Language of document : ECLI:EU:C:2021:291

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 15 aprile 2021(1)

Causa C561/19

Consorzio Italian Management,

Catania Multiservizi SpA

contro

Rete Ferroviaria Italiana SpA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 267, terzo comma, TFUE – Giurisdizione di uno Stato membro avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno – Obbligo di rinvio pregiudiziale – Portata – Eccezioni e criteri derivanti dalla sentenza CILFIT e a.»






Indice


I. Introduzione

II. Contesto normativo

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

IV. Valutazione

A. I livelli

1. Il livello più esterno: spetta sempre al giudice nazionale decidere

2. Il livello più profondo: occorre veramente sottoporre tutte le questioni?

B. La sentenza CILFIT (e la sua progenie)

1. Sulle ragioni dell’obbligo di rinvio pregiudiziale

2. Sulle eccezioni all’obbligo

3. La successiva prassi applicativa (della Corte)

C. Sui problemi relativi alla sentenza CILFIT

1. Ordine concettuale

2. Fattibilità

3. Coerenza sistemica dei mezzi di ricorso di diritto dell’Unione

4. L’evoluzione del diritto dell’Unione e del sistema giudiziario

5. Sintesi intermedia

D. La proposta

1. Una questione generale o generalizzabile di interpretazione del diritto dell’Unione

2. Più interpretazioni ragionevolmente possibili

3. Nessuna giurisprudenza della Corte di giustizia

4. Sull’obbligo di motivazione (e sulla questione aperta del controllo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio)

V. Conclusione



I.      Introduzione

1.        Contrariamente ai giudici nazionali di ultima istanza, ho il sospetto che gli studenti di diritto dell’Unione abbiano sempre amato abbastanza la sentenza nella causa CILFIT e a. (2). Nel corso dell’ultimo paio di decenni, il battito cardiaco di molti studenti di diritto dell’Unione è probabilmente aumentato per un improvviso impeto di gioia e sollievo nel vedere scritto «CILFIT», «eccezioni all’obbligo di rinvio pregiudiziale» e «discutete» sulla loro prova di esame o sul tema assegnato. Infatti, rimettere in discussione l’applicabilità delle eccezioni CILFIT all’obbligo di rinvio pregiudiziale, in particolare l’eccezione relativa alla mancanza di ogni ragionevole dubbio da parte del giudice nazionale di ultima istanza, non è, probabilmente, l’attività argomentativa più impegnativa. Tali giudici sono davvero tenuti a confrontare (tutte) le versioni linguistiche – parimenti autentiche – del diritto dell’Unione? In che modo, in pratica, ci si attende che essi stabiliscano se la materia sia parimenti ovvia per i giudici degli altri Stati membri e per la Corte di giustizia?

2.        Da diversi anni, l’obbligo di sottoporre una questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, le eccezioni a tale obbligo, e soprattutto la sua attuazione, sono stati il metaforico “can che dorme” del diritto dell’Unione. Siamo tutti consapevoli del fatto che esistono. Siamo tutti in grado di discutere o addirittura di scrivere trattati accademici su tale argomento. Tuttavia, nella vita reale, è meglio che il cane sia lasciato indisturbato. In termini pragmatici (o cinici), l’intero sistema dei rinvii pregiudiziali funziona in quanto nessuno, di fatto, applica la sentenza CILFIT, certamente non alla lettera. Spesso, è meglio l’idea di un cane che dover trattare con l’animale in carne ed ossa.

3.        Per varie ragioni, esposte nelle presenti conclusioni, propongo alla Corte di considerare che è giunto il momento di riesaminare la questione CILFIT. La mia proposta al riguardo è piuttosto semplice: adeguare l’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, comma 3, TFUE, al pari delle eccezioni a tale obbligo, in modo tale che riflettano le esigenze dell’attuale sistema giudiziario del diritto dell’Unione, e che possano essere poi realisticamente applicati (e un giorno eventualmente soggetti a controllo dell’osservanza).

4.        Tuttavia, il processo di adeguamento proposto richiede un cambiamento di paradigma importante. La logica e il nucleo dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e delle sue eccezioni dovrebbero passare dalla mancanza di ogni ragionevole dubbio quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nel singolo caso di specie, dimostrato dall’esistenza di un dubbio giurisdizionale soggettivo, ad un imperativo più oggettivo di garanzia di un’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione in tutta l’Unione europea. In altri termini, l’obbligo di sottoporre una questione pregiudiziale non dovrebbe concentrarsi principalmente sulle risposte corrette, quanto piuttosto sull’individuazione delle questioni pregiudiziali corrette.

II.    Contesto normativo

5.        Ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

«La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a)      sull’interpretazione dei trattati;

b)      sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.

Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte.

(…)»

6.        L’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte dispone quanto segue:

«Quando una questione pregiudiziale è identica a una questione sulla quale la Corte ha già statuito, quando la risposta a tale questione può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta alla questione pregiudiziale non dà adito a nessun ragionevole dubbio, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

7.        Il 23 febbraio 2006 al Consorzio Italian Management e alla Catania Multiservizi SpA (in prosieguo: i «ricorrenti») è stato aggiudicato, dalla Rete Ferroviaria Italiana SpA (in prosieguo: la «RFI») un appalto avente ad oggetto «servizi di pulizia e di mantenimento del decoro dei locali e di altre aree aperte al pubblico e servizi accessori ubicati in stazioni, impianti, uffici e officine variamente dislocati nell’ambito della giurisdizione della Direzione compartimentale movimento di Cagliari (Italia)».

8.        Tale contratto d’appalto conteneva una clausola limitativa della revisione dei prezzi. Durante l’esecuzione dell’appalto i ricorrenti hanno chiesto alla RFI di adeguare il corrispettivo d’appalto a causa di un asserito incremento dei costi contrattuali derivante da un aumento dei costi del personale. La RFI ha respinto la domanda.

9.        I ricorrenti hanno proposto un ricorso contro la RFI dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, (Italia; in prosieguo: il «TAR»). Il TAR, con sentenza dell’11 giugno 2014, ha respinto il ricorso. Esso ha ritenuto che l’articolo 115 del decreto legislativo n. 163/2006 non fosse applicabile alle attività rientranti nei settori speciali, come i servizi di pulizia, quando costituiscono una parte essenziale della rete di trasporto ferroviario. Il TAR ha altresì constatato che la revisione dei prezzi non era obbligatoria ai sensi dell’articolo 1664 del codice civile e che le parti potevano derogare a tale regola.

10.      I ricorrenti hanno impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia). Essi hanno sostenuto che era applicabile l’articolo 115 del decreto legislativo n. 163/2006 o, in subordine, l’articolo 1664 del codice civile. Inoltre, a loro avviso, la normativa nazionale violava la direttiva 2004/17/CE (3) nella parte in cui comportava l’esclusione della revisione dei prezzi nel settore dei trasporti e dei relativi appalti per servizi di pulizia. Tali norme davano luogo ad uno squilibrio contrattuale iniquo e sproporzionato, falsando, in definitiva, le regole di funzionamento del mercato. Se la direttiva 2004/17 dovesse essere interpretata nel senso che esclude la revisione dei prezzi in tutti i contratti conclusi e attuati nei settori speciali, non sarebbe allora valida.

11.      In tale contesto, il 24 novembre 2016, il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia conforme al diritto dell’Unione (in particolare [agli] articoli 3, co. 3, TUE, (...) 26, 56-58 e 101 TFUE, [all’]articolo 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) ed alla direttiva [2004/17] l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa direttiva, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità.

2)      Se la direttiva [2004/17] (ove si ritenga che l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali discenda direttamente da essa), sia conforme ai principi dell’Unione europea (in particolare, agli articoli 3, co. 1, TUE, 26, 56-58 e 101 TFUE, [all’]articolo 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), “per l’ingiustizia, la sproporzionatezza, l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e, pertanto, delle regole di un mercato efficiente”».

12.      La Corte ha risposto con sentenza del 19 aprile 2018 (4). Per quanto riguarda la prima questione, la Corte ha osservato che il giudice del rinvio non aveva fornito alcuna spiegazione riguardo alla rilevanza dell’interpretazione dell’articolo 3, comma 3, TUE o degli articoli 26, 57 e 58 nonché 101 TFUE ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale. L’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), analogamente alle altre disposizioni della Carta, si applica agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione, ipotesi che non ricorreva nel procedimento principale. La Corte ha quindi concluso che la prima questione era irricevibile con riferimento a tali disposizioni (5).

13.      Tuttavia, per quanto riguarda la direttiva 2004/17 e i principi generali ad essa sottesi, in particolare il principio della parità di trattamento e il principio di trasparenza, la Corte ha constatato che essi dovevano essere interpretati nel senso che non ostano a norme di diritto nazionale che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva. Tenuto conto di tale risposta, la Corte ha dichiarato che la seconda questione era ipotetica.

14.      Il 28 ottobre 2018, a seguito della pronuncia della sentenza della Corte, i ricorrenti hanno chiesto al Consiglio di Stato, prima dell’udienza pubblica che si è tenuta il 14 novembre 2018, di sottoporre alla Corte nuove questioni pregiudiziali. In sostanza, i ricorrenti affermano che, nella sua sentenza, la Corte non ha preso posizione sulla questione se i servizi di pulizia fossero legati al servizio di trasporto da un nesso di strumentalità. Essi sottolineano che, nella sua sentenza, la Corte ha assunto che, come indicato nel bando di gara originario, la durata del rapporto contrattuale non potesse essere prolungata. Tuttavia, ciò non riflette la situazione in Italia, ove gli appalti di servizi sono frequentemente prorogati dalle autorità pubbliche, talvolta all’infinito, creando così una situazione di squilibrio contrattuale. A sostegno della loro posizione, i ricorrenti invocano i considerando 9, 10 e 45 della direttiva 2004/17 nonché l’articolo 57 di quest’ultima.

15.      Secondo il Consiglio di Stato, che è nuovamente il giudice del rinvio nel procedimento principale, i ricorrenti hanno quindi sollevato ulteriori questioni pregiudiziali. Tuttavia, il giudice del rinvio si chiede se, nelle circostanze del procedimento principale, esso debba sottoporre tali questioni alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Esso considera che l’obbligo, per un giudice di ultima istanza, di sottoporre una questione pregiudiziale non può essere disgiunto da un regime di «preclusioni processuali» tale da indurre le parti a sottoporre al giudice nazionale «una volta per tutte» gli aspetti del diritto interno che esse ritengono contrari al diritto dell’Unione. Diversamente, la proposizione a catena di questioni pregiudiziali – oltre che prestarsi a possibili usi distorti e, in casi estremi, a un vero «abuso del processo» – finirebbe (a causa dell’obbligo di rinvio) per vanificare il diritto alla tutela giurisdizionale e per compromettere il principio di celere definizione del giudizio con carattere di effettività.

16.      In tale contesto di fatto e di diritto il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

2)      se – in ragione di quanto innanzi esposto – siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare agli articoli 4, co. 2, 9, 101, co. 1, lett. e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 da esso richiamate – 152, 153, 156 TFUE; articoli 2 e 3 TUE; nonché art. 28 [della Carta]) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva [2004/17], ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità.

3)      se – in ragione di quanto innanzi esposto – siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare all’articolo 28 della [Carta], al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall’art. 16 [della Carta]) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva [2004/17], ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità».

17.      Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti, la RFI, il governo l’italiano e la Commissione europea. Tali interessati, unitamente ai governi tedesco e francese, sono tutti comparsi all’udienza che si è tenuta il 15 luglio 2020.

IV.    Valutazione

18.      Conformemente alla richiesta della Corte, le presenti conclusioni saranno incentrate sulla prima questione sollevata dal giudice del rinvio. Tale questione presenta due livelli. Da un lato, in base al suo testo, la prima questione potrebbe essere forse interpretata nel senso che chiede semplicemente se un giudice nazionale di ultima istanza sia tenuto a procedere a un rinvio pregiudiziale in una specifica situazione di fatto contenente tre elementi: (i) nel caso in cui la questione è sollevata da una delle parti; (ii) nel caso in cui la questione è sollevata dopo il primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo ad opera di una delle parti; e (iii) anche dopo che sia stata già proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte. Fornire una risposta a tali questioni non è difficile. Le risposte derivano infatti da una giurisprudenza costante della Corte (come sarà dimostrato infra, nella sezione A).

19.      D’altro lato, non ritengo che siffatta risposta renda giustizia alle questioni realmente sollevate dal giudice del rinvio. Tale giudice rileva che esistono ulteriori questioni sollevate dalle parti che, in realtà, possono essere risolte in base alla risposta già fornita dalla Corte. Tuttavia, il giudice del rinvio riconosce altresì che esistono nuove questioni che non possono essere risolte in tal modo. Per quanto riguarda tali questioni supplementari, il giudice del rinvio sottolinea che, essendo esso stesso un organo giurisdizionale di ultima istanza in forza del diritto nazionale, è tenuto a rivolgersi alla Corte poiché dinanzi ad esso è stata sollevata una questione di interpretazione del diritto dell’Unione (6).

20.      A questo punto, emerge completamente la problematica più ampia della prima questione: rientrano nell’obbligo di rinvio pregiudiziale incombente ai giudici di ultima istanza tutti i casi in cui persistano dubbi circa la corretta applicazione del diritto dell’Unione nel caso di specie, indipendentemente dal fatto che sia stata già proposta o meno, nella stessa causa, una precedente domanda di pronuncia pregiudiziale? Qual è l’esatta portata dell’obbligo di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale e delle eccezioni a tale obbligo, alla luce in particolare di casi come quello di cui al procedimento principale?

21.      Nel proporre una risposta a tale questione, inizierò con l’esporre i contorni attuali dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e delle sue eccezioni (B). Successivamente, esaminerò i diversi problemi posti da tale giurisprudenza, problemi che saranno ridefiniti in seguito come le ragioni per le quali propongo alla Corte di enunciare l’obbligo di rinvio pregiudiziale in una diversa prospettiva (C). Infine, concluderò con una proposta specifica al riguardo (D).

A.      I livelli

22.      Gli elementi invocati dal giudice del rinvio riguardano tre problematiche: (i) il ruolo delle parti nel sollevare una questione; (ii) la tempistica della questione in relazione alle diverse fasi da cui può essere composto un procedimento giurisdizionale nazionale; e (iii) la possibilità di una seconda domanda di pronuncia pregiudiziale nell’ambito di uno stesso procedimento. Se queste tre problematiche fossero intese come tre questioni separate – e non come tre aspetti di un’unica questione – la risposta alle stesse potrebbe essere agevolmente desunta dalla giurisprudenza costante della Corte.

