Language of document : ECLI:EU:T:2011:619

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

25 ottobre 2011 (*)

«Dumping – Importazioni di ferrosilicio originarie dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, della Cina, dell’Egitto, del Kazakhstan e della Russia – Nesso causale – Interesse della Comunità – Mancata cooperazione – Dati disponibili – Status di impresa operante in economia di mercato – Diritti della difesa – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑192/08,

Transnational Company «Kazchrome» AO, con sede in Aqtöbe (Kazakhstan),

ENRC Marketing AG, con sede in Kloten (Svizzera),

rappresentate inizialmente dagli avv.ti L. Ruessmann e A. Willems, successivamente dagli avv.ti Willems e S. de Knop,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dal sig. J.-P. Hix, successivamente dai sigg. Hix e B. Driessen, in qualità di agenti, assistiti inizialmente dagli avv.ti G. Berrisch e G. Wolf, successivamente dall’avv. Berrisch,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione europea, rappresentata dal sig. H. van Vliet e dalla sig.ra K. Talabér-Ritz, in qualità di agenti,

e da:

Euroalliages, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti J. Bourgeois, Y. van Gerven e N. McNelis,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 25 febbraio 2008, n. 172, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di ferrosilicio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Egitto, del Kazakstan, dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e della Russia (GU L 55, pag. 6), nella parte riguardante le ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto dalle sig.re I. Pelikánová, presidente, K. Jürimäe (relatore) e dal sig. S. Soldevila Fragoso, giudici,

cancelliere: sig. N. Rosner, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Le ricorrenti, la Transnational Company Kazchrome AO (in prosieguo: la «Kazchrome») e la ENRC Marketing AG, operano nella produzione e nella vendita di ferrosilicio, una delle materie prime utilizzate nella produzione dell’acciaio e del ferro. La Kazchrome, che ha sede nel Kazakhstan, vende la sua intera produzione alla ENRC Marketing, che ha sede in Svizzera. Quest’ultima rivende la produzione della Kazchrome in tutto il mondo.

2        In seguito a una denuncia depositata il 16 ottobre 2006 da Euroalliages (il comitato di coordinamento dell’industria delle ferro-leghe), la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di ferrosilicio originarie dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, della Cina, dell’Egitto, del Kazakhstan e della Russia, conformemente al regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato (in prosieguo: il «regolamento di base») [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 30 novembre 2009, n. 1225, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 343, pag. 51, rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22)], e in particolare conformemente all’art. 5 del regolamento di base (divenuto art. 5 del regolamento n. 1225/2009). L’avviso di apertura del procedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30 novembre 2006 (GU C 291, pag. 34). L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha avuto ad oggetto il periodo 1° ottobre 2005-30 settembre 2006 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’esame delle tendenze utili ai fini della valutazione del pregiudizio ha coperto il periodo dal gennaio 2003 fino alla fine del periodo dell’inchiesta (in prosieguo: il «periodo considerato»).

3        Nell’ambito di tale procedimento, il 15 dicembre 2006 le ricorrenti hanno depositato, presso i servizi della Commissione, una domanda di concessione dello status di impresa operante in economia di mercato (in prosieguo: il «SEM») in attuazione dell’art. 2, n. 7, lett. b) e c), del regolamento di base [divenuto art. 2, n. 7, lett. b) e c), del regolamento n. 1225/2009].

4        Il 12 gennaio 2007 le ricorrenti hanno depositato le loro risposte al questionario antidumping della Commissione, nonché un documento relativo al pregiudizio. Il 25 gennaio 2007 le ricorrenti hanno comunicato alla Commissione talune osservazioni complementari riguardo al pregiudizio.

5        Con lettera datata 14 febbraio 2007 le ricorrenti hanno comunicato alla Commissione di rinunciare a partecipare all’inchiesta, ma di essere pronte a fornire spiegazioni riguardo ai dati che le avevano già comunicato. Con fax recante la stessa data la Commissione ha informato le ricorrenti dell’annullamento della visita di verifica prevista tra il 22 febbraio e il 2 marzo 2007. Essa ha sottolineato che tale annullamento significava che, in assenza di verifica, i dati comunicati dalle ricorrenti ai suoi servizi non potevano essere accettati e che, conformemente all’art. 18 del regolamento di base (divenuto art. 18 del regolamento n. 1225/2009), sarebbe probabilmente stato necessario basare le conclusioni dell’inchiesta sulla base dei dati disponibili. Con lettera datata 20 febbraio 2007, le ricorrenti hanno comunicato alla Commissione che, pur non potendo cooperare pienamente all’inchiesta, esse desideravano prestarle assistenza, per quanto possibile, nell’ambito dell’inchiesta stessa.

6        Il 5 luglio 2007 la Commissione ha informato le ricorrenti che, non avendo potuto verificare nei loro locali i dati che avevano depositato, esse non si sarebbero viste accordare il SEM. Il 16 luglio 2007 le ricorrenti hanno fatto pervenire alla Commissione le loro osservazioni riguardanti in particolare il rifiuto di concessione del SEM.

7        Il 29 agosto 2007 la Commissione ha pubblicato il regolamento (CE) 28 agosto 2007, n. 994, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di ferrosilicio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Egitto, del Kazakstan, dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e della Russia (GU L 223, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Il regolamento provvisorio ha istituito, tra l’altro, un dazio antidumping provvisorio il cui tasso è stato fissato al 33,9% per le importazioni di ferrosilicio originario del Kazakhstan. Al ‘considerando’ 25 del regolamento provvisorio la Commissione ha precisato che la domanda di concessione del SEM formulata dalle ricorrenti non era stata presa in considerazione poiché queste ultime non avevano permesso che la visita di verifica avesse luogo.

8        Con lettera datata 30 agosto 2007, la Commissione ha comunicato alle ricorrenti i fatti e le considerazioni essenziali sulla cui base erano state adottate le misure antidumping provvisorie (in prosieguo: il «documento di informazione provvisorio»). Con lettera del 15 settembre 2007, la Commissione ha fatto pervenire alle ricorrenti un complemento del documento di informazione provvisorio. Il 5 ottobre 2007 le ricorrenti hanno comunicato alla Commissione le loro osservazioni sul documento di informazione provvisorio.

9        Il 18 dicembre 2007 la Commissione ha inviato alle ricorrenti una lettera contenente i fatti e le considerazioni essenziali sulla base delle quali essa intendeva raccomandare l’istituzione di misure antidumping definitive (in prosieguo: il «documento di informazione finale»). Le ricorrenti hanno presentato le loro osservazioni sul documento di informazione finale, con lettera inviata alla Commissione il 3 gennaio 2008.

10      Il 25 febbraio 2008 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 172/2008, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di ferrosilicio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Egitto, del Kazakstan, dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e della Russia (GU L 55, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). In forza del regolamento impugnato, l’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, è stata fissata al 33,9% per i prodotti originari del Kazakhstan.

 Procedimento e conclusioni delle parti

11      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 maggio 2008, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

12      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente il 1° e il 3 settembre 2008, Euroalliages e la Commissione hanno chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

13      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 ottobre 2008, le ricorrenti hanno chiesto che, in applicazione dell’art. 116, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, taluni elementi riservati del fascicolo venissero esclusi dalla comunicazione a Euroalliages. Ai fini di tale comunicazione, le ricorrenti hanno prodotto una versione non riservata delle memorie e dei documenti di cui trattasi.

14      Con ordinanze 2 dicembre 2008 e 16 febbraio 2009, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso rispettivamente le domande di intervento della Commissione e di Euroalliages.

15      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 10 marzo 2009, Euroalliages ha dichiarato di non avere obiezioni riguardo alla domanda di trattamento riservato formulata dalle ricorrenti.

16      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 giugno 2009, la Commissione ha comunicato al Tribunale che rinunciava a depositare una memoria di intervento, ma che avrebbe preso parte all’udienza.

17      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui le riguarda;

–        condannare il Consiglio alle spese.

18      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

19      Euroalliages chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese, comprese quelle sostenute a causa del suo intervento.

 In diritto

20      A sostegno della domanda di annullamento, le ricorrenti fanno valere quattro motivi. Nell’ambito del primo motivo, esse contestano l’accertamento di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio. Nell’ambito del secondo motivo, esse mettono in discussione l’analisi dell’interesse comunitario. Nell’ambito del terzo motivo esse criticano la valutazione fatta dalle istituzioni circa la loro cooperazione all’inchiesta, l’applicazione dell’art. 18 del regolamento di base e il trattamento della domanda di concessione del SEM. Nell’ambito del quarto motivo, esse invocano una violazione dei loro diritti della difesa.

A –  Sul primo motivo, attinente al nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio

21      Le censure fatte valere dalle ricorrenti nell’ambito del primo motivo possono essere raggruppate in tre categorie:

–        in primo luogo, le censure legate all’interpretazione dei principi giuridici che disciplinano l’analisi del nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, ove le ricorrenti invocano, nell’ambito del primo capo, la sussistenza di errori di diritto nell’interpretazione dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base (divenuto art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento n. 1225/2009);

–        in secondo luogo, le censure relative all’analisi individuale dedicata dalle istituzioni a un certo numero di fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping e che hanno potuto causare il pregiudizio subito dall’industria comunitaria o contribuire ad esso, ove le ricorrenti fanno valere, a tale titolo, nell’ambito dei capi dal secondo all’ottavo, errori manifesti di valutazione nonché diverse violazioni commesse dalle istituzioni nell’analisi individuale di taluni fattori di pregiudizio;

–        in terzo luogo, le censure relative alla mancanza di analisi collettiva dei vari fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping, ove le ricorrenti lamentano, più in particolare, nell’ambito del primo e dell’ottavo capo, un errore manifesto di valutazione commesso dalle istituzioni in quanto avrebbero omesso di effettuare un’analisi collettiva dei suddetti fattori.

22      Queste tre categorie di censure verranno esaminate in successione.

1.     Sull’interpretazione dei principi giuridici applicabili all’analisi del nesso di causalità (primo capo del primo motivo)

a)     Argomenti delle parti

23      Nell’ambito del primo capo del primo motivo le ricorrenti sostengono che il metodo adottato dal Consiglio nello stabilire il nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio è viziato da due errori di diritto.

24      In primo luogo, le ricorrenti affermano che l’approccio del Consiglio riflette una divisione artificiale dell’analisi di imputazione e non imputazione del pregiudizio. Ai sensi dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base, per un’analisi adeguata del nesso di causalità sarebbe necessario prendere in considerazione gli altri fattori noti sin dall’inizio, per evitare una confusione tra l’incidenza delle importazioni oggetto del procedimento di inchiesta e quella degli altri fattori. Le istituzioni, pertanto, non avrebbero potuto concludere che le importazioni oggetto del procedimento di inchiesta avevano causato il pregiudizio senza esaminare, preliminarmente, se non fossero stati in realtà altri fattori a determinarlo.

25      In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che dai rapporti dell’organo di appello dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale emerge che l’incidenza dei fattori causali dev’essere esaminata collettivamente.

26      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, ribatte, da un lato, che, per stabilire se le importazioni oggetto di dumping hanno causato un pregiudizio notevole, occorre esaminare anzitutto se il pregiudizio sia stato determinato dalle suddette importazioni, tenuto conto in particolare del volume e dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping e del calcolo della sotto-quotazione. Soltanto ove l’esistenza di tale nesso di causalità sia stata accertata, sarebbe allora necessario esaminare se altri fattori fossero idonei ad aver contribuito al pregiudizio in una misura tale da interrompere il nesso di causalità. Dall’altro lato, il Consiglio sostiene che sul piano giuridico nulla impone l’esame collettivo degli altri fattori, che un esame del genere non viene effettuato in pratica e che esso non costituisce un principio sancito dal giudice dell’Unione.

b)     Giudizio del Tribunale

27      Il primo capo del primo motivo riguarda, in sostanza, le condizioni di applicazione dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base. Ai sensi di tale disposizione, il Consiglio e la Commissione sono tenuti a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere invece ogni danno derivante da altri fattori (sentenza della Corte 11 giugno 1992, causa C‑358/89, Extramet Industrie/Consiglio, Racc. pag. I‑3813, punto 16, e sentenza del Tribunale 14 marzo 2007, causa T‑107/04, Aluminium Silicon Mill Products/Consiglio, Racc. pag. II‑669, punto 72).

28      In primo luogo, occorre stabilire se, come affermato dalle ricorrenti, tale disposizione imponga alle istituzioni di esaminare, in una prima fase, l’incidenza delle importazioni oggetto di dumping e degli altri fattori noti sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria, prima di concludere, in una seconda fase, nel senso dell’esistenza di un nesso di causalità tra le dette importazioni e il dumping o se, come afferma il Consiglio, sia necessario esaminare anzitutto se il pregiudizio sia stato causato dalle suddette importazioni e quindi, una volta accertato tale nesso causale, se altri fattori possano aver contribuito al pregiudizio in modo tale da interrompere il nesso causale stesso.

29      Per rispondere a tale questione, occorre analizzare il tenore letterale, l’oggetto e il contesto dell’art. 3, nn. 6 e7, del regolamento di base.

30      Innanzitutto, per quanto riguarda il tenore letterale di tale disposizione, dall’art. 3, n. 6, del regolamento di base deriva che le istituzioni debbono dimostrare che le importazioni oggetto di dumping causano un pregiudizio notevole all’industria comunitaria, tenuto conto del loro volume e dei loro prezzi. Si tratta della cosiddetta analisi di imputazione. Emerge poi dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base che le istituzioni sono tenute, da un lato, ad esaminare tutti gli altri fattori noti che causano un pregiudizio all’industria comunitaria, contemporaneamente alle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro lato, a evitare che il pregiudizio dovuto a questi altri fattori sia attribuito alle suddette importazioni. Si tratta della cosiddetta analisi di non imputazione.

31      Inoltre, come osservato tanto dalle ricorrenti quanto dal Consiglio nei rispettivi atti, l’obiettivo dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base è di far sì che le istituzioni tengano separati e distinti gli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping e quelli degli altri fattori. Se le istituzioni omettessero di separare e distinguere l’impatto dei diversi fattori di pregiudizio, non potrebbero validamente concludere che le importazioni oggetto di dumping hanno causato un pregiudizio all’industria comunitaria.

32      Infine, quanto al contesto di tale disposizione, nei limiti in cui, ai sensi del quinto ‘considerando’ del regolamento di base (divenuto terzo ‘considerando’ del regolamento n. 1225/2009), l’art. 3, nn. 6 e 7, del suddetto regolamento costituisce la trasposizione nel diritto dell’Unione dell’art. 3.5 dell’Accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), figurante all’allegato 1 A dell’Accordo che istituisce l’OMC (GU 1994, L 336, pag. 3), occorre far riferimento a tale disposizione nonché all’interpretazione che ne è stata data dall’organo per la risoluzione delle controversie dell’OMC.

33      Occorre ricordare, al riguardo, che secondo una giurisprudenza costante, tenuto conto della loro natura e del loro impianto sistematico, gli accordi dell’OMC non compaiono in linea di principio tra le norme alla luce delle quali il giudice dell’Unione controlla la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione ai sensi dell’art. 230, primo comma, CE (sentenze della Corte 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑8395, punto 47, e 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. I‑79, punto 53). Tuttavia, nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto dell’Unione rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC, spetta al giudice dell’Unione controllare la legittimità dell’atto comunitario controverso alla luce delle norme dell’OMC (sentenze della Corte Portogallo/Consiglio, cit., punto 49; Petrotub e Republica/Consiglio, cit., punto 54, e 27 settembre 2007, causa C‑351/04, Ikea Wholesale, Racc. pag. I‑7723, punto 30).

34      Orbene, risulta dal ‘considerando’ 5 del regolamento base antidumping che tale regolamento ha in particolare lo scopo di recepire nel diritto dell’Unione, nella maggior misura possibile, le norme contenute nell’accordo antidumping del 1994, tra le quali compaiono, in particolare, quelle relative all’accertamento di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio (v., in tal senso, sentenza Petrotub e Republica/Consiglio, cit. supra al punto 33, punto 55).

35      Di conseguenza, le disposizioni del regolamento di base devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce delle disposizioni corrispondenti dell’accordo antidumping (v., in tal senso, sentenza della Corte 14 luglio 1998, causa C‑341/95, Bettati, Racc. pag. I‑4355, punto 20, e Petrotub e Republica/Consiglio, cit. supra al punto 33, punto 57).

36      Per di più, anche se le interpretazioni dell’accordo antidumping adottate dall’organo per la risoluzione delle controversie dell’OMC non possono vincolare il Tribunale nella sua valutazione della validità del regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza della Corte 1° marzo 2005, causa C‑377/02, Van Parys, Racc. pag. I‑1465, punto 54), nulla impedisce al Tribunale di farvi riferimento, allorché si tratti di procedere, come nel caso di specie, all’interpretazione di una disposizione del regolamento di base (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 24 settembre 2008, causa T‑45/06, Reliance Industries/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2399, punto 107).

37      In tale contesto, occorre rilevare che l’organo di appello dell’OMC, nel suo rapporto relativo alla controversia «Stati Uniti – Acciaio laminato a caldo», adottato il 23 agosto 2001 (WT/DS184AB/R, punto 226), ha osservato che per conformarsi al dettato dell’art. 3.5 dell’accordo antidumping relativo alla non imputazione, le autorità incaricate dell’inchiesta dovevano procedere a una valutazione appropriata del pregiudizio causato all’industria nazionale dagli altri fattori noti nonché a separare e distinguere gli effetti dannosi delle importazioni oggetto di dumping e gli effetti dannosi di questi altri fattori.

38      Tenuto conto di quanto precede, occorre concludere che l’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base non impone alle istituzioni alcun obbligo riguardo alla forma o all’ordine delle analisi di imputazione e di non imputazione che esse sono tenute ad effettuare. Per contro, tale disposizione prevede che queste analisi debbano essere condotte in modo tale da permettere di tenere separati e distinti gli effetti dannosi delle importazioni oggetto di dumping da quelli causati da altri fattori.

39      Di conseguenza, occorre constatare che la controversia che contrappone le parti nel caso di specie è di ordine semantico e non di natura sostanziale. Infatti, il modo in cui il Consiglio descrive, nei suoi atti, il metodo applicato dalle istituzioni per procedere alle analisi di imputazione e di non imputazione non ha grande importanza, dato che il metodo effettivamente applicato dal Consiglio e dalla Commissione nel caso di specie ha consentito loro di assicurarsi che il pregiudizio causato da fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping non fosse stato imputato a queste ultime. Infatti, le istituzioni hanno esaminato, in una prima fase, l’effetto delle importazioni oggetto di dumping, ai ‘considerando’ 112‑114 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 85 e 86 del regolamento impugnato. In una seconda fase, ai ‘considerando’ 115-136 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 87-101 del regolamento impugnato, esse hanno analizzato gli effetti degli altri fattori. In una terza fase, ai ‘considerando’ 137-140 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 102-104 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno proceduto a una breve sintesi delle analisi di imputazione e di non imputazione e hanno tratto le loro conclusioni riguardo al nesso di causalità. Anche se i fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping sono stati presi in considerazione solo in un secondo momento, le istituzioni tuttavia hanno formulato le loro conclusioni definitive riguardo all’imputazione del pregiudizio solo alla fine di questa seconda fase, per cui gli effetti dannosi delle importazioni oggetto di dumping hanno potuto essere separati e distinti da quelli causati da altri fattori.

40      Pertanto, nel caso di specie, l’analisi del nesso di causalità contenuta ai ‘considerando’ 111‑140 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 83-104 del regolamento impugnato non è viziata da un errore di diritto, in quanto le istituzioni hanno effettuato prima l’analisi di imputazione e poi quella di non imputazione.

41      In secondo luogo, occorre stabilire se, come sostenuto dalle ricorrenti, i fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping debbano essere esaminati collettivamente o se, come afferma il Consiglio, debbano essere esaminati individualmente. Così come quella precedente, la presente questione va trattata alla luce del tenore letterale, dell’obiettivo e del contesto dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base.

42      Anzitutto, per quanto riguarda il tenore letterale dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base, come riportato supra al punto 30, va rilevato che tale disposizione non precisa se i fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping debbano essere analizzati collettivamente o individualmente.

43      Inoltre, come indicato supra al punto 31, l’obiettivo dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base, è di tener separati e distinti gli effetti dannosi delle importazioni oggetto di dumping da quelli degli altri fattori, in modo da non imputare il pregiudizio causato da questi altri fattori alle suddette importazioni. Per raggiungere tale obiettivo, in talune circostanze è necessaria un’analisi collettiva degli altri fattori. Questo avviene, in particolare, se le istituzioni, al termine di un’analisi individuale, concludono che ognuno di questi altri fattori ha un effetto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria, senza che tale incidenza possa essere considerata significativa. Come rilevato dalle ricorrenti nei loro atti, se dieci fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping hanno causato complessivamente il 99% del pregiudizio, senza che nessuno di essi abbia avuto un impatto significativo sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria, le istituzioni continueranno a ritenere che le suddette importazioni hanno determinato il pregiudizio concreto, poiché nessuno degli altri dieci fattori, preso singolarmente, verrà considerato come causa del pregiudizio. Una simile analisi non si può ritenere conforme all’obiettivo dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base.

44      Infine, l’analisi contestuale di tale disposizione conferma che, in talune circostanze, è necessaria un’analisi collettiva degli altri fattori. Come è già stato osservato, obiettivo dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base è di trasporre nel diritto dell’Unione l’art. 3.5 dell’accordo antidumping. Orbene, nel rapporto relativo alla controversia «Comunità europee – Accessori per tubi», adottato il 18 agosto 2003 (WT/DS219/AB/R, punti 190 e 192), l’organo di appello dell’OMC ha dichiarato che, sebbene l’art. 3.5 dell’accordo antidumping non imponesse, in ciascun caso, una valutazione degli effetti collettivi degli altri fattori causali, potevano esistere casi in cui, in ragione delle circostanze di fatto ad essi specifiche, il fatto di non effettuare alcun esame dell’incidenza collettiva degli altri fattori causali avrebbe per conseguenza che l’autorità incaricata dell’inchiesta attribuirebbe a torto gli effetti degli altri fattori causali alle importazioni oggetto di dumping. Secondo l’organo di appello dell’OMC, un’autorità incaricata dell’indagine non è tenuta ad esaminare l’incidenza collettiva degli altri fattori causali, a patto che, tenuto conto delle circostanze di fatto specifiche della causa, essa adempia al proprio obbligo di non imputare alle importazioni oggetto di dumping i pregiudizi determinati dagli altri fattori causali.

45      Di conseguenza, occorre considerare, come fanno le ricorrenti, che in talune circostanze può essere necessaria un’analisi collettiva degli effetti dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping. Ciò avviene, in particolare, allorché le istituzioni abbiano concluso, per un gran numero di fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping, che essi hanno potuto contribuire al pregiudizio, ma che il loro impatto, singolarmente, non poteva essere considerato significativo.

46      Pertanto, occorre considerare che l’interpretazione dell’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base proposta dal Consiglio non nel regolamento impugnato, ma unicamente nei suoi atti, è erronea. Tuttavia, questo non significa peraltro che il regolamento impugnato sia viziato da un errore tale da giustificare l’annullamento del regolamento stesso. Infatti, in tale regolamento, il Consiglio si è limitato a procedere all’analisi individuale dei diversi fattori di pregiudizio senza indicare affatto che esso non riteneva necessaria un’analisi collettiva dei suddetti fattori. Di conseguenza, si può concludere che esiste un errore di diritto che vizia il regolamento impugnato solo se si conclude altresì che, nel caso di specie, era necessaria una simile analisi collettiva.

47      Orbene, come emerge dal punto 45 della presente sentenza, occorre procedere all’esame delle censure dedotte dalle ricorrenti riguardo all’analisi individuale di ciascuno degli altri fattori noti di pregiudizio prima di poter stabilire se un’analisi collettiva fosse necessaria nella fattispecie. Pertanto, solo alla fine dell’esame, effettuato ai punti 49-215 qui di seguito, diretto a verificare, da un lato, se l’analisi individuale degli altri fattori di pregiudizio noti non sia viziata da illegalità e, dall’altro lato, se le circostanze del caso di specie imponessero un’analisi collettiva degli altri fattori di pregiudizio, si potrebbe concludere che il Consiglio, limitandosi ad un’analisi individuale dei fattori di pregiudizio, è incorso in un errore di diritto.

48      Per contro, occorre respingere sin da ora il primo capo del primo motivo, in quanto derivante da un errore di diritto relativo al metodo delle istituzioni riguardo all’analisi del nesso di causalità.

2.     Sull’analisi individuale dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping (dal secondo all’ottavo capo del primo motivo)

49      In via preliminare, occorre ricordare i principi giurisprudenziali alla luce dei quali vanno esaminate le diverse censure sollevate dalle ricorrenti riguardo all’analisi individuale dei differenti fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

50      Secondo la giurisprudenza citata. supra al punto 27, il Consiglio e la Commissione sono tenuti a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere ogni danno derivante da altri fattori.

51      Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, il problema di sapere se l’industria comunitaria abbia subito un danno e se quest’ultimo sia imputabile alle importazioni oggetto di dumping nonché quello di sapere se altri fattori noti abbiano contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria presuppongono la valutazione di questioni economicamente complesse, in ordine alla quale le istituzioni dispongono di un ampio potere discrezionale. Il sindacato del giudice comunitario sulle valutazioni delle istituzioni deve pertanto limitarsi all’accertamento del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata e dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere (v., in tal senso, sentenze del Tribunale Aluminium Silicon Mill Products/Conseil, cit. supra al punto 27, punto 71, e 17 dicembre 2008, causa T‑462/04, HEG e Graphite India/Consiglio, Racc. pag. II‑3685, punto 120).

a)     Sul secondo capo del primo motivo, attinente all’evoluzione della domanda di acciaio e dei prezzi sui mercati comunitario e mondiale

 Argomenti delle parti

52      Secondo le ricorrenti il ‘considerando’ 85 del regolamento impugnato è viziato da un errore manifesto di valutazione e viola l’art. 3, nn. 3 e 6, del regolamento di base, in quanto la pressione sui prezzi comunitari non si potrebbe imputare alle importazioni oggetto di dumping, bensì all’evoluzione dei prezzi sul mercato mondiale e a quella della domanda di acciaio.

