Language of document : ECLI:EU:T:2004:219

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
8 luglio 2004 (1)

«Concorrenza – Intese – Mercati dei tubi d’acciaio senza saldatura – Durata dell'infrazione – Ammende»

Nella causa T-48/00,

Corus UK Ltd, già British Steel plc, con sede in Londra, rappresentata dai sigg. J. Pheasant e M. Readings, solicitors, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. M. Erhart e B. Doherty, quindi dai sigg. M. Erhart e A. Whelan, in qualità di agenti, assistiti dal sig. N. Khan, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E-1/35.860-B‑Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1), o, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell'ammenda inflitta alla ricorrente,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 19, 20 e 21 marzo 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti e procedimento

1
La presente causa riguarda la decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B‑Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

2
La Commissione ha inviato la decisione impugnata a otto imprese produttrici di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura (in prosieguo: le «imprese destinatarie della decisione impugnata»). Tra tali imprese figurano quattro società europee (in prosieguo: le «produttrici europee» ovvero le «produttrici comunitarie»): la Mannesmannröhren-Werke AG (in prosieguo: la «Mannesmann»), la Vallourec SA, la Corus UK Ltd (già British Steel plc, poi British Steel Limited; in prosieguo: la «Corus» o la «ricorrente») e la Dalmine SpA. Le altre quattro destinatarie della decisione impugnata sono società giapponesi (in prosieguo: le «produttrici giapponesi»): la NKK Corp., la Nippon Steel Corp. (in prosieguo: la «Nippon»), la Kawasaki Steel Corp. (in prosieguo: la «Kawasaki») e la Sumitomo Metal Industries Ltd (in prosieguo: la «Sumitomo»).

Procedimento amministrativo

3
Con decisione 17 novembre 1994 l’Autorità di vigilanza dell'Associazione europea sul libero scambio (AELS), ai sensi dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, approvato dalla decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 94/1/CECA, CE, relativa alla conclusione dell’accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (GU 1994, L 1, pag. 1; in prosieguo: l’«Accordo SEE»), autorizzava il membro responsabile degli affari di concorrenza a domandare alla Commissione di procedere, nel territorio della Comunità, a verificare l’eventuale esistenza di comportamenti anticoncorrenziali nel settore dei tubi di acciaio al carbonio utilizzati dall’industria petrolifera norvegese per operazioni di sondaggio e di trasporto.

4
Con decisione non pubblicata 25 novembre 1994 (Caso IV/35.304), citata a pag. 3 del fascicolo amministrativo della Commissione, avente come fondamento normativo sia l’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli artt. [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), sia la decisione dell’Autorità di vigilanza dell’AELS 17 novembre 1994, la Commissione decideva di effettuare verifiche sui comportamenti menzionati nella decisione dell’Autorità di vigilanza dell’AELS 17 novembre 1994, in quanto idonei ad integrare una violazione non solo dell’art. 53 dell’Accordo SEE, ma anche dell’art. 81 CE. La Commissione inviava la decisione 25 novembre 1994 a otto società, tra cui la Mannesmann, la Corus, la Vallourec e la Sumitomo Deutschland GmbH, società del gruppo Sumitomo. Il 1° e il 2 dicembre 1994, agendo in forza della citata decisione, taluni dipendenti della Commissione e taluni rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri interessati effettuavano accertamenti presso le dette imprese.

5
Con decisione 6 dicembre 1995 l’autorità di vigilanza dell’AELS constatava che, a causa delle significative alterazioni del commercio intracomunitario che esso comportava, il caso in esame rientrava nella competenza della Commissione ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. c), dell’Accordo SEE. L’autorità di vigilanza dell’AELS decideva pertanto di trasferire tale fascicolo alla Commissione, conformemente all’art. 10, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE. A partire da quella data la Commissione ha registrato il caso con un nuovo numero (IV/E‑1/35.860).

6
Tra il settembre 1996 e il dicembre 1997 la Commissione effettuava ulteriori accertamenti ai sensi dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 17, presso la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. In particolare, essa effettuava un’ispezione presso la Vallourec il 17 settembre 1996, in occasione della quale il presidente della Vallourec Oil & Gas, il sig. Verluca, rilasciava la dichiarazione citata a pag. 6356 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996»), su cui quest’ultima ha basato la decisione impugnata. Successivamente la Commissione inviava una richiesta di informazioni, ex art. 11 del regolamento n. 17, a tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata, nonché a talune altre.

7
Avendo la Dalmine e le società argentine Siderca SAIC (in prosieguo: la «Siderca») e Techint Group rifiutato di fornire alcune informazioni richieste, la Commissione inviava loro, il 6 ottobre 1997, una decisione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione C (1997) 3036 (IV/35.860‑Tubi d’acciaio, non pubblicata). Sia la Siderca che la Dalmine presentavano al Tribunale un ricorso di annullamento contro tale decisione. Il ricorso di annullamento della Dalmine veniva dichiarato manifestamente irricevibile, con ordinanza del Tribunale 24 giugno 1998, causa T-596/97, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2383), mentre il ricorso di annullamento della Siderca veniva cancellato in seguito alla rinuncia di quest’ultima, con ordinanza del Tribunale 7 giugno 1998, causa T‑8/98, Siderca/Commissione (non pubblicata nella Raccolta della giurisprudenza).

8
Anche la Mannesmann rifiutava di fornire alcune informazioni richieste dalla Commissione. Essa persisteva nel rifiuto anche dopo l’adozione nei suoi confronti da parte della Commissione di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione 15 maggio 1998 C (1998) 1204 (IV/35.860‑Tubi d’acciaio, non pubblicata). A sua volta la Mannesmann presentava un ricorso al Tribunale contro tale decisione. Con sentenza 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione (Racc. pag. II‑729), il Tribunale annullava parzialmente la decisione in questione, respingendo il ricorso quanto al resto.

9
Nel gennaio 1999 la Commissione adottava due comunicazioni degli addebiti, concernenti l’una i tubi d’acciaio al carbonio saldati e l’altra quelli non saldati. Essa scindeva così il caso in due: il caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, e il caso IV/E‑1/35.860‑B, relativo a quelli senza saldatura.

10
Nel caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura, la Commissione inviava la sua comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «CdA») alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata nonché alla Siderca e alla società messicana Tubos de Acero de México SA. Le dette imprese consultavano il fascicolo aperto dalla Commissione per tale caso fra l’11 febbraio e il 20 aprile 1999. Inoltre, con lettere 11 maggio 1999, la Commissione inviava copia delle decisioni del novembre 1994, relative agli accertamenti, alle imprese che non ne erano destinatarie e che, pertanto, non ne avevano avuto conoscenza.

11
Dopo aver presentato le loro osservazioni scritte, le destinatarie delle due comunicazioni degli addebiti venivano sentite dalla Commissione il 9 e il 10 giugno 1999, in ordine, rispettivamente, al caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati e a quello relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura. Nel luglio 1999, la Commissione informava le destinatarie della comunicazione degli addebiti nel caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, di aver rinunciato alla lite relativa a tali prodotti. Viceversa, essa proseguiva l’azione relativa al caso IV/E‑1/35.860‑B.

12
Alla luce di tali circostanze, l’8 dicembre 1999, la Commissione adottava la decisione impugnata.

Prodotti in questione

13
I prodotti oggetto del caso IV/E‑1/35.860‑B sono i tubi di acciaio al carbonio senza saldatura utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, i quali si suddividono in due grandi categorie.

14
Alla prima categoria appartengono i tubi per il sondaggio comunemente denominati «Oil Country Tubular Goods» ovvero «OCTG». Essi possono essere venduti senza filettatura («tubi lisci») o filettati. La filettatura è un’operazione di raccordo dei tubi OCTG. Essa può essere standard, vale a dire conforme ai parametri fissati dall’American Petroleum Institute (API) (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: «OCTG standard»), oppure realizzata con tecniche particolari solitamente brevettate. In quest’ultimo caso si parla di filettatura o, eventualmente, di «giunti» «di prima qualità» cioè «premium» (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: «OCTG premium»).

15
Alla seconda categoria di prodotti appartengono i tubi per il trasporto di petrolio e di gas («linepipe») di acciaio al carbonio senza saldatura, che si suddividono a loro volta in tubi fabbricati secondo norme standard e in tubi fabbricati su misura e destinati a progetti specifici ( in prosieguo: i «linepipe “project”»).

Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

16
Nella decisione impugnata la Commissione ha osservato, innanzi tutto, che le otto imprese destinatarie di tale decisione avevano concluso un accordo che prevedeva fra l’altro, la reciproca protezione dei loro mercati nazionali (punti 62‑67 della decisione impugnata). In base ad esso, ogni impresa si impegnava a non vendere tubi OCTG standard e linepipe «project» sui mercati nazionali delle altre aderenti all’accordo. L’accordo sarebbe stato concluso nell’ambito delle riunioni tra le produttrici comunitarie e quelle giapponesi, dette «club Europa-Giappone». Il principio della protezione dei mercati nazionali era denominato «fundamentals» (regole di base dell’accordo). In subordine, la Commissione ha rilevato che tali «fundamentals» erano stati realmente osservati e che pertanto l’accordo aveva sortito effetti anticoncorrenziali sul mercato comune (punto 68 della decisione impugnata).

17
Secondo la Commissione il detto accordo era vietato ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (punto 109 della decisione impugnata). Conseguentemente, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha constatato l’esistenza di un’infrazione a tale disposizione e ha inflitto ammende alle otto imprese destinatarie.

18
Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha considerato che, sebbene le riunioni del club Europa-Giappone fossero iniziate nel 1977 (punto 55 della decisione impugnata), occorreva considerare il 1990 come momento iniziale dell’infrazione ai fini della fissazione delle ammende, in quanto tra il 1977 e il 1990 erano stati conclusi tra la Comunità europea e il Giappone accordi di autolimitazione delle esportazioni (in prosieguo: gli «accordi di autolimitazione») (punto 108 della decisione impugnata). Secondo la Commissione l’infrazione è terminata nel 1995 (punti 96 e 97 della decisione impugnata).

19
Ai fini della fissazione dell’importo delle ammende alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata, la Commissione ha qualificato l’infrazione come molto grave, giacché l’accordo di cui trattasi, avendo ad oggetto la protezione dei mercati nazionali, pregiudicava il buon funzionamento del mercato interno (punti 161 e 162 della decisione impugnata). Per contro, essa ha rilevato che le vendite dei tubi di acciaio al carbonio senza saldatura effettuate dalle imprese destinatarie nei quattro Stati membri interessati ammontavano solamente ad un importo di EUR 73 milioni circa all’anno. Di conseguenza, la Commissione ha fissato l’ammontare dell’ammenda, che dipende dalla gravità dell’infrazione, a EUR 10 milioni per ognuna delle otto imprese destinatarie della decisione impugnata. Queste ultime sono tutte di grandi dimensioni, pertanto la Commissione ha ritenuto di non dover differenziare, a tale titolo, gli importi stabiliti (puntiᅠ162, 163 e 165 della decisione impugnata).

20
Ritenendo che si trattasse di un’infrazione di durata media, nel fissare l’importo di base dell’ammenda irrogata a ciascuna impresa in causa la Commissione ha applicato una maggiorazione del 10% della somma stabilita in funzione della gravità per ogni anno di partecipazione all’infrazione (punto 166 della decisione impugnata). Tuttavia, considerato che il settore dei tubi di acciaio ha versato in uno stato protratto di crisi e che tale situazione si è deteriorata a partire dal 1991, la Commissione ha ridotto i detti importi di base del 10% a motivo delle circostanze attenuanti (punti 168 e 169 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha applicato una riduzione dell’ammontare dell’ammenda alla Vallourec del 40% e alla Dalmine del 20%, ai sensi del punto D 2 della sua comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione dell'ammontare delle ammende nei casi d’intesa, 96/C 207/04 (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in quanto le dette imprese avevano collaborato con essa nella fase del procedimento amministrativo (punti 170‑173 della decisione impugnata).

21
L’importo dell’ammenda irrogata a ciascuna delle imprese in causa, calcolato secondo il metodo illustrato ai due punti precedenti, è indicato all’art. 4 della decisione impugnata (v. sotto, punto 33).

22
In secondo luogo, la Commissione ha reputato, all’art. 2 della decisione impugnata, che i contratti conclusi tra le produttrici comunitarie concernenti la vendita di tubi lisci sul mercato britannico integrassero un’infrazione (punto 116 della decisione impugnata). Tuttavia, essa non li ha sanzionati con un’ammenda supplementare, perché si trattava, in fondo, solo di un modo di attuare il principio della protezione dei mercati nazionali deciso nel contesto del club Europa-Giappone (punto 164 della decisione impugnata).

Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

23
Dal 1977 al 1994 il club Europa-Giappone si è riunito circa due volte l’anno (punto 60 della decisione impugnata). In particolare, la Commissione ha rilevato che, stando a quanto dichiarato dal sig. Verluca il 17 settembre 1996, sono state tenute riunioni in particolare il 14 aprile 1992 a Firenze, il 23 ottobre 1992 a Tokyo, il 19 maggio 1993 a Parigi, il 5 novembre 1993 a Tokyo e il 16 marzo 1994 a Cannes. La Commissione ha fatto valere, peraltro, che la nota della Vallourec dal titolo «Quelques informations à l’occasion du club Europe/Japon» (Osservazioni sul club Europa-Giappone), datata 4 novembre 1991 e citata a pag. 4350 del fascicolo della Commissione, e quella del 24 luglio 1990, citata a pag. 15586 del medesimo fascicolo, intitolata «Riunione del 24.07.90 con la British Steel» (in prosieguo: la nota «Riunione 24.07.90»), precisano che riunioni del club Europa-Giappone si sono svolte anche nel 1989 e nel 1991.

24
L’accordo concluso in seno al club Europa-Giappone si basava su tre pilastri: il primo era costituito dai «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali (menzionati supra al punto 16), i quali integravano l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata; il secondo consisteva nella fissazione dei prezzi per i bandi di gara e di prezzi minimi per gli «special markets» (i mercati speciali) e il terzo era dato dalla ripartizione degli altri mercati mondiali, eccetto quelli del Canada e degli Stati Uniti d’America, mediante apposite chiavi («sharing keys») (punto 61 della decisione impugnata). La Commissione basa la sua conclusione quanto all’esistenza dei «fundamentals» su una serie di indizi scritti enumerati ai punti 62‑67 della decisione impugnata, nonché sulla tabella di cui al punto 68 di quest’ultima. Dalla detta tabella risulterebbe che la quota del produttore nazionale nelle forniture di OCTG e di linepipe effettuate dalle destinatarie della decisione impugnata in Giappone e sul mercato interno di ciascuna delle quattro produttrici comunitarie era molto elevata. La Commissione ne deduce che, nel complesso, i mercati nazionali erano effettivamente protetti dalle parti dell’accordo. Relativamente agli altri due pilastri dell’accordo in esame, la Commissione illustra gli elementi probatori pertinenti ai punti 70‑77 della decisione impugnata.

25
Allorché la Corus ha manifestato, nel 1990, l’intenzione di cessare la produzione di tubi lisci, le produttrici comunitarie si sarebbero interrogate sui limiti temporali di applicazione del principio della protezione dei mercati nazionali, nell’ambito dei «fundamentals» sopra descritti, relativamente al mercato del Regno Unito. A tale proposito la Vallourec e la Corus avrebbero proposto i «fundamentals improved» (perfezionamento delle regole di base dell’accordo), finalizzati a mantenere in vigore le restrizioni all’accesso delle produttrici giapponesi al mercato britannico nonostante il ritiro della Corus. Nel luglio 1990, in occasione del rinnovo del contratto di licenza relativo alla tecnica di filettatura VAM, la Vallourec e la Corus si sarebbero così accordate per riservare il rifornimento di quest’ultima in tubi lisci senza saldatura alla Vallourec, alla Mannesmann e alla Dalmine (punto 78 della decisione impugnata).

26
Nell’aprile 1991 la Corus ha chiuso la sua fabbrica di Clydesdale (Regno Unito), dove veniva prodotto circa il 90% dei suoi tubi lisci. Essa ha quindi concluso contratti di fornitura di detti tubi, quinquennali, ma rinnovabili tacitamente salvo preavviso di dodici mesi, con la Vallourec (il 24 luglio 1991), con la Dalmine (il 4 dicembre 1991) e con la Mannesmann (il 9 agosto 1993) (in prosieguo: i «contratti di fornitura»). Ai sensi di questi tre contratti, citati alle pagg. 12867, 12910 e 12948 del fascicolo della Commissione, le imprese beneficiarie fornivano alla Corus, rispettivamente, il 40%, il 30% e il 30% del suo fabbisogno (punti 79‑82 della decisione impugnata), con esclusione dei tubi di piccolo diametro.