1.      Il livello più esterno: spetta sempre al giudice nazionale decidere

23.      In primo luogo, la questione se un giudice del rinvio consideri una decisione della Corte necessaria per pronunciare una sentenza è una questione la cui decisione spetta esclusivamente ad esso. È vero che un giudice nazionale, come qualsiasi altro giudice, può ascoltare le posizioni delle parti in merito alla possibilità di proporre una questione pregiudiziale. Tuttavia, l’articolo 267 TFUE ha istituito una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti (7). Pertanto, il semplice fatto che una parte della controversia nel procedimento principale abbia sollevato talune problematiche di diritto dell’Unione non obbliga il giudice interessato a considerare configurabile una questione sollevata ai sensi dell’articolo 267 TFUE, rendendo il rinvio pregiudiziale obbligatorio (8). Per contro, ciò significa altresì che un giudice nazionale può proporre d’ufficio una domanda di pronuncia pregiudiziale (9).

24.      In secondo luogo, spetta unicamente al giudice nazionale decidere quando sia necessario sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale (10). Il giudice nazionale è colui che meglio di ogni altro può giudicare in quale fase del procedimento gli occorra la pronuncia pregiudiziale della Corte (11). La Corte richiede soltanto che la controversia sia pendente al momento della domanda di pronuncia pregiudiziale (12).

25.      È vero che, dal punto di vista della Corte e della sua volontà di assistere il giudice del rinvio nel modo più ampio possibile, non possono che essere accolte con favore le situazioni in cui il giudice del rinvio decide di rivolgersi alla Corte solo dopo che una controversia e tutte le sue implicazioni si sono pienamente concretizzate dinanzi a tale giudice. Così, in alcuni casi, la buona amministrazione della giustizia potrebbe esigere che la Corte sia adita solo dopo che entrambe le parti di una controversia siano state sentite dal giudice del rinvio. Tuttavia, non si tratta certamente, di per sé, di una condizione imposta dalla Corte (13).

26.      Nello stesso senso, non ritengo che la Corte si opponga a norme o a disposizioni nazionali che richiedano o impongano la concentrazione dei procedimenti, in particolare dinanzi ai giudici d’appello o agli organi giurisdizionali supremi, obbligando le parti a presentare argomenti nuovi o supplementari in un determinato momento o in una determinata fase del procedimento giurisdizionale. È vero, tuttavia, che, in passato, la Corte si è in generale mostrata critica laddove siffatti termini o siffatta concentrazione dei procedimenti rendessero effettivamente impossibile per i giudici nazionali sollevare questioni di compatibilità di norme nazionali con il diritto dell’Unione (14).

27.      La logica della giurisprudenza della Corte in materia implica quindi la necessità di garantire che le norme processuali nazionali non ostino a che siano sollevate questioni di diritto dell’Unione, potendo una domanda di pronuncia pregiudiziale essere formulata indipendentemente dalla fase del procedimento. Il risultato a cui ciò può condurre, in termini pratici, è la potenziale disapplicazione di norme nazionali restrittive (15).

28.      Tuttavia, nel contesto della presente causa, sembrerebbe che la questione se un potenziale obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE possa sorgere «anche nei casi in cui tale questione (...) venga proposta [al giudice nazionale] da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione» sia sollevata tenendo presente un esito diverso. Nel caso di specie, sembra che nel diritto nazionale non esista in effetti alcuna norma limitativa, in quanto alle parti è apparentemente consentito iniziare a (ri)discutere dinanzi al giudice del rinvio elementi che costituivano già l’oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale. Sarebbe tuttavia del tutto inusuale, quanto meno, se si dovesse iniziare a invocare il summenzionato filone «permissivo» della giurisprudenza che ha sempre categoricamente insistito sul fatto che i giudici nazionali sono completamente liberi di sollevare qualsiasi questione di diritto dell’Unione in qualsiasi fase del procedimento per cercare improvvisamente di ottenere il risultato opposto: chiudere ogni ulteriore discussione consentita ai sensi del diritto nazionale dopo che una pronuncia della Corte sia stata ricevuta a livello nazionale.

29.      In terzo luogo, ciò sarebbe anche assai arduo da riconciliare con l’approccio tradizionale della Corte per quanto riguarda il terzo elemento individuato dal giudice del rinvio: la possibilità di presentare una nuova domanda. A tal riguardo, la Corte ha sempre insistito sul fatto che i giudici nazionali mantengono la libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno, senza che il fatto che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (16).

30.      Lo stesso vale nell’ambito dello stesso procedimento nazionale. Secondo la Corte, «tale domanda può essere giustificata quando il giudice nazionale si trova di fronte a difficoltà di comprensione o di applicazione della sentenza, quando sottopone alla Corte una nuova questione giuridica oppure quando le sottopone nuovi dati di valutazione che possano indurla a risolvere altrimenti una questione che è già stata sollevata» (17). Pertanto, nell’ambito dello stesso procedimento è sempre possibile un nuovo rinvio pregiudiziale, sulle stesse disposizioni di diritto dell’Unione, ma anche su disposizioni o questioni potenzialmente diverse.

31.      Ne consegue che la risposta breve alla prima questione è che una domanda di pronuncia pregiudiziale può essere proposta in qualsiasi momento, indipendentemente da una precedente sentenza pregiudiziale della Corte pronunciata nell’ambito dello stesso procedimento, sempre che il giudice del rinvio ritenga che la risposta della Corte sia necessaria per consentirgli di pronunciare la propria sentenza. Tale decisione deve essere sempre adottata dal giudice nazionale, alla luce di ogni ragionevole dubbio che esso possa ancora nutrire riguardo alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nella causa di cui è investito.

2.      Il livello più profondo: occorre veramente sottoporre tutte le questioni?

32.      In sintesi, tutto ciò rimane di competenza esclusiva del giudice del rinvio e nell’ambito della sua valutazione relativa alla necessità (soggettiva) di chiedere ulteriori chiarimenti alla Corte. Ma è veramente questa la risposta? O questa affermazione è piuttosto la descrizione del problema? Infatti, dovrebbe sussistere ancora un obbligo di rinvio pregiudiziale in casi come quello di specie?

33.      Considerata in tale contesto, la prima questione del giudice del rinvio raggiunge un altro livello, molto più profondo. Ciò è ulteriormente evidenziato dal fatto che tutti e tre gli elementi discussi nella sezione precedente come questioni indipendenti sono contemporaneamente presenti nel procedimento principale. La questione diviene quindi se il giudice del rinvio, nonostante tutte queste circostanze, sia ancora soggetto all’obbligo di procedere a un rinvio pregiudiziale.

34.      Pertanto, non ritengo che a tale questione si possa adeguatamente rispondere nel senso descritto nella sezione precedente. Non credo neppure che si possa rispondere suggerendo che la causa in esame riguarda semplicemente la forza vincolante e il rispetto di una precedente sentenza della Corte. È certamente vero che, già dalla sentenza Da Costa (18), e come successivamente confermato nella sentenza CILFIT (19), l’autorità di un’interpretazione fornita dalla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE può privare tale obbligo del suo scopo e quindi privarlo del suo contenuto (20). Così avviene a fortiori quando la questione sollevata è sostanzialmente identica a una questione già decisa in via pregiudiziale nell’ambito dello stesso procedimento nazionale (21).

35.      Tuttavia, il giudice del rinvio ha chiaramente affermato di trovarsi, in parte, di fronte a elementi nuovi e supplementari riguardo alla causa, non esaminati in precedenza dalla Corte. Pertanto, la questione non riguarda l’inosservanza di una precedente decisione della Corte.

36.      In tale contesto, è impossibile affermare che il diritto dell’Unione osti alla prassi italiana di dare alle parti la possibilità di presentare le proprie osservazioni in merito a una risposta ricevuta da un organo giurisdizionale di grado superiore riguardo a una domanda presentata nell’ambito di tale procedimento. In udienza, il governo italiano ha dichiarato che si tratta non solo della prassi adottata riguardo a una risposta ricevuta dalla Corte, ma anche riguardo alle risposte ricevute dal giudice costituzionale nazionale a seguito di una questione di costituzionalità presentata da un giudice nazionale. In tali circostanze, le parti del procedimento principale possono pronunciarsi sulle conseguenze che dovrebbero trarsi per il loro caso alla luce degli orientamenti espressi da un organo giurisdizionale di grado superiore.

37.      In sintesi, a meno che la Corte intenda ribadire l’ovvio senza dedicarsi al livello più profondo della presente causa, o a meno che riconsideri in modo piuttosto radicale alcuni degli elementi appena delineati, suggerisco che nell’ambito della presente causa sia giustificata una discussione sulla natura e sulla portata dell’obbligo di sollevare una questione pregiudiziale. Le parti interessate hanno esposto punti di vista diversi al riguardo.

38.      Nelle loro osservazioni i ricorrenti e la convenuta nel procedimento principale si concentrano principalmente sulle questioni seconda e terza. Per quanto riguarda la prima questione, i ricorrenti sostengono che le domande di pronuncia pregiudiziale sono superflue ove esiste una giurisprudenza costante, salvo che i precedenti giurisprudenziali pertinenti siano troppo risalenti oppure siano stati dedotti nuovi argomenti dinanzi al giudice del rinvio, come avviene nel procedimento principale. La convenuta ritiene che il giudice del rinvio non avrebbe dovuto sottoporre nuove questioni poiché l’interpretazione delle norme del diritto dell’Unione di cui trattasi era chiara e la giurisprudenza della Corte ha già fornito una risposta.

39.      I governi tedesco, francese e italiano, nonché la Commissione, affrontano tutti la prima questione in modo più dettagliato, presentando una serie di punti di vista. Il governo tedesco e la Commissione ritengono che non vi sia motivo per riconsiderare in qualsiasi modo la sentenza CILFIT. Il governo tedesco sottolinea che i criteri CILFIT hanno resistito alla prova del tempo e dovrebbero essere mantenuti.

40.      Il governo italiano ha chiesto un migliore bilanciamento tra l’obbligo di rinvio pregiudiziale e la buona amministrazione della giustizia. Secondo tale governo, i giudici di ultima istanza violerebbero l’articolo 267, terzo comma, TFUE solo qualora omettano di prendere in considerazione questioni di diritto dell’Unione sollevate dalle parti o le dichiarino infondate senza una motivazione. Tale governo ritiene che detta motivazione sia determinante. Essa potrebbe anche attenuare la responsabilità in cui incorrono gli Stati membri a causa del mancato rinvio pregiudiziale da parte dei loro giudici di ultima istanza.

41.      Il governo francese ha suggerito di (re)interpretare i criteri CILFIT alla luce dell’obiettivo generale dell’articolo 267 TFUE e alla luce dello stato attuale del diritto dell’Unione, tenuto conto dei cambiamenti strutturali intervenuti. L’obbligo di rinvio pregiudiziale dovrebbe concentrarsi su importanti questioni interpretative e su questioni che possono dar luogo a interpretazioni divergenti all’interno dell’Unione, e non necessariamente su singoli casi all’interno degli Stati membri. Le questioni riguardanti l’applicazione del diritto dell’Unione non dovrebbero far sorgere l’obbligo di rinvio pregiudiziale. Siffatto obbligo dovrebbe essere mantenuto solo per le questioni generali o le questioni che, sebbene più casistiche, richiedono alla Corte di definire un quadro generale di analisi o i criteri di argomentazione giuridica. Sebbene i giudici di ultima istanza possano ancora decidere di sollevare altri tipi di questione, i requisiti di una buona amministrazione della giustizia e di pronuncia delle sentenze entro un termine ragionevole dovrebbero essere presi in considerazione dai giudici nazionali, in particolare quando la Corte ha pronunciato una prima sentenza pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento.

B.      La sentenza CILFIT (e la sua progenie)

42.      Ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, è tenuta a sottoporre alla Corte questioni relative all’interpretazione o alla validità del diritto dell’Unione.

43.      Esiste quindi chiaramente, nel testo del Trattato, un obbligo per i giudici di ultima istanza (22) di sottoporre alla Corte le questioni di cui al primo comma di tale articolo. Tuttavia, come avviene per diverse disposizioni di diritto primario, il resto è semplicemente una creazione giurisprudenziale.

44.      In primo luogo, il testo del Trattato non distingue tra le questioni di interpretazione e le questioni di validità per quanto riguarda la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale. Tuttavia, per quanto riguarda le questioni relative alla validità, la Corte ha dichiarato che tutti i giudici nazionali, vale a dire non solo quelli di ultima istanza, hanno l’obbligo, senza riserve, di sottoporre tali questioni alla Corte. I giudici nazionali non hanno alcuna competenza a determinare essi stessi la validità degli atti delle istituzioni dell’Unione (23). L’esigenza di uniformità è particolarmente essenziale quando è in discussione la validità di un atto dell’Unione. Divergenze fra i giudici degli Stati membri circa la validità degli atti dell’Unione potrebbero compromettere l’unità stessa dell’ordinamento giuridico di quest’ultima e ledere il principio fondamentale della certezza del diritto (24).

45.      Siffatte considerazioni pongono le questioni relative alla validità degli atti di diritto dell’Unione su un piano diverso e distinto. Fondamentalmente, poiché la ragione dell’obbligo categorico per tutti i giudici nazionali di sottoporre alla Corte qualsiasi questione di validità è diversa dalle ragioni dell’obbligo di sottoporre questioni di interpretazione, lo stesso vale per quanto riguarda le loro eccezioni. Le eccezioni di cui alla sentenza CILFIT non sono applicabili all’obbligo di sollevare una questione di validità (25).

46.      Occorre sottolineare, già in questa fase, che le considerazioni che seguono nelle presenti conclusioni riguardano esclusivamente le domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione.

47.      In secondo luogo, è giusto ammettere che, nel suo testo, l’articolo 267, terzo comma, TFUE stabilisce un obbligo categorico di rinvio pregiudiziale che incombe ai giudici nazionali di ultima istanza senza eccezioni: «quando una questione del genere è sollevata (…) tale giurisdizione (…) è tenuta a rivolgersi alla Corte». A tal riguardo, è la giurisprudenza della Corte ad aver, in effetti, aggiunto le eccezioni di cui alla sentenza CILFIT riguardanti questioni di interpretazione.