53      Infatti, in primo luogo, i prezzi del ferrosilicio avrebbero la medesima evoluzione in ognuno dei grandi mercati mondiali e l’evoluzione del prezzo comunitario rifletterebbe la dinamica del mercato mondiale. Secondo le ricorrenti, poiché i prezzi su tutti i mercati erano in ribasso, specie tra il 2005 e la fine del periodo dell’inchiesta, è manifestamente irragionevole sostenere che, senza le importazioni oggetto di dumping, i prezzi nella Comunità sarebbero aumentati per coprire i costi crescenti dell’industria comunitaria maggiorati di un margine di profitto equo.

54      In secondo luogo, il basso livello dei prezzi del ferrosilicio sarebbe determinato non dalle importazioni oggetto di dumping, bensì dall’evoluzione della domanda. Lo stesso Consiglio avrebbe ammesso, nel regolamento impugnato, che i prezzi del ferrosilicio seguono le fluttuazioni della domanda. Tuttavia, esso avrebbe erroneamente analizzato l’evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità alla luce di quella della produzione mondiale di acciaio grezzo, mentre tali prezzi sono determinati dalla produzione di acciaio nella Comunità. L’evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità aveva rispecchiato proprio quella della domanda di acciaio e i suddetti prezzi erano diminuiti in proporzione alla stagnazione e al calo della domanda nella Comunità. Pertanto, le ricorrenti ritengono che, anche se non vi fosse stata una sotto-quotazione a causa delle importazioni oggetto di dumping, l’industria comunitaria avrebbe subito delle perdite dovute all’aumento dei costi e al simultaneo calo della domanda.

55      In terzo luogo, le ricorrenti fanno osservare che, durante il periodo dell’inchiesta, il ferrosilicio è stato venduto ad un prezzo più elevato nella Comunità che non sugli altri mercati. Orbene, in un mercato mondiale nel quale i prezzi tendono all’equilibrio, non si può sostenere che i prezzi del mercato sul quale sono più elevati sono stati ingiustamente sotto‑quotati o deprezzati.

56      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

57      Il secondo capo del primo motivo riguarda, in sostanza, la valutazione operata dalle istituzioni circa il ruolo dell’evoluzione mondiale dei prezzi del ferrosilicio e della domanda del settore siderurgico, in quanto altri fattori noti che abbiano potuto causare il pregiudizio subito dall’industria comunitaria o vi abbiano potuto contribuire.

58      A questo proposito, occorre rilevare, da un lato, che il Consiglio ha affermato, al ‘considerando’ 85 del regolamento impugnato, che a causa delle importazioni oggetto di dumping l’industria comunitaria non era stata in grado di aumentare i suoi prezzi di vendita a un livello sufficiente a coprire integralmente i costi. Dall’altro lato, ai ‘considerando’ 87-90 del regolamento impugnato, il Consiglio ha esposto i motivi per cui aveva deciso di respingere la tesi secondo cui il basso livello dei prezzi del ferrosilicio era legato alla dinamica del mercato mondiale che, a sua volta, evolve in base alle fluttuazioni della domanda del settore siderurgico, e non alle importazioni oggetto di dumping. Dapprima il Consiglio ha spiegato che, nelle economie di mercato, i prezzi sono in genere determinati dal livello della domanda e dell’offerta, ma che un ruolo importante può essere svolto da altri fattori, quali la presenza di importazioni a basso prezzo oggetto di dumping. Esso ha poi precisato che, pur essendo innegabile che in alcune fasi del periodo dell’inchiesta la domanda mondiale di ferrosilicio, soprattutto da parte dell’industria siderurgica, avesse inciso sulla fissazione del prezzo, in alcune fasi i prezzi del ferrosilicio erano diminuiti nonostante la domanda in crescita. Infine, esso ha osservato che, anche a livello comunitario, i prezzi del ferrosilicio avevano avuto in alcuni momenti una diminuzione nonostante un aumento della domanda da parte dell’industria siderurgica.

59      Le ricorrenti contestano questa conclusione sulla base di tre argomenti. Anzitutto, dato che i prezzi sul mercato mondiale erano in diminuzione, specie tra il 2005 e la fine del periodo dell’inchiesta, anche in assenza delle importazioni oggetto di dumping i prezzi comunitari non avrebbero potuto aumentare. Inoltre, i prezzi comunitari del ferrosilicio avrebbero seguito le fluttuazioni della produzione comunitaria di acciaio e si sarebbero modificati contemporaneamente alla stagnazione o alla diminuzione della domanda del settore siderurgico comunitario. Infine, i prezzi sul mercato comunitario sarebbero i più alti al mondo, il che escluderebbe qualsiasi sotto-quotazione o deprezzamento.

60      Orbene, nessuno dei tre argomenti è atto a dimostrare che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione e ha violato l’art. 3, nn. 6 e 7, del regolamento di base.

61      Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda l’argomento attinente all’evoluzione dei prezzi sul mercato mondiale, occorre osservare che a sostegno di tale argomento le ricorrenti fanno riferimento ad una tabella riportata nel ricorso dalla quale, a loro avviso, emerge che i prezzi del ferrosilicio seguono la stessa evoluzione su tutti i mercati mondiali strategici e che l’evoluzione del prezzo comunitario si limita a riflettere la dinamica del mercato mondiale. Anche se effettivamente la suddetta tabella indica che il prezzo comunitario del ferrosilicio segue nel complesso la stessa evoluzione dei prezzi negli Stati Uniti e in Giappone, essa non conferma affatto che i prezzi sul mercato mondiale fossero in diminuzione durante tutto il periodo considerato, ossia dal 1° gennaio 2003 al 30 settembre 2006 o, quanto meno, tra il gennaio 2005 e la fine del periodo dell’inchiesta, ossia il 30 settembre 2006. Al contrario, dalla stessa tabella emerge che tra il 2003 e il 2004 e durante il periodo dell’inchiesta i prezzi sono aumentati. Queste tendenze sono confermate dai dati relativi ai prezzi medi nella Comunità figuranti al ‘considerando’ 96 del regolamento provvisorio, dati che non sono stati contestati dalle ricorrenti. Pertanto, queste ultime non possono affermare che, in assenza delle importazioni oggetto di dumping, i prezzi comunitari sarebbero aumentati ad un livello tale da permettere all’industria comunitaria di far fronte ai suoi costi in aumento nonché di ottenere un equo margine di profitto.

62      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento attinente alle fluttuazioni della domanda del settore siderurgico e all’analisi dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità rispetto alla produzione mondiale di acciaio grezzo, occorre osservare che le ricorrenti respingono il grafico prodotto dalle istituzioni nel documento di informazione finale che illustra l’evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità alla luce della produzione mondiale di acciaio grezzo, e rinviano, a sostegno del loro argomento, a un grafico riprodotto in un allegato al ricorso, il quale illustra l’evoluzione dei prezzi comunitari del ferrosilicio rispetto a quella della produzione comunitaria di acciaio. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il detto grafico non permette di dimostrare che i prezzi comunitari del ferrosilicio hanno seguito le fluttuazioni della produzione comunitaria dell’acciaio e si sono modificati contemporaneamente alla stagnazione o alla diminuzione della domanda dell’industria siderurgica comunitaria.

63      Infatti, innanzitutto va rilevato, al pari del Consiglio, che tale grafico indica che i prezzi comunitari non hanno sempre seguito le fluttuazioni della produzione di acciaio comunitaria. Per esempio, dal grafico risulta che nel 2004, in un momento in cui la produzione comunitaria di acciaio era aumentata, i prezzi hanno continuato a diminuire. Parimenti, nel 2006, secondo il grafico, la produzione di acciaio è diminuita mentre i prezzi sono aumentati. Questi esempi tendono a confermare che il grafico prodotto dalle ricorrenti non basta a suffragare la loro tesi secondo cui il calo della domanda ha causato la diminuzione dei prezzi.

64      Inoltre, occorre sottolineare che il grafico non indica una contrazione della domanda durante tutto il periodo considerato. Esso infatti descrive un aumento della produzione di acciaio, dal terzo trimestre 2003 fino al secondo trimestre 2004, dal quarto trimestre 2004 al secondo trimestre 2005 e durante i primi tre trimestri del periodo dell’inchiesta, che va dal 1° ottobre 2005 al 30 settembre 2006. Dal grafico emerge poi che i prezzi del ferrosilicio nella Comunità sono aumentati, dal terzo trimestre 2003 fino al secondo trimestre 2004 e durante tutto il periodo dell’inchiesta. Tenuto conto di queste evoluzioni positive, non basta affermare che i prezzi comunitari si sono modificati contemporaneamente alla stagnazione o alla diminuzione della domanda dell’industria comunitaria per dimostrare che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione sostenendo che, a causa delle importazioni oggetto di dumping, l’industria comunitaria non era stata in grado di aumentare i suoi prezzi di vendita in modo sufficiente da coprire i propri costi. Le ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare che l’aumento della produzione di acciaio, durante i periodi sopra citati, era stato troppo limitato per comportare un rialzo dei prezzi che permettesse ai produttori comunitari di ferrosilicio di trasferire l’aumento dei costi di produzione sui consumatori, cosa che esse non hanno fatto.

65      Infine, per quanto riguarda l’argomento relativo ai prezzi nella Comunità il cui livello sarebbe tale da non poter affermare che essi sono stati ingiustamente sotto-quotati o abbassati, va ricordato che la sotto-quotazione e la depressione dei prezzi sono concetti giuridici cui si fa riferimento all’art. 3, n. 3, del regolamento di base (divenuto art. 3, n. 3, del regolamento n. 1225/2009). Schematicamente, per determinare la sotto-quotazione, ai sensi di tale disposizione, le istituzioni procedono ad un confronto tra i prezzi comunitari e i prezzi adeguati delle importazioni, in modo da ottenere un margine di sotto-quotazione espresso in percentuale. Del pari, una volta accertato che i prezzi comunitari sono stati diminuiti o non sono aumentati a sufficienza, le istituzioni procedono, sempre schematicamente, ad un confronto dei prezzi all’importazione rispetto a un prezzo comunitario obiettivo, ossia rispetto al prezzo che sarebbe stato raggiunto, in assenza delle importazioni oggetto di dumping, per ottenere un margine di eliminazione del pregiudizio, anche questo espresso in percentuale. Nel caso di specie, dai ‘considerando’ 87-89 e 112 del regolamento provvisorio emerge che le istituzioni hanno determinato la sotto-quotazione dei prezzi applicando l’art. 3, n. 3, del regolamento di base. Infatti, al ‘considerando’ 89 del regolamento provvisorio, la Commissione afferma di aver calcolato dei margini di sotto-quotazione compresi tra il 4 e l’11% a seconda dei produttori-esportatori, ad eccezione di tre produttori-esportatori per i quali non era stata constatata alcuna sotto-quotazione. Orbene, le ricorrenti non deducono alcun argomento atto a confutare il calcolo dei margini di sotto-quotazione compiuto dalle istituzioni. Limitarsi a constatare che i prezzi comunitari sono i più alti al mondo non può costituire una simile confutazione.

66      Tenuto conto di quanto precede, deve concludersi che nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione affermando che l’industria comunitaria non era stata in grado di aumentare i suoi prezzi di vendita in modo sufficiente da coprire integralmente i suoi costi non a causa della dinamica del mercato mondiale e delle fluttuazioni della domanda del settore siderurgico, bensì a causa delle importazioni oggetto di dumping.

67      Pertanto, occorre respingere in quanto infondato il secondo capo del primo motivo.

b)     Sul terzo capo del primo motivo, attinente agli effetti del pregiudizio che l’industria comunitaria si sarebbe autoinflitta

 La prima censura, relativa alle riconversioni di produzione da parte di taluni produttori comunitari

–       Argomenti delle parti

68      Le ricorrenti sostengono che il Consiglio non ha tenuto adeguatamente conto dell’impatto, sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria, delle riconversioni di produzione volontarie attuate dalla Huta Laziska SA, OFZ a.s. e dalla Vargön Alloys AB, nel 2004, anno definito nel regolamento impugnato come «di eccezionale prosperità».

69      In primo luogo, le istituzioni avrebbero commesso un errore di fatto grossolano che ha inciso notevolmente sull’analisi del nesso di causalità in quanto, mentre dal ‘considerando’ 135 del regolamento provvisorio emerge che nel 2004 due produttori comunitari di ferrosilicio avevano riconvertito la loro produzione verso quella delle leghe di manganese, dal ‘considerando’ 93 di questo stesso regolamento risulta che la riduzione della produzione di ferrosilicio era stata presa in considerazione soltanto a partire dal 2005. Orbene, la decisione di ridurre la produzione di ferrosilicio, in un momento in cui le condizioni di mercato erano favorevoli, avrebbe condotto ad un aumento dei costi di produzione unitari di ferrosilicio, a una diminuzione della produzione e delle vendite nonché a una maggiore scarsità sul mercato. Dall’altro lato, il non aver considerato talune riconversioni di produzione per il 2004 avrebbe generato un’immagine ingannevole dell’evoluzione della capacità di produzione, della produzione e della redditività dell’industria comunitaria.

70      In secondo luogo, le istituzioni sarebbero incorse in un errore manifesto di valutazione affermando che le riconversioni di produzione erano una reazione alle importazioni oggetto di dumping. Infatti, da un lato, il 2004 era stato un anno eccezionale durante il quale la redditività dell’industria comunitaria era cresciuta al livello più elevato del periodo considerato e il suo livello di remunerazione del capitale investito aveva raggiunto circa il 20% e, dall’altro lato, la Huta Laziska aveva scelto di riconvertire la sua produzione verso il silico-manganese, un prodotto che richiede un consumo energetico inferiore e dotato di migliore redditività. Pertanto, secondo le ricorrenti, il pregiudizio subito dall’industria comunitaria nel 2005 e nel corso del periodo dell’inchiesta è spiegato dalle suddette riconversioni di produzione volontarie che hanno portato ad un aumento dei costi di produzione il quale, a sua volta, ha comportato diminuzioni supplementari di produzione.

71      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

–       Giudizio del Tribunale

72      La presente censura riguarda, in sostanza, il modo in cui le istituzioni hanno analizzato l’impatto, sull’industria comunitaria, della riassegnazione alla produzione di silico-manganese, da parte di taluni produttori comunitari, nel 2004, di forni in precedenza destinati alla fabbricazione di ferrosilicio.

73      Al riguardo, va rilevato che la Commissione ha analizzato l’impatto della suddetta riassegnazione ai ‘considerando’ 135 e 136 del regolamento provvisorio. Essa ha affermato che, malgrado i costi implicati da una riconversione della produzione, una parte della produzione era stata riconvertita nel 2004, quando sul mercato comunitario mancavano le leghe di manganese, mentre l’offerta di ferrosilicio era sufficiente. La Commissione ha concluso che la decisione di alcuni produttori comunitari di ridurre la loro produzione non era stata volontaria, ma era stata causata dal dumping sulle importazioni, che aveva impedito all’industria comunitaria di realizzare in condizioni di redditività vendite di ferrosilicio. Inoltre, al ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio, essa ha adeguato, a partire dal 2005, i dati relativi alle capacità di produzione contenuti nella tabella relativa alle capacità di produzione e all’utilizzo di capacità, per tener conto della riassegnazione dei forni.

74      Le ricorrenti contestano tanto il ‘considerando’ 93 quanto i ‘considerando’ 135 e 136 del regolamento provvisorio.

75      In primo luogo, quanto all’argomento delle ricorrenti attinente all’errore di diritto che inficia il ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio, il Consiglio ha spiegato, rispondendo a un quesito scritto che gli è stato posto attraverso una misura di organizzazione del procedimento, che la produzione era stata riconvertita all’inizio del dicembre 2004. In udienza esso ha poi ammesso che le capacità oggetto di tale riconversione non avevano potuto essere utilizzate per la produzione di ferrosilicio nel mese di dicembre 2004. Pertanto, si deve rilevare che i dati relativi alle capacità di produzione avrebbero dovuto essere adeguati a partire non dal 2005, bensì dal 2004. Di conseguenza, il ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio è viziato da un’inesattezza materiale.

76      Il Tribunale, tuttavia, non condivide la posizione delle ricorrenti riguardo alle conseguenze che bisogna trarre da tale inesattezza. Infatti, da un lato si deve osservare, come rilevato dal Consiglio in udienza, che, considerato che le capacità di produzione sono diminuite solo nel dicembre 2004, l’adeguamento complessivo di tali capacità, per tutto il 2004, avrebbe rappresentato un volume assai limitato, pari a un dodicesimo dell’adeguamento operato per il 2005. Dall’altro lato, anche nell’ipotesi in cui l’adeguamento delle capacità di produzione fosse stato effettuato anche per il 2004, la situazione economica del mercato comunitario del ferrosilicio per il 2004 sarebbe stata la seguente: un aumento della domanda, un aumento del volume delle importazioni oggetto di dumping, una diminuzione della produzione, una lieve diminuzione delle capacità di produzione, un calo delle vendite e delle quote di mercato dell’industria comunitaria, un aumento dei loro prezzi, del loro margine di profitto e degli utili sul capitale investito. In altri termini, ad eccezione delle capacità di produzione, della produzione, delle vendite e delle quote di mercato, tutti gli indicatori economici avrebbero mostrato un’evoluzione positiva. Vero è che, in simili circostanze, è plausibile che la decisione di taluni produttori comunitari di riconvertire la loro produzione sia il risultato di una scelta commerciale volta a raggiungere un miglior livello di redditività sul mercato del silico-manganese e non la conseguenza della presenza di importazioni oggetto di dumping sul mercato del ferrosilicio che avrebbe compromesso la redditività dell’industria comunitaria. Tuttavia, è altrettanto plausibile che la decisione di taluni produttori comunitari di riconvertire la loro produzione abbia tenuto conto non solo delle prospettive di miglior redditività sul mercato del silico-manganese, ma anche della presenza delle importazioni a basso prezzo il cui volume era già notevolmente cresciuto nel 2004 e che rendevano meno attraenti le prospettive di redditività sul mercato del ferrosilicio rispetto a quelle sul mercato del silico-manganese.

77      Pertanto, l’errore di fatto che vizia il ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio non può aver falsato l’analisi del nesso di causalità.

78      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti attinente all’errore manifesto di valutazione commesso dalle istituzioni, in quanto al ‘considerando’ 136 del regolamento provvisorio esse hanno affermato che le riconversioni di produzione erano una reazione alle importazioni oggetto di dumping, al punto 76 della presente sentenza è stato dichiarato che, se è plausibile che le riconversioni fossero dovute a una decisione commerciale diretta a raggiungere un miglior livello di redditività sul mercato del silico-manganese e non la conseguenza di importazioni oggetto di dumping sul mercato del ferrosilicio che avrebbe compromesso la redditività dell’industria comunitaria, è altrettanto plausibile che le decisioni di riconversione siano state motivate non solo dalle prospettive di miglior guadagno sul mercato del silico-manganese, ma anche dalla presenza delle importazioni a basso prezzo sul mercato del ferrosilicio.

79      Occorre pertanto concludere che nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è atto a dimostrare che le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione.

80      Alla luce di quanto precede, la presente censura va respinta in quanto infondata.

 La seconda censura, relativa alle interruzioni di produzione da parte di taluni produttori comunitari

–       Argomenti delle parti

81      Le ricorrenti sostengono che il Consiglio non ha tenuto conto degli effetti, sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria, di interruzioni di produzione volontariamente attuate da taluni produttori comunitari e le ha erroneamente imputate alle importazioni controverse.

82      In primo luogo, il Consiglio sarebbe incorso in un errore manifesto di valutazione rifiutando, al ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato, di tener conto degli effetti delle interruzioni di produzione messi in atto dalla Huta Laziska perché l’accertamento di un nesso di causalità doveva essere effettuato facendo riferimento al complesso dell’industria comunitaria, e ciò anche se tale fattore aveva influito sull’insieme dell’industria comunitaria. A questo proposito, le ricorrenti fanno osservare, innanzitutto, che la Huta Laziska ha interrotto più volte la sua produzione, nel corso del periodo interessato, a causa di difficoltà dei rapporti con il suo fornitore di energia, inoltre, che essa è stata costretta a riconvertirsi verso prodotti come il silico-manganese che consumano meno energia e sono più redditizi e, infine, che nell’ambito del regolamento (CE) del Consiglio 4 dicembre 2007, n. 1420, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di silico-manganese originario della Repubblica popolare cinese e del Kazakstan e chiude il procedimento riguardante le importazioni di silico-manganese originario dell’Ucraina (GU L 317, pag. 5), le istituzioni hanno analizzato separatamente l’evoluzione della situazione della Huta Laziska.

83      In secondo luogo, le istituzioni sarebbero incorse in un errore manifesto di valutazione non avendo tenuto conto degli effetti delle interruzioni di produzione attuate, da un lato, dalla FerroAtlántica SL, durante periodi di forte consumo di energia, nel corso dei quali tale produttore ha massimizzato i benefici vendendo energia e, dall’altro lato, dalla Vargön Alloys, la quale ha cessato la sua produzione di ferrosilicio durante il periodo dell’inchiesta. Per quanto riguarda la FerroAtlántica, le ricorrenti osservano nella replica che, nel controricorso, il Consiglio ha affermato per la prima volta che l’interruzione della produzione di ferrosilicio durante le ore di punta di consumo elettrico aveva sempre fatto parte del modello commerciale della società. Per di più, tale affermazione sarebbe contraddetta al ‘considerando’ 81 del regolamento impugnato, in cui il Consiglio ha affermato che le riduzioni di produzione a seguito delle interruzioni di elettricità non erano avvenute in maniera regolare.

84      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

–       Giudizio del Tribunale

85      La presente censura riguarda il modo in cui le istituzioni hanno analizzato l’impatto, sull’industria comunitaria, delle interruzioni di produzione da parte di tre produttori comunitari, la Huta Laziska, la FerroAtlántica e la Vargön Alloys.

86      In sostanza le ricorrenti contestano al Consiglio, da un lato, di non aver correttamente analizzato, al ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato, gli effetti delle interruzioni di produzione da parte della Huta Laziska e, dall’altro lato, di non aver preso in considerazione quelle operate dalla FerroAtlántica e dalla Vargön Alloys.

87      In primo luogo, quanto all’errore manifesto di valutazione asseritamente commesso nell’esaminare la situazione della Huta Laziska, occorre ricordare che, al ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato, il Consiglio ha affermato che la causa del pregiudizio subito doveva essere esaminata facendo riferimento al complesso dell’industria comunitaria e che, anche se dovevano essere esclusi ai fini della valutazione del pregiudizio i dati relativi a questo produttore, l’andamento osservato per il resto dell’industria comunitaria resterebbe profondamente negativo e continuerebbe a indicare un pregiudizio notevole.

88      A questo proposito, anzitutto occorre osservare, come fanno le ricorrenti, che l’esame dell’esistenza di un nesso di causalità non dev’essere per forza effettuato con riferimento al complesso dell’industria comunitaria, con la conseguenza che un pregiudizio causato a un solo produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping non potrebbe essere preso in considerazione. Infatti è già stato sottolineato, al punto 30 della presente sentenza, che nell’ambito dell’analisi prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base, le istituzioni sono tenute, da un lato, ad esaminare tutti gli altri fattori noti che causano un pregiudizio all’industria comunitaria contemporaneamente alle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro lato, a evitare che il pregiudizio dovuto a tali altri fattori sia attribuito alle suddette importazioni. L’art. 3, n. 7, del regolamento di base non precisa che tale esame deve tener conto unicamente di un pregiudizio causato, da altri fattori, al complesso dell’industria comunitaria. Considerato l’obiettivo di tale disposizione che, come indicato supra al punto 31, è di far sì che le istituzioni tengano separati e distinti gli effetti nocivi delle importazioni oggetto di dumping da quelli di altri fattori, è possibile che, in talune circostanze, un pregiudizio causato individualmente a un produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping debba essere preso in considerazione, qualora abbia contribuito al pregiudizio che è stato osservato per il complesso dell’industria comunitaria.

89      Inoltre, è vero che, al ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato, il Consiglio, in maniera poco sfumata, ha affermato che la causa del pregiudizio doveva essere esaminata con riferimento al complesso dell’industria comunitaria, il che può lasciar pensare che un fattore di pregiudizio che colpisce un singolo produttore comunitario non possa mai essere preso in considerazione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il pregiudizio che l’interruzione di produzione ha potuto causare alla Huta Laziska vi è stato preso debitamente in considerazione. Infatti, come indicato supra al punto 87, in detto ‘considerando’ il Consiglio ha spiegato che, anche se dovevano essere esclusi ai fini della valutazione del pregiudizio i dati relativi a questo produttore, l’andamento osservato per il resto dell’industria comunitaria continuava a indicare l’esistenza di un pregiudizio. Orbene, le ricorrenti non tentano di dimostrare che quest’ultima considerazione è viziata da un errore manifesto di valutazione. Esse si limitano ad affermare che le difficoltà incontrate dalla Huta Laziska con il proprio fornitore di energia elettrica sono state la causa delle interruzioni di produzione, cosa di cui il Consiglio ha accettato di tener conto al ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato.

