Language of document : ECLI:EU:T:2016:64

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

4 febbraio 2016 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario figurativo STICK MiniMINI Beretta – Marchio comunitario denominativo anteriore MINI WINI – Impedimento relativo alla registrazione – Assenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 216/96»

Nella causa T‑247/14,

Meica Ammerländische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen GmbH & Co. KG, con sede in Edewecht (Germania), rappresentata da S. Labesius, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da A. Poch, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Salumificio Fratelli Beretta SpA, con sede in Barzanò (Italia), rappresentata da G. Ghisletti, F. Braga e P. Pozzi, avvocati,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI del 14 febbraio 2014 (procedimento R 1159/2013‑4), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Meica Ammerländische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen GmbH & Co. KG e la Salumificio Fratelli Beretta SpA,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da S. Frimodt Nielsen (relatore), presidente, F. Dehousse e A.M. Collins, giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 aprile 2014,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 agosto 2014,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 agosto 2014,

vista la replica della ricorrente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 5 novembre 2014,

vista la controreplica dell’interveniente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 28 gennaio 2015,

visto che le parti non hanno presentato domanda di fissazione dell’udienza nel termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta ed avendo quindi deciso, su relazione del giudice relatore e in applicazione dell’articolo 135 bis del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 22 giugno 2011, la Salumificio Fratelli Beretta SpA, interveniente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1).

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti e i servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano, in particolare, nelle classi 29 e 43 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione:

–        classe 29: «Carne, pollame e selvaggina»;

–        classe 43: «Servizi di ristorazione (alimentazione)».

4        La domanda di marchio comunitario è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2011/139, del 26 luglio 2011.

5        Il 24 ottobre 2011, la Meica Ammerländische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen GmbH & Co. KG, ricorrente, ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009, avverso la registrazione del marchio richiesto per i prodotti e servizi indicati al precedente punto 3.

6        L’opposizione era fondata sul marchio comunitario denominativo anteriore MINI WINI, depositato il 31 luglio 2003 e registrato il 2 marzo 2005 con il numero 3297835.

7        I prodotti coperti dal marchio anteriore su cui si basa l’opposizione rientrano in particolare nella classe 29 e corrispondono alla descrizione seguente: «Carni e salumi, conserve di carne e d’insaccati, pesce, pollame e selvaggina, tutti anche pronti per il consumo, conservati, marinati e surgelati; estratti di carne; gelatine, gelatina di carne (gelatine); conserve di piatti pronti principalmente a base di verdura e/o carne e/o funghi e/o salumi e/o legumi e/o patate e/o crauti e/o frutta; ortaggi e conserve di funghi, minestre pronte per la cottura, minestre pronte per essere servite; pasta di verdure; conserve alimentari, spuntini, anche adatti per microonde; cibi pronti per essere cucinati e consumati, anche adatti per microonde, contenenti principalmente carni e salumi, pesce, pollame e selvaggina, funghi, ortaggi, legumi, patate e/o crauti; hot dog; salumi avvolti in impasti; insalate».

8        L’impedimento dedotto a sostegno dell’opposizione era quello di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

9        Con decisione del 30 aprile 2013, la divisione di opposizione ha parzialmente accolto l’opposizione nei confronti, in particolare, dei prodotti «carne, pollame e selvaggina» rientranti nella classe 29. Essa ha, da un lato, ritenuto che, per quanto riguarda il prodotto «salumi», unico prodotto per il quale la ricorrente aveva, a suo avviso, dimostrato l’uso effettivo del suo marchio, sussistesse un rischio di confusione tra i marchi in conflitto. Dall’altro lato, per quanto riguarda i servizi rientranti nella classe 43, essa ha respinto l’opposizione in quanto detti servizi e il prodotto per il quale l’uso del marchio era stato dimostrato non erano simili.

10      Il 21 giugno 2013, l’interveniente ha proposto un ricorso dinanzi all’UAMI, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009, avverso la decisione della divisione di opposizione.

11      Con decisione del 14 febbraio 2014 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la quarta commissione di ricorso dell’UAMI ha accolto il ricorso ed ha annullato integralmente la decisione della divisione di opposizione.

12      La commissione di ricorso ha, in primo luogo, dichiarato irricevibili le conclusioni della ricorrente volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione riguardo ai servizi rientranti nella classe 43, con la motivazione che esse ampliavano l’ambito del ricorso e non soddisfacevano le condizioni enunciate all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009. Essa ha ritenuto, in secondo luogo, per quanto riguarda i prodotti rientranti nella classe 29, che non sussistessero rischi di confusione tra i marchi in conflitto per il pubblico di riferimento, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, dato che, in particolare, la loro somiglianza si limitava all’elemento descrittivo «mini».