48.      Naturalmente, non sto sollevando tale aspetto per insinuare che dette eccezioni siano erronee o illegittime. Al contrario, esse sono, in effetti, necessarie. Tuttavia, la ragione del mio intento di sottolineare questo aspetto, come premessa alla seguente discussione, è di evidenziare il fatto che, quando si tratta della natura e della portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, o delle eccezioni a tale obbligo, l’argomento secondo cui «ciò non può essere modificato perché così è scritto nel Trattato» è alquanto peculiare. Relativamente all’esatta portata dell’obbligo di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale, l’articolo 267 TFUE è un testo particolarmente aperto. Relativamente alle eccezioni a tale obbligo, il Trattato è completamente muto. Più precisamente, se si intendesse rimanere legati al testo in modo pignolo, si potrebbe persino suggerire che il testo dell’articolo 267 TFUE preclude l’esistenza di qualsiasi eccezione all’obbligo di rinvio pregiudiziale.

1.      Sulle ragioni dellobbligo di rinvio pregiudiziale

49.      In generale, «[i]l sistema introdotto dall’articolo 267 TFUE istituisce (...) una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali, nell’ambito della quale questi ultimi partecipano strettamente alla corretta applicazione e all’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, nonché alla tutela dei diritti attribuiti da quest’ordinamento giuridico ai privati» (26).

50.      Tuttavia, il Trattato richiede ai giudici nazionali di ultima istanza, menzionati all’articolo 267, terzo comma, TFUE, più di quanto richieda a qualsiasi organo giurisdizionale ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. Devono sussistere, quindi, ulteriori ragioni strutturali quanto al motivo per cui i giudici di ultima istanza, oltre alla facoltà di effettuare un rinvio riconosciuta a tutti i giudici nazionali, siano soggetti a un obbligo di rinvio pregiudiziale.

51.      La ragione strutturale dell’obbligo incombente ai giudici di ultima istanza è stata affermata inizialmente nella sentenza Hoffmann‑Laroche: «impedire che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale [che sia] in contrasto con le norme [di diritto dell’Unione]» (27). In altri termini, lo scopo particolare dell’articolo 267, terzo comma, TFUE è la necessità di «evitare che si producano divergenze giurisprudenziali all’interno [dell’Unione] su questioni di diritto [dell’Unione]» (28). La limitazione di tale obbligo ai giudici di ultima istanza è specificamente giustificata dal fatto che «un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i soggetti dell’ordinamento possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto dell’Unione. Gli organi giurisdizionali di ultimo grado sono incaricati di assicurare a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche» (29).

52.      Pertanto, oltre al desiderio di assistere il giudice nazionale nella corretta interpretazione o applicazione del diritto dell’Unione nel caso di specie, che sembra essere la logica generale dell’articolo 267 TFUE, la logica dell’obbligo di rinvio pregiudiziale è stata espressa in termini sistemici e strutturali: evitare divergenze nella giurisprudenza dell’Unione. Logicamente quindi, tale obiettivo viene meglio perseguito, in effetti, a livello di quei giudici nazionali che tendono essi stessi a vedersi affidare l’obiettivo di garantire l’unità a livello nazionale.

53.      Tuttavia, è giusto riconoscere che, nelle dichiarazioni (e nella prassi applicativa) della Corte nel corso degli anni, la ragione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale non è sempre stata espressa in termini così coerenti. Talvolta, i termini utilizzati sono un’interpretazione e un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione (30); talvolta, l’espressione è un’applicazione adeguata o corretta e un’interpretazione uniforme (31); talvolta anche semplicemente un’applicazione uniforme (32).

54.      Può trattarsi di semplici modifiche non intenzionali della formulazione utilizzata. Tuttavia, in altre occasioni, esse sono indicative di una discrepanza più profonda. Esse sono indice di una costante tensione riguardo a come debba essere interpretato in modo diverso l’obbligo di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE rispetto alla possibilità di cui al secondo comma.

55.      La possibilità prevista al secondo comma, nonché l’obiettivo generale del procedimento pregiudiziale, è certamente di assistere i giudici nazionali nella risoluzione di singole controversie che presentano elementi di diritto dell’Unione. Tale «finalità limitata», incentrata sul caso di specie, è certamente funzionale, nel lungo periodo, alla più sistemica «finalità di ampio respiro» del procedimento pregiudiziale. Essa sviluppa progressivamente un sistema di precedenti (o, nel linguaggio della Corte, una giurisprudenza costante), che contribuisce a garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutta l’Unione europea.

56.      Tuttavia, può l’obbligo di rinvio pregiudiziale essere inteso come una semplice estensione della possibilità di effettuare un rinvio pregiudiziale, come un tentativo di individuare i casi in cui qualcosa che ha come fondamento l’opzione di rinvio divenga improvvisamente un obbligo strutturale, allorché il singolo giudice nazionale, che potrebbe avere un «dubbio soggettivo», si trova improvvisamente nella «necessità oggettiva» di assistenza da parte della Corte?

2.      Sulle eccezioni allobbligo

57.      La sentenza CILFIT riguardava una controversia tra alcune società importatrici di lana e il Ministero della Sanità italiano riguardo al pagamento di un diritto per visita sanitaria su lane importate da paesi non facenti parte della (allora) Comunità. Tali società avevano invocato la disposizione di un regolamento che vietava agli Stati membri di imporre qualsiasi tributo di effetto equivalente ai dazi doganali su taluni prodotti di origine animale importati. Il Ministero della Sanità sosteneva che la lana non rientrava nell’ambito di applicazione del Trattato e non era quindi soggetta a tale regolamento.

58.      In tale contesto, la Corte suprema di cassazione (Italia) aveva sollevato una questione di interpretazione dell’allora articolo 177, terzo comma, del Trattato CEE (attualmente articolo 267 TFUE), chiedendo in sostanza se l’obbligo di rinvio pregiudiziale sia automatico o subordinato al previo accertamento di un ragionevole dubbio interpretativo. Secondo il Ministero della Sanità, l’interpretazione del regolamento era così evidente da escludere la possibile esistenza di dubbi interpretativi, ovviando quindi alla necessità di sottoporre la questione alla Corte. Gli importatori interessati sostenevano che, poiché veniva sollevata una questione sull’interpretazione di un regolamento dinanzi a un organo giurisdizionale supremo, avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giudice non poteva esimersi dall’obbligo di adire la Corte.

59.      Nella sua sentenza la Corte ha anzitutto ricordato la finalità dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, che è stato «istituit[o] al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto comunitario nell’insieme degli Stati membri (...) L’articolo 177, terzo comma, mira, più in particolare, ad evitare che si producano divergenze giurisprudenziali all’interno della Comunità su questioni di diritto comunitario. La portata di tale obbligo va pertanto valutata tenendo conto di tali finalità (...)» (33).

60.      Di seguito, alla luce di tali obiettivi, la Corte ha dichiarato che l’obbligo di rinvio pregiudiziale non è assoluto. Essa ha enunciato tre eccezioni all’obbligo di rinvio pregiudiziale dei giudici di ultima istanza.

61.      In primo luogo, i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sollevare una questione di interpretazione «se questa non è pertinente, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della lite» (34).

62.      Convengo che una discussione sulla questione se si tratti, in effetti, di un’eccezione a un obbligo, o piuttosto della conferma del fatto che non esiste alcun obbligo, è del tutto possibile. Laddove non sussistano questioni (rilevanti) di diritto dell’Unione, cosa si dovrebbe o addirittura si potrebbe chiedere? Quando la questione pregiudiziale è priva di rilevanza ai fini dell’esito del procedimento principale, non solo non vi è alcun obbligo di rinvio pregiudiziale, ma una questione del genere sarebbe semplicemente irricevibile (35).

63.      Tuttavia, ritengo che la prima «eccezione» debba essere letta correttamente nel suo contesto temporale. Era la prima volta che la Corte dichiarava che, nonostante la formulazione dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, trovasse applicazione anche l’identica condizione prevista al secondo comma. Tuttavia, e cosa forse più importante, creando un collegamento tra questi due commi dell’articolo 267 TFUE, la prima eccezione è divenuta strutturalmente connessa al caso di specie e alla finalità limitata della domanda di pronuncia pregiudiziale: assistere i giudici nazionali (di prima e di ultima istanza) nella risoluzione di una specifica controversia pendente dinanzi ad essi nel caso in cui sorga una questione di diritto dell’Unione.

64.      In secondo luogo, non esiste alcun obbligo di rinvio pregiudiziale qualora «la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale» (36), e in situazioni in cui «una giurisprudenza costante della Corte (...), indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto [controverso], anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere» (37).

65.      Tale seconda eccezione, qualificata in termini informali come «acte éclairé» (indicata così anche in altre lingue), comprende situazioni in cui è stato già stabilito un precedente dalla Corte. Essa è intervenuta come estensione della portata della sentenza Da Costa, nella quale la Corte ha dichiarato che «l’autorità dell’interpretazione data dalla Corte (...) può tuttavia far cadere la causa [dell’]obbligo [di rinvio pregiudiziale] e così renderlo senza contenuto» (38).

66.      In terzo luogo, la Corte ha infine rilevato che non sussiste alcun obbligo di rinvio pregiudiziale quando «la corretta applicazione del diritto [dell’Unione] può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata» (39). In sostanza, è questo il modo in cui (probabilmente) ha avuto origine la più nota eccezione – l’eccezione del «nessun ragionevole dubbio» o, come indicata anche in altre lingue, l’eccezione dell’«acte clair».

67.      La Corte ha poi elencato diverse condizioni della cui sussistenza un giudice nazionale deve essere persuaso per giungere alla conclusione che non vi è spazio per alcun ragionevole dubbio quanto all’interpretazione della disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi. Si può discutere se il requisito secondo cui il giudice nazionale deve «maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia» (40) costituisca una di tali specifiche condizioni oppure se sia in realtà una sorta di criterio generale che fornisce ulteriori indicazioni riguardo al tipo di situazione in cui non sussisterà alcun ragionevole dubbio.

68.      Tuttavia, partendo dall’assunto che si tratti di un criterio «generale», la Corte ha poi elencato ulteriori elementi caratteristici del diritto comunitario che il giudice nazionale dovrebbe tenere presente prima di giungere a tale conclusione. Tali elementi comprendono il fatto che: (i) «l’interpretazione di una norma comunitaria comporta (...) il raffronto [delle varie versioni linguistiche]» (41); (ii) «le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto comunitario e nei vari diritti nazionali» (42); (iii) «ogni disposizione di diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni del suddetto diritto, delle sue finalità, nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi» (43).

3.      La successiva prassi applicativa (della Corte)

69.      Nel corso degli anni non sono mancati contributi accademici (44) e neppure giudiziari (45) in cui si è discusso sulla questione se le eccezioni di cui alla sentenza CILFIT, e in particolare le considerazioni espresse a proposito dell’acte clair, debbano essere effettivamente interpretate come requisiti, compilando così una checklist per i giudici nazionali di ultima istanza, o se occorra considerarle più come un «sistema generale di orientamento» o un «kit di strumenti» (46), da non applicare alla lettera.

70.      Ciò che rileva, a tal riguardo, è la giurisprudenza successiva della Corte stessa in materia. Due elementi, risultanti da tale giurisprudenza, sono particolarmente degni di nota. In primo luogo, la Corte non ha mai espressamente riconsiderato o temperato la sentenza CILFIT, sebbene sia stata ripetutamente invitata a farlo da vari avvocati generali. In secondo luogo, quando si è trattato di cause riguardanti la concreta applicazione dei cosiddetti criteri CILFIT, si potrebbe dire che la prassi applicativa della Corte è stata piuttosto varia, in particolare nel corso dell’ultimo decennio.

71.      In primo luogo, nella causa Intermodal Transports (47), il giudice del rinvio ha chiesto di chiarire se dovesse sottoporre questioni relative all’interpretazione della nomenclatura combinata (NC) qualora la parte di una controversia relativa alla classificazione nella NC di un determinato prodotto faccia valere una decisione di un’autorità doganale, prevista in un’informazione tariffaria vincolante (ITV), rilasciata a terzi per un prodotto simile, e il giudice del rinvio ritenga che tale ITV sia contraria alla NC. In termini più semplici, si può ritenere che un giudice nutra un ragionevole dubbio nel caso in cui abbia una opinione giuridica diversa da quella di un’autorità amministrativa di un diverso Stato membro?

72.      La Corte ha stabilito che la terza eccezione di cui alla sentenza CILFIT (acte clair) poteva ancora essere soddisfatta nonostante l’esistenza di un’interpretazione divergente del diritto dell’Unione da parte di un’autorità amministrativa di un altro Stato membro. Secondo la Corte, il fatto che le autorità doganali di un altro Stato membro avessero emesso una decisione che sembrava riflettere una diversa interpretazione della NC rispetto a quella che il giudice del rinvio riteneva di dover adottare riguardo a merci simili oggetto di tale controversia «deve certamente incoraggiare tale giudice ad essere particolarmente attento nella sua valutazione relativa ad un’eventuale assenza di ragionevole dubbio in merito alla corretta applicazione della NC» (48). Tuttavia, l’esistenza di siffatta ITV non poteva, di per sé, impedire al giudice del rinvio di concludere che la corretta applicazione di una voce doganale della NC si imponeva con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio (49).

73.      In secondo luogo, nella causa X e van Dijk (50), il giudice del rinvio – lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi) – ha chiesto se, nonostante il fatto che un giudice di grado inferiore nei Paesi Bassi avesse proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla medesima problematica, lo Hoge Raad (Corte suprema) potesse ancora legittimamente pronunciarsi su una controversia senza sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte e senza attendere le risposte alle questioni pregiudiziali sollevate da tale organo giurisdizionale di grado inferiore.

74.      La Corte ha dichiarato che l’esistenza di dubbi interpretativi da parte di un giudice di grado inferiore all’interno di uno Stato membro non osta all’esistenza di un acte clair per un giudice di ultima istanza del medesimo Stato. Essa ha sottolineato anzitutto che «spetta ai soli giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno valutare, sotto la propria responsabilità e in maniera indipendente, se essi siano in presenza di un atto chiaro» (51). Essa ha inoltre dichiarato che «atteso che la circostanza che un giudice di rango inferiore abbia posto alla Corte una questione pregiudiziale sulla medesima problematica sollevata in una controversia pendente dinanzi al giudice nazionale che si pronuncia in ultima istanza non implica, da sola, che i requisiti della sentenza [CILFIT] non possano più essere soddisfatti, così che tale ultimo giudice potrebbe decidere di astenersi dall’adire la Corte e risolvere la questione posta dinanzi ad esso sotto la propria responsabilità, occorre considerare che una tale circostanza neppure impone al giudice nazionale supremo di attendere la risposta della Corte alla questione pregiudiziale sollevata dal giudice di rango inferiore» (52).