27
Nel 1993, tre fattori avrebbero indotto a rivedere i principi di funzionamento del club Europa-Giappone. Innanzi tutto, la ristrutturazione dell’industria siderurgica europea, visto che, nel Regno Unito, la Corus intendeva appunto dismettere la produzione di tubi filettati senza saldatura e che, in Belgio, la società New Tubemeuse (in prosieguo: la «NTM»), dedita prevalentemente all’esportazione verso il Medio e l’Estremo Oriente, era stata liquidata il 31 dicembre 1993. Poi, l’accesso al mercato comunitario dei produttori dell’America latina, che minacciava di rimettere in causa le ripartizioni dei mercati convenute nell’ambito del club Europa-Giappone. Infine, l’importanza crescente dei tubi saldati sul mercato mondiale dei tubi utilizzati per l’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas, malgrado il permanere di forti disparità fra regioni (punti 83 e 84 della decisione impugnata).

28
Sarebbe in tale contesto che i membri del club Europa-Giappone si sono incontrati a Tokyo, il 5 novembre 1993, per negoziare un nuovo accordo di ripartizione dei mercati con i produttori dell’America latina. Il contenuto dell’accordo stipulato nell’occasione si rispecchierebbe in un documento, consegnato alla Commissione il 12 novembre 1997 da un informatore estraneo al procedimento e citato a pag. 7320 del fascicolo della Commissione, il quale conterrebbe in particolare una «Sharing key» (documento relativo alla chiave di ripartizione). A detta dell’informatore, la fonte del documento sarebbe un agente commerciale di una delle partecipanti alla summenzionata riunione. Per quanto riguarda segnatamente le conseguenze della ristrutturazione dell’industria europea, la chiusura della NTM avrebbe permesso alle produttrici comunitarie di ottenere concessioni dalle produttrici giapponesi e latino-americane, le principali beneficiate dal ritiro della NTM dai mercati d’esportazione (punti 85-89 della decisione impugnata).

29
Da parte sua, la Corus ha deciso di cessare le sue ultime attività di produzione di tubi senza saldatura. Il 22 febbraio 1994 la Vallourec ha acquisito il controllo degli impianti specializzati nella filettatura e nella produzione dei tubi della Corus e costituito, a tal fine, la società Tubular Industries Scotland Ltd (in prosieguo: la «TISL»). Il 31 marzo 1994 la TISL ha rilevato i contratti di fornitura di tubi lisci che la Corus aveva stipulato con la Dalmine e la Mannesmann. Il 24 aprile 1997 il contratto così concluso con la Mannesmann era ancora in vigore. Il 30 marzo 1999 la Dalmine ha risolto il contratto di fornitura con la TISL (punti 90‑92 della decisione impugnata).

30
La Commissione ha ritenuto che, con i detti contratti, le produttrici comunitarie si fossero assegnate le quote di fornitura di tubi lisci al mercato britannico, che rappresenta più della metà del consumo comunitario di tubi OCTG. Essa ne ha dunque inferito che si trattasse di un’intesa vietata in forza dell’art. 81, n. 1, CE (v. supra, punto 22).

Dispositivo della decisione impugnata 

31
Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione impugnata le otto imprese destinatarie della stessa «(…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, partecipando (...) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei rispettivi mercati nazionali dei tubi OCTG (…) standard e linepipe project senza saldatura».

32
Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della decisione impugnata l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per le società Mannesmann, Vallourec, Dalmine, Sumitomo, Nippon, Kawasaki e NKK Corp. Per la Corus l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994.

33
Le altre disposizioni pertinenti della decisione impugnata sono formulate come segue:

«Articolo 2

1.
[Mannesmann], Vallourec (…), [Corus] e Dalmine (…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato CE, concludendo, nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1, contratti risultanti in una ripartizione delle forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] [Vallourec (...) a partire dal 1994].

2.
Per [Corus] l’infrazione è durata dal 24 luglio 1991 a febbraio 1994. Per Vallourec (…) è durata dal 24 luglio 1991 al 30 marzo 1999. Per Dalmine (…) è durata dal 4 dicembre 1991 al 30 marzo 1999. Per [Mannesmann] è durata dal 9 agosto 1993 al 24 aprile 1997.

(…)

Articolo 4

A motivo dell’infrazione constatata all’articolo 1, alle imprese ivi elencate sono irrogate le seguenti ammende:

(1)    [Mannesmann] 13 500 000 euro

(2)    Vallourec (…) 8 100 000 euro

(3)    [Corus] 12 600 000 euro

(4)    Dalmine (…) 10 800 000 euro

(5)    Sumitomo (…) 13 500 000 euro

(6)    Nippon (…) 13 500 000 euro

(7)    Kawasaki Steel Corp. (…) 13 500 000 euro

(8)    NKK Corp. (…) 13 500 000 euro

(...)».

Procedimento dinanzi al Tribunale

34
Con sette istanze, depositate nella cancelleria del Tribunale tra il 28 febbraio e il 3 aprile 2000, le società Mannesmann, Corus, Dalmine, NKK Corp., Nippon, Kawasaki e Sumitomo hanno presentato un ricorso contro la decisione impugnata.

35
Con ordinanza 18 giugno 2002 è stato deciso, sentite le parti, di riunire le sette cause ai fini del procedimento orale, in conformità dell’art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale. In seguito a tali riunioni, tutte le ricorrenti delle sette cause hanno potuto consultare il complesso dei fascicoli relativi al presente procedimento presso la cancelleria del Tribunale. Sono state altresì adottate misure di organizzazione del procedimento.

36
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti scritti formulati dal Tribunale alle udienze del 19, 20 e 21 marzo 2003.


Conclusioni delle parti

37
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare l’art. 2 della decisione impugnata;

annullare l’art. 1 della decisione impugnata;

annullare l’ammenda inflittale per l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata;

in subordine, ridurre l'importo di tale ammenda;

condannare la Commissione al rimborso dell'importo dell’ammenda o, in subordine, dell’importo a concorrenza del quale è stata ridotta, oltre agli interessi sull’intero importo ovvero, eventualmente, sull’importo ridotto a decorrere dalla data del pagamento da parte di essa ricorrente sino alla data del rimborso da parte della Commissione;

condannare la Commissione alle spese sostenute dalla ricorrente nel presente procedimento;

disporre ogni misura necessaria all’esecuzione della sentenza.

38
La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


Sulla domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata

Sul motivo relativo all’inesistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

Argomenti delle parti

39
La Corus contesta l’affermazione che i contratti di fornitura di tubi lisci da essa stipulati con la Vallourec, la Mannesmann e la Dalmine abbiano costituito un’infrazione. Infatti, essa li avrebbe conclusi per motivi commerciali legittimi e li avrebbe negoziati in modo separato e indipendente. La Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare l’esistenza di una collusione a suo carico.

40
La ricorrente sostiene di avere mantenuto la proprietà dell’impresa Imperial, che realizzava la finitura degli OCTG lisci filettati, fino al marzo 1994, nell’intenzione di venderla quale impresa autonoma. Dopo la chiusura del suo impianto di Clydesdale nell’aprile 1991, essa non avrebbe più posseduto alcuna fonte di approvvigionamento interno di tubi lisci, necessari per il mantenimento in attività di Imperial. Per preservare il valore di tale impresa e renderla il più attraente possibile per gli eventuali acquirenti, sarebbe stato quindi importante, per la Corus, concludere accordi con imprese terze, in modo tale da garantire consegne affidabili di tubi lisci di alta qualità, per rispondere, a lungo termine, alla domanda di OCTG filettati, proveniente dalle imprese petrolifere che operavano sulla piattaforma continentale britannica. La qualità sarebbe stata un elemento essenziale, a causa dei rischi connessi all’utilizzo del prodotto finito, tenuto conto segnatamente delle condizioni climatiche e geologiche sulla piattaforma continentale britannica del Mare del Nord.

41
A sostegno di tale argomento, la Corus fornisce un contratto concluso da lei stessa con la società petrolifera Conoco nel 1992, nonché il libretto di specificazioni allegato a quest’ultimo. Da ciò risulterebbe che la Corus era obbligata a rispettare le specificazioni precisate dalla Conoco, in particolare quelle riguardanti la qualità dei tubi lisci utilizzati nella produzione dei propri OCTG filettati. Il processo di controllo dei prodotti avrebbe previsto, inoltre, un’ispezione indipendente delle acciaierie che producevano i tubi lisci per la Corus.

42
La Corus rileva, inoltre, che i tre contratti da essa conclusi con le società Vallourec, Dalmine e Mannesmann, ognuno per una durata iniziale di cinque anni con rinnovo tacito, i quali si pretendono costitutivi dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata, non possono costituire un accordo unico, dato che sono stati firmati in date diverse, vale a dire, rispettivamente, il 24 luglio 1991, il 4 dicembre 1991 ed il 9 agosto 1993.

43
Secondo la Corus, era logico, per la stessa, ripartire la propria domanda di tubi lisci fra tre fornitrici diverse. Un numero maggiore sarebbe stato in contraddizione con le preferenze dei suoi clienti. Questi ultimi tenderebbero, in genere, a limitare il numero delle fornitrici partecipanti alla produzione dei tubi da essi ordinati, in quanto i controlli di qualità che essi effettuano sono molto onerosi, tenuto conto dell’importanza essenziale della sicurezza dei prodotti nel loro settore di attività. Per contro, la Corus avrebbe avuto bisogno di assumere più fornitrici, per proteggersi dalle conseguenze finanziarie negative di eventuali scioperi o di incidenti di laminatoio, e per tener conto del fatto che la domanda di OCTG è molto instabile.

44
Per di più, gli OCTG sarebbero, in linea di principio, prodotti fabbricati su misura nell’ambito di contratti di fornitura a lungo termine. Nel caso di specie, la durata di 5 anni, con rinnovo tacito, dei contratti di fornitura non avrebbe, pertanto, nulla di anomalo. Infatti, ogni ordinativo di tubi specificherebbe in modo preciso la qualità e le dimensioni di questi ultimi, in modo tale che le vendite a partire dalle giacenze sarebbero praticamente escluse. Inoltre, la Corus sostiene che gli operatori del settore petrolifero tengono al fatto che i tubi ordinati siano disponibili nei tempi stretti corrispondenti alle loro esigenze, tenuto conto, in particolare, della rilevanza dei costi di sfruttamento di una piattaforma di trivellazione.

45
Alla luce delle esigenze di qualità rilevate sopra, l’osservazione fatta dalla Commissione al punto 152 della decisione impugnata, riguardo all’eccesso di capacità strutturale esistente nel settore dei tubi d’acciaio all’epoca della conclusione dei contratti di fornitura e, in particolare, alla possibilità di importarli da Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia e Croazia, sarebbe irrilevante, dal momento che i tubi provenienti da questi paesi non erano di qualità soddisfacente e che, per di più, tali Stati erano, all’epoca, politicamente instabili. Per quanto riguarda le altre fonti potenziali di rifornimento, l’America latina avrebbe presentato lo stesso problema di qualità dei paesi dell’Europa dell’Est, mentre l’America settentrionale sarebbe stata esclusa, poiché le produttrici di tale regione non avevano manifestato alcuna intenzione di esportare i loro prodotti. Per quanto riguarda i prodotti giapponesi i costi di trasporto ed i tempi di consegna si sarebbero opposti alla loro importazione, tenuto conto, segnatamente, del fatto che i prezzi degli OCTG erano relativamente bassi in Europa. La scelta di tre fornitrici comunitarie, pertanto, sarebbe stata logica per la Corus dal punto di vista commerciale.

46
La Corus respinge l’argomento della Commissione che figura al punto 152 della decisione impugnata, secondo il quale, dal fatto che i contratti di fornitura fissavano un termine di consegna da cinque a sei settimane e non prevedevano, per mancata consegna, altra sanzione se non quella di includere il quantitativo non fornito nel calcolo del tonnellaggio annuo cui il fornitore aveva diritto, si evincerebbe che i termini di consegna non avevano grande importanza per la Corus.

47
Secondo la Corus, dall’instabilità della domanda di OCTG sulla piattaforma continentale del Regno Unito risulta che la definizione dei quantitativi di tubi lisci da consegnare da parte delle tre fornitrici in termini di percentuale, anziché di quantitativi fissi, era l’unico modo pratico di soddisfare tutto il suo fabbisogno. Infatti, tale sistema sarebbe stato l’unico che permettesse di tener conto dell’abbondanza o della scarsità esistente sul mercato a cui i tubi lisci erano destinati.

48
D’altra parte, l’adozione di una formula che colleghi i prezzi pagati dalla Corus per i tubi ai prezzi degli OCTG venduti dalla stessa consentirebbe di tener conto della fluttuazione rilevante dei prezzi, alimentata dalla detta instabilità della domanda. A tale proposito, sarebbe stato estremamente difficile, da un punto di vista commerciale, convenire con le fornitrici un prezzo fisso, il quale fosse sufficientemente basso affinché la Corus potesse essere certa che le proprie vendite successive di OCTG a valle non sarebbero scese mai al di sotto della soglia di redditività. Secondo la Corus, le informazioni relative ai quantitativi di tubi da essa venduti ed ai prezzi pagati dai suoi clienti non venivano divulgate alle sue fornitrici, per quanto se ne tenesse conto nella detta formula. Solo il prezzo dei tubi lisci che risultava dalla formula sarebbe stato comunicato alle fornitrici, le quali avevano, d’altra parte, il diritto di far verificare l’applicazione corretta della detta formula da un organo di revisione indipendente.

49
A parere della Corus, l’argomento della Commissione, secondo il quale ognuno dei contratti di fornitura non ha alcun senso se considerato individualmente, poiché essi attribuiscono una percentuale del suo fabbisogno a ciascuna fornitrice, è irrilevante. Infatti, tale argomento non dimostrerebbe in alcun modo che i contratti di fornitura risultino da una qualsiasi concertazione tra le quattro produttrici europee sanzionate nella decisione impugnata. Per contro, la Corus avrebbe concluso ognuno di tali contratti alla luce della strategia globale di approvvigionamento che essa aveva stabilito in maniera autonoma.

50
La Corus sostiene che la spiegazione, da essa indicata, della logica commerciale sottostante ai contratti di fornitura in questione presenta un’ottica diversa del suo comportamento, in modo tale che spetta alla Commissione provare l’esistenza di una collusione tra le quattro imprese sanzionate, su una base diversa dai detti contratti (conclusioni dell’avvocato generale Darmon presentate per la sentenza della Corte 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeytiö e a./Commissione, detta «Pasta di legno II», Racc. pag. I‑1307, in particolare pag. I‑1445, punto 195). Essa rileva, a tale proposito, che un parallelismo di comportamenti può essere considerato come la prova di una concertazione soltanto qualora la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione plausibile (sentenza Pasta di legno II, cit., punto 71).

51
La Corus aggiunge che, in ogni caso, l’argomento avanzato dalla Commissione nel proprio controricorso, secondo il quale le clausole dei contratti di fornitura analizzate ai punti precedenti contengono restrizioni alla concorrenza, non dimostra l’esistenza dell’infrazione specifica di cui all’art. 2 della decisione impugnata. Infatti, anche supponendo che le dette clausole siano effettivamente anticoncorrenziali, tale circostanza non può provare, almeno non da sola, l’esistenza di una concertazione tra le quattro imprese, ai fini di escludere le produttrici giapponesi dal mercato britannico.

52
Inoltre, le prove documentali invocate dalla Commissione a sostegno della sua pretesa, e segnatamente ai punti 91 e 147 della decisione impugnata, non confermerebbero l’esistenza di un accordo tra la Corus ed altre produttrici europee di tubi. La Commissione stessa avrebbe esitato a basarsi pienamente sulle dette prove nel suo controricorso. Secondo la Corus, l’analisi degli elementi probatori effettuata dalla Commissione è incoerente in quanto segnatamente non spiega in che modo e per quali ragioni l’accordo bilaterale tra la Corus e la Vallourec, che si pretende dimostrato dalle note del 1990, sia stato trasformato in accordo multilaterale tra le quattro produttrici europee. Essa sostiene, a tale proposito, che la Commissione ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza di un comportamento concordato tra le quattro produttrici europee, il quale le abbia indotte a concludere i contratti di approvvigionamento di tubi lisci, affinché l’art. 2 della decisione impugnata sia escluso dall’annullamento.

53
D’altra parte, poiché l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è imputata alla Dalmine a partire dal dicembre 1991, la Corus sostiene che i documenti datati 1993 sono irrilevanti per quanto riguarda tale preteso passaggio dalle regole di base dell’accordo al perfezionamento delle regole di base. La Corus rileva, inoltre, che la Commissione aveva ritenuto, nella CdA, che le note del 1990 dimostrassero l’esistenza di un accordo tra le quattro produttrici europee, analisi abbandonata nella decisione impugnata.