90      Infine, quanto al regolamento n. 1420/2007, come ricordato supra ai punti 50 e 51, compete alle istituzioni, nell’esercizio del loro potere discrezionale, esaminare se l’industria comunitaria ha subito un pregiudizio e se quest’ultimo sia imputabile alle importazioni oggetto di dumping o se altri fattori noti abbiano contribuito al pregiudizio. Questo potere discrezionale deve esercitarsi caso per caso, in relazione a tutte le circostanze pertinenti (v., in tal senso, sentenza della Corte 14 marzo 1990, causa C‑156/87, Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑781, punto 43). In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il trattamento della situazione della Huta Laziska, nel regolamento impugnato, non differisce sensibilmente dal trattamento che le è stato riservato nel regolamento n. 1420/2007. Come nel regolamento impugnato, nel regolamento n. 1420/2007 non vi è alcuna sezione dedicata alla Huta Laziska. Inoltre, come nel regolamento impugnato, la situazione della Huta Laziska viene trattata nell’ambito della sezione dedicata all’impatto dell’evoluzione dei costi di produzione sul pregiudizio. Può essere individuata una sola differenza tra il regolamento impugnato e il regolamento n. 1420/2007. Mentre, nel regolamento impugnato, il Consiglio ha ammesso, in via ipotetica e unicamente al fine di escludere qualunque impatto sulla valutazione del pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria, che il pregiudizio della Huta Laziska poteva essere conseguenza della controversia che la opponeva al suo fornitore di energia elettrica, nel regolamento n. 1420/2007 esso ha riconosciuto che tale controversia nonché l’aumento dei costi dell’elettricità avevano potuto avere un’influenza sulla prestazione della Huta Laziska ma che, nel complesso, l’evoluzione dei costi di produzione non aveva contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

91      Da ciò consegue che nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che il ‘considerando’ 101 del regolamento impugnato è viziato da un errore manifesto di valutazione.

92      In secondo luogo, per quanto attiene all’errore manifesto di valutazione asseritamente commesso nell’esaminare le interruzioni di produzione da parte della FerroAtlántica e della Vargön Alloys, occorre rilevare, innanzitutto, per quanto riguarda la FerroAtlántica, che le ricorrenti in udienza hanno precisato di considerare che le interruzioni di produzione da parte di tale società erano state all’origine di un pregiudizio «auto inflitto», in quanto l’aumento del prezzo dell’elettricità aveva portato la FerroAtlántica a preferire le vendite di energia rispetto a quelle di ferrosilicio. Orbene, va osservato che l’unico documento su cui le ricorrenti si basano a sostegno di questo presunto errore manifesto di valutazione delle istituzioni è una lettera della FerroAtlántica a Euroalliages datata 26 febbraio 2007. In tale lettera, la FerroAtlántica ha spiegato che, a causa del suo sistema tariffario, la produzione di ferrosilicio veniva interrotta durante le ore di punta del consumo di elettricità e che l’energia elettrica da essa prodotta durante le suddette ore veniva rivenduta. Questa lettera non prova in alcun modo che la FerroAtlántica interrompe la sua produzione quando aumentano i prezzi dell’energia elettrica. Pertanto, le ricorrenti non hanno dedotto alcun argomento idoneo a dimostrare che le diminuzioni di produzione della FerroAtlántica, durante le ore di punta del consumo di elettricità, avevano contribuito al pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria e che il Consiglio avrebbe dovuto tenerle in considerazione.

93      Inoltre, per quanto riguarda la Vargön Alloys, le ricorrenti si limitano ad affermare che tale società ha interrotto la produzione nel corso del periodo dell’inchiesta. Pur affermando, in un documento allegato al ricorso, che tale interruzione è dovuta al livello dei prezzi dell’energia elettrica, esse non deducono alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Pertanto, esse non dimostrano affatto che tale società ha essa stessa contribuito al suo pregiudizio e che non ha interrotto la propria produzione per reagire alle importazioni oggetto di dumping. Di conseguenza, non si può affermare che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione non dedicando approfondimenti specifici alla situazione della Vargön Alloys.

94      Tenuto conto di quanto precede, la presente censura del terzo capo del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

 La terza censura, relativa all’utilizzazione della capacità di produzione nominale teorica

–       Argomenti delle parti

95      Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in errori manifesti di valutazione e ha violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base nonché i loro diritti della difesa, rifiutando di utilizzare la capacità di produzione reale invece della capacità di produzione nominale teorica.

96      In primo luogo, il Consiglio sarebbe incorso in un errore manifesto di valutazione avendo, innanzitutto, ignorato taluni elementi, come le riconversioni di produzione e le interruzioni nella fornitura di energia elettrica, che avevano avuto un impatto significativo sugli importanti fattori di pregiudizio costituiti dalla capacità di produzione e dall’utilizzazione della capacità di produzione.

97      Inoltre, le ricorrenti fanno osservare che è errato affermare, come fa il Consiglio, che, anche qualora fosse stata utilizzata la capacità di produzione reale, gli andamenti osservati riguardo all’evoluzione delle capacità di produzione e all’utilizzo delle capacità, nonché le conclusioni relative all’esistenza di un pregiudizio sarebbero rimasti immutati. Infatti, anche supponendo che gli andamenti osservati riguardo alle capacità di produzione e all’utilizzo delle capacità siano rimasti inalterati, il fatto che, per esempio, l’utilizzo delle capacità passi dal 50 al 95% sarebbe importante, poiché un simile aumento significherebbe che l’industria comunitaria non è in grado di soddisfare la domanda.

98      Infine, secondo le ricorrenti, l’affermazione del Consiglio secondo la quale la capacità di produzione nominale teorica può essere utilizzata perché le interruzioni o le diminuzioni di produzione non hanno avuto luogo in maniera regolare deriva da un grossolano errore di fatto e da un errore manifesto di valutazione. Le ricorrenti sottolineano, da un lato, che talune interruzioni o riduzioni di produzione si sono verificate regolarmente e avrebbero dovuto essere prese in considerazione. Tale sarebbe il caso dei fermi di produzione da parte della FerroAtlántica, durante le ore di punta del consumo di energia elettrica, che sarebbero specifici del suo modello commerciale e avrebbero quindi avuto luogo in modo regolare. Del pari, i forni per il ferrosilicio sarebbero oggetto di revisione annuale, durante la quale non possono essere utilizzati. Dall’altro lato, le ricorrenti sostengono che il fatto di calcolare la capacità di produzione tenendo conto soltanto degli eventi verificatisi in maniera regolare è costitutivo di un errore manifesto di valutazione. Infatti, in occasione della riduzione del suo rifornimento di elettricità, la Huta Laziska aveva sperimentato molte importanti riduzioni di capacità che le avevano impedito di produrre ferrosilicio, indipendentemente dalle condizioni del mercato.

99      In secondo luogo, a detta delle ricorrenti, basare l’analisi del nesso di causalità sulla capacità di produzione nominale teorica e non sulla capacità di produzione reale viola necessariamente la regola di non imputazione, come prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base, poiché porterebbe a dissimulare la vera causa dei cambiamenti che incidono sui dati relativi alla produzione.

100    In terzo luogo, le ricorrenti sostengono che il regolamento impugnato viola i loro diritti della difesa, poiché l’affermazione secondo cui, anche se venisse presa in considerazione la capacità di produzione reale, gli andamenti resterebbero immutati, non sarebbe sorretta da prove.

101    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

–       Giudizio del Tribunale

102    Nell’ambito della presente censura le ricorrenti affermano in sostanza che, facendo uso della capacità di produzione nominale teorica e non della capacità di produzione reale, le istituzioni, in primo luogo, sono incorse in errori manifesti di valutazione e in un errore di fatto, in secondo luogo, hanno violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base e, in terzo luogo, hanno violato i loro diritti della difesa.

103    In primo luogo, per quanto riguarda gli errori manifesti di valutazione e l’errore di fatto in cui le istituzioni sarebbero incorse, va ricordato che, ai ‘considerando’ 92 e 93 del regolamento provvisorio, la Commissione ha spiegato di aver determinato la capacità di produzione sulla base della capacità nominale teorica delle unità di produzione dell’industria comunitaria, adeguandola tuttavia per tenere conto del fatto che durante il periodo in esame due produttori comunitari avevano trasferito una parte della loro produzione dal ferrosilicio verso altre ferroleghe. Inoltre, al ‘considerando’ 81 del regolamento impugnato, il Consiglio ha risposto alle critiche formulate contro la metodologia applicata al ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio e, più in particolare, ai suggerimenti avanzati da alcune delle parti interessate, nell’ambito del procedimento amministrativo, di utilizzare un dato tenendo conto dei fermi di produzione determinati dalle interruzioni di elettricità e dalle manutenzioni. Al riguardo, esso ha rinviato all’inchiesta dalla quale, a suo avviso, era emerso che la manutenzione o l’interruzione dell’energia elettrica aveva determinato arresti temporanei degli impianti, che non si erano verificati regolarmente nel corso del periodo in esame. Esso ha spiegato inoltre che, anche se fosse stata adeguata la capacità produttiva, il suo andamento e le conclusioni formulate circa l’esistenza di un pregiudizio notevole sarebbero rimasti invariati.

104    Secondo le ricorrenti tali considerazioni sono viziate da un errore manifesto di valutazione, in particolare perché non tengono conto delle interruzioni e delle riconversioni di produzione. Va osservato che l’affermazione delle ricorrenti difetta di precisione, poiché esse non specificano a quali interruzioni e riconversioni fanno riferimento. Tuttavia, anche supponendo che esse si riferiscano agli eventi considerati nell’ambito dell’esame delle due precedenti censure, ossia la riconversione e le interruzioni di produzione presso la Huta Laziska e le interruzioni di produzione presso la FerroAtlántica e la Vargön Alloys, è giocoforza constatare, anzitutto, che le ricorrenti non negano che la decisione della Huta Laziska, adottata nel 2004, di riconvertire la sua produzione di ferrosilicio verso la produzione di silico-manganese è stata presa in considerazione nella tabella delle capacità di produzione e di utilizzo delle capacità figurante al ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio, attraverso un adeguamento delle dette capacità per il 2005 e il periodo dell’inchiesta.

105    Inoltre, per quanto riguarda le interruzioni di produzione avvenute presso la Huta Laziska nel 2005 e 2006, a causa di una controversia con il suo fornitore di energia elettrica, e presso la Vargön Alloys nel 2006 a causa, secondo le ricorrenti, dell’aumento dei costi dell’elettricità, l’atteggiamento delle istituzioni non solo è improntato al buon senso ma è anche esente da errore manifesto di valutazione. Infatti, dal ‘considerando’ 81 del regolamento impugnato deriva che le istituzioni hanno deciso di non adeguare i dati relativi alla capacità di produzione perché le suddette interruzioni erano temporanee. L’approccio delle istituzioni è corretto in quanto, da un lato, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, emerge dagli elementi del fascicolo che le suddette interruzioni erano effettivamente temporanee. Dall’altro lato, se i dati relativi alla capacità di produzione dovessero riflettere interruzioni temporanee degli impianti come quelle cui si fa riferimento nel caso di specie, sarebbero distolti dalla loro funzione, che è quella di fornire un’indicazione riguardo alla capacità di produzione dell’industria comunitaria e non quella di presentare le variazioni della produzione espresse dai dati relativi alla produzione. Tuttavia, perché l’approccio delle istituzioni non sia viziato da alcun errore manifesto di valutazione, tali interruzioni temporanee vanno prese in considerazione, nell’ambito dell’analisi di non imputazione prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base.

106    Orbene, nel caso di specie, al ‘considerando’ 81 del regolamento di base, le istituzioni hanno affermato che, anche adeguando le capacità di produzione, le conclusioni formulate riguardo all’esistenza di un pregiudizio notevole subito dall’industria comunitaria sarebbero rimaste invariate. Le ricorrenti sostengono che tale affermazione è erronea, ma non deducono alcun elemento di prova in tal senso. Esse si limitano ad affermare che, anche se le tendenze osservate riguardo alle capacità di produzione e all’utilizzo delle capacità erano rimaste invariate, il fatto che, per esempio, l’utilizzazione delle capacità passi dal 50 al 95% sarebbe rilevante, poiché tale aumento significherebbe che l’industria comunitaria non è in grado di soddisfare la domanda. Oltre al fatto che l’esempio cui si riferiscono le ricorrenti è puramente teorico, la circostanza che l’industria comunitaria non sia in grado di soddisfare la domanda in un caso, come quello di specie, in cui un certo numero di indicatori economici riflette un pregiudizio subito dall’industria comunitaria, non fornisce alcuna indicazione in merito all’origine di tale pregiudizio e non è pertanto idoneo di per se stesso a dimostrare che il suddetto pregiudizio non sia stato causato dalle importazioni oggetto di dumping.

107    Infine, per quanto riguarda le interruzioni di produzione verificatesi presso la FerroAtlántica, al punto 92 della presente sentenza è stato sancito che le ricorrenti non avevano dedotto alcun elemento atto a dimostrare che tali diminuzioni di produzione, che si erano verificate in maniera regolare, avessero contribuito al pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria. Anche se, come sostenuto dalle ricorrenti, un adeguamento delle capacità di produzione per tener conto di tali interruzioni avrebbe potuto far variare il tasso di utilizzazione delle capacità dell’industria comunitaria, mostrando così che quest’ultima aveva minori possibilità di soddisfare la domanda, è già stato osservato supra al punto 106, che in una situazione in cui un certo numero di indicatori economici riflette un pregiudizio subito dall’industria comunitaria un fatto del genere non è di per sé suscettibile di dimostrare che il pregiudizio non è stato causato dalle importazioni oggetto di dumping.

108    Tenuto conto di quanto precede, si deve concludere che nessuno degli argomenti fatti valere dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare l’esistenza di errori manifesti di valutazione riguardo all’utilizzo della capacità di produzione nominale teorica.

109    In secondo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base, non si può asserire, come fanno le ricorrenti, che basare l’analisi del nesso di causalità sulla capacità di produzione nominale teorica, anziché sulla capacità di produzione reale, viola per forza la regola di non imputazione. Occorre infatti rilevare che, se non vi è dubbio che una riconversione dei mezzi di produzione verso un mercato diverso, com’è avvenuto nel caso di specie, deve portare ad un adeguamento dei dati relativi alle capacità di produzione, è già stato sottolineato supra al punto 105, che i suddetti dati non dovevano riflettere tutte le interruzioni temporanee degli impianti produttivi, arresti che comparivano nei dati relativi alla produzione. Per contro, in simili circostanze le istituzioni debbono assicurarsi del rispetto degli obblighi previsti dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base ed effettuare un’analisi di non imputazione corretta che deve tenere separati e distinti il pregiudizo eventualmente causato dalle suddette interruzioni e il pregiudizio provocato dalle importazioni oggetto di dumping.

110    In terzo luogo, quanto alla violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, va ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte, le esigenze connesse al rispetto dei diritti della difesa si impongono non solo nell’ambito dei procedimenti che possono concludersi con l’irrogazione di una sanzione, ma anche nei procedimenti di inchiesta che preludono all’adozione di regolamenti antidumping i quali possono riguardare le imprese interessate direttamente ed individualmente e comportare per esse conseguenze sfavorevoli (sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C-49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187, punto 15). In particolare, le imprese interessate devono in ogni caso essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova utilizzati dalla Commissione a sostegno delle proprie affermazioni e relative all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente (sentenza Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, cit., punto 17).

111    A questo proposito, occorre rilevare, al pari del Consiglio, che il punto 80 del documento di informazione finale era, in sostanza, identico al ‘considerando’ 81 del regolamento impugnato, ai sensi del quale, anche in caso di adeguamento delle capacità di produzione, l’andamento sarebbe rimasto invariato. Orbene, nelle loro osservazioni sul documento di informazione finale le ricorrenti non hanno chiesto che venissero loro comunicati i dati sottintesi a tale affermazione. Di conseguenza, esse non possono lamentare una violazione dei loro diritti della difesa.

112    Alla luce di quanto precede, la presente censura dev’essere respinta in quanto infondata.

 La quarta censura, relativa agli investimenti realizzati dall’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta

–       Argomenti delle parti

113    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio ha violato la regola della non imputazione, come prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base, avendo omesso di tener conto, nel regolamento impugnato, degli effetti di importanti investimenti realizzati dall’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta rappresentando, nel corso del periodo dell’inchiesta, oltre un terzo delle perdite complessive dell’industria comunitaria. A questo proposito, le ricorrenti sottolineano che, al ‘considerando’ 99 del regolamento provvisorio, le istituzioni hanno indicato che l’industria comunitaria aveva investito circa EUR 10 milioni, nel 2005, e circa EUR 6 milioni, durante il periodo dell’inchiesta, investimenti destinati all’ammodernamento degli impianti di produzione. Secondo le ricorrenti, tenuto conto, in particolare, dell’ampiezza dei suddetti investimenti rispetto al rendimento dell’industria, gli effetti di tali investimenti avrebbero dovuto essere analizzati anche in caso di perdita di valore nel lungo termine e a prescindere dalla risposta al problema se l’adeguamento alla normativa ambientale vincolante costituisse un pregiudizio che l’industria comunitaria si era autoinflitta.

114    In primo luogo, il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, risponde che le ricorrenti ingigantiscono l’ampiezza degli investimenti e il loro effetto sulla produttività. Gli investimenti complessivi realizzati durante il periodo dell’inchiesta non si possono paragonare alle perdite complessive registrate nel suddetto periodo. Secondo il Consiglio, poiché gli investimenti in parola erano investimenti in impianti di produzione ammortizzati su diversi anni, soltanto una piccola parte degli investimenti realizzati nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta aveva influito sui profitti. In secondo luogo, essendo stati realizzati per adeguarsi a una normativa ambientale vincolante, gli investimenti non si possono considerare come un pregiudizio «autoinflitto». In terzo luogo, ai ‘considerando’ 99, 100 e 109 del regolamento provvisorio, nonché al ‘considerando’ 82 del regolamento impugnato, si sarebbe tenuto conto dell’effetto dei suddetti investimenti sugli indicatori del pregiudizio. In quarto luogo, le ricorrenti non fanno valere alcun argomento atto a dimostrare che le istituzioni erano incorse in un errore manifesto di valutazione quando hanno concluso che gli investimenti di cui trattasi non costituivano un pregiudizio «autoinflitto».

–       Giudizio del Tribunale

115    Le ricorrenti affermano, in sostanza, che le istituzioni hanno violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base, avendo omesso di tener conto degli effetti di importanti investimenti realizzati dall’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta, che rappresentavano, nel corso del periodo dell’inchiesta, oltre un terzo delle perdite complessive dell’industria comunitaria.

116    A questo proposito, occorre osservare, come fanno le ricorrenti, che dal ‘considerando’ 99 del regolamento provvisorio risulta che nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta sono stati realizzati importanti investimenti. Tuttavia, nel regolamento provvisorio tali investimenti non sono stati sottoposti a nessuna analisi di non imputazione né da parte della Commissione, né da parte del Consiglio. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, i suddetti regolamenti non contengono alcun approfondimento riguardo al problema se gli investimenti in parola costituissero o meno un pregiudizio «autoinflitto». Orbene, tenuto conto degli importi da essi rappresentati, ossia EUR 10 milioni nel 2005 e circa EUR 6 milioni durante il periodo dell’inchiesta, è possibile che i suddetti investimenti abbiano contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Occorre pertanto constatare che le istituzioni hanno violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base, omettendo di tener separati e distinti gli effetti dei suddetti investimenti da quelli delle importazioni oggetto di dumping.

117    Tale conclusione non è invalidata dagli argomenti del Consiglio. Anzitutto, contrariamente a quanto affermato da quest’ultimo, il fatto che gli investimenti siano stati realizzati per adeguarsi ad una normativa ambientale vincolante non permette alle istituzioni di sottrarsi all’obbligo di effettuare un’analisi di non imputazione. Che il pregiudizio venga o meno qualificato come «autoinflitto» poco importa, dal momento che gli investimenti erano idonei ad influire sull’industria comunitaria e che l’art. 3, n. 7, del regolamento di base vietava alle istituzioni di imputare indebitamente un pregiudizio alle importazioni oggetto di dumping.

118    Inoltre, è vero, come sottolinea il Consiglio, che gli investimenti complessivi realizzati durante il periodo dell’inchiesta non possono essere paragonati con le perdite registrate nello stesso periodo. Tuttavia, è altrettanto vero che le istituzioni hanno omesso di realizzare un’analisi di non imputazione corretta riguardo agli investimenti.

119    Anche se il Consiglio ha violato la regola di non imputazione contenuta all’art. 3, n. 7, del regolamento di base, tale violazione giustifica l’annullamento del regolamento impugnato solo se è idonea a incidere sulla sua legittimità, invalidando il complesso dell’analisi delle istituzioni relativa al nesso di causalità (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 28 ottobre 2004, causa T‑35/01, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, Racc. pag. II‑3663, punto 167). Orbene, le ricorrenti non hanno presentato alcun argomento a questo riguardo.

120    Il Tribunale ritiene che tale violazione non incida sulla legittimità del regolamento impugnato. Difatti, come sottolineato dal Consiglio, gli investimenti di cui trattasi erano investimenti in impianti produttivi ammortizzati su diversi anni e una parte soltanto dei quali ha avuto un’incidenza sui profitti dell’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta. Al riguardo, rispondendo a un quesito scritto postogli dal Tribunale, il Consiglio ha precisato, sulla base di dati e di spiegazioni precise, che gli investimenti realizzati nel 2005 erano all’origine, al massimo, del 4,7% della perdita di redditività dell’industria comunitaria osservata nel 2005. Pertanto, non si può ritenere che tali investimenti abbiano contribuito in maniera significativa al pregiudizio subito dall’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta.

121    Di conseguenza, la violazione accertata non può incidere sulla legittimità del regolamento impugnato e la presente censura dev’essere respinta, così come il terzo capo del primo motivo nel suo complesso.

c)     Sul quarto capo del primo motivo, attinente all’incidenza dell’aumento dei costi delle materie prime

 Argomenti delle parti

122    Le ricorrenti affermano che le istituzioni non hanno tenuto adeguatamente conto dell’incidenza dell’aumento dei costi delle materie prime sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria, incorrendo così in errori manifesti di valutazione.

123    In primo luogo, il Consiglio sarebbe incorso in un errore manifesto di valutazione affermando, al ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato, che gli incrementi dei costi di produzione osservati nel settore delle leghe si verificano di solito a livello mondiale e di conseguenza incidono nella stessa misura sul settore in tutto il mondo. Secondo le ricorrenti, anche se è possibile che i costi di produzione aumentino a livello mondiale, tale aumento non ha la stessa incidenza in tutto il mondo.

124    Infatti, in primo luogo, il Consiglio non avrebbe tenuto conto del fatto che i produttori comunitari sopportavano, alla base, costi di produzione più elevati rispetto al resto dei produttori mondiali. A loro avviso, anche quando tutti i produttori affrontano un incremento dei costi di produzione analogo, quelli che sopportano costi di base più elevati subiscono un pregiudizio maggiore e più rapidamente degli altri. Pertanto, secondo le ricorrenti, contrariamente a quanto affermato dal Consiglio nel regolamento impugnato, un produttore di un paese terzo non sarà per forza costretto ad aumentare i propri prezzi nella stessa misura di un produttore comunitario che fa fronte al medesimo aumento dei costi, poiché, per un determinato prezzo di vendita, il produttore del paese terzo gode di un miglior rendimento iniziale.

125    Orbene, innanzitutto, le istituzioni avrebbero avuto a disposizione informazioni che dimostravano come i produttori comunitari avessero costi strutturali di produzione del ferrosilicio più elevati rispetto a quelli dei produttori dei paesi terzi interessati dal procedimento antidumping. Le ricorrenti chiedono al Tribunale di ordinare la produzione di tali informazioni. Inoltre, nel corso del procedimento amministrativo le ricorrenti avevano presentato elementi atti a dimostrare che, nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta, i prezzi del ferrosilicio comunitario erano i più alti al mondo e i costi di produzione sopportati dall’industria comunitaria superavano questi prezzi in misura crescente. Infine, le ricorrenti osservano che, nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta, quando i costi dell’industria comunitaria sono aumentati in maniera straordinaria, i prezzi sul complesso dei mercati mondiali sono diminuiti a causa del calo dei consumi. Pur praticando i prezzi più alti al mondo, l’industria comunitaria avrebbe subito delle perdite, nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta, a causa dell’aumento dei suoi costi di produzione.

126    Inoltre, le ricorrenti sostengono che le istituzioni non hanno tenuto conto del fatto che, anche se i prezzi praticati su tutti i mercati si equivalevano a livello macroeconomico, considerate le disparità macroeconomiche, i produttori comunitari rimanevano maggiormente colpiti dall’aumento dei costi delle materie prime rispetto ai produttori dei paesi interessati dall’inchiesta antidumping. Infatti, da un lato, per la maggior parte i produttori stabiliti nei suddetti paesi sarebbero integrati verticalmente, il che li proteggerebbe dalla volatilità dei prezzi sui mercati mondiali, e nessun produttore comunitario sarebbe integrato verticalmente in maniera analoga. Dall’altro lato, i produttori comunitari non avrebbero le stesse economie di scala dei produttori situati nei paesi interessati dall’inchiesta antidumping. Per esempio, la Erdos Xijin Kuangye Co. Ltd, uno dei produttori di ferrosilicio cinesi, disporrebbe di una capacità di produzione circa due volte superiore a quella del complesso dei produttori comunitari. Il costo di produzione unitario ne risulterebbe generalmente ridotto nei paesi terzi.

