CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
LAILA MEDINA
presentate il 15 settembre 2022 (1)
Causa C‑407/21
Union fédérale des consommateurs – Que choisir (UFC – Que choisir),
Consommation, logement et cadre de vie (CLCV)
contro
Premier ministre,
Ministre de l’Économie, des Finances et de la Relance
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 267 TFUE – Direttiva (UE) 2015/2302 – Pacchetti turistici e servizi turistici collegati – Risoluzione del contratto di pacchetto turistico – Circostanze inevitabili e straordinarie – COVID-19 – Natura del rimborso dei pagamenti effettuati dal viaggiatore per il pacchetto turistico – Rimborso in denaro o per equivalente sotto forma di buono – Deroga temporanea all’obbligo dell’organizzatore di rimborsare il viaggiatore entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico»
Introduzione
1. L’11 marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (in prosieguo: l’«OMS») ha qualificato l’epidemia di COVID-19 come «pandemia». Nelle sue dichiarazioni di apertura dell’incontro con la stampa concernente il COVID-19, della stessa data, il direttore generale dell’OMS ha riconosciuto che la pandemia di COVID-19 «non è soltanto una crisi sanitaria pubblica, è una crisi che colpirà tutti i settori (…)». Infatti, la pandemia e le misure di emergenza adottate dai governi in tutto il mondo per prevenire la diffusione del virus hanno causato perturbazioni senza precedenti. Il filosofo Edgar Morin ha scritto che, sebbene tale pandemia non sia la prima nella storia dell’uomo, la sua «novità radicale» risiede nel fatto che essa ha provocato una «megacrisi» costituita da una combinazione di crisi politiche, economiche, sociali, ecologiche, nazionali [e] globali (…) (2). La pandemia ha rappresentato una grande sfida anche per il diritto. Un commentatore ha giustamente osservato che essa costituisce uno «stress-test» (3) per il diritto dei contratti, poiché può «porre duramente alla prova la capacità del diritto vigente di offrire mezzi idonei per rispondere» alle sue conseguenze (4).
2. Tra i settori più gravemente e direttamente colpiti dalla pandemia di COVID-19 figura il settore turistico. L’impatto economico è «senza precedenti», tenuto conto del fatto che il turismo costituisce la terza maggiore categoria di esportazioni, rappresentando il 7% del commercio mondiale nel 2019, e che «tutti gli elementi della sua vasta catena di valore sono stati colpiti» (5). I confinamenti, i coprifuoco, i divieti di viaggio e la chiusura delle frontiere hanno limitato notevolmente il concetto alla base del viaggio, ossia la libertà di circolazione. Per effetto delle restrizioni adottate dai governi al fine di contenere la diffusione del virus, le attività degli organizzatori di pacchetti turistici, dei trasportatori e delle imprese nel settore turistico hanno subito, in generale, un blocco immediato. Inoltre, tali soggetti hanno dovuto misurarsi con un’ondata di cancellazioni e richieste di rimborso.
3. La presente causa verte, più precisamente, sulla questione dell’adozione di misure nazionali che prevedono deroghe temporanee alla normativa sulla tutela dei consumatori in materia di contratti di pacchetto turistico. Le misure controverse hanno permesso agli organizzatori di pacchetti turistici, in particolare, di emettere buoni anziché rimborsi al fine di gestire i loro problemi immediati di liquidità. Tenuto conto del contesto di crisi sanitaria, la presente causa va oltre l’individuazione di diritti previsti dalla normativa dell’Unione in materia di consumo. Essa solleva la questione degli eventuali limiti dell’adeguatezza del quadro normativo esistente ad affrontare la pandemia di COVID-19. Essa concerne altresì la portata dei poteri di emergenza degli Stati membri nell’ambito di uno «stato di emergenza pandemico» (6).
Contesto normativo
Diritto dell’Unione europea
Direttiva (UE) 2015/2302
4. I considerando 31 e 40 della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (GU 2015, L 326, pag. 1), sono così formulati:
«(31) I viaggiatori (...) [d]ovrebbero inoltre avere il diritto di risolvere il contratto di pacchetto turistico senza corrispondere spese di risoluzione qualora circostanze inevitabili e straordinarie abbiano un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto. Ciò può riguardare ad esempio conflitti armati, altri gravi problemi di sicurezza quali terrorismo, rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio o calamità naturali come inondazioni, terremoti o condizioni meteorologiche che impediscono di viaggiare in modo sicuro verso la destinazione come stabilito nel contratto di pacchetto turistico.
(…)
(40) Affinché la protezione in caso d’insolvenza sia efficace, essa dovrebbe coprire l’importo prevedibile dei pagamenti che hanno subito le conseguenze dell’insolvenza di un organizzatore e, se applicabile, il costo prevedibile per i rimpatri (...). Tuttavia, un’efficace protezione in caso d’insolvenza non dovrebbe tenere conto di rischi estremamente remoti come, ad esempio, l’insolvenza simultanea di vari organizzatori principali, laddove così facendo si inciderebbe in misura sproporzionata sui costi della protezione, pregiudicandone l’efficacia. In tal caso la garanzia di rimborso può essere limitata».
5. L’articolo 3, punto 12, di tale direttiva definisce la nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» come «una situazione fuori dal controllo della parte che invoca una tale situazione e le cui conseguenze non sarebbero state evitate nemmeno adottando tutte le ragionevoli misure».
6. L’articolo 4 della direttiva 2015/2302, rubricato «Livello di armonizzazione», così dispone:
«Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o introducono nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al viaggiatore un livello di tutela diverso».
7. L’articolo12 della direttiva 2015/2302 prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri assicurano che il viaggiatore possa risolvere il contratto di pacchetto turistico in ogni momento prima dell’inizio del pacchetto. In caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico da parte del viaggiatore ai sensi del presente paragrafo, il viaggiatore può essere tenuto a pagare all’organizzatore spese di risoluzione adeguate e giustificabili. (…)
2. Fatto salvo il paragrafo 1, il viaggiatore ha diritto di risolvere il contratto di pacchetto turistico prima dell’inizio del pacchetto senza corrispondere spese di risoluzione in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione. In caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico ai sensi del presente paragrafo, il viaggiatore ha diritto al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare.
3. L’organizzatore può risolvere il contratto di pacchetto turistico e offrire al viaggiatore il rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non è tenuto a versare un indennizzo supplementare se:
(…)
b) l’organizzatore non è in grado di eseguire il contratto a causa di circostanze inevitabili e straordinarie e comunica la risoluzione del medesimo al viaggiatore senza indebito ritardo prima dell’inizio del pacchetto.
4. L’organizzatore procede a tutti i rimborsi prescritti a norma dei paragrafi 2 e 3 oppure, con riguardo al paragrafo 1, rimborsa qualunque pagamento effettuato da o per conto del viaggiatore per il pacchetto dopo aver detratto le opportune spese di risoluzione. Tali rimborsi sono effettuati al viaggiatore senza indebito ritardo e in ogni caso entro 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico.
(…)».
8. L’articolo 17 della direttiva 2015/2302, intitolato «Efficacia e portata della protezione in caso d’insolvenza», è così formulato:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché gli organizzatori stabiliti sul loro territorio forniscano una garanzia per il rimborso di tutte le somme pagate da o per conto dei viaggiatori nella misura in cui i servizi pertinenti non sono eseguiti a causa dello stato di insolvenza dell’organizzatore (...).
(…)
2. La garanzia di cui al paragrafo 1 è effettiva e copre costi ragionevolmente prevedibili (…).
(…)».
9. L’articolo 23 della direttiva 2015/2302, rubricato «Carattere imperativo della direttiva», ai suoi paragrafi 2 e 3 così dispone:
«2. I viaggiatori non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle norme nazionali che recepiscono la presente direttiva.
3. Eventuali clausole contrattuali o dichiarazioni del viaggiatore che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalla presente direttiva o il cui scopo sia eludere l’applicazione della presente direttiva non vincolano il viaggiatore».
Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali
10. Le ricorrenti, Union fédérale des consommateurs – Que choisir (UFC – Que choisir) e Consommation, logement et cadre de vie (CLCV), sono associazioni di consumatori francesi. Esse contestano la legittimità di diversi atti, fra i quali l’ordonnance n. 2020-315 du 25 mars 2020 relative aux conditions financières de résolution de certains contrats de voyages touristiques et de séjours en cas de circonstances exceptionnelles et inévitables ou de force majeure (ordinanza n. 2020-315 del 25 marzo 2020, relativa alle condizioni finanziarie di risoluzione di alcuni contratti di viaggi turistici e soggiorni in caso di circostanze inevitabili e straordinarie o di forza maggiore; in prosieguo: «l’ordinanza impugnata»).
11. L’ordinanza impugnata è stata adottata sul fondamento della delega conferita al governo francese dalla loi du 23 mars 2020 d’urgence pour faire face à l’épidémie de COVID-19 (legge del 23 marzo 2020 sulle misure urgenti per rispondere all’epidemia di COVID-19) «al fine di far fronte alle conseguenze economiche, finanziarie e sociali della diffusione dell’epidemia di COVID-19 e alle conseguenze delle misure prese per limitare tale diffusione, e segnatamente per prevenire e limitare la cessazione di attività delle persone fisiche e giuridiche che esercitano un’attività economica e delle associazioni nonché la sua incidenza sull’occupazione».
12. L’articolo 1, paragrafo II, dell’ordinanza impugnata prevede una deroga a talune disposizioni dell’articolo L.211-14 del code du tourisme (codice del turismo), che recepisce l’articolo 12, paragrafi da 1 a 4, della direttiva 2015/2302. Esso prevede che, se un contratto di vendita di viaggi e soggiorni è risolto tra il 1° marzo 2020 e il 15 settembre 2020, «l’organizzatore o il rivenditore può offrire, al posto del rimborso di tutti i pagamenti effettuati, un buono», di importo pari a quello di tutti i pagamenti effettuati in base al contratto risolto. Detta offerta deve essere formulata al più tardi entro un periodo di tre mesi a decorrere dalla notifica della risoluzione del contratto ed è valida per un periodo di 18 mesi. Solo alla scadenza di tale periodo di 18 mesi, e qualora il cliente non accetti una prestazione identica o equivalente a quella prevista dal contratto risolto che gli è stata offerta, il professionista è tenuto a rimborsargli tutti i pagamenti effettuati.