54
La Corus esamina, quindi, alcune delle note analizzate ai punti 78-81 della decisione impugnata ed invocate in seguito, al punto 147, vale a dire la nota del 23 marzo 1990, citata a pag. 15622 del detto fascicolo, intitolata «Réflexions concernant le renouvellement du contrat VAM» (Riflessioni sul rinnovo del contratto VAM; in prosieguo: «Riflessioni sul contratto VAM»), quella del 2 maggio 1990, citata a pag. 15610 del fascicolo, intitolata «Réflexions stratégiques concernant les relations de VLR» (Riflessioni strategiche sulle relazioni della VLR; in prosieguo: le «Riflessioni strategiche»), e la nota «Riunione 24.07.90». A tale proposito, essa non commenta espressamente la nota di cui a pag. 15596 del fascicolo, senza data, intitolata «Entretien BSC» («Colloquio BSC»), citata al punto 62 della decisione impugnata, nonché al punto 56 della CdA. La Corus rileva che le note «Riflessioni sul contratto VAM» e «Riflessioni strategiche» sono state redatte da impiegati della Vallourec ed esprimono unicamente il punto di vista personale dei propri autori. Esse non provano assolutamente, pertanto, l’esistenza di un accordo tra la Vallourec e la Corus. La Commissione si sarebbe basata erroneamente sulla circostanza che tali due note propongono, tra altre opinioni, una soluzione che corrisponde al preteso accordo, indicato dalla stessa all’art. 2 della decisione impugnata. L’autore della nota «Riflessioni sul contratto VAM» avrebbe esplicitamente respinto tale soluzione, perché difficilmente realizzabile, e ne avrebbe raccomandata un’altra, tale da consentire alla Corus di scegliere liberamente le proprie fonti di approvvigionamento di tubi lisci.

55
Per quanto riguarda la nota «Riunione 24.07.90», la Corus sostiene che gli impiegati che hanno partecipato alla riunione in questione sono tutti andati in pensione nell’agosto 1997, in modo che essa può fornire unicamente una valutazione limitata del detto documento. A suo parere, da tale nota non risulta chiaramente quali, fra le osservazioni riportate, riflettano il tenore della riunione, e quali il punto di vista personale dell’autore del resoconto. Inoltre, sarebbe impossibile dedurre da tale documento che la Corus e la Vallourec si siano accordate su un modo di agire particolare. Infine, nei limiti in cui la nota è invocata dalla Commissione per stabilire l’esistenza di un accordo tra le quattro produttrici europee, la Corus rileva che non esistono prove di discussioni supplementari, alle quali la Dalmine e la Mannesmann avrebbero partecipato.

56
Per quanto riguarda il telefax inviato dalla Corus alla Vallourec, intitolato «BS cooperation agreement» (in prosieguo: «Accordo di cooperazione BS», a cui sono allegate una lettera 21 gennaio 1993 ed una nota confidenziale di 13 pagine), con data 22 gennaio 1993, citato a pag. 4626 del fascicolo della Commissione ed analizzato al punto 91 della decisione impugnata, la Corus sostiene che esso non dimostra l’esistenza di una qualsiasi collusione. Il detto telefax rientrerebbe nel contesto dei negoziati avviati dalla Corus con le società Vallourec, Dalmine e Mannesmann per esaminare la possibilità di un piano di razionalizzazione coordinato e non costituirebbe assolutamente la prova di una collusione illegale. Essa sottolinea, in particolare, che il telefax «Accordo di cooperazione BS» prevede la consultazione delle autorità di controllo nazionali prima di realizzare qualsiasi transazione.

57
D’altra parte, dal telefax «Accordo di cooperazione BS» risulterebbe che la Corus cercava di ridurre la propria presenza sui mercati dei tubi senza saldatura ad un livello marginale, cosicché tale documento non può provare l’esistenza di un comportamento illecito da parte sua, come sostenuto dalla Commissione. Infatti, la Corus non avrebbe più avuto alcun interesse commerciale ai contratti di fornitura in questione dopo la vendita, da parte sua, dell’impresa Imperial alla Vallourec, nel marzo 1994.

58
Riguardo al documento intitolato «Seamless Steel tube System in Europe and Market Evolution» (Sistema di tubi in acciaio senza saldatura in Europa ed evoluzione del mercato), citato a pag. 2051 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: il documento «Sistema di tubi in acciaio») e analizzato al punto 91 della decisione impugnata, la Corus sostiene che si tratta di un documento interno della Dalmine, il quale non dimostra la partecipazione della Corus a discussioni costitutive di una collusione illecita.

59
La Commissione sostiene anzitutto che il punto 71 della sentenza Pasta di legno II, citata supra, punto 50, sul quale si basa la Corus, è rilevante solo in circostanze nelle quali la Commissione si basa esclusivamente sulla dimostrazione di un parallelismo di comportamento per provare l’esistenza di una pratica concertata. Nel caso di specie, per contro, gli stessi termini dei contratti di fornitura rifletterebbero esplicitamente l’intenzione delle parti di assicurarsi che la Corus resti un produttore «nazionale» ai sensi dei «fundamentals». Inoltre, una serie di prove scritte rafforzerebbe questa tesi.

60
Peraltro, l’argomento secondo il quale i tre contratti di fornitura di tubi lisci sono stati negoziati in maniera separata e indipendente sarebbe contraddetto dalla circostanza che ogni contratto assegna una percentuale fissa dei tubi acquistati dalla Corus ad ogni fornitore.

61
Per di più, l’argomento della Corus secondo il quale la stessa poteva contrattare unicamente con produttrici comunitarie sarebbe poco plausibile. I suoi argomenti relativi all’importanza dei tempi di consegna sarebbero contraddetti dai termini dei suoi stessi contratti e quelli relativi all’importanza della qualità dei prodotti dal fatto che la stessa ha proposto di acquistare tubi lisci da produttrici di paesi terzi, come risulta dalla decisione impugnata (punto 78).

62
La Commissione aggiunge che la decisione impugnata menziona, al punto 152, eccessi di capacità strutturali, anche all’interno della Comunità, in modo tale che gli argomenti della Corus relativi alla qualità insufficiente dei tubi offerti dalle produttrici dell’Europa dell’Est sono irrilevanti.

63
In ogni caso, gli argomenti della Corus volti a provare che era logico trattare con le tre produttrici comunitarie sarebbero irrilevanti, dato che è il fatto stesso che la Corus e le dette produttrici abbiano accettato di trattare le attività di quest’ultima come un bene comune, da ripartire tra di loro per mezzo di contratti di fornitura restrittivi, a costituire la collusione illecita.

64
La Commissione sostiene che, anche se la Corus potesse dimostrare che l’attribuzione di una percentuale dei propri acquisti di tubi lisci ad ognuna delle tre fornitrici presentava per lei vantaggi commerciali, la clausola di ciascun contratto che la prevedeva resterebbe una restrizione della concorrenza, come essa ha rilevato al punto 153 della decisione impugnata.

65
Ad ogni modo, non sarebbe esatto che, solo ripartendo gli acquisti secondo percentuali, la Corus potesse coprire con certezza l’insieme del proprio fabbisogno variabile di tubi lisci. La Commissione sostiene che la conclusione di più contratti-quadro che fissassero prezzi unitari con alcune fornitrici avrebbe permesso di raggiungere lo stesso obiettivo commerciale.

66
Per quanto riguarda la clausola dei contratti di fornitura che fissa il prezzo dei tubi lisci in funzione del prezzo ottenuto dalla Corus alla rivendita dei tubi filettati, la Commissione sostiene che qualsiasi produttore che acquista un prodotto per rivenderlo dopo averlo finito si assume il rischio di un abbassamento dei prezzi sul mercato dei prodotti finiti. La Corus non spiegherebbe per quali ragioni fosse necessario, all’occorrenza, sopprimere tale rischio. Secondo la Commissione, la Corus non spiega neppure perché le fornitrici di tubi lisci dovessero accettare di condividere il detto rischio commerciale.

67
Con riferimento alla circostanza, esposta al punto 153 della decisione impugnata, che la formula per la fissazione del prezzo dei tubi lisci implicava uno scambio di informazioni commerciali che, secondo la giurisprudenza, sarebbero dovute rimanere confidenziali (sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 403, e British Steel/Commissione, causa T‑151/94, Racc. pag. II‑629), l'argomento avanzato dalla Corus per difendere l'uso di tale formula non sarebbe convincente. Per quanto riguarda il quantitativo di tubi filettati venduto dalla Corus, la Commissione fa notare che le fornitrici potevano calcolare molto facilmente le vendite totali di tali prodotti da parte della Corus, dato che ognuna di esse forniva una percentuale fissa del fabbisogno della stessa.

68
Per quanto riguarda gli elementi di prova del 1990 e del 1993, citati ai punti 78‑81 della decisione impugnata, la Commissione sostiene innanzi tutto che essi sono ivi invocati non per dimostrare l’esistenza di un accordo formalizzato, bensì per rivelare le intenzioni sottostanti ai contratti di fornitura sui quali la Commissione si basa direttamente per provare l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata.

69
Per quanto riguarda gli argomenti della Corus, secondo i quali la decisione impugnata non espone in maniera chiara come l’accordo tra la Corus e la Vallourec si sia poi trasformato in un accordo quadrilaterale, la Commissione rileva innanzi tutto che tale secondo accordo è stato elaborato nell’ambito dell’accordo più ampio sul rispetto dei «fundamentals», sanzionato all’art. 1 di detta decisione impugnata, al quale tutte e quattro le produttrici europee aderivano dal 1990. Nel 1990, la Corus e la Vallourec avrebbero, pertanto, concluso l’accordo descritto all’art. 2 della decisione impugnata e previsto, fin dall’inizio, di far partecipare la Dalmine e la Mannesmann a quest’ultimo. La Commissione espone che la Dalmine e la Mannesmann hanno dovuto aderire a tale secondo accordo prima di firmare i contratti di fornitura, ma che, per mancanza di prove della data precisa di tale adesione, essa ha constatato tale infrazione nei loro confronti solo a partire dalla data della firma dei detti contratti. Sarebbe pertanto chiaro, ad ogni modo, che la Corus e almeno la Vallourec sono state parti dell'accordo a partire dal 1990. Inoltre, le quattro parti si sarebbero riunite nel 1993 e, a partire da quella data, avrebbero aderito tutte all'accordo.

70
Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale le pretese restrizioni della concorrenza, contenute nelle clausole dei contratti di fornitura, non sono quelle che costituiscono l’infrazione di cui all’art. 2 delle decisione impugnata, la Commissione rileva che tali restrizioni rappresentano unicamente la parte scritta dell’accordo, mentre l’altra parte non è riportata in alcun documento.

Giudizio del Tribunale

71
Si deve anzitutto respingere l’argomento della Corus secondo cui essa avrebbe chiarito la logica commerciale sottesa ai contratti di fornitura di cui all’art. 2 della decisione impugnata, che pone sotto una luce diversa i fatti rilevati dalla Commissione e che consente pertanto di dare un’altra spiegazione plausibile dei fatti rispetto a quella fornita dalla Commissione per determinare l’esistenza di una violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza (v., in tal senso, sentenze della Corte 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, CRAM e Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 16; sentenza Pasta di legno II, citata supra al punto 50, punti 126 e 127; sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschaapij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punto 725). Così l’affermazione secondo cui spetterebbe alla Commissione, nel caso di specie, provare l’esistenza di un’intesa tra le imprese indicate all’art. 2 della decisione impugnata, senza fare riferimento ai contratti di fornitura, non è pertinente.

72
Infatti si deve constatare che la giurisprudenza sulla quale si basa la Corus a tale proposito si ricollega alla situazione nella quale la Commissione fa unicamente riferimento al comportamento delle imprese per concludere che esiste un’infrazione (v., in tal senso, sentenza PVC II, citata supra al punto 71, punti 727 e 728). In particolare, la regola probatoria indicata al punto 71 della sentenza Pasta di legno II, citata supra al punto 50, è pertinente unicamente in quei casi in cui la Commissione si basa sulla sola esistenza di un parallelismo di comportamenti per dimostrare l’esistenza di una pratica concordata. Ciò non si verifica nel caso di specie, dato che l’infrazione di cui trattasi si basa sui termini dei contratti di fornitura stessi, i quali costituirebbero un’infrazione alle norme comunitarie in materia di concorrenza (v. punto 110 e segg. della decisione impugnata) e che la Commissione invoca, peraltro, una serie di prove scritte complementari a sostegno della propria tesi (v. punto 78 e segg. della decisione impugnata).

73
Così, anche a voler supporre che la Corus sia riuscita a dimostrare che la conclusione dei tre contratti di fornitura con la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann fosse oggettivamente conforme al suo interesse commerciale, tale circostanza non infirmerebbe in alcun modo la tesi della Commissione secondo cui tali accordi erano illeciti. Infatti, le pratiche anticoncorrenziali sono molto spesso nell’interesse commerciale delle singole imprese, almeno a breve termine.

74
L’oggetto e l’effetto dei contratti di fornitura sono descritti dalla Commissione al punto 111 della decisione impugnata nei seguenti termini:

«L’oggetto di tali contratti era l’approvvigionamento in tubi lisci del “leader” del mercato degli OCTG nel Mare del Nord e lo scopo era quello di mantenere nel Regno Unito un produttore nazionale per ottenere il rispetto dei “fundamentals” nell’ambito del Club Europa-Giappone. Il loro effetto ed oggetto principale è stata la ripartizione fra [Mannesmann], Vallourec e Dalmine di tutto il fabbisogno del concorrente [Corus] (Vallourec a partire dal 1994). I contratti facevano dipendere i prezzi d’acquisto dei tubi lisci dai prezzi dei tubi filettati da [Corus]; inoltre limitavano la libertà d’approvvigionamento di [Corus] (Vallourec dal febbraio 1994) obbligando quest’ultima a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati e i quantitativi venduti. [Mannesmann], Vallourec (fino al febbraio 1994) e Dalmine si impegnavano a consegnare ad un concorrente ([Corus], poi Vallourec dal marzo 1994) quantitativi non conosciuti in anticipo».

75
I termini dei contratti di fornitura prodotti dinanzi al Tribunale confermano, in sostanza, i dati di fatto indicati nel punto 111 della decisione impugnata, nonché nei punti 78‑82 e 153. Essi prevedono, in particolare, la ripartizione del fabbisogno della Corus di tubi lisci tra i tre altri produttori europei (40% per la Vallourec, 30% per la Dalmine e 30% per la Mannesmann) e stabiliscono il prezzo pagato dalla Corus per i tubi lisci mediante una formula matematica che prende in considerazione il prezzo che la stessa otteneva per i suoi tubi filettati.

76
Alla luce di tali constatazioni è sufficiente rilevare che l’oggetto e l’effetto dei contratti di fornitura consistevano nel sostituire ai rischi della concorrenza una ripartizione negoziata del beneficio da trarre dalle vendite di tubi filettati realizzabili sul mercato britannico, almeno tra i quattro produttori europei (v., per analogia, per quanto riguarda le pratiche concertate, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, detta «Cemento», Racc. p. II‑491, punto 3150).

77
Per ciascun contratto di fornitura la Corus ha vincolato i propri concorrenti in modo da far sparire ogni concorrenza effettiva da parte loro sul mercato domestico, nonché ogni prospettiva di concorrenza di tal tipo.

78
Infatti la Corus ha rafforzato la sua posizione sul mercato domestico sacrificando la propria libertà di approvvigionamento, dato che tre dei suoi potenziali concorrenti sul mercato britannico dei tubi filettati si sono legati ad essa in modo tale da dover subire una riduzione delle loro vendite di tubi lisci qualora fossero diminuite le vendite di tubi filettati realizzate dalla Corus. Per di più, il margine di profitto sulle vendite di tubi lisci che i tre fornitori si sono impegnati ad effettuare si riduceva anche nell’ipotesi di una diminuzione del prezzo ottenuto dalla Corus per i suoi tubi filettati. Pertanto era praticamente inconcepibile che i tre suddetti produttori cercassero di competere effettivamente con la Corus sul mercato britannico dei tubi filettati, in particolare per quanto riguardava i prezzi (v. punto 153 della decisione impugnata).

79
All’inverso, accettando di concludere tali contratti, ciascun concorrente comunitario della Corus si è assicurato una partecipazione indiretta sul mercato domestico di quest’ultima nonché una parte dei benefici che ne derivavano. Per fruire di tali vantaggi essi hanno rinunciato, di fatto, alla possibilità di vendere tubi filettati sul mercato britannico e, soprattutto a partire dalla firma del terzo contratto, il 9 agosto 1993, che accordava il restante 30% alla Mannesmann, alla possibilità di fornire una percentuale maggiore di tubi lisci alla Corus rispetto a quella assegnata a ciascuno di essi in precedenza. Inoltre, essi hanno accettato l’obbligo oneroso, e pertanto commercialmente anomalo, di fornire alla loro concorrente, la Corus, quantitativi di tubi prefissati solo in funzione delle vendite di tubi filettati realizzate da quest’ultima.