127    In secondo luogo, le istituzioni sarebbero incorse in un errore manifesto di valutazione affermando, al ‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio, in risposta all’argomento secondo il quale l’aumento dei costi di produzione aveva causato un pregiudizio, che i prezzi dell’energia erano aumentati in tutto il mondo, in alcuni casi in misura assai maggiore che in Europa. Infatti, il rispetto dell’esigenza di non imputazione non sarebbe garantito dal semplice paragone dei prezzi dell’energia elettrica in tutto il mondo o nei paesi interessati dall’inchiesta antidumping con quelli praticati in Europa. Secondo le ricorrenti, le istituzioni erano tenute a identificare l’incidenza dell’aumento dei prezzi dell’energia elettrica sull’industria comunitaria tenendola distinta dall’incidenza delle importazioni di ferrosilicio. Più precisamente, innanzitutto le istituzioni non avrebbero preso in considerazione né i dati di Eurostat né le loro stesse indagini relative al mercato comunitario dell’energia elettrica, che avrebbero tutti dimostrato un aumento sostanziale dei costi dell’energia negli Stati membri nei quali i produttori comunitari di ferrosilicio erano stabiliti. Inoltre, poiché i prezzi dell’energia elettrica variano notevolmente all’interno dell’Unione, le istituzioni avrebbero dovuto confrontare i dati reali dei produttori comunitari con quelli dei produttori stabiliti nei paesi interessati dall’inchiesta antidumping. Ancora, il livello dei prezzi dell’elettricità su scala mondiale sarebbe privo di rilievo, essendo pertinente soltanto l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica nei paesi produttori di ferrosilicio rispetto a quello dell’industria comunitaria. Infine, secondo le ricorrenti, anche se è possibile che siano aumentati, i prezzi dell’energia nei paesi terzi sono tuttavia inferiori a quelli sostenuti dall’industria comunitaria, cosa che ha permesso ai produttori di ferrosilicio stabiliti nei paesi terzi di continuare a realizzare profitti, mentre l’industria comunitaria registrava perdite.

128    In terzo luogo, al ‘considerando’ 92 del regolamento impugnato, il Consiglio sarebbe incorso in un errore manifesto di valutazione nell’interpretazione del documento di lavoro dei servizi della Commissione intitolato «Analysis of economic indicators of the EU metals industry: the impact of raw materials and energy supply on competitiveness» («Analisi degli indicatori economici dell’industria europea dei metalli: impatto sulla competitività della fornitura di materie prime e di energia»; in prosieguo: il «documento di lavoro della Commissione»), sul quale si sarebbe basato per respingere l’argomento secondo il quale l’industria comunitaria soffrirebbe di una mancanza di competitività a causa della sua struttura dei costi. Orbene, secondo le ricorrenti, da tale documento emerge chiaramente che l’industria metallurgica comunitaria subisce una pressione crescente da parte dei concorrenti che hanno una diversa struttura dei costi di produzione. Più in particolare, il documento indica che le vendite, da parte dei produttori comunitari, di ferroleghe la cui produzione richiede più energia, ossia il silicio e il ferrosilicio, sono vulnerabili a causa della loro mancanza di competitività sul lato dei costi.

129    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

130    Il presente capo del primo motivo riguarda il modo in cui le istituzioni hanno analizzato l’incidenza dell’aumento del costo delle materie prime sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria. In sostanza, secondo le ricorrenti sono stati commessi tre errori manifesti di valutazione. A loro avviso, tali errori inficiano i ‘considerando’ 92 e 99 del regolamento impugnato nonché il ‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio.

131    In primo luogo, per quanto riguarda il ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato, va ricordato che tale ‘considerando’ così recita:

«Per quanto concerne l’incremento dei costi, l’industria comunitaria ha affermato che gli incrementi dei costi nel settore delle leghe si verificano di solito a livello mondiale e di conseguenza incidono nella stessa misura sul settore in tutto il mondo. L’analisi dell’andamento dei principali elementi di costo nel periodo in esame dimostra che vi è stato un incremento dei costi (energia elettrica, quarzite e pasta elettrodica). Dall’inchiesta è però emerso che, nonostante questi incrementi siano stati in parte compensati da un aumento dei prezzi di vendita, la presenza di importazioni a basso prezzo oggetto di dumping non ha consentito all’industria comunitaria di traslare interamente sui prezzi di vendita l’effetto di questi aumenti di costo».

132    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione affermando che gli incrementi dei costi di produzione osservati nel settore delle leghe si verificavano a livello mondiale e di conseguenza incidevano nella stessa misura sul settore in tutto il mondo.

133    A questo proposito occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, al ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato il Consiglio non ha affermato affatto che gli incrementi dei costi di produzione osservati nel settore delle leghe si verificavano a livello mondiale e di conseguenza incidevano nella stessa misura sul settore in tutto il mondo. Dal tenore letterale di tale ‘considerando’ emerge chiaramente che il Consiglio si è limitato a riportare la suddetta affermazione così com’era stata formulata dall’industria comunitaria.

134    Inoltre, il Consiglio non si è affatto basato su tale affermazione dell’industria comunitaria per giustificare la conclusione, già formulata al ‘considerando’ 133 del regolamento provvisorio, secondo cui l’incremento dei costi di produzione non aveva interrotto il nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio. Infatti, al ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato, il Consiglio ha preso atto dell’aumento di alcuni costi di produzione, ma ha concluso che tale aumento aveva potuto essere compensato solo parzialmente da incrementi di prezzo, a causa della presenza delle importazioni oggetto di dumping. In altri termini, secondo il Consiglio, anche se in effetti vi è stato un incremento dei costi di produzione, il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è derivato non da tale incremento, bensì dall’impossibilità di trasferirlo interamente sui prezzi di vendita a causa della presenza delle importazioni controverse.

135    Orbene, le ricorrenti non deducono alcun argomento atto a dimostrare che il Consiglio, così facendo, è incorso in un errore manifesto di valutazione, dal momento che esse si limitano a cercar di dimostrare che era erroneo affermare che gli incrementi di costi avevano avuto la stessa incidenza a livello mondiale. Pertanto, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti relativo al ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato, senza che occorra ordinare una qualunque produzione di documenti.

136    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo al ‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio, va ricordato che a tale ‘considerando’ la Commissione ha rilevato, da un lato, che i costi dell’energia elettrica costituivano una parte importante dei costi di produzione del prodotto in esame e, dall’altro lato, che l’inchiesta aveva dimostrato che i prezzi dell’energia erano aumentati in tutto il mondo, inclusi i paesi interessati, in alcuni casi in misura assai maggiore che nell’Unione. Al ‘considerando’ 133 del regolamento provvisorio, la Commissione ha osservato che, tenuto conto di questa situazione, non si riteneva che il fattore del prezzo dell’energia potesse portare a escludere l’esistenza di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

137    Le ricorrenti contestano i suddetti ‘considerando’ sostenendo che, per conformarsi alla regola di non imputazione, prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base, la Commissione non avrebbe potuto limitarsi ad affermare, in via generale e non suffragata da prove, che i prezzi dell’energia erano aumentati in tutto il mondo, in alcuni casi in misura assai maggiore che nell’Unione. I due motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno di tale asserzione tuttavia non sono convincenti.

138    Infatti, da un lato, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto analizzare i dati di Eurostat nonché i risultati delle proprie indagini relative al mercato dell’energia elettrica che, a loro avviso, dimostravano come i prezzi dell’elettricità fossero notevolmente aumentati negli Stati membri in cui sono stabiliti i produttori comunitari. Tuttavia, a sostegno di tale affermazione le ricorrenti non deducono alcun elemento di prova.

139    Dall’altro lato, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto procedere ad un confronto dei dati relativi ai produttori comunitari e ai produttori‑esportatori interessati dal procedimento di inchiesta. Tuttavia, esse non producono alcun elemento volto a dimostrare che un simile confronto numerico sarebbe stato idoneo a provare che l’aumento dei costi dell’energia nella Comunità era stato tale da aver determinato il pregiudizio subito dall’industria comunitaria. L’argomento delle ricorrenti relativo al ‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio dev’essere pertanto respinto.

140    In terzo luogo, quanto all’argomento relativo al ‘considerando’ 92 del regolamento impugnato, va rilevato che il Consiglio vi ha trattato il problema della competitività dell’industria comunitaria e del documento di lavoro della Commissione che proverebbe, a detta delle ricorrenti, l’assenza di competitività dell’industria comunitaria a causa dei costi elevati che essa deve sostenere. Nel suddetto ‘considerando’, il Consiglio ha osservato che, in tale documento, la Commissione non traeva alcuna conseguenza riguardo a un’eventuale mancanza di competitività del settore europeo delle ferroleghe. Al contrario, secondo il Consiglio, dal suddetto documento di lavoro emerge che i produttori di ferroleghe affrontano importazioni crescenti provenienti da paesi terzi, come la Cina, la Russia, l’Ucraina, il Brasile e il Kazakhstan, cosa che potrebbe nel lungo periodo diventare una minaccia per la sostenibilità del settore europeo delle ferroleghe qualora non venisse rapidamente garantita la parità delle condizioni con i concorrenti dei paesi terzi.

141    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore di interpretazione di tale documento di lavoro. In particolare, a loro avviso in tale documento la Commissione ha confermato, tra l’altro, che le vendite comunitarie di ferrosilicio erano vulnerabili, tenuto conto della loro mancanza di competitività sul lato dei costi.

142    A questo proposito occorre rilevare, come fanno le ricorrenti, che il documento di lavoro della Commissione indica che l’industria metallurgica comunitaria subisce una pressione crescente da parte dei concorrenti che hanno una diversa struttura dei costi e che beneficiano di un accesso alle materie prime e/o all’energia a costi inferiori.

143    Tuttavia, il Tribunale non condivide la lettura delle ricorrenti riguardo alla vulnerabilità dei produttori comunitari di ferrosilicio a causa della loro struttura dei costi. Le ricorrenti infatti rinviano ad un passaggio del documento di lavoro secondo il quale «i produttori comunitari di ferroleghe, in particolare di silicio e di ferrosilicio, fanno fronte ad un incremento delle importazioni provenienti da paesi terzi come la Cina, la Russia, l’Ucraina, il Brasile e il Kazakistan» precisando che, «[a] meno di istituire senza ritardi condizioni di equità con i concorrenti dei paesi terzi, la capacità dell’industria comunitaria delle ferroleghe a mantenersi sul lungo termine potrebbe vedersi minacciata». Orbene, né dalla lettera né dal contesto di tali frasi deriva che le vendite comunitarie di ferrosilicio sono vulnerabili, considerata la mancanza di competitività dei produttori comunitari sul lato dei costi. Da un lato, sarebbe contrario al buon senso interpretare il riferimento alla creazione di condizioni di parità con i concorrenti dei paesi terzi nel senso che i produttori comunitari sono vulnerabili a causa della struttura dei costi da essi sostenuti. È assai più ragionevole supporre che la Commissione abbia inteso far riferimento ai prezzi insolitamente bassi praticati dai produttori‑esportatori dei paesi terzi. Dall’altro lato, al termine del paragrafo contenente il suddetto riferimento la Commissione ha citato le misure antidumping riguardanti il ferrolibdeno, a dimostrazione del fatto che, nel menzionare la creazione di condizioni di parità con i concorrenti dei paesi terzi, la Commissione si riferiva all’eventuale adozione di misure antidumping.

144    Pertanto, si deve considerare che nessuno degli argomenti fatti valere dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che il Consiglio ha interpretato erroneamente il documento di lavoro della Commissione, al ‘considerando’ 92 del regolamento impugnato, ed è incorso in un errore manifesto di valutazione riguardo all’impatto della struttura dei costi di produzione sostenuti dall’industria comunitaria sul pregiudizio subito da quest’ultima.

145    Alla luce delle considerazioni che precedono, il quarto capo del primo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

d)     Sul quinto capo del primo motivo, attinente agli effetti della contrazione della domanda nel 2005

 Argomenti delle parti

146    Secondo le ricorrenti, il ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio è viziato da un errore manifesto di valutazione, in quanto esso stabilisce che il consumo comunitario di ferrosilicio è rimasto stabile durante il periodo considerato, eccetto che nel 2003 e 2004, anni in cui è aumentato del 6% in conseguenza della domanda eccezionalmente elevata dell’industria siderurgica. In tal modo, il Consiglio avrebbe valutato erroneamente l’incidenza dell’evoluzione della domanda attribuendo a torto il calo dei prezzi alle importazioni controverse, in violazione dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base.

147    Infatti, secondo le ricorrenti, il consumo comunitario non è rimasto stabile nel corso del periodo considerato. Esse osservano che, tra il 2004 e il 2005, il consumo comunitario è diminuito del 4,4%. Questa contrazione della domanda sarebbe stata il riflesso di una stagnazione, e successivamente di un crollo della domanda, che avrebbe avuto un’incidenza negativa notevole sui prezzi praticati nella Comunità. Al riguardo, le ricorrenti sostengono che, su un mercato trasparente e concorrenziale come quello del ferrosilicio, i prezzi sono determinati, in primo luogo, dalle fluttuazioni dell’offerta e della domanda mondiali nonché, in certa misura, dai costi di produzione. Durante periodi di incremento della domanda e/o di riduzione dell’offerta i prezzi aumentano mentre, durante periodi di contrazione della domanda e/o di aumento dell’offerta, i prezzi diminuiscono, come sarebbe stato espressamente riconosciuto dal Tribunale nella sua sentenza Aluminium Silicon Mill Products/Consiglio, citata supra al punto 27, relativa ad un’altra ferrolega, il silicio. I prezzi del ferrosilicio nella Comunità erano infatti diminuiti mentre i costi di produzione sostenuti dai produttori comunitari avevano superato i prezzi di mercato, con conseguenti perdite significative per l’industria comunitaria.

148    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

149    Con il presente capo del primo motivo, le ricorrenti contestano, in sostanza, la valutazione delle istituzioni riguardo all’incidenza dell’evoluzione della domanda nel corso del periodo considerato. In particolare, esse ritengono che il ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio sia viziato da un errore manifesto di valutazione.

150    Si deve ricordare che il ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio contiene una tabella con i dati relativi al consumo comunitario, per il periodo considerato, nonché il seguente commento della Commissione: «[i]l consumo comunitario di ferrosilicio è rimasto stabile durante il periodo considerato, eccetto nel 2003 e 2004, anni in cui è aumentato del 6% in conseguenza della domanda eccezionalmente elevata dell’industria siderurgica». Occorre altresì rilevare che, al ‘considerando’ 124 del regolamento provvisorio, nell’ambito dell’analisi di non imputazione, la Commissione ha osservato quanto segue:

«(…) il consumo apparente di ferrosilicio sul mercato della Comunità si è mantenuto piuttosto stabile nel corso del periodo considerato, tranne che nel 2004. Pertanto, il notevole pregiudizio subito dall’industria comunitaria non può essere attribuito ad una contrazione della domanda sul mercato comunitario».

151    Le ricorrenti ritengono queste affermazioni erronee, poiché il consumo comunitario non è rimasto stabile durante il periodo considerato, ma è diminuito del 4,4% tra il 2004 e il 2005.

152    A questo proposito, innanzitutto, si deve osservare, al pari del Consiglio, che le ricorrenti non contestano l’esattezza dei dati contenuti al ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio. Come fatto rilevare dal Consiglio, la divergenza tra le parti riguarda unicamente l’interpretazione di tali dati.

153    Inoltre, va rilevato che le ricorrenti snaturano le osservazioni formulate dalla Commissione al ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Commissione non si è limitata ad affermare che il consumo comunitario era rimasto stabile, ma ha rilevato che esso era aumentato tra il 2003 e il 2004 a causa dell’aumento della domanda del settore siderurgico. Per di più, dal ‘considerando’ 124 del regolamento provvisorio deriva che essa ha tenuto conto della variazione del consumo nel 2004, nell’ambito dell’analisi di non imputazione, ma ha considerato che, malgrado tale variazione, il consumo doveva essere ritenuto complessivamente stabile, il che implicava che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria non poteva essere imputato ad una contrazione della domanda comunitaria. Si deve pertanto ritenere che la Commissione abbia adempiuto all’obbligo che le incombe in forza dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base, ossia quello di tenere separato e distinto il pregiudizio causato specificamente dalla contrazione della domanda o dalle modifiche della configurazione del consumo.

154    Infine, nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è atto a dimostrare che la conclusione della Commissione contenuta al ‘considerando’ 124 del regolamento provvisorio è costitutiva di un errore manifesto di valutazione. Infatti, le ricorrenti si limitano a proporre la loro interpretazione dei dati contenuti nel ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio, senza spiegare in alcun modo perché l’interpretazione di tali cifre, come proposta dalle istituzioni, sia costitutiva di un errore manifesto di valutazione. Al riguardo, va rilevato che è plausibile, come affermano le ricorrenti, che il calo del consumo comunitario del 4,4%, osservato tra il 2004 e il 2005, abbia avuto un impatto negativo sui prezzi praticati nella Comunità. Tuttavia, è altrettanto plausibile interpretare le cifre contenute nel ‘considerando’ 81 del regolamento provvisorio come fanno le istituzioni, ossia come indice di una domanda relativamente stabile durante tutto il periodo dell’inchiesta, nel qual caso le variazioni osservate nel 2004 e nel 2005 possono interpretarsi come riflesso di una domanda eccezionale del settore siderurgico nel 2004, seguita da un ritorno alla normalità nel 2005. In tale ultima ipotesi, è legittimo ritenere che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, come emergente alla luce dei dati relativi al complesso del periodo considerato, non possa essere imputato alle variazioni del consumo nel 2004 e 2005. Di conseguenza, si deve considerare che le ricorrenti non dimostrano che le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione.

155    Pertanto, il quinto capo del primo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

e)     Sul sesto capo del primo motivo, attinente agli effetti delle importazioni provenienti da altri paesi terzi

 Argomenti delle parti

156    Le ricorrenti sostengono che le istituzioni hanno violato la regola di non imputazione poiché non avrebbero tenuto adeguatamente conto degli effetti delle importazioni provenienti da paesi terzi diversi da quelli interessati dal procedimento di indagine (in prosieguo: gli «altri paesi terzi»). Secondo le ricorrenti, la Commissione si è limitata ad affermare nel regolamento provvisorio, come confermato dal regolamento impugnato, che l’incidenza delle importazioni provenienti dagli altri paesi terzi non poteva essere ritenuta significativa, considerato il volume e i prezzi delle importazioni oggetto di dumping, il che non basterebbe a garantire il rispetto del principio di non imputazione.

157    Infatti, secondo le ricorrenti, pur avendo individuato, ai ‘considerando’ 116, 118 e 120 del regolamento provvisorio, alcuni effetti delle importazioni provenienti dagli altri paesi terzi, le istituzioni non li hanno isolati per effettuare un’imputazione corretta delle cause del pregiudizio. In primo luogo, al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio, la Commissione aveva indicato che il prezzo delle importazioni provenienti da questi paesi terzi era inferiore tra il 2,3 e il 5,7% rispetto a quelli praticati dall’industria comunitaria. Orbene, un margine di sotto‑quotazione di livello analogo avrebbe giustificato, nel regolamento n. 1420/2007, l’istituzione di dazi antidumping. In secondo luogo, ai ‘considerando’ 118 e 120 del regolamento provvisorio, riguardanti più in particolare le importazioni dall’Islanda e dal Venezuela, la Commissione aveva confermato che tali importazioni avevano avuto un effetto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria. Orbene, le istituzioni sarebbero tenute a prendere in considerazione gli effetti cumulati di tutte le importazioni dannose provenienti da paesi terzi, nonché di tutti gli altri fattori noti di pregiudizio, e a non attribuire i detti effetti alle importazioni controverse.

158    Nella replica, le ricorrenti aggiungono che il Consiglio non ha tenuto conto del fatto che una gran parte dell’aumento in termini di volume delle importazioni oggetto di dumping era destinato a colmare il «vuoto» lasciato sul mercato dal ritiro di taluni produttori di paesi terzi nel corso del periodo esaminato.

159    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

160    Con il presente capo del primo motivo, le ricorrenti contestano, in sostanza, la valutazione delle istituzioni riguardo all’incidenza delle importazioni provenienti dagli altri paesi terzi sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Esse ritengono, in particolare, che i ‘considerando’ 116, 118 e 120 del regolamento provvisorio siano viziati da un errore manifesto di valutazione, in quanto la Commissione vi avrebbe individuato taluni effetti delle suddette importazioni senza però isolarli correttamente.

161    Si deve ricordare che, al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio, la Commissione ha osservato, per l’insieme delle importazioni provenienti dagli altri paesi terzi, che sul periodo considerato il loro volume era diminuito del 45% circa e che la loro quota di mercato era passata dal 54,8 al 30%, che, nello stesso periodo, i prezzi di queste importazioni erano aumentati del 7% e che il prezzo medio di tali importazioni era superiore a quello delle importazioni oggetto di dumping nel corso del periodo interessato e tra il 2,3 e il 5,7% inferiore a quello dell’industria comunitaria nel medesimo periodo. Ai ‘considerando’ 117-120 del regolamento provvisorio, la Commissione ha analizzato l’impatto sul pregiudizio delle importazioni provenienti, rispettivamente, dalla Norvegia, dall’Islanda, dal Brasile e dal Venezuela. Essa ha rilevato che né le importazioni provenienti dal Brasile né quelle provenienti dalla Norvegia avevano contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Per contro, essa ha concluso che le importazioni provenienti dall’Islanda e dal Venezuela avevano potuto avere un effetto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria, incidenza che tuttavia non poteva essere considerata significativa in rapporto al volume e ai prezzi delle importazioni oggetto di dumping. Al ‘considerando’ 121 del regolamento provvisorio la Commissione ha dedotto dagli elementi esposti ai ‘considerando’ 116-120 dello stesso che le importazioni originarie di altri paesi terzi non avevano contribuito in misura rilevante al pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

162    Gli argomenti dedotti dalle ricorrenti non sono idonei a dimostrare che tale ragionamento sia costitutivo di un errore manifesto di valutazione.

163    In primo luogo, quanto all’argomento delle ricorrenti relativo al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio, occorre rilevare che esse si limitano ad affermare che un margine di sotto‑quotazione compreso tra il 2,3 e il 5,7% ha giustificato, nel regolamento n. 1420/2007, l’istituzione di dazi antidumping, a dimostrazione del fatto che la Commissione non poteva concludere che le importazioni originarie degli altri paesi terzi non avevano contribuito al pregiudizio.

164    A questo riguardo, innanzitutto va ricordato, come osservato supra al punto 90, da un lato, che compete alle istituzioni, nell’esercizio del loro potere discrezionale, esaminare se l’industria comunitaria abbia subito un pregiudizio e se quest’ultimo sia imputabile alle importazioni oggetto di dumping o se altri fattori noti abbiano contribuito al pregiudizio e, dall’altro lato, che questo potere discrezionale deve esercitarsi caso per caso, in relazione a tutte le circostanze pertinenti. In ogni caso, occorre sottolineare che, nel regolamento n. 1420/2007, il margine di sotto‑quotazione sulla base del quale le misure antidumping sono state istituite era del 4,5%. In tale regolamento, il Consiglio non faceva riferimento alla forcella citata dalle ricorrenti. Inoltre, in modo più significativo, nel regolamento n. 1420/2007 il Consiglio si è basato su diverse altre considerazioni per concludere riguardo alla necessità di adottare tali misure. Pertanto, non si può trarre alcuna conclusione dal fatto che, nel regolamento n. 1420/2007, il Consiglio, da un lato, ha calcolato un margine di sotto‑quotazione del 4,5% e, dall’altro lato, ha istituito misure antidumping.

165    Inoltre, va osservato, come fa il Consiglio, che, al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio, la Commissione non si è riferita al margine di sotto‑quotazione delle importazioni originarie degli altri paesi terzi, ma ha dato atto che il prezzo di tali importazioni era inferiore a quello dell’industria comunitaria durante il periodo considerato. Orbene, è già stato rilevato supra al punto 65, che la sotto‑quotazione era un concetto giuridico previsto dall’art. 3, n. 3, del regolamento di base, in forza del quale le istituzioni procedono ad un confronto dei prezzi comunitari con i prezzi adeguati delle importazioni, in modo da ottenere un margine di sotto‑quotazione espresso in percentuale. Pertanto, nessuna analogia può essere effettuata tra un margine di sotto‑quotazione e un semplice confronto tra prezzi.

166    Infine, l’osservazione della Commissione relativa al livello dei prezzi è solo un elemento di un ragionamento più ampio esposto al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio. Se il livello dei prezzi delle importazioni originarie degli altri paesi terzi rispetto al livello dei prezzi comunitari può costituire un elemento diretto a dimostrare che le dette importazioni hanno contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria, non si può peraltro prescindere dagli altri elementi del ragionamento della Commissione che l’hanno indotta ad escludere un simile contributo. Infatti, la Commissione ha osservato che le quote di mercato delle suddette importazioni erano diminuite nel corso del periodo considerato e che, durante lo stesso periodo, i loro prezzi erano aumentati ed erano sempre stati superiori ai prezzi delle importazioni oggetto di dumping. Di conseguenza, come sottolineato dal Consiglio, anche supponendo che il consumo non sia aumentato, è impossibile che le importazioni dagli altri paesi terzi abbiano potuto, collettivamente, conquistare quote di mercato a danno dell’industria comunitaria, contrariamente alle importazioni oggetto di dumping.

167    Pertanto, nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che il ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio è viziato da un errore manifesto di valutazione.

168    In secondo luogo, quanto all’argomento relativo ai ‘considerando’ 118 e 120 del regolamento provvisorio, è importante sottolineare che le ricorrenti non contestano l’osservazione della Commissione secondo cui, anche se le importazioni provenienti dall’Islanda e dal Venezuela hanno potuto avere un impatto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria, tale impatto non può essere considerato significativo in rapporto al volume e ai prezzi delle importazioni oggetto di dumping. Esse si limitano ad affermare che le istituzioni avrebbero dovuto procedere ad un’analisi degli effetti cumulati delle importazioni originarie degli altri paesi terzi nonché ad un’analisi collettiva di tutti gli altri fattori noti di pregiudizio.