 Conclusioni delle parti

13      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

14      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

15      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese da essa sostenute.

 In diritto

16      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce due motivi, vertenti, il primo, su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 216/96 della Commissione, del 5 febbraio 1996, che stabilisce il regolamento di procedura delle commissioni di ricorso dell’UAMI (GU L 28, pag. 11), come modificato, e, il secondo, su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96

17      In via preliminare, si deve ricordare che l’interveniente ha proposto un ricorso dinanzi alla commissione di ricorso avverso la decisione della divisione di opposizione. Nell’ambito di tale ricorso, la ricorrente, in quanto convenuta, ha formulato nelle sue osservazioni di risposta conclusioni volte alla riforma di detta decisione riguardo ai servizi rientranti nella classe 43. La commissione di ricorso ha dichiarato tali conclusioni irricevibili.

18      Nel presente ricorso, la ricorrente contesta alla commissione di ricorso di aver violato l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 nel dichiarare irricevibili le sue conclusioni volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione. Infatti, in forza di tale disposizione, essa ricorda che, «nei procedimenti inter partes, la parte convenuta può formulare nella sua risposta delle conclusioni volte all’annullamento o alla riforma della decisione contestata relativamente ad un punto non sollevato nel ricorso» e che «[q]ueste conclusioni diventano prive di oggetto in caso di rinuncia del ricorrente». Inoltre, contrariamente a quanto la commissione di ricorso sembrerebbe suggerire al punto 21 della decisione impugnata, tale disposizione non contraddirebbe il regolamento n. 207/2009. Infine, la ricorrente ritiene che, se fossero state dichiarate ricevibili le sue conclusioni volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione, esse avrebbero avuto conseguenze sul merito.

19      L’UAMI riconosce l’esistenza di divergenze tra le commissioni di ricorso riguardo all’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96. A tale riguardo, esso richiama l’attenzione del Tribunale sulla sentenza del 7 aprile 2011, Intesa Sanpaolo/UAMI – MIP Metro (COMIT) (T‑84/08, Racc., EU:T:2011:144). Tuttavia, esso ritiene che non sia più necessario pronunciarsi su tale questione posto che, da un lato, le conclusioni presentate dalla ricorrente in merito ai servizi considerati non sarebbero state accolte nel merito e, dall’altro, i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

20      L’interveniente sostiene che la commissione di ricorso ha correttamente interpretato il regolamento n. 216/96 alla luce del regolamento n. 207/2009 e dichiarato irricevibili le conclusioni presentate dalla ricorrente nell’ambito delle sue osservazioni di risposta.

21      In primo luogo, occorre constatare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione di ricorso al punto 26 della decisione impugnata, il testo dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 non menziona assolutamente «domande» che si riferiscano a domande di prova dell’uso, di sospensione o di fissazione dell’udienza.

22      Secondo la giurisprudenza, dalla formulazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 risulta che, nell’ambito del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, la convenuta può, nelle sue osservazioni, esercitare il suo diritto di contestare la decisione che viene impugnata. La mera qualità di parte convenuta le consente quindi di contestare, in particolare, la validità di una decisione della divisione di opposizione. Inoltre, detta disposizione non limita tale diritto ai motivi già dedotti nel ricorso. Infatti, essa prevede che le conclusioni riguardino un punto non sollevato nel ricorso. Peraltro, detta disposizione non fa alcun riferimento al fatto che la parte convenuta avrebbe potuto essa stessa proporre un ricorso contro tale decisione. Così, detta decisione può essere contestata o mediante il ricorso autonomo, come previsto all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009, o mediante le conclusioni previste all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 (v., in tal senso, sentenza COMIT, punto 19 supra, EU:T:2011:144, punto 23).

23      In secondo luogo, contrariamente a quanto la commissione di ricorso ha erroneamente ritenuto, ammettere la ricevibilità delle conclusioni presentate dalla ricorrente nell’ambito delle sue osservazioni di risposta non equivale a consentire al convenuto dinanzi alla commissione di ricorso di proporre un ricorso senza rispettare il termine e senza pagare la tassa di ricorso di cui all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009.