80
È giocoforza constatare che se i contratti di fornitura non fossero esistiti i tre produttori europei, ad esclusione della Corus, avrebbero avuto normalmente, a prescindere dai «fundamentals», un interesse commerciale reale o almeno potenziale a concorrere con quest’ultima sul mercato britannico dei tubi filettati, nonché a concorrere fra di loro per approvvigionare la Corus di tubi lisci.

81
Si deve rilevare, inoltre, che ciascun contratto di fornitura è stato concluso per una durata iniziale di cinque anni, periodo relativamente lungo che conferma e rafforza il carattere anticoncorrenziale di tali contratti.

82
Peraltro, come rilevato dalla Commissione, la formula per la fissazione del prezzo dei tubi lisci, prevista in ciascuno dei tre contratti di fornitura, implicava uno scambio illecito d’informazioni commerciali (v. punto 153 della decisione impugnata; v., anche, punto 111 della stessa) che devono restare confidenziali a pena di compromettere l’autonomia della politica commerciale delle imprese concorrenti (v., in tal senso, sentenze Thyssen Stahl/Commissione, citata supra al punto 67, punto 403, e British Steel/Commissione, citata supra al punto 67, punti 383 e segg.).

83
L’argomento della Corus, secondo il quale le informazioni relative ai quantitativi di tubi che essa vendeva e ai prezzi pagati dai suoi clienti non venivano divulgate ai suoi fornitori, non può giustificarla nelle circostanze della fattispecie.

84
Per quanto riguarda i quantitativi di tubi filettati venduti dalla Corus si deve constatare che i fornitori potevano facilmente calcolarli, dato che ciascuno di essi forniva, in linea di principio, una percentuale fissa del fabbisogno della Corus.

85
Per quanto riguarda i prezzi, è esatto che la Corus non comunicava quelli che otteneva per i suoi tubi filettati ai contraenti in quanto tali. Di conseguenza, l’affermazione contenuta al punto 111 della decisione impugnata, secondo la quale i contratti di fornitura «obbliga[vano la Corus] a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati», esagera la portata dei vincoli contrattuali a tale proposito. Tuttavia, la Commissione ha rilevato, giustamente, al punto 153 della decisione impugnata e dinanzi al Tribunale, che i prezzi dei tubi filettati erano in rapporto matematico con i prezzi pagati per i tubi lisci, di modo che i tre fornitori interessati ricevevano indicazioni precise sul senso, il momento e l’ampiezza di ogni fluttuazione dei prezzi dei tubi filettati venduti dalla Corus.

86
Si deve constatare non soltanto che la comunicazione di tali informazioni ai concorrenti viola l’art. 81, n. 1, CE, bensì che, in aggiunta, la natura di tale violazione è in sostanza la stessa, sia che si tratti dei prezzi dei tubi filettati stessi, sia che si tratti unicamente delle informazioni relative alla loro fluttuazione, oggetto di tale comunicazione. Alla luce di ciò si deve considerare che l’imprecisione rilevata al punto precedente è insignificante nel più vasto contesto dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e che, di conseguenza, essa non ha alcuna incidenza sulla determinazione dell’esistenza di quest’ultima.

87
Per quanto riguarda l’argomento più generale della Corus, secondo cui le restrizioni della concorrenza rilevate ai punti precedenti non costituiscono l’infrazione specifica indicata dalla Commissione all’art. 2 della decisione impugnata, si deve rammentare che tali restrizioni sono chiaramente esposte nei punti della decisione impugnata che descrivono tale infrazione, in particolare al punto 111, citato per esteso supra al punto 74. Se l’art. 2, n. 1, della decisione impugnata indica che i contratti di fornitura sono stati conclusi «nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1», ne emerge chiaramente che il fatto di aver concluso tali contratti anticoncorrenziali costituisce di per sé l’infrazione constatata all’art. 2.

88
Comunque la fondatezza di tale analisi è confermata dal fatto che, all’art. 2, n. 2, della decisione impugnata, la Commissione collega la durata dell’infrazione per ciascun produttore europeo al periodo di mantenimento in vigore del contratto o dei contratti di cui esso era rispettivamente parte.

89
Inoltre tali constatazioni sono sufficienti ad escludere parimenti l’argomento della Corus secondo il quale la Commissione non ha dimostrato che i produttori europei siano giunti ad un accordo a quattro nel modo esposto nella decisione impugnata. A prescindere dal reale livello di concertazione che sia esistito tra i quattro produttori europei, è giocoforza constatare che ciascuno di essi ha sottoscritto uno dei contratti di fornitura, ad eccezione della Corus che ne ha firmati tre, limitando la concorrenza e rientrando nell’ambito dell’infrazione di cui all’art. 81, n. 1, CE, presa in considerazione all’art. 2 della decisione impugnata.

90
Alla luce di ciò la Commissione si è basata ad abundantiam su una serie di indizi esterni ai contratti di fornitura per dimostrare l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata. Non è dunque necessario esaminare nel caso di specie tutti gli argomenti addotti dalla ricorrente a tale proposito nella trattazione del presente motivo.

91
Tuttavia, nell’ambito del presente motivo e nei limiti in cui il grado di concertazione tra i quattro produttori comunitari per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è pertinente per l’esame di determinati altri motivi, occorre esaminare alcuni dei documenti del fascicolo della Commissione nella presente causa per valutare l’argomento della Corus avente ad oggetto il fatto che i tre contratti di fornitura di cui trattasi sono stati conclusi in date diverse, di modo che la Commissione non poteva dedurne l’esistenza di un’infrazione unica che coinvolgesse i quattro produttori europei.

92
A tale proposito il documento «Riflessioni sul contratto VAM» del 23 marzo 1990 è particolarmente rilevante. Al titolo «Scénario II», il sig. Verluca vi prevede la possibilità di «ottenere che i giapponesi non intervengano sul mercato del Regno Unito e che il problema venga risolto tra europei». «In tal caso», prosegue, «si ripartirebbero effettivamente i tubi lisci tra la [Mannesmann], la [Vallourec] e la Dalmine». Al paragrafo seguente, egli rileva che «vi sarebbe probabilmente interesse a vincolare le vendite della [Vallourec] al tempo stesso al prezzo e al volume di VAM venduto dalla [Corus]». Atteso che quest’ultima proposta riflette con precisione i termini essenziali del contratto concluso tra la Vallourec e la Corus sedici mesi dopo, era chiaro che tale strategia era stata effettivamente presa in considerazione dalla Vallourec e che detto contratto era stato sottoscritto per attuarla.

93
Si deve parimenti respingere l’argomento della Corus relativo al fatto che il rafforzamento della parte dei «fundamentals» relativa al rispetto dei mercati nazionali europei da parte delle produttrici giapponesi non è quello dei tre scenari prospettati nelle due note «Riflessioni strategiche» e «Riflessioni sul contratto VAM che il sig. Verluca ha preso in considerazione in conclusione di queste. Infatti, dal tenore di tali due note si deduce chiaramente che il loro autore preferirebbe questa soluzione e che l’ha respinta malvolentieri, in quanto essa era irrealizzabile. In particolare, secondo la nota «Riflessioni strategiche» la «soluzione più vantaggiosa per la [Vallourec]» si basava sull’ipotesi in cui «gli europei otten[gano] dai giapponesi il rispetto del Regno Unito in Buttress e in Premium». Il sig. Verluca respinge questa soluzione nella detta nota per il solo motivo che egli «sfortunatamente non crede che questa soluzione (…) possa funzionare». Così, dato che tale soluzione è stata attuata a partire dal 1991, il rigetto provvisorio di tale stratagemma nelle sue note è molto meno significativo.

94
In aggiunta, il fatto che un contratto praticamente identico sia stato poi concluso tra la Corus, da un lato, e la Vallourec, la Dalmine e, infine, la Mannesmann, dall’altro, di modo che il fabbisogno della Corus relativo ai tubi lisci fosse effettivamente ripartito tra tali tre società a partire dal 1993, come previsto dal sig. Verluca, conferma che tali tre contratti dovevano essere stati conclusi al fine di perseguire una strategia europea comune. Come rilevato dalla Commissione, la Vallourec ha inizialmente concepito tale strategia e concluso in un primo momento un contratto di fornitura con la Corus. Successivamente, la Dalmine e la Mannesmann si sono uniti ad essa, il che è documentato dalla conclusione, da parte di ciascuna di tali due società, di un contratto di fornitura con la Corus.

95
Alla luce delle considerazioni che precedono si deve concludere che la Commissione ha considerato giustamente, nella decisione impugnata, che i contratti di fornitura costituivano l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e ne dimostravano quindi sufficientemente l’esistenza. Occorre rilevare parimenti, ad ogni buon conto, che gli elementi di prova complementari presi in considerazione dalla Commissione confermano la correttezza della sua tesi, secondo la quale tali contratti rientravano in una politica comune più ampia.

96
Pertanto il presente motivo dev’essere respinto.

Sul motivo avente ad oggetto la violazione dei diritti della difesa risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo all’esame delle prove addotte per stabilire l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

Argomenti delle parti

97
Secondo la Corus, l’analisi delle note del 1990, citate ai punti 78‑81 della decisione impugnata, effettuata nella CdA è diversa da quella contenuta nella decisione impugnata, in particolare in quanto la Commissione non sostiene più, al punto 147 di quest’ultima, che tali elementi probatori attestino l’esistenza di un accordo riguardante i tubi lisci tra i quattro produttori europei.

98
D’altra parte la Commissione avrebbe invocato i documenti del 1993, citati al punto 91 della decisione impugnata (il telefax inviato dalla Corus alla Vallourec intitolato «Accordo di cooperazione BS» e il documento «Sistema di tubi in acciaio»), per sostenere l’esistenza di un accordo illecito, costituito dai contratti di fornitura, per la prima volta nella decisione impugnata. Poiché la Corus non ha avuto l’occasione di fare osservazioni, nel corso del procedimento amministrativo, sull’analisi riportata nella decisione impugnata a tale proposito, i suoi diritti della difesa sarebbero stati violati.

99
La Commissione ribatte che la decisione finale non deve necessariamente essere identica in ogni punto alla comunicazione degli addebiti. Nella fattispecie la CdA e la decisione impugnata conterrebbero entrambe la conclusione secondo la quale la Corus ha partecipato all’accordo costitutivo dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata insieme ad almeno un’altra impresa a partire dal 1990, e con i suoi tre fornitori europei a partire dal 1993. Supponendo anche che esista una differenza tra la CdA e la decisione impugnata, essa non avrebbe incidenza sui diritti della difesa della Corus. Così, tale differenza giustificherebbe l’annullamento di una decisione finale solo nell’eventualità che, in mancanza di queste irregolarità, il procedimento amministrativo avesse potuto portare ad un risultato diverso (sentenza della Corte 10 luglio 1980, causa 30/78, Distillers/Commissione, Racc. pag. 2229, punto 26). Per stabilire l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa la Corus dovrebbe dunque dimostrare che la decisione impugnata sarebbe potuta essere diversa se essa avesse avuto l’occasione di contestare l’esistenza di un accordo al quale hanno partecipato tre altre imprese piuttosto che una sola. Poiché la Corus ha contestato l’esistenza di qualsivoglia accordo, la Commissione considera che tale approccio resta valido, qualunque sia il numero di imprese che abbiano partecipato con essa all’infrazione di cui trattasi, e che la Corus ha avuto modo di difendersi in modo adeguato.

Giudizio del Tribunale

100
Si deve anzitutto rilevare che i diritti della difesa sono violati dall’esistenza di una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione finale unicamente a condizione che un addebito indicato nell’una non sia stato esposto nell’altra in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi (v., in tal senso, sentenza Cemento, citata supra al punto 76, punti 852‑860).

101
Inoltre, la valutazione contenuta in una comunicazione degli addebiti è spesso più succinta rispetto a quella contenuta nella decisione finale adottata, dato che essa costituisce unicamente una presa di posizione provvisoria della Commissione. Le differenze di formulazione tra una comunicazione degli addebiti e una decisione finale, derivanti dalla diversità dei rispettivi scopi di tali due documenti, non sono tali, in linea di principio, da violare i diritti della difesa. Così, nel caso di specie, è assolutamente naturale che la CdA non contenga punti equivalenti al punto 147 della decisione impugnata, nel quale la Commissione trae esplicitamente conclusioni dagli elementi probatori esaminati ai punti 78‑81 e 91 di quest’ultima. Al contrario, un tale punto di conclusione si sarebbe eventualmente potuto considerare prematuro nella fase della CdA.

102
La Commissione ha rilevato, al punto 78 della decisione impugnata, che la «Vallourec e [la Corus] hanno (…) introdotto il concetto di “fundamentals improved”», mentre aveva considerato, al punto 63 della CdA, che erano «[g]li Europei» ad averlo fatto. Così, essa non sostiene più, nella decisione impugnata, che le note della Vallourec attestino l’esistenza già dal 1990 di un accordo tra l’insieme dei quattro produttori europei sui tubi lisci venduti nel mercato britannico.

103
Si deve constatare che, con tale cambiamento di valutazione, la Commissione si è limitata, nella decisione impugnata, a prendere in considerazione i fatti di cui riteneva avere adeguata prova, in particolare a seguito delle risposte alla CdA dei destinatari di quest’ultima. Dato che le note in esame riguardavano unicamente la Vallourec e la Corus, la Commissione ha deciso di formulare il punto 78 della decisione impugnata in modo più prudente, a tale proposito, rispetto al punto 63 della CdA.

104
In ogni caso è giocoforza constatare che tale diversità di formulazione, lungi dall’essere contraria agli interessi dei destinatari della CdA, riflette la natura più limitata del valore probatorio attribuito dalla Commissione, nella decisione impugnata, alle note della Vallourec come elementi a carico per dimostrare l’esistenza dell’infrazione indicata al suo art. 2, rispetto alla CdA. Pertanto, non può trattarsi di una violazione dei diritti della difesa in ragione di tale diversità.

105
Per quanto riguarda gli argomenti relativi al telefax della Corus alla Vallourec, intitolato «Accordo di cooperazione BS», e al documento «Sistema di tubi in acciaio», basti rilevare che il punto 118 della CdA è redatto esattamente negli stessi termini del punto 91 della decisione impugnata e fa dunque riferimento a tali due elementi probatori nello stesso modo e nello stesso contesto di quest’ultimo. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla Corus, sia la CdA, sia la decisione impugnata rilevano che il telefax «Accordo di cooperazione BS» fa riferimento ai contratti sanzionati all’art. 2 di quest’ultima: «[u]na delle proposte consisteva nel trasferire a Vallourec le attività OCTG, mantenendo in vigore i contratti di fornitura di tubi lisci tra [Corus] e Vallourec, [Mannesmann] e Dalmine nelle stesse proporzioni» (punto 118 della CdA e punto 91 della decisione impugnata).

106
Ne consegue che il presente motivo è infondato e che, pertanto, la domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata deve essere respinta.


Sulla domanda di annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata

Sul motivo relativo alle conseguenze, per la constatazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, dell’inesistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della stessa

Argomenti delle parti

107
Ad avviso della ricorrente, se l’art. 2 della decisione impugnata dovesse essere annullato, non esisterebbero prove sufficienti per dimostrare che essa ha partecipato, a partire dal 1991, all’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

108
Essa osserva innanzi tutto che l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata è descritta al punto 164 come costituente un modo di mettere in opera il principio di protezione dei mercati nazionali rientrante nel contesto del club Europa-Giappone. Se l’art. 2 della decisione impugnata fosse annullato, la prova della partecipazione della Corus all’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata si limiterebbe alla sua partecipazione alle riunioni del club menzionato.

109
Orbene, la Corus sostiene che la sua partecipazione a queste riunioni rientrava nella sua strategia di ritiro dal mercato dei tubi senza saldatura, decisa a partire dal 1987 e attuata con la chiusura della sua fabbrica di Clydesdale, che produceva tubi lisci, nell’aprile 1991. Il documento di cui a pag. 4902 del fascicolo della Commissione, intitolato «Paper for Presidents» (in prosieguo: la «Nota per i presidenti») e fatto valere dalla Commissione per dimostrare la partecipazione della Corus alle dette riunioni, proverebbe che l’eventuale ristrutturazione dell’industria siderurgica europea è stata esaminata durante queste riunioni. Nel contesto di tale ristrutturazione la Corus avrebbe cercato di negoziare la riduzione delle sue ultime attività sul mercato dei tubi lisci. Non vi sarebbe alcuna prova scritta che la partecipazione della Corus alle dette riunioni abbia dato luogo alla collusione illegale constatata dalla Commissione all’art. 1 della decisione impugnata.

110
La Commissione fa valere che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata si basa su prove diverse da quelle fatte valere per dimostrare l’infrazione constatata all’art. 2 della medesima. Essa rileva inoltre che la Corus non ha contestato tali prove, né l’esistenza dei «fundamentals» di ripartizione dei mercati.

Giudizio del Tribunale

111
Si deve anzitutto rilevare che, poiché la domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata è stata respinta per le ragioni suesposte, il presente motivo è, in linea di principio, inconferente.