169    Innanzitutto, per quanto riguarda l’analisi degli effetti cumulati delle importazioni originarie degli altri paesi terzi, occorre osservare che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, una siffatta analisi è stata compiuta dalla Commissione. Tale analisi è la prima delle tre fasi dell’esame dell’incidenza delle importazioni originarie degli altri paesi terzi. Difatti, in una prima fase, al ‘considerando’ 116 del regolamento provvisorio la Commissione ha esposto l’evoluzione degli indicatori economici relativi all’insieme delle importazioni originarie degli altri paesi terzi. Come indicato supra al punto 166, tenuto conto di tale evoluzione, non si può considerare che le importazioni originarie degli altri paesi terzi abbiano potuto, collettivamente, conquistare talune quote di mercato a danno dell’industria comunitaria. In una seconda fase, ai ‘considerando’ 117-120 del regolamento provvisorio, la Commissione ha valutato se gli effetti individuali delle importazioni originarie rispettivamente della Norvegia, dell’Islanda, del Brasile e del Venezuela avessero potuto causare il pregiudizio. Com’è stato spiegato supra al punto 161, la Commissione ha concluso che, singolarmente, le importazioni provenienti dall’Islanda e dal Venezuela avevano potuto avere un effetto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria, ma che tale incidenza non poteva tuttavia essere considerata come significativa in rapporto al volume e ai prezzi delle importazioni oggetto di dumping. In una terza fase, la Commissione ha tratto le conclusioni delle due prime fasi e, per logica, al ‘considerando’ 121 del regolamento provvisorio, ha rilevato che le importazioni originarie degli altri paesi terzi non avevano contribuito al pregiudizio.

170    Inoltre, per quanto riguarda l’analisi collettiva di tutti gli altri fattori noti di pregiudizio, è già stato spiegato supra al punto 47 che bisognava concludere l’esame delle censure sollevate dalle ricorrenti riguardo all’analisi individuale di ciascuno degli altri fattori noti prima di poter stabilire se una simile analisi collettiva fosse necessaria. Tale questione verrà esaminata ai punti 204-215 qui di seguito.

171    Pertanto, nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che i ‘considerando’ 118-120 del regolamento provvisorio sono viziati da un errore manifesto di valutazione.

172    In terzo luogo, quanto all’argomento relativo al «vuoto» lasciato sul mercato dal ritiro di taluni produttori degli altri paesi terzi, sollevato per la prima volta in sede di replica, è giocoforza constatare che esso non è diretto a dimostrare che le istituzioni hanno valutato erroneamente il pregiudizio causato dalle importazioni originarie degli altri paesi terzi, bensì è volto a dimostrare che le importazioni oggetto di dumping non hanno determinato alcun pregiudizio all’industria comunitaria, avendo esse sostituito le importazioni originarie degli altri paesi terzi. Pertanto, esso non presenta alcun collegamento stretto con il motivo inizialmente sollevato nel ricorso e non costituisce l’ampliamento di quest’ultimo. Di conseguenza, non essendo fondato su elementi di fatto o di diritto emersi nel corso del procedimento, il suddetto argomento dev’essere considerato come un motivo nuovo, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 5 febbraio 1997, causa T‑211/95, Petit-Laurent/Commissione, Racc. pag. II‑57, punti 43-45). Pertanto, esso va dichiarato irricevibile.

173    Alla luce di quanto precede, il sesto capo del primo motivo va dichiarato in parte infondato e in parte irricevibile.

f)     Sul settimo capo del primo motivo, attinente alla mancanza di competitività dei produttori comunitari prima che si producesse il dumping pregiudizievole

 Argomenti delle parti

174    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione e ha violato la regola di non imputazione, come prevista dall’art. 3, n. 7, del regolamento di base in quanto, ai ‘considerando’ 93 e 94 del regolamento impugnato, ha respinto l’argomento secondo il quale la maggior parte dei produttori comunitari operavano già in perdita prima che si producesse il dumping pregiudizievole, in quanto l’industria comunitaria era stata nel complesso redditizia nel 2004. A questo proposito, le ricorrenti sostengono che tre produttori comunitari su sei erano già in perdita nel 2003 e tutti, salvo la FerroAtlántica, lo erano nel corso del 2004 – un «anno di eccezionale prosperità» per l’industria delle ferroleghe. La redditività complessiva del 3% dell’industria comunitaria per il 2004 sarebbe quindi stata interamente attribuibile alla FerroAtlántica. Inoltre, sebbene nel 2004 il risultato complessivo dell’industria comunitaria fosse stato migliore rispetto al 2003 e quest’ultima avesse aumentato i suoi prezzi del 10%, cinque produttori su sei avevano visto aggravarsi la loro situazione per motivi non legati alle importazioni oggetto di dumping. Le istituzioni avrebbero dovuto tener conto come minimo di questo fatto, in quanto esso è rilevante per spiegare l’evoluzione del pregiudizio dei produttori comunitari e mette chiaramente in evidenza la mancanza di competitività dell’industria comunitaria, in particolare con riguardo alla sua struttura dei costi. Ciò sarebbe confermato dalle riconversioni e dalle riduzioni di produzione intraprese dall’industria comunitaria sin dal 2004, malgrado l’aumento del consumo e della redditività delle vendite di ferrosilicio.

175    In sostanza il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, fa osservare che, pur sostenendo che le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione dichiarando che l’industria comunitaria era redditizia nel 2003 e nel 2004, le ricorrenti non contestano i dati dei margini di profitto al lordo delle imposte citati al ‘considerando’ 94 del regolamento impugnato. Inoltre, il Consiglio sostiene che il riferimento delle ricorrenti alla situazione dei diversi produttori comunitari nel 2003 e 2004 non permette di dimostrare l’esistenza di un errore manifesto. Innanzitutto, la valutazione del pregiudizio e del nesso di causalità dovrebbe essere effettuata esaminando la situazione dell’industria comunitaria in generale, e non quella dei diversi produttori della Comunità. Inoltre, il fatto che tre produttori comunitari, rappresentanti complessivamente tra il 24 e il 28% della produzione comunitaria totale, si trovassero in una situazione deficitaria nel 2003 non significherebbe che l’intera industria comunitaria soffrisse di una mancanza di competitività. Infine, il Consiglio fa rilevare che il 2004 è caratterizzato da una contrazione della quota di mercato dell’industria comunitaria, da un calo del 2% delle vendite di quest’ultima rispetto al 2003, da un aumento delle importazioni oggetto di dumping, nonché delle loro quote di mercato, e da una diminuzione dei loro prezzi, il che vorrebbe dire che alcuni produttori comunitari subivano già gli effetti negativi delle importazioni oggetto di dumping nel 2004, anche se, nel complesso, l’industria comunitaria è stata in grado di aumentare i propri profitti.

 Giudizio del Tribunale

176    Con il presente capo del primo motivo, le ricorrenti criticano il fatto che, ai ‘considerando’ 93 e 94 del regolamento impugnato, il Consiglio abbia respinto l’argomento secondo il quale l’industria comunitaria operava già in perdita prima che si producesse il dumping pregiudizievole.

177    Occorre ricordare che, al ‘considerando’ 94 del regolamento impugnato, in risposta al suddetto argomento, il Consiglio ha spiegato che, come dimostrato dal ‘considerando’ 97 del regolamento provvisorio, l’industria comunitaria produceva profitti nel 2003 con un margine di profitto al lordo delle imposte pari al 2,3%, salito poi al 2,7% nel 2004, e che nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta erano state osservate delle perdite.

178    Come rilevato dal Consiglio, le ricorrenti non contestano i dati figuranti al ‘considerando’ 97 del regolamento provvisorio, dai quali risulta che l’industria comunitaria produceva complessivamente profitti nel 2003 e 2004, ma accusano le istituzioni di non aver tenuto conto della situazione individuale di tre produttori comunitari su sei, nel 2003, e di quella di cinque produttori comunitari su sei, nel 2004.

179    A questo proposito, occorre osservare che le ricorrenti basano il loro argomento su dati dai quali emerge che nel 2004 cinque produttori comunitari su sei hanno subito perdite. Questi dati non vengono contestati dal Consiglio. Inoltre, le ricorrenti affermano che nel 2003 tre produttori comunitari su sei operavano in perdita. Benché esse non deducano alcun elemento di prova a sostegno di tale affermazione, il Consiglio, nei suoi atti, conferma che questa era la situazione.

180    In tale contesto, occorre ricordare, come esposto supra al punto 88, che, contrariamente a quanto afferma il Consiglio, l’esame dell’esistenza di un nesso di causalità non dev’essere per forza effettuato con riferimento al complesso dell’industria comunitaria, con la conseguenza che qualsiasi pregiudizio causato a un singolo produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping non può essere preso in considerazione. Un pregiudizio causato a un singolo produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping dev’essere preso in considerazione qualora abbia contribuito al pregiudizio che è stato osservato per il complesso dell’industria comunitaria.

181    Poiché i dati prodotti dalle ricorrenti indicano effettivamente che alcuni produttori operavano in perdita nel 2003 e 2004, le istituzioni erano tenute a valutare l’impatto di tale situazione sul pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria, cosa che non hanno fatto. Ne consegue che le istituzioni sono venute meno all’obbligo su di esse incombenti di procedere ad un’analisi di non imputazione e hanno quindi violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base.

182    Tuttavia, come osservato supra al punto 119, occorre dimostrare che tale violazione è idonea a incidere sulla legittimità del regolamento impugnato, invalidando il complesso dell’analisi delle istituzioni relativa al nesso di causalità. Nel caso di specie, le istituzioni debbono dunque provare che la situazione particolare di una parte dei produttori comunitari, nel 2003 e nel 2004, è stata all’origine del pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria, oppure ha contribuito a tale pregiudizio. Esse debbono altresì dimostrare che le perdite registrate da cinque produttori comunitari su sei non sono state la conseguenza delle importazioni oggetto di dumping.

183    Al fine di dimostrare le suddette circostanze, le ricorrenti affermano che la mancanza di produttività di cinque produttori comunitari su sei, nel 2004, è conseguenza della loro mancanza di competitività, come sarebbe confermato dalle riconversioni e dalle riduzioni di produzione intraprese dall’industria comunitaria sin dal 2004, malgrado l’aumento del consumo e della redditività delle vendite di ferrosilicio. Tuttavia, il Tribunale considera possibile una diversa interpretazione dei dati relativi al 2004. Infatti, tre produttori comunitari, che rappresentavano insieme tra il 24 e il 28% della produzione comunitaria complessiva, operavano in perdita nel 2003 e cinque produttori accusavano perdite nel 2004. Orbene, si deve rilevare, come fa il Consiglio, che, nonostante l’incremento del consumo, il 2004 è caratterizzato da una contrazione della quota di mercato dell’industria comunitaria, da un calo del 2% delle vendite di quest’ultima rispetto al 2003, da un aumento delle importazioni oggetto di dumping, nonché della loro quota di mercato, e da una diminuzione dei loro prezzi, il che può significare che taluni produttori comunitari subivano già gli effetti negativi delle importazioni oggetto di dumping nel 2004 anche se, nel complesso, l’industria comunitaria era stata in grado di incrementare i profitti.

184    Poiché è possibile che le perdite subite da taluni produttori comunitari nel 2003 e nel 2004 siano state causate dalle importazioni oggetto di dumping, la violazione accertata al punto 181 supra non è idonea a incidere sulla legittimità del regolamento impugnato.

185    Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere il settimo capo del primo motivo.

g)     Sull’ottavo capo del primo motivo, nella parte in cui è relativo alle situazioni di singoli produttori

 Argomenti delle parti

186    Le ricorrenti sostengono che le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione e hanno violato l’art. 3, n. 7, del regolamento di base, poiché si sarebbero rifiutate di effettuare un esame dei fattori che hanno causato un pregiudizio a singoli produttori comunitari pur avendo inciso anche sul complesso dell’industria comunitaria, malgrado il numero limitato dei suddetti produttori e l’eterogeneità della loro situazione economica.

187    Infatti, innanzitutto, le ricorrenti rilevano, a proposito della Huta Laziska, che nel 2004 essa ha riconvertito una parte della sua produzione di ferrosilicio verso quella di silico-manganese al fine di aumentare la propria redditività. Da ciò sarebbe conseguita un calo della produzione di ferrosilicio di tale società nonché una riduzione delle vendite di ferrosilicio ai clienti indipendenti. Tenuto conto dei cali di produzione a costi fissi immutati, nel 2004 i suoi costi per tonnellata sarebbero aumentati di circa il 17% e le sue perdite sarebbero più che triplicate, senza che ciò fosse legato alle importazioni. Tuttavia, il fatturato realizzato presso taluni clienti indipendenti era aumentato. Nel 2005 la Huta Laziska aveva iniziato a ridurre la sua produzione, prima di porvi termine, durante il periodo dell’inchiesta, a seguito di una controversia con il suo fornitore di energia elettrica. Di conseguenza, le sue vendite erano diminuite e i suoi costi di produzione unitari erano aumentati in maniera sostanziale, il che aveva implicato una perdita di redditività e una diminuzione della quota di mercato.

188    Inoltre, quanto alla OFZ, le ricorrenti fanno osservare, anzitutto, che nel 2004 essa ha riassegnato o licenziato il 47% del suo personale, il che significa che essa non è stata in grado di soddisfare la domanda crescente. Inoltre, la OFZ aveva riconvertito parte della sua produzione di ferrosilicio verso quella di silico‑manganese per aumentare la propria redditività. Di conseguenza, le sue vendite ai clienti indipendenti erano diminuite del 19%. Tuttavia, a causa delle forti condizioni del mercato, essa era riuscita a limitare la sua perdita di fatturato all’11%, nonostante l’aumento del 14% dei costi di produzione, che sarebbe in parte derivato dall’esistenza di costi fissi a fronte della riduzione della produzione. Le ricorrenti poi affermano che nel 2005 la OFZ era stata oggetto di una ristrutturazione, il che le aveva permesso di diminuire i costi di produzione e di aumentare la redditività. A tal fine, essa era stata costretta a ridurre provvisoriamente le sue vendite e la sua quota di mercato.

189    Ancora, riguardo alla TDR – Metalurgija d.d., le ricorrenti sostengono che, nel 2004, essa ha aumentato il suo volume di vendite ai clienti indipendenti di una percentuale più elevata rispetto alla domanda, ha incrementato la sua produzione e beneficiato di prezzi più alti aumentando il fatturato realizzato presso taluni clienti indipendenti. Tuttavia, a causa di un aumento generale del 12% dei costi di produzione, essa non era riuscita a recuperare la sua redditività. Quando il mercato è andato in perdita, nel 2005, la TDR non era stata in grado di riprendersi dai cattivi risultati ottenuti nel 2004, un «anno di eccezionale prosperità».

190    Per quanto riguarda poi la Vargön Alloys, le ricorrenti sostengono che, nel 2004, essa ha aumentato il suo volume di vendite ai clienti indipendenti di una percentuale più elevata rispetto alla domanda, ha incrementato la sua produzione e beneficiato di prezzi più elevati aumentando il fatturato realizzato presso taluni clienti indipendenti. I suoi costi di produzione erano tuttavia saliti del 15%. Le ricorrenti osservano che, secondo le istituzioni, la Vargön Alloys aveva subito perdite supplementari del 45%. Sebbene le istituzioni non abbiano fornito alcuna spiegazione al riguardo, sarebbe chiaro che tale evoluzione doveva essere imputata a problemi propri di tale società, e non alle importazioni controverse. Tra il 2004 e il 2005, la Vargön Alloys aveva dimezzato la sua produzione di ferrosilicio a causa degli aumenti del prezzo dell’energia elettrica. Inoltre, nel corso del periodo dell’inchiesta, essa aveva riconvertito una parte della sua produzione allo scopo di aumentare la propria redditività, il che aveva determinato una diminuzione delle vendite di ferrosilicio e della quota di mercato.

191    Infine, per quanto riguarda la FerroPem SAS e la FerroAtlántica, le ricorrenti sostengono che, tra il 2003 e il 2004, la FerroPem ha ridotto le sue vendite di ferrosilicio ai clienti indipendenti, ma ha aumentato la sua produzione e ha smaltito delle scorte, il che dimostrerebbe che la FerroPem ha incrementato il proprio uso vincolato. Di conseguenza, secondo le ricorrenti, il fatturato realizzato dalla FerroPem presso taluni clienti indipendenti è diminuito. Inoltre, poiché nel frattempo i costi di produzione erano aumentati del 24%, è logico che la FerroPem avesse subito una perdita sostanziale di redditività. In seguito all’aumento dei prezzi dell’energia elettrica, la FerroAtlántica aveva smesso di produrre nelle ore di massimo consumo, consentendo in tal modo alla propria divisione dell’elettricità di realizzare migliori profitti. Inoltre, l’acquisizione da parte sua della FerroPem aveva causato spese di ristrutturazione per entrambe le società. Queste ultime tuttavia avevano realizzato le migliori prestazioni del mercato aumentando le proprie vendite nel 2004 e nel 2005, quando il consumo complessivo nella Comunità era in calo. Per quanto riguarda il 2005 e il periodo dell’inchiesta, la divisione venezuelana della FerroAtlántica aveva incrementato le sue esportazioni verso la Comunità. Il gruppo FerroAtlántica nel suo complesso aveva realizzato ottimi risultati e non sembrava aver subito un pregiudizio. Secondo le ricorrenti, in ogni caso, tale pregiudizio non può essere imputato alle importazioni oggetto di dumping.

192    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

193    Nell’ambito dell’ottavo capo del primo motivo, le ricorrenti criticano, in particolare, il fatto che le istituzioni non abbiano tenuto conto di fattori che hanno causato individualmente un pregiudizio ai produttori comunitari pur avendo inciso anche sul complesso dell’industria comunitaria.

194    È già stato dichiarato supra, al punto 88, che, contrariamente a quanto afferma il Consiglio, l’analisi dell’esistenza di un nesso di causalità non dev’essere necessariamente effettuata con riferimento al complesso dell’industria comunitaria, con la conseguenza che qualsiasi pregiudizio causato a un singolo produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping non può essere tenuto in considerazione. Un pregiudizio causato singolarmente a un produttore comunitario da un fattore diverso dalle importazioni oggetto di dumping dev’essere preso in considerazione allorché ha contribuito al pregiudizio che è stato osservato per l’industria comunitaria nel suo complesso.

195    Tuttavia, occorre precisare che la necessità di prendere in considerazione fattori che hanno causato pregiudizio a un singolo produttore mentre hanno contribuito al pregiudizio dell’industria comunitaria nel suo complesso non significa, nel caso di specie, che le istituzioni fossero tenute ad analizzare sistematicamente la situazione di ogni singolo produttore comunitario.

196    A questo proposito, va rilevato che gli argomenti sollevati dalle ricorrenti non sono idonei a dimostrare che la situazione individuale dei produttori comunitari sia stata all’origine del pregiudizio subito dal complesso dell’industria comunitaria o, quanto meno, che vi abbia contribuito.

197    Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda gli argomenti relativi alla situazione della Huta Laziska, essi sono in sostanza identici ad alcuni di quelli fatti valere nell’ambito del terzo capo del presente motivo. Orbene, è stato dichiarato che tali argomenti erano infondati. Di conseguenza, gli stessi argomenti debbono essere dichiarati ugualmente infondati nell’ambito dell’esame del presente capo.

198    In secondo luogo, per quanto riguarda la situazione della OFZ, gli elementi di fatto descritti dalle ricorrenti sono diretti a dimostrare che tale società è stata oggetto di una ristrutturazione, cosa che avrebbe contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Orbene, nell’esame del terzo capo del presente motivo, è stato dichiarato che le riconversioni di produzione, compresa quella della OFZ, erano state prese in considerazione dalle istituzioni. Inoltre, anche se la situazione descritta dalle ricorrenti per il 2004 e il 2005 può effettivamente aver contribuito al pregiudizio, è altresì plausibile, come rileva il Consiglio, che tale situazione sia stata causata dalla presenza di importazioni a basso prezzo sul mercato comunitario. Pertanto, non si può affermare che le ricorrenti abbiano dimostrato che la situazione della OFZ ha contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

199    In terzo luogo, per quanto riguarda la situazione della TDR, i fatti descritti dalle ricorrenti sono diretti a provare che il pregiudizio subito da tale società è legato all’incremento dei suoi costi di produzione. Poiché una simile affermazione è già stata respinta in sede di esame del quarto capo del presente motivo, occorre del pari respingere in quanto infondati gli argomenti relativi alla situazione della TDR fatti valere nell’ambito del presente capo.

200    In quarto luogo, per quanto riguarda la situazione della Vargön Alloys, le ricorrenti fanno riferimento a una riconversione di produzione attuata da tale società nonché all’aumento dei costi di produzione. Poiché gli argomenti relativi all’incidenza di tali fattori sul pregiudizio subito dall’industria comunitaria sono già stati respinti in sede di esame del terzo e del quarto capo del presente motivo, gli argomenti relativi alla situazione della Vargön Alloys dedotti nel presente capo debbono ugualmente essere respinti.

201    In quinto luogo, per quanto riguarda la situazione della FerroPem e della FerroAtlántica, occorre rilevare che le ricorrenti descrivono una situazione economica complessivamente positiva per tali società e non dimostrano in che modo tale situazione avrebbe potuto contribuire al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Pertanto, gli argomenti relativi alla situazione di tali due società non possono essere accolti.

202    Di conseguenza, occorre respingere in quanto infondato l’ottavo capo del primo motivo, nella parte in cui è relativo alla situazione di singoli produttori.

203    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre respingere in quanto infondati il primo, il secondo, il quarto e il quinto capo del primo motivo, le prime tre censure del terzo capo del primo motivo, nonché l’ottavo capo del primo motivo, nella parte in cui è relativo all’analisi individuale dei fattori di pregiudizio. Occorre altresì respingere il sesto capo del primo motivo in quanto in parte infondato e in parte irricevibile. Infine, si deve rilevare che le violazioni accertate in sede di esame della quarta censura del terzo capo del primo motivo nonché in sede di esame del settimo capo di questo stesso motivo non possono giustificare l’annullamento del regolamento impugnato.

3.     Sulla mancanza di analisi collettiva dei fattori di pregiudizio (primo e ottavo capo del primo motivo)

a)     Argomenti delle parti

204    Nell’ambito della prima parte del primo motivo le ricorrenti sostengono che l’approccio del Consiglio è manifestamente inadeguato, in quanto esso ha analizzato se altri fattori, singolarmente considerati, fossero stati la causa del pregiudizio subito dall’industria comunitaria, mentre nel caso di specie sarebbe stata necessaria un’analisi dell’incidenza collettiva degli altri fattori. Infatti, anzitutto un gran numero di fattori diversi aveva avuto un impatto sull’industria comunitaria e tale industria aveva subito solo un pregiudizio minimo. Inoltre, la situazione dei singoli produttori comunitari era notevolmente diversa. Infine, molte delle parti del procedimento antidumping avevano sottolineato, nel corso dello stesso, che altri fattori, considerati singolarmente, spiegavano il pregiudizio materiale subito dall’industria comunitaria.

205    Nell’ambito dell’ottavo capo del primo motivo, le ricorrenti sostengono che le istituzioni avrebbero dovuto valutare collettivamente l’impatto dei fattori noti diversi dalle importazioni oggetto di dumping. Infatti, secondo le ricorrenti, anche se uno solo di questi fattori, considerato singolarmente, può non essere sufficiente a interrompere il nesso di causalità tra le importazioni interessate dal procedimento antidumping e il pregiudizio, è possibile che il complesso dei suddetti fattori lo abbia interrotto. Orbene, nel caso di specie, ove fosse stata effettuata, una simile analisi avrebbe confermato che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria era derivato dall’evoluzione dei costi e del mercato e non era stata causato dalle importazioni oggetto del procedimento di inchiesta.

206    Infatti, in primo luogo, le ricorrenti spiegano che non era legittimo imputare l’evoluzione dei prezzi nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta – ossia, prezzi più bassi del 15% nel 2005, e del 6% nel corso del periodo dell’inchiesta, rispetto al 2004 – alle importazioni oggetto del procedimento d’inchiesta, poiché tale evoluzione si sarebbe inserita in un riequilibrio generale dei prezzi del mercato rispetto al 2004. Infatti, secondo le ricorrenti, il calo dei prezzi è la conseguenza logica di una contrazione mondiale della domanda nel 2005. Orbene, durante un periodo di contrazione della domanda è prevedibile che i produttori comunitari subiscano una perdita di profitti, il che significherebbe che profitti ridotti non sono di per sé sufficienti a dimostrare un pregiudizio.

207    In secondo luogo, le ricorrenti sottolineano la stretta correlazione esistente tra gli aumenti dei costi di produzione e la perdita di redditività. Esse infatti sostengono che la riduzione dei profitti nel 2005, conseguente alla contrazione del mercato, è stata ulteriormente aggravata dall’aumento dei costi, i quali avevano già gravemente compromesso la redditività dei produttori comunitari nel 2004. Questo avrebbe avuto un effetto valanga per quanto riguarda l’aumento dei costi di produzione e le perdite di profitti, effetto che sarebbe stato alimentato dai cali di produzione. Le ricorrenti inoltre osservano che, nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta, i costi di produzione dell’industria comunitaria hanno superato i prezzi del mercato, mentre nel 2005 i suddetti prezzi erano i più alti al mondo. Per di più, le ricorrenti sostengono che gli aumenti dei costi di produzione sono il risultato, anzitutto, dei costi più elevati delle materie prime, poi della perdita di economie di scala conseguenti alle diminuzioni o alle riconversioni di produzione e, infine, di altri fattori privi di relazione con le importazioni controverse.