75.      In terzo luogo, nella causa Ferreira Da Silva e Brito (53), i ricorrenti contestavano, nell’ambito di un ricorso per responsabilità civile extracontrattuale contro lo Stato portoghese, l’interpretazione della nozione di «trasferimento di uno stabilimento» ai sensi della direttiva 2001/23/CE (54) accolta dal Supremo Tribunal de Justiça (Corte suprema, Portogallo). Secondo i ricorrenti, il Supremo Tribunal de Justiça (Corte suprema) avrebbe dovuto adempiere al proprio obbligo di rinvio pregiudiziale e avrebbe dovuto sottoporre alla Corte una questione su tale punto. Il giudice del rinvio, di grado inferiore, ha chiesto alla Corte se l’articolo 267 TFUE dovesse essere interpretato nel senso che, tenuto conto del fatto che i giudici nazionali di grado inferiore che avevano giudicato sulla controversia avevano adottato decisioni contraddittorie, il Supremo Tribunale de Justiça (Corte suprema) era tenuto a sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale vertente sulla corretta interpretazione della nozione di «trasferimento di uno stabilimento» ai sensi della direttiva 2001/23.

76.      La Corte ha dichiarato che «il fatto che esistano decisioni contraddittorie emesse da altri giudici nazionali non può, di per sé, costituire un elemento determinante in grado di imporre l’obbligo di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE. Il giudice che decide in ultimo grado può infatti stimare, nonostante una determinata interpretazione di una norma del diritto dell’Unione effettuata da giudici subordinati, che l’interpretazione che esso intende dare a detta norma, differente da quella scelta da tali giudici, si impone senza lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio» (55). Tuttavia, diversamente dalla sentenza X e van Dijk, in base ai fatti stessi della causa, la Corte ha considerato che, quale conseguenza di correnti giurisprudenziali contraddittorie a livello nazionale e del fatto che tale nozione dà luogo a ricorrenti difficoltà d’interpretazione nei vari Stati membri, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno è tenuto ad effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte al fine di eliminare il rischio di un’errata interpretazione del diritto dell’Unione (56).

77.      In quarto luogo, nella causa Association France Nature Environnement (57), la Corte, pur non affrontando esplicitamente la questione del ragionevole dubbio, ha escluso l’applicazione delle eccezioni di cui alla sentenza CILFIT (nel caso di specie, tanto dell’acte clair quanto dell’acte éclairé). Nel particolare contesto in cui un giudice di ultima istanza intenda avvalersi della facoltà eccezionale, che gli consente di decidere di mantenere taluni effetti di una misura nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione la Corte ha tenuto un approccio restrittivo dell’obbligo di rinvio pregiudiziale.

78.      La Corte ha ribadito innanzi tutto i criteri per l’esistenza di un «acte clair» (58), al fine di rilevare che «[r]iguardo ad una controversia come quella oggetto del procedimento principale, considerato che, da un lato, la questione della possibilità, per il giudice nazionale, di limitare nel tempo taluni effetti di una dichiarazione di illegittimità di una disposizione del diritto interno adottata in violazione degli obblighi previsti da [una direttiva], non ha costituito oggetto di altra decisione della Corte successivamente alla [prima sentenza] (59) e che, dall’altro, tale possibilità risulta essere eccezionale, (...) il giudice nazionale, le cui decisioni non siano più soggette a ricorso giurisdizionale, è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione» (60). «In particolare, poiché l’esercizio di tale facoltà eccezionale potrebbe pregiudicare l’osservanza del principio del primato del diritto dell’Unione, il giudice nazionale potrà essere dispensato dall’adire la Corte in via pregiudiziale soltanto laddove sia persuaso che l’esercizio di tale eccezionale facoltà non sollevi alcun ragionevole dubbio. Peraltro, l’assenza di dubbi in tal senso necessita di prova circostanziata» (61).

79.      Se tale giurisprudenza è esaminata congiuntamente, esistono almeno tre elementi degni di nota.

80.      In primo luogo, sebbene tutte le cause facciano riferimento alla sentenza CILFIT, e alcune invochino anche le eccezioni ivi menzionate, nessuna di esse ha applicato concretamente i cosiddetti criteri CILFIT. Si potrebbe suggerire che questi sono gli elementi di fatto che devono essere applicati dai giudici nazionali. Tuttavia, ciò non è del tutto esatto poiché, in tali cause, è stata in effetti la Corte stessa a valutare se, in tali circostanze, le eccezioni di cui alla sentenza CILFIT, più spesso quella dell’acte clair, avrebbero potuto essere validamente invocate o meno dal giudice del rinvio. Ciononostante, pur effettuando chiaramente quel tipo di valutazione, la Corte sembra non applicare i propri criteri.

81.      In secondo luogo, la giurisprudenza richiamata dimostra perfettamente la difficoltà che risulta nella prassi applicativa a causa della mancanza di chiarezza concettuale nel carattere «soggettivo‑oggettivo» quanto all’esistenza di «un ragionevole dubbio». È un dubbio puramente soggettivo, vale a dire un dubbio che sorge nella mente del giudice nazionale? Oppure tale dubbio è soggettivo solo finché non viene confutato da indizi solidi e oggettivi? Oppure il giudice avrebbe dovuto, in effetti, considerare soggettivamente che esistevano dubbi oggettivi? Le prime due cause, la Intermodal Transports e la X e van Dijk, ricadono nel campo soggettivo e, quindi, della deferenza (spetta, in definitiva, al giudice nazionale che conosce meglio). Per contro, le altre due cause, Ferreira Da Silva e Brito e Association France Nature Environnement, calano pesantemente nel campo oggettivo (tenuto conto delle circostanze oggettive, il giudice avrebbe dovuto sapere come agire).

82.      In terzo luogo, siffatta variazione nell’applicazione dei criteri si traduce naturalmente in risultati alquanto diversi. È vero che ogni causa è diversa nelle circostanze di fatto. Tuttavia, come approccio generale, non è immediatamente chiaro come si possano conciliare, ad esempio, le cause X e van Dijk e Ferreira Da Silva e Brito. Si potrebbe ritenere che possano esistere ragionevoli dubbi (e quindi mancanza di un acte clair) se esistono posizioni oggettivamente contraddittorie sull’interpretazione delle stesse disposizioni. È vero che, se in tutto ciò si dovessero aggiungere argomenti relativi all’autorità formale o alla separazione dei poteri, si potrebbe distinguere la causa Intermodal Transports: anche se esistono interpretazioni giuridiche divergenti della stessa disposizione di diritto dell’Unione tra i vari ordinamenti, si tratta «solo» dell’opera di autorità amministrative, non si tratta di pronunce giurisdizionali.

83.      Tuttavia, tanto nella causa X e van Dijk quanto nella causa Ferreira Da Silva e Brito, esistevano pronunce giurisdizionali divergenti sugli stessi elementi di diritto dell’Unione provenienti dall’interno dei rispettivi ordinamenti. Poiché entrambe le cause riguardavano procedimenti diversi all’interno di tali Stati membri, difficilmente si potrebbe sostenere che l’una o l’altra riguardava un «errore una tantum» da parte di un giudice di grado inferiore, che attendeva di essere corretto da un giudice di ultima istanza. Esistevano interpretazioni oggettivamente diverse delle stesse norme giuridiche in procedimenti diversi all’interno dello stesso Stato membro.

84.      Anche in questo caso, ogni causa è diversa nelle circostanze di fatto. Si potrebbero così individuare differenze di fatto potenzialmente rilevanti tra le due cause, che giustificano un esito diverso. Forse la più interessante sarebbe quella di suggerire che, mentre la causa X e van Dijk riguardava una divergenza interpretativa riconosciuta unicamente all’interno dello stesso ordinamento giuridico nazionale, nella causa Ferreira Da Silva e Brito tale divergenza era non solo presente all’interno di uno Stato membro, ma anche apparentemente in tutta l’Unione. Infatti, come rilevato dalla Corte in quest’ultima sentenza, «l’interpretazione della nozione di “trasferimento di uno stabilimento” ha sollevato numerosi interrogativi da parte di moltissimi giudici nazionali i quali, pertanto, si sono visti costretti ad adire la Corte. Tali interrogativi testimoniano non soltanto l’esistenza di difficoltà interpretative, ma anche la presenza di rischi di giurisprudenza divergente a livello dell’Unione» (62).

85.      Era davvero intenzione della Corte iniziare improvvisamente a prendere alla lettera la sentenza CILFIT, vale a dire che un giudice nazionale «deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia» (63), con esclusione delle decisioni contraddittorie in materia di diritto dell’Unione provenienti dall’interno dello stesso Stato membro? È interessante che siffatta lettura è possibile. Tuttavia, esiste in ciò una premessa tacita molto importante, vale a dire che spetta ai rispettivi giudici supremi nazionali «fare ordine in casa propria» e unificare la giurisprudenza nazionale. Solo allora, in caso di divergenze interpretative tra gli Stati membri, scatterebbe l’obbligo di rinvio pregiudiziale (64).

86.      Resta il fatto, tuttavia, che, nel complesso, non è agevole conciliare la giurisprudenza recente della Corte delineata nella presente sezione. Tale circostanza ha incoraggiato vari accademici a fare congetture sull’eventualità che la Corte abbia allentato, in un certo senso tacitamente, i criteri dell’acte clair contenuti nella sentenza CILFIT (65). Sembrerebbe che anche taluni giudici nazionali abbiano inteso la situazione allo stesso modo (66).

87.      In sintesi, sarei dell’avviso che le differenze nella giurisprudenza delineata giustifichino già, di per sé, l’intervento della (Grande Sezione della) Corte al fine di chiarire con precisione quale sia, attualmente, la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE e delle eventuali eccezioni a tale obbligo.

C.      Sui problemi relativi alla sentenza CILFIT

88.      L’obiettivo della presente sezione è di sottolineare i problemi (C) che dovrebbero orientare, a mio avviso, la riconsiderazione della sentenza CILFIT proposta nella sezione successiva (D). Ripartisco i problemi in quattro categorie: quelli di ordine concettuale, che erano presenti e intrinsechi alla sentenza CILFIT fin dall’inizio (1); quelli relativi alla fattibilità dei criteri CILFIT (2); quelli concernenti l’incongruenza sistemica dei criteri CILFIT rispetto ad altri tipi di procedimenti e di mezzi di ricorso nel diritto dell’Unione (3); e infine quelli che sono sorti successivamente a causa della successiva evoluzione del diritto dell’Unione e del sistema giudiziario dell’Unione (4).

1.      Ordine concettuale

89.      Esistono parecchie carenze nel modello e progetto originale CILFIT. È questo il motivo per cui i criteri CILFIT sono stati problematici fin dal principio da un punto di vista concettuale.

90.      Anzitutto, esiste ciò che io definirei la «discordanza Hoffmann‑Laroche – CILFIT». Detto in termini semplici, la logica delle eccezioni CILFIT non corrisponde alla natura dell’obbligo di rinvio pregiudiziale Hoffmann‑Laroche.

91.      Fin dalla sentenza Hoffmann‑Laroche, nel 1977, la Corte ha continuato ad insistere sul fatto che lo scopo dell’obbligo di rinvio pregiudiziale è di impedire che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza che si discosti da quella di altri Stati membri nonché da quella della Corte (67). La logica alla base di tale obbligo di rinvio è chiaramente strutturale e imperniata su un’interpretazione uniforme in tutta l’Unione europea. Il suo punto di partenza e la sua natura appaiono oggettivi, concentrandosi sulla giurisprudenza in generale, non semplicemente sul caso di specie dinanzi al giudice del rinvio: non devono esserci divergenze nella giurisprudenza nazionale («la jurisprudence», «die Rechtsprechung» o «rechtspraak» come appariva nelle altre lingue ufficiali all’epoca) (68).

92.      Tuttavia, circa cinque anni più tardi, quando sono state enunciate le eccezioni a tale obbligo nella sentenza CILFIT, la logica che guida tali eccezioni si è concentrata principalmente sul singolo caso e sulle perplessità giudiziarie soggettive in tale caso di specie. L’unica vera eccezione che tiene conto di considerazioni strutturali o sistemiche, la quale chiede al giudice nazionale di guardare al di là del singolo fascicolo, è l’eccezione relativa all’acte éclairé: l’esistenza di un precedente. Per contro, la prima eccezione (conferma della pertinenza della questione) riguarda esclusivamente il caso di specie. Soprattutto, l’eccezione dell’acte clair è concepita come una strana combinazione di elementi relativi al caso di specie, alcuni dei quali sono oggettivi e generali, ma che per la maggior parte sono soggettivi.

93.      A mio avviso, è lì che sta il vero problema. Ci si attenderebbe, di norma, che le eccezioni a un obbligo riflettano la logica e la finalità complessive di tale obbligo. In un certo senso, esse dovrebbero rappresentare l’altra faccia della stessa proverbiale medaglia. Tuttavia, le eccezioni sono in realtà separate dall’obbligo che esse dovrebbero determinare. Infatti, sebbene la sentenza CILFIT abbia affermato che intendeva seguire gli obiettivi della sentenza Hoffmann‑Laroche (69), ha interpretato tuttavia le eccezioni in base a una logica molto diversa.

94.      In secondo luogo, e per inciso, la genealogia della terza eccezione (acte clair) sembra confermare i dubbi relativi all’adeguatezza sistemica di tale trapianto giuridico distinto. Nella sentenza CILFIT la Corte ha considerato, in sostanza, l’argomento del convenuto – e, apparentemente, anche del giudice del rinvio – e l’ha fatto proprio: l’interpretazione del regolamento in questione era «tale da escludere la possibilità di ipotizzare un dubbio d’interpretazione, [escludendo così] l’esigenza di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia» (70). Nella sua sentenza la Corte ha ampiamente sottoscritto tale approccio, pur qualificandolo leggermente mediante l’aggiunta dell’aggettivo «ragionevole» per caratterizzare il tipo di dubbio interpretativo.