13. Il giudice del rinvio precisa che le disposizioni dell’ordinanza impugnata sono state adottate a tutela della liquidità e della solvibilità dei prestatori di servizi rientranti nell’ambito di applicazione di tale ordinanza, in un contesto nel quale oltre 7 000 operatori turistici registrati in Francia si trovavano in grave difficoltà. Infatti, a causa della pandemia di COVID-19, che aveva colpito simultaneamente non solo la Francia e la maggior parte dei paesi europei, ma anche quasi tutti i continenti, gli operatori turistici dovevano far fronte ad un numero senza precedenti di disdette e all’assenza di nuove prenotazioni. In tali circostanze, il rimborso immediato di tutte le prestazioni disdette era tale da mettere a rischio gli operatori economici interessati e, di conseguenza, la possibilità per i clienti di ottenere il rimborso dei pagamenti effettuati.
14. Il giudice del rinvio indica altresì che l’importo dei buoni emessi dagli operatori turistici francesi al 15 settembre 2020, data in cui l’ordinanza controversa ha cessato di produrre i suoi effetti, ammontava a circa EUR 990 milioni, cifra che rappresenta circa il 10% del fatturato del settore in un’annata normale.
15. Secondo le osservazioni presentate dalle ricorrenti al giudice del rinvio, le disposizioni dell’ordinanza impugnata violano l’articolo 12 della direttiva 2015/2302. Tale articolo prevede che, in caso di risoluzione di un contratto di pacchetto turistico, il viaggiatore ha diritto al rimborso integrale dei pagamenti effettuati in base a tale contratto entro un periodo di 14 giorni dalla sua risoluzione. Inoltre, le ricorrenti sostengono che tali disposizioni pregiudicano la libera concorrenza all’interno del mercato unico nonché l’obiettivo di armonizzazione della direttiva.
16. In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 12 della [direttiva 2015/2302], debba essere interpretato nel senso che obbliga l’organizzatore di un pacchetto turistico, in caso di risoluzione del contratto, a rimborsare in denaro tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto, oppure nel senso che consente un rimborso per equivalente, in particolare sotto forma di buono di importo pari a quello dei pagamenti effettuati.
2) Nell’ipotesi in cui tali rimborsi siano intesi come rimborso in denaro, se la crisi sanitaria legata all’epidemia di COVID-19 e le sue conseguenze sugli operatori turistici – i quali hanno subito, a causa di tale crisi, un calo di fatturato stimabile tra il 50 e l’80%, rappresentano oltre il 7% del prodotto interno lordo francese e, nel caso degli operatori di pacchetti turistici, occupano 30 000 dipendenti in Francia per un fatturato di circa EUR 11 miliardi – siano idonee a giustificare, e in caso affermativo a quali condizioni ed entro quali limiti, una deroga temporanea all’obbligo, per l’organizzatore, di rimborsare al viaggiatore tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto, previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della [direttiva 2015/2302].
3) In caso di risposta negativa alla questione precedente, se sia possibile, nelle circostanze appena ricordate, modulare gli effetti nel tempo di una decisione di annullamento di un atto di diritto interno contrario all’articolo 12, paragrafo 4, della [direttiva 2015/2302]».
17. L’Union fédérale des consommateurs – Que choisir (UFC – Que choisir) e la Consommation, logement et cadre de vie (CLCV), i governi belga, ceco, danese, francese, italiano, slovacco e finlandese, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione dei governi danese e finlandese, le stesse parti hanno partecipato all’udienza tenutasi il 1º giugno 2022.
Analisi
Prima questione
18. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 debba essere interpretato nel senso che impone all’organizzatore di un pacchetto turistico, in caso di risoluzione del contratto, di rimborsare in denaro tutti i pagamenti effettuati, oppure nel senso che consente un’alternativa, in particolare sotto forma di buono per un importo pari a quello dei pagamenti effettuati.
19. A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 12 della direttiva 2015/2302 enuncia i diritti e gli obblighi delle parti per quanto riguarda la risoluzione di un contratto di pacchetto turistico. Più precisamente, in caso di circostanze inevitabili e straordinarie, i paragrafi 2 e 3 di tale articolo consentono tanto al viaggiatore quanto all’organizzatore di risolvere il contratto di pacchetto turistico alle condizioni ivi previste. La risoluzione del contratto di pacchetto turistico fa sorgere l’obbligo dell’organizzatore di rimborsare integralmente tutti i pagamenti effettuati dal viaggiatore per il pacchetto turistico. Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 il rimborso è effettuato «senza indebito ritardo e in ogni caso entro 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico».
20. La direttiva 2015/2302 non definisce la nozione di «rimborso» né rinvia espressamente al diritto degli Stati membri a tale riguardo. In un caso del genere, dalle esigenze tanto dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto del principio della parità di trattamento discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione devono essere di norma oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme. A tal riguardo, risulta da costante giurisprudenza che la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto al contempo del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte (7).
21. In primo luogo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2015/2302, il «rimborso» riguarda i «pagamenti effettuati per il pacchetto». Ciò riflette il significato del termine «rimborso» nel linguaggio quotidiano, il quale fa riferimento a una somma di denaro che è restituita a qualcuno. In lingua inglese, il termine «refund» è utilizzato, più precisamente, quando il pagamento è dovuto «in particolare, al fatto che una persona ha pagato troppo o non è soddisfatta di un prodotto o di un servizio» (8). Questa connotazione del termine «rimborso» si rinviene in varie versioni linguistiche della disposizione (9).
22. Pertanto, il «rimborso» dei pagamenti non può essere inteso nel senso che permette all’organizzatore di optare per una forma di pagamento differito, quale un buono.
23. In secondo luogo, tale significato è confermato dal contesto in cui si inserisce l’articolo 12 della direttiva 2015/2302, che fa parte del capo III di tale direttiva. Nello stesso capo, l’articolo 11 della direttiva 2015/2302 disciplina la modifica di altre condizioni del contratto di pacchetto turistico. Tale articolo prevede, al suo paragrafo 2, che in talune circostanze, ivi compreso il caso in cui l’organizzatore sia costretto a modificare in modo significativo alcune delle caratteristiche principali dei servizi turistici di cui all’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della direttiva 2015/2302, il viaggiatore può accettare le modifiche proposte o risolvere il contratto senza corrispondere spese di risoluzione. Qualora risolva il contratto di pacchetto turistico, il viaggiatore può accettare un pacchetto sostitutivo, ove quest’ultimo sia offerto dall’organizzatore. L’articolo 11, paragrafo 5, della direttiva 2015/2302 prevede che, qualora il viaggiatore non accetti un pacchetto sostitutivo, l’organizzatore rimborsa tutti i pagamenti effettuati dal viaggiatore. Come sottolineato dal governo francese nelle sue osservazioni scritte, tale disposizione sarebbe priva di effetto se l’organizzatore potesse rilasciare al viaggiatore un buono anziché rimborsare i pagamenti effettuati. Ne discende che, nell’impianto sistematico della direttiva 2015/2302, il «rimborso» al viaggiatore comprende il suo diritto di ricevere pagamenti in denaro. Qualsiasi altra forma di pacchetto turistico sostitutivo o di buono non dovrebbe, quindi, essere considerata equivalente a un «rimborso».
24. Inoltre, l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 stabilisce che il rimborso deve essere effettuato «senza indebito ritardo e in ogni caso entro 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico». Come sottolineato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, in sostanza, da tale disposizione discende che il viaggiatore ha diritto di ricevere il denaro prontamente, per poterne disporre immediatamente e secondo la sua volontà.
25. Tale interpretazione è altresì corroborata dalla genesi dell’articolo 12 della direttiva 2015/2302, che si inserisce nel contesto della modernizzazione delle norme contenute nella direttiva 90/314 del Consiglio (10). L’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 90/314 prevedeva che, in caso di recesso del consumatore dal contratto a causa della modifica significativa di un elemento del contratto oppure in caso di annullamento da parte dell’organizzatore, per qualsiasi motivo tranne la colpa del consumatore, del servizio tutto compreso prima della partenza, il consumatore aveva diritto ad usufruire di un altro servizio tutto compreso oppure ad essere rimborsato quanto prima della totalità dell’importo pagato in applicazione del contratto. L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 prevede tuttavia una sola opzione, ossia il «rimborso» di tutti i pagamenti effettuati. Nulla suggerisce che tale «rimborso» possa essere sostituito, contro la volontà del viaggiatore, con un buono o un’altra alternativa al pagamento in denaro.
26. Altri strumenti legislativi nel settore dei diritti dei viaggiatori e dei consumatori prevedono espressamente il buono quale modalità di rimborso, ma soltanto come un’opzione per il viaggiatore. È il caso dei diritti dei passeggeri dei trasporti aerei previsti dal regolamento (CE) n. 261/2004 (11). L’articolo 7, paragrafo 3, di tale regolamento contempla due forme di compensazione pecuniaria: in contanti (mediante trasferimento bancario elettronico, con versamenti o assegni bancari) o, previo accordo firmato dal passeggero, con buoni di viaggio e/o altri servizi. Per quanto riguarda i diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario, l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1371/2007 (12) prevede che il risarcimento può essere effettuato mediante buoni e/o altri servizi se le condizioni sono flessibili (per quanto riguarda in particolare il periodo di validità e la destinazione). Il risarcimento è effettuato in denaro su richiesta del passeggero. Lo stesso diritto è riconosciuto anche ai passeggeri del trasporto marittimo ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 5, del regolamento n. 1177/2010 (13). Infine, nel settore dei diritti dei consumatori previsti dalla direttiva 2011/83/UE (14), risulta chiaramente dal considerando 46 di tale direttiva che il rimborso dei pagamenti effettuati dai consumatori non dovrebbe avvenire mediante buoni, salvo che il consumatore abbia utilizzato buoni nella transazione iniziale o ne abbia espressamente accettato l’uso.
27. Infine, l’interpretazione secondo cui il rimborso mediante un buono obbligatorio non è compatibile con l’articolo 12 della direttiva 2015/2302 è corroborata dall’obiettivo perseguito da tale direttiva. Come dichiarato nel considerando 7 della direttiva, la maggior parte dei viaggiatori che acquistano pacchetti sono consumatori ai sensi del diritto del consumo dell’Unione. La direttiva 2015/2302 è una misura che mira a garantire un livello elevato di protezione dei consumatori ai sensi del combinato disposto dell’articolo 169, paragrafo 1, dell’articolo 169, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 114, paragrafo 3, TFUE, interpretati alla luce dell’articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (15). Un’interpretazione ampia del termine «rimborso» al fine di includervi i buoni potrebbe pregiudicare tale obiettivo.