208    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

209    Occorre innanzitutto ricordare che al punto 43 supra è già stato dichiarato che un’analisi collettiva dei fattori di pregiudizio poteva essere necessaria in talune circostanze, in particolare là dove le istituzioni hanno dichiarato che un gran numero di fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping aveva potuto contribuire al pregiudizio ma che tale effetto, singolarmente, non poteva essere considerato significativo.

210    Nel caso di specie, ai ‘considerando’ 115-136 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 87-101 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno analizzato uno per uno dodici fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping, ossia le importazioni originarie, rispettivamente, della Norvegia, dell’Islanda, del Brasile e del Venezuela, la concorrenza di un altro produttore comunitario, l’evoluzione della domanda, i risultati nelle esportazioni dell’industria comunitaria, le fluttuazioni del tasso di cambio, i costi di produzione, le riconversioni di produzione, il modo in cui vengono stabiliti i prezzi del ferrosilicio e la competitività dell’industria comunitaria. Esse hanno concluso che nessuno dei suddetti fattori aveva contribuito singolarmente al pregiudizio subito dall’industria comunitaria, fatta eccezione per le importazioni provenienti dall’Islanda e dal Venezuela il cui effetto, però, non è stato considerato significativo.

211    Orbene, l’esame esposto supra, ai punti 49-203, ha permesso di stabilire che l’analisi individuale dei fattori di pregiudizio non era viziata da errore manifesto, fatta eccezione tuttavia per due fattori, presi in considerazione in sede di esame della quarta censura del terzo capo e del settimo capo del primo motivo, che le istituzioni non avevano preso in esame, ma per i quali le ricorrenti non dimostrano che abbiano contribuito, nel caso di specie, al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Si deve pertanto concludere da quanto precede che le istituzioni, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, hanno potuto omettere di effettuare un’analisi collettiva dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

212    Questa conclusione non può essere invalidata dagli argomenti sollevati dalle ricorrenti nell’ambito del primo capo del primo motivo. In primo luogo, occorre respingere in quanto irricevibile l’argomento attinente alle osservazioni formulate da altre parti del procedimento antidumping, durante il procedimento d’inchiesta, in quanto le ricorrenti in sostanza non fanno valere alcun argomento ma si limitano a rinviare alle osservazioni di altre parti del procedimento antidumping che esse allegano al ricorso. A questo proposito, si deve ricordare che, in forza dell’art. 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, applicabile al Tribunale in forza dell’art. 53, primo comma, del detto Statuto, e dell’art. 44, n. 1, lett. c) e d), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve contenere l’oggetto della controversia, le conclusioni del ricorrente e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso. Al fine di garantire la certezza del diritto ed una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (sentenze del Tribunale 6 maggio 1997, causa T‑195/95, Guérin automobiles/Commissione, Racc. pag. II‑679, punto 20, e 3 febbraio 2005, causa T‑19/01, Chiquita Brands e a./Commissione, Racc. pag. II‑315, punto 64). Pur se il contenuto del ricorso può essere suffragato e completato, su punti specifici, mediante rinvii ad estratti della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche allegati all’atto di ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto, che devono figurare nell’atto di ricorso (ordinanza del Tribunale 21 maggio 1999, causa T‑154/98, Asia Motors e a./Commissione, Racc. pag. II‑1703, punto 49).

213    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo al fatto che i produttori versavano singolarmente in situazioni assai diverse, va osservato che tale argomento è sostanzialmente identico agli argomenti sollevati nell’ambito dell’ottavo capo, nella misura in cui riguarda le situazioni dei singoli produttori. Poiché è stato deciso che tale capo doveva essere respinto in quanto infondato, l’argomento non può contribuire a dimostrare che nel caso di specie era necessaria un’analisi collettiva dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

214    Analogamente, tale conclusione non può essere messa in discussione dagli argomenti sollevati dalle ricorrenti nell’ambito dell’ottavo capo del primo motivo. Infatti, tali argomenti sono in sostanza identici a taluni degli argomenti sollevati nell’ambito del terzo, quarto e quinto capo del primo motivo. Poiché, nell’ambito del loro esame, i suddetti capi sono stati dichiarati infondati, tali argomenti non possono contribuire a dimostrare che, nel caso di specie, era necessaria un’analisi collettiva dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

215    Pertanto, il primo e l’ottavo capo del primo motivo vanno respinti in quanto infondati, nella parte in cui riguardano la mancanza di analisi collettiva dei fattori di pregiudizio. Inoltre, riguardo a tale conclusione, si deve altresì respingere il primo capo del primo motivo in quanto attinente ad un errore di diritto riguardo all’obbligo di procedere a un’analisi collettiva dei diversi fattori di pregiudizio.

B –  Sul secondo motivo, attinente all’esistenza di un interesse comunitario

1.     Sul primo capo del secondo motivo, attinente all’evoluzione al rialzo dei prezzi del ferrosilicio successiva al periodo dell’inchiesta

a)     Argomenti delle parti

216    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso manifestamente in un errore di interpretazione dell’art. 6, n. 1, del regolamento di base (divenuto art. 6, n. 1, del regolamento n. 1225/2009). Infatti, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, il Consiglio avrebbe a torto invocato tale disposizione per sostenere che, in sede di valutazione dell’interesse comunitario, non era necessario tener conto dell’evoluzione successiva al periodo dell’inchiesta. Orbene, l’art. 6, n. 1, del regolamento di base si applicherebbe solo alla valutazione del dumping e del pregiudizio. L’art. 21 del regolamento di base (divenuto art. 21 del regolamento n. 1225/2009), relativo all’interesse comunitario, non contiene alcun limite temporale. Difatti, il criterio dell’interesse della Comunità sarebbe un criterio orientato al futuro e, pertanto, la sua applicazione non può per definizione essere limitata a dati riguardanti un periodo che termina prima dell’inizio dell’inchiesta. Inoltre, le istituzioni abitualmente prendono in considerazione alcune informazioni successive al periodo dell’inchiesta, cosa che esse avrebbero fatto, ad esempio, nel regolamento n. 1420/2007. Per di più, nella sentenza 14 novembre 2006, causa T‑138/02, Nanjing Metalink/Consiglio (Racc. pag. II‑4347, punto 59), il Tribunale aveva spiegato che il divieto di tener conto di elementi posteriori al periodo dell’inchiesta è volto a garantire che gli elementi su cui si fonda l’accertamento del dumping e del danno non siano influenzati dal comportamento dei produttori interessati successivo all’avvio del procedimento antidumping. Tuttavia, tale ragionamento non si applicherebbe alla valutazione dell’interesse comunitario, non potendo quest’ultimo costituire oggetto di manipolazioni ad opera delle parti dell’inchiesta.

217    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione nell’affermare, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, che, poiché i costi erano aumentati nel corso dei mesi successivi al periodo dell’inchiesta, l’industria comunitaria non si era ripresa al punto tale da rendere ingiustificata l’imposizione di misure antidumping, malgrado l’evoluzione al rialzo dei prezzi del ferrosilicio. Secondo le ricorrenti, se è esatto che i principali costi di produzione del ferrosilicio hanno continuato ad aumentare durante il periodo dell’inchiesta, l’ampiezza di questi aumenti dei costi è stata più limitata rispetto a quella degli aumenti del prezzo del ferrosilicio. Infatti, mentre i prezzi del ferrosilicio erano aumentati del 50% tra il periodo dell’inchiesta e l’adozione del regolamento impugnato, il prezzo dell’energia elettrica, che è il principale costo di produzione, era cresciuto di circa il 4% durante il secondo semestre 2007. Ciò avrebbe permesso ai produttori comunitari di superare il limite del 5% del margine di profitto, considerato come ragionevole nel regolamento impugnato. Successivamente, i produttori comunitari avevano ricominciato a produrre ferrosilicio.

218    In terzo luogo, le ricorrenti sostengono, nella replica, che il Consiglio non ha motivato adeguatamente il suo rigetto degli argomenti e degli elementi di prova da esse dedotti nell’ambito dell’inchiesta antidumping, al fine di dimostrare che l’aumento dei prezzi del ferrosilicio successivo al periodo dell’inchiesta era stato superiore rispetto all’aumento dei costi.

219    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

220    Nell’ambito dell’esame del presente capo del secondo motivo, occorre stabilire se il Consiglio sia incorso in un errore di diritto nel ritenere, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, che l’art. 6, n. 1, del regolamento di base fosse applicabile all’accertamento dell’esistenza di un interesse della Comunità ad adottare misure antidumping, cosa che implica che informazioni successive al periodo dell’inchiesta non possono normalmente essere utilizzate ai fini del suddetto accertamento.

221    Un’interpretazione letterale e teleologica tanto dell’art. 6, n. 1, quanto dell’art. 21, n. 1, del regolamento di base (divenuto art. 21, n. 1, del regolamento n. 1225/2009) permette di concludere che, contrariamente a quanto affermato dal Consiglio al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, l’art. 6, n. 1, del regolamento di base non è applicabile all’accertamento dell’esistenza di un interesse della Comunità, come previsto dall’art. 21, n. 1, del regolamento di base, il che significa che i dati relativi ad un periodo successivo al periodo dell’inchiesta possono essere presi in considerazione nell’ambito di tale accertamento.

222    Occorre infatti ricordare che l’art. 6 del regolamento di base è intitolato «Inchiesta». Ai sensi dell’art. 6, n. 1, del regolamento di base, l’inchiesta «riguarda tanto le pratiche di dumping quanto il pregiudizio». Esso inoltre precisa che «[a]i fini di una conclusione rappresentativa, viene scelto un periodo dell’inchiesta» e che «[l]e informazioni relative ad un periodo successivo al periodo dell’inchiesta non sono di norma prese in considerazione». Poiché l’art. 6, n. 1, del regolamento di base precisa che l’inchiesta riguarda solo la determinazione del dumping e del pregiudizio, l’ultima frase della stessa disposizione, ai sensi della quale di norma si può non tener conto degli sviluppi successivi al periodo dell’inchiesta, si applica allo stesso modo soltanto alla valutazione del dumping e del pregiudizio.

223    Tale interpretazione è confermata dall’analisi dell’obiettivo dell’art. 6, n. 1, del regolamento di base. Secondo la giurisprudenza, la determinazione di un periodo di inchiesta ed il divieto di tener conto di elementi posteriori alla stessa mirano a garantire che i risultati dell’inchiesta siano rappresentativi ed affidabili (sentenza del Tribunale 20 giugno 2001, causa T‑188/99, Euroalliages/Commissione, Racc. pag. II‑1757, punto 74). Il periodo di inchiesta previsto dall’art. 6, n. 1, del regolamento di base è volto, segnatamente, a garantire che gli elementi su cui si fonda l’accertamento del dumping e del pregiudizio non siano influenzati dal comportamento dei produttori interessati successivo all’avvio del procedimento antidumping e, dunque, che il dazio definitivo imposto in esito al procedimento sia idoneo a porre rimedio effettivo al pregiudizio risultante dal dumping (sentenza Nanjing Metalink/Conseil, cit. supra al punto 216, punto 59). Orbene, occorre rilevare, al pari delle ricorrenti, che sebbene le parti interessate possano influire sulla determinazione del dumping e del pregiudizio modificando la loro politica commerciale, una tale possibilità non esiste per determinare l’esistenza di un interesse comunitario all’imposizione delle misure. Pertanto, l’obiettivo perseguito dalla definizione di un periodo dell’inchiesta oltre il quale i dati non vengono presi in considerazione non è rilevante nell’ambito dell’art. 21 del regolamento di base.

224     Parimenti, occorre sottolineare, da un lato, che l’art. 21 del regolamento di base non contiene alcun limite temporale riguardo ai dati che possono essere presi in considerazione da parte delle istituzioni ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un interesse comunitario. Dall’altro lato, secondo la giurisprudenza, l’esame dell’interesse comunitario necessita di una stima delle probabili conseguenze sia dell’applicazione che della non applicazione delle misure previste per l’interesse dell’industria comunitaria e per gli altri interessi in gioco. Tale stima implica un pronostico fondato su ipotesi relative ad eventi futuri, il quale comporta la valutazione di situazioni economiche complesse (sentenza del Tribunale 8 luglio 2003, causa T‑132/01, Euroalliages e a./Commissione, Racc. pag. II‑2359, punto 47). Poiché l’analisi prevista dall’art. 21 del regolamento di base è orientata al futuro, le istituzioni possono essere indotte a prendere in considerazione informazioni che non riguardano il periodo dell’inchiesta, ma sono ad esso successive.

225    Pertanto, si deve rilevare, al pari delle ricorrenti, che il Consiglio è incorso in un errore di diritto, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, nell’applicare l’art. 6, n. 1, del regolamento di base all’accertamento di un interesse comunitario.

226    Tuttavia, pur avendo considerato che l’art. 6, n. 1, del regolamento di base era applicabile all’accertamento di un interesse comunitario, le istituzioni hanno analizzato, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, le informazioni disponibili successive al periodo dell’inchiesta. L’errore pertanto non è idoneo, in quanto tale, a incidere sulla legittimità del regolamento impugnato.

227    In secondo luogo, occorre stabilire se l’esame delle informazioni successive al periodo dell’inchiesta, effettuato dalle istituzioni al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, sia viziato da un errore manifesto di valutazione. Al riguardo, si deve ricordare che, trattandosi della valutazione di una situazione economica complessa, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale nella valutazione dell’interesse comunitario. Il giudice dell’Unione deve quindi limitare il suo sindacato alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti e dell’insussistenza di sviamento di potere (sentenza Euroalliages e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 67).

228    Va ricordato che, al ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato, il Consiglio ha affermato che non si poteva concludere che l’industria comunitaria avesse conosciuto una tale ripresa da rendere ingiustificata l’imposizione di misure poiché, nonostante un andamento crescente dei prezzi del ferrosilicio nei mesi successivi al periodo dell’inchiesta, i prezzi dei principali fattori di costo del ferrosilicio erano anch’essi aumentati.

229    L’affermazione delle ricorrenti secondo la quale il ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato è viziato da un errore manifesto di valutazione si basa su due argomenti. Da un lato, i prezzi sarebbero aumentati del 50% tra il periodo dell’inchiesta e l’adozione del regolamento impugnato. Dall’altro lato, i costi di produzione non sarebbero aumentati nella stessa misura dei prezzi del ferrosilicio.

230    Tuttavia, si deve osservare che i documenti prodotti dalle ricorrenti a sostegno di tali argomenti, tanto nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale quanto nell’ambito del procedimento antidumping, contengono un fondamentale difetto. Essi dimostrano che i prezzi del ferrosilicio sono cresciuti nei mesi successivi alla fine del periodo dell’inchiesta, ma non provano affatto che l’aumento complessivo dei costi sia stato assai più modesto. Al riguardo, le ricorrenti si limitano a produrre un documento che attesta un aumento del prezzo dell’energia elettrica del 4%, ma non contiene alcun riferimento all’evoluzione dei prezzi delle altre materie prime.

231    Orbene, in forza dell’art. 21, n. 7, del regolamento di base (divenuto art. 21, n. 7, del regolamento n. 1225/2009), le informazioni presentate alle istituzioni sono prese in considerazione unicamente se sostenute da elementi di prova effettivi che ne dimostrano la validità. Poiché tali elementi di prova non erano disponibili, non si può imputare al Consiglio alcun errore manifesto di valutazione.

232     Tenuto conto dell’insufficienza delle prove dedotte dalle ricorrenti, il loro argomento è tanto meno giustificato in quanto il regolamento di base prevede meccanismi specifici diretti a trattare taluni sviluppi successivi al periodo dell’inchiesta (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 maggio 1987, causa 258/84, Nippon Seiko/Consiglio, Racc. pag. 1899, punto 53). Infatti, l’art. 11, n. 3, del regolamento di base (divenuto art. 11, n. 3, del regolamento n. 1225/2009) dispone che un riesame intermedio è avviato in tre ipotesi: quando le misure non sono più necessarie per eliminare il dumping, quando, in caso di soppressione o modifica delle misure, il pregiudizio non persisterebbe né si ripeterebbe, oppure quando le misure vigenti non sono più sufficienti per agire contro il dumping. L’art. 11, n. 8, del regolamento di base (divenuto art. 11, n. 8, del regolamento n. 1225/2009) prevede la restituzione di dazi antidumping se si dimostra che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati i dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore. Infine, in forza dell’art. 14, n. 4, del regolamento di base (divenuto art. 14, n. 4, del regolamento n. 1225/2009), le misure antidumping possono essere sospese qualora si sia riscontrata una modifica temporanea delle condizioni di mercato tale da rendere improbabile il riemergere del pregiudizio a seguito della sospensione.

233    Tenuto conto di quanto precede, non si può affermare che il ‘considerando’ 106 del regolamento impugnato è viziato da un errore manifesto di valutazione.

234    In terzo luogo, è infondato l’argomento delle ricorrenti relativo alla mancata motivazione del rigetto degli elementi di prova da esse dedotti. Infatti, al punto 230 supra, è stato dichiarato che i documenti forniti alle istituzioni dalle ricorrenti erano atti a dimostrare che i prezzi del ferrosilicio erano cresciuti nei mesi successivi alla fine del periodo dell’inchiesta ma non dimostravano affatto che l’aumento complessivo dei costi fosse stato assai più modesto. La motivazione contenuta al ‘considerando’ 106 è pertanto insufficiente per respingere tali documenti.

235    Alla luce di quanto precede, il primo capo del secondo motivo dev’essere respinto integralmente. Infatti, si deve rilevare che l’errore di diritto accertato durante l’esame di tale capo non giustifica l’annullamento del regolamento impugnato.

2.     Sul secondo capo del secondo motivo, attinente all’esperienza passata che dimostra come le misure antidumping non aiutino l’industria comunitaria

a)     Argomenti delle parti

236    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione in quanto, ai ‘considerando’ 117 e 118 del regolamento impugnato, si è rifiutato di tener conto dell’esperienza passata, mentre questa mostrerebbe, da un lato, che le misure antidumping nel settore del ferrosilicio non permettono di ottenere l’effetto riparatore voluto e, dall’altro lato, che tali misure impongono un onere inutile all’industria comunitaria. Secondo le ricorrenti, anche se la decisione di istituire misure antidumping dovrebbe essere basata su informazioni raccolte e analizzate durante l’inchiesta corrispondente, l’impatto di misure precedenti è un fattore importante e rilevante che occorre prendere in considerazione nell’ambito dell’applicazione dell’art. 21 del regolamento di base. Orbene, nella decisione 21 febbraio 2001, 2001/230/CE, che chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originarie del Brasile, della Repubblica popolare cinese, del Kazakistan, della Russia, dell’Ucraina e del Venezuela (GU L 84, pag. 36), la Commissione aveva posto termine alle misure antidumping applicate alle importazioni di ferrosilicio dal 1987, poiché non avevano permesso di raggiungere l’effetto riparatore voluto nonostante il considerevole onere che avevano imposto agli utenti comunitari. La decisione della Commissione era stata confermata dal Tribunale. Considerato tale precedente, le ricorrenti ritengono che le istituzioni avrebbero dovuto stabilire sotto quali profili il caso di specie fosse differente, in modo da giustificare l’analisi adottata.

237    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

238    Nell’ambito del presente capo del secondo motivo, le ricorrenti affermano, in sostanza, che ai ‘considerando’ 117 e 118 del regolamento impugnato le istituzioni avrebbero dovuto tener conto della decisione 2001/230 che ha posto fine alle misure antidumping applicate alle importazioni di ferrosilicio perché non avevano prodotto l’effetto correttivo atteso. Tale censura dev’essere esaminata alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 227.

239    Si deve osservare che ai ‘considerando’ 117 e 118 del regolamento impugnato il Consiglio si è rifiutato di prendere in considerazione la decisione 2001/230 in quanto, a norma del regolamento di base, le decisioni sono assunte sulla base dei dati raccolti e analizzati durante l’inchiesta corrispondente e non sulla base di inchieste precedenti.

240    A questo proposito, occorre ricordare che l’art. 21, n. 1, del regolamento di base dispone che, per decidere se sia necessario intervenire nell’interesse della Comunità, vengono valutati i diversi interessi nel loro complesso, compresi quelli dell’industria comunitaria, degli utenti e dei consumatori. Secondo la giurisprudenza, la valutazione dell’interesse comunitario richiede la ponderazione degli interessi delle varie parti interessate e dell’interesse generale (sentenza Euroalliages e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 48).

241    Occorre ancora sottolineare che, come rilevato supra al punto 227, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale nella valutazione dell’interesse comunitario. Questo potere discrezionale deve esercitarsi caso per caso, in relazione a tutte le circostanze pertinenti (v., in tal senso, sentenza Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 90, punto 43). Tuttavia, una decisione precedente che decreta la mancanza del carattere riparatore di misure antidumping applicate, per il passato, sulle importazioni di un prodotto identico originario degli stessi paesi interessati dal procedimento d’inchiesta, può essere pertinente nell’ambito dell’applicazione dell’art. 21, n. 1, del regolamento di base, ove contribuisca a dimostrare che l’adozione delle misure antidumping non è nell’interesse generale. In tal caso, spetta tuttavia alla parte che fa valere tale decisione spiegare sotto quale profilo le circostanze in cui tale decisione è stata adottata sono paragonabili a quelle del procedimento antidumping in corso e perché le conclusioni tratte in tale decisione dovrebbero essere applicate al suddetto procedimento.

242    Nel caso di specie, le ricorrenti non hanno dimostrato sotto quale profilo le circostanze in cui la decisione 2001/230 era stata adottata fossero comparabili e giustificassero l’applicazione delle sue conclusioni ai fatti del caso di specie. Per di più, come osservato dal Consiglio, le circostanze in cui la decisione 2001/230 era stata adottata erano diverse da quelle del caso di specie. Tale decisione, infatti, faceva seguito a un riesame di misure che stavano per scadere e delle misure che erano in vigore nei confronti di paesi diversi da molti anni, il che significa che l’industria comunitaria beneficiava, da lungo tempo, di una tutela sul mercato. Questa non era la situazione del caso di specie. Inoltre, nella decisione 2001/230, per concludere che non era opportuno adottare misure antidumping, la Commissione si era basata sul fatto che, nonostante la prolungata tutela, la situazione dell’industria comunitaria non era migliorata. Le condizioni prevalenti sul mercato comunitario del ferrosilicio, come esaminato nella decisione 2001/230, erano fondamentalmente diverse da quelle del caso di specie.

243    Pertanto, poiché nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è atto a dimostrare che i ‘considerando’ 117 e 118 del regolamento impugnato sono viziati da un errore manifesto di valutazione, il secondo capo del secondo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

3.     Sul terzo capo del secondo motivo, attinente all’analisi dell’impatto delle misure antidumping sugli utenti

a)     Argomenti delle parti

244    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione concludendo che l’impatto delle misure antidumping sugli utenti sarebbe poco importante. Anzitutto, al ‘considerando’ 115 del regolamento impugnato, il Consiglio si sarebbe limitato a menzionare l’impatto sui profitti in termini percentuali. Questo sarebbe fuorviante poiché, con un’aliquota impositiva media del 23,4%, le industrie utilizzatrici dovrebbero sopportare un incremento diretto dei costi di circa EUR 104 milioni all’anno. Inoltre, le misure antidumping determinerebbero costi indiretti supplementari per gli utenti comunitari, dovuti a interruzioni delle forniture nonché ad aumenti a breve e medio termine dei prezzi del ferrosilicio.

245    Inoltre, le ricorrenti fanno osservare che il Consiglio non ha tenuto conto del fatto che, durante il periodo considerato, gli utenti comunitari erano sempre più dipendenti dalle importazioni per soddisfare le loro necessità in ferrosilicio, dato che i produttori comunitari non avevano la capacità né l’intenzione di soddisfare tali necessità. Per di più, le difficoltà di approvvigionamento avevano continuato ad aggravarsi durante il periodo interessato, dato che la Vargön Alloys aveva deciso di cessare la sua produzione di ferrosilicio, la OFZ aveva deciso di concentrarsi sulla produzione vincolata destinata alla ArcelorMittal, la TDR aveva deciso di riconvertire la sua produzione verso il silicio e la Huta Laziska aveva dovuto continuare ad operare sotto controllo giurisdizionale, senza certezze riguardo ai suoi rifornimenti di energia elettrica.

246    In secondo luogo, a detta delle ricorrenti, perché il principio di proporzionalità sia rispettato, occorre bilanciare gli alti costi sostenuti dagli utenti con i profitti procurati all’industria comunitaria. Orbene, considerati i procedimenti antidumping precedenti e l’evoluzione delle condizioni del mercato, l’interesse della Comunità avrebbe militato contro l’imposizione di dazi.

247    In terzo luogo, le ricorrenti affermano, nella replica, che il Consiglio non ha adeguatamente motivato la decisione di non tener conto degli oneri gravanti sugli utenti comunitari in seguito alle interruzioni di produzione.

248    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

249    Nell’ambito del presente capo del secondo motivo, le ricorrenti negano, in sostanza, che l’impatto delle misure antidumping sugli utenti sarebbe poco importante. Il capo in esame, così come i due precedenti, dev’essere analizzato alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 227.

250    In primo luogo, le ricorrenti ritengono che il ‘considerando’ 115 del regolamento impugnato sia viziato da un errore manifesto di valutazione. Al riguardo, occorre precisare che in tale ‘considerando’ il Consiglio ha affermato che, tenuto anche conto del fatto che l’aliquota del dazio definitivo medio era del 23,4%, l’impatto delle misure sull’industria dell’acciaio e sulle fonderie non avrebbe dovuto essere importante, visto che, al massimo, la sua incidenza sui risultati finanziari sarebbe stata rispettivamente dello 0,16% e dello 0,33%.

251    Anzitutto le ricorrenti affermano che tale ‘considerando’ è fuorviante, dato che gli utenti di ferrosilicio dovrebbero sostenere un incremento diretto di costo di circa EUR 104 milioni all’anno. Nondimeno, va sottolineato che le ricorrenti non affermano che i dati presentati dal Consiglio nel suddetto ‘considerando’ riguardo all’impatto sui risultati finanziari degli utenti sono erronei. Esse si limitano ad esporre un dato corrispondente all’incremento di costo assoluto sostenuto dagli utenti, ma non spiegano perché tale dato sarebbe più affidabile o significativo rispetto ai dati presentati dal Consiglio.

252    Inoltre, per quanto riguarda i costi indiretti gravanti sugli utenti, le ricorrenti non deducono alcun elemento di prova a sostegno dell’affermazione secondo cui gli utenti di ferrosilicio dovrebbero far fronte a interruzioni di approvvigionamenti. Per di più, va rilevato, come fa il Consiglio, che si tratta di un’affermazione del tutto speculativa, dal momento che l’imposizione di misure antidumping non ostacolerebbe la vendita di ferrosilicio originario dei paesi interessati dal procedimento d’inchiesta, ma impedirebbe unicamente agli esportatori di effettuarla ad un prezzo di dumping.

253    Infine, quanto all’affermazione delle ricorrenti secondo la quale i produttori comunitari non avevano né l’intenzione né la capacità di soddisfare le necessità degli utenti durante il periodo interessato, occorre rilevare che, a sostegno di tale affermazione, le ricorrenti si basano su due documenti presentati alla Commissione dalla European Confederation of Iron and Steel Industries (Eurofer, Confederazione europea delle industrie del ferro e dell’acciaio) nel corso del procedimento d’inchiesta. Dato che contengono soltanto affermazioni di un’altra parte interessata, questi documenti non hanno alcun valore probatorio. Le ricorrenti si fondano altresì su un articolo apparso nella stampa specializzata in cui si menzionava il fatto che la Vargön Alloys aveva deciso di riconvertire la sua produzione di ferrosilicio verso quella di ferrocromo. Tale documento non è sufficiente a dimostrare che i produttori comunitari, nel loro insieme, non avessero intenzione né fossero in grado di fornire ferrosilicio agli utenti comunitari.

254    Di conseguenza, nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti è idoneo a dimostrare che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione quando ha affermato, in particolare al ‘considerando’ 115 del regolamento impugnato, che l’impatto delle misure antidumping sugli utenti sarebbe poco importante.

255    In secondo luogo, quanto alla censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, basta osservare che tale censura riprende, in sostanza, gli argomenti dedotti a sostegno dei primi due capi del secondo motivo. Poiché tali argomenti sono stati considerati infondati, anche la presente censura dev’essere respinta in quanto infondata.

256    In terzo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di motivazione in merito alle interruzioni dei rifornimenti, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’autorità dell’Unione da cui promana l’atto impugnato onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per difendere i propri diritti e permettere al giudice comunitario di esercitare il proprio controllo (sentenza del Tribunale 12 ottobre 1999, causa T-48/96, Acme Industry/Consiglio, Racc. pag. II‑3089, punto 141). Per contro, le istituzioni non sono tenute a pronunciarsi, nella motivazione del regolamento provvisorio o definitivo, su tutti i punti di fatto e di diritto sollevati dagli interessati nel corso del procedimento amministrativo (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 25 giugno 1998, cause riunite T-371/94 e T‑394/94, British Airways e a./Commissione, Racc. pag. II‑2405, punto 94).

257    Nel presente contesto, si deve rilevare che la Commissione, ai ‘considerando’ 159-166 del regolamento provvisorio, ha effettuato un’analisi chiara e non equivoca delle conseguenze delle misure antidumping per gli utenti finali di ferrosilicio. Del pari, ai ‘considerando’ 113-116 del regolamento impugnato, il Consiglio ha proceduto a un esame, invero più conciso, ma non meno chiaro, dell’impatto dell’istituzione di misure antidumping sui detti utenti. Pertanto, considerato che le istituzioni non sono tenute a pronunciarsi su tutti i punti di fatto e di diritto sollevati dagli interessati nel corso del procedimento amministrativo, le ricorrenti non possono imputare ad esse alcuna violazione dell’obbligo di motivazione.

258    Di conseguenza, il terzo capo del secondo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

259    Alla luce delle considerazioni che precedono, il secondo motivo dev’essere respinto.

C –  Sul terzo motivo, attinente alla mancata cooperazione, all’utilizzazione dei dati disponibili e alla concessione del SEM

1.     Sul primo capo del terzo motivo, attinente alla mancata cooperazione

a)     Argomenti delle parti

260    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione e ha violato l’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base (divenuto art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento n. 1225/2009), l’art. 6.8 dell’accordo antidumping, nonché i paragrafi 3 e 5 dell’allegato II al suddetto accordo, poiché ha dichiarato che esse si erano rifiutate di cooperare, ha conseguentemente respinto la loro richiesta di concessione del SEM e si è basato sui dati disponibili per calcolare i margini di dumping e il pregiudizio.

261    In primo luogo, le ricorrenti spiegano di aver cooperato all’inchiesta antidumping. La loro cooperazione sarebbe dimostrata dalle osservazioni da esse depositate nell’ambito del procedimento antidumping. I documenti che contengono tali osservazioni sarebbero stati più numerosi di quel che solitamente si richiede nell’ambito di un tale procedimento.

262    In secondo luogo, a detta delle ricorrenti, anche se, a causa di circostanze eccezionali e indipendenti dalla loro volontà, esse non hanno potuto permettere che si svolgesse la visita di verifica, tale situazione non costituisce un rifiuto di cooperazione ai sensi del regolamento di base, poiché, a parte la verifica, tutto era stato fatto per cooperare pienamente all’inchiesta. Al riguardo, le ricorrenti precisano, esse avevano previsto lo svolgimento della suddetta visita, ma quest’ultima aveva dovuto essere annullata soltanto sei giorni prima che avesse luogo. Le ricorrenti spiegano che non disponevano del personale necessario per la visita, poiché tale personale stava lavorando alla preparazione di una quotazione di diversi milioni di euro alla Borsa di Londra nonché all’inchiesta antidumping relativa al silico-manganese. A causa dell’ingente quantità di lavoro necessario per assicurare una piena cooperazione in un’unica inchiesta antidumping e della necessità di un impiego massiccio di personale nella preparazione della quotazione in borsa, le ricorrenti erano state costrette a scegliere se proseguire la piena cooperazione all’inchiesta antidumping relativa al silico-manganese, che si trovava già ad uno stadio avanzato, o proseguire la piena cooperazione all’inchiesta riguardante il ferrosilicio. Orbene, l’inchiesta relativa al silico‑manganese avrebbe richiesto uno sforzo minore, poiché la visita di verifica si era già svolta, e avrebbe rappresentato un risultato commerciale più rilevante, dal momento che le ricorrenti avevano ridotto la loro produzione di ferrosilicio e non quella di silico-manganese. Per questo motivo, esse avevano comunicato alla Commissione che avrebbero continuato a cooperare all’inchiesta relativa al ferrosilicio, ma non sarebbero state altrettanto attive come nell’inchiesta riguardante il silico-manganese.

263    In terzo luogo, le ricorrenti sostengono che una visita di verifica non era necessaria. Anzitutto, esse rilevano che diversi gruppi speciali dell’OMC hanno fornito precisazioni riguardo all’interpretazione dell’art. 6.8 dell’accordo antidumping e ai paragrafi 3 e 5 dell’allegato II al medesimo accordo, attuato dall’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base, in forza del ‘considerando’ 5 del medesimo regolamento. Infatti, nella causa «Stati Uniti – Lamiere in acciaio» (WT/DS206/R), il gruppo speciale aveva spiegato che le informazioni dovevano essere verificabili, ma che le autorità incaricate dell’inchiesta non potevano scegliere di scartare le informazioni ad esse fornite solo perché non erano state verificate in loco. Detta affermazione era stata confermata dal gruppo speciale nella causa «CE – Salmone (Norvegia)» (WT/DS337/R), con l’aggiunta che l’accordo antidumping riconosce che le inchieste in loco non sono l’unico modo di accertare la verificabilità delle informazioni. Inoltre, secondo le ricorrenti, se le parti che cooperano presentano informazioni che non possono essere verificate in loco, la Commissione può respingere tali informazioni qualora altre fonti ne mettano in discussione l’esattezza. È per questo motivo che le ricorrenti avevano suggerito alla Commissione di verificare i dati forniti tramite altre informazioni disponibili. Le ricorrenti spiegano, infatti, che esse erano sicure che le informazioni fornite non sarebbero state confutate e nulla pertanto giustificava che le istituzioni dell’Unione non utilizzassero tali informazioni per trarne le loro conclusioni.

264    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

265    Nell’ambito del presente capo del terzo motivo, occorre stabilire se le istituzioni abbiano violato il regolamento di base e l’accordo antidumping basando le loro conclusioni sui dati disponibili, in seguito alla decisione delle ricorrenti di non permettere più lo svolgimento della visita di verifica prevista dai servizi della Commissione, considerato che esse hanno partecipato attivamente al resto del procedimento d’inchiesta e che i dati forniti dalle ricorrenti erano verificabili con mezzi diversi da una visita di verifica.

266    Le parti in sostanza divergono riguardo all’interpretazione dell’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base, che applica nel diritto dell’Unione l’art. 6.8 dell’accordo antidumping, nonché i paragrafi 3 e 5 dell’allegato II al medesimo accordo. In particolare, occorre stabilire se, in forza di tale disposizione, il rifiuto di permettere una visita di verifica giustifichi il ricorso ai dati disponibili. Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare, da un lato, il dettato dell’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base e la sua finalità e, dall’altro, dell’economia del suddetto regolamento.

267    In primo luogo, va sottolineato che ai sensi dell’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base, le istituzioni hanno diritto di utilizzare i dati disponibili qualora una parte interessata abbia ostacolato una visita di verifica prevista dai servizi della Commissione.

268    Infatti, l’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base riguarda l’utilizzazione da parte delle istituzioni dei dati disponibili a scapito dei dati propri di una o di più parti interessate. Mentre l’art. 18, n. 1, del regolamento di base definisce i casi in cui i dati disponibili possono essere utilizzati, l’art. 18, n. 3, del medesimo regolamento descrive i casi in cui i dati disponibili non debbono per forza essere utilizzati. Ai sensi dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base, la possibilità di ricorrere ai dati disponibili esiste in quattro ipotesi: quando una parte interessata rifiuti l’accesso alle informazioni necessarie, oppure non le comunichi entro i termini previsti, oppure ostacoli gravemente l’inchiesta, oppure fornisca informazioni false o fuorvianti. Ai sensi dell’art. 18, n. 3, le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate entro i termini, siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza.

269    Di conseguenza, i nn. 1 e 3 dell’art. 18 del regolamento di base si riferiscono a situazioni diverse. Infatti, mentre l’art. 18, n. 1, del regolamento di base descrive, in maniera generale, casi in cui le informazioni necessarie alle istituzioni ai fini dell’inchiesta non sono state fornite, il n. 3 della medesima disposizione si riferisce a casi in cui i dati occorrenti ai fini dell’inchiesta sono stati forniti ma non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste.

270    Secondo il Tribunale, l’annullamento di una visita di verifica ad opera della parte interessata va esaminato non alla luce del n. 3 dell’art. 18 del regolamento di base, bensì alla luce del n. 1 della medesima disposizione. Infatti, da un lato, occorre rilevare che tale annullamento rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 18, n. 1, del detto regolamento. Di sicuro esso non può considerarsi come rientrante nelle tre ipotesi previste da tale disposizione, come descritte supra al punto 268. È infatti del tutto evidente che, con un annullamento come quello di cui trattasi nel caso di specie, una parte interessata non omette di fornire informazioni entro i termini previsti né fornisce informazioni false o ingannevoli. Analogamente, nel caso di specie, considerate le circostanze in cui la visita di verifica è stata annullata, non si può affermare che le ricorrenti hanno ostacolato in modo significativo l’inchiesta. Tuttavia, anche se non rientra nelle ultime tre ipotesi dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base, l’annullamento di una visita di verifica, come quello in discussione nel caso di specie, dev’essere considerato, al di fuori dei casi di forza maggiore, come un rifiuto di accesso ad informazioni che la Commissione ha giudicato necessarie ai sensi della prima ipotesi descritta dalla suddetta disposizione. Nel caso di specie, le ragioni dedotte dalle ricorrenti per giustificare l’annullamento della visita non possono integrare un simile caso di forza maggiore.

271    Dall’altro lato, contrariamente a quanto suggerito dalle ricorrenti, l’art. 18, n. 3, del regolamento di base non si può utilizzare per aggirare l’obbligo di permettere lo svolgimento di una visita di verifica qualora tale visita sia stata considerata come necessaria dai servizi della Commissione. È vero che l’oggetto di una visita di verifica è di comprovare i dati forniti da una parte interessata nell’ambito del procedimento d’inchiesta e può accadere che tali dati possano essere verificati con mezzi diversi da una visita nei locali della parte interessata. Tuttavia, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 18, n. 3, del regolamento di base, l’uso dei dati disponibili è escluso, in presenza di informazioni che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste, solo se la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza. Orbene, nell’ipotesi di un rifiuto di permettere una visita di verifica, non si può ritenere che una parte abbia agito con la migliore diligenza.

272    In secondo luogo, la finalità dell’art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento di base conferma che il rifiuto di consentire una visita di verifica giustifica l’utilizzazione dei dati disponibili. Infatti, per quanto riguarda l’obiettivo dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, poiché il regolamento di base non conferisce alla Commissione alcun potere di indagine che le consenta di costringere i produttori o gli esportatori oggetto di una denuncia a partecipare all’inchiesta o a fornire informazioni, il Consiglio e la Commissione dipendono dalla cooperazione volontaria delle parti interessate perché queste forniscano loro le informazioni necessarie entro i termini impartiti. In tale contesto, le risposte di tali parti al questionario previsto dall’art. 6, n. 2, del regolamento di base (divenuto art. 6, n. 2, del regolamento n. 1225/2009), nonché la successiva verifica cui la Commissione può procedere in loco, ai sensi dell’art. 16 del medesimo regolamento (divenuto art. 16 del regolamento n. 1225/2009), sono essenziali per lo svolgimento della procedura antidumping. Il rischio che, in caso di mancata cooperazione da parte delle imprese oggetto dell’inchiesta, le istituzioni prendano in considerazione dati diversi da quelli forniti in risposta al questionario è inerente alla procedura antidumping e mira ad incoraggiare la cooperazione leale e diligente di tali imprese (sentenza del Tribunale 13 luglio 2006, causa T‑413/03, Shandong Reipu Biochemicals/Consiglio, Racc. pag. II‑2243, punto 65). Quanto all’art. 18, n. 3, del regolamento di base, esso mira a far sì che le istituzioni non escludano abusivamente dati che, benché imperfetti, sono comunque utilizzabili e controllabili.

273    Il ricorso ai dati disponibili qualora una parte interessata rifiuti di consentire una visita di verifica è conforme ai suddetti obiettivi. Simile rifiuto, infatti, viola l’obbligo di cooperazione leale e diligente del quale l’art. 18, n. 1, del regolamento di base cerca di garantire il rispetto. Per di più, in circostanze del genere, non si può rimproverare alle istituzioni alcuna esclusione abusiva di dati, il che significa che i dati che non sono stati verificati nell’ambito di una verifica in loco non debbono per forza essere verificati con altri mezzi, ma possono essere ignorati.

274    In terzo luogo, la possibilità di ricorrere ai dati disponibili qualora una parte interessata abbia rifiutato di consentire la visita di verifica è confermata da un’analisi dell’economia del regolamento di base. Al riguardo, occorre rilevare che, in forza dell’art. 6, n. 8, del regolamento di base (divenuto art. 6, n. 8, del regolamento n. 1225/2009), durante l’inchiesta sul dumping e sul pregiudizio che è tenuta ad effettuare, la Commissione deve accertare con la massima accuratezza l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze, salvo nei casi di cui all’art. 18 di tale regolamento. Inoltre, ai sensi dell’art. 16, n. 1, del regolamento di base (divenuto art. 16, n. 1, del regolamento n. 1225/2009), la Commissione, se lo ritiene necessario, effettua visite per esaminare la documentazione contabile di importatori, esportatori, operatori commerciali, agenti, produttori, associazioni e organizzazioni di categoria, allo scopo di verificare le informazioni comunicate in materia di dumping e di pregiudizio.

275    Di conseguenza, da un lato, spetta alle istituzioni decidere se, al fine di verificare le informazioni fornite da una parte interessata, esse ritengono necessario corroborare tali informazioni attraverso una visita di verifica nei locali di tale parte e, dall’altro lato, nel caso in cui una parte interessata ostacoli la verifica dei dati da essa forniti, è applicabile l’art. 18 del regolamento di base e i dati disponibili possono essere utilizzati.

276    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che l’art. 18, n. 1, del regolamento di base autorizza le istituzioni a fare uso dei dati disponibili allorché una parte interessata abbia ostacolato la visita di verifica e l’art. 18, n. 3, del medesimo regolamento non impone alle istituzioni alcun obbligo di accertare i dati forniti da una parte interessata che non siano stati oggetto di un controllo in loco, facendo riferimento ad altre fonti di informazione disponibili.

277    Tale conclusione non è contraddetta né dal rapporto del gruppo speciale dell’OMC, adottato il 29 luglio 2002, nella causa «Stati Uniti – Lamiere in acciaio» (WT/DS206/R), né da quello adottato il 15 gennaio 2008, nella causa «CE – Salmone (Norvegia)» (WT/DS337/R).

278    Infatti, in nessuno di questi due rapporti è stato affrontato il problema di come le istituzioni debbano trattare un rifiuto di una delle parti interessate di consentire una visita di verifica. Infatti, nel passaggio del rapporto relativo alla causa «Stati Uniti – Lamiere in acciaio», citato dalle ricorrenti nei loro atti, il gruppo speciale ha replicato all’affermazione degli Stati Uniti secondo cui alcune informazioni erano state scartate, nell’ambito del procedimento d’inchiesta, in quanto non rispondevano ai criteri di cui al paragrafo 3 dell’allegato II dell’accordo antidumping. In detto contesto, esso ha definito la nozione di informazioni verificabili. Del pari, il passaggio del rapporto del gruppo speciale nella causa «CE – Salmone (Norvegia)» su cui le ricorrenti si basano nei loro atti riguardava il problema della possibilità di considerare come verificabili informazioni presentate dopo la visita di verifica.

279    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre concludere che, tenuto conto della decisione delle ricorrenti di non consentire la visita di verifica prevista dai servizi della Commissione, il Consiglio ha potuto fare uso dei dati disponibili legittimamente e senza incorrere in alcun errore manifesto di valutazione.

280    Pertanto, il primo capo del terzo motivo va respinto in quanto infondato.

2.     Sul secondo capo del terzo motivo, attinente all’utilizzazione dei dati disponibili senza tener conto dei dati verificabili

a)     Argomenti delle parti

281    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio ha violato l’art. 18, n. 5, del regolamento di base (divenuto art. 18, n. 5, del regolamento n. 1225/2009), l’art. 6.8, nonché i paragrafi 3 e 5 dell’allegato II dell’accordo antidumping, poiché avrebbe omesso di esaminare le informazioni verificabili che gli erano state fornite in maniera esaustiva ed entro i termini. Infatti, le istituzioni sarebbero state tenute a verificare le loro conclusioni facendo riferimento alle informazioni fornite dalle ricorrenti, nella loro qualità di parte interessata, confrontandole con altre informazioni disponibili. Ciò sarebbe confermato dal rapporto del gruppo speciale dell’OMC adottato il 20 dicembre 2005 nella causa «Messico – Misure antidumping riguardanti il riso» (WT/DS295/R).

282    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

283    Nell’ambito del secondo capo del terzo motivo, le ricorrenti affermano che le istituzioni avrebbero dovuto verificare le loro conclusioni facendo riferimento alle informazioni che esse avevano fornito.

284    A questo proposito, si deve osservare che, alla luce dell’art. 18, n. 5, del regolamento di base, è vero che qualora le istituzioni facciano uso dei dati disponibili, esse sono tenute a verificarle, per quanto possibile, in relazione ad altre fonti obiettive oppure in relazione alle informazioni ottenute da altre parti interessate nel corso dell’inchiesta.

285    Tuttavia, nel caso di specie si deve rilevare, come fa il Consiglio, che le ricorrenti non precisano quali conclusioni sarebbero state rimesse in discussione se i dati disponibili fossero stati verificati con riferimento ad informazioni da esse fornite. Né esse precisano quali informazioni avrebbero permesso di confutare le suddette conclusioni.

286    Ne consegue che, alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 212, il presente capo del terzo motivo dev’essere respinto in quanto irricevibile.

3.     Sul terzo capo del terzo motivo, attinente alla domanda di concessione del SEM

a)     Argomenti delle parti

287    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione e hanno violato l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, in quanto ha imposto una condizione supplementare non prevista da tale disposizione e non ha tenuto conto di talune informazioni importanti soltanto perché avvenimenti indipendenti dalla loro volontà avrebbero impedito loro di consentire una visita di verifica.

288    Infatti, innanzitutto, contrariamente a quanto lascerebbero intendere le istituzioni ai ‘considerando’ 10 e 25 del regolamento provvisorio, l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base non esige che le domande di concessione del SEM siano accompagnate da una visita di verifica in loco. Questo risulterebbe anche dalla prassi delle istituzioni le quali, se non è possibile una verifica in loco di talune informazioni, si basano su un’analisi documentaria. Ciò sarebbe avvenuto nell’ambito delle inchieste antidumping che hanno dato origine al regolamento (CE) del Consiglio 25 luglio 2005, n. 1212, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di pezzi fusi originari della Repubblica popolare cinese (GU L 199, pag. 1), nonché al regolamento (CE) della Commissione 15 marzo 2005, n. 426, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di tessuti finiti per confezioni in filamenti di poliestere originari della Repubblica popolare cinese (GU L 69, pag. 6).

289    Inoltre, secondo le ricorrenti, le istituzioni dispongono di informazioni sostanziali sul loro funzionamento, dato che, nell’ambito dell’inchiesta antidumping relativa al silico-manganese, la Commissione aveva confermato che esse agivano in condizioni di un’economia di mercato e potevano vedersi concedere il SEM.

290    In secondo luogo, le ricorrenti affermano che le istituzioni hanno violato l’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, poiché sarebbero state informate del rigetto della loro domanda di concessione del SEM soltanto il 5 luglio 2007, ossia sette mesi dopo l’apertura dell’inchiesta. Secondo le ricorrenti, ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, la determinazione deve intervenire entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, come confermato dal Tribunale. Inoltre, le ricorrenti spiegano che, se la Commissione avesse agito entro i previsti tre mesi, esse avrebbero potuto consentire la visita di verifica, che non sarebbe coincisa con l’ingresso in borsa.

291    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

292    In primo luogo, le ricorrenti affermano che, respingendo la domanda di concessione del SEM a causa del fatto che non era stata effettuata alcuna visita di verifica, le istituzioni sono incorse in un errore manifesto di valutazione e hanno violato l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base in quanto, da un lato, nessuna visita di verifica sarebbe necessaria in forza di tale disposizione e, dall’altro lato, le istituzioni avrebbero disposto di informazioni sostanziali riguardanti il loro funzionamento, ottenute nell’ambito del procedimento antidumping relativo al silico-manganese.

293    Anzitutto, quanto all’argomento attinente al fatto che l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base non impone lo svolgimento di alcuna visita di verifica, al punto 274 supra è stato già fatto riferimento all’art. 6, n. 8, e all’art. 16, n. 1, del regolamento di base.

294    Ai sensi dell’art. 6, n. 8, del regolamento di base, la Commissione è tenuta ad accertare, con la massima accuratezza, l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze. Poiché l’art. 6, n. 8, del regolamento di base non impone alcuna limitazione alla portata dell’obbligo di verifica dei dati utilizzati per elaborare le conclusioni delle istituzioni, tale obbligo si estende alle informazioni fornite da una parte interessata nell’ambito di una domanda di concessione del SEM.

295    Per di più, ai sensi dell’art. 16, n. 1, del regolamento di base, la Commissione, se lo ritiene necessario, può effettuare visite nei locali delle parti interessate. Detta disposizione non contiene alcun limite alla possibilità di eseguire tali visite, a seconda delle informazioni che la Commissione cerca di dimostrare. Di conseguenza, l’art. 16, n. 1, del regolamento di base autorizza la Commissione, se lo ritiene opportuno, ad effettuare una visita nei locali di un produttore‑esportatore allo scopo di esaminare la sua domanda di concessione del SEM e di accertarsi dell’esattezza delle informazioni che vi sono fornite.

296    Pertanto, il fatto che l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base non esiga lo svolgimento di una visita di verifica nei locali del produttore-esportatore che ha richiesto il SEM non significa che tale visita non possa aver luogo. Del pari, non si può considerare che l’organizzazione di una visita di verifica, nell’ambito del trattamento di una domanda di concessione del SEM, imponga una condizione supplementare all’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base.

297    Tale conclusione non può essere inficiata dai precedenti citati dalle ricorrenti, nei quali la Commissione, nell’esaminare domande di concessione del SEM, non ha effettuato alcuna visita di verifica e si è limitata ad un’analisi documentale.

298    Infatti, anzitutto, come rilevato supra al punto 295, spetta alle istituzioni valutare l’opportunità di una visita di verifica. Pertanto, se una visita di questo tipo può essere inopportuna in un’inchiesta antidumping, questo non vuol dire che non sarà necessaria in un’altra.