95.      Il fatto che tale eccezione sia sorta nel contesto di una particolare controversia non è di per sé problematico. L’elemento più discutibile è la trapiantabilità di quella che era una dottrina tipicamente francese, elaborata in un contesto assai diverso per un fine diverso, in un procedimento sui generis di tipo comunitario (71). Ciò che è divenuto noto come la «teoria dell’acte clair» era applicato nel diritto francese in contesti diversi, in particolare in cause che implicavano l’interpretazione di trattati. Mentre, in linea di principio, spettava unicamente al Ministero degli Affari esteri interpretare i trattati (ai giudici nazionali era semplicemente affidato il compito di applicare tale interpretazione al caso di specie), i giudici francesi si basavano su tale teoria per rafforzare i poteri interpretativi dei giudici a scapito di quelli dell’esecutivo (72). Dal 1964, il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) iniziò ad applicare la teoria, nel contesto dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, al fine di qualificarlo a proprio vantaggio (73). Con l’intento, presumibilmente, di porre sotto controllo l’uso nazionale della prassi dell’acte clair, la Corte l’ha fatto proprio e ha trapiantato nell’ordinamento giuridico dell’Unione un dispositivo avente una funzione assai diversa nel proprio sistema d’origine.

96.      In terzo luogo, quand’anche dovessimo credere che tali trapianti giuridici transfunzionali siano effettivamente possibili senza compromettere la salute del paziente (che li riceve), resta il fatto che ciò che era stato trapiantato nell’ordinamento giuridico (dell’allora Comunità) aveva semplicemente una funzione diversa. Le eccezioni di cui alla sentenza CILFIT, in particolare l’eccezione dell’acte clair, sono rimaste incentrate sulla mancanza di ogni ragionevole dubbio circa l’esito di una singola causa. Il linguaggio rimaneva quello della corretta interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione nel caso di specie.

97.      Tuttavia, l’obbligo di controllare la corretta applicazione della legge in ogni singolo caso è un compito assai arduo. Tale ideale è assai difficile da raggiungere persino nei sistemi nazionali che sono per natura gerarchici, in quanto basati su un ampio controllo individuale della correttezza delle singole decisioni, e nell’ambito dei quali i giudici di grado superiore riesaminano ogni anno migliaia o piuttosto decine di migliaia di decisioni. Tuttavia, tale logica ideale e sistemica è estranea a sistemi di governance giudiziaria più coordinati, che si basano ampiamente sulla forza dei precedenti e nell’ambito dei quali un singolo precedente può avere peso (74). A mio avviso, si potrebbe discutere su quanto l’attuale sistema giudiziario di diritto dell’Unione sia simile a quest’ultimo coordinato ideale. Tuttavia, esso è, certamente, ben lontano dal primo, il modello gerarchico.

98.      Infine, le eccezioni CILFIT all’obbligo di rinvio pregiudiziale tendono a rendere sfumata la linea di demarcazione tra interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione, che sottolinea la corretta ripartizione dei compiti ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Se, affinché scatti un’eccezione all’obbligo di rinvio pregiudiziale, ciò che deve essere accertato è che non sussista alcun ragionevole dubbio riguardo alla corretta applicazione del diritto dell’Unione in un caso di specie, dove si trova allora, quantomeno approssimativamente, il confine tra i compiti della Corte e quello dei giudici nazionali?

2.      Fattibilità

99.      Non è necessario riaprire il dibattito sulla questione se i criteri CILFIT, in particolare quelli relativi all’inesistenza di ogni ragionevole dubbio riguardo alla corretta interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione in un caso concreto (l’eccezione dell’acte clair), equivalgano a una checklist o siano semplicemente un kit di strumenti. Il fatto è che tali criteri non funzionano in nessuno dei casi. Se costituiscono una checklist, è impossibile completarla. Se costituiscono un kit di strumenti, il problema diviene intrinsecamente un problema di selettività quanto allo strumento che dovrebbe essere utilizzato nel singolo caso. Quest’ultimo problema poi diviene ovviamente serio in fase di potenziale controllo del rispetto dell’obbligo di rinvio pregiudiziale: in mancanza di criteri chiari, come potrebbe mai essere controllato il rispetto di tale obbligo senza che ciò sia arbitrario?

100. Diversi avvocati generali hanno commentato, in passato, riguardo alla mancanza di fattibilità dei criteri. Inoltre, è altrettanto interessante la mancata applicazione di tali criteri da parte dei giudici nazionali e della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), compresi i giudici che controllano il rispetto dell’obbligo di rinvio pregiudiziale.

101. In primo luogo, a partire dalle note perplessità dell’avvocato generale Jacobs per quanto riguarda taluni indumenti femminili e la loro classificazione come pigiami a fini doganali, diversi dei miei dotti predecessori hanno criticato le difficoltà pratiche associate all’eccezione dell’acte clair. Nella causa Wiener l’avvocato generale Jacobs ha respinto la tesi secondo cui «la sentenza CILFIT richied[e] ai giudici nazionali di esaminare tutte le disposizioni comunitarie in ognuna delle diverse versioni linguistiche (...). Questo implicherebbe in molti casi uno sforzo sproporzionato da parte dei giudici nazionali», rilevando che sarebbe alquanto strano imporre ai giudici nazionali di ricorrere a un metodo «che sembra essere applicato molto di rado dalla stessa Corte di giustizia» (75). Egli ha altresì sottolineato che, «[s]e la sentenza CILFIT si dovesse applicare rigorosamente, qualunque questione di diritto comunitario (...) dovrebbe essere deferita da tutti i giudici di ultima istanza» (76).

102. Nelle sue conclusioni nella causa Intermodal Transports l’avvocato generale Stix‑Hackl ha sostenuto che richiedere ai giudici nazionali di esaminare una disposizione dell’allora diritto comunitario in ciascuna delle lingue ufficiali della Comunità «imporrebbe ai giudici nazionali un onere praticamente insostenibile» (77). A suo avviso, i criteri CILFIT non possono essere utilizzati come «una specie di orientamento (...) da applicarsi schematicamente» (78). Nelle sue conclusioni nella causa Gaston Schul l’avvocato generale Ruiz‑Jarabo ha sottolineato la necessità di riconsiderare la sentenza CILFIT nella sua totalità, osservando che «il criterio proposto era già impraticabile al momento della sua formulazione, ma nella realtà del 2005 risulta del tutto irragionevole» (79). Nelle sue conclusioni nella causa X e van Dijk l’avvocato generale Wahl ha cercato di sottolineare l’importanza del potere discrezionale intrinseco di cui i giudici nazionali di ultima istanza devono disporre nel valutare se sia sorto l’obbligo di rinvio pregiudiziale, suggerendo che i criteri CILFIT dovrebbero essere considerati come un kit di strumenti e concludendo che «se un giudice nazionale di ultimo grado è sufficientemente certo della sua interpretazione da assumersi la responsabilità (ed eventualmente anche la colpa) di definire una questione attinente al diritto dell’Unione senza l’aiuto della Corte, questi dovrebbe essere legalmente legittimato a farlo» (80).

103. Non ritengo che sia necessario ribadire gli argomenti già sviluppati in modo così eloquente dagli avvocati generali sopra citati, né dimostrare come e perché i criteri CILFIT, se presi alla lettera uno per uno, sono totalmente inapplicabili. Infatti, come affermato in modo pertinente e arguto dall’avvocato generale Wahl «incontrare un “vero” caso di acte clair sarebbe probabile, nella migliore delle ipotesi, quanto l’incontro con un unicorno» (81).

104. Detto in termini semplici, i criteri CILFIT relativi all’individuazione dell’eccezione dell’acte clair sono inevitabilmente afflitti dal problema concettuale già evidenziato (82). Da un lato, esiste una buona dose di soggettivismo non accertabile e quindi non riesaminabile: i giudici nazionali devono «maturare il convincimento» che la stessa evidenza non solo «si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia» ma sarebbe anche «necessaria per risolvere la controversia», e devono avere un «ragionevole dubbio» soggettivo. D’altro lato, gli elementi enunciati in termini oggettivi sono semplicemente irrealizzabili, almeno per i giudici nazionali comuni mortali che non possiedono le qualità, il tempo e le risorse del giudice Ercole descritto da Dworkin [confrontare (tutte) le versioni linguistiche, interpretare ogni disposizione del diritto dell’Unione alla luce del diritto dell’Unione nel suo insieme, essendo perfettamente a conoscenza, al contempo, del suo stato di evoluzione alla data in cui tale disposizione viene interpretata].

105. In secondo luogo, e in un certo senso comprensibilmente alla luce del paragrafo precedente, i criteri CILFIT relativi all’«acte clair» non sono pressoché applicati in modo coerente e sistematico dai giudici nazionali di ultima istanza in sede di esame della terza eccezione all’obbligo di rinvio pregiudiziale (83). Esistono certamente casi in cui i giudici nazionali di ultima istanza fanno riferimento alla sentenza CILFIT. Tuttavia, ciò non significa che i criteri enunciati in tale sentenza, in particolare i requisiti specifici relativi all’esistenza dell’acte clair, siano in effetti applicati come tali (84). Esistono esempi in cui i giudici nazionali sostituiscono i criteri CILFIT con criteri e principi propri. Ad esempio, i giudici supremi francesi dichiarano spesso che l’obbligo di rinvio pregiudiziale sorge ove sussista una «grave difficoltà» nell’interpretare il diritto dell’Unione, rendendo così l’obbligo di rinvio pregiudiziale più flessibile rispetto a quanto risulta dalla lettera e dallo spirito della sentenza CILFIT (85). Analogamente, altri organi giurisdizionali supremi si sono concentrati anche sulla natura della questione sollevata, indipendentemente dall’esistenza di dubbi interpretativi, quale fondamento dell’obbligo di rinvio pregiudiziale (86).

106. In terzo luogo, esistono alcuni Stati membri in cui la conformità all’obbligo di rinvio pregiudiziale viene controllata dai giudici costituzionali mediante un ricorso costituzionale individuale, in cui si invoca il diritto a un giudice precostituito per legge o a un equo processo (87). Tuttavia, in tali sistemi, il criterio generale adottato è, in effetti, assai meno rigoroso di quello della sentenza CILFIT, in quanto ruota intorno alle nozioni di interpretazione ovviamente insostenibile o arbitraria del diritto dell’Unione, spesso combinate con l’obbligo di giustificare adeguatamente la ragione per cui un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia non era necessario (88).

107. Si potrebbe suggerire che i giudici costituzionali nazionali esaminino l’obbligo di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE conformemente ai loro principi e alle loro nozioni nazionali di costituzionalità e di tutela dei diritti fondamentali. Ciò vale certamente per quanto riguarda la questione se l’individuazione del diritto nazionale pertinente in quanto tale (diritto a un giudice precostituito per legge, o a un equo processo, o all’osservanza delle procedure previste dalla legge, o altro) sia garantita nell’ordinamento giuridico nazionale. Il discorso è diverso per il criterio interno, vale a dire le condizioni concrete alle quali una domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere proposta. Su quest’ultimo punto, si può supporre che le norme costituzionali nazionali tacciano al riguardo. Tuttavia, quando si tratta dell’effettivo controllo del rispetto dell’obbligo, nessuno dei giudici costituzionali nazionali sembra, in effetti, aver accolto la sentenza CILFIT.

108. In quarto luogo, la Corte EDU invoca i criteri CILFIT quando riesamina la mancata presentazione alla Corte, da parte dei giudici nazionali di ultima istanza, di una domanda di pronuncia pregiudiziale a titolo di diritto a un equo processo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU»). La Corte EDU ha constatato, ad esempio, una violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU nella causa Dhahbi c. Italia dovuta alla mancanza di motivazione, da parte del giudice nazionale, del rifiuto di sottoporre una questione alla Corte. Essa ha rilevato che la Corte di cassazione italiana non aveva fatto alcun riferimento alla richiesta del ricorrente di presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale, né aveva spiegato le ragioni per cui aveva considerato che la questione sollevata non giustificasse un rinvio alla Corte, né aveva fatto alcun riferimento alla sua giurisprudenza (89). Tuttavia, in altra sede, la Corte EDU ha considerato che una motivazione sommaria del rifiuto di una richiesta di presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale fosse sufficiente nel caso in cui il giudice nazionale avesse già concluso, in un’altra parte della sua sentenza, che tale domanda era superflua (90). La Corte EDU ha altresì dichiarato che un giudice nazionale di ultima istanza, quando rifiuta o omette di sottoporre una questione pregiudiziale, è tenuto a motivare tale rifiuto alla luce delle eccezioni previste dalla giurisprudenza della Corte. Esso deve indicare, in particolare, le ragioni per cui considera la questione irrilevante, se la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata interpretata dalla Corte, o se la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio (91).

109. In generale, sebbene il riesame svolto dalla Corte EDU si riferisca alla decisione CILFIT, esso resta incentrato sulla motivazione sottesa a una decisione nazionale di non procedere a un rinvio pregiudiziale. Pertanto, senza soffermarsi molto sul merito, e certamente non in termini di un esame dettagliato dell’elemento del «nessun ragionevole dubbio», che è effettivamente richiesto dalla sentenza CILFIT, la Corte EDU verifica se i giudici nazionali di ultima istanza abbiano debitamente esposto le ragioni per cui ritengono che i criteri CILFIT siano stati soddisfatti, senza esaminare nel merito se ciò si verifichi effettivamente.

110. In sintesi, la mancanza di qualsiasi orientamento ragionevole riguardo alla logica o all’applicazione dei criteri CILFIT non soltanto è rispecchiata nelle critiche (sorprendentemente uniformi) espresse dai precedenti avvocati generali nel corso degli anni. Lo stesso aspetto emerge anche dal semplice fatto che, tra coloro che hanno il compito di applicare tale obbligo, e in particolare coloro che effettuano concretamente il controllo del suo rispetto, nessuno sembra seguire gli orientamenti della Corte. Ciò avviene, a mio avviso, non perché essi tentano, in qualche modo, di ignorare la Corte. Si tratta piuttosto di un meccanismo naturale di autoconservazione. Impossibilium nulla est obligatio.

3.      Coerenza sistemica dei mezzi di ricorso di diritto dellUnione

111. Esiste un altro argomento concernente le ragioni per cui è necessario riconsiderare la sentenza CILFIT: la coerenza sistemica e orizzontale dei mezzi di ricorso di diritto dell’Unione. In breve, i criteri CILFIT sono stranamente avulsi anche rispetto ai mezzi propri del diritto dell’Unione volti a far rispettare l’obbligo di rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE.

112. È certo che, attualmente, non esiste alcuno specifico mezzo di ricorso di diritto dell’Unione, esperibile dalle parti, del quale esse potrebbero avvalersi se ritenessero violato il loro diritto di far sottoporre una questione alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE (92). Questa è la logica conseguenza dell’insistenza della Corte sul fatto che le parti del procedimento principale non hanno il diritto automatico di far presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto l’articolo 267 TFUE non costituisce un mezzo di ricorso esperibile dalle parti di una causa pendente dinanzi a un giudice nazionale (93). Alla luce della giurisprudenza costituzionale nazionale (ora) consolidata (94), nonché della giurisprudenza della Corte EDU (95), secondo cui, se i criteri (oggettivi) per l’esistenza di un obbligo di rinvio pregiudiziale sono soddisfatti, le parti di tali procedimenti hanno il diritto (soggettivo) di far rinviare la loro causa alla Corte, il quale è inerente al loro diritto a un equo processo, si può tuttavia ritenere che forse questo non sia l’unico approccio possibile (96).

