro, da errori manifesti di valutazione nell'analisi dell'interesse comunitario. In sostanza, le censure dedotte nell'ambito di tali due motivi possono essere ripartite in cinque gruppi. In primo luogo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver preso in considerazione, nell'ambito della sua valutazione dell'interesse comunitario, taluni elementi in violazione degli artt. 11, n. 2, e 21 del regolamento di base [dalla prima alla quarta parte del primo motivo, v., infra, lett. b)]. In secondo luogo, le ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 6, n. 6, del regolamento di base nonché dei diritti della difesa, in quanto la Commissione ha rifiutato di organizzare una riunione di confronto con gli utilizzatori [quinta parte del primo motivo, v., infra, lett. c)]. In terzo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione non poteva rimettere in discussione le conclusioni relative all'interesse comunitario adottate dal Consiglio allorché sono state istituite le misure [prima parte del secondo motivo, v., infra, lett. a)]. In quarto luogo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver commesso vari errori manifesti di valutazione nell'analisi dell'interesse della Comunità [dalla seconda alla quarta parte del secondo motivo, v., infra, lett. d)]. Infine, senza dedurre esplicitamente un motivo al riguardo, le ricorrenti addebitano alla Commissione il fatto che la decisione impugnata non è sufficientemente motivata sotto vari profili [v., infra, lett. e)].

27.
    Occorre esaminare, innanzi tutto, i principi che disciplinano la valutazione dell'interesse comunitario in sede di riesame di misure in scadenza ed analizzare, in tale contesto, la prima parte del secondo motivo.

A - Sui principi che disciplinano la valutazione dell'interesse comunitario in sede di riesame di misure in scadenza e sulla prima parte del secondo motivo

1. Argomenti delle parti

28.
    Per quanto riguarda, da un lato, il contesto giuridico generale della presente controversia, le parti, nella loro argomentazione relativa ai motivi delle ricorrenti, hanno espresso opinioni divergenti in merito all'interpretazione delle disposizioni che disciplinano i poteri e gli obblighi della Commissione nel caso di specie.

29.
    Il Regno di Spagna, interveniente a sostegno delle ricorrenti, ritiene che la decisione impugnata sia contraria a un'interpretazione letterale dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base. Esso ritiene che, una volta accertata la possibilità di reiterazione del dumping e del pregiudizio, la Commissione deve trarne le conseguenze previste da tale disposizione e che il suo potere discrezionale non può portarla alla conclusione cui è pervenuta nel caso di specie.

30.
    Per quanto riguarda l'esame dell'interesse comunitario, le ricorrenti sostengono che l'art. 21 del regolamento di base intende circoscrivere rigorosamente sia le condizioni in cui possono esprimersi le parti interessate sia gli elementi che le istituzioni possono prendere in considerazione. Esse sottolineano che tale nuova disposizione consente alle istituzioni comunitarie di non adottare misure antidumping sebbene sia accertato un dumping pregiudizievole, il che costituisce una decisione particolarmente grave in termini di impatto sull'industria comunitaria interessata. Secondo le ricorrenti, un'interpretazione ampia dell'art. 21 sarebbe contraria alla volontà degli Stati membri i quali hanno inteso che l'esame dell'interesse della Comunità nell'ambito del procedimento antidumping non comportasse «derive» che potrebbero arrecare un danno al necessario impiego di tale strumento. Le ricorrenti richiamano in tal senso il trentesimo ‘considerando’ del regolamento di base.

31.
    Secondo le ricorrenti l'art. 21 del regolamento di base non è stato concepito affinché la Commissione proceda di sua iniziativa a un'analisi approfondita dell'interesse della Comunità. A loro parere, tale analisi approfondita deve basarsi sulle affermazioni e sugli elementi di prova pertinenti forniti dalle parti interessate. Esse affermano che l'onere della prova in tale contesto è a carico segnatamente degli utilizzatori. Secondo le ricorrenti, le analisi integrative che la Commissione può effettuare possono servire soltanto a verificare le affermazioni e gli elementi di prova forniti dalle parti interessate.

32.
    Dall'altro, a sostegno della prima parte del secondo motivo, le ricorrenti ricordano che il Consiglio ha ritenuto, in sede di adozione delle misure oggetto del riesame controverso, che fosse interesse della Comunità imporre misure antidumping, in particolare riguardo agli effetti delle misure sugli utilizzatori. Secondo loro, la Commissione poteva rimettere in discussione tali conclusioni soltanto qualora nuovi elementi inducessero a pensare che tali misure avevano avuto un'anormale influenza negativa sulla situazione degli utilizzatori. Le ricorrenti rilevano che la Commissione, nel suo «disclosure document» del 28 agosto 2000, ha ritenuto sussistere una nuova situazione per gli utilizzatori perché la quota del costo del ferrosilicio all'interno dei costi di produzione degli utilizzatori era aumentata, ma che essa non ha conservato tale ragionamento a seguito delle tesi elaborate dalle ricorrenti al riguardo. Le ricorrenti ne deducono che, poiché la quota del costo del ferrosilicio all'interno dei costi di produzione degli utilizzatori è rimasta invariata durante il periodo in cui erano in vigore le misure, non sussistono valide ragioni per le quali la Commissione si discosti dalle conclusioni del Consiglio. Inoltre, secondo loro la Commissione non può lamentare un preteso effetto cumulativo delle misure per motivarne la scadenza.

33.
    La Commissione contesta la tesi delle ricorrenti secondo la quale essa avrebbe un ruolo sostanzialmente passivo, relegato alla verifica delle affermazioni e degli elementi di prova forniti dalle parti interessate, quando si tratta di esaminare l'interesse comunitario. La Commissione ritiene di dovere assolvere un compito di obiettività e diligenza secondo i principi di buona amministrazione. Essa ne deduce di non avere l'obbligo di esaminare solamente gli elementi di prova eventualmente fornitile dalle parti interessate.

34.
    Gli intervenienti sostengono che la Commissione gode di un notevole margine discrezionale per decidere se sia nell'interesse comunitario mantenere dazi antidumping.

35.
    Per quanto concerne la prima parte del secondo motivo, la Commissione sostiene che il suo giudizio in sede di ponderazione dei vari interessi in gioco deve essere in prospettiva e può evolversi nei cinque anni durante i quali le misure restano normalmente in vigore.

2. Giudizio del Tribunale

a) Sull'interpretazione degli artt. 11, n. 2, e 21 del regolamento di base

36.
    Ai sensi dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, le misure antidumping scadono cinque anni dopo la data di istituzione «salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio».

37.
    Da tale formulazione si evince, innanzi tutto, che la scadenza di una misura dopo cinque anni è la norma, mentre il suo mantenimento in vigore rappresenta un'eccezione. Ne risulta, inoltre, che il mantenimento in vigore di una misura dipende dal risultato di una valutazione delle conseguenze della sua scadenza, quindi da un pronostico basato su ipotesi riferite agli sviluppi futuri della situazione del mercato in questione. Infine, si evince da tale disposizione che la semplice possibilità di persistenza o di reiterazione del pregiudizio non basta per giustificare il mantenimento in vigore di una misura, richiedendosi a tal fine che sia stata accertata positivamente la probabilità di una persistenza o di una reiterazione del pregiudizio, sulla base di un'inchiesta effettuata dalle autorità competenti (sentenza Euroalliages I, punti 41, 42 e 57).

38.
    L'art. 11, n. 2, del regolamento di base non menziona esplicitamente l'interesse comunitario fra le condizioni per il mantenimento in vigore di una misura in scadenza.

39.
    Nondimeno, l'art. 11, n. 5, del regolamento di base prevede che il riesame delle misure in scadenza deve essere condotto in base alle disposizioni pertinenti di tale regolamento relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste. Inoltre, l'art. 11, n. 9, del regolamento di base dispone quanto segue:

«In tutte le inchieste relative a riesami o restituzioni svolte a norma del presente articolo la Commissione, se le circostanze non sono cambiate, applica gli stessi metodi impiegati nell'inchiesta conclusa con l'istituzione del dazio, tenendo debitamente conto delle disposizioni dell'articolo 2, in particolare i paragrafi 11 e 12, e dell'articolo 17».

40.
    Da tali disposizioni si può dedurre che le condizioni per lasciare in vigore una misura in scadenza sono, mutatis mutandis, le stesse di quelle per istituire nuove misure.

41.
    A questo proposito, l'art. 9, n. 4, del regolamento di base così dispone:

«Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l'esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell'articolo 21, il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo».

42.
    Quindi, il presupposto dell'interesse comunitario previsto dagli artt. 9, n. 4, e 21 del regolamento di base deve essere parimenti preso in considerazione quando nell'ambito di un riesame si tratta di decidere di lasciare in vigore misure in scadenza.

43.
    Ciò premesso, occorre rilevare che l'istituzione di misure antidumping ha un carattere facoltativo derivante in particolare dall'art. 1, n. 1, del regolamento di base, secondo il quale:

«Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio».

44.
    Dall'insieme delle disposizioni sopramenzionate risulta che il regolamento di base non attribuisce all'industria comunitaria denunciante un diritto all'istituzione di misure di protezione anche ove sia stata accertata l'esistenza di un dumping e di un pregiudizio. Del pari, l'industria comunitaria non ha diritto al mantenimento in vigore di una misura in scadenza, anche ove sia stata constatata la probabilità del persistere e della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Infatti, misure del genere possono essere istituite o mantenute in vigore solo quando sia stato ulteriormente accertato a norma degli artt. 9, n. 4, e 21 del regolamento di base, che esse sono giustificate nell'interesse della Comunità.

45.
    A tale proposito, spetta, in una prima fase, alla Commissione, a norma dell'art. 9, nn. 2 e 4, del regolamento di base, esaminare l'interesse comunitario e stabilire, previa consultazione del comitato consultivo, se è necessario un intervento.

46.
    Regole dettagliate che disciplinano l'esame dell'interesse comunitario sono contenute nell'art. 21, del regolamento di base, i cui nn. 2-7 precisano le norme procedurali applicabili, e il cui n. 1 dispone quanto segue:

«Per decidere se sia necessario intervenire nell'interesse della Comunità vengono valutati i diversi interessi nel loro complesso, compresi quelli dell'industria comunitaria, degli utilizzatori e dei consumatori. Una decisione a norma del presente articolo può essere presa unicamente se tutte le parti hanno avuto la possibilità di comunicare le loro osservazioni in conformità del paragrafo 2. Per valutare l'interesse della Comunità viene presa in particolare considerazione l'esigenza di eliminare gli effetti del dumping in termini di distorsioni degli scambi e di ripristinare una concorrenza effettiva. Le misure stabilite in base al dumping e al pregiudizio accertati possono non essere applicate se le autorità, alla luce delle informazioni presentate, concludono che l'applicazione di tali misure non è nell'interesse della Comunità».

47.
    L'esame dell'interesse comunitario ai sensi di tale disposizione necessita di una stima delle probabili conseguenze sia dell'applicazione che della non applicazione delle misure previste per l'interesse dell'industria comunitaria e per gli altri interessi in gioco, in particolare quelli delle varie parti menzionate all'art. 21 del regolamento di base. Tale stima implica un pronostico fondato su ipotesi relative ad eventi futuri, il quale comporta la valutazione di situazioni economiche complesse.