299    Inoltre, i precedenti citati dalle ricorrenti non sono comparabili alla situazione del caso di specie. Tanto nel regolamento n. 1212/2005 quanto nel regolamento n. 426/2005 le istituzioni hanno fatto ricorso alla tecnica del campionamento ai sensi dell’art. 17 del regolamento di base (divenuto art. 17 del regolamento n. 1225/2009), considerato l’elevato numero di produttori‑esportatori interessati e che avevano presentato una domanda di concessione del SEM. In tale contesto, le istituzioni hanno effettuato una visita di verifica solo nei locali dei produttori‑esportatori che rientravano nel campione. Per gli altri produttori-esportatori, le istituzioni si sono limitate ad un’analisi documentale.

300    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento attinente al fatto che le istituzioni disponevano di informazioni sulla situazione delle ricorrenti, ottenute nell’ambito del procedimento antidumping relativo al silico-manganese, va ricordato che, ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, per la concessione del SEM è necessario che, in base a una richiesta debitamente motivata di un produttore oggetto dell’inchiesta, sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile interessato. Di conseguenza, le conclusioni tratte dalle istituzioni nell’ambito di un’inchiesta relativa a un prodotto particolare non possono essere estese ad un altro prodotto. A questo proposito, occorre rilevare, come fa il Consiglio, che se un’inchiesta permette di stabilire che una società risponde alle condizioni necessarie per ottenere il SEM per un particolare prodotto, questo non significa automaticamente che essa risponda anche alle condizioni relative a un prodotto diverso, in quanto, per esempio, può accadere che lo Stato abbia un interesse strategico riguardo a un prodotto e intervenga nelle decisioni che riguardano il suo prezzo, i suoi costi e le sue materie prime.

301    Pertanto, i dati ottenuti nell’ambito del trattamento delle domande di concessione del SEM presentate nell’inchiesta riguardante il silico-manganese non possono essere utilizzati per esaminare le stesse domande presentate nell’inchiesta relativa al ferrosilicio.

302    In secondo luogo, quanto alla censura attinente alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, come sottolineato dalle ricorrenti tale disposizione stabilisce che il problema di accertare la prevalenza delle condizioni di mercato per un produttore dev’essere risolto entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta. Nel caso di specie, l’avviso di apertura del procedimento d’inchiesta è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 30 novembre 2006. Il termine di tre mesi scadeva dunque il 28 febbraio 2007. Orbene, le ricorrenti hanno ricevuto una risposta alla loro domanda di concessione del SEM il 5 luglio 2007, ossia a più di sei mesi dall’avvio dell’inchiesta. Pertanto, si deve rilevare, come fanno le ricorrenti, che il termine stabilito dall’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base è stato superato.

303    Tuttavia, tale irregolarità può compromettere la legittimità del regolamento impugnato solo se le ricorrenti dimostrano che, se fosse stata formulata entro i termini, la risposta alla domanda di concessione del SEM avrebbe potuto essere diversa. Orbene, l’affermazione delle ricorrenti secondo cui, se la Commissione avesse agito in modo da assicurarsi che il termine dei tre mesi fosse rispettato, esse avrebbero potuto permettere la visita di verifica, non è suffragata da alcun elemento di prova. Infatti, all’udienza, le ricorrenti hanno affermato che esse sarebbero state in grado di permettere lo svolgimento della visita di verifica – che doveva aver luogo tra il 21 febbraio e il 2 marzo 2007 – se tale visita fosse stata organizzata nel gennaio 2007, dato che l’ingresso in borsa aveva reso necessario un incremento di lavoro soltanto a partire dalla fine di febbraio 2007. Le ricorrenti non hanno prodotto alcun documento a sostegno di tale affermazione. Al contrario, nella loro lettera datata 14 febbraio 2007 e nei loro atti esse hanno spiegato che, nel febbraio 2007, i preparativi per l’ingresso in borsa erano già iniziati da diversi mesi.

304    Inoltre, poiché tanto la quotazione in borsa quanto l’inchiesta sul silico‑manganese avevano verosimilmente impegnato il personale delle ricorrenti per un periodo relativamente lungo, è poco probabile che queste ultime sarebbero state in grado di consentire la visita di verifica anche se si fosse svolta prima, poiché è stato precisato che la domanda di concessione del SEM è stata presentata solo il 15 dicembre 2006.

305    Di conseguenza, si deve constatare che le ricorrenti non dimostrano che l’irregolarità rilevata al riguardo dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base possa giustificare l’annullamento del regolamento impugnato.

306    Si deve pertanto respingere il terzo capo del terzo motivo.

D –  Sul quarto motivo, attinente ai diritti della difesa delle ricorrenti

1.     Sul primo capo del quarto motivo, attinente ad una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti in quanto le istituzioni avrebbero omesso di fornire loro una sintesi significativa, coerente e in tempo utile del fascicolo riservato

a)     Argomenti delle parti

307    Le ricorrenti sostengono che i loro diritti della difesa sono stati violati poiché la qualità delle informazioni non riservate messe a loro disposizione nonché il momento in cui le suddette informazioni sono state loro fornite avrebbero gravemente pregiudicato la loro capacità di rispondere all’affermazione secondo cui le importazioni controverse avevano causato un pregiudizio notevole.

308    Infatti, in primo luogo, esse affermano che i dati non riservati comunicati dai produttori comunitari, nella forma di dati indicizzati, erano insufficienti. Innanzitutto, tali dati non sarebbero stati sufficientemente dettagliati da consentire loro di capire l’essenza delle informazioni comunicate in via riservata. A questo proposito, le ricorrenti precisano che, per la maggior parte, i dati indicizzati non riservati non erano accompagnati da alcun documento esplicativo e di conseguenza esse non sarebbero state in grado di esercitare utilmente i loro diritti della difesa. Inoltre, a detta delle ricorrenti, tali dati non contenevano informazioni relative a tutti gli indicatori del pregiudizio. Infatti, per esempio, mancavano le informazioni riguardanti le esportazioni e le vendite alle società collegate.

309    In secondo luogo, le ricorrenti ritengono che le sintesi dei dati indicizzati avrebbero dovuto comparire nel fascicolo confidenziale a partire dal gennaio 2007, mentre sarebbero state inseriti in tale fascicolo il giorno della pubblicazione del regolamento provvisorio, ossia il 28 agosto 2007. In concreto, questo significherebbe che le ricorrenti avrebbero perso nove mesi durante i quali non avevano potuto esaminare i suddetti dati e, conseguentemente, soltanto in una fase avanzata del procedimento esse erano riuscite a modificare una parte sostanziale di quelle da esse già presentate. Più precisamente, esse non avevano potuto risolvere questioni lasciate in sospeso e ottenere talune informazioni rilevanti prima della data limite di deposito delle osservazioni sul documento di informazione provvisorio.

310    In terzo luogo, le ricorrenti spiegano che le sintesi dei dati indicizzati inseriti nel fascicolo non riservato il 28 agosto 2007 contraddicono alcuni dati riservati precedenti, con la conseguenza che, con la verifica, è emerso che i dati forniti erano inesatti. Per di più le ricorrenti spiegano che tali dati presentavano numerose anomalie, in particolare per quanto riguarda i dati relativi alla FerroAtlántica e alla FerroPem.

311    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

312    È alla luce dell’art. 19, nn. 1 e 2, del regolamento di base (divenuto art. 19, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1225/2009), nonché della giurisprudenza citata supra al punto 110, che si deve stabilire se i diritti della difesa siano stati effettivamente violati a causa della cattiva qualità della versione non riservata delle sintesi dei dati forniti individualmente dai produttori comunitari riguardo all’evoluzione della loro situazione economica e a causa del momento in cui tale versione è stata inserita nel fascicolo non riservato.

313    In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo all’inadeguatezza della versione non riservata delle suddette sintesi a causa, innanzitutto, della mancanza di un testo esplicativo, va rilevato che tali sintesi consistono in tabelle le quali specificano, per ciascun produttore comunitario e per ogni anno, tra il 2003 e il periodo dell’inchiesta, l’evoluzione di 19 fattori di pregiudizio diversi. Pur essendo presentati in forma di indici, i dati contenuti nelle suddette tabelle permettono di comprendere in maniera ragionevole il modo in cui si è evoluta la situazione dei diversi produttori. Non occorre alcun testo esplicativo per comprendere tali evoluzioni e le ricorrenti erano in grado di far conoscere utilmente il loro punto di vista su di esse.

314    Peraltro, anche se le ricorrenti sostengono, nei loro atti, che in mancanza di documenti esplicativi esse erano costrette a tentar di indovinare la situazione reale dei produttori comunitari, con la conseguenza che non avevano potuto esercitare utilmente i loro diritti della difesa, dalle loro osservazioni sul documento di informazione provvisorio emerge che esse contestano, in realtà, la mancanza di spiegazioni sulle cause delle tendenze osservate per ciascun produttore comunitario. Orbene, le istituzioni non erano tenute a chiedere ai produttori comunitari di fornire tali spiegazioni, dal momento che non spetta ai suddetti produttori effettuare un’analisi di non imputazione, ai sensi dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base (divenuto art. 3, n. 7, del regolamento n. 1225/2009). Per contro, tale analisi doveva essere compiuta dalle istituzioni, al fine di accertamenti provvisori e definitivi. In altri termini, tale spiegazione doveva essere cercata non nella versione non riservata dei dati forniti dai produttori comunitari, ma nell’analisi prodotta dalle istituzioni.

315    Orbene, come risulta dai punti 193-203 della presente sentenza, le istituzioni hanno analizzato i motivi sottostanti a talune tendenze particolari di produttori comunitari. Poiché detta analisi compare tanto nel regolamento provvisorio quanto nei documenti di informazione provvisorio e definitivo, le ricorrenti erano in grado di formulare le loro osservazioni al riguardo, cosa che peraltro esse non hanno mancato di fare. Infatti, ad esempio, nella sezione delle loro osservazioni relative al documento di informazione provvisorio in cui affermano la necessità di integrare con note esplicative la versione non riservata dei dati relativi all’evoluzione della situazione economica individuale dei produttori comunitari, le ricorrenti hanno presentato un certo numero di argomenti riguardo alle ragioni delle tendenze osservate per ciascun produttore comunitario.

316    Pertanto, si deve rilevare che le ricorrenti hanno esercitato i loro diritti della difesa e che nessuna violazione di tali diritti può essere imputata alle istituzioni a causa della mancanza di note esplicative allegate ai dati indicizzati dei produttori comunitari, nella versione non riservata del fascicolo processuale.

317    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento attinente alla mancanza di dati relativi a taluni indicatori di pregiudizio, va osservato che le ricorrenti fanno riferimento ai dati riguardanti le esportazioni e le vendite alle società collegate. Orbene, da un lato, contrariamente a quanto le ricorrenti affermano, le tabelle di sintesi dei dati dei produttori comunitari contengono alcuni dati relativi alle esportazioni. Dall’altro lato, per quanto riguarda i dati sulle vendite alle società collegate, il Consiglio nei propri atti spiega che tali dati non comparivano nelle tabelle di sintesi degli indicatori di pregiudizio relativi ai produttori comunitari, ma figuravano invece in un’altra parte del fascicolo non riservato che è stato ripetutamente consultato dalle ricorrenti. In risposta a una domanda di produzione di documenti formulata dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il Consiglio ha presentato i suddetti dati così come figuravano nel fascicolo processuale non riservato.

318    Alla luce di quanto precede, l’argomento relativo alla mancanza di dati riguardanti taluni indicatori di pregiudizio dev’essere respinto in quanto infondato.

319    In secondo luogo, per quanto riguarda il momento in cui i dati non riservati relativi ai produttori comunitari sono stati comunicati alle ricorrenti, è giocoforza rilevare che essi sono stati inseriti nel fascicolo processuale non riservato il 28 agosto 2007 e che il regolamento impugnato è stato adottato soltanto il 25 febbraio 2008. Sicuramente le ricorrenti non hanno potuto far conoscere il proprio punto di vista prima dell’adozione del regolamento provvisorio. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, anche supponendo che il principio del rispetto dei diritti della difesa richieda che i produttori-esportatori siano informati dei principali fatti e considerazioni sulla cui base si è inteso istituire dazi provvisori, il mancato rispetto di questi diritti non può, in quanto tale, avere per effetto di viziare il regolamento che istituisce i dazi definitivi, in quanto, nel corso della procedura di adozione di quest’ultimo regolamento, si è posto rimedio al vizio che ha inficiato la procedura di adozione del regolamento corrispondente che istituisce i dazi provvisori (sentenza della Corte 3 maggio 2001, cause riunite C‑76/98 P e C‑77/98 P, Ajinomoto e NutraSweet/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑3223, punto 67).

320    Poiché le ricorrenti disponevano di diversi mesi, prima dell’adozione del regolamento impugnato, per far conoscere il loro punto di vista sui dati suddetti, non si può ritenere che i loro diritti della difesa siano stati violati a seguito del tardivo inserimento dei dati stessi nel fascicolo processuale.

321    In terzo luogo, quanto alle incoerenze e alle anomalie che viziano tali dati, le ricorrenti non possono confondere il mancato rispetto dei loro diritti della difesa con l’esistenza di errori materiali idonei a compromettere la legittimità del regolamento impugnato. Infatti, il fatto che le ricorrenti ritengano i dati relativi ai produttori comunitari incoerenti e viziati da anomalie non dimostra tuttavia che la Commissione ha violato i loro diritti della difesa.

322    Di conseguenza, il primo capo del quarto motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

2.     Sul secondo capo del quarto motivo, attinente a una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, in quanto le istituzioni avrebbero omesso di reagire a talune anomalie contenute nel fascicolo non riservato

a)     Argomenti delle parti

323    Le ricorrenti affermano che la presenza di anomalie nel fascicolo non riservato, alle quali le istituzioni non hanno reagito malgrado vi fossero state richieste in tal senso, ha notevolmente sminuito il valore delle informazioni disponibili nel suddetto fascicolo, pregiudicando gravemente in tal modo la loro facoltà di esercitare i propri diritti della difesa. Infatti, in primo luogo, né il fascicolo non riservato né il documento di informazione finale indicherebbero il motivo per cui la OFZ ha ridotto della metà la propria forza lavoro tra il 2003 e il 2004. In secondo luogo, né il fascicolo non riservato né il documento di informazione finale spiegherebbero le modalità di ripartizione dei costi a seguito dell’acquisizione, nel 2005, della FerroPem da parte della FerroAtlántica. Eppure, questo aveva influito notevolmente sulla redditività di tali imprese. In terzo luogo, non era stato fornito alcun documento esplicativo riguardante i dati relativi agli investimenti. In quarto luogo, le ricorrenti si domandano come la FerroAtlántica abbia potuto aumentare le sue vendite mentre quelle della Huta Laziska si sono ridotte di due terzi. In quinto luogo, le ricorrenti sottolineano le differenze tra l’informazione inizialmente fornita e quella successivamente inserita nel fascicolo.

324    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

325    L’argomento sviluppato nel presente capo del quarto motivo è una variante di quello che le ricorrenti deducono nell’ambito del primo capo di tale motivo, secondo il quale talune anomalie avrebbero compromesso i dati contenuti nel fascicolo non riservato. Le ricorrenti sottolineano la presenza di anomalie contenute nel fascicolo non riservato e sostengono di aver segnalato tali anomalie alle istituzioni, ma queste ultime non hanno reagito.

326    Al riguardo, come è stato spiegato supra al punto 321, le ricorrenti non possono confondere il mancato rispetto dei diritti della difesa con l’esistenza di errori materiali idonei a compromettere la legittimità del regolamento impugnato. Inoltre, il fatto che le ricorrenti ritengano i dati relativi ai produttori comunitari incoerenti e viziati da anomalie non dimostra tuttavia che la Commissione ha violato i loro diritti della difesa.

327    In ogni caso, affermando di aver attirato l’attenzione delle istituzioni riguardo alla presenza delle suddette anomalie, le ricorrenti dimostrano di aver fatto conoscere utilmente il proprio punto di vista sulle anomalie stesse. Di conseguenza, esse non possono far valere una violazione dei loro diritti della difesa. Si deve ricordare, a questo proposito, che, secondo la giurisprudenza citata supra al punto 110, il rispetto dei diritti della difesa non impone affatto alle istituzioni di rispondere a ciascuno degli argomenti dedotti da un produttore-esportatore, nel corso del procedimento, ma solo di mettere le parti interessate in grado di difendere utilmente i propri interessi.

328    Di conseguenza, il secondo capo del quarto motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

3.     Sul terzo capo del quarto motivo, attinente a una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, in quanto le istituzioni avrebbero omesso di reagire alle loro osservazioni

a)     Argomenti delle parti

329    Le ricorrenti affermano che le istituzioni hanno violato i loro diritti della difesa ignorando numerosi argomenti da esse dedotti nel corso del procedimento e omettendo di motivarne il rigetto. Le ricorrenti infatti spiegano che, per esempio, le istituzioni non hanno risposto agli argomenti secondo i quali, in primo luogo, esse erano nell’impossibilità di consentire la visita di verifica e avevano fatto del loro meglio per cooperare, in secondo luogo, i prezzi del ferrosilicio sul mercato comunitario erano i più alti al mondo, in terzo luogo, la riduzione dell’organico ha preceduto il calo della produzione dell’industria comunitaria, in quarto luogo, la Huta Laziska ha dichiarato che la sua produzione, durante il periodo dell’inchiesta, si era attestata solo al 29% della sua produzione del 2003, mentre in sostanza aveva mantenuto lo stesso numero di dipendenti che aveva nel corso dello stesso anno, in quinto luogo, i prezzi del ferrosilicio seguono lo stesso andamento su tutti i principali mercati mondiali e, in sesto luogo, se si prendessero in considerazione i precedenti procedimenti antidumping nel settore del ferrosilicio, probabilmente ne risulterebbe che le misure antidumping non sono di alcun aiuto concreto all’industria comunitaria.

330    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

b)     Giudizio del Tribunale

331    Dal presente capo del quarto motivo emerge che le ricorrenti lamentano una violazione dei loro diritti della difesa. Occorre tuttavia rilevare che, in sostanza, esse fanno valere altresì una violazione dell’obbligo di motivazione. Orbene, secondo la giurisprudenza, i motivi di una parte ricorrente vanno interpretati in base alla loro sostanza piuttosto che alla loro qualificazione (sentenza della Corte 15 dicembre 1961, cause riunite 19/60, 21/60, 2/61 e 3/61, Fives Lille Cail e a./Alta Autorità, Racc. pag. 559). Pertanto, occorre esaminare non solo la censura attinente alla violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, ma anche quella relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione.

332    In primo luogo, per quanto riguarda la censura attinente alla violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, si deve ricordare che, ai sensi della giurisprudenza citata supra al punto 110, il rispetto dei diritti della difesa non impone affatto alle istituzioni di rispondere a ciascuno degli argomenti sollevati da un produttore‑esportatore, nel corso del procedimento, ma solo di mettere le parti interessate in grado di difendere utilmente i propri interessi. Inoltre, affermando di aver fatto valere un certo numero di argomenti nel corso del procedimento antidumping, le ricorrenti dimostrano di aver avuto occasione di far conoscere utilmente il loro punto di vista. Pertanto, esse non possono lamentare una violazione dei loro diritti della difesa.

333    In secondo luogo, per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione, è giocoforza rilevare che dal regolamento impugnato e dal regolamento provvisorio risulta, in maniera chiara e non equivoca, l’iter logico seguito dalle istituzioni che hanno adottato dazi antidumping provvisori e successivamente definitivi. In particolare, le istituzioni hanno proceduto ad un’analisi di non imputazione in applicazione dell’art. 3, n. 7, del regolamento di base. Poiché le conclusioni di tale analisi sono state esposte ai ‘considerando’ 115-136 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 96-101 del regolamento impugnato, tenuto conto della giurisprudenza citata supra al punto 256, le istituzioni non erano tenute a rispondere anche agli argomenti fatti valere dalle ricorrenti riguardo al livello e all’evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità e nel resto del mondo, alla relazione tra la diminuzione dell’occupazione nell’industria comunitaria e la riduzione della sua produzione, alla situazione particolare della Huta Laziska nonché ai procedimenti antidumping precedenti. Del pari, poiché ai ‘considerando’ 10-25 del regolamento provvisorio la Commissione ha spiegato di considerare che il fatto che le ricorrenti avessero ostacolato la visita di verifica giustificava l’eliminazione dei dati da esse presentati, in forza dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base, le istituzioni non erano tenute a rispondere agli argomenti dettagliati delle ricorrenti relativi alle conseguenze del mancato svolgimento della visita.

334    In ogni caso, occorre sottolineare che le istituzioni hanno risposto a tutti i suddetti argomenti. Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda gli argomenti dedotti dalle ricorrenti in merito alla visita di verifica, al ‘considerando’ 25 del regolamento provvisorio la Commissione vi ha parzialmente risposto. Essa ha difatti spiegato perché non poteva applicare le conclusioni dell’inchiesta sul silico-manganese all’inchiesta sul ferrosilicio. In secondo luogo, gli argomenti riguardanti il livello e l’evoluzione dei prezzi del ferrosilicio nella Comunità e nel resto del mondo sono stati presi in esame ai ‘considerando’ 87-90 del regolamento impugnato. In terzo luogo, le istituzioni hanno analizzato l’evoluzione dell’occupazione e della produzione comunitaria ai ‘considerando’ 91, 102 e 103 del regolamento provvisorio. In quarto luogo, le istituzioni hanno tenuto conto della situazione specifica della Huta Laziska, in particolare al ‘considerando’ 93 del regolamento provvisorio nonché ai ‘considerando’ 100 e 101 del regolamento impugnato. In quinto luogo, ai ‘considerando’ 117 e 118 del regolamento impugnato il Consiglio ha spiegato perché non riteneva possibile basarsi sui procedimenti antidumping precedenti.

335    Da ciò consegue che le ricorrenti non dimostrano alcuna violazione dell’obbligo di motivazione. Pertanto, occorre respingere in quanto infondato il terzo capo del quarto motivo così come il quarto motivo nella sua integralità.

336    Da tutto quanto precede, risulta che il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

337    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché le ricorrenti sono rimaste soccombenti, occorre condannarle alle spese, conformemente alle conclusioni del Consiglio e di Euroalliages.

338    Inoltre, ai termini dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. La Commissione sopporterà pertanto le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Transnational Company «Kazchrome» AO e la ENRC Marketing AG sopporteranno le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea e da Euroalliages.

3)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

Pelikánová

Jürimäe

Soldevila Fragoso

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 ottobre 2011.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A – Sul primo motivo, attinente al nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio

1. Sull’interpretazione dei principi giuridici applicabili all’analisi del nesso di causalità (primo capo del primo motivo)

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

2. Sull’analisi individuale dei fattori di pregiudizio diversi dalle importazioni oggetto di dumping (dal secondo all’ottavo capo del primo motivo)

a) Sul secondo capo del primo motivo, attinente all’evoluzione della domanda di acciaio e dei prezzi sui mercati comunitario e mondiale

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sul terzo capo del primo motivo, attinente agli effetti del pregiudizio che l’industria comunitaria si sarebbe autoinflitta

La prima censura, relativa alle riconversioni di produzione da parte di taluni produttori comunitari

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

La seconda censura, relativa alle interruzioni di produzione da parte di taluni produttori comunitari

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

La terza censura, relativa all’utilizzazione della capacità di produzione nominale teorica

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

La quarta censura, relativa agli investimenti realizzati dall’industria comunitaria nel 2005 e durante il periodo dell’inchiesta

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

c) Sul quarto capo del primo motivo, attinente all’incidenza dell’aumento dei costi delle materie prime

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d) Sul quinto capo del primo motivo, attinente agli effetti della contrazione della domanda nel 2005

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

e) Sul sesto capo del primo motivo, attinente agli effetti delle importazioni provenienti da altri paesi terzi

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

f) Sul settimo capo del primo motivo, attinente alla mancanza di competitività dei produttori comunitari prima che si producesse il dumping pregiudizievole

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

g) Sull’ottavo capo del primo motivo, nella parte in cui è relativo alle situazioni di singoli produttori

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

3. Sulla mancanza di analisi collettiva dei fattori di pregiudizio (primo e ottavo capo del primo motivo)

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

B – Sul secondo motivo, attinente all’esistenza di un interesse comunitario

1. Sul primo capo del secondo motivo, attinente all’evoluzione al rialzo dei prezzi del ferrosilicio successiva al periodo dell’inchiesta

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

2. Sul secondo capo del secondo motivo, attinente all’esperienza passata che dimostra come le misure antidumping non aiutino l’industria comunitaria

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

3. Sul terzo capo del secondo motivo, attinente all’analisi dell’impatto delle misure antidumping sugli utenti

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

C – Sul terzo motivo, attinente alla mancata cooperazione, all’utilizzazione dei dati disponibili e alla concessione del SEM

1. Sul primo capo del terzo motivo, attinente alla mancata cooperazione

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

2. Sul secondo capo del terzo motivo, attinente all’utilizzazione dei dati disponibili senza tener conto dei dati verificabili

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

3. Sul terzo capo del terzo motivo, attinente alla domanda di concessione del SEM

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

D – Sul quarto motivo, attinente ai diritti della difesa delle ricorrenti

1. Sul primo capo del quarto motivo, attinente ad una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti in quanto le istituzioni avrebbero omesso di fornire loro una sintesi significativa, coerente e in tempo utile del fascicolo riservato

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

2. Sul secondo capo del quarto motivo, attinente a una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, in quanto le istituzioni avrebbero omesso di reagire a talune anomalie contenute nel fascicolo non riservato

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

3. Sul terzo capo del quarto motivo, attinente a una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti, in quanto le istituzioni avrebbero omesso di reagire alle loro osservazioni

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.