113. Poiché non esiste alcun mezzo di ricorso «diretto», la possibilità di far rispettare l’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE potrebbe, eventualmente, costituire una questione di responsabilità statale o di ricorso per inadempimento. Tuttavia, è proprio questo il punto in cui le questioni si complicano.

114. Da un lato, a partire dalla sentenza Köbler, esiste la possibilità di ottenere dinanzi ai giudici nazionali la riparazione del danno originato dalla violazione dei diritti dei singoli in seguito a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (97). Affinché tale ricorso abbia esito positivo, la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione deve essere sufficientemente qualificata e deve esistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi. La responsabilità dello Stato per danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni (98).

115. Sussistono tuttavia due problemi. In primo luogo, poiché l’articolo 267, terzo comma, TFUE non è una norma «preordinata a conferire diritti ai singoli», l’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale non può, di per sé, far sorgere la responsabilità dello Stato. In secondo luogo, indipendentemente da tale circostanza, i criteri CILFIT non svolgono alcun ruolo nella valutazione dell’esistenza o meno di una violazione di altre norme di diritto dell’Unione (99), quantomeno in termini oggettivi. Il criterio di valutazione in tali situazioni è la violazione manifesta del diritto applicabile che può condurre a una violazione sufficientemente grave (100).

116. D’altro lato, esiste il procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE. Ciò che, per diversi anni, era possibile solo in teoria (101), è stato pienamente attuato nel 2018. Nella sentenza Commissione/Francia (102), la Corte ha constatato, nel dispositivo della sentenza, che uno Stato membro violava il diritto dell’Unione specificamente per il fatto che un giudice di ultima istanza aveva omesso di procedere a un (singolo) rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia al fine di adempiere al proprio obbligo di rinvio, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, in una situazione in cui l’interpretazione delle disposizioni sostanziali di diritto dell’Unione in questione non si imponeva con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio.

117. Per giungere a tale conclusione, la Corte si è basata sulla sentenza CILFIT (103), o quantomeno sul suo requisito generale dell’inesistenza di ogni ragionevole dubbio. La Corte ha rilevato anzitutto che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) aveva scelto di discostarsi da una precedente sentenza della Corte riguardante la normativa del Regno Unito per il motivo che il regime britannico in questione era diverso dal regime francese, «benché esso non potesse avere la certezza che il suo ragionamento si sarebbe imposto con la stessa evidenza alla Corte» (104). La Corte ha poi dichiarato che il mancato rinvio pregiudiziale, da parte del Conseil d’État (Consiglio di Stato), in due delle sue sentenze «ha portato quest’ultimo ad adottare, in dette sentenze, una soluzione basata su un’interpretazione delle disposizioni degli articoli 49 e 63 TFUE in contrasto con quella accolta nella presente sentenza, il che implica che l’esistenza di un dubbio ragionevole in merito a tale interpretazione non poteva essere esclus[a] nel momento in cui il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha statuito» (105).

118. Esistono tre elementi degni di nota che riguardano quest’ultima sentenza. In primo luogo, in tali procedimenti per inadempimento, spettava indubbiamente alla Corte stessa applicare la sentenza CILFIT. Tuttavia, in tale sentenza, la Corte si è limitata a dichiarare semplicemente che il criterio generale era enunciato nella sentenza CILFIT, senza riesaminare alcun criterio specifico o applicarlo. Vi è una cospicua assenza di discussione non solo di sentenze potenzialmente contraddittorie in materia provenienti dai giudici di ultima istanza di altri Stati membri, o perfino di altri giudici francesi, ma anche della giurisprudenza anteriore della Corte stessa in materia, eccettuato un precedente.

119. In secondo luogo, tale effettiva affermazione della giurisprudenza «CILFIT più rigorosa», almeno per quanto riguarda il suo spirito, si concilia con una certa difficoltà con la più recente giurisprudenza della Corte nella stessa materia, come rappresentata, in particolare, dalle sentenze X e van Dijk e Ferreira Da Silva e Brito discusse supra (106). Mentre un tocco leggero sembrava essere la nuova regola, in particolare nella sentenza X e van Dijk, tale tocco leggero si è trasformato improvvisamente, ancora una volta, in una salda presa.

120. In terzo luogo, tutto ciò può lasciare taluni operatori con un certo retrogusto amaro sotto forma di una selettività difficilmente difendibile riguardo a che cosa viene effettivamente applicato ed eseguito, nonché riguardo al perché e al come tale applicazione ed esecuzione ha luogo. Ciò non implica affatto che la Commissione non disponga, come afferma in effetti una giurisprudenza costante, di una totale discrezionalità nel decidere se proporre un ricorso ai sensi dell’articolo 258 TFUE (107). E non è inteso neppure a contestare l’esito della sentenza Commissione/Francia: certamente, se la sentenza CILFIT deve ormai essere presa seriamente in considerazione, sussisteva effettivamente un ragionevole dubbio quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nella sentenza Commissione/Francia (108).

121. Il punto è un altro: l’assenza totale di coerenza (orizzontale) nel sanzionare l’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi del terzo paragrafo dell’articolo 267 TFUE come questione di diritto dell’Unione. La giurisprudenza stessa della Corte relativa alla portata di tale obbligo, certamente la giurisprudenza più recente, non sembra essere in linea con il controllo dell’osservanza di tale obbligo ai sensi dell’articolo 258 TFUE, recentemente (ri)scoperto, e del tutto scollegato dalla responsabilità statale. Tuttavia, non dovrebbero essere questi aspetti di un unico obbligo di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE?

4.      Levoluzione del diritto dellUnione e del sistema giudiziario

122. Non ritengo che sia necessario soffermarsi ad esaminare nei dettagli ciò che è ovvio: quanto è cambiata l’Unione europea negli ultimi 40 anni. Con un’unica recente eccezione, le adesioni sono aumentate di continuo. Allo stesso modo è aumentato anche il numero delle lingue ufficiali e il numero dei giudici che possono adire la Corte di giustizia. Attualmente, sono semplicemente senza precedenti l’ambito di applicazione e l’ampiezza del diritto dell’Unione stesso. A seguito del completamento del mercato interno e di non meno di cinque modifiche successive dei Trattati, è divenuto arduo trovare un settore al quale non sia applicabile la normativa dell’Unione o in cui non sia necessaria l’assistenza interpretativa della Corte. Tali elementi conducono alla presentazione di un numero impressionante di nuove domande di pronuncia pregiudiziale, mentre le risorse giudiziarie della Corte non sono illimitate.

123. Tuttavia, nel mezzo di questo panorama giuridico ampiamente modificato si trova l’immobile Titano di un’epoca da lungo tempo passata – la giurisprudenza CILFIT – che insiste sul fatto che i giudici di ultima istanza debbano effettuare rinvii pregiudiziali in tutti i casi in cui esista una qualche forma di ragionevole dubbio. Non ritengo necessario passare in rassegna, una per una, tutte le modifiche sistemiche per dimostrare in che modo esse alterino la configurazione a monte della logica della sentenza CILFIT (109). Preferisco invece menzionare, in conclusione, un’altra, più significativa questione.

124. Poiché il contesto è cambiato e il sistema è maturato, anche la natura del procedimento pregiudiziale si è evoluta. Un procedimento inizialmente concepito come una procedura di collaborazione e di cooperazione giudiziaria tra pari si è sviluppata progressivamente, e alquanto inevitabilmente, in una procedura che pone maggiormente l’accento sulla costruzione del precedente ai fini dell’uniformità sistemica. È vero che permangono i termini di «assistenza» e «collaborazione», ma gli osservatori del sistema di più lunga data e più attenti hanno notato l’inserimento graduale di diversi elementi verticali.

125. Ciò pone maggiormente l’accento sulla finalità di ampio respiro (o pubblica) della pronuncia della Corte come forma di garanzia dell’interpretazione uniforme e dell’ulteriore sviluppo del diritto. È vero che sussiste sempre, e sempre sussisterà, il singolo caso e la dimensione più contenuta (o privata) di una controversia. Tuttavia, sempre più l’attenzione si sposta al di là del fascicolo specifico, a fortiori nell’ambito di un procedimento come il procedimento pregiudiziale, in cui spetta al giudice del rinvio definire i fatti e il caso di specie.

126. Per tracciare un altro parallelo sistemico: l’articolo 58 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, inserito di recente, ha stabilito un meccanismo di filtraggio, in taluni settori, per l’impugnazione dinanzi alla Corte di pronunce del Tribunale. Un’impugnazione di questo tipo non procede a un esame nel merito salvo che la Corte decida che debba essere ammessa in quanto solleva «una questione importante per l’unità, la coerenza o lo sviluppo del diritto dell’Unione» (110). Se considerazioni del genere sono valide per quanto riguarda i ricorsi diretti, nei quali solo la Corte di giustizia dell’Unione europea è il giudice competente in via esclusiva, e quindi la controversia dinanzi a entrambi gli organi giurisdizionali dell’Unione è principalmente una questione di definizione del singolo caso, la stessa logica non dovrebbe essere a fortiori applicabile alle pronunce pregiudiziali?

127. Infine, la maturazione di un sistema giudiziario implica altresì una maturazione dei suoi elementi costitutivi. Al giorno d’oggi, i giudici nazionali hanno una maggiore dimestichezza con il diritto dell’Unione in generale e con il procedimento pregiudiziale in particolare. Esistono, e esisteranno sempre, singole eccezioni. Tuttavia, un potenziale albero (riluttante) non dovrebbe essere autorizzato a mettere in ombra la foresta (acquiescente). I giudici nazionali di ultima istanza, in particolare quelli incaricati strutturalmente di garantire l’unità e l’applicazione uniforme del diritto nei rispettivi ordinamenti, sono stati partner privilegiati della Corte nell’individuazione di cause di importanza strutturale per l’ordinamento giuridico dell’Unione. La fiducia reciproca (spesso più asserita che reale) non dovrebbe essere rilevante anche in senso verticale?

128. Il fatto che i giudici nazionali di ultima istanza siano in grado di gestire il procedimento pregiudiziale è attualmente, a mio avviso, dimostrato in modo piuttosto non ortodosso: essi non seguono la sentenza CILFIT. Per quanto possa sembrare eretico, esercitando un’autolimitazione e una discrezionalità incompatibili con i criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza CILFIT, i giudici nazionali di ultima istanza stanno dimostrando in realtà un’ottima comprensione della vera natura del sistema. Si può solo immaginare l’ipotesi contraria, in cui (alcuni dei) giudici nazionali di ultima istanza dovessero far proprio l’approccio del buon soldato Švejk (111) e dovessero effettivamente applicare la sentenza CILFIT alla lettera in tutte le cause di cui siano investiti. Al numero di ruolo annuale della Corte verrebbero improvvisamente aggiunti diversi zeri e il sistema collasserebbe entro un breve periodo di tempo.

5.      Sintesi intermedia

129. Non solo la giurisprudenza CILFIT è stata problematica in termini di fattibilità, ma soprattutto (o prima di ciò) è stata concettualizzata in modo errato. La natura delle eccezioni di cui alla sentenza CILFIT non corrisponde alla natura dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, di cui alla sentenza Hoffmann‑Laroche, che essa avrebbe dovuto attuare. Un obbligo stabilito al fine di garantire l’interpretazione uniforme della giurisprudenza in tutta l’Unione non può essere subordinato alla mancanza di dubbi soggettivi quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nel caso di specie.

130. Tutte le altre questioni descritte nella presente sezione sono in parte conseguenza di tale discordanza concettuale, pur aggiungendo problemi propri. I criteri CILFIT non sono quindi applicati né dalla Corte stessa, né dai giudici nazionali, compresi i giudici nazionali o internazionali che controllano concretamente la loro osservanza. I criteri CILFIT restano altresì avulsi dagli altri metodi, di diritto dell’Unione, volti a far rispettare l’obbligo di rinvio pregiudiziale che incombe ai giudici di ultima istanza. Tali considerazioni, in un certo senso, non sorprendono: poiché la sentenza CILFIT (nel suo stato attuale) non può essere ragionevolmente applicata, devono essere introdotti altri criteri.

D.      La proposta

131. A mio avviso, la Corte dovrebbe, dapprima, riaffermare la finalità e la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale previsto all’articolo 267, terzo comma, TFUE, quale già stabilito nella sentenza Hoffmann‑Laroche. Successivamente, tuttavia, la giurisprudenza CILFIT deve essere riconsiderata affinché le eventuali eccezioni siano conformi a tale obbligo.

132. Nella sentenza Hoffmann‑Laroche si dichiarava che il fine dell’obbligo di sottoporre un rinvio pregiudiziale è quello di «impedire che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme [di diritto dell’Unione]» (112). Seguendo tale logica, possono essere individuati tre punti. In primo luogo, ciò che si otterrà è l’interpretazione uniforme, non l’applicazione corretta. In secondo luogo, l’aspetto centrale verte su «una giurisprudenza» e non sulla correttezza dell’esito in ogni singolo caso. In terzo luogo, ciò riguarda divergenze giurisprudenziali all’interno di uno degli Stati membri e naturalmente, a fortiori, in tutta l’Unione europea. Logicamente, devono essere evitati entrambi i tipi di divergenza: dal punto di vista della coerenza sistemica del diritto dell’Unione, se uno Stato membro o parti di esso, o persino un sistema giurisdizionale all’interno di tale Stato membro, dovesse funzionare secondo regole diverse da quelle applicate altrove nell’Unione europea, non vi sarebbe un’interpretazione uniforme all’interno di quest’ultima.

133. In altri termini, deve cambiare l’enfasi riguardo all’obbligo di rinvio pregiudiziale, passando dall’inesistenza di un ragionevole dubbio soggettivo quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione riguardo a una specifica controversia all’esistenza di una divergenza oggettiva individuata nella giurisprudenza a livello nazionale, che pone quindi in pericolo l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione all’interno dell’Unione europea. In tal modo, l’enfasi si sposta anche dalla definizione della risposta corretta nella causa dinanzi al giudice nazionale all’individuazione della giusta tipologia di questioni.