112
Infatti, il presente motivo potrebbe essere fondato solo se la Commissione si fosse basata ingiustamente sull’esistenza dell’infrazione rilevata all’art. 2 della decisione impugnata per determinare la partecipazione della Corus a quella indicata al suo art. 1. Ciò si verificherebbe, in primo luogo, se l’esistenza dell’infrazione relativa ai tubi lisci contestata all’art. 2 della decisione impugnata non fosse stata sufficientemente dimostrata o ancora, in secondo luogo, se non si fosse determinato che tale infrazione consisteva in una concertazione illecita tra i quattro produttori europei nell’ambito dell’infrazione commessa all’interno del club Europa-Giappone con i produttori giapponesi in merito al mercato a valle dei tubi filettati e constatata all’art. 1.

113
Orbene, è stato deciso supra ai punti 71‑96 che l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è stata sufficientemente dimostrata. Inoltre è stato dichiarato supra ai punti 91‑96 che i contratti costitutivi di tale infrazione sono effettivamente stati sottoscritti nell’ambito di una concertazione, volta in particolare a rafforzare l’accordo illecito concluso nell’ambito del club Europa‑Giappone, tra i quattro produttori europei destinatari della decisione impugnata.

114
In ogni caso si deve osservare che, all’art. 1 della decisione impugnata, la Commissione non si è limitata a considerare che la Corus aveva partecipato all’infrazione in essa contestata unicamente in ragione del suo comportamento anticoncorrenziale sul mercato a monte dei tubi lisci, che costituisce l’infrazione di cui al suo art. 2, bensì ha rilevato che tale impresa aveva direttamente partecipato, inoltre, all’accordo di ripartizione dei mercati dei tubi filettati con gli altri produttori europei e con i produttori giapponesi.

115
Anche se l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata conferma la valutazione effettuata dalla Commissione sull’infrazione di cui al suo art. 1, quest’ultima e la partecipazione della Corus alla stessa si basano essenzialmente su prove diverse rispetto a quelle prese in considerazione per stabilire l’esistenza dell’infrazione di cui al suo art. 2 e, segnatamente, sulla testimonianza del sig. Verluca (v., in particolare, punti 62‑67 della decisione impugnata). Orbene, la Corus non ha contestato la pertinenza di tali prove per stabilire l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Così, anche ammettendo che occorresse annullare l’art. 2 della decisione impugnata, nonostante quanto esposto in precedenza, tale annullamento non potrebbe comportare l’annullamento del suo art. 1.

116
Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente basato sulle ragioni per cui essa ha partecipato alle riunioni del club Europa-Giappone, emerge da una ben consolidata giurisprudenza che, qualora un’impresa partecipi, anche senza prendervi parte attivamente, a riunioni tra imprese aventi uno scopo anticoncorrenziale e non si distanzi pubblicamente da queste ultime, lasciando intendere alle altre partecipanti di prendere parte all’intesa risultante da dette riunioni e di conformarvisi, si può ritenere che essa partecipi all’intesa risultante da dette riunioni (v., in particolare, sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 232).

117
Nel caso di specie la Corus non ha negato la sua partecipazione alle riunioni del club Europa-Giappone e, come è già stato rilevato in precedenza, non avanza argomenti per rimettere in discussione la veridicità e la forza probatoria degli elementi di prova invocati dalla Commissione nella decisione impugnata in relazione all’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 di quest’ultima.

118
Emerge da quanto esposto che il presente motivo dev’essere respinto.

Sul motivo riguardante l’errore di valutazione relativo alla durata dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

Argomenti delle parti

119
La Corus ha parimenti sollevato un motivo relativo al preteso errore contenuto nella decisione impugnata in merito alla durata dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata. Tale motivo dovrebbe condurre all’annullamento parziale di detto art. 1, nonché alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla Corus.

120
La Corus osserva che la Commissione dichiara di aver constatato l’esistenza dell’infrazione descritta all’art. 1 della decisione impugnata a partire dal 1990 a causa dell’esistenza di accordi di autolimitazione in vigore prima di tale data (punto 108 della decisione impugnata). Secondo la Corus, i detti accordi sono stati prorogati fino all’inizio del 1991 per cui, secondo il ragionamento della Commissione, non vi è potuta essere infrazione prima del 1991. La Corus aggiunge che un altro destinatario della decisione impugnata produrrà la prova di questa proroga. Poiché nel suo ricorso la Corus ha chiesto al Tribunale di ordinare, se necessario, un procedimento di istruttoria preliminare, nella replica essa chiede al Tribunale di ordinare alla Commissione o a qualsiasi parte terza di produrre qualsiasi documento rilevante ai fini della presente causa e, in particolare, qualsiasi documento contenente la prova di una proroga degli accordi di autolimitazione.

121
La Commissione constata che la Corus non ha prodotto alcuna prova a sostegno del suo argomento secondo cui gli accordi di autolimitazione con il governo giapponese sono terminati solo nel 1991. Poiché il fatto di esprimere la speranza che un’altra parte produrrà tale prova non può essere considerato una prova effettiva, la Commissione non ritiene di dover rispondere a questo argomento. In ogni caso, il fatto di non infliggere un’ammenda durante il periodo di validità dell’accordo di autolimitazione avrebbe già costituito una concessione alla luce del parere della Commissione sulle importazioni di prodotti giapponesi nella Comunità (GU 1972, C 111, pag. 13).

Giudizio del Tribunale

122
Si deve rilevare innanzi tutto che la Commissione ha constatato, al punto 108 della decisione impugnata, che essa avrebbe potuto accertare l’esistenza dell’infrazione già nel 1977, ma che ha preferito non farlo in quanto esistevano accordi di autolimitazione. Così, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha accertato l’esistenza dell’infrazione solamente a partire dal 1990. È giocoforza constatare che ciò costituisce una concessione della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata.

123
È importante notare che nessuna delle parti ha sostenuto dinanzi al Tribunale che tale concessione andasse rimessa in discussione nella presente controversia. Di conseguenza, l’esame del Tribunale nell’ambito del presente procedimento non deve vertere sulla legittimità o sull’opportunità della detta concessione, bensì soltanto sulla questione se la Commissione, avendola fatta espressamente nella motivazione della decisione impugnata, l’abbia applicata correttamente nella fattispecie. Si deve ricordare al riguardo che la Commissione deve apportare prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione dedotta sia stata commessa, visto che è ad essa che incombe l’onere di provare l’esistenza dell’infrazione e, pertanto, la sua durata (sentenze CRAM e Rheinzink/Commissione, citata supra al punto 71, punto 20, e Pasta di legno II, citata supra al punto 50, punto 127; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, cause riunite T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, SIV e a./Commissione, Racc. pag. II‑1403, punti 193‑195, 198‑202, 205‑210, 220‑232, 249, 250 e 322‑328, e 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punti 43 e 72).

124
Così, la concessione sopra descritta fa della pretesa cessazione degli accordi di autolimitazione il criterio determinante per valutare se dichiarare accertata l’infrazione per il 1990. Siccome si tratta di accordi conclusi a livello internazionale tra il governo giapponese, rappresentato dal Ministero internazionale giapponese del Commercio e dell’Industria, e la Comunità, rappresentata dalla Commissione, si deve affermare che quest’ultima avrebbe dovuto conservare la documentazione comprovante la data in cui i detti accordi hanno perso vigore, così come prescrive il principio di buona amministrazione. Essa dovrebbe pertanto essere in grado di produrre questa documentazione dinanzi al Tribunale. La Commissione ha tuttavia affermato, dinanzi al Tribunale, di aver effettuato ricerche nei propri archivi, ma di non aver potuto reperire documenti attestanti la data di cessazione dei detti accordi.

125
Se, in generale, un ricorrente non può trasferire l’onere probatorio sul convenuto valendosi di circostanze che non è in grado di provare, nel caso di specie la nozione di onere probatorio non può essere applicata a profitto della Commissione per quanto riguarda la data di cessazione degli accordi internazionali da essa conclusi. L’inspiegabile incapacità della Commissione a produrre elementi probatori relativi ad una circostanza che la riguarda direttamente impedisce al Tribunale di statuire con cognizione di causa sulla data di cessazione dei detti accordi. Sarebbe contrario al principio di buona amministrazione della giustizia far sopportare le conseguenze di tale incapacità della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata le quali, a differenza dell’istituzione convenuta, non erano in condizione di apportare la prova mancante.

126
Alla luce di ciò, si deve giudicare, eccezionalmente, che incombeva alla Commissione l’onere di provare la data di cessazione degli accordi di autolimitazione. Orbene, è giocoforza constatare che la Commissione non ha apportato la prova di tale circostanza, né nella decisione impugnata né dinanzi al Tribunale.

127
Peraltro né la Corus né, a maggior ragione, la Commissione hanno preteso che gli accordi di autolimitazione fossero ancora in vigore nel 1991.

128
Occorre perciò considerare, ai fini del presente procedimento, che gli accordi di autolimitazione conclusi tra la Commissione e le autorità giapponesi sono rimasti in vigore fino alla fine del 1990.

129
In ogni caso, le ricorrenti giapponesi hanno dedotto elementi probatori che attestano il rinnovo degli accordi di autolimitazione fino al 31 dicembre 1990, se non altro a livello giapponese, ciò che corrobora la tesi della Corus nel presente procedimento (v. sentenza del Tribunale in data odierna, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑0000, punto 345). Si deve affermare che il Tribunale, nelle cause riunite in cui ogni parte ha avuto occasione di consultare l’insieme dei fascicoli, può tener conto d’ufficio degli elementi probatori risultanti dai fascicoli delle cause parallele (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 13 dicembre 1990, causa T‑113/89, Nefarma e Bond van Groothandelaren in het Farmaceutische Bedrijf/Commissione, Racc. pag. II‑797, punto 1, e causa T‑116/89, Prodifarma e a./Commissione, Racc. pag. II‑843, punto 1). Orbene, nella fattispecie il Tribunale è indotto a pronunciarsi su cause riunite ai fini della trattazione orale aventi ad oggetto una medesima decisione d’infrazione e in cui tutte le ricorrenti hanno chiesto la riduzione dell’importo delle ammende cui sono state condannate.

130
Quindi il Tribunale è formalmente a conoscenza, nella presente controversia, degli elementi probatori prodotti dalle quattro ricorrenti giapponesi e non è necessario statuire sulla domanda della Corus diretta a far ordinare alla Commissione di produrre tali documenti nel presente procedimento.

131
Si deve rilevare, peraltro, che la Corus chiede al Tribunale non soltanto di annullare la decisione impugnata relativamente alla data d'inizio dell'infrazione di cui all’art. 1 della stessa e, parimenti, alla durata di tale infrazione, ma anche di ridurre, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, sancita in conformità all’art. 229 CE dall’art. 17 del regolamento n. 17, l’importo dell’ammenda ad essa inflitta in considerazione di tale minor durata. La detta competenza implica che il Tribunale, allorché riforma l’atto impugnato modificando l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione, deve tener conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti (sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 692). Alla luce di ciò, e dato che tutte le ricorrenti hanno contestato l'accertamento della Commissione secondo cui l’infrazione avrebbe avuto inizio dal 1° gennaio 1990, non sarebbe congruo che il Tribunale valutasse isolatamente la situazione di ciascuna delle ricorrenti nelle circostanze di specie limitandosi ai soli elementi di fatto di cui esse hanno scelto di avvalersi per perorare la propria causa, trascurando quelli che altre ricorrenti o la Commissione hanno potuto invocare.

132
Inoltre, emerge dall’insieme di tali considerazioni che l’argomento della Commissione, secondo il quale la Corus non ha sollevato il presente motivo in modo effettivo, non è pertinente nelle circostanze del caso di specie.

133
Emerge da quanto esposto che, alla luce della concessione fatta dalla Commissione nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione di cui all’art. 1 di quest’ultima deve essere ridotta di un anno. Così, l’art. 1 della decisione impugnata deve essere annullato nella parte in cui considera esistente in data anteriore al 1° gennaio 1991 l’infrazione contestata alla Corus.

134
La domanda diretta all’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata dev’essere respinta per il resto.


Sulla domanda di annullamento dell’ammenda

Argomenti delle parti

135
Nell’ambito di questa domanda, la Corus solleva un motivo unico relativo alla violazione dei diritti della difesa. Essa sostiene che emerge dalla giurisprudenza che la CdA deve indicare in modo chiaro tutti gli elementi essenziali sui quali si basa la Commissione, per dare ai destinatari le indicazioni necessarie per difendersi non solo da una constatazione di infrazione ma anche, se necessario, dall’imposizione di ammende. La Commissione avrebbe quindi l’obbligo, per rispettare i diritti della difesa dei destinatari, di dare, sulla base degli elementi a sua disposizione, una indicazione sufficiente, nella fase della CdA, sulla durata dell’infrazione contestata, sulla sua gravità e sulla questione se l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza (sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 14, 15 e 21; 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 20; e 16 marzo 2000, cause riunite C‑395/96 P e C‑396/96 P, Compagnie Maritime Belge Transports e a./Commissione, Racc. pag. I‑1365, punto 142).

136
Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la Corus aggiunge che la Corte ha precisato esplicitamente che la Commissione doveva indicare la durata da essa constatata provvisoriamente nella fase della CdA, sulla base delle informazioni di cui essa disponeva, e non limitarsi semplicemente a precisare che sarà tenuto conto della durata dell’infrazione ai fini della fissazione dell’ammenda, come sostiene la Commissione (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata supra al punto 135, punto 15). Secondo la Corus, l’obbligo di indicare la gravità dell'infrazione e la sua natura colposa o intenzionale dev’essere analogo, affinché i destinatari di una CdA possano esercitare utilmente i loro diritti della difesa in relazione a questi elementi. Il Tribunale avrebbe confermato questa interpretazione nella sentenza Cemento, citata supra al punto 76 (punti 483 e 484). In caso contrario, tale obbligo verrebbe privato di contenuto, in quanto implicherebbe che la CdA deve semplicemente esporre i criteri pertinenti, che risultano in ogni caso dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

137
Nella fattispecie, la Commissione avrebbe violato questo obbligo sia per quanto riguarda la gravità dell’infrazione sia per quanto riguarda la questione se quest’ultima sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza, poiché i punti 153 e 154 della CdA non comportano alcuna indicazione su tali due elementi. La Corus precisa di aver attirato l’attenzione della Commissione su tale lacuna al punto 6.7 della sua risposta alla CdA (allegato 11 al ricorso) senza che la Commissione le abbia inviato informazioni complementari su tale punto.

138
La Corus sostiene che, alla luce di ciò, essa non ha avuto occasione di esprimersi sulla valutazione effettuata dalla Commissione su tali questioni prima dell’adozione da parte di quest’ultima della decisione impugnata, in cui essa conclude che l’infrazione asseritamente commessa dalla Corus era molto grave e che questa società era cosciente dell’illiceità delle sue azioni (punto 161 della decisione impugnata). I diritti della difesa della Corus sarebbero quindi stati violati, per cui l’ammenda che le è stata inflitta dovrebbe essere annullata.

139
Secondo la Commissione la Corus interpreta erroneamente la sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata supra al punto 135 (punto 21), in quanto essa deduce da tale giurisprudenza che la Commissione deve esporre, nella CdA, la sua valutazione provvisoria degli elementi che essa intende prendere in considerazione ai fini della fissazione dell'importo dell’ammenda. In realtà, la Corte avrebbe semplicemente richiesto che la Commissione precisi quali criteri siano applicati. Infatti, l’interpretazione della sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata, fornita dalla Corus, sarebbe incompatibile con quella adottata nella sentenza Michelin/Commissione, citata supra al punto 135 (punto 19), secondo la quale, se la Commissione desse indicazioni riguardanti l’importo delle ammende previste prima che l’impresa oggetto dell’indagine abbia avuto modo di esporre le sue difese circa gli addebiti contestati, ciò equivarrebbe ad anticipare in modo inopportuno la sua decisione definitiva.

140
Peraltro, l’argomento della Corus relativo ai punti 483 e 484 della sentenza Cemento, citata sopra al punto 76, non sarebbe pertinente, poiché tali punti si riferiscono alla questione se la Commissione, nella sua CdA, abbia espresso l’intenzione di infliggere un’ammenda a determinate parti. Nella fattispecie, invece, sarebbe pacifico che dal punto 154 della CdA emergeva chiaramente l’intenzione della Commissione di infliggere un’ammenda alla Corus.

141
Orbene, dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 deriverebbe che per fare ciò, la Commissione doveva necessariamente tenere conto della gravità e della durata dell’infrazione. La Corus doveva quindi necessariamente rendersi conto della pertinenza di tali parametri a riguardo. Peraltro, poiché il carattere intenzionale o colposo dell’infrazione è un presupposto per l’imposizione di un’ammenda ai sensi di tale disposizione, il detto avvertimento sarebbe stato sufficiente per informare la Corus della posizione della Commissione su tale criterio. Poiché la pubblicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende») è anteriore alla trasmissione della CdA ai suoi destinatari, la Corus ne avrebbe dovuto dedurre che l’accordo di ripartizione dei mercati che le veniva addebitato costituiva una violazione molto grave dell’art. 81, n. 1, CE.

142
Poiché il Tribunale nella causa Cemento, citata supra al punto 76, ha affermato che la CdA deve contenere dettagli sul carattere intenzionale o colposo dell’infrazione e sulla sua gravità, la Commissione sostiene che questi dettagli possano essere indicati nel testo stesso della CdA e non necessariamente nella parte di quest’ultima che rinvia all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. A tale proposito, la Commissione rileva che la Corus ha considerato sufficienti le informazioni contenute nella CdA riguardo alla durata dell’infrazione. Poiché tali informazioni sono contenute in passaggi della CdA distinti da quelli dedicati all’imposizione di un’ammenda, la Commissione fa valere che la Corus accetta il principio secondo cui è necessario tenere conto del complesso della CdA a questo riguardo. Orbene la CdA conterrebbe una descrizione dettagliata dell’infrazione da cui emerge che la Commissione la considerava rilevante (v., in particolare, punto 147 della CdA). Per quanto riguarda il carattere intenzionale di un’infrazione, la Commissione ricorda che, secondo la giurisprudenza, essa non deve dimostrare l’esistenza di un'intenzione soggettiva a tale riguardo, ma solo che le parti avrebbero dovuto sapere che il loro comportamento implicava una violazione dell’art. 81, n. 1, CE (sentenza della Corte 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands/Commissione, Racc. pag. 207, punto 299). Ciò premesso, sarebbe sufficiente dimostrare, nella CdA, che il comportamento delle parti era tale da essere considerato oggettivamente come avente carattere intenzionale o colposo.

143
In ogni caso, la Corus, ai punti 1.6, 3.14 e 3.15 della sua risposta alla CdA, avrebbe espressamente presentato argomenti volti a minimizzare la gravità dell’infrazione e avrebbe fatto espressamente riferimento a tale fattore ai punti 6.3, 6.4 e 6.7 di questa. Ai punti 3.12, 3.15 e 4.5-4.9 della stessa risposta, la Corus avrebbe spiegato le ragioni che giustificano il suo comportamento prima di concludere, ai punti 6.1 e 6.2 nella rubrica «Questioni relative alle ammende», che non vi era stata violazione dell’art. 81, n. 1, CE da parte sua, negando in tal modo qualsiasi infrazione e, a maggior ragione, qualsiasi infrazione intenzionale. La Commissione deduce da tali circostanze che la Corus ha avuto l’occasione, e ne ha approfittato, di far conoscere il suo punto di vista su tutte le questioni relative alle ammende e che quindi i suoi diritti della difesa non sono stati violati. In tal modo, poiché la pretesa violazione dei diritti della difesa della Corus non ha avuto alcuna incidenza negativa sulle sue possibilità di difendersi in pratica, la decisione impugnata, in ogni caso, non dovrebbe essere annullata per questo motivo (v., in tal senso, sentenza PVC II, citata supra al punto 71, punto 1020).

Giudizio del Tribunale

144
Si deve anzitutto rilevare che la CdA deve indicare in modo chiaro tutti gli elementi essenziali sui quali si basa la Commissione, per dare ai destinatari le indicazioni necessarie per difendersi non solo da una constatazione d’infrazione, ma anche, se necessario, dall’imposizione di ammende. La Commissione ha quindi l’obbligo, per rispettare i diritti della difesa dei destinatari, di dare, sulla base degli elementi a sua disposizione, un’indicazione sufficiente, nella fase della CdA, sulla durata dell’infrazione contestata, sulla sua gravità e sulla questione se l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata supra al punto 135, punti 14, 15 e 21; Michelin/Commissione, citata supra al punto 135, punto 20; e Compagnie Maritime Belge Transports e a./Commissione, citata supra al punto 135, punto 142).

145
A tale proposito, l’obbligo di dare un’indicazione sulla gravità e sul carattere intenzionale o negligente dell’infrazione sarebbe svuotato del suo contenuto se una semplice parafrasi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 fosse sufficiente di per sé ad adempierlo (v., in tal senso, sentenza Cemento, citata supra al punto 76, punti 483 e 484). Infatti, sarebbe insensato un semplice obbligo in capo alla Commissione di informare i destinatari di una comunicazione degli addebiti delle disposizioni del regolamento n. 17, che comunque si presume siano loro note, a pena dell’annullamento della decisione impugnata.

146
Alla luce di quanto precede è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, quest’ultima deve esporre, nella CdA, una breve valutazione provvisoria sulla durata dell’infrazione contestata, sulla sua gravità e sulla questione se l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza nelle circostanze del caso di specie. Tuttavia l’adeguatezza di tale valutazione provvisoria, volta a mettere i destinatari di una comunicazione degli addebiti in condizioni di difendersi, va verificata alla luce non solo del tenore della decisione ma anche del suo contesto, nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v., per analogia, sentenza del Tribunale 25 giugno 1998, cause riunite T‑371/94 e T‑394/94, British Airways e a./Commissione, Racc. pag. II‑2405, punti 89 e segg.).

147
Nel caso di specie, trattandosi del carattere intenzionale o colposo dell’infrazione, si deve considerare che le informazioni fornite nella CdA soddisfano i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza.

148
Infatti la Commissione ha precisato più volte nella CdA (in particolare ai punti 129 e 137) che l’accordo concluso nell’ambito del club Europa-Giappone perseguiva lo scopo di spartirsi i mercati dei tubi filettati e di limitare, in tal modo, la concorrenza. Orbene, è sufficiente che la Commissione stabilisca, in una decisione che constati un’infrazione alle regole della concorrenza, che un comportamento, il cui carattere è oggettivamente illecito, è stato compiuto intenzionalmente o per negligenza perché sia autorizzata l’imposizione di un’ammenda in relazione all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. È palese che il fatto di concludere un accordo di ripartizione di mercati, come quello constatato all’art. 1 della decisione impugnata, presenta necessariamente un carattere intenzionale, dato che un’impresa non può concludere un tale accordo inavvertitamente.

149
Pertanto si deve concludere che la CdA non ha lasciato sussistere, nel caso di specie, alcun dubbio sul fatto che la Commissione abbia considerato, in tale fase del procedimento, che l’infrazione constatata poi all’art. 1 della decisione impugnata fosse stata commessa intenzionalmente.

150
Gli argomenti avanzati dalla Commissione sulla sua valutazione provvisoria della gravità dell’infrazione sono invece poco convincenti.

151
Nella CdA la Commissione si è limitata, ai punti 153 e 154 della stessa, a palesare la sua intenzione di infliggere un’ammenda rammentando i termini dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. È vero che essa ha indicato, al punto 147 della CdA, che si trattava di un accordo di ripartizione di mercati che implicava una restrizione significativa («rilevante») della concorrenza. Tuttavia è giocoforza constatare che tale affermazione non consente di chiarire se si trattava secondo la Commissione di una infrazione «grave» o «molto grave» ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende.

152
Parimenti, l’argomento della Commissione basato sulla pubblicazione di detti orientamenti non è persuasivo. Anche in questo caso, se il Tribunale dovesse ritenere che tale pubblicazione sia sufficiente di per sé a consentire ai destinatari di una comunicazione degli addebiti di dedurre dalla descrizione della natura dell’infrazione la categoria in cui la Commissione la classifichi, non avrebbe alcuna funzione pratica l’obbligo, derivante dalla giurisprudenza, di fornire indicazioni concernenti la gravità dell’infrazione (v. supra, punto 145).

153
Si deve quindi concludere che, nel caso di specie, la CdA è viziata in quanto la Commissione non ha in essa indicato la sua valutazione provvisoria della gravità dell’infrazione commessa.

154
Tuttavia, tale considerazione non può condurre di per sé all’annullamento della decisione impugnata. Infatti, l’obbligo di includere nella comunicazione degli addebiti una breve valutazione provvisoria relativa alla durata dell’infrazione contestata, alla sua gravità e alla questione se l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza non è fine a sé stesso, bensì è volto a mettere il destinatario di una comunicazione degli addebiti in condizioni di difendersi utilmente (v. supra, punto 146, nonché, per analogia, sentenza Cemento, citata supra al punto 76, punto 156).

155
Così, tale obbligo non può essere scisso dal principio del rispetto dei diritti della difesa ed è da esso condizionato (v., per analogia, sentenza Cemento, citata supra al punto 76, punto 156, e giurisprudenza ivi cit.). Il giudice comunitario non deve annullare le misure comunitarie sulla base di omissioni in un documento preparatorio, quale una comunicazione degli addebiti, che non hanno conseguenze per la difesa delle imprese in causa. Occorre dunque esaminare se la difesa della Corus è stata interessata dal vizio rilevato supra al punto 153.

156
Orbene, nel caso di specie, la Corus ha espressamente avanzato degli argomenti nella sua risposta alla CdA, in particolare alla sezione 6 di quest’ultima, volti a minimizzare la gravità dell’infrazione commessa. In particolare, la Corus ha fatto valere che emerge dal contesto dell’accordo di ripartizione dei mercati in esame che un’eventuale infrazione da essa commessa non sarebbe di gravità tale da giustificare l’imposizione di un’ammenda (v. punto 6.3 della risposta alla CdA), che essa stava per ritirarsi dai mercati dei tubi OCTG e dei linepipe senza saldatura e dunque stava per limitare il proprio ruolo in quest’ultimo settore al momento in cui l’infrazione sarebbe stata commessa (v. punto 6.4, paragrafo 3, della risposta alla CdA) e, infine, che la portata geografica della sua partecipazione e la categoria dei prodotti interessati dall’infrazione erano limitate (v., rispettivamente, punto 6.4, paragrafo 2, e punto 6.5 della risposta alla CdA). Si deve osservare, inoltre, che la Corus ha esposto argomenti dettagliati di natura fattuale relativi a tali elementi alla sezione 3 della sua risposta alla CdA.

157
Conseguentemente, la Corus non ha dimostrato in che modo lo svolgimento del procedimento amministrativo e il contenuto della decisione impugnata sarebbero potuti essere diversi per quanto riguarda la gravità dell’infrazione e, pertanto, l’importo dell’ammenda, se la Commissione avesse precisato, nella CdA, in quale grado di gravità faceva rientrare l’infrazione derivante dall’accordo di ripartizione dei mercati nell’ambito del club Europa-Giappone (v., in tal senso, sentenza PVC II, citata supra al punto 71, punto 1021, e giurisprudenza ivi cit.). La semplice affermazione fatta dalla Corus al punto 6.7 di detta risposta, ai sensi della quale essa presume che vi sia una nuova occasione di pronunciarsi sui criteri menzionati negli orientamenti per il calcolo delle ammende, non può modificare la sua posizione giuridica a tale proposito.

158
Infine si deve rilevare, ad abundantiam, che tale conclusione è corroborata dal fatto che la Corus ha sollevato dinanzi al Tribunale argomenti (v., infra, punti 161 e segg.) sostanzialmente identici a quelli contenuti nella sezione 6 della sua risposta alla CdA (v. supra, punto 156), al fine di mettere in discussione specificamente la valutazione della gravità dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, indicata ai punti 159‑165 della stessa. Orbene, il giudice comunitario ha competenza anche di merito per rivalutare l’importo delle ammende inflitte in forza dell’art. 17 del regolamento n. 17. Ne consegue che, se una parte ritiene che uno dei fattori relativi a tale questione sia stato valutato in modo errato dalla Commissione, essa ha la possibilità di sollevare ogni argomento atto a corroborare tale tesi dinanzi al Tribunale.

159
Pertanto, anche se la Commissione avesse esposto nella CdA la sua valutazione provvisoria in merito alla gravità dell’infrazione, non vi è alcun motivo di supporre che la Corus avrebbe presentato, nella sua risposta alla CdA, argomenti sensibilmente diversi da quelli che figurano effettivamente alla sezione 6 di detta risposta.

160
Alla luce di quanto precede il presente motivo, nonché, di conseguenza, la domanda di annullamento dell’ammenda, devono essere respinti.


Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda

Sul motivo vertente su un errore di valutazione per quanto riguarda la gravità dell’infrazione

Argomenti delle parti

161
La Corus fa valere che, pur supponendo che essa abbia partecipato all’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, dalla circostanza che essa si stava ritirando dal mercato dei tubi senza saldatura consegue che la sua posizione commerciale era molto diversa da quella delle altre produttrici sanzionate. La Commissione avrebbe quindi dovuto ritenere che l’infrazione era meno grave per quello che la riguardava e, pertanto, fissare un importo di base dell’ammenda meno elevato che nel caso delle altre partecipanti all’infrazione.

162
Peraltro, la Corus sottolinea che le sue attività erano tradizionalmente orientate verso il mercato del Regno Unito, il quale era solo «semiprotetto» secondo la Commissione (punto 62 della decisione impugnata) e sul quale le produttrici giapponesi erano concorrenti maggiori. Inoltre le vendite di tubi senza saldatura OCTG realizzate dalla Corus su tale mercato avrebbero riguardato essenzialmente tubi filettati premium e non i tubi OCTG filettati standard di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Secondo la Corus, la Commissione avrebbe quindi dovuto tener conto di questi fattori anche per valutare la gravità dell’infrazione da essa commessa.

163
La Corus ricorda, inoltre, che la Commissione ha considerato l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata come accessoria all’infrazione constatata all’art. 1 della stessa. L’eventuale annullamento del detto art. 2, così, dovrebbe necessariamente incidere sulla gravità della pretesa partecipazione della Corus all’infrazione principale, cui si riferisce l’art. 1.

164
La Commissione rileva di aver espressamente tenuto conto, ai punti 106 e 162 della decisione impugnata, della circostanza che l’infrazione constatata all’art. 1 della stessa aveva avuto solo effetti limitati, e di aver pertanto ridotto l’importo dell’ammenda. L’argomento della Corus secondo cui la sua partecipazione all’infrazione ha avuto un impatto limitato sarebbe quindi irrilevante nell’ambito del presente procedimento.

165
Inoltre, l’eventuale annullamento dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata non avrebbe alcuna incidenza sull’importo dell’ammenda poiché, come ricorda la Corus, nessuna ammenda separata è stata imposta per questa infrazione.

Giudizio del Tribunale

166
Occorre rilevare, in via preliminare, che la Commissione, anche se non ha espressamente menzionato gli orientamenti nella decisione impugnata, ha nondimeno determinato l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente applicando il metodo di calcolo ivi impostosi (v., a tale proposito, sentenza Hercules Chemicals/Commissione, citata supra al punto 116, punto 53, confermata in seguito a impugnazione con sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, e giurisprudenza ivi cit.).

167
Orbene, ai sensi del punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende, «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante». Ebbene, al punto 159 della decisione impugnata la Commissione rileva di aver tenuto conto, per determinare la gravità dell’infrazione, di tutti e tre i detti criteri.

168
Al punto 161 della decisione impugnata, però, la Commissione si è basata essenzialmente sulla natura del comportamento illecito di tutte le imprese per concludere che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è «molto grave». Al riguardo essa ha fatto valere la natura gravemente anticoncorrenziale e nociva al buon funzionamento del mercato interno dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato, il carattere intenzionale dell'infrazione commessa e la natura segreta ed istituzionalizzata del sistema messo in atto per restringere la concorrenza. La Commissione ha altresì tenuto in considerazione, sempre al punto 161, che «i quattro Stati membri in questione rappresentano la maggior parte del consumo degli OCTG e dei linepipe senza saldatura nella Comunità e dunque un vasto mercato geografico».

169
Al contrario, al punto 160 della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che «l’infrazione ha avuto, di fatto, un’incidenza limitata sul mercato» dato che i due specifici prodotti che ne erano oggetto, vale a dire gli OCTG standard ed i linepipe «project», rappresentavano solo il 19% del consumo comunitario degli OCTG e dei linepipe senza saldatura e che grazie ai progressi della tecnologia i tubi saldati potevano soddisfare una parte della domanda di tubi senza saldatura.

170
Così, al punto 162 della decisione impugnata, la Commissione, dopo aver classificato quest’infrazione tra quelle «molto gravi» sulla base dei fattori enumerati al punto 161, ha fatto notare il quantitativo relativamente ridotto delle vendite dei prodotti in questione da parte delle destinatarie della decisione impugnata nei quattro Stati membri interessati (EUR 73 milioni all’anno). Tale riferimento alle dimensioni del mercato rilevante corrisponde alla valutazione dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato espressa al punto 160 della decisione impugnata. La Commissione ha dunque deciso di imporre un’ammenda in funzione della gravità di appena EUR 10 milioni. In realtà gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in principio, per infrazioni rientranti in tale categoria, un importo «oltre i 20 milioni di [euro]». Si deve considerare che tale riduzione dell’importo stabilito in funzione della gravità al 50% della somma minima solitamente applicata in caso di infrazione «molto grave» tiene adeguato conto dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato nella fattispecie.

171
Infine la Commissione ha rilevato, al punto 165 della decisione impugnata, che tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata erano di grandi dimensioni, e che quindi non occorreva differenziare gli importi delle ammende stabiliti a seconda dei partecipanti all’infrazione.

172
Va osservato, a tale proposito, che la Commissione si è basata in gran parte in tale valutazione sulla natura dell’infrazione per stabilire che quest’ultima era molto grave. Orbene, emerge dalle note della Vallourec, menzionate in particolare ai punti 62, 67, 78 e 80 della decisione impugnata, che la collaborazione tra la Corus e la Vallourec era particolarmente stretta.

173
Per quanto riguarda l’argomento della Corus secondo il quale essa stava per ritirarsi dai mercati sia dei tubi OCGT sia dei linepipe e si trovava, pertanto, in una situazione commerciale diversa da tutti gli altri destinatari della decisione impugnata, si deve rilevare anzitutto che i motivi soggettivi per i quali un’impresa commette un’infrazione non sono pertinenti nell’ambito della valutazione della gravità oggettiva di quest’ultima. Fintantoché la Corus non si è ritirata dai mercati rilevanti e ha continuato a partecipare attivamente all’infrazione contestata, il carattere temporaneo della sua presenza su detti mercati non è pertinente.

174
Si deve osservare, d’altro canto, che la Commissione ha constatato, al punto 92 della decisione impugnata, che il 22 febbraio 1994 la Corus aveva venduto le sue attività di filettatura alla Vallourec e che, nel suo caso, l’infrazione è stata commessa unicamente dal 1990 al febbraio 1994, come indicato all’art. 1, n. 2, di detta decisione. Emerge dal punto 166 della decisione impugnata che l’infrazione contestata alla Corus è stata presa in considerazione per il solo periodo di quattro anni, dal 1990 al 1994, il che è confermato dal fatto che l’importo di base dell’ammenda per la Corus è stato fissato a EUR 14 milioni al punto 167. Alla luce di una lettura d’insieme della decisione impugnata si deve concludere che l’anno 1990 è stato incluso e l’anno 1994 escluso ai fini di tale calcolo.

175
Così, non vi è ragione di considerare nel caso di specie, tenuto conto in particolare della summenzionata stretta collaborazione tra la Corus e la Vallourec, che il comportamento illecito della Corus fosse meno grave, per sua natura, di quello di altre imprese che hanno partecipato all’infrazione. La presa in considerazione della minore durata, descritta al punto precedente, dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata nel caso della Corus compensa sufficientemente il fatto che quest’ultima si sia ritirata dai mercati dei tubi filettati nel febbraio 1994.

176
Si deve poi rammentare che un’impresa può essere ritenuta responsabile di un’intesa globale anche qualora si dimostri la sua diretta partecipazione soltanto ad uno o a diversi elementi costitutivi di tale intesa, purché le fosse noto, o dovesse necessariamente esserle noto, il fatto che la collusione a cui partecipava, in particolare tramite regolari riunioni organizzate durante diversi anni, rientrava in un piano globale diretto a falsare il gioco normale della concorrenza, e che questo piano globale riguardava il complesso degli elementi costitutivi dell’intesa. (sentenza PVC II, citata supra al punto 71, punto 773). Orbene, alla luce della collaborazione particolarmente stretta tra la Corus e la Vallourec rilevata supra (v., parimenti, punti 62, 67, 78 e 80 della decisione impugnata), è palese che la Corus era direttamente implicata nell’elaborazione di una strategia comune decisa nell’ambito del club Europa-Giappone e che essa era a conoscenza di tutti i dettagli dell’accordo di ripartizione dei mercati costitutivo dell’infrazione sanzionata. Quindi, nel caso di specie, non vi è ragione di considerare che la Corus non fosse responsabile dell’intesa nel suo insieme.

177
In merito alla circostanza secondo la quale il mercato offshore del Regno Unito, settore importante del mercato domestico della Corus era solo parzialmente protetto, emerge dalle note della Vallourec (v. punti 62, 67, 78 e 80 della decisione impugnata) e dai documenti «Nota per i presidenti» e «g) Japanese» [documento «g) Giapponese» citato alla pagina 4909 del fascicolo della Commissione] (v. punto 84), redatti da impiegati della Corus, che quest’ultima cercava di limitare per quanto possibile le vendite giapponesi su tale mercato. Pertanto la Corus non può fare riferimento a tale protezione limitata per asserire che l’infrazione da essa commessa non era «molto grave». Peraltro il carattere limitato della protezione del mercato offshore del Regno Unito non infirma in alcun modo la constatazione della Commissione, contenuta al punto 161 della decisione impugnata, secondo cui il mercato geografico interessato era un mercato vasto.

178
Per quanto riguarda gli argomenti della Corus relativi all’impatto limitato della sua partecipazione all’infrazione sui mercati in esame, a causa in particolare dell’esistenza della concorrenza giapponese sul suo mercato domestico e in ragione del fatto che essa vendeva essenzialmente tubi OCTG premium piuttosto che tubi OCTG standard, si deve rammentare nuovamente in tale ambito che la Commissione ha tenuto conto dell’impatto limitato dell’infrazione sui mercati stabilendo un importo in funzione della gravità pari al 50% della somma minima applicata abitualmente in caso di infrazioni «molto gravi» (v. supra, punto 170).

179
È vero che il punto 1 A, sesto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende prevede la possibilità, «in certi casi, [di] ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie [d’infrazione], in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa». Ai sensi di questo capoverso, ciò è opportuno «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione».

180
Tuttavia, dall’impiego delle locuzioni «in certi casi» e «in particolare» negli orientamenti per il calcolo delle ammende risulta che una ponderazione in funzione delle dimensioni delle singole imprese non è una fase sistematica del calcolo che la Commissione si è imposta, bensì una possibilità di manovra che essa si è data nei casi che lo richiedono. Occorre ricordare in questo contesto la giurisprudenza secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le permette di prendere o no in considerazione alcuni elementi, allorché fissa l’importo delle ammende che intende infliggere, in funzione soprattutto delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54, e sentenze della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punti 32 e 33, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, citata supra al punto 131, punto 465; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑309/94, KNP BT/Commissione, Racc. pag. II‑1007, punto 68). Tenuto conto del tenore del punto 1 A, sesto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende illustrato sopra, si deve ritenere che la Commissione abbia conservato un certo potere discrezionale nel ponderare o meno le ammende in funzione delle dimensioni delle singole imprese.

181
In proposito si deve ricordare anche che le ammende hanno una finalità deterrente in materia di concorrenza (v., al riguardo, punto 1 A, quarto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende). Così, viste le grandi dimensioni delle imprese destinatarie della decisione impugnata quali constatate al punto 165 di quest’ultima, una riduzione sostanzialmente maggiore dell’importo fissato in funzione della gravità avrebbe potuto privare le ammende del loro effetto deterrente.

182
Pertanto si deve ritenere che la Commissione non ha oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale, constatato supra, al punto 180, per il fatto che essa non ha applicato nella fattispecie il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende.

183
Relativamente all’argomento della Corus secondo cui l’eventuale annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata dovrebbe incidere sull’importo dell’ammenda imposta per sanzionare l’infrazione constatata al suo art. 1, basti rilevare che non è stata inflitta alcuna ammenda per l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e che la Commissione non ne ha affatto tenuto conto nello stabilire l’importo dell’ammenda effettivamente imposta alla Corus (punto 164 della decisione impugnata). Di conseguenza, tale argomento non è pertinente.

184
Da tutte le considerazioni che precedono risulta che il presente motivo dev’essere respinto.

Sul motivo vertente sulla violazione del principio del legittimo affidamento

Argomenti delle parti

185
La Corus fa valere che non concedendole alcuna riduzione dell’ammenda, la Commissione ha violato l’affidamento che essa poteva legittimamente ricavare dal titolo D, n. 2, della comunicazione sulla cooperazione. Ai sensi di tale disposizione, un’impresa che non contesta i fatti materiali fatti valere nella CdA dovrebbe beneficiare di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione. La Corus sottolinea anche che la Commissione stessa riconosce espressamente, nella comunicazione sulla cooperazione, che quest’ultima può creare legittime aspettative in capo alle imprese. Essa fa valere infine, per analogia, la sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals, citata supra al punto 116.

186
Per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo cui la comunicazione sulla cooperazione non ha creato alcuna legittima aspettativa in capo alla Corus poiché è stata pubblicata solo nel 1996, basterebbe rilevare che la CdA è stata inviata a quest’ultima solo nel 1999. Peraltro, la Commissione si sarebbe basata espressamente sulla comunicazione sulla cooperazione nella decisione impugnata per ridurre le ammende inflitte alla Vallourec e alla Dalmine.

187
La Corus rileva, inoltre, che emerge dalla giurisprudenza che l’idea sottostante alla riduzione dell’ammontare delle ammende inflitte alle imprese che dichiarano di non contestare i fatti su cui la Commissione basa le sue accuse è che tale ammissione delle considerazioni di fatto può essere fatta valere come elemento di prova della fondatezza di tali considerazioni, contribuendo in tal modo a facilitare il compito della Commissione quando quest’ultima constata e reprime infrazioni alle regole di concorrenza (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punto 256).

188
Nel caso di specie, la Corus avrebbe affermato, al punto 1.5 della sua risposta alla CdA, che essa non contestava i fatti materiali relativi all’infrazione constatata in seguito all’art. 1 della decisione impugnata, pur contestando l’esistenza di tale infrazione. La Corus rileva che occorre effettuare una distinzione tra i fatti dedotti e la qualificazione giuridica degli stessi, e ne trae la conclusione che la circostanza che un’impresa contesti la detta qualificazione giuridica non riduce l’estensione e l’utilità della cooperazione di cui essa ha dato prova riconoscendo i fatti stessi. Essa fa valere che, in altre decisioni in materia di intese illecite, la Commissione ha concesso riduzioni di ammenda ad imprese, anche quando queste ultime contestavano l’esistenza della concertazione costituente l’infrazione o sostenevano di non aver preso parte a tale concertazione [v. decisione della Commissione 21 gennaio 1998, 98/247/CECA, relativa ad un procedimento di applicazione dell’art. 65 del Trattato CECA (Caso IV/35.814 – Extra di lega) (GU L 100, pag. 55), punti 98‑100, e decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’art. [81] del Trattato CE (Caso n. IV/35.691/E‑4 – Intesa tubi preisolati) (GU 1999 L 24, pag. 1), punto 180]. Allo stesso modo, la Corus sostiene che essa avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione dell’ammenda che le è stata inflitta.

189
Quanto agli argomenti della Corus, basati sulla sua pretesa cooperazione, la Commissione replica innanzi tutto che la comunicazione sulla cooperazione è stata pubblicata solo nel 1996. Poiché la Corus ha posto fine alle infrazioni constatate nella decisione impugnata nel febbraio 1994, questa comunicazione non avrebbe svolto alcun ruolo in tale ambito.

190
Inoltre la Corus, nella sua risposta alla CdA e in particolare al punto 3.15 della stessa, riguardante l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, avrebbe contestato non solo la valutazione dei fatti, ma anche l’esistenza stessa di un accordo illecito. In tal modo essa avrebbe obbligato la Commissione a provare i fatti censurati nella CdA. Il comportamento della Corus non avrebbe quindi facilitato il compito della Commissione. Di conseguenza esso non potrebbe essere considerato come una cooperazione idonea a giustificare una riduzione della sua ammenda (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr‑Melnhof/Commissione, Racc.  pag. II‑1751, punto 309, e giurisprudenza ivi cit., e 332). A tale riguardo, il Tribunale avrebbe espressamente affermato che un’impresa che contesta la sua partecipazione ad una qualsivoglia violazione dell’art. 81, n. 1 CE non ha diritto ad ottenere una riduzione della sua ammenda per via della cooperazione (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 59, e causa T‑338/94, Finnboard/Commissione, Racc. pag. II‑1617, punti 262 e 363).

191
La Commissione ne trae la conclusione che la Corus continua a contestare dinanzi al Tribunale i fatti constatati nella decisione impugnata. Pertanto, anche a voler supporre che la Corus avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione della sua ammenda per via della cooperazione, la Commissione ritiene che occorra chiedere al Tribunale di revocare il beneficio di tale riduzione e di aumentare l’importo dell’ammenda in questione. Infatti, in questo caso, si sarebbe in presenza di un’impresa che, pur avendo beneficiato di una riduzione della sua ammenda per via della cooperazione, contesta i fatti materiali nel suo ricorso, situazione in cui tale domanda sarebbe giustificata ai sensi dell’ultima frase della comunicazione sulla cooperazione. Occorrerebbe chiedere alla Corus di scegliere, nell’ambito del presente procedimento, tra i motivi e gli argomenti con i quali essa mette in questione l’esistenza dell’infrazione, e l’argomento relativo alla comunicazione sulla cooperazione, poiché tali due aspetti del suo ricorso sono incompatibili.

Giudizio del Tribunale

192
Si deve anzitutto rilevare che la comunicazione sulla cooperazione, pubblicata nel 1996, ha potuto indurre la Corus ad affermare, nella sua risposta alla CdA del 20 aprile 1999, che essa non contestava «in sostanza» («substantially») i fatti per quanto riguarda il club Europa-Giappone. Nessuna considerazione di ordine temporale osta quindi a che la comunicazione sulla cooperazione abbia potuto far insorgere legittime aspettative in capo a tale società.

193
In merito alla questione se una riduzione dell’ammenda inflitta alla Corus fosse giustificata nel caso di specie in considerazione della comunicazione sulla cooperazione, e sia stato violato il principio del legittimo affidamento, occorre anzitutto rilevare che il comportamento dell’impresa di cui trattasi deve agevolare il compito della Commissione, che consiste nel constatare e reprimere infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza (sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, citata supra al punto 190, punto 309, nonché giurisprudenza ivi cit., e punto 332). Quindi non basta che un’impresa affermi in modo generico di non contestare i fatti invocati, conformemente a tale comunicazione, se, nelle circostanze del caso di specie, tale affermazione non è di alcuna utilità per la Commissione.

194
Nella fattispecie la Commissione ha segnatamente sostenuto nella CdA che i membri del club Europa-Giappone hanno concluso un accordo anticoncorrenziale avente ad oggetto ed effetto una ripartizione dei mercati. Anche se la Corus ha affermato di non contestare i fatti invocati a tale proposito, essa ha affermato al punto 1.7 della sua risposta alla CdA, e nuovamente al punto 3.15, secondo paragrafo, della stessa, che gli effetti anticoncorrenziali di un tale accordo, a condizione che sia esistito, sarebbero stati trascurabili, di modo che si dovrebbe riflettere sulla ragion d’essere commerciale dell’accordo e, di conseguenza, sulla sua esistenza. Essa osserva dinanzi al Tribunale che è necessario operare una distinzione tra i fatti in quanto tali, da essa non contestati, e la qualificazione giuridica degli stessi, da essa contestati.

195
Tuttavia è giocoforza constatare che, nel caso specifico di un accordo che persegua, a prescindere dai suoi effetti eventuali, lo scopo di ripartizione dei mercati, il fatto che si riconosca la veridicità dei fatti è sufficiente, in linea di principio, a concretizzare due degli elementi essenziali di un’infrazione di cui all’art. 81, n. 1, CE, ossia l’esistenza di un accordo e lo scopo anticoncorrenziale dello stesso.

196
In aggiunta si deve osservare che, nel caso di specie, la Commissione ha addotto gli stessi elementi probatori nella CdA e nella decisione impugnata e che un numero rilevante di questi ultimi, in particolare le dichiarazioni del sig. Verluca e le diverse note della Vallourec, vertono sul contenuto di discussioni strategiche di natura collusiva tra i membri del club Europa-Giappone, relative in particolare a taluni mercati comunitari (v., in particolare, punti 56, 60, 63 e 65 della CdA, e punti 62, 67, 73 e 78 della decisione impugnata).

197
Pertanto si deve osservare che la Corus non poteva, nella sua risposta alla CdA, rimettere in discussione la sua partecipazione all’accordo e all’oggetto anticoncorrenziale costitutivo dell’infrazione constatata poi all’art. 1 della decisione impugnata senza contestare i fatti relativi alle discussioni in esame e al loro contenuto.

198
Emerge da quanto precede che il fatto per la Corus di interrogarsi, nella sua risposta alla CdA, sull’esistenza dell’accordo ha fatto insorgere, alla luce delle circostanze della fattispecie, un dubbio sul valore della sua affermazione, contenuta nella medesima risposta, di non contestare i fatti, in modo da renderne ambigua la portata. Tale ambiguità è rafforzata dalla circostanza che la Corus ha relativizzato la sua affermazione, secondo la quale essa non contestava i fatti, con l’utilizzo del termine «substantially » («in sostanza»), senza spiegare quali fossero i fatti specifici oggetto di tale riserva.

199
Pertanto, nella fase del procedimento amministrativo, la Commissione era impossibilitata, come pure lo è il Tribunale nell’ambito del presente procedimento, ad identificare i fatti precisi che la Corus ha confermato e grazie ai quali la sua collaborazione ha potuto agevolare il compito della Commissione. Ne consegue che, nel caso di specie, il riconoscimento da parte della Corus dei fatti presi in considerazione nella comunicazione degli addebiti non è atto a giustificare una riduzione dell’importo della sua ammenda in considerazione della comunicazione sulla cooperazione, come interpretata dalla giurisprudenza.

200
Alla luce di quanto esposto il presente motivo deve essere respinto.

Sul motivo vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

Argomenti delle parti

201
La Corus rileva innanzi tutto che, secondo una costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento viene trasgredito quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e 28 giugno 1990, causa C‑174/89, Hoche, Racc. pag. I‑2681, punto 25; nello stesso senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 1994, causa T‑100/92, La Pietra/Commissione, Racc. PI pagg.  I‑A‑83 e II‑275, punto 50). Essa aggiunge che viene frequentemente fatta applicazione di questo principio in relazione all’imposizione di ammende (sentenza Hercules Chemicals/Commissione, citata supra al punto 116, punto 295; sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T­141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 185; causa T‑142/89, Boël/Commissione, Racc. pag. II‑867, punti 128‑135; causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punti 54‑56; causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punti 57‑61; 11 dicembre 1996, causa T‑49/95, Van Megen Sports/Commissione, Racc. pag. II‑1799, punto 56; Finnboard/Commissione, citata supra al punto 190, e Mayr-Melnhof/Commissione, citata supra al punto 190, punti 334‑336 e 352‑354).

202
La Corus osserva che la Vallourec, che ha beneficiato di una riduzione dell'importo dell’ammenda del 40%, si è limitata a rispondere alle domande che le erano state poste durante il controllo sul posto effettuato dai dipendenti della Commissione, conformemente ai suoi obblighi legali, così come ha fatto anche la Corus. Essa rileva, a tale proposito, che le dichiarazioni del sig. Verluca sono state effettuate in risposta a domande poste dalla Commissione solo alla Vallourec.

203
In aggiunta la Dalmine, che ha beneficiato di una riduzione del 20% dell’importo della sua ammenda, ha semplicemente informato la Commissione che essa non contestava i fatti materiali, senza tuttavia riconoscere di aver partecipato ad un’infrazione. L’estensione della sua cooperazione non supererebbe, quindi, quella della Corus. La disparità di trattamento subita dalla Corus, che la Commissione non giustifica nel suo controricorso, sarebbe quindi manifesta. La Dalmine sarebbe stata anche meno cooperativa della Corus, in particolare poiché essa inizialmente si è rifiutata di comunicare alla Commissione talune informazioni sollecitate da quest’ultima e ha poi fatto valere il diritto di non testimoniare contro sé stessa, per giustificare il suo rifiuto di rispondere a talune questioni, sia nella sua risposta alla CdA che in un ricorso manifestamente irricevibile da essa proposto contro la decisione adottata dalla Commissione nei suoi confronti ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Inoltre, la Dalmine avrebbe contestato la legittimità delle decisioni sulla cui base la Commissione ha proceduto agli accertamenti nel dicembre 1994 e, di conseguenza, la possibilità per la Commissione di utilizzare i documenti ottenuti nel corso di questi (punto 118 della decisione impugnata).

204
La Corus sostiene, peraltro, che emerge dalla decisione impugnata (punto 174) che le ricorrenti giapponesi non hanno apportato alcuna collaborazione effettiva alla Commissione e hanno contestato l’esistenza dell’accordo durante il procedimento amministrativo, circostanza che differenzia la loro situazione da quella della Corus. Come la Dalmine, le produttrici giapponesi avrebbero contestato sia la legittimità delle decisioni in base alle quali la Commissione ha proceduto agli accertamenti nel dicembre 1994 che l’utilizzo da parte della Commissione dei documenti ottenuti nel corso di queste. Quanto alla Mannesmann, emerge del pari dalla decisione impugnata (punto 174) che essa non ha mai indicato chiaramente se contestava i fatti e si è rifiutata di fornire talune informazioni che la Commissione aveva chiesto mediante decisione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. La Commissione avrebbe quindi violato il principio della parità di trattamento rifiutando di ridurre l’ammenda che ha inflitto alla Corus e, quindi, trattando quest'ultima allo stesso modo della Mannesmann e delle quattro produttrici giapponesi

205
La Commissione ribatte innanzi tutto che essa dispone di un potere discrezionale per la fissazione dell’importo delle ammende, per cui la nozione di parità di trattamento, in materia di ammende, deve essere interpretata alla luce di tale regola (sentenza Martinelli/Commissione, citata supra al punto 201, punto 59). In ogni caso, il detto principio si applicherebbe solo quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata (sentenza del Tribunale, Hercules Chemicals/Commissione, citata supra al punto 116, punto 295).

206
Orbene, nella fattispecie, vi sarebbero differenze oggettive tra la situazione della Corus e quella degli altri destinatari della decisione impugnata. In primo luogo la Vallourec, da una parte, avrebbe rilasciato alla Commissione una dichiarazione scritta di grande utilità (la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, v. in particolare i punti 53 e 170 della decisione impugnata) e, dall’altra, non avrebbe contestato i fatti materiali sui quali la Commissione aveva basato la CdA. In secondo luogo la Dalmine, senza alcuna ambiguità, non avrebbe contestato i fatti sui quali la Commissione aveva basato la sua decisione (punto 172 della decisione impugnata), mentre la Corus avrebbe messo in dubbio l’esistenza stessa di un accordo. In ogni caso, pur supponendo che la Commissione abbia commesso un errore riducendo le ammende inflitte alla Vallourec e alla Dalmine, tale argomento sarebbe inoperante nell’ambito della domanda di riduzione dell’ammenda formulata dalla Corus. Infine, sarebbe indifferente che i motivi per i quali la Corus non ha potuto ottenere una riduzione dell’ammenda siano diversi da quelli che hanno impedito alla Mannesmann e alle produttrici giapponesi di beneficiare di una riduzione, poiché la Corus non soddisfa i criteri posti a tale riguardo nella comunicazione sulla cooperazione, indipendentemente dalla situazione di queste altre imprese.

Giudizio del Tribunale

207
Secondo una giurisprudenza consolidata, nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dalle imprese, la Commissione non può violare il principio della parità di trattamento, principio generale del diritto comunitario che, per giurisprudenza costante, viene trasgredito soltanto quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 237, e giurisprudenza ivi cit.).

208
Si deve parimenti rammentare che la riduzione dell’importo di un’ammenda è giustificata solo se il comportamento di un’impresa ha consentito alla Commissione di accertare l’infrazione con minore difficoltà e di sanzionare le infrazioni alle norme comunitarie della concorrenza (sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, citata supra al punto 190, punto 309, e giurisprudenza ivi cit., punto 332, e citata supra al punto 193).

209
È giocoforza constatare che, nel caso di specie, esistono differenze oggettive e significative, in relazione a quest’ultimo criterio, tra la situazione della Corus e quella della Vallourec e della Dalmine.

210
In primo luogo la Vallourec non solo non ha contestato la sussistenza dei fatti sui quali la Commissione aveva basato la CdA, ma ha fornito inoltre, diversamente dalla Corus, dichiarazioni scritte di grande utilità per la Commissione, in particolare quelle del sig. Verluca del 17 settembre e 14 ottobre 1996 (v., in particolare, punti 60, 62, 72 e 108 della decisione impugnata).

211
Nessun rappresentante della Corus ha mai fornito dichiarazioni di valore probatorio e di portata equiparabile a quelle del sig. Verluca. Infatti la risposta della Corus del 31 ottobre 1997, invocata al punto 66 della decisione impugnata, ha portata e valore probatorio limitati, a maggior ragione in quanto non appariva chiaramente se la Corus intendesse o meno ritirarla, per la parte relativa al procedimento sui tubi senza saldatura, con lettera alla Commissione 30 marzo 1999 (v., a tale proposito, sentenza JFE Engineering e a./Commissione, citata supra al punto 129, punti 305‑308).

212
In merito alla circostanza, rilevata dalla Corus, che le dichiarazioni del sig. Verluca sono state rese in risposta a domande che la Commissione ha posto unicamente alla Vallourec, basti rilevare che la Commissione non è affatto obbligata a porre le stesse domande, nella fase d’inchiesta, a tutte le imprese che essa sospetta abbiano partecipato ad un’infrazione. Infatti è giocoforza constatare che l’esistenza di un tale obbligo sarebbe atto a incidere negativamente sulla libertà di azione della Commissione nell’ambito delle sue inchieste in materia di concorrenza e, di conseguenza, sull’efficacia di queste ultime.

213
È vero che, fintantoché le imprese forniscono alla Commissione, nella medesima fase del procedimento amministrativo e in circostanze analoghe, informazioni analoghe sui fatti loro imputati, i gradi della cooperazione da esse fornite devono essere considerati analoghi (sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, citata supra al punto 207, punti 243‑246).

214
Tuttavia è palese che ciò non si è verificato nel caso di specie (v. supra, punto 211). Pertanto, tale giurisprudenza non è applicabile.

215
Per quanto riguarda la Dalmine è pacifico, sia nella presente causa sia nella causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, ad essa riunita ai fini della trattazione orale, che tale società non ha contestato i fatti sui quali la Commissione ha basato la decisione impugnata, conformemente alla constatazione effettuata in tal senso al suo punto 172. Anche se la Corus ha dichiarato, nella sua risposta alla CdA, di non contestare i fatti addotti dalla Commissione per quanto riguarda l’infrazione indicata poi all’art. 1 della decisione impugnata, è stato rilevato supra, ai punti 192‑199, che tale affermazione, a causa del suo carattere vago e ambiguo, non è sufficiente a giustificare una riduzione dell’ammenda inflitta alla Corus.

216
Basti osservare, pertanto, che nessuna ambiguità di tale natura è stata imputata alla Dalmine, per quanto riguarda l’ammissione da parte sua dei fatti, per giungere alla conclusione che la Commissione non ha commesso alcuna disparità di trattamento a tale proposito. In merito alle altre circostanze invocate dalla Corus per sostenere che la Dalmine ha collaborato perfino meno di lei, si deve rilevare che tali circostanze fanno riferimento al rifiuto della Dalmine, intervenuto inizialmente, prima dell’invio della CdA, di rispondere a richieste di chiarimenti e che nessuna collaborazione della Dalmine è stata presa in considerazione dalla Commissione in relazione a tale aspetto dell’inchiesta.

217
Ne consegue che la Commissione ha potuto giustamente stabilire che tali circostanze non avevano alcuna incidenza sull’ammissione dei fatti da parte della Dalmine nella sua risposta alla CdA né, quindi, sulla riduzione del 20% dell’importo dell’ammenda accordata alla Dalmine a tale titolo dalla Commissione, conformemente alla comunicazione sulla cooperazione.

218
Infine, come rilevato a ragione dalla Commissione, è indifferente che le ragioni per cui la Corus non ha potuto ottenere una riduzione dell’ammenda differiscano da quelle che hanno impedito alla Mannesmann e ai produttori giapponesi di beneficiare di una riduzione, dato che si è già stabilito che essa non soddisfa i requisiti indicati a tale proposito nella comunicazione sulla cooperazione, a prescindere dalla situazione di tali altre imprese.


Sul calcolo dell’importo dell’ammenda

219
Consegue da quanto esposto che l’importo dell’ammenda imposta alla Corus deve essere ridotto per tener conto del fatto che la durata dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è stata fissata, nella presente causa, a tre anni anziché a quattro.

220
Il metodo di calcolo dell’importo delle ammende, stabilito negli orientamenti per il calcolo delle ammende e seguito dalla Commissione nel caso di specie, non è di per sé in contestazione, sicché il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, intende applicarlo alla luce della conclusione svolta al punto precedente.

221
Così, l’importo di base dell’ammenda è fissato a EUR 10 milioni, maggiorato del 10% per ogni anno di durata dell’infrazione, vale a dire, in totale, del 30%, per una cifra complessiva di EUR 13 milioni. Tale importo deve poi essere diminuito del 10% a titolo delle circostanze attenuati ai sensi dei punti 168 e 169 della decisione impugnata, per arrivare ad un importo definitivo per la Corus di EUR 11,7 milioni al posto di EUR 12,6 milioni.


Sulla richiesta d’ingiunzione alla Commissione di rimborsare l’importo dell’ammenda o, in subordine, l’importo a concorrenza del quale è stata ridotta, maggiorato degli interessi

222
È stato più volte dichiarato che, in seguito ad una sentenza di annullamento, che opera ex tunc ed ha pertanto l’effetto di eliminare retroattivamente l’atto annullato dall’ordinamento giuridico (sentenza della Corte 26 aprile 1988, cause riunite 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, Asteris e a./Commissione, Racc. pag. 2181, punto 30; conclusioni dell’avvocato generale Léger presentate per la sentenza della Corte 6 giugno 1996 nella causa C‑127/94, Ecroyd, Racc. pag. I‑2731, in particolare pag. I‑2735, paragrafo 74; sentenza del Tribunale 10 ottobre 2001, causa T‑171/99, Corus UK/Commissione, Racc. pag. II‑2967, punto 50), l’istituzione convenuta deve adottare, in forza dell’art. 233 CE, i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti delle illegittimità accertate, dovere che, nel caso di un atto già eseguito, può consistere nel reintegrare il ricorrente nella situazione nella quale il medesimo si trovava anteriormente a tale atto (sentenze della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263, punto 60; 6 marzo 1979, causa 92/78, Simmenthal/Commissione, Racc. pag. 777, punto 32, e 17 febbraio 1987, causa 21/86, Samara/Commissione, Racc. pag. 795, punto 7; sentenze del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T‑480/93 e T‑483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II‑2305, punti 59 e 60, e Corus UK/Commissione, cit., punto 50).

223
Al primo posto fra i provvedimenti ex art. 233 CE figura pertanto, nel caso di una sentenza che annulli o riduca l'importo dell’ammenda imposta a un’impresa per violazione delle norme in materia di concorrenza del Trattato, l’obbligo per la Commissione di restituire in tutto o in parte l’ammenda pagata dall’impresa interessata, in quanto tale pagamento deve essere qualificato come indebito in seguito alla sentenza di annullamento. Tale obbligo ha ad oggetto non solo la somma capitale corrispondente all’ammenda indebitamente pagata, ma anche gli interessi di mora prodotti da tale importo (sentenza Corus UK/Commissione, citata supra al punto 222, punti 52 e 53).

224
In questo caso non si può presumere che la Commissione sia venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza dell’effetto combinato della presente sentenza e dell’art. 233 CE.

225
Pertanto non occorre statuire su questa domanda nell’ambito del presente procedimento.

226
Parimenti si deve constatare che, per la stessa ragione, non occorre statuire sulla domanda della Corus diretta ad ottenere che il Tribunale disponga ogni misura necessaria all’esecuzione della presente sentenza.


Sulle spese

227
Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi di conclusioni. Poiché ciascuna delle parti è effettivamente risultata soccombente su uno o più capi nella fattispecie, occorre statuire che la ricorrente e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
L’art. 1, n. 2, della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B‑Tubi d’acciaio senza saldatura), è annullato nella parte in cui accerta in capo alla ricorrente l’esistenza dell’infrazione sanzionata da tale disposizione anteriormente al 1° gennaio 1991.

2)
L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente all’art. 4 della decisione 2003/382 è fissato a EUR 11 700 000.

3)
Per il resto il ricorso è respinto.

4)
La ricorrente e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Forwood

Pirrung

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 luglio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung

Table des matières

Fatti e procedimento

    Procedimento amministrativo

    Prodotti in questione

    Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

    Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

    Dispositivo della decisione impugnata

    Procedimento dinanzi al Tribunale

Conclusioni delle parti

Sulla domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata

    Sul motivo relativo all’inesistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul motivo avente ad oggetto la violazione dei diritti della difesa risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo all’esame delle prove addotte per stabilire l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

Sulla domanda di annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata

        Sul motivo relativo alle conseguenze, per la constatazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, dell’inesistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della stessa

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul motivo riguardante l’errore di valutazione relativo alla durata dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

Sulla domanda di annullamento dell’ammenda

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda

    Sul motivo vertente su un errore di valutazione per quanto riguarda la gravità dell’infrazione

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul motivo vertente sulla violazione del principio del legittimo affidamento

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul motivo vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

Sul calcolo dell’importo dell’ammenda

Sulla richiesta d’ingiunzione alla Commissione di rimborsare l’importo dell’ammenda o, in subordine, l’importo a concorrenza del quale è stata ridotta, maggiorato degli interessi

Sulle spese



1
Lingua processuale: l'inglese.