24      Dal testo dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 risulta, infatti, chiaramente che la possibilità di formulare conclusioni volte all’annullamento o alla riforma della decisione contestata su un punto non sollevato nel ricorso è limitata ai procedimenti inter partes. Tali conclusioni devono essere formulate nelle osservazioni di risposta presentate nell’ambito di detti procedimenti. È per questo che, come sottolineato giustamente dalla ricorrente, tale disposizione prevede che siffatte conclusioni diventino prive di oggetto in caso di rinuncia del ricorrente dinanzi alla commissione di ricorso. Così, al fine di contestare una decisione della divisione di opposizione, il ricorso autonomo, come previsto dall’articolo 60 del regolamento n. 207/2009, è l’unico mezzo di ricorso che consente di far valere in modo certo le proprie contestazioni. Ne consegue che le conclusioni volte all’annullamento o alla riforma della decisione contestata su un punto non sollevato nel ricorso ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 si differenziano dal ricorso previsto all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009. Così, come fatto giustamente valere dalla ricorrente, le condizioni enunciate all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009 non si applicano a tali conclusioni.

25      Nella specie, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96, la ricorrente, in quanto convenuta dinanzi alla commissione di ricorso, ha presentato, nell’ambito delle sue osservazioni di risposta, e ciò, entro il termine impartito, conclusioni volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione riguardo ai servizi rientranti nella classe 43. Inoltre, com’è stato indicato ai precedenti punti 23 e 24, essa non era tenuta, in tale contesto, a rispettare il termine e a pagare la tassa di ricorso previsti all’articolo 60 del regolamento n. 207/2009. Di conseguenza, la commissione di ricorso ha erroneamente respinto dette conclusioni in quanto irricevibili.

26      Inoltre, per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente e dell’UAMI concernenti la fondatezza dell’argomentazione della ricorrente in merito ai servizi rientranti nella classe 43, si deve ricordare che il controllo che il Tribunale effettua ai sensi dell’articolo 65 del regolamento n. 207/2009 è un sindacato di legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dell’UAMI. Nell’ambito di tale sindacato, esso può annullare o riformare la decisione oggetto del ricorso se, al momento in cui essa è stata adottata, la medesima era viziata da uno dei motivi di annullamento o di riforma enunciati all’articolo 65, paragrafo 2, di tale regolamento (sentenza del 18 dicembre 2008, Les Éditions Albert René/UAMI, C‑16/06 P, Racc., EU:C:2008:739, punto 123). Tuttavia, tale potere di riforma riconosciuto al Tribunale non ha come effetto di conferire a quest’ultimo la facoltà di procedere ad una valutazione alla quale tale commissione non ha ancora proceduto (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, Racc., EU:C:2011:452, punti 71 e 72).

27      Pertanto, nella specie, non spetta al Tribunale valutare la fondatezza di un’argomentazione che non è stata valutata dalla commissione di ricorso.

28      In conclusione, si deve accogliere il primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 216/96 e, di conseguenza, annullare parzialmente la decisione impugnata, nella parte in cui essa ha respinto le conclusioni della ricorrente relative ai servizi rientranti nella classe 43.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

29      In via preliminare, si deve ricordare che il secondo motivo della ricorrente concerne il rigetto dell’opposizione per quanto riguarda i prodotti rientranti nella classe 29.

30      La ricorrente fa valere, sostanzialmente, che la commissione di ricorso è giunta erroneamente alla conclusione, innanzitutto, che il carattere distintivo del marchio comunitario anteriore non fosse superiore alla media, poi, che il livello di attenzione del pubblico di riferimento fosse medio e, infine, che non sussistessero rischi di confusione tra i marchi in conflitto.

31      L’UAMI e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

32      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, su opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

33      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento, tenendo conto di tutti i fattori che caratterizzano il caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, Racc., EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

34      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, Racc., EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

35      È alla luce di tali principi che occorre esaminare la valutazione della commissione di ricorso circa il rischio di confusione tra i segni in conflitto.

 Sul pubblico di riferimento

36      La ricorrente ritiene, innanzitutto, che, poiché i prodotti considerati sono poco costosi, il livello di attenzione del pubblico in occasione del loro acquisto sarà tenue. Essa ritiene, poi, che la commissione di ricorso abbia trascurato, nella sua valutazione, il pubblico italiano nonché il fatto che il consumatore aveva raramente la possibilità di procedere a un confronto diretto dei diversi marchi.

37      Secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, Racc., EU:T:2007:46, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

38      Qualora la protezione del marchio anteriore si estenda a tutta l’Unione europea, si deve prendere in considerazione la percezione dei marchi in conflitto che ha il consumatore dei prodotti o dei servizi di cui trattasi su tale territorio. Tuttavia, occorre ricordare che, per rifiutare la registrazione di un marchio comunitario, è sufficiente che un impedimento relativo alla registrazione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 esista in una parte dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, Racc., EU:T:2006:397, punto 76 e giurisprudenza ivi citata].

39      Nella specie, e come fatto valere giustamente dall’UAMI, la commissione di ricorso ha correttamente rilevato che, in quanto i prodotti considerati erano prodotti di largo consumo, il pubblico di riferimento era il consumatore medio dell’Unione, che si riteneva essere normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto [v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2007, Cabrera Sánchez/UAMI – Industrias Cárnicas Valle (el charcutero artesano), T‑242/06, EU:T:2007:391, punto 38].

40      Tale conclusione non può essere invalidata dagli argomenti della ricorrente. Infatti, la commissione di ricorso non ha assolutamente omesso di prendere in considerazione il pubblico italiano. Essa lo ha esplicitamente considerato al punto 39 della decisione impugnata, in cui ha indicato che il termine «mini» era compreso in tutta l’Unione, incluso in Italia, come a significare «piccolo». Parimenti, al punto 45 di tale decisione, dopo aver ricordato la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer (C‑342/97, Racc., EU:C:1999:323), essa ha correttamente rilevato che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il consumatore aveva raramente la possibilità di procedere a un confronto diretto dei diversi marchi, ma doveva fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne aveva mantenuto nella memoria.

41      Di conseguenza, occorre respingere gli argomenti della ricorrente riguardo al pubblico di riferimento.

 Sul confronto tra i prodotti

42      Secondo una costante giurisprudenza, per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi di cui trattasi, occorre tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra gli stessi. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità. Si può tenere conto anche di altri fattori quali, ad esempio, i canali di distribuzione dei prodotti in esame [v. sentenza dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, Racc., EU:T:2007:219, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

43      Nella specie, tutti i prodotti contrassegnati dal marchio richiesto sono coperti dal marchio anteriore. Di conseguenza, si deve giungere alla conclusione che i prodotti considerati sono identici a quelli del marchio anteriore, circostanza peraltro non contestata.

 Sul confronto tra i segni

44      La ricorrente sostiene che gli elementi dominanti dei segni di cui trattasi sono, da un lato, per il marchio richiesto, l’elemento «minimini» e, dall’altro, per il marchio anteriore, l’espressione «mini wini». Essa ritiene che tali segni siano molto simili poiché contengono entrambi il termine «mini» e hanno una pronuncia analoga, nei limiti in cui quella di tale termine è seguita da quella del gruppo di lettere «ini» in ognuno di detti segni. A suo avviso, tali due elementi creano, per ognuno dei marchi, una rima e sono, di conseguenza, più facilmente memorizzati e riconosciuti dal pubblico di riferimento. Essa contesta, poi, alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto del fatto che l’elemento «minimini» era l’elemento centrale del marchio richiesto a motivo della sua dimensione e della sua posizione prominenti. Infine, essa ritiene che, visivamente, la lettera «w» del marchio anteriore possa essere percepita come la lettera «m» all’inverso.

45      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che ha il consumatore medio dei prodotti o servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, Racc., EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

46      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e a paragonarla con un altro marchio. Occorre, invece, operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza UAMI/Shaker, punto 45 supra, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). È unicamente quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si potrà valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenze UAMI/Shaker, punto 45 supra, EU:C:2007:333, punto 42, e del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, EU:C:2007:539, punto 42). Ciò potrebbe verificarsi, segnatamente, quando tale componente può, da sola, dominare l’immagine di detto marchio che il pubblico di riferimento conserva nella memoria, di modo che tutte le altre componenti del marchio risultano trascurabili nell’impressione complessiva da questo prodotta (sentenza Nestlé/UAMI, cit., EU:C:2007:539, punto 43).

47      Inoltre, secondo la giurisprudenza, va osservato che, in linea generale, il pubblico non considererà un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione complessiva che tale marchio complesso produce [sentenza del 3 luglio 2003, Alejandro/UAMI – Anheuser Busch (BUDMEN), T‑129/01, Racc., EU:T:2003:184, punto 53; del 6 ottobre 2004, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection), da T‑117/03 a T‑119/03 e T‑171/03, Racc., EU:T:2004:293, punto 34, e del 7 luglio 2005, Miles International/UAMI – Biker Miles (Biker Miles), T‑385/03, Racc., EU:T:2005:276, punto 44].