134. Seguendo tale logica, mi sembra che, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, un organo giurisdizionale di uno Stato membro, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, deve effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte purché la causa sollevi (i) una questione generale di interpretazione del diritto dell’Unione (anziché una questione relativa alla sua applicazione); (ii) su cui esistono oggettivamente più interpretazioni ragionevolmente possibili; (iii) per la quale la risposta non può essere dedotta dalla giurisprudenza esistente della Corte (o riguardo alla quale il giudice del rinvio intende discostarsi da tale giurisprudenza).

135. Così definito, l’obbligo di rinvio pregiudiziale contiene già, in sé, le proprie eccezioni. L’applicazione della potenziale eccezione (o delle potenziali eccezioni) all’obbligo di rinvio pregiudiziale scatterà solo se non è soddisfatta una delle tre condizioni cumulative affinché sussista una questione di interpretazione del diritto dell’Unione soggetta all’obbligo di rinvio pregiudiziale. Tuttavia, qualora un giudice nazionale di ultima istanza, pur se confrontato a una questione di interpretazione del diritto dell’Unione nel procedimento principale, dovesse ritenere che una delle tre condizioni non sia soddisfatta, tale giudice è tenuto a individuare chiaramente quale delle tre condizioni non sia soddisfatta e a indicare le ragioni per le quali ritiene che ciò si verifichi.

136. Prima di esaminare queste tre condizioni in modo più dettagliato, desidero segnalare due elementi importanti.

137. In primo luogo, il fatto che non esista un obbligo di rinvio pregiudiziale in una determinata causa ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE non osta certamente a che un giudice di ultima istanza chieda assistenza alla Corte ai sensi dell’articolo 267, secondo comma, TFUE qualora lo dovesse ritenere necessario per risolvere la singola controversia di cui è investito. La mancanza di un obbligo di fare qualcosa non esclude la possibilità di fare tale cosa. Un caso che può non rientrare nell’ambito di applicazione dell’obbligo di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE può essere sempre sussunto nel secondo comma: «una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale» è in ogni caso e rimane «una giurisdizione di uno degli Stati membri». La prima è una sottocategoria logica della seconda.

138. In secondo luogo, si potrebbe ancora ribadire che tutto ciò che è stato già affermato e tutto ciò che segue riguarda esclusivamente le questioni pregiudiziali di interpretazione. L’obbligo di rinvio pregiudiziale vertente sulla validità di un atto dell’Unione rimane soggetto a un obbligo rigoroso di rinvio, senza eccezioni (113).

1.      Una questione generale o generalizzabile di interpretazione del diritto dellUnione

139. Tale condizione è ovvia a prima vista. Infatti, si potrebbe anche suggerire che ciò è sempre stato l’oggetto del procedimento pregiudiziale. La realtà è comunque un po’ più variegata. L’insistenza occasionale della Corte sull’inesistenza di un ragionevole dubbio quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nella causa di cui è investito il giudice di ultima istanza ha indotto vari giudici a sottoporre alla Corte anche questioni fattuali e piuttosto precise. Tre esempi possono illustrare tale fenomeno.

140. In primo luogo, in precedenza la Corte ha fornito un’interpretazione della nozione di «circostanze eccezionali», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 261/2004 (114) in una prima fase, iniziando con la sentenza Wallentin‑Hermann, in cui la Corte ha dichiarato che la nozione di «circostanze eccezionali» si riferisce a «un evento che (...) non è inerente al normale esercizio dell’attività del vettore aereo in questione e sfugge al suo effettivo controllo» (115). È certamente probabile che ci sarà una serie di ulteriori cause a conferma e chiarimento dell’esatta portata di tale definizione. Tuttavia, davvero tutte le nuove fattispecie di fatto – in ciascuna delle quali ci si limita a chiedere ancora una volta se un insieme particolare di fatti (premissa minor) possa essere sussunto o meno nell’ambito della definizione interpretativa già prevista dal diritto dell’Unione (premissa maior) – costituiscono esempi di interpretazione del diritto dell’Unione? In una serie di cause successive la Corte è stata invitata a classificare come «circostanze eccezionali»: la collisione tra un aeromobile e un volatile (116); la chiusura di una parte dello spazio aereo europeo a seguito dell’eruzione di un vulcano islandese (117); il comportamento molesto di un passeggero che ha fatto sì che il pilota dirottasse il volo «salvo qualora il vettore aereo operativo abbia contribuito al verificarsi di tale comportamento o abbia omesso di adottare le misure adeguate in considerazione dei segni precursori di un simile comportamento» (118); o il danneggiamento di uno pneumatico di un aeromobile dovuto a un oggetto estraneo, quale un residuo, presente sulla pista di un aeroporto (119).

141. In secondo luogo, analogamente, in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, la Corte ha emesso varie sentenze riguardanti la nozione di «circolazione dei veicoli» ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2009/103/CE (120). Secondo la Corte, in tale nozione rientra qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso (121), vale a dire qualsiasi uso di tale veicolo come mezzo di trasporto (122). Tuttavia, successivamente, la Corte è stata invitata a confermare se anche le seguenti situazioni di fatto si configurassero come «circolazione dei veicoli»: «la manovra di un trattore nel cortile di una casa colonica per immettere in un fienile il rimorchio di cui è munito» (123); «una situazione in cui un trattore agricolo è stato coinvolto in un incidente allorché la sua funzione principale, nel momento in cui si è verificato l’incidente, consisteva non nel servire da mezzo di trasporto ma nel generare, in quanto macchina da lavoro, la forza motrice necessaria per azionare la pompa di un polverizzatore d’erbicida» (124); «una situazione in cui il passeggero di un veicolo fermo in un parcheggio, nell’aprire la portiera del suddetto veicolo, ha urtato e danneggiato il veicolo parcheggiato accanto ad esso» (125); o una «situazione (...) nella quale un veicolo parcheggiato in un garage privato di un immobile, utilizzato in conformità della sua funzione di mezzo di trasporto, abbia preso fuoco, provocando un incendio avente origine nel circuito elettrico del veicolo stesso, e abbia causato dei danni a tale immobile, malgrado il fatto che detto veicolo non fosse stato spostato da più di 24 ore prima del verificarsi dell’incendio» (126).

142. In terzo luogo, si potrebbe trarre un esempio finale dalla nozione di «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88/CE (127). Secondo una giurisprudenza costante della Corte, il fattore determinante per la qualificazione come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, è costituito dal fatto che il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno. Tali obblighi, i quali rendono impossibile ai lavoratori interessati di scegliere il luogo in cui stare durante le ore di guardia, rientrano nell’esercizio delle loro funzioni (128). Tuttavia, a seguito di tale definizione generale, la Corte è stata nuovamente invitata a sussumere in effetti in tale definizione situazioni dettagliate sul piano fattuale, riguardanti varie forme di obblighi di guardia e di reperibilità di personale medico e di altro personale di emergenza. La Corte ha così dichiarato che il periodo di guardia costituisce un orario di lavoro se il lavoratore deve trovarsi nel centro sanitario (129); anche qualora all’interessato sia consentito riposare sul luogo di lavoro durante i periodi in cui non è richiesta la sua opera (130); oppure che la nozione di «orario di lavoro» dovrebbe applicarsi a «una situazione in cui un [vigile del fuoco] è costretto a passare il periodo di guardia nel suo domicilio, a tenersi a disposizione del datore di lavoro e a essere in grado di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti» (131).

143. È vero che, in tutti questi settori, la Corte ha indubbiamente fornito un’utile risposta ai giudici nazionali. Tuttavia, non posso che concordare nuovamente con l’avvocato generale Jacobs sul fatto che «soluzioni dettagliate a specifiche questioni non sempre promuovano [un’]applicazione uniforme. Siffatte soluzioni possono semplicemente dare origine ad altre questioni» (132).

144. Nelle mie recenti conclusioni nella causa Van Ameyde España, un’altra causa relativa all’assicurazione della responsabilità civile per gli autoveicoli, presentata dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), ho tentato di suggerire, in maniera più concreta, dove potrebbe trovarsi la linea (per definizione, piuttosto elusiva) di demarcazione tra l’interpretazione e l’applicazione del diritto dell’Unione. Non posso che citare tali conclusioni come un vero e proprio caso di studio (133). Ai fini della prima condizione su dove dovrebbe correttamente collocarsi l’obbligo di rinvio pregiudiziale, aggiungerei quanto segue.

145. L’obbligo di rinvio pregiudiziale dovrebbe sorgere ogni qual volta un giudice nazionale di ultima istanza si trovi di fronte ad una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, formulata a un livello di astrazione ragionevole e appropriato. Tale livello di astrazione è logicamente definito dalla portata e dallo scopo della norma giuridica di cui trattasi. Nel particolare contesto delle (indeterminate) nozioni giuridiche del diritto dell’Unione, la Corte ha il compito di fornire un’interpretazione di tale nozione. La sua applicazione, compresa la sussunzione di fatti specifici in tale definizione, è una questione di applicazione del diritto dell’Unione.

146. È vero che una semplice applicazione può rapidamente trasformarsi in interpretazione, sempre che, ad esempio, il giudice del rinvio inviti la Corte a limitare, ad ampliare, a qualificare la definizione già fornita o a discostarsene. Tuttavia, sempre che ciò sia quanto viene effettivamente richiesto, il giudice del rinvio dovrebbe indicare chiaramente tale elemento, spiegando specificamente il motivo per cui la causa rinviata è più di una semplice ulteriore conferma (e in tal senso un’applicazione) della premissa maior precedentemente affermata.

147. Inoltre, in tal senso e in tale prospettiva, l’interpretazione richiesta dovrebbe avere un impatto generale o generalizzabile. La questione interpretativa dovrebbe riguardare una questione generale, potenzialmente ricorrente, di interpretazione del diritto dell’Unione. Tengo a sottolineare che questo non è un criterio che attiene alla rilevanza o importanza giuridica della questione sollevata. Si tratta di un’altra questione, molto più semplice, per il giudice nazionale: la questione che sto affrontando in questo momento può sorgere nuovamente, o dinanzi a me, o dinanzi ai miei colleghi in altri Stati membri? Dovrei chiedere indicazioni alla Corte nell’interesse di un’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione?

148. Tale esercizio mentale non solo contribuisce alla formulazione della questione pregiudiziale a un livello di astrazione appropriato, in quanto costringe a individuare problemi generali e trasversali, ma concorre anche all’eliminazione di cause molto limitate, particolari o una tantum che, pur sollevando potenzialmente una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, sono semplicemente prive di incidenza generale e strutturale. In ogni caso, si può tranquillamente presumere che la maggior parte dei giudici nazionali di ultima istanza sia ben abituata a questo modo di ragionare, sebbene forse, principalmente, entro i limiti dei propri ordinamenti. Un analogo modo di ragionare e di riflettere dovrebbe essere semplicemente applicato al livello più ampio dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

149. In sintesi, non propongo certamente che ci disfiamo di un unicorno per sostituirlo immediatamente con un altro (134): l’idea che vi sia un confine netto tra la fine dell’interpretazione e l’inizio dell’applicazione e viceversa. Tuttavia, lo scopo dell’obbligo di rinvio pregiudiziale è quello di garantire l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, non l’applicazione corretta di tale diritto. Pertanto, l’uniformità ricercata non è e non è mai stata a livello di singolo esito di ciascun caso di specie, bensì a livello di norme giuridiche da applicare. Ciò, logicamente, significa che mentre esiste un ragionevole grado di uniformità delle norme giuridiche, può esistere una diversità in termini di esiti specifici.

2.      Più interpretazioni ragionevolmente possibili

150. È oggettivamente possibile interpretare una questione specifica di diritto dell’Unione in modi diversi? Un aspetto necessario di qualsiasi condizione per l’obbligo di rinvio pregiudiziale sarà sempre uno studio delle alternative. Ciò detto, contrariamente all’incertezza intrinsecamente interna e soggettiva, sotto forma di ragionevole dubbio quanto all’esito di un caso di specie, è l’esistenza di soluzioni alternative plausibili a porre simili considerazioni su un piano più esterno e obiettivo. Di qui il suggerimento di riportare l’attenzione da un semplice «non so» a «queste sono le alternative tra le quali devo scegliere».

151. Sottolineo l’importanza dell’aggettivo «possibile» o «plausibile». Non si suggerisce certamente che un giudice del rinvio sia tenuto a esporre le alternative integralmente, a ragionare su di esse, o addirittura a spiegare quale preferisce (135). Tuttavia, dovrebbe sussistere più di un semplice dubbio soggettivo, o perfino una mancanza di conoscenza, per giustificare un obbligo di rinvio pregiudiziale.

152. Nondimeno, quando esistono due o più interpretazioni potenziali, proposte dinanzi al giudice nazionale di ultima istanza, l’obbligo di rinvio pregiudiziale diviene rigoroso. Dopo tutto, è proprio per questa ragione che l’obbligo è stato inizialmente imposto: si applica quando «sul tavolo» vi è una scelta tra più opzioni disponibili. Le ipotesi che seguono sono particolarmente pertinenti per illustrare quando può verificarsi una situazione del genere.

153. In primo luogo, esistono esempi in cui interpretazioni diverse della stessa norma sono state adottate in decisioni definitive di giudici nazionali. Qualsiasi altro giudice di ultima istanza che sia investito della controversia vertente sullo stesso elemento del diritto dell’Unione e che individui una divergenza interpretativa della stessa norma, è tenuto a procedere a un rinvio pregiudiziale, al fine di chiarire quale fra gli orientamenti giurisprudenziali sia in realtà corretto. Non rileva se tale divergenza individuata sia interna allo stesso Stato membro o riguardi più Stati membri. Non comprendo, infatti, la logica secondo cui una divergenza limitata a orientamenti della giurisprudenza nazionale non sarebbe sufficiente perché sussista oggettivamente una giurisprudenza divergente sulla stessa materia all’interno dell’Unione (136), salvo che si tratti di una peculiare variante di discriminazione al contrario. Dopo tutto, la logica sottesa alla sentenza Hoffmann‑Laroche è che vi sia una deviazione rispetto all’approccio comune «in uno Stato membro», e per una buona ragione: non può esservi un’interpretazione uniforme se parti di uno Stato membro vanno semplicemente per la propria strada.