48.
    Inoltre, la valutazione dell'interesse comunitario richiede la ponderazione degli interessi delle varie parti interessate e dell'interesse generale e quindi dipende da scelte di politica economica. A tale riguardo, l'ultima frase del n. 1, dell'art. 21, secondo la quale le autorità possono rinunciare ad applicare misure se «concludono che l'applicazione di tali misure non è nell'interesse della Comunità», obbliga in particolare la Commissione a rendere trasparente tale ponderazione degli interessi e a motivare le proprie conclusioni, illustrando i dati di fatto dai quali dipende la giustificazione della decisione e le considerazioni giuridiche che l'hanno indotta ad adottarla. La Commissione è pertanto tenuta a motivare il suo giudizio in modo sufficientemente preciso e dettagliato per consentire al Tribunale di svolgere un effettivo controllo giurisdizionale in merito a tale decisione.

49.
    Ciò premesso, spetta al giudice comunitario, allorché esso è investito di un ricorso di annullamento diretto contro una decisione della Commissione che chiude un procedimento antidumping per motivi connessi all'interesse comunitario, verificare il rispetto delle norme procedurali, l'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata, l'assenza di errori di diritto e di errori manifesti nella valutazione di tali fatti o l'assenza di sviamento di potere (v., per analogia, sentenza della Corte 10 marzo 1992, causa C-179/87, Sharp Corporation/Consiglio, Racc. pag. I-1635, punto 58, e sentenza del Tribunale 15 ottobre 1998, causa T-2/95, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. II-3939, punto 292).

50.
    Per contro, non spetta al giudice comunitario sostituire la sua valutazione a quella delle istituzioni competenti ad operare tale scelta.

51.
    Nell'ambito del proprio sindacato, spetta al giudice comunitari verificare, in particolare, se la Commissione ha rispettato le norme procedurali di cui all'art. 21, nn. 2-7, del regolamento di base.

52.
    I principi che disciplinano tale procedura sono enunciati all'art. 21, n. 2, del regolamento di base, il quale dispone quanto segue:

«Affinché le autorità possano tener conto, in base a validi elementi, di tutte le osservazioni e informazioni per decidere se l'istituzione delle misure sia nell'interesse della Comunità, i denunzianti, gli importatori e le loro associazioni rappresentative, gli utenti rappresentativi e le organizzazioni rappresentative dei consumatori possono manifestarsi e comunicare informazioni alla Commissione, entro i termini indicati nell'avviso di apertura dell'inchiesta antidumping. Tali informazioni oppure i relativi riassunti sono comunicati alle altre parti citate nel presente articolo, le quali possono esprimersi in merito».

53.
    Dai termini dell'art. 21, n. 2, del regolamento di base, risulta che le norme procedurali di tale articolo hanno lo scopo di garantire una valutazione dell'interesse comunitario sulla base di elementi il più completi possibile, nonché rappresentativi e affidabili, in merito ai quali tutte la parti hanno potuto far valere le proprie osservazioni. Tali disposizioni hanno in particolare lo scopo di individuare i presupposti che obbligano la Commissione a prendere in considerazione le informazioni fornite dalle parti interessate menzionate in questo stesso paragrafo.

54.
    Per contro, tali disposizioni non intendono vietare alla Commissione di prendere in considerazione altri elementi, che possono essere pertinenti ai fini della valutazione dell'interesse comunitario, che non sono stati portati a sua conoscenza secondo le modalità previste dalle disposizioni dell'art. 21 del regolamento di base. Infatti, spetta alla Commissione decidere quanto più obiettivamente possibile se una misura di protezione è conforme all'interesse comunitario. A questo proposito, la Commissione non solo ha il diritto, ma anche l'obbligo di impegnarsi in una complessiva valutazione della situazione del mercato interessato dalle misure e degli altri mercati sui quali tali misure producono i loro effetti. Ciò implica che la Commissione possa prendere in considerazione qualsiasi elemento che può essere pertinente per la sua valutazione, indipendentemente dalla fonte da cui proviene, purché si accerti che sia rappresentativo e affidabile.

b) Sulla prima parte del secondo motivo

55.
    Nel caso di specie, l'esame dell'interesse comunitario si è svolto nell'ambito di un riesame di misure in scadenza. Orbene, una procedura di riesame di misure in scadenza si distingue da una procedura per l'istituzione di nuove misure per il fatto che, nel caso di un riesame, una valutazione dell'interesse comunitario si è già svolta in occasione della prima adozione delle misure e tale esame si è concluso con la constatazione che la loro istituzione era compatibile con l'interesse comunitario.

56.
    Tuttavia ciò non significa che le istituzioni siano vincolate, nell'ambito del riesame, alle conclusioni relative all'interesse comunitario adottate dal Consiglio in occasione della prima istituzione delle misure.

57.
    In particolare, il regolamento di base parte dal principio che la durata delle misure si limita a cinque anni, mentre il loro mantenimento in vigore dopo la scadenza di tale periodo costituisce un'eccezione. Tale regola non si motiva solo con il rispetto dell'art. 11 dell'accordo relativo all'applicazione dell'articolo VI dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l'«accordo antidumping dell'OMC»), ma anche con il fatto che, dopo un determinato periodo, può essere necessaria una nuova valutazione dell'interesse comunitario. Infatti, i dati alla base della valutazione dell'interesse comunitario possono cambiare nel corso del periodo di applicazione delle misure, in particolare per effetto di quest'ultime.

58.
    Una nuova ponderazione degli interessi pertinenti per la valutazione dell'interesse comunitario al fine di decidere se talune misure possono essere mantenute in vigore oltre i cinque anni per i quali sono state adottate, non è solamente necessaria, come sostengono le ricorrenti, quando gli effetti delle misure sugli utilizzatori sono particolarmente negativi o quando l'evoluzione del mercato in questione durante il periodo di applicazione delle misure è diversa da quella considerata al momento in cui queste sono state istituite. Anche quando gli effetti delle misure rispecchiano pienamente le previsioni delle istituzioni, nondimeno i vari interessi in gioco sono stati ponderati, inizialmente, preventivando una durata limitata delle misure. Tale ponderazione iniziale non è quindi più direttamente pertinente, per definizione, quando si tratta di decidere di mantenere in vigore le misure oltre il termine inizialmente previsto.

59.
    Occorre aggiungere che, nel caso di un riesame di misure in scadenza, si è di fronte a una situazione in cui sono in vigore misure di protezione. Le istituzioni hanno quindi a disposizione dati concreti e verificabili sugli effetti prodotti dalle misure dopo la loro entrata in vigore. Tali dati possono facilitare l'analisi dell'interesse comunitario rispetto all'esame da effettuare nell'ambito di un'inchiesta diretta a istituire nuove misure, nella quale non sono disponibili dati analoghi. Tuttavia, tali dati non sostituiscono né l'analisi prospettica relativa agli effetti del mantenimento in vigore delle misure o della loro scadenza per quanto riguarda l'interesse comunitario, né la ponderazione degli interessi che le istituzioni devono svolgere.

60.
    Quindi la Commissione doveva procedere a una nuova analisi dell'interesse comunitario nell'ambito della procedura di riesame delle misure di cui trattasi. Peraltro, la portata del sindacato giurisdizionale di tale valutazione dell'interesse comunitario non muta per il fatto che l'analisi si è svolta nell'ambito di un riesame. Da tutto quanto precede consegue che la prima parte del secondo motivo delle ricorrenti non è fondata.

B - Sulle prime quattro parti del primo motivo

1. Sulla prima parte del motivo, relativa alla violazione degli artt. 11, n. 2, e 21 del regolamento di base in quanto, per l'analisi dell'interesse comunitario, è stato preso in considerazione il periodo fin dal 1987

a) Argomenti delle parti

61.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, ritengono che l'analisi della situazione dell'industria comunitaria contenuta nella decisione impugnata sia falsata perché è stato preso in considerazione il periodo dal 1987 fino al periodo dell'inchiesta. A loro parere, la Commissione avrebbe dovuto scegliere come momento d'inizio la situazione dell'industria comunitaria al momento in cui sono state adottate le misure sottoposte a riesame, istituite, nella fattispecie, nel dicembre 1993 e nel febbraio 1994.

62.
    Secondo loro, l'utilizzo del periodo precedente all'istituzione delle misure è contrario alla prassi della Commissione in materia di riesami ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base. Esse ne deducono che la Commissione ha intenzionalmente considerato il lasso di tempo dal 1987 al periodo dell'inchiesta allo scopo di non rinnovare le misure e in tal modo condannare l'industria comunitaria.

63.
    Nella replica, le ricorrenti aggiungono che i questionari inviati ai produttori comunitari e agli utilizzatori erano intesi specificamente a ottenere informazioni per il periodo tra il 1994 e il periodo d'inchiesta. Esse ritengono che, poiché la Commissione doveva ottenere informazioni unicamente per il periodo successivo al 1994, l'aver preso in considerazione il periodo antecedente va oltre l'ambito di analisi rigorosamente delimitato dall'art. 21 del regolamento di base.

64.
    Secondo le ricorrenti la Commissione avrebbe dovuto esaminare separatamente i periodi dal 1987 al 1993 e dal 1993/94 al periodo dell'inchiesta. Così facendo la Commissione avrebbe concluso che la situazione dell'industria comunitaria era peggiorata nel corso del primo periodo e richiedeva l'adozione di misure potenziate o integrative, mentre invece era migliorata a decorrere dall'adozione delle misure oggetto del presente riesame.

65.
    In subordine, le ricorrenti fanno valere che il ragionamento della Commissione si fonda su un errore di fatto poiché essa non ha riconosciuto che, nel caso di specie, il 1987 non poteva essere validamente utilizzato come anno di riferimento.

66.
    La Commissione, sostenuta dagli intervenienti, sostiene che l'art. 21 del regolamento di base non fissa alcun limite di tempo per fattori di cui essa deve tener conto nell'accertare l'interesse comunitario. Essa ritiene che, col fine di costruire un valido ragionamento prospettico, era suo compito esaminare l'impatto delle misure antidumping relative al medesimo prodotto in vigore dal 1987.

b) Giudizio del Tribunale

67.
    Trattandosi della valutazione di una situazione economica complessa, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale nella valutazione dell'interesse comunitario. Il giudice comunitario deve quindi limitare il suo sindacato alla verifica dell'osservanza delle norme di procedura, dell'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata, dell'insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell'insussistenza di sviamento di potere (v., per analogia, sentenza del Tribunale 28 ottobre 1999, causa T-210/95, EFMA/Consiglio, Racc. pag. II-3291, punto 57).

68.
    Il potere discrezionale della Commissione riguarda altresì gli elementi che essa prende in considerazione per valutare gli effetti delle misure per l'industria comunitaria e per gli altri gruppi i cui interessi sono rilevanti per la valutazione dell'interesse comunitario. A tale proposito, non si può qualificare come manifestamente errata la considerazione della Commissione secondo la quale era pertinente, ai fini della sua analisi, comparare la situazione durante l'applicazione delle misure in scadenza con quella precedente. Infatti, un'analisi completa dei dati passati, compresi quelli afferenti al periodo precedente l'instaurazione delle misure, può solo rafforzare la validità della valutazione prospettica dell'interesse comunitario che la Commissione ha l'obbligo di effettuare nell'ambito del riesame.

69.
    Ciò premesso, il fatto che la Commissione abbia seguito una prassi diversa da altre procedure di riesame non pregiudica la validità dell'approccio utilizzato nel caso di specie.

70.
    La circostanza che i questionari inviati ai produttori comunitari e agli utilizzatori riguardassero solo il periodo successivo al 1994 non osta neanche a che siano presi in considerazione dati relativi al periodo precedente, che la Commissione aveva a disposizione in ragione delle inchieste condotte per istituire i dazi in questione nella fattispecie. Infatti, come evidenziato supra al punto 54, le norme procedurali previste all'art. 21 del regolamento di base non vietano alla Commissione di prendere in considerazione elementi, che possono essere pertinenti ai fini della valutazione dell'interesse comunitario, che non sono stati portati a sua conoscenza secondo le modalità previste da tale articolo. Al contrario, esse esigono che tutte le parti abbiano l'opportunità di far valere la propria opinione su tali elementi. Orbene, le ricorrenti non contestano che le parti interessate hanno potuto conoscere tali elementi durante la procedura di riesame e che hanno avuto modo di commentarli.

71.
    Nell'ambito della presente parte del motivo, le ricorrenti criticano, inoltre, l'analisi degli elementi su cui si è concentrata la Commissione. Occorre esaminare tali critiche qui di seguito, unitamente al secondo motivo, tratto da manifesti errori di valutazione. Fatto salvo l'esame di tali ultimi elementi, la prima parte del motivo non è pertanto fondata.

2. Sulla seconda parte del motivo, relativa alla violazione dell'art. 21, nn. 2 e 5, del regolamento di base in quanto sono state prese in considerazione informazioni degli utilizzatori presentate in ritardo

a) Argomenti delle parti

72.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, addebitano alla Commissione di aver violato l'art. 21, nn. 2 e 5, del regolamento di base in quanto essa si è servita di informazioni presentate da alcuni utilizzatori oltre il termine assegnato dall'avviso di apertura della procedura di riesame. Esse ricordano che tale avviso aveva fissato il 19 gennaio 1999 come termine a disposizione per le varie parti interessate per manifestarsi e comunicare informazioni alla Commissione ai fini della valutazione dell'interesse comunitario. Esse segnalano che sia le informazioni spontanee presentate da due associazioni e da una società sia le risposte al questionario inviato dalla Commissione agli utilizzatori sono state depositate dopo il 19 gennaio 1999, con ritardi da 23 a 87 giorni. A loro avviso, la Commissione non doveva quindi tener conto di tali informazioni e risposte nell'ambito della sua analisi.

73.
    Le ricorrenti criticano la Commissione per aver inviato il suo questionario agli utilizzatori il 9 febbraio 1999, fissando il termine per la risposta all'11 marzo 1999, mentre il termine generale previsto dall'avviso di apertura della procedura era stato fissato al 19 gennaio 1999. Esse ritengono che la prassi della Commissione, in base alla quale i questionari degli utilizzatori sono inviati dopo l'invio dei questionari destinati ai produttori, esportatori e importatori, sia contraria all'art. 21 del regolamento di base che intende circoscrivere rigorosamente i tempi di procedura. In particolare, le ricorrenti contestano alla Commissione che la decisione controversa si fonda per lo più sugli elementi forniti dall'associazione Wirtschaftvereinigung Stahl. Esse sostengono che il documento inviato da tale associazione nel termine fissato dalla Commissione per le risposte al questionario non può essere considerato come una risposta vera e propria, ma deve essere trattato come un'informazione spontanea, presentata manifestamente oltre i termini.

74.
    Le ricorrenti sono del parere che il mancato rispetto da parte degli utilizzatori o degli importatori dei termini rigorosi fissati all'art. 21 per le loro informazioni arrechi pregiudizio ai denuncianti, perché rende difficile per questi ultimi conoscere tali informazioni in tempo utile.

75.
    La Commissione, sostenuta dagli intervenienti, ritiene di non essere affatto tenuta a rifiutare informazioni depositate oltre i termini fissati nell'avviso di apertura della procedura, purché il tenerne conto non nuoccia alla corretta gestione della procedura né comporti discriminazioni fra le parti.

b) Giudizio del Tribunale

76.
    L'art. 21, n. 2, del regolamento di base attribuisce, in particolare, alle organizzazioni rappresentative degli utilizzatori e dei consumatori il diritto di manifestarsi e di comunicare informazioni alla Commissione entro i termini indicati nell'avviso di apertura dell'inchiesta antidumping.

77.
    L'art. 21, n. 5, dispone che «la Commissione esamina le informazioni regolarmente presentate».

78.
    Come rilevato supra ai punti 53-54, le disposizioni dell'art. 21, nn. 2-5, del regolamento di base obbligano la Commissione a prendere in considerazione le informazioni fornite dalle parti interessate secondo i criteri da essa stabiliti, ma esse non intendono impedire alla Commissione di prendere in considerazione altri elementi pertinenti anche se questi ultimi non sono stati portati a sua conoscenza secondo le modalità previste.

79.
    Ne consegue che non è illegittimo se la Commissione invia questionari ad utilizzatori e a loro associazioni, sebbene l'art. 21 non la autorizzi esplicitamente in merito. Infatti, la prassi di inviare simili questionari è conforme ai principi di buona amministrazione e allo scopo dell'art. 21, n. 2, del regolamento di base.

80.
    In mancanza di disposizioni che disciplinano espressamente l'invio di simili questionari, la Commissione dispone di un potere discrezionale sull'opportunità di farlo, sulla scelta dei destinatari e sulle relative modalità. Tale potere discrezionale le consente anche di scegliere il momento opportuno per l'invio dei questionari. Pertanto non contrasta con il regolamento di base procedervi quando il termine fissato dall'avviso di apertura della procedura di riesame è già scaduto.

81.
    Inoltre, la Commissione, quanto al fatto che talune risposte ai questionari sono state inviate dopo che era scaduto il termine per rispondere da essa fissato, dispone di un margine discrezionale molto ampio circa l'opportunità di prenderle in considerazione. A tale proposito, occorre rilevare che la fissazione di un termine per rispondere è necessaria ai fini di un regolare svolgimento della procedura nei tempi previsti dal regolamento di base. Tuttavia, non può ritenersi illegittimo prendere in considerazione risposte ai questionari fornite dopo la scadenza del termine fissato a tal fine ove ciò non rischi di pregiudicare i diritti procedurali delle altre parti e non produca l'effetto di prolungare indebitamente la procedura. Nella fattispecie, le ricorrenti non si lamentano né di un pregiudizio al loro diritto di prendere posizione sulle osservazioni né dell'eccessiva durata del riesame. Di conseguenza, il prendere in considerazione risposte ai questionari tardive non determina l'illegittimità della decisione impugnata.

82.
    Per quanto riguarda, infine, quanto presentato dalla Wirtschaftsvereinigung Stahl, occorre constatare che tale documento contiene, in sostanza, risposte al questionario della Commissione. Il fatto che esso non si presenti formalmente come risposta a tale questionario non osta a che sia preso in considerazione.

83.
    Va aggiunto che né le ricorrenti né il Regno di Spagna, intervenuto a sostegno delle loro conclusioni, hanno fornito elementi in grado di dimostrare che il prendere in considerazione quanto presentato dagli utilizzatori oltre il termine impartito dall'avviso di apertura della procedura di riesame ha indotto la Commissione a effettuare la sua valutazione su una base dei fatti incompleta, inesatta o errata.

84.
    La seconda parte del primo motivo pertanto non è fondata.

3. Sulla terza parte del motivo, relativa alla violazione dell'art. 21, n. 5, del regolamento di base per il carattere non rappresentativo di quanto presentato dagli utilizzatori

a) Argomenti delle parti

85.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, addebitano alla Commissione di aver violato l'art. 21, n. 5, del regolamento di base ritenendo che quanto presentato dagli utilizzatori fosse rappresentativo. Le ricorrenti fanno presente che, secondo il «disclosure document» della Commissione, gli utilizzatori che hanno fornito informazioni rappresentavano solo il 10% del consumo comunitario, il che, a loro parere, non è palesemente rappresentativo. Le ricorrenti criticano il fatto che la decisione impugnata non contiene alcuna analisi per motivare il carattere rappresentativo del modestissimo numero di utilizzatori considerato. Neanche il «disclosure document» conterrebbe alcuna motivazione al riguardo. Nella replica, le ricorrenti rilevano che spetta alla Commissione provare di aver effettivamente proceduto a un'analisi della rappresentatività e del merito delle informazioni presentate dagli utilizzatori nell'ambito della procedura amministrativa. Esse imputano alla Commissione di voler invertire tale onere della prova.

86.
    Le ricorrenti presumono, inoltre, che la Commissione abbia omesso di comunicare al comitato consultivo i risultati del proprio esame sulla rappresentatività nonché il proprio parere sul merito delle informazioni presentate a proposito dell'interesse comunitario. Nella replica, le ricorrenti chiedono al Tribunale di disporre, a titolo di misura istruttoria a norma dell'art. 65, n. 2, del regolamento di procedura, la produzione di una copia del documento attestante che i risultati dell'esame della rappresentatività delle informazioni nonché il parere sul merito di tali informazioni sono stati comunicati al comitato consultivo.

87.
    Le ricorrenti ritengono che, se fosse stato effettuato un esame adeguato del carattere rappresentativo delle informazioni, l'esito della procedura di riesame ne sarebbe stato influenzato.

88.
    La Commissione e gli intervenienti contestano tali addebiti. Gli intervenienti ritengono che occorra distinguere la nozione di rappresentatività da quella di quantità, poiché la prima non si riferisce a una misura, ma a un'analisi. Secondo loro, si possono effettuare valide proiezioni per un'intera industria a partire da un campione molto più ristretto del 10%. La Commissione ritiene che le informazioni depositate fossero rappresentative. Essa rileva, inoltre, che le ricorrenti non contestano assolutamente i fatti esposti dagli utilizzatori.

b) Giudizio del Tribunale

89.
    L'art. 21, n. 5, del regolamento di base dispone quanto segue:

«La Commissione esamina le informazioni regolarmente presentate e decide in che misura esse sono rappresentative; i risultati di tale esame e un parere sul merito sono comunicati al comitato consultivo. La Commissione tiene conto delle opinioni espresse dal comitato ai fini di proposte a norma dell'articolo 9».

90.
    Per quanto concerne la contestazione secondo la quale quanto presentato dagli utilizzatori che hanno fornito informazioni non era rappresentativo perché tali utilizzatori rappresentavano solo il 10% del consumo comunitario, occorre rilevare che il carattere rappresentativo delle osservazioni non dipende dal numero e dalle quote di mercato delle imprese interessate. Per decidere se delle informazioni fornite da un ristretto numero di aziende sono rappresentative per il settore interessato, bisogna piuttosto sapere se tali aziende costituiscono un campione tipico delle varie categorie di operatori di tale settore. Quindi, il solo fatto che le cinque imprese utilizzatrici che hanno risposto ai questionari della Commissione rappresentino soltanto il 10% del consumo di ferrosilicio all'interno della Comunità non porta necessariamente alla conclusione che non si tratta di un gruppo rappresentativo di utilizzatori. Ciò vale a maggior ragione in quanto le cinque aziende hanno sede in quattro Stati membri differenti (Lussemburgo, Spagna, Germania e Belgio). Inoltre, la Commissione ha usato quanto presentato dalla Wirtschaftsvereinigung Stahl, la quale rappresenta, da sola, circa il 30% della produzione siderurgica comunitaria.

91.
    Quindi, le ricorrenti non hanno dimostrato un errore della Commissione relativamente al carattere rappresentativo di quanto presentato dagli utilizzatori. Peraltro, le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento concreto da cui si potrebbe desumere che gli elementi dedotti dagli utilizzatori fossero tali da falsare l'analisi dell'interesse comunitario da parte della Commissione.

92.
    Per quanto riguarda la seconda contestazione, dedotta nella replica e relativa al fatto che la Commissione non ha proceduto ad un'analisi effettiva del carattere rappresentativo di tali informazioni, va rilevato che la Commissione ha segnalato sia nel «disclosure document» (punto 9.4.) sia nella decisione impugnata (punto 145), di avere verificato le informazioni fornite dagli utilizzatori. In particolare, essa afferma nella decisione impugnata, senza essere smentita dalle ricorrenti, di averle comparate con le statistiche ufficiali. Ciò dimostra che la Commissione ha effettivamente proceduto a un esame del carattere rappresentativo delle dette informazioni. Di conseguenza, l'argomento delle ricorrenti secondo il quale spetta alla Commissione provare l'effettività di un esame del genere non è pertinente per la risoluzione della presente controversia.

93.
    Inoltre, le ricorrenti non hanno dedotto seri motivi tali da mettere in discussione la rappresentatività delle informazioni ottenute dalla Commissione. Date queste circostanze non si può pretendere che la Commissione si dedichi a dettagli approfonditi al riguardo nel «disclosure document» o nella decisione impugnata.

94.
    Per quanto riguarda, in terzo luogo, il sospetto delle ricorrenti che la Commissione abbia violato l'art. 21, n. 5, del regolamento di base omettendo di comunicare al comitato consultivo i risultati del suo esame sul carattere rappresentativo delle informazioni presentate a proposito dell'interesse comunitario e il suo parere sul merito, occorre esaminare innanzi tutto la domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere che il Tribunale disponga la presentazione del documento trasmesso al comitato consultivo, a norma dell'art. 65, lett. b), del regolamento di procedura. A tale proposito, l'art. 19, n. 5, del regolamento di base dispone che «le informazioni scambiate tra la Commissione e gli Stati membri oppure le informazioni relative alle consultazioni a norma dell'articolo 15 o i documenti interni preparati dalle autorità della Comunità o dagli Stati membri non sono divulgate, salvo diversa disposizione del presente regolamento». E' vero che la natura riservata o interna di un documento non costituisce un ostacolo assoluto a che il Tribunale possa disporre la presentazione a titolo di misura istruttoria. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, nel corso del procedimento davanti al giudice comunitario, documenti interni delle istituzioni non sono comunicati ai ricorrenti, a meno che non lo richiedano circostanze eccezionali del caso di specie, sulla base di gravi indizi che essi sono tenuti a fornire (ordinanza della Corte 18 giugno 1986, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds/Commissione, Racc. pag. 1899, punto 11; sentenza del Tribunale 27 ottobre 1994, causa T-35/92, John Deere/Commissione, Racc. pag. II-957, punto 31). Orbene, le ricorrenti non hanno presentato indizi tali da giustificare, nella fattispecie, che fosse disposta, in via eccezionale, la presentazione di tale documento.

95.
    Infatti, va rilevato che l'art. 21, n. 5, del regolamento di base obbliga la Commissione a comunicare al comitato consultivo i risultati del suo esame delle informazioni che le sono state presentate e il suo parere sul loro merito. Tuttavia, tale obbligo non implica che la Commissione debba fornire a tale comitato un'analisi esaustiva del carattere rappresentativo di quanto presentato. Ciò premesso, non era necessario che la Commissione fornisse al comitato consultivo indicazioni ulteriori rispetto a quelle contenute nel «disclosure document» e nella decisione impugnata, ai riferimenti menzionanti supra al punto 92. Orbene, non sussiste alcun elemento concreto tale da suscitare dubbi riguardo l'affermazione della Commissione secondo la quale il comitato consultivo ha avuto a disposizione informazioni corrispondenti al contenuto del «disclosure document».

96.
    Ne consegue che le tre censure dedotte nell'ambito della terza parte del primo motivo vanno respinte.

4. Sulla quarta parte del motivo, tratta dalla violazione dell'art. 21, n. 7, del regolamento di base per il fatto che sono state prese in considerazione informazioni degli utilizzatori non provate

a) Argomenti delle parti

97.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, addebitano alla Commissione di aver violato l'art. 21, n. 7, del regolamento di base per aver tenuto conto di informazioni degli utilizzatori non basate su elementi di prova effettivi. In sostanza, le ricorrenti criticano il contenuto del punto 146, terza e quarta frase, della decisione impugnata, in cui sono illustrate, secondo gli utilizzatori, le misure antidumping che avevano limitato le loro fonti di approvvigionamento, mantenuto i prezzi a livelli artificialmente elevati e creato uno svantaggio competitivo per gli utilizzatori nella Comunità rispetto ai loro concorrenti esterni. Le ricorrenti ritengono che le risposte degli utilizzatori alle domande formulate a questo proposito nella sezione G (intitolata «other questions») del questionario non fossero sufficienti a motivare tale affermazione.

98.
    Nella replica, le ricorrenti sostengono che la Commissione, affermando essa stessa che le risposte degli utilizzatori alle domande suddette erano soltanto la manifestazione di un'opinione, dimostra che, nel caso di specie, vi sia stata una violazione dell'art. 21, n. 7, del regolamento di base.

99.
    Le ricorrenti rilevano, inoltre, che la Commissione stessa riconosce che la sua analisi dell'interesse comunitario non si fondava su elementi di prova effettivi forniti dagli utilizzatori, bensì su elementi ipotetici.

100.
    La Commissione, sostenuta dagli intervenienti, fa valere che, nelle loro risposte alle domande della sezione G del questionario, gli utilizzatori esprimono solamente un'opinione e che non si può contestare loro di non avere fornito elementi di prova effettivi per dimostrarne la validità.

101.
    Per quanto riguarda l'addebito secondo cui le sue conclusioni si basano su elementi «ipotetici», la Commissione ammette di aver considerato l'ipotesi di una riduzione dei prezzi del 15% sul mercato comunitario per valutare gli effetti della scadenza delle misure. Secondo la Commissione, che una riduzione dei prezzi del 15% in caso si scadenza delle misure sia solo un'ipotesi non invalida tuttavia il fatto incontestabile che un abbassamento dei prezzi gioverebbe agli utilizzatori.

b) Giudizio del Tribunale

102.
    L'art. 21, n. 7, del regolamento di base dispone quanto segue:

«Le informazioni sono prese in considerazione unicamente se sostenute da elementi di prova effettivi che ne dimostrano la validità».

103.
    Tale formulazione va interpretata alla luce dell'art. 21, n. 2, del regolamento di base, il quale è diretto a garantire che le autorità «possano tener conto, in base a validi elementi, di tutte le osservazioni e informazioni» per decidere in merito all'interesse comunitario.

104.
    Tale disposizione consente dunque alle istituzioni di prendere in considerazione oltre alle «informazioni», anche le «osservazioni». Pertanto, non si può interpretare l'art. 21, n. 7, del regolamento di base nel senso che esso osta a che la Commissione prenda in considerazione le opinioni degli utilizzatori né a che tali opinioni, per poter essere considerate, devono essere avvalorate da elementi di prova.

105.
    Infatti, l'art. 21, n. 7, del regolamento di base stabilisce i presupposti in base ai quali le parti interessante possono avvalersi del diritto a che le informazioni da loro fornite siano prese in considerazione, ma non ha lo scopo di limitare gli elementi di cui le istituzioni possono tener conto ai fini della valutazione dell'interesse comunitario.

106.
    Inoltre, la Commissione non ha neppure violato l'art. 21, n. 7, del regolamento di base nel basarsi sull'ipotesi di una riduzione dei prezzi sul mercato comunitari al fine di valutare gli effetti della scadenza delle misure sugli utilizzatori. Infatti, è inevitabile ricorrere ad ipotesi quando si tratta di prevedere le conseguenze di un evento futuro. A questo proposito, non sussiste alcuna differenza tra l'esame delle probabilità di reiterazione del dumping e del pregiudizio e l'esame dell'interesse comunitario.

107.
    Di conseguenza, la quarta parte del primo motivo non è fondata.

C - Sulla quinta parte del motivo, relativa alla violazione dell'art. 6, n. 6, del regolamento di base per il rifiuto di organizzare una riunione di confronto

1. Argomenti delle parti

108.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, addebitano alla Commissione di avere violato l'art. 6, n. 6, del regolamento di base nonché i diritti della difesa, avendo rifiutato di organizzare una riunione di confronto con gli utilizzatori. Le ricorrenti ricordano di aver chiesto, con lettera 30 novembre 2000, di organizzare una riunione del genere e che tale richiesta è stata respinta.

109.
    Le ricorrenti ritengono che l'art. 6 del regolamento di base si applichi nell'ambito dell'esame dell'interesse comunitario. Esse sostengono che la nozione di inchiesta ai sensi dell'art. 6 del regolamento di base non si limita ai soli aspetti del dumping e del pregiudizio, ma riguarda anche gli aspetti connessi all'interesse della Comunità.

110.
    Secondo le ricorrenti, le norme procedurali previste all'art. 21 del regolamento di base intendono soltanto attribuire taluni diritti agli utilizzatori e ai consumatori cui non si applica l'art. 6 del detto regolamento e ricordare, in taluni casi, i diritti procedurali dei denuncianti che, per quel che li riguarda, derivano fondamentalmente da quest'ultimo articolo. Esse si richiamano alla sentenza del Tribunale 15 dicembre 1999, cause riunite T-33/98 e T-34/98, Petrotub e Repubblica/Consiglio (Racc. pag. II-3837), per dimostrare che l'art. 21 del regolamento di base non esclude l'applicazione di altre disposizioni che attribuiscono diritti procedurali alle parti interessate. Le ricorrenti ritengono che non si possa contestare il diritto dei denuncianti ad ottenere una riunione di confronto perché ciò rappresenterebbe una discriminazione rispetto agli utilizzatori cui tale diritto non è riconosciuto. Esse sostengono che una «discriminazione» del genere discenda già dall'art. 6, n. 6, del regolamento di base.

111.
    Le ricorrenti aggiungono che l'interpretazione da esse suggerita è conforme all'accordo antidumping dell'OMC e, in particolare, all'art. 6.2.2. del medesimo.

112.
    Il Regno di Spagna, interveniente, sottolinea che l'art. 6, n. 6, del regolamento di base si applica nell'ambito delle procedure di riesame ai sensi dell'art. 11, n. 2, del detto regolamento. Esso ritiene che l'art. 21 non debba essere isolato dal contesto del regolamento, posto che l'interesse della Comunità deve essere valutato per tutte le procedure. A suo avviso, inoltre, le ricorrenti non sono state in grado di manifestare la loro opinione in merito all'effettività e alla pertinenza dei fatti e delle circostanze su cui la Commissione ha basato la propria decisione, perché la riunione di confronto è stata negata. Esso ritiene quindi che i loro diritti della difesa siano stati violati, tanto più che, in mancanza di tale diniego, il procedimento amministrativo avrebbe potuto pervenire a un risultato diverso.

113.
    La Commissione, sostenuta dagli intervenienti, rileva che il confronto non è previsto dall'art. 21 del regolamento di base che disciplina, secondo regole specifiche come valutare l'interesse della Comunità. Essa segnala che il confronto è previsto solo nel contesto dell'art. 6, del regolamento di base, il quale tratta le modalità dell'inchiesta concernenti esclusivamente il dumping e il pregiudizio. Secondo la Commissione e gli intervenienti, l'interpretazione estensiva del diritto di chiedere una riunione di confronto, suggerita dalle ricorrenti, non è necessaria per garantire il rispetto dei loro diritti della difesa.

2. Giudizio del Tribunale

114.
    L'art. 6, n. 6, del regolamento di base dispone quanto segue:

«Gli importatori, gli esportatori, i rappresentanti del governo dei paesi esportatori e i denunzianti, che si siano manifestati a norma dell'articolo 5, paragrafo 10 e che ne facciano richiesta, hanno la possibilità di incontrarsi con le parti avverse, in modo che possano essere presentate le tesi opposte e le eventuali confutazioni. Nel concedere tale possibilità si deve tener conto della necessità di salvaguardare il carattere riservato delle informazioni, nonché delle esigenze delle parti. Nessuna parte è tenuta ad assistere ad un incontro e la sua assenza non produce effetti per essa lesivi. Le informazioni comunicate oralmente a norma del presente paragrafo sono prese in considerazione se sono successivamente ripresentate per iscritto».

115.
    A norma dell'art. 11, n. 5, del regolamento di base, l'art. 6 di tale regolamento si applica alle procedure di riesame.

116.
    Per contro, il regolamento di base non indica esplicitamente se le disposizioni del suo art. 6, e in particolare il n. 6 di tale articolo, si applicano nell'ambito dell'esame dell'interesse comunitario a norma dell'art. 21 di tale regolamento.

117.
    Le norme procedurali relative all'esame dell'interesse comunitario figurano, in linea di massima, all'art. 21, del regolamento di base. In particolare, l'art. 21, prevede, ai nn. 3 e 4, il diritto a essere sentiti e, al n. 6, una specifica informazione in favore di talune parti (cioè i denuncianti, gli importatori e le loro associazioni rappresentative nonché le associazioni rappresentative degli utilizzatori e dei consumatori) i cui interessi meritano particolarmente di essere presi in considerazione in sede di valutazione dell'interesse della Comunità. L'art. 21, nn. 3, 4 e 6, conferisce dunque alle parti da esso menzionate un diritto specifico a essere ascoltati in merito all'interesse della Comunità.

118.
    Nei confronti delle parti, le disposizioni procedurali dell'art. 21 costituiscono disposizioni speciali che garantiscono pienamente il loro diritto a essere ascoltate e che non hanno bisogno di essere accompagnate dall'applicazione dell'art. 6, n. 6, del regolamento di base.

119.
    Peraltro, qualsiasi altra interpretazione degli artt. 21 e 6, n. 6, del regolamento di base, quanto al loro rispettivo ambito di applicazione, implicherebbe una discriminazione tra, da un lato, gli importatori e i denuncianti, e, dall'altro, gli utilizzatori e le associazioni dei consumatori che non vi sono menzionati. Infatti, se l'art. 6, n. 6, del regolamento di base fosse applicabile all'esame dell'interesse comunitario, i primi avrebbero il diritto di chiedere una riunione di confronto in merito all'interesse comunitario, mentre i secondi non avrebbero un diritto equivalente.

120.
    Va aggiunto che l'art. 6, n. 6, del regolamento di base è conforme agli obblighi derivanti dall'art. 6, n. 2, dell'accordo antidumping dell'OMC. Orbene, l'accordo antidumping dell'OMC riguarda unicamente l'esame del dumping e del pregiudizio. Il legislatore comunitario era dunque tenuto a prevedere riunioni di confronto per tali due aspetti. Per contro, dall'accordo antidumping dell'OMC non deriva nessun obbligo riguardo alla procedura di valutazione dell'interesse comunitario. Il legislatore comunitario era perciò libero di non prevedere riunioni di confronto a tale proposito.

121.
    L'art. 6, n. 6, del regolamento di base, quindi, non si applica nell'ambito dell'esame dell'interesse comunitario a norma dell'art. 21, n. 6, del detto regolamento.

122.
    Occorre aggiungere che l'ulteriore censura dedotta in particolare dal Regno di Spagna, secondo la quale le ricorrenti non avrebbero avuto modo, in mancanza di una riunione di confronto, di far conoscere la loro opinione in merito alla effettività e alla pertinenza dei fatti e delle circostanze su cui si è fondata la decisione impugnata, non è suffragata da alcun elemento concreto. Date queste circostanze, la censura relativa alla violazione dei diritti della difesa deve essere respinta.

123.
    Ne consegue che la quinta parte del primo motivo non è fondata.

D - Sulla seconda e sulla quarta parte del secondo motivo, relative a errori manifesti di valutazione nell'esame dell'interesse della Comunità

1. Sulla seconda parte del secondo motivo, relativa a un errore manifesto di valutazione quanto alla situazione dell'industria comunitaria, e sull'errore di fatto richiamato nell'ambito della prima parte del primo motivo

a) Argomenti delle parti

124.
    Le ricorrenti criticano la descrizione dell'evoluzione della situazione dell'industria comunitaria effettuata ai punti 135-136 della decisione impugnata che, secondo loro, è eccessivamente negativa. Esse ritengono che tale analisi sia falsata in quanto la Commissione paragona la situazione dell'industria comunitaria durante il periodo dell'inchiesta con quella del 1987.

125.
    Esse addebitano alla Commissione, nell'ambito della prima parte del primo motivo, di aver commesso un errore di fatto non riconoscendo che, nella fattispecie, il 1987 non poteva essere validamente usato come anno di riferimento. A tale proposito, le ricorrenti ricordano che i dazi definitivi nei confronti delle importazioni provenienti dalla Cina sono stati imposti nel 1994. Esse ritengono che l'analisi relativa al periodo tra il 1987 e il periodo dell'inchiesta non può quindi essere considerata valida per quanto riguarda le importazioni cinesi. Quanto all'ex Unione sovietica, le ricorrenti ammettono che talune misure sono state imposte a decorrere dal 1987, ma esse affermano che tali misure sono divenute effettive solo dal 1993/1994, perché, tra il 1987 e il 1993/1994, le misure istituite consistevano in impegni di prezzo sistematicamente violati dagli esportatori interessati. Infine, per quanto riguarda il Venezuela e il Brasile, le ricorrenti ricordano che tali misure dovevano essere abrogate sulla base dell'analisi del dumping e del pregiudizio e che la loro analisi non doveva quindi essere presa in considerazione nel ragionamento della Commissione riguardo l'interesse della Comunità.

126.
    Con la seconda parte del secondo motivo le ricorrenti contestano, da un lato, quanto la decisione impugnata constata a proposito dell'evoluzione della situazione dell'industria comunitaria nonché la stima degli effetti delle misure oggetto del riesame per tale industria e, dall'altro, la valutazione delle conseguenze della scadenza delle misure.

127.
    Le ricorrenti sostengono che, se la Commissione avesse analizzato, come era tenuta a fare, l'evoluzione dell'industria comunitaria tra il 1994 e il periodo dell'inchiesta, vale a dire l'evoluzione dell'industria a seguito dell'imposizione delle misure sottoposte al riesame, si sarebbero potuti constatare vari aspetti positivi, che non sono stati citati dalla Commissione nella decisione impugnata. Le ricorrenti rilevano i seguenti fattori:

-    l'industria comunitaria ha incrementato le proprie vendite del 15%;

-    l'industria comunitaria ha incrementato la propria capacità di produzione del 6%;

-    l'industria comunitaria ha incrementato la sua redditività del 21%;

-    l'industria comunitaria è tornata ad essere proficua con una media pari all'8,2% di profitti durante il periodo di applicazione delle misure (contro una perdita del 34% prima dell'entrata in vigore delle misure);

-    l'industria comunitaria ha conservato la sua quota di mercato attorno al 16,5%.

128.
    Le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver commesso un errore manifesto di valutazione nel concludere che l'industria comunitaria non aveva saputo trarre profitto dalle misure antidumping. Esse ricordano che la situazione dell'industria comunitaria è notevolmente migliorata tra il 1994 e il periodo dell'inchiesta.

129.
    Esse criticano la Commissione perché si appella, al punto 139 della decisione impugnata, a un «deterioramento» dei profitti dell'industria comunitaria al termine del periodo in esame per affermare che le misure non hanno ottenuto gli effetti previsti. La riduzione dei profitti richiamata dalla Commissione si spiega, secondo le ricorrenti, con l'evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità. Le ricorrenti ricordano che l'industria comunitaria aveva registrato perdite pari al 34% nel 1993/1994. Le misure le avrebbero consentito di diventare redditizia e di raggiungere persino dei profitti pari al 12% nel 1996, mentre le istituzioni avevano stimato, quando adottarono il regolamento n. 3359/93, che per l'industria fosse ragionevole un margine di profitto pari al 6%.

130.
    Le ricorrenti contestano anche l'affermazione, contenuta al punto 139 della decisione impugnata, secondo la quale le quote di mercato dell'industria comunitaria sarebbero diminuite dopo il 1994. Secondo le ricorrenti, la quota di mercato dell'industria comunitaria nel 1994 era pari al 16,9% e non al 17,3%, come indicato al punto 99 della decisione impugnata. Esse ritengono che tale quota di mercato non sia diminuita tra il 1994 e il periodo dell'inchiesta, durante il quale essa si è attestata al 16,5%, ma che sia rimasta relativamente stabile. Le ricorrenti sostengono che dal fatto che la quota di mercato dell'industria comunitaria non è aumentata non si può desumere che quest'ultima non abbia tratto vantaggio dalle misure. Secondo le ricorrenti, la stabilizzazione della quota di mercato dell'industria comunitaria significa che questa ha, quantomeno, seguito l'evoluzione del consumo comunitario, il che si traduce nell'aumento della produzione e delle vendite su tale mercato.

131.
    Secondo le ricorrenti, non si può far valere l'incremento delle importazioni provenienti dalla Norvegia per dimostrare che l'industria comunitaria non ha beneficiato dalle misure. Esse rilevano che la decisione impugnata contiene un errore in quanto indica che le importazioni originarie della Norvegia hanno guadagnato una quota di mercato di circa 20 punti percentuali tra il 1987 e il periodo dell'inchiesta, mentre, secondo le cifre contenute nella stessa decisione impugnata, tale aumento è stato solo di circa 11 punti percentuali. L'aumento della quota di mercato delle importazioni norvegesi si spiega, secondo le ricorrenti, col fatto che le misure antidumping nei confronti di queste importazioni, imposte a partire dal 1983, sono state sospese nel 1993 in preparazione dell'entrata in vigore dell'accordo sullo Spazio economico europeo (SEE). Esse addebitano alla Commissione di non avere tenuto conto di tale fattore essenziale.

132.
    Le ricorrenti sottolineano che lo scopo delle misure antidumping non è di tutelare l'industria comunitaria dalle importazioni leali, ma soltanto dalle importazioni sleali, ripristinando, in particolare, un normale livello dei prezzi sul mercato comunitario. Secondo loro, le misure antidumping in esame nella fattispecie hanno raggiunto tale obiettivo.

133.
    Le ricorrenti ritengono che, in tali circostanze, né la chiusura di due società tra il 1994 e il periodo dell'inchiesta né la riduzione dei posti di lavoro nelle altre società possono invalidare la conclusione secondo la quale l'industria comunitaria ha tratto vantaggio dalle misure contestate.

134.
    Per quanto riguarda gli effetti della scadenza delle misure sull'industria comunitaria, le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver commesso un errore manifesto di valutazione nell'analisi contenuta al punto 141 della decisione impugnata. Esse rilevano una divergenza a questo proposito fra il punto 9.2.3 del «disclosure document» e la decisione impugnata e ne desumono che il ragionamento della Commissione non si fonda su basi serie. Esse ritengono, inoltre, che sussista una contraddizione all'interno della decisione impugnata tra il punto 141, dove si afferma che gli utilizzatori desiderano beneficiare di fonti di approvvigionamento sicure nella Comunità, e il punto 146, secondo il quale gli utilizzatori si sarebbero lamentati di una limitazione delle fonti di approvvigionamento.

135.
    La Commissione rileva, in via preliminare, che le ricorrenti non contestano gli elementi di fatto constatati ai punti 135 e 136 della decisione impugnata. Essa ritiene di avere giustamente constatato che l'industria comunitaria non ha tratto sufficientemente vantaggio dalle misure. Essa mette in rilievo che, malgrado un aumento della sua produzione, della sua capacità produttiva e della sua redditività, l'industria comunitaria non ha potuto aumentare la sua quota di mercato e rileva che sono invece le importazioni originarie della Norvegia ad avere incrementato la loro quota di mercato, protette dalle misure antidumping.

136.
    La Commissione contesta l'addebito delle ricorrenti secondo il quale essa avrebbe solo paragonato la situazione durante il periodo dell'inchiesta con la situazione nel 1987 e non con quella nel 1993/1994. Essa critica sotto più profili il paragone effettuato dalle ricorrenti fra la situazione dell'industria comunitaria nel 1994 e la situazione della medesima durante il periodo dell'inchiesta. Pur riconoscendo che l'industria comunitaria ha incrementato la sua redditività, essa rileva che le misure non hanno consentito a tale industria di mantenere un margine di profitto ragionevole pari almeno al 6% durante il periodo dell'inchiesta.

137.
    Per quanto riguarda gli effetti della scadenza della misure, la Commissione ritiene che le ricorrenti non hanno dimostrato che la decisione impugnata è viziata da errore manifesto. Essa ritiene che non ci sia contraddizione fra la decisione impugnata e il «disclosure document».

b) Giudizio del Tribunale

138.
    Per quanto concerne l'errore di fatto asserito dalle ricorrenti nell'ambito del loro primo motivo, risulta dai punti 133 e 134 della decisione impugnata che la Commissione ha tenuto conto sia del fatto che i dazi definitivi per la Cina sono stati imposti soltanto nel 1994 sia del fatto che le misure riguardanti l'Unione sovietica non sono state effettive prima del 1993/1994, a causa della violazione degli impegni da parte degli esportatori, invocata dalle ricorrenti durante il procedimento amministrativo. La decisione impugnata non è pertanto viziata da alcun errore di fatto a questo proposito.

139.
    Inoltre, non si può qualificare come manifestamente errata la presa in considerazione degli effetti delle misure concernenti il Venezuela e il Brasile, oggetto del medesimo riesame. Infatti, tali misure possono aver prodotto effetti tanto sull'industria denunciante quanto sugli utilizzatori, ed effetti del genere sono rilevanti ai fini del giudizio complessivo sulla situazione dei mercati interessati che la Commissione è tenuta a svolgere nell'esaminare l'interesse della Comunità.

140.
    Per quanto riguarda la contestazione secondo la quale l'analisi dell'evoluzione dell'industria comunitaria sarebbe falsata perché la Commissione si sarebbe limitata a paragonare tale situazione nel 1987 a quella durante il periodo dell'inchiesta, si evince dai punti 130-136 della decisione impugnata che la Commissione ha effettivamente tenuto conto dell'evoluzione di tale situazione per tutto il tempo compreso fra il 1987 e il periodo dell'inchiesta. In particolare, la Commissione riconosce, al punto 134 della decisione impugnata, che la situazione dell'industria comunitaria era peggiorata fra il 1987 e gli anni 1993/1994, e, contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, essa riconosce altresì, ai punti 99 e 105 della decisione impugnata, che l'evoluzione dell'industria comunitaria tra il 1994 e il periodo dell'inchiesta è stata positiva sotto vari profili, in particolare per quanto concerne il volume delle vendite, la capacità di produzione, la redditività e i profitti. Quindi, tale addebito delle ricorrenti non è fondato.

141.
    Nell'ambito della seconda parte del secondo motivo, occorre verificare, in una prima fase, se la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione nel concludere, nonostante gli elementi positivi da essa constatati, che l'industria comunitaria non aveva sufficientemente beneficiato delle misure antidumping. La Commissione ha fondato tale giudizio, al punto 139 della decisione impugnata, su quattro elementi, ovvero, la chiusura di due società, la riduzione dei posti di lavoro nelle restanti tre imprese, una diminuzione della quota di mercato dell'industria comunitaria e un deterioramento dei profitti al termine del periodo in esame.

142.
    Occorre esaminare, in primo luogo, le censure delle ricorrenti relative all'andamento dei profitti, in secondo luogo, quelle relative all'andamento delle quote di mercato, in terzo luogo, i loro argomenti relativi alla chiusura delle due società e, in quarto luogo, la riduzione dei posti di lavoro.

143.
    Per quanto riguarda, in primo luogo, l'andamento dei profitti dell'industria comunitaria, occorre rilevare, in via preliminare, che i dati contenuti al riguardo al punto 105 della decisione impugnata non sono contestati dalle ricorrenti. Dalla decisione impugnata risulta che l'industria comunitaria aveva subito perdite del 34% prima dell'istituzione delle misure in scadenza, che essa ha realizzato, tra il 1994 e il 1997, profitti fra l'8,1 e l'11,2% e che, durante il periodo dell'inchiesta, i profitti sono calati al 4%. Durante il periodo dell'inchiesta, i profitti dell'industria comunitaria non hanno quindi raggiunto il margine di profitto del 6% che le istituzioni avevano ritenuto ragionevole per l'industria comunitaria quando è stato adottato il regolamento n. 3359/93.

144.
    Pertanto non è manifestamente errato che la Commissione constati, al punto 139 della decisione impugnata, un deterioramento dei profitti al termine del periodo in esame.

145.
    L'argomento delle ricorrenti secondo il quale tale deterioramento dei profitti si spiega con l'andamento del prezzo del ferrosilicio nella Comunità non osta a che la Commissione lo prenda in considerazione, fra gli altri elementi, al fine di stabilire se l'industria comunitaria avesse beneficiato delle misure. Infatti, i profitti dell'industria comunitaria dipendono sempre dalle variazioni che può subire il prezzo del prodotto, indipendentemente dalle pratiche di dumping cui si dedicano i produttori di taluni paesi, sui mercati comunitari e internazionali, e le misure antidumping dovrebbero consentire a tale industria di migliorare durevolmente la sua posizione sul mercato, il che implica la capacità di fronteggiare variazioni di prezzo di tal sorta. E' vero che una riduzione temporanea dei profitti dovuta a variazioni del prezzo del prodotto non può bastare, da sola, a motivare la conclusione della Commissione secondo cui l'industria comunitaria non ha sufficientemente beneficiato delle misure. Nel caso di specie, il deterioramento dei profitti tuttavia è solo uno dei fattori esaminati nell'ambito della valutazione globale della situazione di tale industria. A questo proposito non è manifestamente errato che la Commissione ne tenga conto.

146.
    Per quanto concerne, in secondo luogo, l'andamento delle quote di mercato dell'industria comunitaria, occorre ricordare che la decisione impugnata rileva al riguardo, al punto 136, che le quote di mercato dell'industria comunitaria hanno registrato un andamento negativo tra il 1987 e il 1994 e che tale andamento persisteva durante il periodo in esame, mentre le importazioni originarie della Norvegia hanno guadagnato una quota di mercato di circa 20 punti percentuali dal 1987 al periodo dell'inchiesta. Al punto 139, la decisione impugnata si riferisce alla diminuzione della quota di mercato dell'industria comunitaria per poter concludere che le misure istituite nel 1993 e nel 1994 non hanno ottenuto gli effetti correttivi previsti. Al punto 151 della decisione, si spiega che l'industria comunitaria non è stata capace non solo di rafforzare, ma neppure di mantenere la sua posizione sul mercato comunitario, malgrado l'adozione delle misure, e che non è stata neanche in grado di beneficiare delle misure riprendendo le quote di mercato detenute in precedenza dai produttori comunitari che avevano cessato l'attività.

147.
    Per quanto concerne, in primo luogo, l'argomento delle ricorrenti, secondo il quale la quota di mercato dell'industria comunitaria non aveva continuato a diminuire dopo l'istituzione delle misure nel 1993/1994, ma era restata stabile, occorre rilevare che, secondo le ricorrenti, tale quota di mercato era passata dal 16,9% nel 1994 al 16,5% durante il periodo dell'inchiesta. Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, tali cifre non dimostrano l'inesattezza della constatazione della Commissione, secondo cui la tendenza negativa della quota di mercato dell'industria comunitaria si è protratta nonostante l'istituzione delle misure di protezione integrative. Infatti, anche le cifre richiamate dalle ricorrenti rivelano una riduzione, per quanto meno grave di quella calcolata dalla Commissione, della loro quota di mercato e, comunque, esse dimostrano che l'industria comunitaria non è stata in grado di rafforzare la sua posizione sul mercato.

148.
    Inoltre, quanto alle importazioni dalla Norvegia, la Commissione riconosce che il punto 136 della decisione impugnata contiene un errore in quanto indica che la quota di mercato di tali importazioni è aumentata del 20% fra il 1987 e il periodo dell'inchiesta, mentre, in realtà, tale aumento era soltanto dell'11%. La spiegazione della Commissione che si tratta di un errore di stampa ininfluente sulla sua valutazione è confermata dal «disclosure document» il quale indica, al punto 9.2.1, che tale quota di mercato è passata dal 40% nel 1987 al 52% durante il periodo dell'inchiesta. Il fatto che l'aumento della quota di mercato risultante da queste cifre sia prossima a quell'11% risultante dai dati contenuti nella decisione impugnata, dimostra che le conclusioni che la Commissione ha tratto dall'aumento delle importazioni norvegesi non sono viziate dall'errore rilevato dalle ricorrenti. Pertanto, tale errore, per quanto spiacevole, non è tale da rimettere in discussione la validità della decisione impugnata.

149.
    Infine, l'argomento delle ricorrenti secondo cui l'aumento della quota di mercato delle importazioni norvegesi si spiega con la sospensione, conseguente all'entrata in vigore dell'Accordo sul SEE, dei dazi antidumping cui le importazioni erano soggette tra il 1983 e il 1993 non osta a che la Commissione prenda in considerazione tale aumento. Se è vero che non si può escludere a priori che la scomparsa dei detti dazi abbia potuto contribuire all'aumento della quota di mercato delle importazioni dalla Norvegia, si sarebbe trattato di una concorrenza alla quale l'industria comunitaria doveva far fronte in seguito all'entrata in vigore del SEE. A tale proposito, le ricorrenti non contestano quanto constatato dalla Commissione al punto 95 della decisione impugnata, ovvero che i prezzi delle importazioni originarie della Norvegia erano, durante il periodo dell'inchiesta, paragonabili a quelle dell'industria comunitaria, inoltre esse stesse hanno riconosciuto che tali importazioni fanno parte della concorrenza leale.

150.
    Ne consegue che le censure dedotte dalle ricorrenti non sono tali da inficiare la validità delle constatazioni della Commissione in merito all'andamento della quota di mercato dell'industria comunitaria.

151.
    Per quanto riguarda, in terzo luogo, la chiusura di due società, risulta certamente plausibile la spiegazione delle ricorrenti secondo la quale tali società avevano troppo risentito delle importazioni dall'URSS e dalla Cina, effettuate a prezzi di dumping o in violazione degli impegni, per poter raddrizzare la situazione dopo l'istituzione, nel 1993/1994, delle misure di cui trattasi nella presente controversia. Tuttavia non ne consegue che la Commissione abbia commesso un errore manifesto nel concludere, dopo aver preso in considerazione tale circostanza nell'ambito di una valutazione complessiva della situazione dell'industria comunitaria, che quest'ultima non aveva sufficientemente beneficiato delle misure antidumping.

152.
    Per quel che concerne, in quarto luogo, la riduzione dei posti di lavoro nell'industria comunitaria, occorre rilevare che le misure antidumping sono dirette a dare all'industria comunitaria la possibilità di ristrutturarsi e di diventare più efficace. Una riduzione dei posti di lavoro, accompagnata da un aumento della produzione e della redditività, non è quindi necessariamente un fattore che consente, da solo, di ritenere che le misure non hanno ottenuto gli effetti previsti. Cionondimeno, la riduzione dei posti di lavoro è una circostanza che, fra le altre, può essere presa in considerazione per ritenere, nell'ambito di una valutazione complessiva della situazione dell'industria comunitaria, che quest'ultima è peggiorata durante il periodo di vigore delle misure.

153.
    Per quanto riguarda, infine, il problema del se la conclusione tratta dalla Commissione dall'insieme di tali fattori, e cioè che l'industria comunitaria non ha sufficientemente beneficiato delle misure, sia viziata da un errore manifesto, non si può certamente escludere che gli elementi di fatto alla base di tale conclusione possano originare giudizi divergenti. Tuttavia, nessuna di tali valutazioni prevale in maniera assoluta, né sembra manifestamente errata. In tale contesto, non spetta al giudice comunitario sostituire la sua valutazione sugli effetti delle misure a quella della Commissione.

154.
    Pertanto, le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione ha commesso un errore manifesto nel concludere che le misure antidumping in esame non hanno ottenuto gli effetti previsti.

155.
    Nell'ambito della seconda parte del secondo motivo, occorre esaminare, in una seconda fase, la tesi delle ricorrenti secondo la quale la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione relativamente agli effetti della scadenza delle misure sull'industria comunitaria. Al punto 141 della decisione impugnata, la Commissione osserva a tale proposito che un deterioramento dell'industria comunitaria è probabile, ma che la gravità di tale deterioramento è difficile da valutare. Inoltre, emerge da tale punto che la Commissione ritiene improbabile la completa scomparsa dell'industria comunitaria perché gli utilizzatori desiderano conservare fonti di approvvigionamento affidabili nella Comunità.

156.
    La discrepanza, criticata dalle ricorrenti, fra quest'ultima affermazione e la formulazione usata al punto 9.2.3 del «disclosure document» secondo la quale «[l]e possibili conseguenze per l'occupazione di un eventuale cessazione di tale produzione non sono tuttavia così chiare, dato che i forni potrebbero essere smantellati ovvero essere usati per produrre altre leghe di ferro» («[t]he impact on employment that would result from a possible stop in this production is not so clear, however, as furnaces could either be decommissioned or switched to the production of other ferro-alloys») non invalida tuttavia la sostanza del ragionamento della Commissione, simile nei due punti. Il fatto che essa abbia omesso di riportare, nella decisione impugnata, la formulazione summenzionata e che l'abbia sostituita con le considerazioni di cui al punto precedente del «disclosure document» non dimostra che l'affermazione contenuta nella decisione impugnata è viziata da errore manifesto.

157.
    Inoltre, non vi è contraddizione tra quanto è affermato al punto 141 della decisione impugnata, cioè che gli utilizzatori desiderano disporre di fonti di approvvigionamento affidabili nella Comunità, e al punto 146 di tale decisione, ovvero che gli utilizzatori si sono lamentati di una limitazione delle loro fonti di approvvigionamento. Infatti, il desiderio degli utilizzatori di poter disporre di numerose fonti di approvvigionamento nei vari paesi non è incompatibile con la loro volontà di conservare anche fonti di approvvigionamento sicure nella Comunità.

158.
    Di conseguenza, la prima parte del primo motivo, ove fa riferimento a un errore di fatto, e la seconda parte del secondo motivo, relativa a un errore manifesto di valutazione quanto alla situazione dell'industria comunitaria, sono infondate.

2. Sulla terza parte del motivo, relativa a un errore manifesto di valutazione quanto agli effetti delle misure sugli utilizzatori

a) Argomenti delle parti

i) Sul costo delle misure per gli utilizzatori

159.
    Le ricorrenti rilevano che la percentuale del costo del ferrosilicio all'interno del costo della produzione d'acciaio non si è modificata negli anni '90. Esse ne deducono che le misure antidumping non hanno potuto far aumentare notevolmente i costi di produzione degli utilizzatori e che, date tali circostanze, la Commissione non era neanche tenuta ad analizzare gli effetti delle misure antidumping sugli utilizzatori nell'ambito del riesame. Le ricorrenti ritengono che ciò sia sufficiente a dimostrare un errore manifesto di valutazione dei fatti per quanto riguarda gli effetti delle misure sugli utilizzatori.

160.
    Le ricorrenti affermano che l'incidenza delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori corrisponde allo 0,1% di tali costi, il che va ritenuto trascurabile. Esse richiamano la prassi delle istituzioni comunitarie facendo riferimento a vari casi in cui un'incidenza maggiore non è stata ritenuta sufficiente a ostacolare l'adozione o il mantenimento in vigore di misure protettive.

161.
    Le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver basato il calcolo degli effetti della soppressione delle misure antidumping sull'industria siderurgica, contenuto al punto 147 della decisione impugnata, sull'ipotesi di una diminuzione dei prezzi del 15% senza aver mai verificato tale cifra con un'analisi economica approfondita.

162.
    La Commissione ritiene di non aver commesso errori manifesti di valutazione nello scegliere di presentare l'incidenza delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori in termini assoluti, cioè 60 milioni di euro all'anno. Essa ricorda di aver stimato che la proroga delle misure per una durata supplementare di cinque anni avrebbe fatto pesare sugli utilizzatori un costo economicamente ingiustificabile (cioè 60 milioni di euro l'anno), per quanto irrilevante in termini percentuali (cioè lo 0,1% del costo di fabbricazione).

163.
    Per quanto concerne l'ipotesi di una riduzione dei prezzi del 15% in caso di soppressione delle misure, la Commissione ritiene che l'importo esatto di tale riduzione non è rilevante, dato che una diminuzione dei prezzi del ferrosilicio ridurrebbe, comunque, i costi degli utilizzatori.

ii) Sugli effetti delle misure sulla concorrenza

164.
    Le ricorrenti ritengono che la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione nell'accogliere quanto affermato dagli utilizzatori e cioè che le misure limitano considerevolmente le fonti di approvvigionamento e mantengono i prezzi sul mercato comunitario a livelli artificialmente elevati, sicché i produttori comunitari di acciaio si trovano in situazione di svantaggio competitivo rispetto ai produttori non comunitari.

165.
    Per quanto riguarda le fonti di approvvigionamento, le ricorrenti riconoscono che le misure hanno limitato le importazioni dai paesi interessati dalle medesime. Esse sostengono tuttavia, richiamando le cifre contenute al riguardo nella decisione impugnata, che esistono importanti fonti di approvvigionamento esterne all'industria comunitaria e che le importazioni provenienti dai paesi interessati dalle misure antidumping sono state, in gran parte, sostituite da altre importazioni effettuate a prezzi non connessi a una pratica di dumping pregiudizievole.

166.
    Le ricorrenti contestano quanto affermato dalla Commissione a proposito del prezzo del ferrosilicio nella Comunità che sarebbe artificialmente elevato. Secondo loro, il prezzo del ferrosilicio nella Comunità ha seguito l'andamento del prezzo a livello mondiale, come ha ricordato la Commissione stessa al punto 104 della decisione impugnata.

167.
    Per quanto riguarda, infine, la posizione competitiva degli utilizzatori, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non addurre alcun elemento concreto a sostegno del suo ragionamento. Esse richiamano la lettera della Commissione 13 settembre 2000, in cui si indica che i costi di produzione dell'industria siderurgica rispetto alla cifra di affari sono passati dall'80% al 70% all'inizio degli anni '90. Le ricorrenti desumono da queste cifre che l'industria siderurgica ha migliorato la propria competitività a livello internazionale. Secondo le ricorrenti, l'incidenza dello 0,1% delle misure sui costi della produzione dell'acciaio non modificherà minimamente tale miglioramento.

168.
    Le ricorrenti ricordano che le misure antidumping hanno l'obiettivo di ripristinare una concorrenza leale sul mercato comunitario. Esse ritengono che sia normale che tali misure abbiano aumentato i prezzi delle importazioni provenienti dai paesi terzi riconosciuti colpevoli di dumping. La posizione della Commissione contribuirebbe a legittimare una diminuzione del prezzo dovuta alle importazioni sleali, a solo vantaggio dell'industria utilizzatrice e a detrimento dell'industria comunitaria. Esse sostengono che il ragionamento della Commissione è contrario alla logica, allo spirito e alla lettera dell'art. 21 del regolamento di base, perché ha portato alla condanna di un'industria a vantaggio di un'altra che intende beneficiare di prezzi realizzati in dumping.

169.
    La Commissione ritiene evidente che un aumento dei prezzi delle materie prime costituisce uno svantaggio competitivo per gli utilizzatori. A suo parere, il problema non è di stabilire se tale svantaggio sia marginale, ma se sia giustificato tenuto conto del fatto che l'industria comunitaria non ha dimostrato di essere in grado di capovolgere la situazione di svantaggio in cui versava prima del potenziamento delle misure nel 1993 e nel 1994.

iii) Sull'effetto cumulativo del costo delle misure

170.
    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione lamentando un effetto cumulativo delle misure sugli utilizzatori. Esse fanno valere che tale argomento non è mai stato usato dalla Commissione nell'ambito dei riesami effettuati a norma dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base. Le ricorrenti aggiungono che la Commissione non ha quantificato nella decisione impugnata il sedicente effetto cumulativo delle misure antidumping. Secondo loro, far valere l'effetto cumulativo nell'ambito della determinazione dell'interesse comunitario aprirebbe una grave breccia nell'applicazione effettiva della normativa antidumping comunitaria.

171.
    La Commissione replica che le ricorrenti non spiegano perché gli utilizzatori dovrebbero subire l'effetto cumulativo delle misure se queste non apportano i benefici previsti per l'industria comunitaria. Per quanto riguarda l'addebito secondo il quale l'effetto cumulativo non era stato quantificato nella decisione impugnata, la Commissione rileva che tale effetto si può facilmente stimare sulla base delle cifre fornite nella decisione.

b) Giudizio del Tribunale

172.
    Occorre esaminare congiuntamente gli argomenti delle ricorrenti riguardanti il costo delle misure per gli utilizzatori, compreso l'effetto cumulativo delle medesime, prima di affrontare le censure relative alla situazione competitiva degli utilizzatori.

173.
    Nell'ambito del riesame di misure in scadenza, la presa in considerazione, per valutare l'interesse comunitario, dell'effetto cumulativo delle misure oltre ad essere giustificata è necessaria. Infatti, la riduzione dei profitti dell'industria utilizzatrice, dovuta a materie prime più care, ha ripercussioni sul valore delle azioni di tali aziende e sulle condizioni alle quali esse possono reperire il capitale necessario per fare investimenti. Tali parametri sono influenzati dalle prospettive di redditività dell'industria utilizzatrice a medio e lungo periodo, ed è evidente che misure antidumping possono produrre un effetto cumulativo al riguardo.

174.
    Pertanto, va respinto l'argomento delle ricorrenti secondo il quale, dato che la percentuale del costo del ferrosilicio all'interno del costo della produzione di acciaio è rimasta stabile, la Commissione non doveva analizzare gli effetti delle misure antidumping sugli utilizzatori nel caso di specie. Parimenti, l'effetto cumulativo delle misure è un elemento idoneo a giustificare che le conclusioni relative all'interesse comunitario nell'ambito del presente riesame siano diverse da quelle cui è pervenuto il Consiglio quando tali misure sono state istituite.

175.
    La censura tratta in tale contesto dal fatto che la Commissione non ha indicato, né nelle conclusioni finali né nella decisione impugnata, che l'incidenza delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori corrisponde allo 0,1% di tali costi è un problema di esposizione che non può invalidare il merito della decisione. Tale censura va quindi respinta.

176.
    Per quanto riguarda, inoltre, le critiche delle ricorrenti nei confronti della scelta della Commissione di considerare l'ipotesi di una diminuzione dei prezzi del 15% al fine di valutare i probabili effetti per gli utilizzatori di una scadenza delle misure, occorre ricordare, da un lato, che la valutazione di tali effetti è di natura prospettica, sicché è normale che sia fondata su ipotesi. Dall'altro, le ricorrenti non negano che sia probabile una diminuzione dei prezzi del ferrosilicio a seguito della scadenza delle misure. Orbene, l'ammontare esatto di tale diminuzione non può invalidare il ragionamento della Commissione.

177.
    Ne consegue che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione ha commesso un errore manifesto riguardo al costo delle misure per gli utilizzatori.

178.
    Per quanto concerne la situazione competitiva degli utilizzatori sotto il profilo della concorrenza non si rileva alcun errore manifesto in quanto affermato nella decisione impugnata, ovvero che le misure controverse limitano considerevolmente le fonti di approvvigionamento e mantengono i prezzi sul mercato comunitario a livelli artificialmente elevati. Il fatto di dover pagare prezzi più elevati dei concorrenti nei paesi terzi pone l'industria siderurgica comunitaria, inoltre, in una posizione svantaggiosa sul piano della concorrenza. Il fatto che la percentuale dei costi di produzione nella cifra di affari dell'industria siderurgica comunitaria sia diminuita non influisce su tale posizione svantaggiosa. Infatti, se è vero che tale industria è riuscita a ridurre i propri costi di produzione nonostante i prezzi elevati di talune materie prime, come normale conseguenza della scadenza delle misure, tale riduzione diventerebbe ancora più marcata e, di conseguenza, la posizione sul piano della concorrenza di tale industria migliorerebbe.

179.
    Quindi, la tesi delle ricorrenti, secondo la quale la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione riguardo gli effetti delle misure sugli utilizzatori, non è fondata.

3. Sulla quarta parte del motivo, relativa a un errore manifesto di valutazione riguardo la ponderazione degli interessi

a) Argomenti delle parti

180.
    Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Spagna, ricordano che l'incidenza percentuale delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori, cioè lo 0,1%, deve essere considerata trascurabile. Esse ritengono, inoltre, che è chiaramente dimostrato che la situazione dell'industria utilizzatrice non è peggiorata e anzi è migliorata dopo l'istituzione delle misure. Le ricorrenti sottolineano che l'asserita diminuzione del 15% dei prezzi nella Comunità, se si realizzasse, ridurrebbe i costi di produzione dello 0,1% per gli utilizzatori mentre comporterebbe una perdita di cifra d'affari del 15% per l'industria comunitaria, il che, sotto il profilo economico, significa la sua condanna. Le ricorrenti ritengono che, date tali circostanze, la Commissione non poteva ritenere che non era nell'interesse della Comunità applicare misure antidumping.

181.
    Secondo la Commissione l'approccio proposto dalle ricorrenti è troppo semplicistico perché non consente di valutare l'efficacia delle misure in corso di riesame. Essa contesta l'affermazione delle ricorrenti secondo la quale una diminuzione di prezzo del 15% sul mercato condannerebbe l'industria comunitaria.

b) Giudizio del Tribunale

182.
    In limine, occorre ricordare che le ricorrenti non hanno dimostrato che la valutazione della Commissione, secondo la quale è improbabile la scomparsa dell'industria comunitaria in caso di scadenza delle misure, è manifestamente errata. Per contro, la Commissione, dal canto suo, parte dall'ipotesi che la scadenza delle misure può comportare un grave deterioramento della situazione dell'industria comunitaria.

183.
    Tuttavia, come giustamente rileva la Commissione, non è sufficiente, per la ponderazione degli interessi dell'industria comunitaria e dell'industria utilizzatrice, comparare gli svantaggi che possono risultare, per ciascuna di esse, da una decisione contraria ai loro interessi. Inoltre è legittimo, e anzi necessario, appurare se le misure hanno ottenuto gli effetti desiderati per quanto riguarda la competitività dell'industria protetta e le sue prospettive future.

184.
    Orbene, la Commissione dopo aver constatato, senza commettere alcun errore manifesto di valutazione, che le misure di cui si tratta nel caso di specie non hanno ottenuto gli effetti previsti, non ha neanche commesso un simile errore quando ha considerato che non era nell'interesse della Comunità continuare ad applicare le dette misure, malgrado la circostanza che l'incidenza delle misure sui costi degli utilizzatori non fosse rilevante in termini percentuali.

185.
    Di conseguenza, la quarta parte del secondo motivo non è fondata. Occorre dunque respingere interamente tale motivo.

E - Sulla motivazione della decisione impugnata

1. Argomenti delle parti

186.
    Senza dedurre espressamente motivi al riguardo, le ricorrenti ritengono che la decisione impugnata non sia sufficientemente motivata sotto vari profili. In primo luogo, esse sostengono che la Commissione non ha spiegato perché non ha tenuto conto della violazione sistematica degli impegni da parte dell'Unione sovietica. In secondo luogo, esse lamentano che la decisione impugnata non contiene alcuna analisi per motivare il carattere rappresentativo degli utilizzatori che hanno fornito informazioni alla Commissione. In terzo luogo, le ricorrenti ritengono una violazione dell'obbligo di motivazione il fatto che la Commissione non abbia utilizzato, nella decisione impugnata, il dato espresso in cifre dello 0,1% per indicare l'incidenza delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori. In quarto luogo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver detto qual è stato l'aumento «artificiale» del prezzo del ferrosilicio nella Comunità a seguito delle misure antidumping. In quinto luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione non fornisce elementi concreti a sostegno del suo ragionamento relativo all'incidenza delle misure sulla situazione competitiva degli utilizzatori. In sesto luogo e per concludere, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver quantificato l'effetto cumulativo delle misure per gli utilizzatori.

2. Giudizio del Tribunale

187.
    Sebbene le ricorrenti non abbiano dedotto un motivo autonomo al riguardo, occorre esaminare le varie censure sollevate dalle ricorrenti, nell'ambito dei motivi analizzati sopra, per quanto concerne la motivazione della decisione impugnata.

188.
    La prima censura sollevata in tale contesto, secondo la quale la Commissione non avrebbe spiegato perché non ha tenuto conto della violazione sistematica degli impegni da parte dell'Unione sovietica, è tuttavia priva di oggetto. Risulta dai punti 133 e 134 della decisione impugnata che la Commissione ha esaminato gli effetti della violazione degli impegni sulla situazione dell'industria comunitaria.

189.
    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la mancata esposizione delle ragioni che hanno portato la Commissione a ritenere che gli utilizzatori che hanno fornito informazioni fossero rappresentativi, risulta dal punto 93, supra, che nella decisione impugnata non era necessario fornire dettagli approfonditi a questo proposito.

190.
    In terzo luogo, il fatto che la Commissione non abbia utilizzato, nella decisione impugnata, la cifra dello 0,1% per indicare l'incidenza delle misure sui costi di produzione degli utilizzatori, ma che abbia scelto di presentarla in termini assoluti, ovvero 60 milioni di euro l'anno, non può essere qualificato come violazione dell'obbligo di motivazione. Infatti, si tratta di un problema di esposizione senza effetti sul merito della decisione, la quale contiene, ai punti 145-147, dati forniti in cifre relativamente agli effetti stimati della scadenza delle misure per gli utilizzatori i quali consentono di seguire integralmente l'iter logico della Commissione. Ciò premesso, l'esposizione scelta dalla Commissione non può pregiudicare la comprensione dei motivi della decisione impugnata da parte della ricorrente, né la difesa dei suoi interessi. Essa non pregiudica neanche il sindacato giurisdizionale della decisione impugnata.

191.
    In quarto luogo, la Commissione non aveva bisogno di spiegare, nella decisione impugnata, che il prezzo del ferrosilicio nella Comunità era più elevato, a causa delle misure antidumping, che non lo sarebbe stato in loro mancanza e quindi in condizioni di libera concorrenza. Infatti, tale constatazione è diretta conseguenza del ritenere probabile la reiterazione del pregiudizio in caso di scadenza delle misure. Pertanto, le ricorrenti non possono addebitare alla Commissione di non aver detto qual è stato l'aumento «artificiale» del prezzo del ferrosilicio nella Comunità a seguito delle misure antidumping.

192.
    A proposito della quinta censura, secondo la quale la Commissione non avrebbe dedotto elementi concreti a sostegno del suo ragionamento relativo all'incidenza delle misure sulla posizione competitiva degli utilizzatori, è evidente che prezzi più elevati delle materie prime nella Comunità incidono sulla posizione competitiva degli utilizzatori comunitari rispetto ai loro concorrenti in paesi terzi nei quali non sono in vigore misure antidumping. Pertanto, alla Commissione non si possono chiedere spiegazione al riguardo.

193.
    Infine, per quanto riguarda la contestazione secondo la quale la Commissione non ha quantificato l'effetto cumulativo delle misure per gli utilizzatori, occorre rilevare che la validità del ragionamento della decisione impugnata riguardo tale effetto cumulativo non dipende dalla rilevanza del medesimo in termini quantitativi. Perciò non è necessario indicarlo per consentire alla ricorrente di conoscere le motivazioni della decisione impugnata né per permettere al Tribunale di esercitare il proprio sindacato.

194.
    Le censure delle ricorrenti relative alla motivazione della decisione impugnata non sono pertanto fondate.

195.
    Risulta da quanto precede che i motivi dedotti dalle ricorrenti non sono fondati. Il loro ricorso va quindi respinto.

Sulle spese

196.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

197.
    Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti devono essere condannate in solido alle spese della Commissione e degli intervenienti, comprese quelle relative al procedimento sommario, secondo le conclusioni delle dette parti.

198.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    Le ricorrenti sopporteranno le proprie spese nonché, in solido, quelle sostenute dalla Commissione e dagli intervenienti TNC Kazchrome et Alloy 2000, comprese le spese relative al procedimento sommario.

3)    Il Regno di Spagna, interveniente, sopporterà le proprie spese.

Forwood
Pirrung
Mengozzi

Meij

Vilaras

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 luglio 2003.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

N. Forwood


1: Lingua processuale: il francese.