 Sul confronto visivo

48      Innanzitutto, va ricordato che, per valutare il carattere distintivo di un elemento di un marchio, occorre esaminare la maggiore o minore attitudine di tale elemento a concorrere ad identificare i prodotti o i servizi per i quali il marchio è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese. In occasione di tale valutazione, vanno prese in considerazione, in particolare, le qualità intrinseche dell’elemento di cui trattasi, per accertare se esso sia o meno privo di qualsiasi carattere descrittivo dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato [v. sentenza del 13 giugno 2006, Inex/UAMI – Wiseman (Raffigurazione di una pelle di mucca), T‑153/03, Racc., EU:T:2006:157, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

49      Nella specie, si deve rilevare che i segni di cui trattasi contengono entrambi il termine «mini», che richiama una caratteristica dei prodotti considerati. Infatti, come correttamente analizzato dalla commissione di ricorso al punto 39 della decisione impugnata, tale termine fa riferimento alla piccola dimensione dei prodotti, circostanza che, peraltro, la ricorrente non contesta. Tale termine comporta, pertanto, una risonanza descrittiva ed è, di conseguenza, meno atto a contribuire all’identificazione dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata.

50      Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la ripetizione del termine «mini» nell’elemento «minimini» del marchio richiesto non ha per effetto di rendere detto elemento più distintivo. Infatti, anche supponendo che si debba analizzare tale elemento come un tutt’uno, come fatto valere dalla ricorrente, il pubblico di riferimento lo percepirà come la mera ripetizione del termine «mini». Tale pubblico non vedrà in esso altro che l’indicazione della dimensione molto piccola dei prodotti considerati. Detto pubblico non percepirà l’elemento di cui trattasi come un elemento distintivo.

51      Peraltro, in linea generale, il pubblico non considererà un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione complessiva che quest’ultimo produce. Tuttavia, il tenue carattere distintivo di un elemento di un marchio complesso non implica necessariamente che esso non possa costituire un elemento dominante, ove, segnatamente per la sua posizione nel segno o per le sue dimensioni, sia suscettibile di imporsi alla percezione del consumatore e di restare nella sua memoria (v., in tal senso, sentenza Raffigurazione di una pelle di mucca, punto 48 supra, EU:T:2006:157, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

52      Si deve quindi esaminare se l’elemento «minimini» del marchio richiesto possa imporsi come l’elemento dominante di detto marchio a motivo della sua dimensione o della sua posizione.

53      A tale riguardo, va ricordato che un marchio complesso può essere considerato simile ad un altro marchio, identico o simile ad una delle componenti del marchio complesso, solo se quest’ultima costituisce l’elemento dominante nell’impressione complessiva prodotta dal marchio complesso. Ciò si verifica quando tale componente può da sola dominare l’immagine di tale marchio che il pubblico di riferimento conserva in memoria, in modo tale che tutte le altre componenti del marchio risultino trascurabili nell’impressione complessiva da questo prodotta [sentenza del 23 ottobre 2002, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), T‑6/01, Racc., EU:T:2002:261, punto 33]. Così, è solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si potrà valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante.

54      Orbene, nella specie, si deve necessariamente constatare che, in considerazione delle parole «stick», «fratelli», «Beretta», «1812» e «gli originali» che lo circondano, l’elemento «minimini» non costituisce l’elemento dominante del marchio richiesto ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 53.

55      Certamente, come osservato dalla commissione di ricorso, le parole «fratelli», «1812» e «gli originali» del marchio richiesto attireranno di meno l’attenzione del pubblico di riferimento per la loro piccola dimensione, e l’elemento «stick» di detto marchio si fonderà nell’impressione complessiva per il pubblico anglofono, che lo intenderà come descrittivo della forma dei prodotti considerati.

56      Tuttavia, l’attenzione del pubblico sarà richiamata dall’elemento «beretta» del marchio richiesto, che, contrariamente al termine «mini», è privo di significato nelle lingue pertinenti. Si deve precisare, al pari della commissione di ricorso al punto 41 della decisione impugnata, che la circostanza che il consumatore medio italiano possa riconoscere tale elemento come un patronimico non è rilevante dato che esso non ha equivalenti nel segno anteriore e non ha alcuna somiglianza con esso. Si deve osservare che tale elemento è iscritto in bianco all’interno di un ovale scuro, circostanza che lo fa risaltare visivamente.

57      Pertanto, l’insieme degli elementi che compongono il marchio richiesto, e più in particolare l’elemento «beretta», contribuiscono a determinare l’immagine di detto marchio che il pubblico di riferimento conserva nella memoria e non sono, di conseguenza, trascurabili. Si deve, quindi, ritenere che il confronto visivo tra i segni di cui trattasi debba essere effettuato sulla base dell’insieme dei loro elementi e non unicamente sulla base degli elementi «minimini», per tale marchio, e «mini wini», per il marchio anteriore.

58      In considerazione di quanto precede, si deve confermare la decisione impugnata nella parte in cui giunge alla conclusione, al suo punto 41, che i segni di cui trattasi presentano solo una tenue somiglianza visiva.

59      Peraltro, anche supponendo che la lettera «w» del marchio anteriore possa essere percepita come una lettera «m» all’inverso, tale argomento della ricorrente non inciderebbe sull’asserito carattere dominante dell’elemento «minimini» del marchio richiesto e non può accrescere il grado di somiglianza tra i segni di cui trattasi.

 Sul confronto fonetico

60      Per quanto riguarda il confronto fonetico, si deve accogliere la constatazione della commissione di ricorso secondo la quale esiste una tenue somiglianza tra i segni di cui trattasi.

61      Infatti, occorre constatare, al pari di ciò che la commissione di ricorso ha ritenuto al punto 42 della decisione impugnata, che il pubblico di riferimento concentrerà la sua attenzione sull’elemento «beretta» del marchio richiesto, che è più distintivo, e, in una certa misura, sull’elemento «stick» di detto marchio per la parte del pubblico che non comprende il suo significato. Orbene, questi due elementi non hanno equivalenti nel marchio anteriore. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, i segni di cui trattasi non si pronunciano allo stesso modo.

62      Ne consegue che la commissione di ricorso ha ritenuto correttamente che la somiglianza fonetica tra i segni di cui trattasi fosse tenue.

 Sul confronto concettuale

63      Per quanto riguarda il confronto concettuale, la commissione di ricorso ha ritenuto correttamente che i segni di cui trattasi presentino solo una tenue somiglianza dato che hanno in comune solo il termine «mini», il quale descrive unicamente una caratteristica dei prodotti considerati.

64      Di conseguenza, si deve giungere alla conclusione che la commissione di ricorso ha ritenuto correttamente che i segni di cui trattasi presentavano una tenue somiglianza sul piano concettuale.

 Sul rischio di confusione

65      La ricorrente contesta alla commissione di ricorso di non aver dedotto dalle prove da essa fornite il carattere distintivo accresciuto acquisito dal marchio anteriore. Essa le contesta, altresì, di non essersi sufficientemente concentrata sul consumatore italiano nella sua valutazione. Essa ritiene, inoltre, che il pubblico di riferimento tenderà ad abbreviare il marchio richiesto nel momento in cui memorizzerà o nominerà i prodotti considerati. Essa ritiene, ancora, che le parole «stick», «gli originali» e «fratelli beretta 1812» del marchio richiesto non saranno percepite come elementi importanti quanto l’elemento «minimini» di detto marchio. Infatti, a suo avviso, quest’ultimo elemento, oltre a non avere alcun significato, è l’elemento più leggibile di detto marchio. Così, la commissione di ricorso avrebbe dovuto considerare l’elemento di cui trattasi come quello maggiormente dominante nell’impressione complessiva che il marchio richiesto produce o avrebbe dovuto, quantomeno, riconoscere la sua posizione distintiva autonoma. La commissione di ricorso avrebbe, di conseguenza, commesso un errore nell’escludere la sussistenza di un rischio di confusione.

66      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti designati può essere compensato da un grado elevato di somiglianza tra i marchi, e viceversa (sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, Racc., EU:C:1998:442, punto 17, nonché VENADO con riquadro e a., punto 38 supra, EU:T:2006:397, punto 74).

67      Per quanto riguarda gli elementi di prova presentati dalla ricorrente, va ricordato che l’esistenza di un carattere distintivo superiore al normale, a motivo della conoscenza del marchio sul mercato presso il pubblico, presuppone necessariamente che tale marchio sia conosciuto almeno da una parte significativa del pubblico interessato [v. sentenza del 12 luglio 2006, Vitakraft‑Werke Wührmann/UAMI – Johnson’s Veterinary Products (VITACOAT), T‑277/04, Racc., EU:T:2006:202, punto 34 e giurisprudenza ivi citata]. Nella specie, è stato accertato che il pubblico di riferimento è il consumatore dell’Unione.

68      Per valutare se un marchio goda di un elevato carattere distintivo a motivo della sua conoscenza presso il pubblico, occorre prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti del caso, ossia, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l’estensione geografica e la durata del suo uso, la consistenza degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo, la quota degli ambienti interessati che identifica i prodotti o i servizi come provenienti da una determinata impresa grazie al marchio, così come le dichiarazioni delle camere di commercio e dell’industria o di altre associazioni professionali (v. sentenza VITACOAT, punto 67 supra, EU:T:2006:202, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

69      Nella specie, la ricorrente ha presentato dinanzi alla commissione di ricorso gli stessi elementi di prova di quelli presentati dinanzi alla divisione di opposizione. Tali elementi di prova sono i seguenti:

–        un’attestazione del direttore generale della ricorrente, indicante i volumi di vendita e il fatturato degli anni dal 2006 al 2009;

–        copie di etichette di prodotti;

–        una lettera dell’agenzia di comunicazione della ricorrente, riguardante le somme destinate alla pubblicità televisiva tra il 2005 e il 2009 (da EUR 358 700 a EUR 476 300, da 668 a 934 spot per anno);

–        opuscoli promozionali di prodotti di salumeria;

–        un CD contenente esempi di pubblicità televisiva;

–        fatture e buoni d’ordine per prodotti identificati come prodotti di salumeria commercializzati con il marchio MINI WINI;

–        copie di schermate di siti Internet di venditori al dettaglio di prodotti alimentari on line che offrono prodotti di salumeria commercializzati con il marchio MINI WINI;

–        un estratto del registro del Deutsche Patent- und Markemamt (Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi) riguardante il marchio denominativo MINI WINI;

–        copie di schermate di un sito Internet con una pubblicità per prodotti di salumeria commercializzati con il marchio MINI WINI;

–        una copia di una fotografia dei prodotti della ricorrente in un vaso e una dichiarazione della ricorrente su diversi aspetti dei suoi prodotti, nonché sui loro ingredienti.

70      Si deve innanzitutto rilevare che gli elementi di prova riguardanti i volumi di vendita e il materiale pubblicitario del marchio anteriore non possono essere considerati come prove dirette dell’esistenza di un carattere distintivo superiore a causa dell’eventuale conoscenza del marchio da parte del pubblico. Infatti, i volumi di vendita e il materiale pubblicitario, in quanto tali, non dimostrano che il pubblico interessato dai prodotti considerati percepisca il segno come un’indicazione di origine commerciale [v., per analogia, sentenza del 12 settembre 2007, Glaverbel/UAMI (Struttura di una superficie di vetro), T‑141/06, EU:T:2007:273, punto 41].

71      Per quanto riguarda, poi, la produzione e la trasmissione di spot televisivi, la ricorrente ha prodotto, in particolare, una lettera di un’agenzia di comunicazione indicante, sotto forma di una tabella, il numero di trasmissioni di spot televisivi che promuovevano i prodotti del marchio anteriore tra il 2005 e il 2009 nonché le spese ad essi destinate. Da tale tabella risulta che, per detto periodo, gli spot televisivi di cui trattasi hanno raggiunto un livello da 668 a 934 trasmissioni per anno e hanno richiesto spese tra EUR 358 700 ed EUR 476 300 per anno. Tali cifre, sebbene pertinenti, non consentono di giungere alla conclusione che il marchio anteriore sia conosciuto da almeno una parte significativa del pubblico interessato. Certamente, tali cifre costituiscono un indizio. Tuttavia, esse non sono sufficienti, da sole, a dimostrare l’acquisizione di un carattere distintivo superiore alla media, in quanto non sono suffragate, in particolare, da elementi che indichino che gli spot televisivi di cui trattasi abbiano avuto un effetto presso il pubblico interessato dal marchio anteriore [v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2009, Lange Uhren/UAMI (Campi geometrici sul quadrante di un orologio), T‑152/07, EU:T:2009:324, punto 145 e giurisprudenza ivi citata].

72      Infine, si deve constatare che la ricorrente non ha presentato alcuna prova, come sondaggi d’opinione, indagini di mercato o dichiarazioni di associazioni professionali, indicante la quota del pubblico di riferimento che, a motivo di tale marchio, identifica i prodotti in quanto provenienti dalla ricorrente. Inoltre, come rilevato dalla commissione di ricorso, le prove presentate non forniscono alcuna indicazione circa la quota di mercato detenuta dalla ricorrente.

73      La commissione di ricorso ha, di conseguenza, giustamente ritenuto, al punto 50 della decisione impugnata, che, sebbene gli elementi di prova presentati mostrassero un uso del marchio anteriore in Germania per salumi, essi non consentivano di giungere alla conclusione che il livello di carattere distintivo di tale marchio fosse superiore alla media. Infatti, il fatto che un marchio sia stato utilizzato nell’Unione da un certo numero di anni non è sufficiente, in quanto tale, a dimostrare che il pubblico di riferimento identifichi i prodotti come provenienti da un’impresa determinata grazie a detto marchio.