154. Tuttavia, vorrei porre l’accento sulle decisioni definitive esistenti adottate a livello nazionale. L’oggetto della ricerca è una differenza espressa di interpretazione a livello orizzontale, all’interno dello stesso Stato membro (corti d’appello diverse, sezioni o collegi diversi degli organi giurisdizionali di grado più elevato) o in tutti gli Stati membri. Lo stesso potrebbe non valere necessariamente nel caso di un unico procedimento ancora in corso di decisione. In una situazione del genere, in cui, ad esempio, l’interpretazione accolta dal giudice di primo grado si distingue da quella adottata dalla corte d’appello, mentre la causa è attualmente pendente dinanzi a un organo giurisdizionale supremo, potrebbero essere presenti del pari due o più modi di intendere la stessa norma. Tuttavia, contrariamente a una situazione in cui esistono interpretazioni divergenti tra singole decisioni definitive di vari giudici, ciò non significa automaticamente che sussistano modalità di interpretazione più ragionevoli e plausibili della stessa norma di diritto dell’Unione. Nell’ambito dello stesso procedimento, non si può infatti escludere che un giudice abbia commesso semplicemente un errore. Per contro, la divergenza giurisprudenziale tra procedimenti diversi non è più un errore, bensì un problema strutturale sia per il diritto dell’Unione sia per il diritto nazionale.

155. In secondo luogo, tutte le altre situazioni, compresa anche quella delle interpretazioni diverse adottate nell’ambito dello stesso procedimento, devono essere quindi semplicemente valutate alla luce di ciascun caso di specie. Nel procedimento dinanzi al giudice di ultima istanza, esistevano davvero alternative plausibili quanto all’interpretazione delle stesse norme, indipendentemente dalla loro provenienza? Esse avrebbero potuto trovarsi nelle osservazioni delle parti, sarebbero potute provenire dai vari soggetti coinvolti nel procedimento nazionale, o sarebbero potute emergere, in effetti, dalle varie sentenze precedenti nell’ambito dello stesso procedimento, ove la differenza non costituiva un errore, bensì la manifestazione di alternative plausibili.

156. Inoltre, tali dubbi sulla scelta tra possibili interpretazioni di una norma possono sempre derivare, naturalmente, dal giudice nazionale stesso. Tuttavia, tenuto conto di quanto esposto supra nell’ambito della presente sezione, desidero sottolineare un aspetto piuttosto importante: realtà e realismo. Non ci si può aspettare che i giudici nazionali di ultima istanza si trasformino improvvisamente in centri di ricerca di diritto comparato dell’Unione, effettuando essi stessi, per così dire d’ufficio, ricerche nella giurisprudenza di altri giudici nazionali in altri Stati membri, o inizino a cercare proattivamente problemi di interpretazione.

157. Ciò detto, quanto ci si può certamente aspettare dai giudici nazionali di ultima istanza è che essi debbano riconoscere che esiste oggettivamente una divergenza di interpretazione giuridica qualora tale divergenza sia stata portata espressamente alla loro attenzione da uno degli soggetti del procedimento che si svolge dinanzi ad essi, in particolare dalle parti stesse. Sempre che esista effettivamente una divergenza nella possibile interpretazione giuridica, attestata da possibili alternative, in tal caso, utilizzando la terminologia della sentenza CILFIT, si può ritenere che un (ragionevole) dubbio sia stato oggettivamente ed esternamente dimostrato nell’ambito della controversia di cui sono investiti e non può allora essere ignorato l’obbligo di rinvio pregiudiziale nell’interesse di garantire un’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione.

3.      Nessuna giurisprudenza della Corte di giustizia

158. È probabile che non manchino (accese) discussioni su cosa sia esattamente, in un contesto specifico, una «giurisprudenza consolidata», e se tutti comprendono ciò che si è «consolidato» esattamente allo stesso modo. Tuttavia, sul piano concettuale, è di fatto la sentenza Da Costa (137), come ripresa ed estesa dalla sentenza CILFIT (138), che necessita di essere quantomeno riconsiderata. Un giudice nazionale di ultima istanza è tenuto a procedere a un rinvio pregiudiziale quando si trova ad affrontare una nuova questione di interpretazione del diritto dell’Unione, o una questione che non può essere interamente risolta sulla base di una giurisprudenza esistente della Corte, oppure quando è opportuno invitare quest’ultima a chiarire o a riconsiderare alcune sue decisioni precedenti.

159. Detto in termini semplici, la seconda condizione e la presente terza condizione sono sfaccettature dello stesso problema – la prima condizione riguarda l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione – in direzioni diverse e con soggetti diversi. La seconda condizione riguarda la coerenza orizzontale e la giurisprudenza nazionale, mentre la terza è incentrata sulle decisioni della Corte e sui loro effetti.

160. Un giudice nazionale di ultima istanza non è quindi tenuto a sollevare una questione di interpretazione del diritto dell’Unione se la stessa disposizione è già stata interpretata dalla Corte. Lo stesso vale nell’ipotesi in cui precedenti decisioni della Corte, emanate in qualsiasi tipo di procedimento, abbiano già fornito orientamenti interpretativi sufficienti che consentano al giudice nazionale di risolvere con fiducia la questione sottopostagli sulla base della giurisprudenza esistente.

161. Concluderò semplicemente con tre ulteriori chiarimenti al riguardo.

162. In primo luogo, varrebbe la pena sottolineare ancora una volta la connessione logica tra la terza condizione e la prima: ciò che deve essere stabilito e dovrebbe essere chiaramente desunto dalla giurisprudenza è la norma di diritto dell’Unione da applicare, non l’esito della specifica controversia. Così, ancora una volta, ad esempio, l’interpretazione del diritto dell’Unione su ciò che costituisce una «circostanza eccezionale» è stata stabilita nel momento in cui la definizione di tale evento è stata enunciata e confermata dalla Corte. Un giudice di ultima istanza, salvo che si trovi di fronte ad una situazione in cui intenda riconsiderare, affinare tale definizione o discostarsene, deve semplicemente applicarla senza essere tenuto a chiedere chiarimenti sulla questione se, ad esempio, oltre a tutte le fattispecie di fatto già considerate dalla Corte (139), le circostanze eccezionali si applicherebbero anche nel caso di un cervo o di un uomo nudo che corre sulla pista.

163. In secondo luogo, può essere giusto riconoscere che, mentre il linguaggio della Corte utilizza una terminologia quale «giurisprudenza consolidata», o «decisioni anteriori», in realtà, ciò può corrispondere, talvolta, ad un solo precedente. È vero che tutto ciò dipende dal contenuto, dal contesto e dalla chiarezza della norma giuridica dell’Unione che si supponeva consolidata nella decisione precedente (140). Tuttavia, una posizione giuridica chiaramente formulata – anche se enunciata una sola volta (e quindi difficilmente corrispondente a una vera e propria «giurisprudenza consolidata» secondo la vera tradizione di civil law, in cui essa sarebbe stata reiterata varie volte prima di divenire effettivamente vincolante) – può, fin dall’inizio, esonerare un giudice nazionale di ultima istanza dal procedere a un rinvio pregiudiziale.

164. In terzo luogo, un giudice nazionale, e in particolare un giudice nazionale di ultima istanza, è sempre autorizzato a invitare la Corte ad adeguare, ad affinare, a chiarire le sue decisioni anteriori o anche a discostarsene. Tuttavia, un giudice nazionale di ultima istanza, se intende discostarsi dall’interpretazione del diritto dell’Unione precedentemente adottata dalla Corte, è tenuto a rivolgersi alla Corte spiegando a quest’ultima le ragioni del suo disaccordo e, preferibilmente, esponendo quale dovrebbe essere, a suo parere, l’approccio corretto (141).

165. A fini di completezza, si potrebbe aggiungere che tale ipotesi di «chiarimento» può includere non solo situazioni in cui un giudice nazionale desidera effettivamente che la Corte modifichi la propria giurisprudenza (142), ma anche i casi di divergenza nella giurisprudenza della Corte individuati da un giudice nazionale chiamato ad applicare tali indicazioni a livello nazionale. In tali situazioni (si spera, rare) sussiste un obbligo di rinvio pregiudiziale, proprio nell’interesse di un’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione in tutta l’Unione europea, al fine di evitare divergenze tra i giudici nazionali, con alcuni che si basano su un orientamento giurisprudenziale della Corte, mentre altri ne applicano di fatto uno diverso.

4.      Sullobbligo di motivazione (e sulla questione aperta del controllo dellosservanza dellobbligo di rinvio)

166. Nella proposta formulata nelle presenti conclusioni, la portata dell’obbligo di rinvio contiene già le eccezioni. Si tratta delle due facce della stessa medaglia. Affinché sussista l’obbligo di rinvio pregiudiziale, devono essere soddisfatte tutte e tre le condizioni delineate nella presente sezione. Affinché non sorga l’obbligo (o, a seconda dell’interpretazione, scatti un’eccezione) non deve ricorrere una delle tre condizioni: o non sussistono questioni di interpretazione del diritto dell’Unione; o esiste una sola interpretazione ragionevolmente possibile del diritto dell’Unione di cui trattasi; oppure una risposta è rinvenibile nella giurisprudenza esistente della Corte.

167. Ciò detto, esiste, in ogni caso, un obbligo trasversale o addirittura una quarta condizione: indipendentemente da quale delle tre condizioni sarà invocata dal giudice nazionale di ultima istanza, tale giudice è tenuto a fornire un’adeguata motivazione della sua conclusione che la causa di cui è investito non rientra nell’obbligo di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267, terzo comma, TFUE.

168. Naturalmente, non esiste alcun criterio universale per stabilire ciò che costituisce un’adeguata e quindi una sufficiente motivazione. Dipende tutto dalla natura della causa, dalla sua complessità e soprattutto dagli argomenti dedotti dinanzi al giudice chiamato a pronunciarsi e da quelli contenuti nel fascicolo della causa. Tuttavia, e in ogni caso, sempre che dinanzi a un giudice nazionale di ultima istanza sia stata in effetti sollevata una questione pertinente di diritto dell’Unione, tale giudice è tenuto a dichiarare chiaramente e specificamente quale delle tre condizioni (eccezioni) si presume sia applicabile a tale causa e a fornire almeno una spiegazione sommaria delle ragioni per cui ciò avviene.

169. Ritengo che sia importante sottolineare tale obbligo con chiarezza. Un riferimento generale, vago e in larga misura non circostanziato all’«acte clair» o alla sentenza CILFIT, senza che sia fornita alcuna motivazione concreta e propria alla causa riguardo alla ragione esatta per cui non sussiste alcun obbligo di rinvio pregiudiziale nel merito della causa di cui trattasi, non soddisfa tale requisito minimo (143). Per contro, nell’ambito dell’approccio, certamente alquanto oggettivo ed esterno, all’obbligo di rinvio pregiudiziale nell’interesse dell’uniformità sistemica dell’interpretazione, sostenuto nelle presenti conclusioni, la motivazione che deve essere fornita dal giudice nazionale di ultima istanza è una reazione agli elementi portati all’attenzione di tale giudice, o dalle parti, o perché essi emergono chiaramente dal procedimento e dal fascicolo stesso. L’obbligo di motivazione si ricollega quindi, naturalmente, all’obbligo del giudice di reagire a tutte le circostanze e a tutti gli argomenti pertinenti dinanzi ad esso dedotti.

170. Detto in termini semplici, un giudice non è tenuto ad andare a ricercare problemi di interpretazione che possano eventualmente sorgere riguardo a una particolare disposizione di diritto dell’Unione. Tuttavia, i problemi interpretativi sottoposti al suo esame, in particolare quelli invocati dalle parti, non possono essere «nascosti sotto il tappeto» senza una motivazione adeguata, affermando semplicemente in una frase che «tutto è chiaro e al di là di ogni ragionevole dubbio».

171. Infine, a mio avviso, l’obbligo di adeguata motivazione, benché possa già derivare dalle norme nazionali pertinenti, è anche un obbligo imposto dal diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 47 della Carta. È abbastanza logico che, se una questione di diritto dell’Unione è validamente sollevata nel corso di un procedimento giurisdizionale nazionale, tale causa, in quanto riguarda l’applicabilità di altri elementi di diritto dell’Unione, rientra probabilmente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. C’è inoltre l’articolo 267 TFUE stesso, che sarebbe applicabile in tale causa. Pertanto, tale causa e qualsiasi decisione nazionale adottata in relazione ad essa costituiscono chiaramente un esempio di attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.

172. Mi fermo deliberatamente qui. Le questioni relative al controllo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale saranno forse oggetto di future cause. Tuttavia, prima che tali questioni possano essere discusse in futuro, devono essere, anzitutto, decisamente riconsiderate la portata e la natura dell’obbligo di rinvio pregiudiziale. Solo se e quando verrà compiuto questo primo passo, potrà divenire rilevante discutere la successiva questione dei mezzi di ricorso.

173. Concludo con tre osservazioni generali.

174. In primo luogo, perché è necessario riconsiderare ora il fascicolo CILFIT? In effetti, dopo aver letto le interessanti conclusioni di tutti i miei dotti predecessori, citati nell’ambito delle presenti conclusioni, è ovvio che la Corte non può riaprire tale fascicolo con leggerezza. Inoltre, si potrebbe suggerire, ironicamente, che, poiché la sentenza CILFIT non funziona da 40 anni, qualche anno o decennio in più non farebbe alcuna differenza. Esiste altresì una meravigliosa semplicità e saggezza nell’inerzia, in particolare quando il sistema, nel suo insieme, trova una sorta di equilibrio. Infatti, tornando alla metafora utilizzata nell’introduzione delle presenti conclusioni, può essere più saggio non svegliare il can che dorme. Se dovesse svegliarsi, nessuno sa chi può mordere.

175. Per quanto possa essere allettante tale ragionamento, ha chiaramente i suoi limiti. Non è salutare che l’autorità istituzionale e la legittimità di qualsiasi giudice siano considerate irrilevanti, in quanto le indicazioni provenienti dal centro sono disattese, e ciò per valide ragioni. Inoltre, se tale irrilevanza riguarda uno dei parametri fondamentali dell’intero sistema giudiziario, per il cui buon funzionamento e per almeno una parte della sua attuazione tale sistema deve fondarsi su altri, una regola di scetticismo alquanto malsana può prendere corpo e alla fine estendersi ad altri settori e ad altre questioni. Infine, possono emergere tensioni se tale attento equilibrio viene sbilanciato da un’improvvisa esplosione di applicazione selettiva di tali norme, in cui coloro che sono soggetti a tale applicazione potrebbero giustamente chiedere: perché noi? In tal modo, con i cani ora svegli, diventa imperativo riconsiderare le norme affinché esse possano essere applicate in egual modo nei confronti di tutti.

176. In secondo luogo, si può suggerire che, concentrandosi sulla funzione di ampio respiro o pubblica dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, la proposta formulata nelle presenti conclusioni trascuri i singoli contendenti e i loro diritti soggettivi. