Language of document : ECLI:EU:T:2007:380

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

12 dicembre 2007 (*)

«Concorrenza – Intese nel settore dei prodotti vitaminici – Cloruro di colina (vitamina B 4) – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo – Ammende – Effetto dissuasivo – Recidiva – Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo – Infrazione unica e continuata»

Nelle cause riunite T‑101/05 e T‑111/05,

BASF AG, con sede in Ludwigshafen (Germania), rappresentata dai sigg. N. Levy, barrister, J. Temple-Lang, solicitor, e C. Feddersen, avocat,

ricorrente nella causa T‑101/05,

UCB SA, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti J. Bourgeois, J.‑F. Bellis e M. Favart,

ricorrente nella causa T‑111/05,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata, nella causa T‑101/05, dai sigg. A. Whelan e F. Amato, e, nella causa T‑111/05, inizialmente dalla sig.ra O. Beynet e dal sig. Amato, successivamente dai sigg. X. Lewis e Amato, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento o di riduzione delle ammende inflitte alle ricorrenti dalla decisione della Commissione 9 dicembre 2004, 2005/566/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-2/37.533 – Cloruro di colina) (sintesi in GU 2005, L 190, pag. 22),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dal sig. A.W.H. Meij, facente funzione di presidente,dai sigg. N.J. Forwood e S. Papasavvas, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kantza, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 febbraio 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti e decisione impugnata

1        Con decisione 9 dicembre 2004, 2005/566/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-2/37.533 – Cloruro di colina) (sintesi in GU 2005, L 190, pag. 22 in prosieguo: la «Decisione»), la Commissione accertava che diverse imprese avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) partecipando ad una serie di accordi e di pratiche concordate concernenti la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e talune azioni concertate contro i concorrenti nel settore del cloruro di colina nel SEE (art. 1 della Decisione).

2        Con riferimento al prodotto di cui trattasi, la Commissione precisa che il cloruro di colina fa parte del gruppo di vitamine idrosolubili del complesso B (vitamina B 4). Esso viene usato principalmente nell’industria alimentare per animali (volatili e suini) come additivo alimentare. Esso viene venduto in soluzione acquosa al 70% oppure polverizzato su un supporto di cereali disidratati o di silice con un tasso compreso tra il 50 e il 60%. La parte di cloruro di colina non utilizzata come additivo alimentare per animali viene raffinata per ottenere un prodotto di maggiore purezza (qualità farmaceutica). A parte i produttori, il mercato del cloruro di colina riguarda, da un lato, i trasformatori, i quali acquistano il prodotto dai produttori in forma liquida e lo trasformano, per conto del produttore oppure per proprio conto, in cloruro di colina su supporto, e, dall’altro, i distributori.

3        Risulta dal punto 3 della Decisione che la Commissione ha avviato un’indagine nel settore del cloruro di colina a livello mondiale, dopo aver ricevuto, nell’aprile 1999, una richiesta di applicazione di misure di clemenza da parte del produttore americano Bioproducts. L’indagine ha riguardato il periodo compreso tra il 1992 e la fine del 1998. Al punto 45 della Decisione, la Commissione afferma che il produttore canadese Chinook aveva già preso contatto con essa in data 25 novembre, 3 e 16 dicembre 1998 in merito all’intesa in questione, ma che non aveva avviato alcuna indagine a quell’epoca.

4        Per ciò che riguarda il SEE, l’intesa in questione è stata attuata, ai termini del punto 64 della Decisione, a due livelli differenti, ma strettamente connessi: a livello mondiale e a livello europeo. A livello mondiale i produttori Bioproducts (Stati uniti), Chinook (Canada), Chinook Group Limited (Canada), DuCoa (Stati Uniti), cinque società del gruppo Akzo Nobel (Paesi Bassi) e le ricorrenti hanno partecipato (direttamente o indirettamente) ad attività anticoncorrenziali tra il giugno 1992 e l’aprile 1994. Tali attività avevano, in sostanza, per oggetto l’aumento dei prezzi su scala mondiale, segnatamente nel SEE, e il controllo dei trasformatori, segnatamente nel SEE, al fine di garantire che questi ultimi non ostacolassero gli aumenti concordati e di ripartire i mercati mondiali mediante il ritiro dei produttori nordamericani dal mercato europeo in cambio del ritiro dei produttori europei dal mercato nordamericano. La Commissione ha individuato nove riunioni dell’intesa su scala mondiale tra il giugno 1992 (a Città del Messico, Messico) e l’aprile 1994 (a Johor Bahru, Malesia). La riunione più importante sarebbe stata quella tenutasi a Ludwigshafen (Germania) nel novembre 1992.

5        Solo i produttori europei (la BASF AG, la UCB SA e cinque società del gruppo Akzo Nobel) avrebbero partecipato alle riunioni di attuazione dell’intesa a livello europeo, durata dal marzo 1994 all’ottobre 1998. La Commissione ha individuato quindici riunioni ivi attinenti, dal marzo 1994 (a Schoten, in Belgio) all’ottobre 1998 (a Bruxelles, in Belgio o a Aquisgrana in Germania). Secondo il punto 65 della Decisione, tali riunioni sono servite al proseguimento dell’accordo concluso a livello mondiale. Esse avrebbero avuto come obiettivo l’aumento regolare dei prezzi in tutto il SEE unitamente ad una ripartizione dei mercati e ad un’attribuzione dei clienti individuali, nonché il controllo dei trasformatori in Europa al fine di mantenere un livello elevato dei prezzi.

6        Secondo le valutazioni della Commissione, gli accordi mondiali e gli accordi europei si collocavano tutti, per ciò che riguarda il SEE, nell’ambito di un progetto complessivo che aveva definito le linee di azione dei membri dell’intesa e limitato la loro condotta commerciale individuale al fine di perseguire un unico obiettivo economico anticoncorrenziale, ossia falsare le condizioni normali di concorrenza nel SEE. Secondo la Commissione, occorre, pertanto, considerare gli accordi conclusi a livello mondiale ed europeo come un’unica infrazione complessa e continuata concernente il SEE, cui i produttori nordamericani hanno partecipato per un certo tempo, mentre i produttori europei vi hanno partecipato per tutto il periodo in questione.

7        Per quanto riguarda l’individuazione dei destinatari della Decisione, la Commissione ha precisato, al punto 166 della medesima, che cinque società del gruppo Akzo Nobel (in prosieguo, considerate congiuntamente, la «Akzo Nobel»), la BASF, la Bioproducts, la Chinook, la DuCoa e la UCB dovevano essere considerate responsabili dell’infrazione. Per contro, la Ertisa, società spagnola che deteneva il 50% del mercato spagnolo, non è stata destinataria della Decisione, in quanto la Commissione ha ritenuto, al punto 178 di questa, che le prove fossero complessivamente insufficienti per considerarla responsabile dei fatti affermati.

8        All’art. 3 della Decisione la Commissione ha ordinato alle imprese destinatarie di porre immediatamente fine alle infrazioni di cui all’art. 1 della Decisione, laddove non vi avessero ancora proceduto, e di astenersi, da tale momento, dai constatati atti o comportamenti illeciti nonché da ogni misura avente oggetto o effetto identico o equivalente.

9        Riguardo all’imposizione delle ammende, la Commissione ha ritenuto che i produttori nordamericani (Bioproducts, Chinook e DuCoa) avessero posto fine alla loro partecipazione all’infrazione al massimo il 20 aprile 1994, a seguito della riunione di Johor Bahru (v. punto 4 supra). Secondo il punto 165 della Decisione, la Commissione non disponeva di prove che dimostrassero l’esistenza di altre riunioni o altri contatti cui avrebbero partecipato i produttori nordamericani e mediante i quali essi avrebbero fissato i prezzi per il SEE o avrebbero confermato il loro impegno iniziale a non esportare verso l’Europa. Posto che il primo atto della Commissione riguardo a tale infrazione è datato 26 maggio 1999, ossia oltre cinque anni dopo la fine della partecipazione dei produttori nordamericani, la Commissione non ha inflitto alcuna ammenda a tali produttori, conformemente all’art. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1), e all’art. 25 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1).

10      Per contro, essendo la partecipazione dei produttori europei durata fino al 30 settembre 1998, la Commissione ha inflitto loro ammende per un importo globale di EUR 66,34 milioni.

11      L’importo delle ammende è stato fissato dalla Commissione in applicazione dei suoi Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «Orientamenti»), nonché della sua Comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «Comunicazione sulla cooperazione del 1996»).

12      Al punto 187 della Decisione, la Commissione ha enunciato i criteri generali sulla base dei quali ha proceduto alla determinazione dell’importo delle ammende. Essa ha espresso la sua intenzione di prendere in considerazione tutte le circostanze della fattispecie, in particolare la gravità e la durata dell’infrazione, di attribuire all’ammenda un carattere sufficientemente dissuasivo, di valutare caso per caso il ruolo svolto da ciascuna impresa che ha preso parte all’infrazione, di tenere conto, segnatamente, di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti e di applicare, se del caso, la Comunicazione sulla cooperazione.

13      Riguardo alla gravità dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto della sua natura (fissazione dei prezzi, ripartizione dei mercati, ripartizione dei clienti, azione concertata contro i concorrenti), dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato a causa della sua attuazione nonché della dimensione del mercato geografico interessato (tutto il SEE), concludendo che le imprese destinatarie della Decisione avevano commesso un’infrazione molto grave dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE (punti 190-198 della Decisione). Tale livello di gravità giustifica, secondo gli Orientamenti, l’imposizione di una ammenda superiore a EUR 20 milioni. Tuttavia, la Commissione ha annunciato, al punto 199 della Decisione, che avrebbe tenuto conto del valore relativamente limitato del mercato del cloruro di colina nel SEE (EUR 52,6 milioni nel 1997, ultimo anno completo dell’infrazione).

14      Per determinare l’importo di partenza delle ammende, la Commissione ha dichiarato che avrebbe proceduto ad un trattamento differenziato delle società implicate al fine di tenere conto delle differenze nella loro capacità economica effettiva di nuocere gravemente alla concorrenza. Quindi, tenuto conto del fatto che l’infrazione ha avuto inizio a livello mondiale, con la partecipazione di società nordamericane che hanno, segnatamente, accettato di ritirarsi dal mercato europeo, la Commissione ha ritenuto che occorresse riferirsi alle quote di mercato mondiale delle imprese partecipanti all’infrazione per determinare la loro rispettiva importanza (punti 200 e 201 della Decisione).

15      Quindi, sulla base del quote di mercato a livello mondiale detenute nel 1997, la Commissione ha classificato la Chinook nella prima categoria con una quota di mercato del 19,3%, la DuCoa nella seconda categoria con una quota di mercato del 16,3%, la UCB, la Bioproducts e la Akzo Nobel nella terza categoria con quote di mercato rispettivamente del 13,4%, del 12,2% e del 12% e la BASF nella quarta categoria con una quota di mercato del 9,1%. A seguito di tale classificazione, gli importi di partenza sono stati fissati in EUR 12,9 milioni per la UCB e in EUR 9,4 milioni per la BASF. Tali importi di partenza sono stati calcolati sulla base di un importo di partenza per la prima categoria di EUR 20 milioni (punti 201 e 202 della Decisione).

16      Al fine di assicurare un sufficiente effetto dissuasivo, la Commissione, tenuto conto dei fatturati delle ricorrenti nel 2003 (EUR 3 miliardi per la UCB e EUR 33,4 miliardi per la BASF), ha moltiplicato l’importo di partenza dell’ammenda della BASF per un fattore pari a 2 (punto 203 della Decisione).

17      Successivamente, la Commissione ha aumentato per ciascuna delle ricorrenti l’importo di partenza, come determinato dopo l’applicazione dei fattori di dissuasione, in ragione del 10% per ogni anno completo di infrazione e del 5% per ogni periodo supplementare di sei mesi o più, ma inferiore ad un anno. Essendo l’infrazione durata almeno cinque anni e undici mesi (dal 13 ottobre 1992 al 30 settembre 1998), la Commissione ha aumentato gli importi di partenza del 55%. Pertanto, gli importi di base delle ammende inflitte sono stati fissati in EUR 29,14 milioni per la BASF e in EUR 20 milioni per la UCB (punti 206 e 207 della Decisione).

18      Una circostanza aggravante è stata applicata nei confronti della BASF a titolo di recidiva, per essere stata oggetto, in due occasioni, di decisioni di interdizione per lo stesso tipo di comportamento anticoncorrenziale. Si tratta della decisione della Commissione 24 luglio 1969, 69/243/CEE, relativa ad una procedura a norma dell’articolo [81 CE] (IV/26.267 – Materie coloranti) (GU L 195, pag. 11), e della decisione della Commissione 27 luglio 1994, 94/599/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/31.865 – PVC) (GU L 239, pag. 14). Tale circostanza ha comportato un aumento del 50% dell’importo di base dell’ammenda inflitta alla BASF, portandola a EUR 43,71 milioni (punti 208 e 219 della Decisione).

19      Dopo aver respinto una serie di argomenti avanzati dalle ricorrenti a titolo di circostanze attenuanti, relative alla cessazione anticipata dell’infrazione, alla mancata applicazione degli accordi, alla lunga durata dell’indagine, alla situazione di crisi del settore e alle misure disciplinari adottate contro i dipendenti implicati nell’infrazione nel quadro di un programma di messa in conformità, la Commissione ha ridotto l’ammenda inflitta alla UCB per l’effettiva cooperazione al di fuori dell’ambito di applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Più precisamente, è la UCB che aveva informato la Commissione, il 26 luglio 1999, dell’esistenza dell’infrazione a livello europeo, segnalando nove riunioni che avevano avuto luogo tra il marzo 1994 e l’ottobre 1998, allorquando la Commissione disponeva di informazioni solo riguardo a livello mondiale dell’intesa. Tale fatto ha determinato una riduzione del 25,8% dell’importo di base dell’ammenda, portandola a EUR 14,84 milioni (punti 218 e 219 della Decisione).

20      Riguardo all’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, la Commissione precisa, al punto 220 della Decisione, che le ricorrenti hanno tutte cooperato con essa in differenti fasi del procedimento.

21      In risposta ad una richiesta di informazioni datata 26 maggio 1999, la BASF (il primo dei tre produttori europei a fornire volontariamente prove) ha trasmesso, il 15 giugno 1999, una relazione la cui parte G si riferiva al cloruro di colina. Tuttavia, poiché le domande poste non si riferivano a tale prodotto, la Commissione ha considerato, al punto 221 della Decisione, che la parte G di tale relazione dovesse essere qualificata come comunicazione volontaria di prove ai sensi del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Lo stesso vale per i documenti forniti dalla BASF il 23 giugno 1999, che comprendevano elementi relativi alla riunione di Ludwigshafen (punto 221 della Decisione).

22      Riguardo alla valutazione del valore di tali elementi, la Commissione evidenzia che le prove già fornite dalla Chinook e dalla Bioproducts erano, di per se stesse, manifestamente sufficienti a costituire una prova decisiva ai sensi del punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Sarebbero, infatti, le prove fornite dalla Bioproducts il 7 maggio 1999 che avrebbero portato la Commissione a inviare, il 22 giugno 1999, una richiesta di informazioni riguardante specificamente il cloruro di colina. Tuttavia, la parte G della relazione della BASF, nonostante il suo valore limitato alla luce delle informazioni già disponibili, potrebbe essere considerata come un elemento di conferma dell’infrazione a livello mondiale ai sensi del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Riguardo agli accordi europei, la Commissione evidenzia che la BASF si è limitata a dichiarare che, malgrado gli sforzi dei produttori europei, non era stato concluso o applicato nessun accordo effettivo. Riguardo alla comunicazione della BASF datata 16 luglio 1999, questa non comprendeva elementi che contribuissero alla conferma dell’infrazione e, in ogni caso, costituirebbe una risposta alla richiesta di informazioni 22 giugno 1999. Per il resto, la Commissione fa presente che una comunicazione della BASF datata 4 novembre 2002, in risposta ad una richiesta di informazioni 30 agosto 2002, si è rivelata di valore solamente molto limitato in merito a due riunioni. La BASF ha peraltro informato la Commissione, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, che essa non avrebbe contestato i fatti sotto il loro aspetto sostanziale. Sulla base di tali elementi, la Commissione ha concesso alla BASF una riduzione del 20% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe altrimenti stata inflitta (punti 221-226 della Decisione).

23      Per ciò che riguarda la UCB, la Commissione ha riconosciuto che le informazioni fornite il 26 luglio 1999 (v. punto 19 supra), costituivano un contributo materiale significativo alla prova dell’infrazione a livello europeo, anche se non era stato fornito nessun documento risalente al periodo compreso tra il 1995 e il 1998. Per contro, la Commissione non ha considerato che la comunicazione supplementare del 21 settembre 1999 avesse un’analoga importanza. Inoltre, la contestazione della partecipazione a livello mondiale dell’intesa ha portato la Commissione a negare il beneficio di una riduzione per mancata contestazione dei fatti sotto il loro aspetto sostanziale. Per tali motivi, la Commissione ha concesso alla UCB, sulla base del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, una riduzione del 30% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe altrimenti stata inflitta (punti 227-231 della Decisione).

24      A conclusione di tale procedimento, le ammende inflitte alle ricorrenti sono state determinate come segue:

–        EUR 34,97 milioni alla BASF;

–        EUR 10,38 milioni alla UCB.

 Procedimento e conclusioni delle parti

25      Con atti introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale il 25 febbraio 2005 (causa T‑111/05, UCB/Commissione) e il 1° marzo 2005 (causa T‑101/05, BASF/Commissione), le ricorrenti hanno proposto i presenti ricorsi.

26      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 marzo 2005 (registrato con il numero di ruolo T‑112/05), la Akzo Nobel, anch’essa destinataria della Decisione, ha proposto un ricorso contro la decisione medesima.

27      Con lettera del 25 luglio 2006, inviata in risposta ad un quesito per iscritto, la BASF ha informato il Tribunale di voler desistere dal primo e dal settimo motivo di ricorso.

28      Con ordinanza 7 settembre 2006, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha deciso, sentite le parti, di riunire le cause T‑101/05, T‑111/05 nonché la causa T‑112/05 ai fini della procedura orale e della sentenza, conformemente all’art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale.

29      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha posto un quesito per iscritto alle parti.

30      Sentite le parti all’udienza su tale punto, il Tribunale ha deciso di separare la causa T‑112/05 dalle cause T‑101/05 e T‑111/05 ai fini della sentenza, conformemente all’art. 50 del regolamento di procedura.

31      Nella causa T‑101/05, la BASF conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare l’ammenda inflitta dalla Decisione o ridurne sostanzialmente l’importo;

–        condannare la Commissione a sopportare le spese di giudizio e le altre spese da essa sostenute riguardo alla presente causa;

–        pronunciare ogni misura che il Tribunale giudichi appropriata;

32      Nella causa T‑111/05, la UCB chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la Decisione o, quantomeno, annullare l’ammenda o ridurne sostanzialmente l’importo;

–        condannare la Commissione alle spese.

33      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere i ricorsi;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

1.     Osservazioni preliminari

34      La BASF deduce cinque motivi contestando la valutazione della Commissione in ordine, in primo luogo, alla portata dissuasiva dell’ammenda inflitta, in secondo luogo, alla maggiorazione del suo importo a titolo di recidiva, in terzo luogo, alla sua cooperazione durante il procedimento amministrativo, in quarto luogo, alla riduzione complessiva che dovrebbe esserle concessa indipendentemente dalla Comunicazione sulla cooperazione del 1996 e, in quinto luogo, alla qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica e continuata.

35      La UCB, da parte sua, deduce tre motivi, relativi ad un errore nella qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica e continuata, ad un’applicazione erronea della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 e, in via subordinata, ad una violazione di tale comunicazione, e ciò anche nell’ipotesi in cui gli accordi mondiali ed europei dovessero essere considerati dal Tribunale come costitutivi di un’infrazione unica e continuata.

36      Occorre, anzitutto, esaminare i primi quattro motivi della BASF, poi, valutare la fondatezza degli argomenti proposti a sostegno del motivo comune riguardante il carattere unico e continuato dell’infrazione e, infine, analizzare il secondo e il terzo motivo della UCB.

2.     Sul primo motivo sollevato dalla BASF, relativo ad una violazione dei regolamenti n. 17 e n. 1/2003 nonché degli Orientamenti per effetto della maggiorazione dell’importo dell’ammenda del 100% a fini dissuasivi

 Argomenti delle parti

37      Nel proprio ricorso, la BASF ha dedotto tre censure contro l’aumento dell’importo dell’ammenda a fini dissuasivi. In primo luogo, tale aumento sarebbe contrario al regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), e al regolamento n. 1/2003, nonché alle aspettative legittime derivanti dagli Orientamenti. In secondo luogo, la Commissione non avrebbe esaminato se un aumento a tale titolo fosse necessario considerata la condotta della BASF. In terzo luogo, tale aumento sarebbe incompatibile con l’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996.