28. Il governo slovacco non concorda con quanto suggerito nelle presenti conclusioni. Esso sostiene che talune versioni linguistiche, tra le quali la versione inglese, distinguono tra il «refund» (rimborso) e il «reimbursement» (rimborso) dei pagamenti effettuati. A suo avviso, dall’uso di due termini diversi risulta che i «reimbursements» sono in denaro, mentre un «refund» può includere anche l’offerta di un buono (a discrezione dell’organizzatore). L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 menziona l’obbligo dell’organizzatore di procedere ai «refunds» prescritti a norma dei paragrafi 2 e 3 oppure, con riguardo al paragrafo 1, a «reimburse» qualunque pagamento effettuato dal viaggiatore per il pacchetto, dopo aver detratto le opportune spese di risoluzione. L’obbligo di procedere a un «refund» sorge all’atto della risoluzione del contratto di pacchetto turistico, anche in caso di circostanze inevitabili e straordinarie, ai sensi dell’articolo 12, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2015/2302. L’obbligo di effettuare «reimbursements» sorge quando il contratto di pacchetto turistico è risolto dal viaggiatore, a fronte del pagamento, se del caso, di spese di risoluzione adeguate e giustificabili.
29. Tuttavia, nulla nell’impiego dei termini «refund» e «reimbursement» suggerisce che l’organizzatore abbia il diritto di effettuare il rimborso sotto forma di buono obbligatorio. Come ho sottolineato al precedente paragrafo 21, il termine «refund» designa, in lingua inglese, il rimborso di un importo in denaro ed è utilizzato, segnatamente, quando la persona che chiede la restituzione del denaro non è soddisfatta di un prodotto o di un servizio.
30. In ogni caso, secondo costante giurisprudenza, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione della disposizione medesima, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche (16). Nelle versioni in lingua francese, greca o spagnola, l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 utilizza lo stesso termine per indicare il rimborso dei pagamenti ricevuti, indipendentemente dalla causa di risoluzione del contratto. Pertanto, l’uso di due termini soltanto in alcune versioni linguistiche non può condurre a una conclusione diversa da ciò che può essere chiaramente dedotto dal contesto e dalla finalità di tale direttiva.
31. Di conseguenza, ritengo che l’obbligo dell’organizzatore di rimborsare il viaggiatore conformemente all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 concerna soltanto un rimborso in denaro, ad esclusione di qualsiasi alternativa imposta dall’organizzatore, in particolare sotto forma di buono.
32. Il viaggiatore non può rinunciare al suo diritto al rimborso in denaro. Infatti, ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2015/2302, i viaggiatori non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle norme nazionali che recepiscono tale direttiva. Ciò premesso, il carattere imperativo della direttiva 2015/2302 non impedisce all’organizzatore di proporre al viaggiatore un buono facoltativo che egli è libero di accettare dopo il fatto generatore del diritto al rimborso. Come precisato nella raccomandazione 2020/648 della Commissione (17), l’offerta di un buono da parte dell’organizzatore «non priva (...) i viaggiatori del diritto al rimborso in denaro». Pertanto, un buono obbligatorio non è compatibile con il carattere imperativo della direttiva 2015/2302.
33. Alla luce di quanto precede, concludo che l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 deve essere interpretato nel senso che obbliga l’organizzatore di un pacchetto turistico, in caso di risoluzione del contratto, a rimborsare in denaro tutti i pagamenti effettuati e osta a che detto organizzatore imponga un’alternativa, in particolare sotto forma di buono di importo pari a quello di ogni pagamento effettuato. Tuttavia, tale disposizione non osta a che il viaggiatore opti per ricevere siffatto buono dopo il verificarsi del fatto generatore del diritto al rimborso.
Seconda questione
34. In caso di risposta affermativa alla prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la crisi sanitaria legata all’epidemia di COVID-19 e l’impatto straordinario da essa prodotto sul settore turistico giustifichino e, se sì, a quali condizioni ed entro quali limiti, una deroga all’obbligo dell’organizzatore di rimborsare al viaggiatore tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico, come previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.
35. Al fine di rispondere utilmente alla questione posta dal giudice del rinvio, esaminerò, in successione, diversi aspetti dell’impatto dell’emergenza sanitaria pubblica sulla portata e sull’esercizio dei diritti previsti dalla direttiva 2015/2302. La questione affrontata sotto il primo aspetto è se eventuali restrizioni alla libertà di circolazione adottate dagli Stati membri a causa della pandemia di COVID-19 possano giustificare una deroga all’obbligo di rimborso che incombe all’organizzatore. Il secondo aspetto mira a chiarire se la pandemia sia una situazione che esula dall’ambito di applicazione delle circostanze «inevitabili e straordinarie» di cui alla direttiva 2015/2302. Il terzo aspetto concerne l’applicabilità della direttiva 2015/2302 nel contesto di una pandemia. La questione affrontata sotto il quarto aspetto è se un’emergenza sanitaria pubblica possa giustificare una deroga a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione per causa di forza maggiore.
a) Restrizioni alle libertà di circolazione e impatto sui diritti e sugli obblighi discendenti dal diritto derivato dell’Unione
36. Una questione preliminare da affrontare per quanto concerne una possibile deroga al diritto dell’Unione alla luce della pandemia concerne l’impatto di eventuali restrizioni alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. La tutela della salute pubblica, dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza può giustificare la restrizione dei diritti e delle libertà previsti dal diritto dell’Unione in materia di libera circolazione delle persone (18). Ai sensi del codice frontiere Schengen, una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna può giustificare la reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere interne (19). Inoltre, «[i]n situazioni estremamente critiche uno Stato membro può ritenere necessario reintrodurre i controlli alle frontiere per far fronte al rischio rappresentato da una malattia contagiosa» (20). La tutela della salute pubblica, che rientra nella competenza degli Stati membri ai sensi dell’articolo 168, paragrafo 7, TFUE, può giustificare l’adozione di restrizioni aggiuntive alla libera circolazione. Siffatte restrizioni dovrebbero, tuttavia, «rispettare i principi del diritto dell’UE, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione» (21). Nel corso della pandemia, l’Unione si è impegnata per evitare l’impatto di misure unilaterali degli Stati membri, fonte di gravi perturbazioni per le imprese e i cittadini, e per garantire un maggiore coordinamento tra gli Stati membri (22).
37. La questione specifica sollevata dalla presente causa è se una deroga giustificata alla libera circolazione all’interno dell’Unione possa allo stesso modo giustificare deroghe aggiuntive a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione che presuppone l’esercizio del diritto alla libera circolazione. A tal riguardo, occorre ricordare che la direttiva 2015/2302 armonizza i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di pacchetto turistico per promuovere un effettivo mercato interno dei consumatori (23).
38. La pandemia di COVID-19 ha indotto gli Stati membri a reintrodurre controlli alle frontiere e ad adottare misure di salute pubblica che hanno avuto un impatto notevole sulla libera circolazione delle persone e dei servizi. In tali circostanze, si potrebbe sostenere che, se gli Stati membri possono eccezionalmente giustificare la limitazione della libertà di circolazione, essi dovrebbero poter adottare misure aggiuntive nel settore del diritto derivato armonizzato dell’Unione che presuppone la libera circolazione, al fine di far fronte all’«effetto domino» causato dalle restrizioni a tale libertà.
39. Tuttavia, qualora si ammetta un’eccezione così ampia, non prevista dai Trattati, ciò pregiudicherebbe gravemente il primato del diritto dell’Unione, il suo carattere vincolante e la sua applicazione uniforme. Portata alla sua estrema conseguenza logica, siffatta eccezione potrebbe implicare che, durante un’emergenza sanitaria pubblica, il diritto dell’Unione cessa di essere applicabile (24).
40. Per contro, sin dall’inizio della pandemia le istituzioni dell’Unione si sono adoperate per promuovere il coordinamento. Azioni unilaterali cui taluni Stati membri hanno fatto ricorso all’inizio della pandemia hanno progressivamente lasciato spazio a misure coordinate (25). Infatti, come sottolinea la Commissione in una delle sue comunicazioni sulla strategia dell’Unione per i vaccini, «[l]a risposta europea alla pandemia di COVID ha saputo essere incisiva grazie all’unità e al mantenimento in funzione del mercato unico» (26). Occorre altresì sottolineare che la risposta alla crisi del COVID-19 ai fini della ripresa ha dato vita al più grande pacchetto di stimolo di sempre, il NextGenerationEU.
41. Alla luce di quanto precede, ritengo che eventuali deroghe al diritto dell’Unione in materia di libera circolazione non possano giustificare deroghe a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione e, più in particolare, al diritto del viaggiatore di ricevere un rimborso, quale previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.
42. Dopo aver analizzato tale questione preliminare, esaminerò in che modo l’emergenza sanitaria pubblica provocata dalla pandemia di COVID-19 si inserisce nel sistema della direttiva 2015/2302.
b) «Circostanze inevitabili e straordinarie» e «forza maggiore»
43. La direttiva 2015/2302 prevede, all’articolo 12, paragrafo 2, il diritto del viaggiatore di risolvere il contratto senza corrispondere spese di risoluzione in caso di «circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione». Anche l’organizzatore può risolvere il contratto di pacchetto turistico, conformemente all’articolo 12, paragrafo 3, lettera b), di tale direttiva, quando, in particolare, esso non è in grado di eseguire il contratto a causa di «circostanze inevitabili e straordinarie». In ciascun caso, il viaggiatore ha diritto di ottenere il rimborso integrale dei pagamenti effettuati. Al fine di determinare il diritto del viaggiatore di ricevere un rimborso in conformità a tale direttiva nel contesto della pandemia di COVID-19 occorre quindi stabilire, anzitutto, se la pandemia debba essere considerata come rientrante, in generale, nella nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» (27).
44. La nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» è definita all’articolo 3, punto 12, della direttiva 2015/2302 come una «situazione fuori dal controllo della parte che invoca una tale situazione e le cui conseguenze non sarebbero state evitate nemmeno adottando tutte le ragionevoli misure». Il considerando 31 di tale direttiva fornisce alcuni esempi di eventi che rientrano in tale nozione, tra i quali figurano «rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio». La diffusione della pandemia di COVID-19 ha causato rischi significativi per la salute umana, non soltanto nella destinazione del viaggio di cui trattasi, ma a livello mondiale. Una pandemia risponde, in generale, agli elementi costitutivi della definizione di «circostanze inevitabili e straordinarie». Si tratta, infatti, di una situazione fuori dal controllo di chiunque e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nemmeno adottando tutte le ragionevoli misure.