74      Da quanto precede, risulta che occorre respingere le affermazioni della ricorrente riguardo al maggiore carattere distintivo che avrebbe il marchio anteriore. Così, è correttamente che la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 47 della decisione impugnata, che, a motivo dell’assenza di significato del segno MINI WINI considerato nel suo complesso, il carattere distintivo intrinseco del marchio anteriore fosse medio.

75      Peraltro, si deve ricordare che, quando il marchio anteriore è un marchio comunitario, il territorio pertinente per l’analisi del rischio di confusione è costituito da tutta l’Unione. Così, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la commissione di ricorso non è incorsa in errori nel non concentrarsi maggiormente sul pubblico italiano. Si deve ricordare inoltre che, com’è stato precedentemente constatato, il pubblico di riferimento, ivi compreso il pubblico italiano, comprenderebbe l’elemento «minimini» del marchio richiesto come la mera ripetizione del termine «mini».

76      Inoltre, sebbene sia certamente possibile abbreviare un marchio [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Monster Energy/UAMI – Balaguer (icexpresso + energy coffee), T‑61/14, EU:T:2015:750, punto 55 e giurisprudenza ivi citata], è stato, tuttavia, già constatato, ai precedenti punti 56 e 61, che l’elemento «minimini» del marchio richiesto era meno distintivo dell’elemento «Beretta» dello stesso e attirava così meno l’attenzione del pubblico di riferimento. Si devono, quindi, respingere gli argomenti della ricorrente riguardo alla tendenza del consumatore ad abbreviare il marchio richiesto, tendendo a mente solo l’elemento «minimini» ed ignorando gli altri elementi.

77      Infine, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’elemento «minimini» del marchio richiesto non è l’unico elemento testuale perfettamente leggibile ai sensi della sentenza del 20 ottobre 2009, Aldi Einkauf/UAMI – Goya Importaciones y Distribuciones (4 OUT Living) (T‑307/08 Racc., EU:T:2009:409). Infatti, com’è stato constatato ai precedenti punti 56 e 61, l’elemento «beretta» di tale marchio non è meno percepibile dell’elemento «minimini» dello stesso. Si deve, quindi, respingere l’argomento della ricorrente.

78      Si deve parimenti constatare, in considerazione di tutto quanto precede, che il segno richiesto non è costituito dalla giustapposizione della denominazione dell’impresa dell’interveniente e del marchio anteriore utilizzato praticamente in modo identico. Così, contrariamente a quanto fa valere la ricorrente, non è stato dimostrato che l’elemento «minimini» del marchio richiesto occupava una posizione distintiva autonoma ai sensi della sentenza del 6 ottobre 2005, Medion (C‑120/04, Racc., EU:C:2005:594).

79      In conclusione, si deve rilevare, in primo luogo, che il livello di attenzione del pubblico di riferimento per i prodotti considerati è medio. In secondo luogo, il marchio anteriore ha un carattere distintivo intrinseco medio per i motivi esposti al precedente punto 74. In terzo luogo, si deve ricordare che i prodotti contrassegnati dai segni di cui trattasi sono identici. In quarto luogo, dai precedenti punti da 44 a 64 risulta che tali segni presentano un tenue grado di somiglianza sul piano visivo, fonetico e concettuale.

80      Da tutte queste considerazioni risulta che la commissione di ricorso è giunta correttamente alla conclusione che non sussistevano rischi di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e che non era, pertanto, necessario esaminare la prova dell’uso.

81      Occorre, pertanto, respingere il secondo motivo della ricorrente.

82      Da quanto precede discende che occorre annullare la decisione impugnata nella parte in cui la commissione di ricorso ha respinto le conclusioni della ricorrente volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione riguardo ai servizi rientranti nella classe 43.

 Sulle spese

83      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Nel caso di specie, poiché entrambe le parti sono rimaste parzialmente soccombenti, occorre condannare ciascuna delle parti a sopportare le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) del 14 febbraio 2014 (procedimento R 1159/2013‑4) è annullata nella parte in cui respinge le conclusioni della Meica Ammerländische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen GmbH & Co. KG volte alla riforma della decisione della divisione di opposizione riguardo ai servizi rientranti nella classe 43.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Meica Ammerländische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen GmbH & Co. KG, l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) e la Salumificio Fratelli Beretta SpA sopporteranno le proprie spese.

Frimodt Nielsen

Dehousse

Collins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 febbraio 2016.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.