38      All’udienza, la BASF ha desistito dalla prima e dalla terza censura del presente motivo. Nell’ambito della seconda censura, essa sostiene che la Commissione è obbligata, prima di aumentare un’ammenda a fini dissuasivi, a valutare se una tale maggiorazione è necessaria per l’impresa in questione tenendo conto della probabilità di recidiva da parte sua. La dimensione di una società sarebbe un fattore non rilevante ai fini di tale valutazione. Per contro, altri elementi potrebbero essere indicativi del comportamento futuro di un’impresa. Una grande impresa avrebbe meno bisogno di essere dissuasa a causa, per esempio, della sua esposizione ad azioni di classe o delle eventuali conseguenze che incidono sul suo valore in Borsa. La necessità di dissuasione non potrebbe essere valutata sulla base della dimensione complessiva di un’impresa, ma dovrebbe essere fondato sul suo comportamento specifico. Orbene, la Commissione avrebbe motivato l’aumento solo menzionando il fatturato mondiale della BASF.

39      Posto che sarebbe l’importo finale dell’ammenda a permettere di determinare se la sanzione sia di natura tale da dissuadere l’impresa dal commettere infrazioni future, la BASF sostiene che la necessità di un aumento dell’ammenda a fini dissuasivi dovrebbe essere valutata a conclusione del calcolo dell’ammenda e non in una fase intermedia. Per di più, una tale maggiorazione dell’importo dell’ammenda dovrebbe essere spiegata (nella comunicazione degli addebiti e nella decisione) con riferimento al comportamento di ciascuna società. Inoltre, la Commissione sarebbe obbligata a tenere conto delle ammende che l’impresa in questione ha dovuto pagare in paesi terzi al momento dell’adozione della decisione per una simile violazione della legge. La BASF aggiunge che la Commissione ha erroneamente imposto un aumento dell’importo dell’ammenda sulla base delle attività svolte in altri mercati totalmente indipendenti. La BASF evidenzia che nel suo caso non era necessario nessun aumento addizionale a fini dissuasivi. Infatti, a seguito della decisione della Commissione 21 novembre 2001, 2003/2/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.512 – Vitamine) (GU 2003, L 6, pag. 1), la BASF avrebbe intrapreso iniziative senza precedenti per controllare che nessun comportamento illegittimo di tal genere si ripetesse in futuro, come essa avrebbe spiegato nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. La sua cooperazione durante il procedimento amministrativo nonché le ammende che essa ha dovuto pagare in paesi terzi a seguito della causa Vitamine deporrebbero a favore all’assenza di ogni bisogno dissuasivo. Orbene, la Decisione non conterrebbe elementi atti a confutare l’argomento della BASF.

40      Secondo la BASF, se è pur vero che la Commissione sostiene che la dissuasione costituisce una componente della gravità dell’infrazione e non un elemento del comportamento individuale di ciascuna impresa, essa non spiega peraltro perché talune imprese, piuttosto che altre, si vedano infliggere aumenti delle ammende a fini dissuasivi. La BASF aggiunge che, considerata la cronistoria e l’interconnessione tra la presente fattispecie e il caso Vitamine, richiamato supra al punto 39, la decisione 2003/2 non avrebbe dovuto essere considerata rilevante per calcolare l’ammenda della BASF o per valutare la questione della dissuasione, poiché la Commissione non ha spiegato perché non ha trattato tutti i cartelli sulle vitamine nell’ambito di un’unica decisione.

41      La BASF, in risposta all’argomento della Commissione secondo cui la presunzione di innocenza osterebbe ad una valutazione del comportamento d’infrazione futuro, evidenzia che la questione rilevante è quella se è un’impresa, cansapevole del carattere illegittimo del proprio comportamento e che adotti misure contro la sua reiterazione abbia bisogno o meno di una dissuasione supplementare. Tale esame non avrebbe nessuna connessione con la presunzione di innocenza.

42      La Commissione contesta la fondatezza del presente motivo.

 Giudizio del Tribunale

43      Si deve ricordare che le sanzioni previste all’art. 15 del regolamento n. 17 e all’art. 23 del regolamento n. 1/2003 hanno lo scopo di reprimere comportamenti illeciti, come pure di prevenire il loro ripetersi. La dissuasione costituisce, dunque, una finalità dell’ammenda (sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497; in prosieguo: la «sentenza Vitamine», punti 218 e 219).

44      Gli Orientamenti menzionano tale finalità al loro punto 1 A, ai sensi del quale «occorrerà fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo».

45      Inoltre, l’effetto dissuasivo delle ammende costituisce uno degli elementi in funzione dei quali deve essere accertata la gravità delle infrazioni (sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33).

46      Nella presente fattispecie, occorre rilevare che, al fine di applicare alla BASF l’aumento dell’importo di partenza dell’ammenda, la Commissione non ha proceduto ad una valutazione della probabilità di recidiva da parte della medesima. Infatti, come risulta dal punto 203 della Decisione (v. punto 16 supra), essa ha unicamente preso in considerazione la dimensione di tale impresa.

47      Ciò nondimeno, occorre considerare che la mancata valutazione della probabilità di recidiva da parte della BASF non incide per nulla sulla legittimità di tale aumento. Infatti, una giurisprudenza costante ha più volte riconosciuto la pertinenza delle dimensioni dell’impresa come elemento di valutazione nell’ambito della fissazione dell’importo dell’ammenda. Tale elemento può essere utilizzato come indicatore dell’influenza che l’impresa interessata ha potuto esercitare sul mercato (v. sentenza Vitamine, punto 43 supra, punti 233-236 e giurisprudenza ivi citata).

48      Riguardo alla fase in cui deve essere valutata la necessità dell’applicazione di un coefficiente per assicurare l’effetto dissuasivo dell’ammenda, è sufficiente rilevare che l’esigenza di un effetto dissuasivo dev’essere sottesa all’intero processo di determinazione dell’importo dell’ammenda e non solo ad una fase di questo (sentenza Vitamine, punto 43 supra, punto 238).

49      Riguardo alla necessità di applicare un tale coefficiente nella presente fattispecie, si deve rilevare che la BASF ha realizzato nel 2003 un fatturato complessivo di EUR 33,4 miliardi, ciò che testimonia la dimensione considerevole di tale impresa che supera di gran lunga quella della UCB e della Akzo Nobel.

50      Si desume da quanto precede che la Commissione non ha violato i regolamenti n. 17 e n. 1/2003. Essa non si è inoltre discostata dagli Orientamenti ritenendo che, in considerazione della dimensione della BASF, fosse necessario, a fini dissuasivi, raddoppiare l’importo di partenza da EUR 9,4 a EUR 18,8 milioni.

51      Per ciò che riguarda le misure adottate dalla BASF per prevenire una recidiva, la cooperazione di cui essa ha dato prova e le condanne subite in paesi terzi, occorre verificare in quale misura tali circostanze giustificassero una riduzione dell’ammenda da parte della Commissione, nell’ambito della valutazione della necessità dell’effetto dissuasivo nei confronti della BASF.

52      Riguardo ai provvedimenti adottati dalla BASF al fine di prevenire una recidiva, occorre constatare che, nonostante l’importanza dei provvedimenti di messa in conformità con il diritto della concorrenza, tale circostanza non muta la realtà dell’infrazione rilevata. Quindi, l’adozione di un programma di messa in conformità da parte dell’impresa interessata non obbliga la Commissione a concedere una riduzione dell’ammenda per questa circostanza (sentenza Vitamine, punto 43 supra, punti 266 e 267). Alla luce di ciò, deve anche essere respinta l’affermazione secondo cui, a seguito delle ammende imposte dalla decisione 2003/2, la BASF non avrebbe avuto bisogno di essere dissuasa nell’ambito delle sue attività concernenti il cloruro di colina. Infatti, l’imposizione di un’ammenda alla BASF per diverse attività anticoncorrenziali concernenti altri prodotti vitaminici non incide neanch’essa sull’effettività dell’infrazione commessa e, pertanto, non obbliga la Commissione a concedere una riduzione a tale titolo.

53      Per quanto riguarda le condanne subite in paesi terzi, si deve rilevare che lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue nel determinare l’importo di un’ammenda è quello di garantire l’osservanza, da parte delle imprese, delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a causa di una violazione delle regole comunitarie di concorrenza non può essere determinato né solamente in funzione della situazione particolare dell’impresa condannata, né in funzione dell’osservanza da parte di quest’ultima delle regole in materia di concorrenza stabilite negli Stati terzi fuori dal SEE (v. sentenza Vitamine, punto 43 supra, punto 269 e giurisprudenza ivi citata).

54      Per ciò che riguarda la cooperazione della BASF durante il procedimento amministrativo, la Commissione ha riconosciuto l’effettività di tale cooperazione e l’ha ricompensata nell’ambito dell’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (v., in tal senso, sentenza Vitamine, punto 43 supra, punto 268). Pertanto, la questione se tale cooperazione meritasse, eventualmente, riduzioni dell’ammenda maggiormente rilevanti deve essere esaminata nell’ambito del terzo motivo.

55      Il primo motivo deve, di conseguenza, essere respinto.

3.     Sul secondo motivo sollevato dalla BASF, relativo alla violazione dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità a causa della maggiorazione del 50% dell’importo dell’ammenda a titolo di recidiva nonché al calcolo errato di tale maggiorazione

 Argomenti delle parti

56      La BASF sostiene, in via preliminare, che i regolamenti n. 17 e n. 1/2003 non offrono un fondamento normativo chiaro per un aumento dell’importo dell’ammenda per recidiva. Posto che le infrazioni per le quali la BASF si è vista imporre un’ammenda nel 1969 e nel 1994 non avrebbero avuto alcuna influenza sulla gravità osulla durata dell’infrazione che costituisce l’oggetto della Decisione, la Commissione, tenendo conto di tali condanne, avrebbe violato il principio di certezza del diritto. Risulterebbe dal regolamento n. 2988/74, dall’art. 25 del regolamento n. 1/2003 nonché dal principio di certezza del diritto che la sanzione per recidiva dovrebbe essere sottoposta a regole di prescrizione al fine di evitare di giungere a risultati assurdi, come la mancata imposizione di un’ammenda ai produttori nordamericani a causa della prescrizione del loro comportamento collusivo che ha avuto luogo nel 1994, mentre la BASF viene sanzionata per un’infrazione che si è prodotta nel 1964. Sarebbe in generale irrazionale che una società non possa essere sanzionata per un’infrazione commessa cinque anni prima, ma che essa possa esserlo più pesantemente per un’infrazione prescritta da lungo tempo. Secondo la BASF, pur se è vero che gli Orientamenti sono carenti in quanto non prevedono un periodo di tempo decorso il quale un’infrazione anteriore non dovrebbe più essere presa in considerazione a titolo di recidiva, le legislazioni degli Stati membri prevedono, per contro, una tale limitazione. La BASF ritiene che, se la decisione 69/243 (v. punto 18 supra) non è stata presa in considerazione ai fini della maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, occorre ritenere che tale maggiorazione sia erronea oppure che anche la Commissione sia parimenti dell’avviso che un’infrazione commessa 40 anni prima non possa essere presa in considerazione a tale titolo.

57      In assenza di una disposizione che preveda un termine di prescrizione per prendere in considerazione l’infrazione anteriore a titolo di recidiva, la Commissione è tenuta, secondo la BASF, ad utilizzare il suo potere discrezionale in modo ragionevole e proporzionato in circostanze chiaramente definite e rilevanti. La BASF sostiene che tale tesi si impone a maggior ragione quando l’infrazione anteriore è stata commessa in un’epoca lontana, allorquando il diritto comunitario della concorrenza era poco conosciuto e compreso. La BASF sottolinea che la seconda decisione richiamata dalla Commissione ai fini della recidiva è stata adottata nel 1994 e concerneva il periodo compreso tra il 1980 e il 1984. Orbene la Commissione non può approfittare della lentezza del suo processo decisionale per sanzionare, a titolo di recidiva, infrazioni risalenti così indietro nel tempo. Peraltro, la Commissione non avrebbe imposto un aumento dell’ammenda per recidiva nella decisione 2003/2, il che sarebbe stato corretto.

58      Per di più, secondo la BASF, la constatazione di una recidiva sulla base di un comportamento risalente a più di 20 anni prima presuppone che le due infrazioni siano dello stesso tipo, il che è escluso se esse concernono mercati differenti. Ciò avverrebbe tuttavia nel caso di specie, dato che le sostanze coloranti (oggetto della decisione 69/243), il PVC (oggetto della decisione 94/599) e il cloruro di colina rientrano in mercati completamente differenti.

59      In ogni caso, il calcolo della maggiorazione in questione sarebbe viziato da illegittimità, in quanto la Commissione avrebbe dovuto applicarla, conformemente ai punti 226 e 229 della sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione (Racc. pag. II‑2473), all’importo di partenza di EUR 9,4 milioni, prima di qualunque maggiorazione a titolo della dimensione dell’impresa o a fini dissuasivi (v. punto 15 supra), e non all’importo di base di EUR 29,14 milioni (v. punti 17 e 18 supra).

60      La Commissione evidenzia, anzitutto, di non aver preso in considerazione, ai fini del calcolo dell’ammenda, la partecipazione della BASF al cartello delle vitamine che ha dato luogo all’adozione della decisione 2003/2. Essa mette anche in evidenza che la decisione 94/559 è stata adottata durante il periodo di infrazione concernente il cloruro di colina. Peraltro è la mancata correzione del comportamento dell’impresa interessata che aggrava la sua colpevolezza nell’ambito della decisione che constata una nuova infrazione, indipendentemente dal tempo trascorso tra la prima infrazione e l’adozione della decisione che vi si riferisce. La Commissione non comprende perché il fatto che le infrazioni anteriori della BASF abbiano riguardato mercati differenti da quelli del cloruro di colina possa invalidare la maggiorazione in questione, dato che, in particolare, la natura di tutte queste infrazioni era simile.

61      Riguardo al principio della certezza del diritto, la Commissione sostiene che, quando infligge ammende, tiene conto di regole di natura universale, quali il principio di proporzionalità, ma anche, conformemente alla giurisprudenza, delle regole specifiche dell’imposizione di sanzioni, quali il riconoscimento di circostanze che possono aggravare o attenuare la responsabilità del colpevole. Un’impresa non potrebbe rivendicare l’applicazione di circostanze attenuanti e, allo stesso tempo, respingere per principio la possibilità di tenere anche conto delle circostanze aggravanti ai fini del calcolo dell’ammenda. La recidiva sarebbe, peraltro, espressamente menzionata al punto 2, primo trattino, degli Orientamenti come circostanza aggravante, essendo stata la BASF anche avvertita al riguardo al punto 217 della comunicazione degli addebiti.

62      Riguardo al notevole tempo trascorso dalle infrazioni anteriori, la Commissione fa osservare che la giurisprudenza ha convalidato un aumento del 50% dell’importo di base per recidiva, sulla base di un’infrazione che aveva dato luogo all’adozione di una decisione vent’anni prima, ciò che la autorizza a tenere conto, nella presente fattispecie, della decisione 94/599. Orbene, quest’ultima decisione è sufficiente, secondo la Commissione, a imporre l’aumento in questione anche senza tenere conto della decisione 69/243. Inoltre, il fatto di non aver considerato le infrazioni specifiche anteriori come circostanze aggravanti ai fini del calcolo dell’ammenda nell’ambito della decisione 2003/2 non impedisce alla Commissione di farlo nell’ambito di una decisione successiva.

63      Quanto alla censura relativa al calcolo erroneo della maggiorazione, la Commissione sottolinea che la BASF confonde l’importo di partenza (v. punto 15 supra) con l’importo di base dell’ammenda come determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione (v. punto 17 supra). È su quest’ultimo importo che deve essere applicato qualunque aumento a titolo di circostanza aggravante conformemente alla sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 59, ciò che la Commissione sostiene di aver fatto nella presente fattispecie.

 Giudizio del Tribunale

64      Occorre respingere anzitutto l’argomento della BASF secondo cui il riconoscimento di un caso di recidiva presuppone che le infrazioni riguardino lo stesso mercato del prodotto. Infatti, è sufficiente che la Commissione si trovi di fronte a infrazioni che rientrano nella stessa disposizione del Trattato CE.

65      Occorre poi rilevare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 costituiscono il fondamento normativo pertinente in forza del quale la Commissione può infliggere ammende nei confronti di imprese e di associazioni di imprese per infrazioni dell’art. 81 CE e dell’art. 82 CE. Ai sensi di tali disposizioni, per determinare l’importo dell’ammenda devono essere prese in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione. La gravità dell’infrazione va accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità. Il fatto di tener conto, in sede di fissazione dell’ammenda, delle circostanze aggravanti risponde al compito della Commissione di garantire la conformità alle regole di concorrenza (sentenza della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I-1331, punti 24 e 25).

66      Per di più, l’analisi della gravità dell’infrazione commessa deve tenere conto di un’eventuale recidiva (sentenze della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 91, e Groupe Danone/Commissione, punto 65 supra, punto 26), potendo quest’ultima giustificare un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 293). Alla luce di questa giurisprudenza, occorre respingere le affermazioni della BASF secondo cui, da un lato, le sue infrazioni anteriori non avrebbero alcuna influenza sulla gravità dell’infrazione in questione e, dall’altro, mancherebbe un fondamento normativo chiaro per l’applicazione di una maggiorazione a titolo di recidiva.

67      Riguardo alla censura relativa a un preteso obbligo di riconoscere un limite temporale alla possibilità di tenere conto dell’eventuale recidiva, occorre rilevare che l’assenza di un termine massimo per la constatazione della recidiva nei regolamenti n. 17 e n. 1/2003 o negli Orientamenti non viola il principio di certezza del diritto. Infatti, la constatazione e la valutazione delle caratteristiche specifiche di una recidiva rientrano nel potere discrezionale di cui dispone la Commissione riguardo alla scelta degli elementi da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’importo delle ammende. In tale contesto, per poter procedere a un siffatto accertamento la Commissione non può essere vincolata da un eventuale termine di prescrizione. A tale riguardo, occorre ricordare che la recidiva rappresenta un elemento importante che la Commissione è tenuta a valutare, dato che la sua presa in considerazione è finalizzata a indurre le imprese che abbiano dimostrato una tendenza a violare le regole di concorrenza, a mutare il loro comportamento. Pertanto, la Commissione può, in ogni singolo caso, prendere in considerazione quei fattori che confermano tale tendenza, incluso, ad esempio, il tempo trascorso tra le infrazioni (sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 65 supra, punti 37-39).

68      Nella fattispecie, le decisioni considerate dalla Commissione per motivare la sua valutazione in merito alla recidiva (v. punto 18 supra) dimostrano che la BASF ha violato le regole in materia di concorrenza durante i periodi compresi tra il 1964 e il 1967 (fissazione del tasso degli aumenti di prezzo e delle condizioni di applicazione di tali aumenti nel settore delle materie coloranti) e dall’agosto del 1980 al maggio del 1984 (fissazione di prezzi «obiettivo» e di quote «obiettivo» e pianificazione delle iniziative concertate dirette a rilevare il livello dei prezzi e a sorvegliare la sua attuazione).

69      Occorre considerare che l’ultima di tali infrazioni può giustificare da sola l’applicazione di una maggiorazione del 50% dell’importo di base dell’ammenda imposta alla BASF (v., in tal senso, sentenza Michelin/Commissione, punto 66 supra, punto 293).

70      In ogni caso, il Tribunale sottolinea che l’esercizio della sua potestà giurisdizionale di merito può giustificare la produzione e la presa in considerazione di elementi aggiuntivi d’informazione, la cui menzione nella decisione non è, in quanto tale, prescritta in forza dell’obbligo di motivazione ex art. 253 CE (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione, Racc. pag. I‑9641, punto 40).

71      Occorre prendere in considerazione, in tale ambito, il fatto che la BASF è stata anche oggetto della decisione della Commissione 23 aprile 1986, 86/398/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/31.149 – Polipropilene) (GU L 230, pag. 1). A seguito della sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑4/89, BASF/Commissione (Racc. pag. II‑1523), la BASF si è vista imporre un’ammenda di ECU 2,125 milioni per la sua partecipazione ad accordi e a pratiche concordate finalizzate a definire la sua politica commerciale, a fissare prezzi obiettivo e a concordare misure a tal fine, ad aumentare i prezzi e a ripartire mercati dalla fine del 1978 o dall’inizio del 1979 fino al novembre 1983. Interrogata all’udienza, la Commissione non ha saputo spiegare l’omissione di tale decisione, benché essa figuri al punto 29 della comunicazione degli addebiti.

72      Tenuto conto di tale elemento, è gioco forza constatare che la BASF si è trovata, dal 1964 al 1993, in situazione di violazione flagrante delle regole di concorrenza durante circa tredici anni. Ne risulta che la maggiorazione dell’importo di base del 50% è appropriata.

73      La censura relativa al calcolo erroneo della maggiorazione a titolo della recidiva deve anch’essa essere rigettata, dato che deriva da una confusione da parte della BASF tra le nozioni di importo di partenza e importo di base (v. punti 15-17 supra). Infatti, secondo il punto 229 della sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 59, dedotta dalla BASF a sostegno delle sue affermazioni, le percentuali corrispondenti agli aumenti o alle riduzioni, adottate a titolo di circostanze aggravanti o attenuanti, devono essere applicate all’importo di base dell’ammenda, determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione. Orbene, è proprio ciò che la Commissione ha fatto nella presente fattispecie, come lo dimostra il punto 219 della Decisione (v. punti 17 e 18 supra). In ogni caso, occorre sottolineare che, nelle circostanze della fattispecie, il metodo di calcolo proposto dalla BASF avrebbe portato allo stesso risultato.

74      Pertanto, il secondo motivo deve essere respinto in toto.

4.     Sul terzo motivo sollevato dalla BASF, relativo all’applicazione erronea della Comunicazione sulla cooperazione del 1996

 Argomenti delle parti

75      La BASF considera che la riduzione del 20% che le è stata concessa a titolo del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (v. punto 22 supra) è troppo limitata alla luce del grado della sua cooperazione. In applicazione del principio di proporzionalità, la Commissione sarebbe tenuta a concedere riduzioni proporzionate alla cooperazione di ciascuna impresa. Secondo la prassi costante della Commissione, la BASF avrebbe diritto ad una riduzione del 10% per la mancata contestazione dell’effettività dei fatti imputatile. Ne risulterebbe che la sua cooperazione rapida, completa e volontaria, in una forma diversa dalla mancata contestazione dei fatti, meritava una riduzione molto più significativa del 10% concessale.

76      Infatti, la Decisione non avrebbe fornito un resoconto oggettivo e preciso della cooperazione della BASF, in quanto essa descriverebbe in modo non corretto il contenuto di talune comunicazioni, resterebbe silente quanto ad altri aspetti significativi di tale cooperazione e, inoltre, non permetterebbe alla BASF di comprendere la valutazione che la Commissione ha effettuato riguardo a taluni aspetti della cooperazione. Tali carenze testimoniano parimenti, secondo la BASF, una violazione del principio di buona amministrazione.

77      La BASF sostiene, a fondamento delle sue affermazioni, che nella Decisione la Commissione:

–        non fa riferimento alla sua lettera datata 6 maggio 1999 mediante la quale la informava dell’esistenza di accordi illegittimi nel settore delle vitamine, riguardo ai quali le autorità degli Stati Uniti avevano avviato un’indagine, e ha richiesto una riunione per discuterne in dettaglio. La BASF ritiene che la Commissione abbia smarrito tale lettera;

–        non fa riferimento ad una riunione svoltasi il 17 maggio 1999, durante la quale essa descriveva una serie di accordi collusivi e forniva informazioni che hanno contribuito effettivamente alla prova dell’infrazione tra cui la conclusione, allora imminente, di una transazione giudiziale con le autorità degli Stati Uniti, firmata, infine, il 19 maggio 1999 e concernente anche il cloruro di colina;

–        non fa riferimento alla sua lettera datata 21 maggio 1999 mediante la quale forniva i documenti relativi all’indagine avviata negli Stati Uniti. La BASF ritiene che la Commissione abbia smarrito tale lettera;

–        effettua una presentazione errata della sua comunicazione datata 23 luglio 1999;

–        fa una descrizione incompleta di una richiesta di informazioni 26 maggio 1999 in modo da non riconosce che il rapporto 15 giugno nonché la comunicazione 23 giugno 1999 sono stati forniti volontariamente;

–        ha erroneamente considerato la sua comunicazione datata 16 luglio 1999 come una risposta ad una richiesta di informazioni datata 22 giugno 1999.

78      L’omissione della lettera del 6 maggio 1999 e della riunione del 17 maggio 1999 sarebbe impossibile da spiegarsi, dato che vi è fatto riferimento al punto 127 della decisione 2003/2.

79      Lo smarrimento di elementi sostanziali del fascicolo da parte della Commissione le avrebbe impedito di ottenere una visione completa della cooperazione della BASF. Così, quest’ultima non avrebbe potuto ritrovare, nel fascicolo della Commissione, le lettere del 6 e del 21 maggio 1999 né un’indicazione (sotto forma di appunti o di verbali redatti da funzionari della Commissione) della riunione del 17 maggio 1999.

80      Il valore degli elementi forniti alla Commissione non potrebbe essere contestato per il fatto che quest’ultima non ha accettato la produzione di prove addizionali sotto forma, specificamente, di testimonianze orali proposte dalla BASF, insistendo per ricevere solo prove scritte. Tale insistenza avrebbe privato la BASF della possibilità di produrre importanti informazioni, ciò che avrebbe potuto fare per iscritto se la Commissione avesse chiarito la sua tesi rispondendo alla lettera del 6 maggio 1999. Tale comportamento della Commissione sarebbe contrario al principio di buona amministrazione.

81      Secondo la BASF, la Commissione avrebbe dovuto assicurare la redazione di un verbale adeguato della riunione del 17 maggio 1999. Anche gli appunti stenografici conservati dal responsabile del fascicolo rivelerebbero che la riunione concerneva punti sostanziali e riguardava nel dettaglio i diversi settori, tra cui quello del cloruro di colina, ciò che la Commissione non contesterebbe. La mancata inclusione di tali appunti nel fascicolo sul cloruro di colina costituirebbe parimenti una violazione del principio di buona amministrazione.

82      La BASF sostiene di aver fornito, durante tale riunione, informazioni che hanno effettivamente contribuito alla prova dell’infrazione (individuazione di accordi collusivi, prodotti e imprese interessate, durata, conclusione imminente di una transazione giudiziale con il Ministero della Giustizia americano, specificamente, sul cloruro di colina). Ciò è dimostrato, secondo la BASF, da una dichiarazione datata 24 febbraio 2005, redatta dal suo consulente giuridico, sig. J. Scholz, che essa chiama la «dichiarazione Scholz».

83      Al termine della riunione del 17 maggio 1999, la BASF riteneva di aver fatto tutto il necessario per beneficiare della riduzione più elevata possibile ai sensi della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Alla luce di tali elementi, la BASF ritiene che le sue ulteriori comunicazioni confermassero solo, in forma di prova scritta, le informazioni comunicate oralmente, il che implica che gli elementi di prova in forma scritta dovevano essere considerati come comunicati durante tale riunione. Tali informazioni sarebbero state tutte fornite volontariamente, ciò che la Commissione ignorerebbe nella Decisione. Inoltre, la Commissione non contesterebbe il fatto che si possono fornire oralmente informazioni a titolo del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996.

84      Riguardo alla relazione 15 giugno 1999, la BASF sottolinea che essa non è stata inviata in risposta alla richiesta di informazioni 26 maggio 1999, ma in risposta alla richiesta di prove scritte formulata dalla Commissione alla riunione del 17 maggio 1999. La redazione di tale relazione sarebbe cominciata prima dell’invio di tale richiesta di informazioni. Questo fatto sarebbe peraltro provato dalla comunicazione della BASF del 21 maggio 1999. Inoltre, tale relazione fornirebbe anche informazioni riguardo a vitamine che non sono oggetto della richiesta 26 maggio 1999, come la vitamina D 3 e i carotenoidi. Sarebbe la richiesta della Commissione di ricevere una relazione per iscritto che avrebbe generato il ritardo nella trasmissione delle informazioni. Tuttavia, incontri con membri del personale della BASF, proposti da quest’ultima, sarebbero stati un mezzo efficace per la raccolta delle prove necessarie. La comunicazione del 23 giugno 1999, che costituirebbe un complemento alla relazione 15 giugno 1999, sarebbe anch’essa stata fornita su iniziativa della BASF. Tale comunicazione del 23 giugno 1999 conterrebbe prove addizionali che all’epoca non erano in possesso della Commissione e concernevano la riunione di Ludwighafen (v. punto 4 supra). Inoltre, la comunicazione 16 luglio 1999 integrerebbe, anch’essa, le prove richieste alla riunione del 17 maggio 1999 e dovrebbe essere considerata come volontaria. Essa riguarderebbe l’attuazione degli accordi in questione e fornirebbe prove ivi attinenti. La comunicazione del 4 novembre 2002 (v. punto 22 supra) conterrebbe parimenti una serie di elementi rilevanti, specificamente riguardo a due riunioni del cartello.

85      In ogni caso, la distinzione operata nella Decisione tra comunicazioni volontarie e involontarie sarebbe erronea, dato che una richiesta di informazioni della Commissione non potrebbe essere determinante per minimizzare la cooperazione dell’impresa, a titolo del punto D, n. 2, primo trattino, della Comunicazione sulla cooperazione del 1996.

86      Quindi, secondo la BASF, la Commissione ritiene erroneamente che la relazione 15 giugno 1999 e le comunicazioni 23 giugno, 16 luglio 1999 e 4 novembre 2002 non abbiano contribuito materialmente a provare l’infrazione. La Commissione non avrebbe peraltro spiegato perché essa ha aspettato sei settimane dopo la trasmissione delle informazioni da parte della Bioproduct (7 maggio 1999, v. punto 22 supra) prima di inviare la richiesta di informazioni 22 giugno 1999, data in cui essa disponeva di tutti gli elementi forniti durante la riunione del 17 maggio 1999 e dalla relazione 15 giugno 1999. In realtà, documenti presentati dalla Bioproducts non conterrebbero informazioni dettagliate né esaustive, contrariamente a quelli prodotti dalla BASF il 17 maggio e il 15 giugno 1999, i quali menzionerebbero le riunioni tenutesi nonché i nomi dei partecipanti e avrebbero permesso alla Commissione di avviare le sue indagini. Inoltre, le informazioni fornite dalla Chinook sei mesi prima delle memorie della Bioproduct e della BASF (v. punto 3 supra) avrebbero avuto un valore limitato e, in parte, privo di rilevanza, ragion per cui la Commissione non avrebbe avviato un’indagine a quell’epoca. In ogni caso, sarebbe la riunione del 17 maggio 1999 che avrebbe spinto la Commissione a chiedere informazioni sul cloruro di colina.

87      La Commissione conferma che la riduzione del 20% concessa alla BASF deve essere considerata come una riduzione del 10% per mancata contestazione della effettività dei fatti e come una riduzione del 10% fondata sulla comunicazione di elementi di prova. Per il resto, essa contesta la fondatezza delle affermazioni della BASF.

 Giudizio del Tribunale

88      Il punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 così recita:

«D. Significativa riduzione dell’ammontare dell’ammenda:

1. Un’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione.

2. Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

89      Come menzionato al punto E, n. 3, della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, quest’ultima ha creato aspettative legittime sulle quali fanno affidamento le imprese che intendono informare la Commissione dell’esistenza di un’intesa. Tenuto conto del legittimo affidamento che le imprese che intendono cooperare con la Commissione hanno potuto trarre da tale comunicazione, la Commissione è dunque tenuta a conformarvisi al momento della valutazione della cooperazione dell’impresa in questione, in sede di determinazione dell’ammontare dell’ammenda inflitta a quest’ultima (v. sentenza Vitamine, citata al punto 43 supra, punto 488 e giurisprudenza ivi citata).

90      Occorre rilevare, peraltro, che affinché un’impresa possa beneficiare di una riduzione dell’ammenda per la collaborazione mostrata durante il procedimento amministrativo, il suo comportamento deve agevolare il compito della Commissione che consiste nel constatare e reprimere le infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 505).

91      Come risulta dalla stessa formulazione del n. 2 del punto D, in particolare dalle parole introduttive «[c]iò può verificarsi in particolare (…)», la Commissione dispone di un potere discrezionale quanto alla riduzione da concedere a titolo di tale comunicazione (sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 394).

92      Peraltro, una riduzione sulla base della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 è giustificabile solo ove le informazioni fornite e, più in generale, il comportamento dell’impresa interessata possano essere considerati, al riguardo, prova di un’effettiva cooperazione da parte della stessa. Infatti, come risulta dalla stessa nozione di cooperazione, quale evidenziata nel testo della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, in particolare nell’introduzione e nel punto D, n. 1, di tale comunicazione, solo quando il comportamento dell’impresa interessata testimonia un siffatto spirito di cooperazione può essere accordata una riduzione sulla base di tale comunicazione (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 91 supra, punti 395 e 396). Non può quindi considerarsi come indice di un tale spirito di cooperazione il comportamento di un’impresa che, benché non fosse tenuta a rispondere alla domanda posta dalla Commissione, lo ha fatto in modo incompleto e fuorviante (v., in tal senso, sentenza della Corte 29 giugno 2006, causa C‑301/04 P, Commissione /SGL Carbon, Racc. pag. I‑5915, punto 69).

93      È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare la fondatezza del presente motivo.

 Sul documento del 6 maggio 1999

94      È importante rilevare che il documento del 6 maggio 1999 menziona, senza maggiori dettagli, indagini condotte negli Stati Uniti specificamente nei confronti della BASF nel settore delle vitamine. Mediante la comunicazione di tale documento, la BASF si è limitata a concorrere (insieme all’impresa Hoffman-La Roche, che aveva già contattato la Commissione due giorni prima) nell’ambito della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 e a richiedere un incontro a tale riguardo con il gabinetto del competente membro della Commissione.

95      È evidente che l’assenza di riferimento a tale documento nella Decisione non può incidere sulla valutazione della Commissione quanto alla cooperazione della BASF. Tale documento non contiene alcun accenno al cartello mondiale del cloruro di colina (cui, peraltro, la Hoffman-La Roche non ha partecipato) né al cartello creato tra i produttori europei di tale vitamina. Questo documento poteva, al massimo e in maniera implicita, riguardare solo il cartello mondiale del cloruro di colina, senza peraltro contenere «informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione» ai sensi del punto D, n. 2, della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (v., in tal senso, sentenza Vitamine, citata al precedente punto 43, punto 507).

 Sulla riunione del 17 maggio 1999

96      Occorre osservare che non è stato compilato nessun verbale di tale riunione, né il giorno stesso né successivamente, e che essa non è stata oggetto di registrazione sonora. La BASF denuncia l’omissione di tali formalità da parte della Commissione senza tuttavia affermare in alcun modo di aver effettivamente domandato all’istituzione di procedervi. Alla luce di ciò, non può essere rimproverato a quest’ultima di aver violato il principio di buona amministrazione (v., in tal senso, sentenza Vitamine, citata la punto 43 supra, punti 501, 502 e 509).

97      È giocoforza rilevare che la BASF rimane molto vaga riguardo alle pretese informazioni fornite sul cloruro di colina durante tale riunione, tenutasi tra funzionari della Commissione e rappresentanti della BASF e della Hoffman-La Roche. Per ciò che riguarda le prove documentali relative al contenuto di tale riunione, il fascicolo contiene appunti stenografici conservati da un funzionario della Commissione. La BASF ha, da parte sua, riprodotto nelle proprie memorie taluni estratti della dichiarazione Scholz che essa ha allegato al suo ricorso. Riguardo alla valutazione di tale dichiarazione come mezzo di prova, occorre osservare che il regolamento di procedura non si oppone a che le parti producano dichiarazioni di questo tipo. Tuttavia, la loro valutazione rimane riservata al Tribunale che può, se i fatti che vi sono descritti sono fondamentali per la risoluzione delle controversie, ordinare, sotto forma di misure istruttorie, l’audizione in qualità di testimone dell’autore di tale documento (v., in tale senso, ordinanza del Tribunale 24 ottobre 2003, causa T‑172/03, Heurtaux/Commissione, punto 3). Nella presente fattispecie non è necessario adottare una tale misura.

98      Gli appunti stenografici presentano un’immagine lacunosa di ciò che è stato discusso durante la riunione del 17 maggio 1999. Orbene, alla luce di essi, risulta evidente che la Commissione, la Hoffman-La Roche e la BASF hanno discusso essenzialmente degli aspetti preliminari di un’eventuale cooperazione, sfociata nella denuncia di cartelli concernenti un numero indefinito di prodotti vitaminici. La discussione ha riguardato la volontà delle imprese di cooperare, lo stato del procedimento negli Stati Uniti, le azioni da intraprendere quanto alla divulgazione di elementi alla luce, specificamente, delle azioni di categoria pendenti negli Stati Uniti, della pianificazione temporale e dell’idea della Commissione su ciò che implica una cooperazione per le imprese. Il solo riferimento al cloruro di colina è contenuto nella terza pagina, ove è semplicemente menzionato che tale prodotto è stato oggetto di accordi collusivi. La BASF non può quindi pretendere che gli appunti in questione dimostrino che siano state fornite informazioni essenziali, quali i nomi delle imprese partecipanti (viene solo menzionata l’implicazione di imprese giapponesi senza, tuttavia, alcuna relazione con il cartello concernente il cloruro di colina) o la durata dell’infrazione. Per guanto concerne il fatto che vi siano stati accordi collusivi riguardanti il cloruro di colina, è sufficiente ricordare che la Commissione ne aveva conoscenza ben prima della riunione in questione grazie alla comunicazione della Chinook (v. punto 3 supra).

99      La dichiarazione Scholz afferma (punto 10): «[a tale riunione, la BASF si è dichiarata] implicata in attività illecite relative al cloruro di colina, inclusi composti e pre-composti, come risulta dal suo verbale della riunione della Commissione. Noi abbiamo anche informato i funzionari della Commissione che gli accordi illeciti relativi alle vitamine principali avevano avuto incidenza sul mercato europeo e avevano interessato tutti i principali produttori europei e giapponesi di vitamine. Abbiamo anche nominato i principali attori implicati per le principali vitamine, certamente la Takeda, la Eisai, la Merck e la Rhône-Poulenc. I rappresentanti della Commissione europea non sembravano essere interessati ai nomi di altri partecipanti. Alla luce del numero relativamente ridotto di produttori di altre vitamine, incluso il cloruro di colina, l’identità di eventuali altri partecipanti al mercato avrebbe potuto, in ogni caso, essere facilmente scoperta dalla Commissione europea». Appare quindi in modo chiaro che tale riunione riguardava tutte le intese attuate su scala mondiale riunendo un numero importante di prodotti vitaminici. Essa non riguardava dunque specificamente il cloruro di colina, per il quale sono state fornite pochissime informazioni a parte il fatto, già conosciuto dalla Commissione, che era stato organizzato un cartello concernente tale prodotto.

100    Del resto, risulta da tale dichiarazione che la Commissione ha insistito sulla trasmissione di informazioni scritte, sotto forma di relazione. Il punto 12 della dichiarazione afferma a tale riguardo:

«[Il direttore generale della DG IV all’epoca] ci ha detto che la Commissione europea preferisce la maniera “tradizionale” di raccogliere informazioni, vale a dire ricevere informazioni in forma scritta con i “dettagli abituali” ad esempio la descrizione delle riunioni, dei luoghi, delle date, dei partecipanti e dei temi discussi. Alla luce di ciò ho proposto al [direttore generale] che la BASF fornisca alla Commissione una relazione completa sugli episodi concernenti l’Unione europea (…). Il [direttore generale] ha immediatamente espresso il suo accordo a tale proposta».

101    La relazione in questione è quella del 15 giugno 1999 (v. punti 21 e 84 supra). Nella sua parte G, che riguarda il cloruro di colina e comprende tre pagine, la BASF si riferisce a quattro riunioni del cartello mondiale del cloruro di colina tenutesi tra la primavera del 1992 e il novembre del 1992, inclusa la riunione di Ludwigshafen, nonché a sei altre riunioni fino a quella dell’aprile 1994 a Johor Bahru. La relazione menzionava anche che fino alla fine del 1996 vi erano state altre riunioni riguardanti le esportazioni verso l’America del sud e l’America Latina, ma senza risultato per i partecipanti. Dato che, secondo le affermazioni della BASF, la relazione 15 giugno 1999 comprendeva un’esposizione completa degli eventi relativi agli accordi concernenti il cloruro di colina, è improbabile che la riunione del 17 maggio 1999 abbia portato alla trasmissione di più ampie informazioni. Ciò è corroborato dal ricorso stesso, il quale al punto 153, afferma che «la sola ragione per cui la BASF non ha immediatamente fornito dettagliate informazioni orali complementari era l’insistenza della Commissione ad avere prove scritte». Inoltre, al punto 11 della dichiarazione Scholz è menzionato che la riunione in questione è durata circa un’ora, ciò che non avrebbe permesso, con ogni evidenza, una presentazione dettagliata dei differenti cartelli mondiali che implicavano 13 prodotti vitaminici, ossia 12 prodotti nel caso Vitamine citato al precedente punto 39, ai quali si aggiunge il cloruro di colina.

102    Il riferimento alla conclusione, allora imminente, della transazione giudiziale con le autorità americane è parimenti privo di qualunque utilità per la Commissione, dato che tale informazione non comporta, in quanto tale, alcun elemento sostanziale relativo al mercato europeo del cloruro di colina.

103    Ne consegue che l’affermazione della BASF secondo cui le informazioni fornite il 17 maggio 1999 avrebbero permesso alla Commissione di provare un’infrazione del diritto comunitario della concorrenza non può essere accolta. Infatti, un semplice esame della parte IV della Decisione intitolata «Descrizione dei fatti» dimostra che il suo fondamento storico (che comprende 25 pagine) contiene informazioni molto più dettagliate e sostanziali rispetto alle informazioni generiche cui si è limitata la BASF tanto durante la riunione del 17 maggio 1999 quanto nella relazione del 15 giugno dello stesso anno.

104    Anche la censura relativa al rifiuto da parte della Commissione di accettare prove sotto forma di testimonianze orali che avrebbero potuto, secondo la BASF, essere prodotte in breve termine deve essere respinta. Infatti, il tempo trascorso fino alla redazione della relazione 15 giugno 1999, che secondo la BASF costituiva una relazione completa e dettagliata, non ha inciso sulla valutazione della Commissione quanto alla cooperazione da questa offerta. Infatti, l’istituzione afferma di non essersi fondata su nessun elemento di prova trasmesso da un’altra impresa, che avrebbe relativizzato il valore di tale relazione. Infatti, la Commissione sottolinea, senza essere contraddetta, di non aver ricevuto informazioni tra la riunione del 17 maggio 1999 e la trasmissione della relazione 15 giugno 1999.

105    Pertanto, le affermazioni della BASF si fondano sulla erronea premessa secondo cui il tempo trascorso tra la riunione del 17 maggio 1999 e il 15 giugno 1999 avrebbe avuto un impatto negativo sulla riduzione della sua ammenda. Per queste stesse ragioni deve essere respinto l’argomento secondo cui tutte le comunicazioni successive alla riunione del 17 maggio 1999 dovrebbero essere considerate come trasmesse in tale data, poiché esse confermerebbero ciò che era stato detto nel corso di questa.

106    Alla luce di tali considerazioni, è giocoforza constatare che se gli elementi che la BASF afferma di aver fornito alla riunione del 17 maggio 1999 mettevano certamente la Commissione in grado di inviare richieste di informazioni, ovvero di ordinare verifiche, tuttavia incombeva ancora a questa, considerato il carattere generale delle informazioni fornite, ricostruire e provare i fatti, nonostante l’ammissione della sua responsabilità da parte della BASF (v., in tal senso, sentenza Vitamine, citata al precedente punto 43, punto 517).

107    Occorre parimenti rilevare che, contrariamente a ciò che insinua la BASF (v. punto 78 supra), la Commissione non ha mai preso in considerazione il documento 6 maggio 1999, né la riunione del 17 maggio 1999 ai fini dell’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 nel caso Vitamine, citato al precedente punto 39. Un primo riferimento a tali elementi figura al punto 127 della decisione 2003/2, in cui la Commissione afferma che nessuna dichiarazione né prova documentale le era stata fornita a tale epoca. Del resto, risulta dai punti 743, 747, 748, 761 e 768 della décisione 2003/2 che la Commissione ha concesso una riduzione del 50% dell’importo dell’ammenda che sarebbe altrimenti stata inflitta alla BASF unicamente sulla base dei documenti che quest’ultima le aveva trasmesso tra il 2 giugno e il 30 luglio 1999 riguardo alle vitamine A, E, B2, B5, C e D3, il betacarotene e i carotenoidi. Il riferimento al documento 6 maggio 1999 al punto 747 di tale decisione serve solo a determinare la data alla quale la BASF ha espresso alla Commissione la sua intenzione di cooperare all’inchiesta. La decisione 2003/2 non ha pertanto concesso alcuna riduzione dell’ammenda alla BASF per la cooperazione a seguito di tali iniziative.

 Sulla comunicazione 21 maggio 1999

108    Con la comunicazione 21 maggio 1999, la BASF ha fornito alla Commissione la transazione giudiziale nonché il memorandum che la accompagnava, che costituisce l’atto di accusa nell’ambito del procedimento avviato negli Stati Uniti. Quanto al valore di tali elementi riguardo alla Comunicazione sulla cooperazione del 1996, occorre rilevare che la Commissione non li ha utilizzati né direttamente né indirettamente nella Decisione al fine di provare l’esistenza dell’infrazione nel SEE. In mancanza, quindi, di altri elementi che dimostrino che la divulgazione della transazione giudiziale in questione ha contribuito a confermare l’esistenza di un’infrazione riguardante il SEE, tale divulgazione non rientra nell’ambito di applicazione del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 297).

109    Pertanto, l’omissione di un riferimento a tali documenti non comporta alcuna violazione del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996.

 Sulla comunicazione 23 luglio 1999

110    Secondo la BASF, il punto 49 della Decisione è errato nella parte in cui afferma che le informazioni inviate mediante la comunicazione 23 luglio 1999 erano le stesse di quelle che essa aveva già inviato nell’ambito del caso Vitamine, citato al precedente punto 39. La BASF sostiene di aver prodotto documenti supplementari sul cloruro di colina.

111    È pacifico inter partes che tali documenti sono stati trasmessi in risposta ad una richiesta di informazioni datata 22 giugno 1999 ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17. Orbene, i documenti forniti alla Commissione in risposta ad una richiesta di informazioni vengono forniti in virtù di un obbligo di legge e non possono essere presi in considerazione a titolo della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 anche se possono servire a provare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale nei confronti dell’impresa che li fornisce o nei confronti di un’altra impresa (sentenza Commissione/SGL Carbon, punto 92 supra, punti 41 e 50). Pertanto, occorre respingere l’argomento della BASF in quanto non fondato. Per queste stesse ragioni, occorre anche respingere la generica censura secondo cui la Commissione avrebbe erroneamente concesso, nell’ambito della valutazione della cooperazione di tale impresa, più importanza alle comunicazioni della BASF non precedute da una richiesta di informazioni (v. punto 85 supra).

 Sulla valutazione della relazione 15 giugno 1999 e della comunicazione 23 giugno 1999 alla luce della richiesta di informazioni 26 maggio 1999

112    Come rilevato al precedente punto 21, la Commissione ha ritenuto al punto 221 della Decisione che, nonostante il fatto che la BASF avesse fornito la relazione 15 giugno 1999 e la comunicazione 23 giugno 1999 in risposta alla richiesta di informazioni 26 maggio 1999, queste avrebbero dovuto essere considerate come comunicazioni volontarie di prove. Pertanto, contrariamente a ciò che sostiene la BASF, la Commissione non ha ignorato il carattere volontario della trasmissione di tali elementi.

 Sulla comunicazione 16 luglio 1999

113    Secondo il punto 223 della Decisione, la comunicazione 16 luglio 1999 non contiene nessun elemento di prova che contribuisca a confermare l’esistenza dell’infrazione commessa. Una lettura di tale documento avvalora questa valutazione. Le due tabelle allegate che, apparentemente, riguardano il cloruro di colina (intitolate «Premixes and Blends») illustrano solo il valore e il volume della produzione e delle vendite della BASF nel SEE dal 1994 al 1998. Di conseguenza, indipendentemente dalla questione se tale comunicazione fosse o meno una risposta ad una richiesta di informazioni datata 22 giugno 1999, tale comunicazione non poteva essere presa in considerazione ai sensi della Comunicazione sulla cooperazione del 1996.

 Valutazione complessiva della riduzione concessa alla BASF

114    Risulta da tutte le considerazioni che precedono che correttamente la Commissione si è fondata esclusivamente sulla relazione 15 giugno 1999 e sulla comunicazione 23 giugno 1999 al fine di valutare il grado di cooperazione della BASF e di valutare la riduzione da applicare all’importo di base della sua ammenda sul fondamento del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996. La BASF riconosce peraltro di non poter beneficiare dei punti B o C di tale comunicazione.

115    La relazione 15 giugno 1999 descrive, nelle tre pagine comprese nella sua parte G, talune riunioni che hanno avuto luogo nell’ambito del cartello mondiale, senza peraltro apportare la minima precisazione sui temi discussi durante tali riunioni. Le due prime riunioni riportate dalla BASF (primavera ed estate 1992 a Città del Messico) sono risultate irrilevanti ai fini del presente procedimento, poiché la Commissione ha riconosciuto ai punti 136 e 163 della Decisione l’assenza di qualunque accordo al termine di tali riunioni e ha individuato l’inizio dell’infrazione al 13 ottobre 1992 (terza riunione a Città del Messico).

116    Occorre inoltre ricordare che la BASF non ha divulgato informazioni quanto all’esistenza di accordi europei, che si sono rivelati particolarmente nefasti per il mercato del SEE. Anche nella sua comunicazione 4 novembre 2002, la BASF menziona solo due riunioni potenzialmente rilevanti aventi ad oggetto una «discussione sul mercato europeo del cloruro di colina» (febbraio 1995, con la UCB e la Akzo Nobel) e un’altra «sul mercato del cloruro di colina» (luglio 1995, senza indicazione dei partecipanti). È solo dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti che, mediante la non contestazione della realtà dei fatti, la BASF ha riconosciuto l’esistenza di un cartello a livello europeo. Le informazioni in questione erano dunque, quanto meno, incomplete, dal momento che non menzionavano una parte molto significativa delle condotte collusive.

117    La comunicazione 23 giugno 1999 comprende cinque documenti, distribuiti alla riunione di Ludwigshafen, che riguardano le capacità di produzione nel 1992 per i produttori e i trasformatori nonché le spedizioni internazionali per tale anno. Per il resto, tale comunicazione contiene documenti che presentano un limitato interesse, che pertanto non sono stati utilizzati dalla Commissione nella Decisione.

118    Orbene, se tali elementi confermano l’infrazione commessa, ciò che li fa rientrare nell’ambito di applicazione del punto D della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, il loro apporto è tuttavia marginale, considerati l’ampiezza e il carattere dettagliato degli elementi che la Commissione ha esposto alla sezione 1.4 della comunicazione degli addebiti e, in seguito, ai punti 63-121 della Decisione per descrivere i fatti della fattispecie.

119    Alla luce di tali elementi, l’argomento della BASF relativo al ritardo della Commissione nell’invio delle prime richieste di informazioni, al fine di relativizzare il valore degli elementi forniti dalla Bioproducts il 7 maggio 1999, non può essere accolto. Per di più, considerato il loro valore limitato, gli elementi forniti dalla BASF non sono comparabili a quelli forniti dalla Bioproducts o dalla Chinook. Pertanto, anche ammettendo che il valore di questi ultimi non abbia raggiunto il livello affermato dalla Commissione, ciò non può assolutamente modificare la valutazione della cooperazione della BASF.

120    La Commissione ha dunque valutato senza commettere alcun errore il valore della cooperazione della BASF e le ha concesso una riduzione del 20% dell’ammenda che le sarebbe stata altrimenti inflitta. Pertanto, il terzo motivo deve essere respinto. Tuttavia, occore precisare che tale valutazione non pregiudica le conseguenze che può avere su tale riduzione la valutazione del Tribunale relativa al quinto motivo (punti 212-223 infra).

5.     Sul quarto motivo sollevato dalla BASF, relativo ad un’insufficiente riduzione dell’ammenda indipendentemente dalla Comunicazione sulla cooperazione del 1996

 Argomenti delle parti

121    Indipendentemente dalla Comunicazione sulla cooperazione del 1996, la BASF sostiene di meritare una riduzione più elevata per i seguenti motivi:

–        essa ha offerto la sua collaborazione in una fase molto iniziale (6 maggio 1999);

–        essa ha posto fine alla sua partecipazione al cartello prima di tale data;

–        essa ha fornito informazioni dettagliate durante la riunione del 17 maggio 1999 e in seguito per iscritto, inviando informazioni complementari non richieste;

–        essa ha fornito alla Commissione la transazione giudiziale conclusa con le autorità degli Stati Uniti, che concerneva anche il cloruro di colina;

–        essa ha licenziato immediatamente tutti i quadri responsabili del cartello e ha applicato un programma di messa in conformità con le regole di concorrenza.

122    Tenuto conto del fatto di essere stata, secondo il punto 221 della Decisione, la prima dei tre produttori europei a comunicare volontariamente prove relative all’infrazione, e alla luce delle riduzioni concesse agli altri produttori europei, la BASF chiede al Tribunale di utilizzare la sua potestà giurisdizionale di merito per ridurre l’ammenda inflitta.

123    La BASF sottolinea parimenti che tutti gli argomenti relativi alla pertinenza degli elementi forniti a titolo di cooperazione dovrebbero figurare nella Decisione, non potendo la Commissione apportare precisazioni supplementari in caso di assenza di motivazione.

124    La BASF contesta l’affermazione della Commissione secondo cui i documenti cruciali sarebbero stati prodotti dopo la conclusione delle azioni di classe negli Stati Uniti. Infatti, l’ultima memoria depositata dalla BASF è datata 23 luglio 1999 (v. punto 110 supra), ossia più di tre mesi prima della chiusura del primo procedimento di ricorso collettivo.

125    La Commissione ritiene che gli argomenti proposti nell’ambito di tale motivo e quelli presentati a sostegno del motivo precedente coincidano. Essa considera che il fatto che la BASF abbia posto termine alla sua partecipazione al cartello prima di offrire la sua cooperazione non costituisca una circostanza attenuante né un elemento di cooperazione. Inoltre, la successiva applicazione di un programma di messa in conformità sarebbe priva di pertinenza riguardo al valore della cooperazione della BASF. La Commissione ritiene quindi che tali argomenti siano anch’essi non fondati.

126    Quanto al richiamo da parte della BASF all’esercizio della potestà giurisdizionale di merito del Tribunale, la Commissione sottolinea che gli elementi che essa ha prodotto grazie alla detta ricorrente non concernevano la parte europea dell’intesa. Essa ricorda le sue affermazioni relative al valore di tali elementi e mette in evidenza l’importanza delle informazioni fornite dalla UCB e dall’Akzo Nobel in merito alla parte europea del cartello. Il comportamento della BASF sarebbe stato ingannevole per il fatto che essa avrebbe tentato di indurre la Commissione in errore quanto all’importanza della riunione tenutasi a Città del Messico nell’ottobre 1992 e all’esistenza del livello europeo dell’intesa.

 Giudizio del Tribunale

127    Gli elementi considerati ai trattini primo, terzo e quarto del precedente punto 121 sono già stati valutati nell’ambito del precedente motivo. Alla luce dell’analisi svolta al riguardo, il Tribunale ritiene che nessuna ragione giustifichi una riduzione supplementare rispetto a quella del 20% concessa dalla Commissione in applicazione del punto 3, sesto trattino, degli Orientamenti, considerato, in particolare, il carattere quanto meno lacunoso delle informazioni che la BASF ha fornito alla Commissione (v. punto 116 supra).

128    Il fatto che la BASF abbia volontariamente posto fine all’infrazione prima dell’avvio dell’indagine della Commissione è stato adeguatamente considerato ai fini del calcolo della durata del periodo di infrazione assunto a carico della medesima, di modo che essa non può richiamarsi al terzo trattino del punto 3 degli Orientamenti (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 341, e 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑2395, punti 328-332). Infatti, l’aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese in causa siano state indotte a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione non essendo coperta da tale disposizione degli Orientamenti l’ipotesi in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente ai primi interventi della Commissione (sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑835 punto 158).

129    Riguardo ai licenziamenti dei quadri che hanno svolto un ruolo determinante nell’infrazione, il Tribunale non ritiene che ciò costituisca un’azione che possa giustificare la riduzione dell’ammenda inflitta. Infatti, si tratta di una misura diretta a imporre il rispetto delle regole di concorrenza da parte dei propri dipendenti, ciò che, in ogni caso, costituisce un obbligo dell’impresa e non può, pertanto, essere considerato come una circostanza attenuante.

130    Quanto all’argomento secondo cui la BASF è stata il primo tra i produttori europei ad aver fornito prove alla Commissione, è giocoforza rilevare che tale constatazione non incide sulle precedenti valutazioni. Infatti, le informazioni che la BASF ha fornito volontariamente sul cartello mondiale erano di importanza e utilità minori, mentre essa non ha trasmesso alcuna informazione sostanziale sul cartello europeo, la cui ampiezza è stata denunciata dalla UCB e dalla Akzo Nobel. Pertanto, il fatto che la BASF sia stata il primo produttore europeo ad aver collaborato non può comportare una riduzione dell’ammenda.

131    Il quarto motivo deve, pertanto, essere respinto.

6.     Sul motivo sollevato dalla BASF e dalla UCB, relativo ad un errore di diritto nella qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica e continuata

 Argomenti delle parti

132    La BASF sviluppa i propri argomenti in due parti, relative ad una violazione del diritto di difesa nonché ad un errore di diritto quanto alla qualificazione dell’intesa come unica e continuata.

133    Riguardo alla prima parte, la Commissione non avrebbe indicato nella comunicazione degli addebiti che i cartelli mondiale ed europeo avrebbero costituito un’infrazione unica per il mercato del SEE. Dato che la comunicazione degli addebiti menzionava un accordo di ripartizione del mercato mondiale in cui le attività relative all’Europa costituivano dei «sub-accordi», la BASF non avrebbe avuto la possibilità di formulare commenti riguardo alla qualificazione sostanzialmente differente adottata nella Decisione, secondo la quale l’elemento che determinava il carattere unico dell’infrazione risiedeva nel suo oggetto anticoncorrenziale unico. Tale differenza tra la comunicazione degli addebiti e la Decisione costituirebbe una violazione del diritto di difesa, poiché la BASF si sarebbe difesa contro tale descrizione giuridica erronea dei fatti se questa fosse stata contenuta nella comunicazione degli addebiti.

134    Riguardo alla seconda parte, la qualificazione dell’intesa come infrazione unica sarebbe erronea, essendo differenti i partecipanti ai due cartelli. Per di più, in taluni punti della Decisione si ammetterebbe che si trattava di due infrazioni distinte. I termini «falsare le condizioni normali di concorrenza» utilizzati al punto 150 della Decisione al fine di descrivere l’oggetto dell’intesa non sarebbero sufficientemente specifici per giustificare il carattere unico dell’infrazione. Inoltre, il cartello mondiale avrebbe avuto come obiettivo la ripartizione del mercato a livello globale, mentre il cartello europeo avrebbe mirato soprattutto a fissare prezzi e a ripartire i clienti nel SEE, obiettivo di natura differente. L’affermazione della Commissione secondo cui l’unico obiettivo della condotta di infrazione sarebbe stato l’aumento dei prezzi, essendo tutti gli altri obiettivi ritenuti ausiliari e accessori, non corrisponderebbe alle constatazioni contenute nella Decisione. Inoltre, la durata delle due infrazioni sarebbe stata differente e vi sarebbe stata un’interruzione tra di esse, dato che l’accordo mondiale sui prezzi è rimasto in vigore dal gennaio del 1993 al gennaio del 1994, mentre il cartello europeo è durato dal marzo del 1994 all’ottobre del 1998. Il cartello europeo non avrebbe interessato i produttori nordamericani, dato che erano obbligati a restare al di fuori del mercato europeo e che le esportazioni verso l’America del Nord erano insignificanti. Tale bilanciamento degli interessi non sarebbe stato modificato a seguito della fine del cartello mondiale.

135    La BASF non avrebbe mai ammesso la qualificazione dell’intesa come infrazione unica, contrariamente a quanto sostenuto al punto 149 della Decisione. La posizione della Commissione sarebbe contraria alla sua prassi decisionale anteriore, secondo cui collusioni a livelli geografici differenti, ma strettamente connessi, sarebbero state considerate come violazioni separate, ma anche alla tesi che essa avrebbe sostenuto dinanzi al Tribunale nell’ambito del ricorso proposto contro la decisione 2003/2. Risulterebbe da decisioni anteriori della Commissione che collusioni a livelli geografici differenti potrebbero costituire un’infrazione unica qualora gli accordi conclusi ad un livello mirassero ad attuare, a rinforzare o ad organizzare gli obiettivi convenuti ad un altro livello e senza che l’uno possa fare a meno dell’altro. La Commissione non riuscirebbe a spiegare perché i produttori europei avrebbero dovuto continuare ad attuare il cartello mondiale dopo la sua cessazione. In realtà i produttori europei avrebbero commesso una nuova infrazione, impegnandosi in un cartello europeo che sarebbe stato creato dopo il cartello mondiale e ne sarebbe stato totalmente distinto.

136    Pertanto, la Commissione non potrebbe imporre nessuna sanzione alla BASF per il cartello mondiale tenuto conto della prescrizione ad esso applicabile ai sensi del regolamento n. 2988/74.

137    Secondo la UCB, i due livelli dell’intesa che si pretende essere unica non sono affatto strettamente connessi. L’intesa mondiale sarebbe stata negoziata dai principali produttori mondiali di cloruro di colina, ossia i produttori nordamericani ed europei, e avrebbe avuto come oggetto la ripartizione dei grandi mercati mondiali, in particolare mediante un accordo in virtù del quale i produttori europei non avrebbero più esportato in America del Nord e i produttori nordamericani non avrebbero più esportato in Europa. L’aumento dei prezzi e il controllo dei trasformatori sarebbero stati finalizzati ad assicurare la stabilità di tale ripartizione dei mercati mondiali. Non sarebbe stata tuttavia mai in discussione la questione di una ripartizione dei clienti e dei mercati nazionali all’interno del SEE né di un intesa sui prezzi in Europa, come dimostrerebbe la dichiarazione attribuita ad un rappresentante della DuCoa citata al punto 85 della Decisione. Essendo falliti tali accordi le imprese interessate, tra cui la UCB, vi avrebbero posto fine nell’aprile del 1994.

138    Per contro, i contatti tra i produttori europei avrebbero avuto inizio nel marzo del 1994, ossia circa due anni dopo la riunione di Ludwigshafen (v. punto 4 supra), e sarebbero continuati fino al 1998, ossia più di quattro anni dopo la fine delle negoziazioni a livello mondiale. L’oggetto degli accordi tra i produttori europei non sarebbe stata la regolamentazione del mercato mondiale, ma unicamente quella del mercato del SEE sotto forma di una ripartizione dei mercati nazionali e dei clienti. Si tratterebbe quindi di due tentativi fondamentalmente distinti, negoziati in momenti differenti, da parti differenti e con obiettivi manifestamente differenti. Il semplice fatto che due pratiche abbiano per conseguenza di falsare le condizioni normali di concorrenza nel SEE non sarebbe sufficiente a provare che costituiscono un’infrazione unica. Ammettere che un obiettivo comune così vagamente definito possa essere sufficiente per dimostrare l’esistenza di un’infrazione unica e continuata significherebbe autorizzare automaticamente la qualifica di diverse violazioni degli artt. 81 CE e 82 CE come infrazione unica e continuata, indipendentemente dal settore. La UCB sottolinea che, dato che le due intese riguardavano lo stesso settore, le pratiche impiegate presenterebbero inevitabilmente delle somiglianze. Orbene, questo fatto non potrebbe essere sufficiente a dimostrare una stretta connessione tra le due intese, dal momento che tali pratiche avevano un oggetto ed una finalità economica differente.

139    La qualifica delle due intese come infrazione unica sarebbe volta a permettere alla Commissione di tenere conto dell’intesa mondiale aggirando le regole di prescrizione. Orbene, occorrerebbe operare una distinzione tra la presente fattispecie e le cause in cui la nozione di infrazione unica e continuata pone rimedio alla difficoltà di dimostrare che tutti i membri di un’intesa hanno partecipato a tutte le azioni anticoncorrenziali dirette allo stesso obiettivo e collocate nello stesso contesto economico. Il caso di specie sarebbe, per contro, analogo a quello che ha dato luogo alla sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione (Racc. pag. II‑2501, punto 22), in cui la Commissione avrebbe effettuato una distinzione tra un’infrazione mondiale e un’infrazione europea, pur avendo valutato la seconda come un mezzo di attuazione della prima. Inoltre, occorrerebbe distinguere il caso di specie dalle cause in cui la giurisprudenza ha esaminato se differenti forme di comportamento (accordi, pratiche concordate) potevano essere qualificate nel loro insieme come un’infrazione unica. Occorrerebbe ancora, secondo la UCB, operare una distinzione tra il caso di specie e le cause in cui il funzionamento e l’attuazione degli accordi sono rimasti identici durante tutta la durata dell’intesa.

140    Ne conseguirebbe che l’intesa europea non potrebbe essere considerata come la continuazione nel SEE degli accordi inizialmente negoziati a livello mondiale. Una tale conclusione sarebbe da escludere già solo per il fatto che la questione della ripartizione dei mercati nazionali all’interno del SEE non sarebbe mai stata evocata dai partecipanti alle riunioni mondiali e neanche dai produttori europei prima del 1994. La Commissione non avrebbe presentato nessuna prova che possa rimettere in discussione tale fatto.

141    L’argomento della Commissione secondo cui l’intesa europea non sarebbe stata possibile se le parti non avessero continuato ad attuare gli accordi mondiali durante tutta la durata degli accordi europei sarebbe in contraddizione con la Decisione. Infatti, la Commissione avrebbe indicato in detta decisione che l’intesa mondiale era terminata nell’aprile 1994 a seguito della riunione di Johor Bahru (v. punto 9 supra) e che essa non possedeva prove di azioni illecite successive da parte dei produttori nordamericani. In mancanza di continuazione dell’intesa a livello mondiale dopo il 1994, tutto il ragionamento della Commissione verrebbe meno. Ne conseguirebbe che, in assenza di una concomitanza tra le due intese, la Commissione non disporrebbe più di alcun fondamento per sostenere che i due livelli degli accordi anticoncorrenziali fossero necessari l’uno all’altro.

142    La Commissione respinge le affermazioni della BASF ed evidenzia di non aver mai considerato il comportamento dei produttori nordamericani ed europei prima del 1994 e il comportamento dei produttori europei dopo il 1994 come due cartelli distinti. In più, essa non avrebbe assolutamente effettuato, nella Decisione, la distinzione tra un cartello a livello mondiale e un cartello a livello europeo. Per contro, essa avrebbe spiegato, al punto 64 della Decisione, che l’intesa unica avrebbe funzionato a due livelli differenti, ma strettamente connessi, il livello mondiale e il livello europeo, posizione che sarebbe stata espressa in diversi altri punti. Pertanto, sarebbe erroneo sostenere che la Commissione abbia ritenuto che il comportamento illecito costituisse un’infrazione unica con l’unico obiettivo di determinare l’importo dell’ammenda e di aggirare il periodo di prescrizione.

143    Per ciò che riguarda la concordanza tra la comunicazione degli addebiti e la Decisione, la Commissione sostiene che non si può rilevare nessuna differenza a tale riguardo. Infatti, i principi giurisprudenziali relativi alla nozione di infrazione unica e continuata sarebbero stati analizzati ai punti 164-166 della comunicazione degli addebiti e ripresi ai punti 145-148 della Decisione. Inoltre, il punto 168 della comunicazione degli addebiti farebbe riferimento ad un obiettivo comune consistente nell’eliminare la concorrenza sul mercato del cloruro di colina, a un obiettivo anticoncorrenziali identico e ad un obiettivo economico unico, ossia falsare l’evoluzione normale dei prezzi sul mercato mondiale del cloruro di colina. Tali motivi avrebbero condotto la Commissione a concludere nella Decisione che si trattava di un’infrazione unica e continuata. Proprio la limitazione della competenza della Commissione alle infrazioni produttive di effetti all’interno del SEE l’avrebbe indotta, al punto 150 della Decisione, a concentrarsi su tale territorio. Del resto, la Commissione avrebbe incluso nella comunicazione degli addebiti tutti gli elementi necessari per l’applicazione della nozione di infrazione unica e continuata nella fattispecie, la durata e la gravità dell’infrazione, al fine di rispettare pienamente il diritto di difesa della BASF.

144    In ogni caso, pur ammettendo che esista una differenza tra i termini della comunicazione degli addebiti e la Decisione, la prima conterrebbe le informazioni richieste per dare alla BASF la possibilità di essere sentita sulla conclusione relativa ad un’infrazione unica e continuata, in modo da rispettare i suoi diritti della difesa.

145    Riguardo alla pretesa erronea applicazione della nozione di infrazione unica e continuata, la Commissione respinge l’argomento relativo ad una differenza tra i partecipanti ai due cartelli (v. punto 134 supra). In primo luogo, la Commissione non avrebbe mai menzionato «due cartelli» e, in secondo luogo, almeno tre imprese (la BASF, la UCB e la Akzo Nobel) tra quelle implicate nell’infrazione erano le stesse. Il fatto che la Commissione non disponesse di elementi per provare che la Bioproducts, la Chinook e la DuCoa avessero continuato la loro partecipazione all’infrazione dopo il 20 aprile 1994 (v. punto 9 supra) non implicherebbe che il comportamento illecito a livello europeo sia diventato un’infrazione diversa a partire da tale data.

146    Sarebbe, inoltre, artificiale e irrealistico considerare che venga creata una nuova intesa diversa, concernente le imprese restanti, ogni volta che un’impresa entra o esce da un cartello. Ciò varrebbe in particolare quando l’intesa consiste in un comportamento che riguarda lo stesso mercato del prodotto, che persegue in sostanza lo stesso obiettivo economico, che riveste lo stesso carattere anticoncorrenziale e che è stato adottato da un nucleo di imprese per un lungo periodo. Il fatto che i produttori europei abbiano adattato, ovvero intensificato, le loro attività anticoncorrenziali dopo la rinuncia dei produttori nordamericani non cambierebbe la natura continuata dell’intesa né il suo obiettivo principale, la cui realizzazione continuava a dipendere dal controllo esercitato sui trasformatori nonché dalla ripartizione dei mercati. Il comportamento adottato dai partecipanti ai livelli mondiale ed europeo dell’intesa sarebbe peraltro della stessa natura (ripartizione dei clienti e dei mercati, controllo dei trasformatori, scambio di informazioni sensibili e fissazione dei prezzi) e mirerebbe ad un obiettivo unico, ossia falsare le condizioni normali di concorrenza nel SEE per il cloruro di colina al fine di fissare il suo prezzo ad un livello artificialmente elevato.

147    La Commissione non avrebbe dunque commesso alcun errore né contraddirebbe la sua tesi nel caso Vitamine, citato al precedente punto 39, considerando che il comportamento dei produttori europei a partire dal 1994 era solo la continuazione degli accordi anteriori conclusi con i produttori nordamericani. Infatti, secondo la Commissione, questi ultimi avevano un interesse tutto particolare, da un lato, a che fossero applicati prezzi alti in Europa al fine di poter mantenere un livello elevato dei prezzi nelle regioni in cui operavano e, dall’altro, a vegliare sul controllo dei trasformatori europei per impedire loro di esportare a basso prezzo verso gli altri mercati. Pertanto, la partenza di tali produttori dal mercato europeo non implicherebbe una mancanza di interesse da parte loro per tale mercato. Se si dovesse ammettere, come suggerisce la BASF, che i produttori non avevano gli stessi interessi né gli stessi obiettivi dei produttori europei, sarebbe impossibile spiegare l’attuazione dell’intesa a livello mondiale.

148    La Commissione è parimenti sorpresa nel vedere che la BASF contesta il carattere unico e continuato dell’intesa, dato che essa non lo aveva fatto nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti.

149    La Commissione sottolinea che non vi è stata interruzione tra i due livelli dell’intesa, dato che i prezzi minimi nonché il controllo dei trasformatori costituivano l’oggetto della riunione di Johor Bahru nell’aprile del 1994 (v. punto 9 supra) e che l’intesa è stata attuata a livello europeo nel marzo del 1994.

150    La Commissione contesta anche la fondatezza degli argomenti della UCB. Essa evidenzia che, secondo la giurisprudenza, l’elemento essenziale per determinare se un’infrazione è unica e continuata o se esistono diverse infrazioni distinte è l’esistenza di un obiettivo comune, vale a dire, nella fattispecie, influenzare la concorrenza nel settore del cloruro di colina sul mercato del SEE (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 113; sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 186, e causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 67). Tale influenza si sarebbe manifestata, in un primo tempo, mediante l’allontanamento dei produttori nordamericani dal mercato del SEE e, in un secondo tempo, mediante la ripartizione di tale mercato geografico. L’insieme di elementi su cui la Commissione avrebbe fondato la sua valutazione sarebbe composto dalla partecipazione delle stesse imprese ad un’intesa ai sensi dell’art. 81 CE, dalla continuità nel tempo dell’attività in questione, dall’identità delle azioni anticoncorrenziali nonché dagli effetti cercati.

151    I produttori nordamericani sapevano o avrebbero dovuto sapere che la conseguenza logica del loro ritiro dal mercato del SEE sarebbe stata la ripartizione di tale mercato tra i produttori europei. Infatti, la ripartizione a livello mondiale non avrebbe avuto alcun senso se essa non fosse stata seguita da una ripartizione a livello comunitario, la quale, a sua volta, non sarebbe stata possibile in mancanza di un accordo preliminare a livello mondiale. Oltre al fatto che le infrazioni ai livelli mondiale ed europeo, le quali costituiscono l’infrazione unica, avrebbero perseguito la stessa finalità, esse avrebbero anche riunito le stesse imprese durante un periodo continuato mediante pratiche identiche. La mancata partecipazione dei produttori nordamericani a livello europeo dell’intesa non cambia, secondo la Commissione, né il suo obiettivo né la sua natura di infrazione continuata, dato che, segnatamente, il loro allontanamento dal mercato del SEE falsava la concorrenza su tale mercato.

152    Riguardo a quest’ultima constatazione, la Commissione contesta l’affermazione della UCB secondo cui non vi sarebbe stato accordo a livello mondiale sui prezzi nel SEE. La dichiarazione del rappresentante della DuCoa ripresa al punto 85 della Decisione (v. punto 137 supra) si riferiva unicamente ad una riunione del gennaio del 1993. Infatti, l’accordo di Ludwigshafen avrebbe parimenti riguardato i prezzi in Europa, come è indicato al punto 77 della Decisione.

153    Peraltro, gli accordi conclusi a livello mondiale dell’intesa sarebbero stati indispensabili per la realizzazione di questa a livello europeo, poiché per poter dividere il mercato europeo tra i produttori europei, mantenendo prezzi elevati, occorreva che fosse assicurato a tali produttori che non avrebbero subito la concorrenza dei produttori nordamericani. La differenza dei mercati geografici, alla cui ripartizione mirava ciascun livello dell’intesa, non sarebbe un elemento rilevante, dato che tali ripartizioni permettevano di aumentare in modo artificiale la redditività del cloruro di colina, unico obiettivo dell’intesa. La teoria dell’infrazione unica e continuata sarebbe volta a non consentire la divisione fittizia di ciò che è fondamentalmente unico, ossia un insieme di atti diretti a raggiungere lo stesso obiettivo. Nella fattispecie, una ripartizione a livello europeo non avrebbe avuto senso senza la ripartizione del mercato mondiale e, senza una ripartizione a livello europeo, il cartello mondiale non avrebbe presentato alcun beneficio.

154    Quindi, secondo la Commissione, il mantenimento di prezzi elevati in Europa permetteva ai produttori nordamericani di applicare condizioni analoghe sul mercato americano. Contrariamente a ciò che afferma la UCB, i prezzi europei sarebbero effettivamente stati discussi, poiché ogni accordo sui prezzi mondiali presupponeva necessariamente una fissazione del prezzo a livello europeo. Per ciò che riguarda il controllo dei trasformatori, questo avrebbe interessato i produttori nordamericani che volevano evitare esportazioni a basso prezzo fuori dal SEE, mentre i produttori europei avrebbero avuto per obiettivo di impedire vendite a basso prezzo nel SEE da parte dei trasformatori.

155    Inoltre, i punti 369 e 374 della sentenza JFE Engineering e a./Commissione, citata al precedente punto 139, invaliderebbero la tesi della UCB, opponendosi alla scissione artificiale di uno stesso insieme di regole dirette alla ripartizione dei mercati. Infatti, sarebbe evidente che gli accordi a livello europeo costituivano la continuazione e l’attuazione degli accordi mondiali, sostituendo semplicemente la ripartizione dei mercati nazionali europei alla ripartizione mondiale. Tale sostituzione sarebbe stata possibile solo perché, dopo la fine degli accordi mondiali, le parti avrebbero continuato ad attuarli e i produttori nordamericani a mantenersi fuori dai mercati europei applicando gli accordi mondiali. La UCB avrebbe confuso la continuazione degli accordi a livello mondiale con la continuazione dei loro effetti. Non sarebbe assolutamente contraddittorio ammettere che l’intesa sia terminata a livello mondiale, ma che sia a livello europeo che essa ha continuato a beneficiare degli effetti degli accordi mondiali. Alla luce di ciò, la non simultaneità non cambierebbe il carattere unico e continuato dell’infrazione.

156    Riguardo alla censura relativa ad un’utilizzazione della nozione di infrazione unica al fine di aggirare le regole di prescrizione, la Commissione sottolinea che essa non tenta di trarre benefici finanziari dall’imposizione delle ammende e che il suo obiettivo non è di infliggere ammende di importo elevato. La Commissione avrebbe peraltro tenuto conto, ai fini del calcolo dell’importo di partenza, delle quote di mercato mondiali e non di quelle europee. Se essa avesse tenuto conto delle quote di mercato europee, avrebbe dovuto imporre ammende più elevate. Per ciò che riguarda i produttori nordamericani, la Commissione evidenzia che il loro comportamento sarebbe stato sanzionato per tutto il periodo dell’infrazione se le loro azioni a livello mondiale non fossero state prescritte.

 Giudizio del Tribunale

 Osservazioni preliminari

–       Sulla portata degli argomenti della BASF

157    Occorre rilevare anzitutto che la prima parte di questo motivo è volta a dimostrare un’incoerenza tra la comunicazione degli addebiti e la Decisione quanto alla qualificazione degli elementi mondiali ed europei dei comportamenti come infrazione unica e continuata. Tale parte costituisce un motivo distinto, relativo alla violazione dei diritti della difesa della BASF a tale riguardo, che dovrà essere analizzato, se necessario, dopo l’esame del motivo relativo ad un errore di diritto nella qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica e continuata. Infatti, nel caso in cui il Tribunale considerasse che tale qualificazione sia viziata da un errore di diritto e debba, pertanto, essere esclusa, l’eventuale constatazione di una violazione dei diritti della difesa riguardo a tale qualificazione sarebbe priva di conseguenze (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, detta «Cemento», Racc. pag. II‑491, punto 3436, e 14 dicembre 2005, causa T‑210/01, General Electric/Commissione, Racc. pag. II‑5575, punto 633).

–       Sulla nozione di infrazione unica e continuata

158    La qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e stessa infrazione o come una pluralità di infrazioni incide, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta, dal momento che la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’imposizione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Tuttavia, la constatazione di una pluralità di infrazioni è atta ad essere favorevole ai loro autori qualora talune di esse siano prescritte (v., in tal senso, sentenza Vitamine citata al precedente punto 43, punto 72).

159    La nozione di infrazione unica può riferirsi alla qualificazione giuridica di un comportamento anticoncorrenziale consistente in accordi, in pratiche concordate e in decisioni di associazioni di imprese (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 150 supra, punti 112-114; sentenze del Tribunale 24 ottobre 1991, causa T‑1/89, Rhône‑Poulenc/Commissione, Racc. pag. II‑867, punti 125-127; 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punti 696-698, e HFB e a./Commissione, punto 150 supra, punto 186).

160    La nozione d’infrazione unica può anche riferirsi al carattere personale della responsabilità per violazione delle regole di concorrenza. Infatti, un’impresa che abbia preso parte ad un’infrazione attraverso comportamenti suoi propri che rientravano nelle nozioni di accordo o di pratica concordata ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE e che miravano a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso può essere responsabile anche dei comportamenti tenuti da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa. Ciò accade quando sia accertato che l’impresa considerata era al corrente dei comportamenti illeciti delle altre partecipanti o poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi. Una simile conclusione trova la sua origine in una nozione ampiamente diffusa negli ordinamenti giuridici degli Stati membri relativa all’imputazione della responsabilità, per infrazioni commesse da più soggetti, in funzione della loro partecipazione all’infrazione nel suo complesso. Essa pertanto non contraddice il principio della responsabilità personale per infrazioni di questo tipo, non trascura l’analisi individuale delle prove a carico né viola i diritti della difesa delle imprese coinvolte (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, citata al punto 150 supra, punti 83, 84 e 203, e HFB e a./Commissione, citata al punto 150 supra, punto 231).

161    Quindi, è stato giudicato che un caso di violazione dell’art. 81, n. 1, CE poteva risultare da una serie di atti o da un comportamento continuato che facevano parte di un «piano d’insieme» a causa dell’identico oggetto distorsivo del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. In un caso siffatto, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, citata al punto 66 supra, punto 258), anche qualora venga dimostrata la sua diretta partecipazione soltanto a uno o a più elementi costitutivi dell’infrazione (sentenza PVC II, citata al punto 159 supra, punto 773). Allo stesso modo, la circostanza che varie imprese abbiano svolto ruoli diversi nel perseguire un comune obiettivo non elimina l’identità dell’oggetto anticoncorrenziale e, pertanto, dell’infrazione a condizione che ciascuna impresa abbia contribuito, al proprio livello, al perseguimento dell’obiettivo comune (sentenze Ciment, citata al punto 157 supra, punto 4123 e Engineering e a./Commissione, citata al punto 139 supra, punto 370).

162    Nella fattispecie, la qualificazione da parte della Commissione delle parti mondiale ed europea dell’intesa come infrazione unica e continuata ha avuto come conseguenza l’accertamento di una sola intesa essendo durata dal 13 ottobre 1992 al 30 settembre 1998. Per contro, nel caso in cui il Tribunale considerasse che tali due parti costituivano due infrazioni distinte sarebbe giocoforza ritenere, conseguentemente, che il cartello globale, durato dal 13 ottobre 1992 al 20 aprile 1994, è prescritto (v. punto 9 supra). Oltre all’annullamento parziale della Decisione, tale constatazione avrebbe ripercussioni sul calcolo dell’ammenda tanto della BASF quanto della UCB.

163    Occorre dunque esaminare se, considerata la giurisprudenza citata ai precedenti punti 159-161, la Commissione abbia commesso un errore di diritto qualificando le condotte censurate alle ricorrenti come infrazione unica e continuata. A tal fine occorre anche esporre, nell’ambito delle osservazioni preliminari, la posizione adottata dalla Commissione a tale riguardo nella comunicazione degli addebiti e confrontarla con gli accertamenti contenuti nella Decisione.

–       Posizione adottata dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti e accertamenti nella Decisione

164    Dal punto 111 della comunicazione degli addebiti in data 22 maggio 2003 risulta che la Commissione considerava, all’epoca, che il cartello fosse durato a livello mondiale dal 1992 al 1998 e a livello europeo dal marzo del 1993 all’ottobre del 1998. La Commissione ha quindi ritenuto che il cartello fosse stato attuato a diversi livelli: mondiale, regionale, ovvero nazionale a seconda degli interessi e degli impegni dei partecipanti sui mercati interessati (punto 78 della comunicazione degli addebiti). Secondo la Commissione, il cartello consisteva in un accordo continuato tra i produttori di cloruro di colina, il quale comprendeva, nella sostanza, accordi mondiali e «sub-accordi» regionali a livello europeo (punti 79 e 84 della comunicazione degli addebiti).

165    Risulta dai punti 168 e 169 della comunicazione degli addebiti che, secondo le valutazioni della Commissione, la parte europea del cartello costituiva un’applicazione particolare dei principi stabiliti a livello mondiale, azione resa possibile grazie all’assicurazione che i produttori nordamericani non avrebbero interferito nel mercato europeo esportando cloruro di colina verso di questo. Si trattava, dunque, di «sub-accordi» relativi all’Europa, secondo l’espressione utilizzata dalla Commissione più volte nella comunicazione degli addebiti (v., ad esempio, punti 79, 84, 90 e 169). Per ciò che riguarda i produttori nordamericani, la Commissione ha ritenuto che la loro responsabilità per tutte le condotte fosse fondata sul fatto che essi conoscevano l’esistenza di tali «sub-accordi» (punto 169 della comunicazione degli addebiti).

166    Risulta dunque che, al momento in cui la comunicazione degli addebiti è stata inviata alle parti, la Commissione riteneva che gli accordi mondiali ed europei costituissero una sola infrazione, per la realizzazione della quale ciascun partecipante aveva svolto un ruolo particolare.

167    Tuttavia, a seguito delle osservazioni fornite dai produttori nordamericani sul contenuto della comunicazione degli addebiti, la Commissione ha ritirato le sue censure relative a contatti collusivi a livello mondiale che si sosteneva avessero avuto luogo dopo il 20 aprile 1994 (punti 121-123, 144-147, 149-151 della comunicazione degli addebiti).

168    Sulla base di tali premesse la Commissione ha adottato l’approccio contenuto nella Decisione quanto alla relazione tra i livelli mondiale ed europeo degli accordi in questione.

169    Quindi, al punto 64 della Decisione, sotto il titolo «Organizzazione dell’intesa», la Commissione afferma che questa ha funzionato «a due livelli differenti, ma strettamente connessi». Secondo tale punto, le attività intraprese a livello mondiale avevano per obiettivo l’aumento dei prezzi su scala mondiale, il controllo dei trasformatori e dei distributori di cloruro di colina al fine di assicurare che non offrissero cloruro di colina a prezzi bassi e la ripartizione dei mercati mondiali mediante un accordo secondo cui i produttori nordamericani si sarebbero ritirati dal mercato europeo.

170    Al punto 65 della Decisione, dedicato alle riunioni a livello europeo, la Commissione indica che queste ultime sono servite a proseguire l’accordo concluso a livello mondiale, compreso quello tra i produttori europei stessi, al fine di aumentare i prezzi e di controllare i trasformatori in Europa. Tali riunioni hanno quindi riguardato l’aumento dei prezzi non solo in tutto il SEE, ma anche nei mercati nazionali nonché nei confronti dei clienti individuali. Tutto ciò è organizzato in modo da rispettare le quote di mercato dei produttori europei allo scopo di garantire una migliore redditività e una stabilizzazione dei mercati. Tale stabilizzazione sarebbe stata raggiunta, secondo il punto 68 della Decisione, eliminando o evitando le esportazioni da parte dei concorrenti nelle zone geografiche in cui altri concorrenti detenevano rilevanti quote di mercato. L’elemento chiave a tale riguardo era, secondo questo stesso punto, l’accordo che stabiliva che i produttori europei non esportassero in America del Nord e che i produttori nordamericani non esportassero sul mercato europeo. Grazie a questa ripartizione dei mercati, tali produttori avrebbero potuto «stabilizzare» il loro mercato nazionale e migliorare la redditività nella loro regione. Un accordo è stato anche concluso al fine di aumentare i prezzi nel mondo a livelli identici. Tale accordo doveva permettere non solo di migliorare la redditività del mercato, ma anche di evitare ogni destabilizzazione delle esportazioni tra le regioni. Era il perseguimento di tali obiettivi che rendeva indispensabile il controllo dei trasformatori e dei distributori.

171    Secondo il punto 69 della Decisione, gli accordi conclusi a livello mondiale riguardavano quattro attività anticoncorrenziali connesse tra loro e consistenti nella fissazione e nell’aumento dei prezzi mondiali, nella ripartizione dei mercati mondiali (ritiro dei produttori nordamericani e dei produttori europei dai mercati rispettivamente europeo e nordamericano), nel controllo dei distributori e dei trasformatori e, infine, negli scambi regolari di informazioni commercialmente sensibili al fine di assicurare l’attuazione degli accordi.

172    Dopo aver proceduto alla descrizione delle riunioni tenutesi a livello mondiale ed europeo, la Commissione dedica 10 punti all’analisi della nozione di infrazione unica e continuata nonché all’applicazione al caso di specie dei principi che vi si riferiscono. Pertanto, ai punti 145-148 della Decisione, con il titolo «La nozione di infrazione unica e continuata – Principi», la Commissione ha confermato la maggior parte del ragionamento effettuato nella comunicazione degli addebiti (v. punto 166 supra) citando la sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, citata al punto 150 supra. Tuttavia, è ai punti 150-154 della Decisione che la Commissione espone i motivi del suo nuovo ragionamento relativo all’applicazione del principio dell’infrazione unica e continuata al caso di specie.

173    Secondo il punto 150 della Decisione, gli accordi mondiali e gli accordi europei avevano un obiettivo anticoncorrenziale unico, ossia falsare le condizioni normali di concorrenza nel SEE. Più precisamente, il confronto tra gli accordi conclusi a questi due livelli indicherebbe che quelli conclusi a livello europeo potevano essere considerati come la continuazione, da parte dei produttori europei, di ciò che era stato inizialmente concordato a livello mondiale non solo con i produttori nordamericani, ma anche tra i produttori europei stessi riguardo agli aumenti dei prezzi e al controllo dei trasformatori. La Commissione afferma che per aumentare i prezzi fatturati a taluni clienti europei, questi ultimi sono stati ripartiti tra i produttori europei interessati. Per potersi mettere d’accordo su tale ripartizione, è evidente, secondo la Commissione, che tali produttori dovevano rispettare le loro rispettive quote di mercato mondiali in Europa.

174    Secondo il punto 151 della Decisione, la Akzo Nobel, la UCB e la BASF hanno partecipato alle azioni in questione tanto a livello europeo quanto a livello mondiale mettendosi anzitutto d’accordo, a livello mondiale, su talune azioni da intraprendere nel SEE e, in seguito, proseguendo tali azioni riunendosi a livello europeo. I produttori nordamericani non avrebbero partecipato alle riunioni europee, poiché al momento in cui queste ultime erano iniziate, gli accordi stavano per terminare. Per di più, anche ammettendo che gli accordi europei fossero iniziati prima del 14 marzo 1994 (ciò che la Commissione ammette di non essere in grado di provare), sarebbe stato inutile per i produttori nordamericani parteciparvi in quanto avevano accettato di ritirarsi dal mercato europeo.

175    Secondo il punto 152 della Decisione, i produttori nordamericani avevano, o avrebbero dovuto avere, conoscenza degli accordi europei. Infatti, l’obiettivo principale dei produttori europei perseguito mediante il ritiro dei produttori nordamericani dal mercato europeo era la «stabilizzazione» del mercato europeo. Tuttavia, tale «stabilizzazione» sarebbe stata impossibile senza altri accordi collusivi supplementari tra i produttori europei.

176    In conclusione, la Commissione sostiene, al punto 153 della Decisione, che i produttori europei si erano, in realtà, accordati per falsare la concorrenza nel SEE a partire dall’inizio degli accordi mondiali fino alla fine degli accordi europei. Secondo la Commissione, il fatto che i produttori europei detenessero l’80% del mercato europeo prova che essi erano in grado di attuare i loro accordi anche dopo la scadenza degli accordi mondiali.

 Sulla qualificazione del comportamento di infrazione in questione

177    Occorre rilevare che, in forza della giurisprudenza citata al precedente punto 159, le attività anticoncorrenziali intraprese a livello mondiale e descritte al punto 69 della Decisione costituiscono, di per se stesse, un’infrazione unica. Questa consiste in accordi (relativi alla fissazione e all’aumento dei prezzi mondiali, al ritiro dei produttori nordamericani dai mercati europei e al controllo dei distributori e dei trasformatori) nonché in pratiche concordate (scambio di informazioni sensibili al fine di influenzare reciprocamente la condotta commerciale dei partecipanti).

178    Lo stesso vale riguardo alle attività anticoncorrenziali a livello europeo che costituiscono di per se stesse un’infrazione unica consistente in accordi (sulla fissazione e sull’aumento dei prezzi per il SEE, per mercati nazionali nonché per clienti individuali, sull’attribuzione dei clienti, sulla ripartizione delle quote di mercato e sul controllo dei distributori e dei trasformatori) nonché in pratiche concordate (scambio di informazioni sensibili al fine di influenzare reciprocamente la condotta commerciale dei partecipanti).

179    Tuttavia, non deriva automaticamente dall’applicazione di tale giurisprudenza alla presente fattispecie che gli accordi a livello mondiale ed europeo costituiscano, considerati congiuntamente, un’infrazione unica e continuata. Infatti, sembra che fosse l’esistenza di un obiettivo comune, consistente nel falsare l’evoluzione normale dei prezzi, a giustificare, nelle fattispecie considerate dalla giurisprudenza, la qualificazione dei vari accordi e pratiche concordate come elementi costitutivi di un’unica infrazione. A tale riguardo, non può ignorarsi come tali condotte illecite presentassero una complementarità, nel senso che ciascuna di esse era destinata a far fronte ad una o a più conseguenze del gioco normale della concorrenza, e contribuivano, interagendo fra loro, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai loro autori, nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo.

180    Alla luce di tali considerazioni, rileva precisare che la nozione di obiettivo unico non può essere determinata riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza nel mercato del cloruro di colina, dal momento che l’incidenza sulla concorrenza costituisce, come oggetto o effetto, un elemento intrinseco a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Una definizione di tal genere della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti concernenti un settore economico, vietati dall’art. 81, n. 1, CE, dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica.

181    Occorre quindi verificare se i due gruppi di accordi e di pratiche concordate sanzionati dalla Commissione nella Decisione in quanto infrazione unica e continuata presentassero un nesso di complementarità nel senso descritto al precedente punto 179. È del resto la Commissione stessa a giustificare la sua tesi richiamando il fatto che gli accordi mondiali ed europei erano «strettamente connessi» (v. punti 4, 142 e 169 supra). A tale riguardo, occorrerà tenere conto di tutte le circostanze che possono provare o rimettere in dubbio tale nesso, come il periodo di applicazione, il contenuto (incluso il metodo utilizzato) e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi accordi e delle pratiche concordate in questione.

182    Per ciò che riguarda il periodo di applicazione degli accordi in causa, è giocoforza constatare che la cessazione degli accordi mondiali al più tardi il 20 aprile 1994 implica che, a partire da tale data, i produttori nordamericani non erano più tenuti a non esportare verso l’Europa. La Commissione stessa denuncia l’assenza di prove di altre riunioni o di contatti cui avrebbero preso parte i produttori nordamericani e mediante cui essi avrebbero fissato i prezzi per il SEE o confermato il loro impegno iniziale di non esportare verso l’Europa dopo tale data (v. punto 165 della Decisione). Ne consegue che la valutazione secondo cui, per poter ripartire il mercato europeo tra di loro, mantenendo prezzi elevati, occorreva che i produttori europei avessero l’assicurazione di non dover subire la concorrenza dei produttori nordamericani (v. punto 153 supra) non tiene conto del fatto che gli accordi mondiali non erano più in vigore a partire dal 20 aprile 1994. Infatti, gli accordi sulla ripartizione del mercato europeo sono stati attuati senza che un qualsiasi accordo vietasse le esportazioni di provenienza dagli Stati Uniti

183    Inoltre, la conclusione della Commissione secondo cui la ripartizione dei mercati mondiali non porterebbe alcun beneficio alle imprese partecipanti senza ripartizione del mercato europeo e viceversa (v. punto 153 supra) non può essere accolta. Nella fattispecie, il divieto di esportazioni verso il mercato europeo aveva come obiettivo di evitare la perturbazione di questo mediante la vendita di cloruro di colina a prezzi artificialmente ridotti giungendo al recupero di una parte dei costi fissi di una produzione in eccedenza (punti 39 e 68 della Decisione). L’eliminazione di tale minaccia commerciale è un obiettivo distinto da quello della ripartizione del mercato europeo, dato che quest’ultimo, come sarà detto qui di seguito, richiede l’applicazione di meccanismi diversi per essere raggiunto.

184    Di conseguenza, gli accordi europei, conclusi solo il 14 marzo 1994 durante la riunione a Schoten, quando le parti avevano constatato il fallimento degli accordi mondiali alle ultime riunioni di Bruges e di Johor Bahru nel novembre 1993 e nell’aprile 1994 (punti 92-95 della Decisione), avevano, da tale punto di vista, una portata autonoma rispetto all’accordo di reciproco ritiro dai mercati europei e nordamericani. Tale constatazione s’impone a maggior ragione riguardo al periodo successivo alla cessazione formale di ogni tentativo d’accordo a livello mondiale (alla riunione di Johor Bahru dal 14 al 20 aprile 1994). Erroneamente dunque la Commissione sostiene al punto 68 della Decisione che i produttori europei hanno potuto «stabilizzare» il mercato del SEE grazie alla ripartizione preventiva dei mercati mondiali, non essendo tali mercati più ripartiti tra i produttori nordamericani e i produttori europei durante il periodo di attuazione degli accordi a livello europeo.

185    Peraltro, sostenendo che dopo la cessazione formale degli accordi mondiali le parti hanno continuato ad attuarli e che i produttori nordamericani hanno continuato a tenersi fuori dal mercato europeo, applicando gli accordi mondiali (v. punto 155 supra), la Commissione contraddice il punto 165 della Decisione, ai sensi del quale essa non possedeva prove che indicassero che vi erano state altre riunioni o contatti cui i produttori nordamericani avrebbero partecipato e mediante i quali avrebbero stabilito il prezzo per il SEE o avrebbero confermato il loro impegno iniziale di non esportare verso l’Europa (v. punto 9 supra).

186    Interrogata su tale punto all’udienza, la Commissione ha sostenuto che, con tale argomento, essa non intendeva sostenere che l’accordo mondiale fosse proseguito successivamente alla data della sua cessazione indicata nella Decisione, ma che, in pratica, il comportamento delle imprese implicate è rimasto più o meno tale a come esso era, quando gli accordi erano in vigore. Occorrerebbe, pertanto, operare una distinzione fra tale circostanza e quella menzionata al punto 165 della Decisione che concerne la durata dell’accordo mondiale.

187    È giocoforza constatare che tale distinzione, che contraddice peraltro gli atti della Commissione (v. punto 155 supra), si fonda su un’interpretazione erronea dell’art. 81 CE. Infatti, per giurisprudenza costante, il regime di concorrenza istituito dagli artt. 81 e 82 CE attribuisce importanza alle conseguenze economiche degli accordi o di qualsiasi forma analoga di concertazione o di coordinamento, anziché alla loro forma giuridica. Di conseguenza, nel caso di intese che non sono più in vigore è sufficiente, per poter applicare l’art. 81 CE, che esse continuino a produrre effetti oltre la data formale di cessazione (v. sentenze del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 71, e 11 dicembre 2003, causa T‑59/99, Ventouris/Commissione, Racc. pag. II‑5257, punto 182 e la giurisprudenza ivi citata). Ne deriva che la durata di un’infrazione non deve essere valutata in funzione del periodo durante cui un accordo è in vigore, ma in funzione di quello durante il quale le imprese accusate hanno adottato un comportamento vietato dall’art. 81 CE. Orbene, la tesi della Commissione non consente di spiegare la ragione per cui, se i produttori nordamericani hanno continuato a comportarsi anche dopo il 20 aprile 1994 nel modo previsto dagli accordi mondiali, non è stata inflitta loro nessuna ammenda. L’interpretazione del punto 165 della Decisione proposta dalla Commissione non può, dunque, essere accettata.

188    Quanto alla circostanza dedotta dalla Commissione nella replica relativa alla causa T‑111/05, secondo cui gli effetti del cartello mondiale sarebbero continuati dopo la sua cessazione formale (v. punto 155 supra), occorre rilevare che, proprio come l’affermazione menzionata al punto precedente, essa non risulta dalla Decisione. Non può essere accolta la spiegazione fornita dalla Commissione all’udienza secondo cui essa si riferiva a questa circostanza nel punto 96 della Decisione quando sostiene che le esportazioni dall’America del Nord verso il SEE erano rimaste relativamente limitate dopo la fine degli accordi mondiali. Infatti, risulta dai punti 40 e 44 della Decisione che, nel 1990, le importazioni di cloruro di colina rappresentavano circa il 9% del valore stimato del mercato nella Comunità composta da dodici Stati membri, allorquando, nel 1997, le importazioni di cloruro di colina avevano raggiunto il 9,3% del volume delle vendite in tutto il SEE. Tali cifre non possono corroborare la tesi della Commissione, dato che rivelano che la situazione riguardo alle importazioni sul mercato europeo era più o meno la stessa tanto nel periodo anteriore alla conclusione degli accordi a livello mondiale quanto nel periodo posteriore alla loro scadenza e che, pertanto, tali accordi non hanno influito sostanzialmente sulla struttura del mercato europeo riguardo alle importazioni intercontinentali.

189    In ogni caso, anche ammettendo che il punto 96 della Decisione si riferisca, in sostanza, a pretesi cambiamenti nella struttura del mercato europeo dovuti agli accordi mondiali e che hanno facilitato la realizzazione degli accordi europei, tale circostanza non è stata dimostrata. Infatti, il Tribunale ha invitato le parti nonché la Akzo Nobel a fornire la loro valutazione sulle quote di mercato detenute dalle ricorrenti e dalla Akzo Nobel sul mercato europeo (inteso nel senso che esso include gli Stati membri della Comunità nonché gli Stati dell’EFTA che nel 1994 hanno dato vita al SEE) nel terzo trimestre del 1992, vale a dire all’inizio degli accordi mondiali. Tuttavia, nessuna delle parti ha presentato elementi precisi a tale riguardo per ragioni concernenti la lontananza nel tempo delle operazioni in questione. Occorre, di conseguenza, operare una valutazione sulla base degli elementi risultanti dalla Decisione nonché di quelli contenuti nel fascicolo amministrativo cui viene fatto rinvio della Decisione.

190    Come rilevato ai punti 97 e 153 della Decisione, la Akzo Nobel, la BASF e la UCB detenevano più del 75% del mercato europeo al momento in cui gli accordi europei hanno avuto inizio (nel marzo 1994) e potevano, pertanto, ripartirsi tale mercato senza preoccuparsi del comportamento degli altri produttori mondiali. Tuttavia, questa elevata quota di mercato non sembra essere stata il risultato degli accordi mondiali. Infatti, risulta dal punto 40 della Decisione che, nel 1990, le importazioni di cloruro di colina rappresentavano circa il 9% del valore del mercato della Comunità (3 525 t importate su 40 000 t). Durante i primi sette mesi del 1992, primo anno di infrazione a livello mondiale, le importazioni in Europa provenienti dall’America del Nord erano pari a 2 900 t in un mercato di 43 800 t, ossia il 6,6% del mercato europeo (punto 71). Lo stesso anno, la quota di mercato della Ertisa era pari al massimo allo 7,9% (capacità di produzione di 3 500 t secondo la pagina 1999 del fascicolo amministrativo allegato al controricorso nella causa T‑101/05). Se si tiene conto della quota di mercato dell’ICI (il quarto produttore europeo non implicato nelle attività in questione per il fatto che esso si limitava tradizionalmente al mercato del Regno Unito) pari a circa il 15% secondo la nota a piè di pagina n. 152 della Decisione, resta una quota di mercato collettiva pari ad almeno il 70,5% per la Akzo Nobel, la BASF e la UCB nel 1992. Occorre dunque constatare che gli accordi mondiali non hanno provocato un cambiamento sufficientemente importante della struttura del mercato europeo, specificamente riguardo alla quota di mercato collettiva della BASF, della UCB e della Akzo Nobel, che permetta di concludere che è stato grazie a questi che i tre produttori europei hanno potuto ripartirsi il mercato nel SEE.

191    Alla luce di tali considerazioni, l’affermazione secondo cui gli accordi a livello europeo costituivano la continuazione e l’attuazione degli accordi mondiali sostituendo semplicemente la ripartizione dei mercati nazionali europei alla ripartizione mondiale (v. punto 155 supra) non può essere accolta. Infatti, un accordo anticoncorrenziale non può, in linea di principio, essere considerato come un mezzo di attuazione di un altro accordo che è già terminato (v., in tal senso, JFE Engineering e a./Commissione, citata al punto 139 supra, punto 163).

192    Riguardo agli obiettivi perseguiti da ciascuno dei due gruppi di accordi, risulta dai punti 64-68 e 150-153 della Decisione che la Commissione ha dedotto l’esistenza di un obiettivo anticoncorrenziale unico, consistente nel raggiungimento di prezzi artificialmente elevati. Tuttavia, benché sia vero che l’accordo mondiale definiva i prezzi minimi da praticare per i produttori (v., ad esempio, i punti 77, 79, 85, 88, 90, 91 e 92 della Decisione), ciò non toglie che tale misura avesse come unico obiettivo la salvaguardia dell’elemento chiave di tale accordo, ossia evitare le esportazioni dall’Europa verso l’America del Nord e viceversa, e non effettuare una ripartizione del mercato europeo tra i produttori europei. Infatti, se i produttori avessero deciso di vendere ai trasformatori e ai distributori europei a prezzi troppo bassi (a causa dei loro eccessi di capacità), ciò avrebbe permesso a questi ultimi, secondo il punto 151 della Decisione, di esportare cloruro di colina verso gli Stati Uniti a prezzi concorrenziali. È evidente che i produttori nordamericani avrebbero dovuto adottare, come contropartita, un comportamento adeguato ai sensi dell’accordo nei confronti dei loro clienti (trasformatori e distributori) negli Stati Uniti.

193    Secondo il punto 85 della Decisione, che riporta una dichiarazione della DuCoa, «è giusto affermare che quando è stato dichiarato che essi avevano considerato di tentare di far crescere i prezzi a livello mondiale, si trattava innanzitutto dei prezzi in Estremo Oriente e in America Latina; essi non hanno né discusso né raggiunto un accordo sui prezzi in America del Nord con gli europei, né sui prezzi in Europa con gli europei e tali argomenti non sono stati oggetto di alcun tentativo di accordo». Secondo la stessa dichiarazione, «i produttori americani non hanno mai tentato di dettare i prezzi della colina in Europa occidentale (…) ma hanno menzionato il fatto che, se i prezzi erano molto bassi in Europa, il prodotto rischiava di essere riesportato verso gli Stati Uniti». Contrariamente a ciò che sostiene la Commissione, i termini di tale dichiarazione non permettono di interpretarla come se si riferisse esclusivamente alla riunione del gennaio 1993.

194    Le due ultime frasi del punto 152, secondo cui l’interconnessione tra la parte mondiale e quella europea è provata dal fatto che la stabilizzazione del mercato europeo, che era uno degli obiettivi dell’accordo mondiale, sarebbe stata impossibile senza altri accordi collusivi tra i produttori europei, sono fondate su premesse erronee. Infatti, non risulta né dalla Decisione né dai documenti del fascicolo prodotti dinanzi al Tribunale, su cui la Commissione si fonda, che la «stabilizzazione» dei mercati prevista dall’accordo mondiale si traduceva nella fattispecie in una ripartizione dei mercati europei e americani tra i produttori che vi restavano attivi.

195    Per contro, così come è stato rilevato (v. punto 192 supra), tale «stabilizzazione» era diretta a evitare le esportazioni intercontinentali a prezzi inferiori a quelli in vigore nella regione di importazione. Secondo il punto 39 della Decisione «quando ciò si produce, [tali importazioni] possono, a dispetto della limitatezza dei volumi interessati, avere un effetto destabilizzante sul livello dei prezzi in vigore nella regione di importazione, in particolare quando in detta regione tale livello è relativamente elevato». Tale punto precisa che questo tipo di vendite può essere attrattivo per una società la cui produzione è eccedentaria e che tenta di recuperare una parte dei suoi costi fissi.

196    Il fatto che la «stabilizzazione» dei mercati debba essere intesa in tal modo è confermato dal punto 68 della Decisione, dedicato al funzionamento dell’intesa a livello mondiale, il quale afferma: «(…) non si poteva escludere il rischio che alcuni produttori si liberassero di talune eccedenze di produzione sotto forma di vendite specifiche occasionali unicamente destinate a coprire i costi fissi di produzione. Anche se riguardavano solo quantità limitate, esportazioni di tal genere potevano perturbare i prezzi sul mercato all’importazione, in quanto i clienti avrebbero potuto utilizzare le vendite, qualora esse si fossero prodotte, per negoziare i prezzi al ribasso. La stabilizzazione del mercato sarebbe stata dunque raggiunta eliminando o evitando le esportazioni dei concorrenti nelle zone geografiche in cui altri concorrenti detenevano rilevanti quote di mercato. L’elemento chiave a tale riguardo era l’accordo che stabiliva che i produttori europei non esportassero nell’America del Nord e che i produttori nordamericani non esportassero nel mercato europeo. Grazie a tale ripartizione dei mercati, gli altri operatori avrebbero potuto “stabilizzare” il loro mercato nazionale e migliorare la redditività nella loro regione». Anche supponendo che, mediante i termini «migliorare la redditività nella loro regione», la Commissione non considerasse solamente il ritiro dei produttori nordamericani, ma anche la ripartizione del mercato del SEE tra i produttori europei, un’analisi di tal genere non può essere accolta considerate le conseguenze derivanti dalla cessazione delle attività anticoncorrenziali a livello mondiale al più tardi il 20 aprile 1994 (v. punti 184-190 supra).

197    Rileva aggiungere che, come risulta dai punti 71 e 75 e dalle note a piè di pagina nn. 31 e 66 della Decisione, al momento in cui l’accordo mondiale è stato attuato, tutti i produttori avevano capacità in eccedenza, circostanza che favoriva le esportazioni intercontinentali di cloruro di colina a basso prezzo e, pertanto, minacciava la stabilità dei mercati mondiali (v. punti 192 e 195 supra). Pertanto, la nozione di «stabilizzazione» dei mercati nell’ambito dell’accordo mondiale non era diretta ad una ripartizione in seno ai mercati europeo e nordamericano come suggerirebbe il punto 152 della Decisione. Il fatto che i produttori europei abbiano cominciato la ripartizione del mercato solo alla fine dell’intesa mondiale e in un momento in cui era stato constatato dai partecipanti l’insuccesso di quest’ultimo (punto 93 della Decisone) testimonia che il loro obiettivo non era di partecipare agli accordi mondiali al fine di procedere alla ripartizione ulteriore dei mercati che gli sarebbero stati riservati. È giocoforza peraltro constatare che la Commissione non menziona, nella Decisione, alcuna prova che dimostri l’esistenza di tale obiettivo.

198    In correlazione a ciò, il controllo cui sono stati sottoposti i distributori ed i trasformatori è differente nel contenuto in funzione dell’obiettivo perseguito. Nell’ambito degli accordi mondiali, tale controllo ha preso la forma di una fatturazione del cloruro di colina «a prezzi appropriati» [punto 69, lett. c), della Decisione]. Riguardo a tale misura, la Commissione menziona al punto 81 della Decisione: «(…) tale controllo potrebbe specificamente esercitarsi garantendo che i trasformatori acquistino il loro cloruro di colina dai membri dell’intesa, a condizioni appropriate. Gli appunti della Bioproducts dicevano quanto segue: “Dobbiamo controllare le materie prime dei trasformatori. Trarremo profitto da un aumento dei prezzi”. Tale obiettivo risulta anche dal documento citato al punto 75, che dice quanto segue: “I convertitori e i distributori dovrebbero essere controllati mediante prezzi appropriati”. Infine, secondo un altro documento proveniente dalla riunione [di Ludwigshafen]: “Ciascun produttore di cloruro di colina è responsabile del controllo dei trasformatori sul suo mercato nazionale. La fornitura di cloruro di colina liquido proveniente da un’altra regione frustra tale regola e rovina il mercato”». Pertanto tale controllo implicava un rispetto dei prezzi «minimi» concordati durante le riunioni dei produttori europei e nordamericani (punti 77 e 79 della Decisione).

199    Riguardo all’obiettivo di tale controllo, la Commissione afferma al punto 151 della Decisione: «Per quanto riguarda gli aumenti di prezzo in Europa, l’interesse dei produttori nordamericani si limitava a garantire che il livello dei prezzi in Europa non andasse troppo al di sotto di quello delle altre regioni del mondo. Nella misura in cui ciò non rischiava manifestamente di prodursi fin tanto che i trasformatori erano sottoposti ad un controllo, non era necessario esaminare i prezzi europei in particolare durante le riunioni mondiali, se non come elemento degli aumenti dei prezzi decisi a livello mondiale». Quindi, tale controllo aveva per obiettivo di impedire ai distributori e ai trasformatori di mettere in pericolo l’obiettivo degli accordi, ossia il reciproco ritiro dai mercati europeo e nordamericano. Orbene, le parti degli accordi relativi a tale reciproco ritiro vi hanno posto termine al più tardi il 20 aprile 1994, secondo il punto 165 della Decisione (v. punti 185-187 supra).

200    Per contro, il controllo dei distributori e dei trasformatori nell’ambito degli accordi europei ha assunto, secondo il punto 99, lett. d), della Decisione, forme diverse consistenti nell’evitare la realizzazione di vendite a prezzi preferenziali (misura riguardante i distributori), a garantire che i trasformatori acquistassero materie prime dai membri dell’intesa a condizioni appropriate, a informarli dei livelli di prezzi concordati dai membri dell’intesa e a creare legami di esclusiva con essi. Quanto all’obiettivo di tale controllo, questo stesso punto sottolinea che esso consisteva nel garantire l’efficacia degli accordi sulle quote di mercato, la ripartizione dei clienti e i prezzi, come conclusi tra i produttori europei.

201    Pertanto, gli accordi mondiali sui prezzi non presentavano una «stretta connessione», come sostenuto dalla Commissione, con la ripartizione del mercato del SEE tra i produttori europei effettuata dopo la loro cessazione definitiva. Ciò è anche dimostrato dal fatto che tale ripartizione ha richiesto, secondo i punti 65, 103, 105 e 113 della Decisione, l’applicazione di una tecnica differente consistente nella fissazione dei prezzi differenziati da ciascun produttore europeo riguardo a ciascun cliente al fine che quest’ultimo venisse «assegnato» al produttore determinato in virtù degli accordi collusivi a livello europeo. Un tale risultato non avrebbe potuto esser raggiunto sulla base di un solo prezzo «minimo» destinato ad essere applicato da tutti i produttori, come definito dagli accordi mondiali (punti 77 e 79 della Decisione).

202    Inoltre, nulla obbligava i produttori europei a basarsi, dopo il venir meno degli accordi mondiali, sui prezzi «minimi» concordati nell’ambito di tali accordi al fine di ripartirsi la clientela europea. Alla luce di tali considerazioni, si rivela ininfluente l’argomento della Commissione secondo cui la fissazione di un prezzo «minimo» a livello mondiale implica necessariamente la fissazione dei prezzi a livello europeo,

203    Occorre anche sottolineare che la Decisione non contiene nessun elemento atto a dimostrare che i produttori europei avessero concluso un accordo sulla ripartizione (anche ulteriore) del mercato del SEE durante le riunioni rientranti nel cartello mondiale né che essi avessero l’intenzione di utilizzare gli accordi mondiali al fine di facilitare una ripartizione ulteriore del mercato del SEE. La Commissione riconosce peraltro, al punto 151 della Decisione, di non essere in grado di provare una tale circostanza. Se ciò si fosse verificato, non vi sarebbe stata alcuna ragione per non determinare la data d’inizio degli accordi relativi alla ripartizione dello SEE prima del 14 marzo 1994, data della prima riunione tra i produttori europei. Tuttavia, ciò non è avvenuto.

204    Alla luce di tali considerazioni, il punto 151 della Decisione (v. punto 174 supra) risulta privo di pertinenza nella parte in cui tende a spiegare perché i produttori nordamericani non hanno partecipato alle riunioni europee. Infatti, tale parte del punto 151 risponde ad un argomento ininfluente proposto dai produttori europei durante il procedimento amministrativo relativo all’assenza di identità tra le parti degli accordi mondiali ed europei.

205    Allo stesso modo, il punto 152 della Decisione (v. punto 175 supra) non può avvalorare utilmente la tesi della Commissione nella parte in cui esso afferma che i produttori nordamericani conoscevano o avrebbero dovuto avere conoscenza dell’esistenza degli accordi europei. Infatti, la conoscenza di tali accordi da parte dei produttori nordamericani avrebbe avuto per conseguenza, in caso di accertamento di un’infrazione unica, l’estensione della loro responsabilità all’infrazione nel suo complesso a condizione che tali accordi presentassero un nesso con gli accordi mondiali (v., in tal senso, sentenza JFE Engineering e a. /Commissione, citata al punto 139 supra, punto 371). Pertanto, tale elemento non può avere un’incidenza sulla responsabilità dei produttori europei e non prova l’esistenza di un’infrazione unica e continuata.

206    L’affermazione di portata generale secondo cui gli accordi europei possono essere considerati come la continuazione, da parte dei produttori europei, di ciò che era stato inizialmente concluso a livello mondiale, non solo con i produttori nordamericani, ma anche tra i produttori europei stessi, riguardo agli aumenti dei prezzi e al controllo dei trasformatori, è, pertanto, inesatta. Lo stesso vale necessariamente per ciò che riguarda la valutazione secondo cui tutti gli accordi costituiscono una sola intesa, da cui i produttori nordamericani si sono ritirati in un dato momento e di cui le parti restanti hanno adattato le caratteristiche dopo tale ritiro.

207    Alla luce delle considerazioni che precedono, la Commissione non può fondarsi sul punto 67 della sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, citata al precedente punto 150. Infatti, pur essendo vero che, a proposito di un’infrazione che ha riguardato, in un primo tempo, il mercato danese dei tubi preisolati e, dopo un’interruzione, tutto il mercato europeo, il Tribunale ha preso in considerazione l’obiettivo unico di controllare il mercato del teleriscaldamento per qualificare tali condotte come un’infrazione unica e continuata, ciò non toglie che detta valutazione si è anche fondata su altre considerazioni altrettanto importanti. Quindi, in tale sentenza, il Tribunale ha evidenziato, allo stesso modo della Commissione, l’esistenza «sin dall’inizio dell’intesa in Danimarca [di] un obiettivo a più lungo termine diretto a estendere il controllo su tutto il mercato (…) e che vi era una continuità evidente in termini di metodi e di pratiche tra il nuovo accordo concluso alla fine del 1994 per tutto il mercato europeo e gli accordi anteriori» (punti 65 e 68). Inoltre, al punto 67, richiamato dalla Commissione, viene anche evidenziato che risultava dal primo accordo sulla coordinazione di un aumento dei prezzi per i mercati all’esportazione che, «sin dall’inizio, l’intesa tra i produttori danesi aveva oltrepassato l’ambito del solo mercato danese».

208    Orbene, nella fattispecie, la Commissione non ha provato che le ricorrenti, partecipando agli accordi mondiali, perseguissero un obiettivo a più lungo termine consistente nella ripartizione del mercato del SEE come quella effettuata nell’ambito degli accordi europei. Essa non ha neanche dimostrato una relazione tra i metodi e le pratiche impiegate nell’ambito di ciascun gruppo di accordi.

209    Alla luce delle conseguenze tratte dall’assenza di concomitanza tra l’attuazione degli accordi mondiali ed europei (v. punti 182-191 supra), dal fatto che il reciproco ritiro dai mercati europei e nordamericani e la ripartizione del mercato del SEE mediante un’attribuzione dei clienti costituiscono obiettivi differenti attuati mediante metodi diversi (v. punti 192-202 supra) e, infine, dall’assenza di prove che dimostrino l’intenzione dei produttori europei di aderire agli accordi mondiali al fine di realizzare ulteriormente la ripartizione del mercato del SEE (v. punto 203 supra), occorre concludere che i produttori europei hanno commesso due infrazioni distinte dell’art. 81, n. 1, CE e non un’infrazione unica e continuata.

210    Pertanto, la Decisione deve essere annullata nella parte in cui infligge un’ammenda ai ricorrenti in ragione della loro partecipazione all’intesa mondiale, infrazione che deve essere considerata prescritta. L’incidenza di tale annullamento sul calcolo dell’importo dell’ammenda inflitta alla BASF sarà esaminata ai successivi punti 212-223. L’incidenza di tale annullamento sul calcolo dell’ammenda inflitta alla UCB dovrà essere analizzata dopo l’esame del secondo motivo proposto da tale ricorrente (v. punti 235-241 infra).

211    Alla luce di ciò, non occorre più statuire sul motivo relativo alla violazione dei diritti della difesa della BASF (v. punto 157 supra).

 Sul calcolo dell’ammenda della BASF

212    Occorre sottolineare anzitutto che, su domanda del Tribunale, tanto le ricorrenti quanto la Commissione hanno esposto, all’udienza, la loro valutazione in merito al calcolo dell’importo dell’ammenda nell’ipotesi in cui il motivo relativo ad un errore di diritto nella qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica fosse considerato fondato dal Tribunale. Pertanto, come osservato al precedente punto 120, la valutazione effettuata sulla cooperazione della BASF nell’ambito del terzo motivo non pregiudica le conseguenze che può avere su tale riduzione la valutazione del Tribunale relativa al quinto motivo.

213    La competenza di merito attribuita al giudice comunitario dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003 lo abilita, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a eliminare, a ridurre o ad aumentare l’ammenda o la penalità inflitta quando la questione dell’importo di questa è sottoposta alla sua valutazione (sentenza Groupe Danone/Commissione, citata al punto 65 supra, punti 61 e 62). A tale riguardo occorre rilevare che gli Orientamenti non anticipano il giudizio sull’ammenda da parte del giudice comunitario, quando questi statuisce in virtù di tale competenza (sentenza del Tribunale 27 luglio 2005, cause da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nationale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 169).

214    Di conseguenza, occorre che il Tribunale eserciti la sua potestà giurisdizionale di merito, avendo la BASF sottoposto alla sua valutazione la questione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

215    A tale riguardo, occorre esaminare, a titolo preliminare, l’affermazione formulata dalla Commissione nel suo controricorso nella causa T‑111/05, secondo cui un nuovo calcolo dell’importo delle ammende presuppone una modifica della ripartizione per categorie dei produttori europei. Tale affermazione è fondata sul fatto che la Decisione ha proceduto a tale ripartizione tenendo conto delle quote di mercato mondiali delle imprese parti dell’infrazione nel 1997, ultimo anno pieno dell’infrazione. Sulla base di tale valutazione, la UCB e la Akzo Nobel sono state classificate nella terza categoria (con una quota di mercato rispettiva del 13,4% e del 12%) mentre la BASF è stata classificata nella quarta categoria con una quota di mercato del 9,1% (v. punto 15 supra).

216    Tuttavia, dal momento che l’unica infrazione da considerare è quella concernente il mercato del SEE (v. punto 210 supra), le quote di mercato da prendere in considerazione ai fini della ripartizione per categorie dei produttori europei sono quelle relative a tale mercato. Una modifica del genere non può tuttavia cambiare la classificazione delle imprese per categorie né gli importi di partenza determinati a titolo della gravità dell’infrazione. Infatti, risulta dal punto 44 della Decisione che nel 1997 la Akzo Nobel e la UCB detenevano rispettivamente il 28,9% e il 28,5% del mercato europeo mentre la quota della BASF era pari al 20,9%. Tale configurazione delle quote di mercato giustifica il mantenimento della ripartizione effettuata dalla Commissione riguardo alla Akzo Nobel e alla UCB nella stessa categoria e la BASF nella categoria inferiore.

217    Per quanto riguarda il livello generale degli importi di partenza, questi devono restare identici a quelli definiti al punto 202 della Decisione. Infatti, tali importi sono stati fissati sulla base della natura molto grave del comportamento di infrazione adottato tanto a livello mondiale quanto a livello europeo nonché del valore relativamente limitato del mercato europeo del cloruro di colina (EUR 52,6 milioni nel 1997), fattori che restano rilevanti anche se la sola infrazione da considerare è quella relativa al SEE.

218    Pertanto, l’importo di partenza fissato per la BASF a titolo della gravità dell’infrazione deve restare immutato e pari, pertanto, a EUR 18,8 milioni.

219    Riguardo alla durata della partecipazione della BASF agli accordi europei, risulta dai punti 101, 102, 105 e 206 della Decisione che questa è iniziata il 29 novembre 1994, durante una riunione a Amersfoort (Paesi Bassi), e che è finita il 30 settembre 1998. A tale riguardo, occorre rilevare che l’approccio proposto dalla Commissione, consistente nell’aumentare l’importo di partenza del 10% per ciascun anno completo e del 5% per ciascun periodo supplementare di sei mesi completi, è atto a dar luogo a disparità considerevoli tra le ricorrenti nelle circostanze della presente fattispecie. Infatti, essendo la partecipazione della BASF all’infrazione durata tre anni e dieci mesi completi, il fatto che il Tribunale applichi una maggiorazione del 5% per tener conto di questi dieci mesi corrisponderebbe a non considerare quattro mesi supplementari. Occorre anche rilevare che, nella fattispecie, il Tribunale dispone di elementi precisi riguardo alla durata della partecipazione di ciascuna ricorrente all’infrazione e che è dunque in grado di calcolare la loro ammenda in modo che rifletta la durata esatta di tale partecipazione, precisando in tal modo la loro proporzionalità.

220    Quindi, nell’ambito dell’esercizio della sua potestà di giurisdizione nel merito, il Tribunale ritiene che occorra applicare una maggiorazione del 38% per tener conto del periodo di tre anni e dieci mesi di partecipazione all’infrazione della BASF.

221    L’importo di base dell’ammenda della BASF è, pertanto, stabilito in EUR 25,944 milioni. A tale importo, occorre applicare la maggiorazione del 50% a titolo di recidiva (v. punto 18 supra), ciò che porta l’importo dell’ammenda a EUR 38,916 milioni.

222    L’importo finale dell’ammenda della BASF sarà fissato dopo la riduzione del 10% a titolo della cooperazione per mancata contestazione della realtà dei fatti. Per contro, per ciò che riguarda gli elementi di prova forniti dalla BASF a titolo della sua cooperazione e per i quali essa si è vista accordare una riduzione ulteriore del 10% (v. punto 87 supra), occorre ricordare che il fatto che un’impresa metta a disposizione della Commissione informazioni relative ad atti per cui, ad ogni modo, non le sarebbe stata inflitta alcuna ammenda ai sensi dei regolamenti n. 17 e n. 1/2003 non costituisce una cooperazione che rientra nell’ambito di applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 108 supra, punto 297). Atteso che tali elementi concernevano esclusivamente gli accordi mondiali, mentre le informazioni sugli accordi europei fornite dalla BASF avevano solo un valore minimo (v. punto 116 supra), che l’infrazione che si riferiva agli accordi mondiali è stata dichiarata prescritta (v. punto 210 supra) e che, di conseguenza, alla BASF non è stata inflitta alcuna ammenda a tale riguardo, non è più necessario per questa beneficiare della riduzione del 10% che le era stata concessa a tale titolo.

223    Conseguentemente, l’importo dell’ammenda della BASF deve essere fissato in EUR 35,024 milioni.

7.     Sul secondo motivo sollevato dalla UCB, relativo all’applicazione erronea della Comunicazione sulla cooperazione del 1996

 Argomenti delle parti

224    Secondo la UCB, la distinzione che deve essere operata tra gli accordi mondiali e gli accordi europei avrebbe ripercussioni sull’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 nei suoi confronti. Più precisamente, essendo stata la UCB la prima impresa a denunciare l’intesa segreta a livello comunitario (v. punto 19 supra) e avendo soddisfatto tutte le altre condizioni previste dal punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, essa ritiene di aver diritto di beneficiare di una riduzione dal 75 al 100% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata altrimenti inflitta.

225    La UCB sostiene che la nuova comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «Comunicazione sulla cooperazione del 2002»), che sostituisce la Comunicazione sulla cooperazione del 1996, prevede che la Commissione concederà l’immunità da qualsiasi ammenda all’impresa che fornisca per prima elementi che le permettano di constatare un’infrazione dell’art. 81 CE. Il grado di protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico comunitario imporrebbe l’applicazione del principio della retroattività in mitius, principio generale di diritto internazionalmente riconosciuto e corollario del principio di non retroattività delle leggi che aggravano una pena. La Commissione sarebbe obbligata ad applicare tale principio in tutti i procedimenti atti a terminare con una sanzione in applicazione delle regole di concorrenza. Ne risulterebbe che la Commissione avrebbe dovuto applicare il punto A della Comunicazione sulla cooperazione del 2002 in quanto «legge» più favorevole rispetto al punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996, poiché essa instaura un’immunità totale senza lasciare alla Commissione un margine di discrezionalità sull’importo della riduzione, come lo faceva la Comunicazione sulla cooperazione del 1996. L’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 avrebbe dunque dato luogo ad un’immunità totale per l’ammenda imposta alla UCB.

226    La nozione di retroattività della lex mitior includerebbe la modifica di qualsiasi disposizione specifica che un’autorità intende applicare nei confronti di una persona, come le comunicazioni della Commissione riguardanti le ammende inflitte in materia di concorrenza. Tale principio prevarrebbe peraltro sul punto 28 della Comunicazione sulla cooperazione del 2002, che limita la sua applicazione al periodo successivo al 14 febbraio 2002. Il fatto che l’affidamento legittimo di cui godeva la UCB al momento della sua cooperazione fosse fondato sulla Comunicazione sulla cooperazione del 1996 non sarebbe rilevante per impedire l’applicazione del principio della lex mitior.

227    In ogni caso, l’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 avrebbe dovuto portare la Commissione a non imporre un’ammenda alla UCB, poiché essa è stata la prima a fornire informazioni a proposito dell’intesa europea prima di ogni altra domanda da parte della Commissione, in un momento in cui quest’ultima non aveva alcuna conoscenza di tale intesa.

228    La Commissione sottolinea che tale motivo costituisce in realtà un’analisi delle conseguenze da trarre nel caso in cui il primo motivo sollevato dalla UCB fosse giudicato fondato. Essa rinvia quindi al suo argomento relativo a tale motivo e ritiene che il presente motivo debba essere respinto.

229    In subordine, la Commissione riconosce che se le condotte delle ricorrenti non si fossero iscritte nell’ambito di un’infrazione unica e continuata, la UCB avrebbe beneficiato di una riduzione dell’importo della sua ammenda di almeno il 75%. In tale ipotesi, altri elementi del calcolo dell’importo dell’ammenda sarebbero stati modificati, come la durata, le circostanze attenuanti e aggravanti e i fatturati presi in considerazione per il trattamento differenziato.

230    Riguardo al principio dell’applicazione retroattiva della lex mitior, la Commissione sottolinea che, se è pur vero che si tratta di un principio generale di diritto penale, ciò non toglie che le decisioni che infliggono ammende in materia di concorrenza non siano di natura penale. La giurisprudenza non confermerebbe la tesi della ricorrente sull’applicazione retroattiva obbligatoria della lex mitior in materia di concorrenza. Inoltre, l’applicazione di tale principio presupporrebbe una modifica della base giuridica per il calcolo dell’ammenda, vale a dire dell’art. 15, n. 2, del regolamento 17, il quale non è stato modificato dalla Comunicazione sulla cooperazione del 2002.

231    La Commissione disporrebbe di un margine di discrezionalità quanto alla determinazione dell’importo delle ammende, margine che sarebbe delimitato dalle comunicazioni sulla cooperazione. La giurisprudenza avrebbe affermato che fintanto che tali comunicazioni rimangono nell’ambito delle disposizioni del regolamento n. 17, la Commissione dispone di un ampio margine di manovra per determinare il livello delle ammende in conformità ai bisogni della sua politica di concorrenza. Inoltre, la Commissione sarebbe vincolata nell’esercizio di tale potere discrezionale solo fintantoché la comunicazione applicabile sia in vigore. La Commissione sottolinea a tale riguardo che la Comunicazione sulla cooperazione del 2002 ha sostituito quella del 1996 a partire dal 14 febbraio 2002. Tuttavia, l’affidamento legittimo di cui godeva la UCB sarebbe limitato dall’applicazione ratione temporis di ciascuna comunicazione, nella fattispecie la comunicazione sulla cooperazione del 1996.

232    In ogni caso, la Commissione esprime dubbi quanto al carattere, in generale, più favorevole della Comunicazione sulla cooperazione del 2002 rispetto a quella del 1996. Tale carattere non potrebbe essere esaminato sulla base di una valutazione selettiva delle disposizioni della Comunicazione sulla cooperazione del 2002. Nel caso contrario, la Commissione sarebbe obbligata ad applicare tale comunicazione in modo retroattivo unicamente nei confronti delle imprese che vi trovassero un elemento favorevole, il che metterebbe in pericolo la coerenza della sua politica.

 Giudizio del Tribunale

 Sull’applicazione della lex mitior

233    Risulta dalla giurisprudenza che il principio di non retroattività non osta all’applicazione di orientamenti che abbiano, per ipotesi, un effetto aggravante sul livello delle ammende inflitte per infrazioni commesse prima della loro adozione, a condizione che la politica che essi attuano sia ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni in questione sono state commesse (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 91 supra, punti 202-232).

234    Di conseguenza, il diritto, anche condizionato, della Commissione di applicare retroattivamente a scapito degli interessati regole di condotta dirette a produrre effetti esterni, quali gli Orientamenti, esclude ogni obbligo da parte di tale istituzione di applicare la lex mitior.

 Sul calcolo dell’importo dell’ammenda della UCB

235    Ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda della UCB occorre anzitutto rinviare alle valutazioni effettuate ai precedenti punti 212-217.

236    Inoltre, il fatto che le valutazioni della Commissione riguardo al carattere unico e continuato delle infrazioni siano erronee influenza l’importo dell’ammenda inflitta alla UCB, considerata la Comunicazione sulla cooperazione del 1996. Come ammesso dalla Commissione (v. punto 229 supra), la UCB avrebbe beneficiato delle disposizioni del punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 intitolata «Non imposizione o notevole riduzione delle ammende» se gli accordi mondiali fossero stati considerati come un’infrazione diversa dagli accordi europei e, pertanto, prescritta. Infatti, alla luce di tali considerazioni, si deve rilevare che la UCB ha denunciato l’intesa europea alla Commissione e ha soddisfatto le altre condizioni previste dal punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996 (v. successivo punto 237).

237    Ai termini del punto B della Comunicazione sulla cooperazione del 1996:

«L’impresa la quale:

a) denunci l’intesa segreta alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata;

b) sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa;

c) abbia cessato di partecipare all’attività illecita al più tardi al momento in cui denuncia l’intesa;

d) fornisca alla Commissione tutte le informazioni utili nonché tutti i documenti e gli elementi probatori di cui dispone riguardanti l’intesa e assicuri una permanente e totale cooperazione per tutto il corso dell’indagine;

e) non abbia costretto un’altra impresa a partecipare all’intesa né abbia svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita,

beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda, che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione, o della totale non imposizione della medesima».

238    Alla luce di tali considerazioni, occorre aumentare l’importo di partenza pari a EUR 12,9 milioni, determinato dalla Commissione a titolo della gravità dell’infrazione (v. punto 15 supra), del 45% a titolo della durata dell’infrazione di circa quattro anni e mezzo (dal 14 marzo 1994 al 30 settembre 1998). L’importo di base deve dunque essere fissato in EUR 18,705 milioni.

239    Non essendo stata mantenuta nessuna circostanza aggravante a carico della UCB, occorre applicare all’importo di base una diminuzione percentuale a titolo della sua cooperazione. Ai fini della determinazione di tale percentuale, occorre considerare che la UCB ha denunciato l’intesa europea, ciò che ha permesso alla Commissione di infliggere rilevanti sanzioni, possibilità che essa non avrebbe avuto sulla base del solo cartello mondiale che era prescritto al momento del suo primo intervento (v. punto 9 supra). Inoltre, risulta dai punti 102, 105, 107, 108, 109, 114, 118, 119 e 120 della Decisione che le nove riunioni rivelate dalla UCB coprivano tutta la durata dell’infrazione riguardante ilSEE, essendo le sei riunioni denunciate dalla Akzo Nobel solo riunioni intermedie, come risulta dai punti 110, 112, 113, 115, 116 e 117 della Decisione.

240    Nondimeno, la UCB ha denunciato un po’ meno dei due terzi delle riunioni. Inoltre, benché la UCB abbia agito di propria iniziativa, ciò non toglie che alla data in cui ha fornito tali informazioni (26 luglio 1999) essa aveva già conoscenza del fatto che la Commissione aveva intrapreso azioni nei confronti del cartello mondiale del cloruro di colina.

241    Alla luce di tali considerazioni, occorre applicare una riduzione del 90% all’importo di base, come stabilito al precedente punto 238, ciò che porta l’importo dell’ammenda della UCB a EUR 1,870 milioni.

242    Essendo il terzo motivo stato sollevato dalla UCB a titolo sussidiario nel caso in cui il Tribunale accogliesse la tesi della Commissione relativa al carattere unico e continuato degli accordi mondiali ed europei (v. punto 35 supra) non occorre più statuire a tale riguardo. Infatti, anche se la UCB chiede parimenti con tale motivo che non le venga inflitta alcuna ammenda, ciò non toglie che il suo argomento si fondi, in primo luogo, sull’esistenza di un’infrazione unica e continuata, circostanza che non è stata accolta, in secondo luogo, sull’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 2002 (v. punto 225 supra), e, in terzo luogo, sul fatto che, in assenza di cooperazione da parte sua, la Commissione non sarebbe stata in grado di infliggere alcuna ammenda. Orbene, l’argomento relativo all’applicazione della Comunicazione sulla cooperazione del 2002 è già stato rigettato (v. punti 233 e 234 supra), mentre il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale di merito, ha valutato il valore della cooperazione della UCB, concedendole una riduzione del 90% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata altrimenti inflitta.

243    Pertanto, l’importo dell’ammenda della UCB deve essere stabilito in EUR 1,870 milioni.

244    Sulla base di quanto precede, occorre, in primo luogo, annullare l’art. 1, lett. b) e f), della Decisione nella parte in cui esso si fonda sull’infrazione censurata alle ricorrenti per il periodo anteriore al 29 novembre 1994 per la BASF e anteriore al 14 marzo 1994 per la UCB, in secondo luogo, stabilire l’importo delle ammende inflitte alla BASF e alla UCB rispettivamente in EUR 35,024 milioni e in EUR 1,870 milioni, e, in terzo luogo, respingere il ricorso per il resto.

 Sulle spese

245    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

246    Nella causa T‑101/05, essendo la BASF rimasta soccombente su più capi, ma essendo stata vittoriosa nell’ambito del suo quinto motivo, occorre statuire che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

247    Nella causa T‑111/05, essendo la Commissione rimasta soccombente sulla maggior parte delle sue domande, occorre statuire che essa sopporti, oltre alla proprie spese, il 90% delle spese sostenute dalla UCB.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La causa T‑112/05, Akzo Nobel e a./Commissione è separata dalle cause T‑101/05 e T‑111/05 ai fini della pronuncia della sentenza.

2)      L’art. 1, lett. b) e f), della decisione della Commissione 9 dicembre 2004, 2005/566/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-2/37.533 – Cloruro di colina), è annullato nella parte in cui considera l’infrazione censurata alla BASF AG e alla UCB SA per il periodo anteriore al 29 novembre 1994, per la BASF, e anteriore al 14 marzo 1994, per la UCB.

3)      Nella causa T‑101/05, l’importo dell’ammenda inflitta alla BASF è stabilito in EUR 35,024 milioni.

4)      Nella causa T‑111/05, l’importo dell’ammenda inflitta alla UCB è stabilito in EUR 1,870 milioni.

5)      I ricorsi sono respinti per il resto.

6)      Nella causa T‑101/05, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

7)      Nella causa T‑111/05, la Commissione sopporterà, oltre alle proprie spese, il 90% delle spese sostenute dalla UCB.

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo, il 12 dicembre 2007.

Meij

Forwood

Papasavvas

Il cancelliere

 

      Il presidente facente funzione

E. Coulon

 

      A.W.H. Meij

Indice


Fatti e decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Osservazioni preliminari

2.  Sul primo motivo sollevato dalla BASF, relativo ad una violazione dei regolamenti n. 17 e n. 1/2003 nonché degli Orientamenti per effetto della maggiorazione dell’importo dell’ammenda del 100% a fini dissuasivi

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

3.  Sul secondo motivo sollevato dalla BASF, relativo alla violazione dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità a causa della maggiorazione del 50% dell’importo dell’ammenda a titolo di recidiva nonché al calcolo errato di tale maggiorazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

4.  Sul terzo motivo sollevato dalla BASF, relativo all’applicazione erronea della Comunicazione sulla cooperazione del 1996

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul documento del 6 maggio 1999

Sulla riunione del 17 maggio 1999

Sulla comunicazione 21 maggio 1999

Sulla comunicazione 23 luglio 1999

Sulla valutazione della relazione 15 giugno 1999 e della comunicazione 23 giugno 1999 alla luce della richiesta di informazioni 26 maggio 1999

Sulla comunicazione 16 luglio 1999

Valutazione complessiva della riduzione concessa alla BASF

5.  Sul quarto motivo sollevato dalla BASF, relativo ad un’insufficiente riduzione dell’ammenda indipendentemente dalla Comunicazione sulla cooperazione del 1996

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

6.  Sul motivo sollevato dalla BASF e dalla UCB, relativo ad un errore di diritto nella qualificazione degli accordi mondiali ed europei come infrazione unica e continuata

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Osservazioni preliminari

–  Sulla portata degli argomenti della BASF

–  Sulla nozione di infrazione unica e continuata

–  Posizione adottata dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti e accertamenti nella Decisione

Sulla qualificazione del comportamento di infrazione in questione

Sul calcolo dell’ammenda della BASF

7.  Sul secondo motivo sollevato dalla UCB, relativo all’applicazione erronea della Comunicazione sulla cooperazione del 1996

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sull’applicazione della lex mitior

Sul calcolo dell’importo dell’ammenda della UCB

Sulle spese


* Lingue processuali: l’inglese e il francese.