45. Il governo francese sostiene tuttavia che la pandemia costituisce una situazione di forza maggiore che non può essere assimilata alle «circostanze inevitabili e straordinarie» previste dalla direttiva. Tale governo sostiene, in sostanza, che la portata straordinaria della pandemia di COVID-19 la rende una situazione che va oltre «circostanze inevitabili e straordinarie». I governi ceco, italiano e slovacco sostengono che la direttiva 2015/2302 non si applica alla pandemia di COVID-19. Pertanto, gli Stati membri restano competenti a prevedere obblighi contrattuali diversi da quelli di cui all’articolo 12, paragrafo 4, di tale direttiva.
46. A sostegno della sua posizione, il governo francese ricorda gli elementi costitutivi della nozione di forza maggiore, nella quale rientrano, conformemente alla giurisprudenza, «circostanze estranee a colui che l’invoca, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso» (28). Tale governo sostiene che la nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» non «sostituisce interamente» la nozione di forza maggiore, che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2015/2302.
47. A tal riguardo, il governo francese osserva che la nozione di forza maggiore non compare nell’articolo 12 della direttiva 2015/2302. Inoltre, esso sottolinea che la definizione della nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» ai sensi dell’articolo 3, punto 12, della direttiva 2015/2302 non è identica alla nozione di forza maggiore, poiché non esige che siffatte circostanze siano «anormali e imprevedibili». A suo avviso, una lettura combinata dell’articolo 12, paragrafo 4, e del considerando 31 della direttiva 2015/2302 consente di concludere che in tale direttiva rientrano eventi straordinari isolati e limitati nello spazio e nel tempo. Esso ritiene che la direttiva non contempli eventi straordinari di impatto e dimensioni mondiali. A suo avviso, una siffatta interpretazione è compatibile con l’effetto utile dell’articolo 12 della direttiva 2015/2302, il quale si fonda sul presupposto che l’organizzatore possa sopportare le conseguenze finanziarie della risoluzione del contratto a causa di circostanze inevitabili e straordinarie. L’applicazione di tale disposizione anche nel contesto di una pandemia che determini la paralisi dell’attività commerciale degli organizzatori di pacchetti turistici sarebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito da tale direttiva, ossia preservare la competitività delle imprese, garantendo al contempo un livello elevato di tutela dei consumatori.
48. A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, non avendo la nozione di forza maggiore il medesimo contenuto nei diversi settori d’applicazione del diritto dell’Unione, il suo significato deve essere determinato in funzione del contesto giuridico nel quale è destinata a produrre i suoi effetti (29). A mio avviso, nel contesto giuridico della direttiva 2015/2302 la nozione di forza maggiore rientra nella nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie».
49. Preliminarmente, come ho già rilevato, la pandemia soddisfa, in generale, gli elementi costitutivi della definizione di «circostanze inevitabili e straordinarie». Nulla nella direttiva 2015/2302 suggerisce che un evento rientrante in tale nozione debba nondimeno esserne escluso qualora sia di grandi dimensioni o particolarmente eccezionale. Non sono convinta che una conclusione diversa possa discendere dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2015/2302, che sancisce il diritto del viaggiatore di risolvere il contratto di pacchetto turistico in caso di «circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze». Infatti, tale parte della frase pone l’accento sulla necessità di esaminare la situazione nel luogo di esecuzione del pacchetto turistico, ossia il luogo di destinazione, per valutare l’esistenza di circostanze inevitabili e straordinarie. Questo esame non ha tuttavia lo scopo di escludere gli eventi che si verificano non soltanto nel luogo di destinazione, ma anche altrove.
50. Inoltre, mi sembra importante sottolineare che la Corte tratta con cautela i tentativi dei vettori di invocare una categoria distinta di eventi particolarmente eccezionali che consentirebbe loro di sottrarsi agli obblighi ad essi incombenti. A tal riguardo, citerò un esempio tratto dal settore dei diritti dei passeggeri dei trasporti aerei. Nella ben nota sentenza McDonagh (30), concernente l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull, la Corte ha statuito che il «regolamento n. 261/2004 non contiene alcun elemento che consenta di concludere che esso contempli una categoria distinta di eventi «particolarmente eccezionali», al di là delle «circostanze eccezionali» menzionate all’articolo 5, paragrafo 3, di tale regolamento, che esenterebbe il vettore aereo da tutti i suoi obblighi (…)» (31).
51. L’applicazione analogica del ragionamento svolto nella sentenza McDonagh (32) alla direttiva 2015/2302 indurrebbe a concludere che nulla in tale direttiva permette di ritenere che essa riconosca una categoria distinta di eventi al di là delle «circostanze inevitabili e straordinarie» di cui all’articolo 3, punto 12, della stessa. Ciò vale a maggior ragione in quanto tale direttiva, ai sensi del suo articolo 4, procede a un’armonizzazione completa dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto di pacchetto turistico.
52. Un’interpretazione della direttiva 2015/2302 nel senso che essa riconosce una categoria distinta di circostanze particolarmente eccezionali, come la pandemia di COVID-19, escluse dalla nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» potrebbe condurre a risultati contraddittori che comprometterebbero, in definitiva, la coerenza del sistema istituito dalla direttiva 2015/2302. Infatti, in presenza di un rischio per la salute umana nel luogo di destinazione del viaggio che incida sull’esecuzione del contratto di pacchetto turistico, le parti avrebbero il diritto di risolvere il contratto, ma rimarrebbero ad esso vincolate nel caso di rischio significativo per la salute umana causato dalla pandemia, nonostante l’esecuzione del pacchetto turistico ne risulti gravemente pregiudicata. Inoltre, l’organizzatore avrebbe diritto di rifiutare di pagare un risarcimento per danni qualora fosse dimostrato che il difetto di conformità nell’esecuzione del contratto di pacchetto turistico sia imputabile a «circostanze inevitabili e straordinarie» verificatesi nel luogo di destinazione del viaggio, conformemente all’articolo 14, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2015/2302, mentre non sarebbe legittimato a farlo in caso di pandemia.
53. Ciò mi induce a trarre la conclusione che l’interpretazione proposta dal governo francese avrebbe l’effetto di rimettere in discussione l’impianto e la finalità essenziale della direttiva 2015/2302, che è consentire ai viaggiatori e ai professionisti di beneficiare pienamente del mercato interno, assicurando al contempo un livello elevato di protezione dei consumatori (33). Inoltre, essa sarebbe fonte di una grave incertezza giuridica, poiché tenta di distinguere situazioni di forza maggiore, da un lato, e «circostanze inevitabili e straordinarie», dall’altro, senza che vi sia alcuna evidente delimitazione tra le due.
54. Tale interpretazione è altresì corroborata dalla genesi della direttiva 2015/2302. L’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 90/314 prevedeva la possibilità per l’organizzatore di annullare il servizio prima della partenza. In tal caso, il viaggiatore aveva diritto ad essere indennizzato dall’organizzatore, tranne nel caso in cui «l’annullamento, ad esclusione dell’eccesso di prenotazioni, [fosse] dovuto a cause di forza maggiore, ossia a circostanze esterne a chi le adduce, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non si sarebbero potute evitare nonostante ogni diligenza impiegata». Al viaggiatore non era attribuita una possibilità di risoluzione analoga. La direttiva 2015/2302 ha colmato tale lacuna e ha riconosciuto ai viaggiatori lo stesso diritto. Il legislatore ha quindi inteso conferire alle parti del contratto di pacchetto turistico diritti equivalenti in caso di «circostanze inevitabili e straordinarie». Nulla indica che l’intenzione fosse limitare il diritto di risoluzione di entrambe le parti del contratto escludendo la forza maggiore dalla nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie».
55. A tal riguardo, è importante sottolineare che, mentre la proposta legislativa della Commissione (34) impiegava i termini «circostanze inevitabili e straordinarie», il documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna tale proposta (35) utilizza in talune occasioni la nozione di forza maggiore (36). Inoltre, la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della direttiva 2015/2302 precisa che «[i]l concetto di “circostanze inevitabili e straordinarie” sostituisce il concetto di “forza maggiore” utilizzato nella direttiva del 1990» (37). Pertanto, ripercorrere la genesi della direttiva 2015/2302 corrobora la tesi secondo cui, nell’ambito della direttiva 2015/2302, la forza maggiore è una nozione equivalente a quella di «circostanze inevitabili e straordinarie».
56. Alla luce di quanto precede, concludo che, nel contesto specifico della direttiva 2015/2302, la nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» non esclude la pandemia quale situazione di forza maggiore.
c) Applicabilità della direttiva 2015/2302 nel contesto di una pandemia
57. I governi belga, ceco, slovacco e italiano non distinguono tra «circostanze inevitabili e straordinarie» e forza maggiore. Tuttavia, essi contestano, più in generale, l’applicabilità della direttiva 2015/2302 nel contesto di una pandemia. Essi sostengono, in sostanza, che tale direttiva riguarda circostanze inevitabili e straordinarie su scala locale e limitata, ad esclusione di una pandemia. Essi fondano tale argomento sul considerando 31 della direttiva 2015/2302, che menziona, tra gli esempi di circostanze inevitabili e straordinarie attributive del diritto di risolvere anticipatamente il contratto di pacchetto turistico, l’esistenza di «rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio» (38).
58. A mio avviso, dal considerando 31 non si può dedurre che il legislatore abbia inteso limitare l’applicabilità della direttiva 2015/2302 ad eventi su scala locale. Tale considerando fornisce soltanto un elenco esemplificativo di circostanze inevitabili e straordinarie. Esso sembra piuttosto condurre alla conclusione opposta rispetto a quella sostenuta dai summenzionati governi. Se la diffusione di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio costituisce un esempio di «circostanze inevitabili e straordinarie», ciò dovrebbe valere a maggior ragione per la diffusione di una grave malattia a livello mondiale. Lo stesso ragionamento può applicarsi con riferimento all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2015/2302, che sancisce il diritto del passeggero di risolvere il contratto di pacchetto turistico in caso di circostanze inevitabili e straordinarie «verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto». Se il viaggiatore dispone del diritto di risolvere il contratto in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi a livello locale e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto turistico, egli dovrebbe disporre dello stesso diritto, a fortiori, allorché tale situazione si verifichi su scala mondiale e abbia un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto.
59. Ciò premesso, il legislatore dell’Unione può prevedere diritti e obblighi differenti, per le parti, in caso di circostanze inevitabili e straordinarie, in funzione dell’entità delle perturbazioni. A tal riguardo, sottolineo che la direttiva 2015/2302 è stata adottata a seguito della crisi delle ceneri vulcaniche del 2010, che ha avuto un impatto significativo sul settore dei viaggi. Sebbene tale impatto non sia paragonabile a quello della pandemia di COVID-19, esso ha rappresentato un’opportunità, per il legislatore, di modificare la normativa di conseguenza. Ciò è avvenuto, ad esempio, per quanto concerne la limitazione della responsabilità dell’organizzatore per i costi dell’alloggio necessario per un periodo non superiore a tre notti per viaggiatore quando sia impossibile garantire il rientro del viaggiatore come concordato nel contratto di pacchetto turistico a causa di circostanze inevitabili e straordinarie [articolo 13, paragrafo 7, della direttiva 2015/2302. Pertanto, mi sembra ragionevole dedurne che, se l’intenzione del legislatore fosse stata limitare, escludere o disciplinare in modo diverso il diritto del viaggiatore di ricevere un rimborso entro 14 giorni dalla cancellazione del contratto in caso di circostanze inevitabili e straordinarie tali da determinare una certa quantità di perturbazioni, esso lo avrebbe fatto espressamente.
60. I governi ceco e slovacco hanno altresì sostenuto che l’obbligo dell’organizzatore di rimborsare il viaggiatore ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 non è applicabile, tenuto conto della portata limitata della protezione in caso d’insolvenza. L’articolo 17 della direttiva 2015/2302 prevede l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché gli organizzatori stabiliti sul loro territorio forniscano una garanzia per il rimborso di tutte le somme pagate da o per conto dei viaggiatori nella misura in cui i servizi pertinenti non sono eseguiti a causa dello stato di insolvenza dell’organizzatore. Tale garanzia «è effettiva e copre costi ragionevolmente prevedibili» (39). Il considerando 40 della direttiva 2015/2302 stabilisce che l’efficace protezione in caso di insolvenza «non dovrebbe tenere conto di rischi estremamente remoti come, ad esempio, l’insolvenza simultanea di vari organizzatori principali, laddove così facendo si inciderebbe in misura sproporzionata sui costi della protezione, pregiudicandone l’efficacia». Rispetto a tali casi, detto considerando precisa che «la garanzia di rimborso può essere limitata». I due governi sostengono che, in caso di insolvenza generalizzata degli organizzatori, i viaggiatori non riceverebbero alcun rimborso, poiché i loro crediti non sono tutelati.
61. A tal riguardo, dall’articolo 17 della direttiva 2015/2302 risulta che l’obbligo dell’organizzatore di fornire una garanzia per il rimborso di tutti i pagamenti effettuati comprende il caso in cui i servizi di cui trattasi non sono eseguiti a causa dell’insolvenza dell’organizzatore. Ciò significa che la domanda di rimborso è tutelata quando il problema di liquidità deriva dall’insolvenza dell’organizzatore. Tuttavia, nel caso della pandemia, i problemi di liquidità derivano da richieste di cancellazione generalizzate, che potrebbero in seguito condurre all’insolvenza. Questo è il motivo per cui la raccomandazione della Commissione sui buoni riconosce che, in caso di insolvenza degli organizzatori, «vi è il rischio che molti viaggiatori (...) non ricevano alcun rimborso, in quanto i loro crediti nei confronti degli organizzatori (...) non sono tutelati» (40).
62. Inoltre, dal fatto che la direttiva 2015/2302 non armonizza la protezione in caso d’insolvenza nell’ipotesi di domande di rimborso in tali situazioni non può dedursi che l’articolo 12, paragrafo 4, di tale direttiva non sia applicabile. Più in generale, la direttiva 2015/2302 non armonizza le misure di ristrutturazione, né la tutela dell’organizzatore di viaggi in caso di fallimento. È vero che, attualmente, in assenza di armonizzazione a livello dell’Unione, il diritto sostanziale dell’insolvenza rientra in larga misura nella competenza degli Stati membri. Questi ultimi devono tuttavia esercitare siffatta competenza nel rispetto del diritto dell’Unione, ivi comprese le libertà fondamentali garantite dal trattato FUE (41). Pertanto, le misure adottate dagli Stati membri al fine di alleviare i problemi di liquidità degli organizzatori di viaggi dovrebbero rispettare il contenuto essenziale del diritto del viaggiatore a ricevere un rimborso, conformemente all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302. Tali misure dovrebbero inoltre rispettare la normativa in materia di aiuti di Stato.
63. Per quanto riguarda la normativa in materia di aiuti di Stato, la raccomandazione della Commissione sui buoni ricorda la possibilità, per gli Stati membri, di predisporre regimi di sostegno alla liquidità a favore degli operatori dei settori dei viaggi e dei trasporti, per garantire che le richieste di rimborso determinate dalla pandemia di COVID-19 possano essere soddisfatte. Tale raccomandazione fa riferimento al quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato (42) come fondamento della compatibilità di siffatto sostegno alla liquidità con le norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato.
64. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che la direttiva 2015/2302 sia applicabile nel contesto della pandemia di COVID-19.
d) Emergenza sanitaria pubblica quale motivo che consente ai singoli di derogare a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione
65. La successiva questione da affrontare è se, in caso di grave emergenza sanitaria pubblica, gli organizzatori di viaggi possano invocare una situazione di forza maggiore per derogare a una disposizione del diritto derivato dell’Unione. Più specificamente, il governo francese ha sostenuto che l’articolo 12 della direttiva 2015/2302 non esclude la possibilità di applicare il principio di «forza maggiore», come sviluppato nella giurisprudenza della Corte. Esso rinvia, a tal riguardo, alla sentenza nella causa Billerud Karlsborg e Billerud Skärblacka (43) (in prosieguo: la «sentenza Billerud») nonché all’ordinanza nella causa Luxaviation (44).
66. La causa che ha dato luogo alla sentenza Billerud riguardava società sanzionate per non aver restituito in tempo utile le quote delle loro emissioni di biossido di carbonio. Tali società hanno sostenuto che l’omissione contestata era imputabile a un malfunzionamento amministrativo interno. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza precedente nella sentenza Valsabbia/Commissione (45), ha statuito che, «[a]nche in mancanza di specifiche disposizioni, il riconoscimento di un’ipotesi di forza maggiore è possibile, qualora la causa esterna invocata dai soggetti di diritto abbia conseguenze ineluttabili ed inevitabili al punto da rendere obiettivamente impossibile per gli interessati l’osservanza dei loro obblighi» (46). La Corte ha altresì precisato, nello stesso punto, che spetta al giudice nazionale valutare se l’operatore interessato, malgrado tutta la diligenza impiegata per rispettare i termini prescritti, abbia dovuto fare fronte a circostanze ad esso estranee, anomale e imprevedibili, che eccedono una mera disfunzione interna (47).
67. Dal contesto in cui si inserisce la sentenza Billerud risulta che la difesa della forza maggiore, quale riconosciuta in tale sentenza, riguarda una possibilità limitata di derogare alle conseguenze giuridiche derivanti dall’inadempimento di un obbligo derivante dal diritto dell’Unione. Esaminerò in seguito se il ragionamento sviluppato in tale sentenza sia pertinente nell’ambito della presente causa, che riguarda la questione di una deroga a un obbligo derivante da una disposizione specifica del diritto dell’Unione in ragione di una situazione di forza maggiore.
68. Nelle sottosezioni b) e c) della mia analisi che precede ho concluso che una situazione di forza maggiore rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2015/2302 e, in generale, nella nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie». La direttiva 2015/2302 contiene già disposizioni specifiche che disciplinano il rapporto contrattuale in caso di circostanze inevitabili e straordinarie. Tra tali disposizioni figura l’articolo 12, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva, che prevede il diritto del viaggiatore o dell’organizzatore di risolvere il contratto in caso di circostanze inevitabili e straordinarie. Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4, la risoluzione del contratto fa sorgere l’obbligo dell’organizzatore di offrire al viaggiatore il rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto turistico senza indebito ritardo e in ogni caso entro 14 giorni dalla risoluzione del contratto.
69. Tuttavia, il fatto che la direttiva 2015/2302 contenga disposizioni specifiche sull’impatto di circostanze inevitabili e straordinarie sul rapporto contrattuale non significa necessariamente che non vi sia spazio per l’applicazione della sentenza Billerud. Ciò poiché, nel caso della pandemia, le circostanze inevitabili e straordinarie non hanno soltanto impedito agli organizzatori di eseguire il contratto, ma hanno altresì inciso in modo significativo sulla capacità amministrativa degli organizzatori di trattare le richieste di risoluzione e sulla loro capacità finanziaria di effettuare i rimborsi. In tale prospettiva, potrebbe ancora esservi spazio per l’applicazione del principio elaborato nella sentenza Billerud. Tale principio può essere inteso nel senso che ammette un certo grado di tolleranza per quanto concerne l’applicazione rigorosa del diritto (48). I ricercatori che studiano l’impatto del COVID-19 sul diritto e sulle politiche (49) in materia di consumo hanno sviluppato la nozione di «forza maggiore sociale» per esprimere «l’impatto collettivo della pandemia su tutti gli interessi coinvolti». Il contenuto essenziale di tale nozione è il riconoscimento del fatto che la pandemia ha prodotto un impatto grave e inatteso sia sui consumatori che sulle imprese ed è divenuta motivo di preoccupazione per l’intera società.
70. In tali circostanze, il principio di forza maggiore applicato all’impossibilità oggettiva di conformarsi al diritto dell’Unione, sancito nella sentenza Billerud, potrebbe trovare applicazione al fine di riconoscere una possibilità molto limitata di esenzione temporanea dall’adempimento di un obbligo specifico previsto in un settore armonizzato del diritto derivato dell’Unione. Gli organizzatori potrebbero quindi appellarsi a una situazione di forza maggiore qualora, malgrado tutta la diligenza impiegata per rispettare i termini prescritti dall’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302, la pandemia abbia conseguenze ineluttabili ed inevitabili che determinano difficoltà momentaneamente insormontabili, al punto da rendere obiettivamente impossibile per gli interessati l’osservanza dei loro obblighi derivanti da detta disposizione (50). A tal riguardo, potrebbe essere tenuto in considerazione un rischio effettivo di insolvenza, tale da minacciare l’esistenza dell’organizzatore che invoca la difesa della forza maggiore (51). Gli organizzatori possono appellarsi a una situazione di forza maggiore solo per il periodo necessario a porre rimedio a tali difficoltà (52). Entro tali limiti, l’applicazione del principio generale di forza maggiore all’impossibilità oggettiva di conformarsi al diritto dell’Unione nel contesto di un contratto di pacchetto turistico non costituisce una clausola risolutiva generale (o una carte blanche). Essa può permettere soltanto una deroga temporanea ai rigidi termini temporali, e unicamente per il periodo necessario a organizzare l’ordinata effettuazione dei rimborsi.
71. La successiva questione da affrontare è se il principio di forza maggiore applicato all’impossibilità oggettiva di conformarsi al diritto derivato dell’Unione possa consentire agli organizzatori di differire il rimborso mediante un buono. Da un punto di vista contrattuale, la proposta di emettere un buono è una forma di adeguamento del contratto. L’offerta del buono ha l’effetto di preservare il rapporto contrattuale. Infatti, il buono produce l’effetto di differire l’esecuzione a un momento successivo, nel quale le circostanze permettono la ripresa del viaggio. La compatibilità di un siffatto adeguamento contrattuale con la direttiva 2015/2302 dipenderà dalle caratteristiche specifiche del buono.
72. Nel caso di specie, un buono che presenti le caratteristiche descritte nell’ordinanza impugnata non appare compatibile con la direttiva 2015/2302. Nello specifico, l’offerta di un buono del genere non sembra ristabilire l’equilibrio tra le parti in considerazione della situazione di forza maggiore. Essa sembra piuttosto risolversi a svantaggio di una parte del contratto, ossia il viaggiatore. Come osservato da un commentatore, «è eccessivo obbligare il cliente a finanziare la controparte contrattuale qualora possa non avere intenzione di farlo» (53). Ciò in particolare tenuto conto del periodo di validità del buono, pari a 18 mesi. Soltanto al termine di tale periodo il viaggiatore ha la possibilità di esercitare il proprio diritto al rimborso, senza che vi sia alcuna garanzia contro l’insolvenza dell’organizzatore. Inoltre, spetta al viaggiatore compiere i passi necessari per ricevere il suo denaro al termine di tale periodo. Qualsiasi rinegoziazione del contratto dovrebbe essere vantaggiosa per entrambe le parti. È stato correttamente sottolineato, nella dottrina giuridica, che gli operatori turistici e i consumatori dovrebbero «beneficiare reciprocamente di un regime di buoni», e che ciò avverrebbe «se gli organizzatori di viaggi offrissero al consumatore qualcosa in aggiunta a quello cui hanno giuridicamente diritto» (54).
73. In ultima istanza, l’accordo contrattuale in presenza di una situazione di forza maggiore dipenderà dalle circostanze di ciascun caso concreto, alla luce del principio di buona fede (55). Nel contesto della pandemia, in particolare nella sua primissima fase, l’impatto della risoluzione del contratto sull’altra parte non può essere del tutto ignorato. Tenuto conto del numero di cancellazioni, anche gli organizzatori finanziariamente in grado di rimborsare tutti i viaggiatori necessitavano di un certo periodo di tempo per procedere al rimborso dei pagamenti effettuati (56). In udienza, la Commissione ha ammesso che, nelle prime fasi della pandemia, la maggior parte dei viaggiatori ha reagito alla situazione con pragmatismo e non si aspettava di essere rimborsata entro il termine rigoroso di 14 giorni, applicabile in circostanze normali. A condizione di ricevere informazioni sufficienti sulle condizioni del loro rimborso, la maggior parte dei viaggiatori era disposta ad attendere un periodo di tempo ragionevole. Entrambe le parti del contratto di pacchetto turistico dovrebbero quindi sforzarsi di agire «in modo responsabile e equo» (57).
74. Alla luce di quanto precede, ritengo che un singolo organizzatore possa appellarsi a una situazione di forza maggiore in circostanze in cui, malgrado tutta la diligenza impiegata per rispettare i termini, la pandemia di COVID-19 ha prodotto conseguenze ineluttabili e inevitabili che hanno determinato difficoltà momentaneamente insormontabili, al punto da rendere obiettivamente impossibile, per l’organizzatore, l’effettuazione di un rimborso ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4,della direttiva 2015/2302. L’organizzatore può appellarsi a una situazione di forza maggiore solo per il periodo necessario a porre rimedio a tali difficoltà. L’eccezione di forza maggiore, applicata all’impossibilità oggettiva di conformarsi al diritto dell’Unione, non consente tuttavia agli organizzatori di emettere un buono dotato delle caratteristiche di cui all’ordinanza controversa.
e) Emergenza sanitaria pubblica quale motivo che consente agli Stati membri di derogare a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione
75. Anche ammettendo l’applicabilità del ragionamento di cui alla sentenza Billerud nei casi in cui è oggettivamente impossibile per un singolo organizzatore conformarsi all’obbligo di rimborsare i pagamenti effettuati dai viaggiatori entro 14 giorni a causa della pandemia di COVID-19, ciò non fornirebbe comunque una risposta adeguata nel caso di specie. Infatti, la causa non riguarda una controversia tra privati. Essa concerne la legittimità di una disposizione legislativa in forza della quale uno Stato membro decide di adottare una misura che deroga al diritto derivato dell’Unione in risposta alla pandemia di COVID-19. Pertanto, ritengo che le statuizioni contenute nella sentenza Billerud non possano applicarsi automaticamente agli Stati membri.
76. Per quanto concerne l’inosservanza del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro, occorre ricordare che la Corte ha eccezionalmente ammesso, nell’ambito di ricorsi per inadempimento, che la forza maggiore può costituire un motivo che giustifica detta inosservanza. La giurisprudenza pertinente riguardava soprattutto la mancata trasposizione di un atto di diritto dell’Unione (58) e la violazione di un obbligo specifico previsto dal diritto derivato dell’Unione (59). Secondo tale giurisprudenza, «uno Stato membro che si trovi a dover far fronte a difficoltà momentaneamente insormontabili che gli impediscono di conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione può appellarsi a una situazione di forza maggiore solo per il periodo necessario a porre rimedio a tali difficoltà» (60).
77. Nel caso di specie, poiché l’obbligo cui si intende derogare non grava sullo Stato membro, bensì sull’organizzatore di pacchetti turistici, si potrebbe sostenere che non vi è alcuna possibilità di applicare la giurisprudenza elaborata nell’ambito di ricorsi per inadempimento. Tuttavia, se la sentenza Billerud fosse applicabile a un numero elevato di organizzatori e incidesse su un numero molto elevato di contratti, ciò potrebbe indicare un problema sistemico e la necessità di disporre del tempo necessario a trovare una soluzione «sistemica» per far fronte all’impatto della pandemia (61). In tali circostanze, qualora uno Stato membro incontri difficoltà momentaneamente insormontabili nell’applicare, nel suo ordinamento giuridico, una disposizione che recepisce il diritto derivato dell’Unione, esso dovrebbe altresì poter invocare, in via eccezionale, la forza maggiore.
78. L’applicazione analogica della difesa della forza maggiore a una situazione di deroga a una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione dovrebbe essere soggetta a garanzie particolarmente rigorose. Essa non dovrebbe essere intesa come una clausola risolutiva generale o una carte blanche per derogare al diritto dell’Unione. Essa concerne una deroga del tutto eccezionale, di portata limitata e temporanea quando è oggettivamente impossibile conformarsi al diritto derivato dell’Unione. Ritengo pertanto che, nel contesto di un’«emergenza sanitaria senza precedenti» (62), quale la pandemia di COVID-19, uno Stato membro possa invocare la forza maggiore per giustificare l’adozione di una misura di deroga in risposta alla pandemia qualora esso incontri difficoltà momentaneamente insormontabili che gli impediscono di conformarsi all’obbligo di applicare, nel suo ordinamento giuridico, una disposizione specifica del diritto derivato dell’Unione. Tuttavia, lo Stato membro può appellarsi a una situazione di forza maggiore solo per il periodo necessario a porre rimedio a tali difficoltà. Gli strumenti scelti per porre rimedio alle difficoltà insormontabili devono rispettare il principio generale di proporzionalità. Spetta allo Stato membro che invoca una situazione di forza maggiore dimostrare la necessità di ricorrere a una deroga al fine di superare le difficoltà insormontabili determinate da tale situazione. A tal riguardo, occorre che lo Stato membro non disponga di alcuna alternativa se non derogare in via temporanea al diritto dell’Unione.
79. Nella presente causa, il governo francese sostiene di essere stato costretto a introdurre una deroga al diritto dell’Unione e, più precisamente, a consentire agli organizzatori di pacchetti turistici di emettere un buono anziché un rimborso immediato, al fine di evitare l’insolvenza generalizzata di tali operatori. A tal riguardo, formulerò le seguenti osservazioni. Nel corso delle prime fasi della pandemia, gli Stati membri si sono trovati di fronte a gravi problemi attinenti alla salute delle loro popolazioni e all’economia. Tenuto conto delle circostanze, i governi hanno dovuto individuare una serie di priorità, proteggere i soggetti vulnerabili, sostenere i lavoratori in situazione di disoccupazione, assicurando nel contempo che le imprese più colpite dalla pandemia non fallissero. In udienza, il governo ceco ha insistito sul fatto che l’emergenza sanitaria ha imposto agli Stati membri di intervenire in un gran numero di settori e di riequilibrare gli interessi in gioco alla luce delle circostanze. Potrebbe quindi apparire giustificata l’introduzione, da parte di uno Stato membro, di una sospensione, limitata quanto alla sua portata e alla sua durata, dell’esercizio di taluni diritti contrattuali per il periodo strettamente necessario a consentire alle parti di adattarsi a una situazione nuova e imprevista o al governo di trovare soluzioni adeguate. Tali soluzioni potrebbero favorire la continuità dei contratti al fine di evitare crisi di liquidità nell’economia, senza imporre un onere eccessivo sui viaggiatori, titolari del diritto al rimborso (63).
80. Il governo francese sostiene che la misura derogatoria controversa era applicabile soltanto ai contratti di pacchetto turistico risolti tra il 1º marzo 2020 e il 15 settembre 2020. Essa non è stata prorogata oltre tale periodo, poiché si è ritenuto che il settore dei viaggi avesse beneficiato del tempo necessario ad adeguarsi alla nuova situazione. È vero che la deroga era temporanea, poiché riguardava soltanto i contratti risolti nel summenzionato periodo di sei mesi. Tuttavia, l’ordinanza impugnata, come ripetutamente ricordato dalla Commissione nelle sue osservazioni orali, ha inciso retroattivamente sul diritto acquisito e inderogabile dei viaggiatori di ricevere il denaro già versato. Tenuto conto di un siffatto impatto significativo sul contratto stipulato con il consumatore, non è sufficiente sostenere che la misura è rimasta in vigore soltanto per un determinato periodo di tempo. Essa deve essere oggetto di un controllo specifico. A tal riguardo, evidenzierò due caratteristiche del regime dei buoni previsto dall’ordinanza controversa che, considerate unitamente all’effetto retroattivo, possono indicare che quest’ultima ha ecceduto quanto necessario per far fronte all’impatto della pandemia sulla risoluzione dei contratti di pacchetto turistico. La prima caratteristica è la durata della sospensione del diritto di ricevere un rimborso. L’ordinanza impugnata prevede che l’organizzatore possa offrire un buono valido per un periodo di 18 mesi al più tardi entro tre mesi dalla notifica della risoluzione del contratto. Il consumatore può esercitare il suo diritto al rimborso in denaro dei pagamenti effettuati soltanto dopo la scadenza di tale periodo di 18 mesi. In termini pratici, l’ordinanza impugnata sospende il diritto del viaggiatore di recuperare il denaro già versato per un periodo compreso tra i 18 e i 21 mesi successivi alla risoluzione del contratto. Il governo francese non ha spiegato il motivo per cui era necessario privare i viaggiatori del loro diritto derivante dall’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 per un periodo minimo di 18 mesi dopo l’emissione del buono.
81. La seconda caratteristica è l’assenza di qualsivoglia vantaggio offerto ai viaggiatori come contropartita della grave ingerenza nel loro diritto al rimborso. Infatti, il regime dei buoni introdotto dall’ordinanza impugnata ha costretto i viaggiatori a sopportare il rischio dell’impatto della pandemia sul contratto di pacchetto turistico senza alcun provvedimento atto a controbilanciare questo rischio. A tal riguardo, ritengo particolarmente rilevante uno dei principi elaborati dall’Istituto di diritto europeo per la crisi COVID-19, avente ad oggetto «Forza maggiore ed eccessiva onerosità sopravvenuta», che è così formulato: «Conformemente al principio di solidarietà, gli Stati dovrebbero garantire che i rischi derivanti dalle conseguenze della perturbazione dei rapporti contrattuali, quale la risoluzione degli accordi di viaggio, non siano posti a carico di una sola parte, in particolare dei consumatori o delle PMI» (64). In altri termini, l’argomento «too big to fail» (troppo grandi per fallire) non dovrebbe essere accettato allorché determina uno svantaggio per il consumatore.
82. Per quanto riguarda le alternative idonee, è opportuno fare riferimento alla raccomandazione della Commissione sui buoni, che contiene una sezione specifica sulle misure di sostegno e sugli aiuti di Stato (65). In essa si sottolinea la possibilità per gli Stati membri di fornire un sostegno agli operatori dei settori dei trasporti e dei viaggi, per garantire che siano soddisfatte le richieste di rimborso derivanti dalla pandemia di COVID-19. Nella misura in cui operatori del settore dei viaggi necessitano di un sostegno generale alla liquidità, tale raccomandazione prevede che gli Stati membri possano altresì decidere di predisporre regimi per fornire agli operatori detto sostegno. A tal riguardo, la raccomandazione rinvia al quadro temporaneo, che costituisce il fondamento della compatibilità dei sostegni alla liquidità con i requisiti dell’Unione in materia di aiuti di Stato.
83. Il quadro temporaneo, modificato consecutivamente in sei occasioni, prevede diversi tipi di aiuti che possono essere valutati ai sensi degli articoli 107, paragrafo 2, lettera b) (66), o 107, paragrafo 3, lettera b) (67), TFUE. Per quanto riguarda, in particolare, le compensazioni concesse alle imprese nel settore turistico, il quadro temporaneo chiarisce che gli Stati membri possono notificare tali misure di compensazione e la Commissione le valuterà direttamente ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 2, lettera b), TFUE (68). Sottolineo che la Commissione si è impegnata a garantire una rapida adozione delle decisioni «in stretta collaborazione con gli Stati membri interessati» (69). Diversi Stati membri si sono avvalsi del quadro temporaneo e hanno notificato aiuti di Stato a favore degli organizzatori di pacchetti turistici, che sono stati approvati dalla Commissione conformemente al quadro temporaneo ai sensi del trattato (70).
84. Sembrerebbe, pertanto, che il diritto dell’Unione abbia offerto agli Stati membri strumenti alternativi per dare risposta ai problemi di liquidità degli organizzatori. A sostegno di tale punto, il governo danese ha fatto riferimento, nelle sue osservazioni, all’esempio dell’adozione di un regime di prestiti a sostegno del settore dei viaggi (il «Rejsegarantifonden»). Nelle loro risposte a un quesito della Corte, i governi che hanno partecipato all’udienza hanno esposto la loro posizione quanto alla possibilità di costituire un fondo analogo. Il governo francese ha sostenuto che non era possibile applicare la soluzione adottata dal governo danese in Francia, poiché prima della crisi sanitaria non esisteva alcun fondo analogo. In particolare, il governo francese ha spiegato che in Francia l’attività assicurativa è limitata a un ruolo di garanzia e non può prestare denaro senza autorizzazione.
85. Nel valutare le opzioni di cui dispone ciascuno Stato membro al fine di prestare sostegno agli organizzatori di viaggi in risposta alla pandemia, occorre tener conto delle differenze strutturali proprie di ciascun paese. Tuttavia, in tale processo, gli Stati membri devono conformarsi al principio di leale cooperazione, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, TUE. Tale principio vincola sia gli Stati membri, sia le istituzioni dell’Unione. Qualora uno Stato membro comunichi alla Commissione di trovarsi in gravi difficoltà nell’applicazione di una specifica disposizione del diritto dell’Unione dovuta a un’emergenza sanitaria pubblica, la Commissione ha l’obbligo di tener debitamente conto di tali difficoltà e di assistere lo Stato membro interessato. Ciò vale a maggior ragione in considerazione del fatto che il diritto dell’Unione non dispone di un «regime di emergenza dell’Unione» generale (71).
86. Occorre altresì sottolineare che durante i primi mesi della pandemia non vi era alcuna normativa specifica a livello del diritto dell’Unione concernente i buoni emessi in alternativa a un rimborso per i contratti di trasporto e di pacchetto turistico oggetto di risoluzione (72). Il 5 marzo 2020, con successivo aggiornamento il 19 marzo 2020, la Commissione ha pubblicato sul suo sito web orientamenti informali sull’applicazione della direttiva 2015/2302, confermando il diritto del viaggiatore a ottenere un rimborso integrale, ma che affermano anche che il viaggiatore può accettare un buono (73). In una lettera del 27 marzo 2020 indirizzata a tutti gli Stati membri, il commissario Reynders ha ribadito il diritto dei viaggiatori di ottenere un rimborso. Egli ha menzionato la possibilità dell’offerta di buoni da parte degli operatori turistici, purché non si trattasse di buoni obbligatori. Egli ha altresì suggerito agli Stati membri di adottare misure al fine di rafforzare la fiducia dei viaggiatori nell’optare per un buono (74).
87. Nel frattempo, diversi Stati membri avevano chiesto alla Commissione di sospendere il diritto al rimborso entro 14 giorni e/o di sostituirlo con una soluzione temporanea basata sui buoni (75). La Commissione ha invece ribadito la sua posizione secondo cui i diritti dei consumatori non avrebbero dovuto essere sospesi ed essa «non avrebbe aderito alle richieste di ridurre la protezione dei consumatori» (76). Il 13 maggio 2020 la Commissione ha adottato la sua raccomandazione sui buoni. In tale raccomandazione, la Commissione riconosce pienamente il grave impatto delle cancellazioni dovute alla pandemia, i problemi di liquidità degli organizzatori e il rischio che molti viaggiatori e passeggeri non ricevano alcun rimborso, in quanto i loro crediti nei confronti degli organizzatori e dei vettori non sono tutelati. La soluzione a tali problemi consiste, secondo tale raccomandazione, nel rendere i buoni più attraenti per i viaggiatori. Per realizzare tale obiettivo, la Commissione ha invitato gli Stati membri a valutare l’adozione di regimi di garanzia per sostenere gli operatori dei settori dei viaggi e dei trasporti nel rispetto delle norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato. La Commissione ha suggerito agli Stati membri di valutare anche l’adozione di misure temporanee di aiuti di Stato alle condizioni previste dal quadro temporaneo.
88. In udienza, la Commissione ha dichiarato che, in altri settori del diritto (77), le istituzioni dell’Unione hanno ritenuto necessario e giustificato proporre al legislatore dell’Unione l’adozione di una deroga a disposizioni specifiche del diritto derivato dell’Unione. Tuttavia, è stato deciso di non procedere in tal senso per quanto attiene all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302. La Commissione ha spiegato che una modifica della direttiva 2015/2302 avrebbe inciso retroattivamente sui diritti acquisiti dei consumatori. Inoltre, la Commissione ha sottolineato che circa metà degli Stati membri non riteneva assolutamente necessario modificare tale direttiva ed era riuscita a gestire la situazione in modo diverso. Indipendentemente dalla scelta politica effettuata, ritengo che, tenuto conto delle forti preoccupazioni espresse da vari Stati membri quanto alle ripercussioni di cancellazioni generalizzate di contratti di pacchetto turistico, ci si poteva attendere una proposta di un atto legislativo (anziché una raccomandazione) per rispondere alla situazione in modo coordinato. Tuttavia, questa osservazione non significa, di per sé, che gli Stati membri siano liberi di introdurre una deroga unilaterale al diritto dell’Unione al di là di quanto è strettamente necessario per superare una situazione di forza maggiore.
89. Un’ultima osservazione riguarda eventuali insegnamenti da trarre per il futuro. La necessità di considerare i problemi sollevati dalla pandemia di COVID-19 si riflette sull’esame in corso della normativa dell’Unione in vigore in materia di pacchetti turistici. Come annunciato nella sua nuova agenda dei consumatori, la Commissione si è impegnata a svolgere, entro il 2022, «un’analisi più approfondita per stabilire se l’attuale quadro normativo per i pacchetti turistici, anche per quanto riguarda la protezione in caso d’insolvenza, sia ancora pienamente in grado di garantire in qualsiasi momento una protezione dei consumatori solida e completa» (78). La Commissione precisa tuttavia che la valutazione non avrà come obiettivo «la riduzione della protezione dei consumatori».
90. Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che occorra rispondere alla seconda questione dichiarando che la crisi sanitaria connessa alla pandemia di COVID-19 e l’impatto straordinario da essa prodotto sul settore turistico possono giustificare una deroga temporanea all’obbligo, per l’organizzatore, di rimborsare al viaggiatore tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto turistico entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico, come previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302, soltanto per il periodo necessario per lo Stato membro per porre rimedio alle difficoltà insormontabili che gli impediscono di applicare la disposizione nazionale di recepimento di siffatto obbligo. Gli strumenti scelti per affrontare tali difficoltà devono rispettare il principio di proporzionalità. Spetta allo Stato membro che invoca una situazione di forza maggiore dimostrare la necessità di ricorrere a una deroga al fine di porre rimedio a siffatte difficoltà determinate da tale situazione. Al riguardo, è necessario verificare che non vi siano misure alternative al ricorso a una deroga al diritto dell’Unione. Tuttavia, l’ordinanza impugnata sembra eccedere quanto necessario e proporzionato per far fronte alle difficoltà insormontabili incontrate, in particolare tenuto conto del suo effetto retroattivo, della durata della sospensione del diritto al rimborso e dell’assenza di qualsivoglia vantaggio offerto al viaggiatore per controbilanciare l’incidenza dell’impatto retroattivo sui suoi diritti derivanti dal contratto di pacchetto turistico.
Terza questione
91. Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, qualora la Corte statuisca che l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302 deve essere interpretato nel senso che osta a una deroga quale quella introdotta dall’ordinanza impugnata, se sia possibile, nelle circostanze di cui alla seconda questione, modulare gli effetti nel tempo di una decisione di annullamento di un atto di diritto interno contrario a detta disposizione.
92. A tal riguardo, occorre ricordare che solo la Corte può, eccezionalmente e per considerazioni imperative di certezza del diritto, concedere una sospensione provvisoria dell’effetto di disapplicazione esercitato da una norma di diritto dell’Unione rispetto a norme di diritto interno con essa in contrasto. Infatti, se i giudici nazionali avessero il potere di attribuire alle norme nazionali il primato, anche solo provvisoriamente, in caso di contrasto con il diritto dell’Unione, ne risulterebbe pregiudicata l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione (79).
93. Pertanto, solo in via del tutto eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico dell’Unione, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, vale a dire la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (80).
94. Nel caso di specie, per quanto riguarda il primo criterio, legato al principio di buona fede, si potrebbe sostenere che il governo francese abbia agito nel rispetto di tale principio, almeno nelle prime fasi della pandemia e fino alla pubblicazione della raccomandazione della Commissione sui buoni. È vero che la Commissione ha reso nota la sua posizione a seguito dell’inizio della pandemia (81). Tuttavia, tale comunicazione del 5 marzo 2020 (con successivo aggiornamento il 19 marzo 2020) era contenuta in «orientamenti informali» (82). Nelle sue osservazioni scritte la Commissione ha riconosciuto di aver dovuto far fronte a una serie di difficoltà legate a problemi di inadeguatezza della normativa dell’Unione per quanto concerne le particolari circostanze della crisi. Allo scopo di affrontare tali difficoltà, la Commissione ha ritenuto necessario formulare proposte legislative urgenti ai fini di un adattamento provvisorio alla situazione. Come ho già ricordato nell’ambito della mia analisi della seconda questione (83), per quanto riguarda la direttiva 2015/2302 diversi Stati membri hanno chiesto alla Commissione di sospendere il diritto al rimborso entro 14 giorni e/o di sostituirlo con una soluzione temporanea basata sui buoni.
95. La Commissione afferma, nelle sue osservazioni scritte, che i suoi servizi hanno valutato, all’inizio della pandemia, l’opportunità o meno di adottare misure specifiche al fine di tutelare gli organizzatori. La Commissione ha infine deciso che non fosse opportuno elaborare una proposta legislativa in tal senso. Come spiegato in udienza, uno dei fattori determinanti alla base di tale decisione è stata la preoccupazione che detta proposta avrebbe inciso retroattivamente sui contratti conclusi dai viaggiatori. La Commissione ha invece adottato la raccomandazione sui buoni.
96. La sequenza di eventi sopra menzionata indica, a mio avviso, che almeno nelle fasi iniziali della pandemia gli Stati membri potevano ragionevolmente ritenere che il quadro normativo esistente avrebbe potuto essere adattato in funzione delle circostanze della pandemia di COVID-19. Pertanto, tendo a concordare con il governo belga sul fatto che il governo francese abbia agito in buona fede, quanto meno nelle fasi iniziali della pandemia, allorché ha deciso di adottare l’ordinanza impugnata. Tuttavia, dopo la pubblicazione della raccomandazione della Commissione sui buoni, la scelta del governo francese di mantenere in vigore l’ordinanza impugnata non appare più sostenibile.
97. La seconda condizione richiesta dalla giurisprudenza citata al precedente paragrafo 93 per limitare gli effetti nel tempo di una sentenza della Corte è la constatazione di un «rischio di gravi inconvenienti». Nella presente causa, il giudice del rinvio ha dichiarato che l’importo dei buoni emessi dagli organizzatori di viaggi francesi al 15 settembre 2020, data in cui l’ordinanza impugnata ha cessato di produrre i suoi effetti, ammontava a circa EUR 990 milioni, cifra che rappresenta circa il 10% del fatturato del settore in un’annata normale. Tuttavia, il fatto che gli organizzatori abbiano incontrato problemi di liquidità all’inizio della pandemia non significa che essi continuino a misurarsi con tali problemi. A tal riguardo, occorre sottolineare che, a distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore dell’ordinanza impugnata e di due anni dalla cessazione dei suoi effetti (15 settembre 2020), i mezzi finanziari di cui dispongono gli Stati membri per attenuare il fabbisogno di liquidità degli organizzatori colpiti dalla pandemia sono ben consolidati (84). È possibile che gli organizzatori siano tenuti a pagare interessi sui rimborsi non effettuati nel vigore dell’ordinanza impugnata. Tuttavia, né il giudice del rinvio né il governo francese si sono occupati di tale aspetto o della questione se ciò possa determinare un «rischio di gravi inconvenienti».
98. Pertanto, non essendo stata dimostrata l’esistenza del rischio di gravi inconvenienti derivante dall’interpretazione proposta nelle presenti conclusioni, non occorre limitare gli effetti nel tempo della sentenza, atteso che i criteri richiamati al precedente paragrafo 93 sono cumulativi (85).
99. Al fine di fornire una risposta completa, occorre sottolineare che la Corte ha riconosciuto, caso per caso ed eccezionalmente, che il giudice nazionale ha la facoltà di amministrare gli effetti dell’annullamento di una norma nazionale dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione nel rispetto delle condizioni poste dalla giurisprudenza della Corte (86).
100. La Corte ha riconosciuto una siffatta possibilità nel contesto di un’«esigenza imperativa» legata alla protezione dell’ambiente, purché siano rispettate talune condizioni previste dalla giurisprudenza (87). La Corte ha altresì ammesso, in via eccezionale, la possibilità di mantenere gli effetti di misure nel settore del diritto ambientale qualora tale mantenimento sia giustificato da considerazioni imperative connesse alla necessità di scongiurare una minaccia grave ed effettiva di interruzione dell’approvvigionamento di energia elettrica dello Stato membro interessato, cui non si potrebbe far fronte mediante altri mezzi e alternative, in particolare nell’ambito del mercato interno (88). Detto mantenimento può coprire soltanto il lasso di tempo strettamente necessario per porre rimedio all’illegittimità. L’applicazione di tale giurisprudenza è quindi subordinata all’esistenza di una «minaccia grave ed effettiva di interruzione della sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica».
101. Nella causa di cui al procedimento principale è difficile sostenere che vi sia un interesse imperativo almeno comparabile all’approvvigionamento di energia elettrica in uno Stato membro. Peraltro, l’ordinanza impugnata non è più in vigore. Pertanto, come rilevato, in sostanza, dalla Commissione, la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza della Corte nella presente causa non consentirebbe all’amministrazione di porre rimedio alla violazione constatata. Essa determinerebbe, piuttosto, una convalida de facto della violazione del diritto dell’Unione.
102. Occorre altresì sottolineare che le conseguenze concrete dell’annullamento dell’ordinanza impugnata rientrano nella competenza del giudice del rinvio. I documenti presentati alla Corte non contengono informazioni sull’impatto preciso che tale annullamento produrrebbe sugli organizzatori. In ogni caso, le ripercussioni economiche dell’annullamento non sarebbero sufficienti, di per sé, a giustificare la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza della Corte (89).
103. Alla luce di quanto precede, ritengo che occorra rispondere alla terza questione dichiarando che non occorre modulare gli effetti nel tempo di una decisione di annullamento di un atto di diritto interno contrario all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.
Conclusione
104. Sulla base dell’analisi che precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni proposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) nei seguenti termini:
1) L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio,
deve essere interpretato come segue:
in caso di risoluzione di un contratto di pacchetto turistico, l’organizzatore è tenuto a rimborsare in denaro tutti i pagamenti effettuati e non può imporre un’alternativa, in particolare sotto forma di buono di importo pari a quello di ogni pagamento effettuato. Tuttavia, tale disposizione non osta a che il viaggiatore opti per ricevere siffatto buono dopo il verificarsi del fatto generatore del diritto al rimborso.
2) La crisi sanitaria connessa alla pandemia di COVID-19 e l’impatto straordinario da essa prodotto sul settore turistico possono giustificare una deroga temporanea all’obbligo, per l’organizzatore, di rimborsare al viaggiatore tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto turistico entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico, come previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302, soltanto per il periodo necessario per lo Stato membro per porre rimedio alle difficoltà insormontabili che gli impediscono di applicare la disposizione nazionale di recepimento di siffatto obbligo. Gli strumenti scelti per affrontare tali difficoltà devono rispettare il principio di proporzionalità. Spetta allo Stato membro che invoca una situazione di forza maggiore dimostrare la necessità di ricorrere a una deroga al fine di porre rimedio a siffatte difficoltà determinate da tale situazione. A tal riguardo, è necessario verificare che non vi siano misure alternative al ricorso a una deroga al diritto dell’Unione. Tuttavia, l’ordinanza impugnata sembra eccedere quanto necessario e proporzionato per far fronte alle difficoltà insormontabili incontrate, in particolare tenuto conto dell’effetto retroattivo della misura controversa, della durata della sospensione del diritto al rimborso e dell’assenza di qualsivoglia vantaggio offerto al viaggiatore per controbilanciare l’incidenza dell’impatto retroattivo sui suoi diritti derivanti dal contratto di pacchetto turistico.
3) Non occorre modulare gli effetti nel tempo di una decisione di annullamento di un atto di diritto interno contrario all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.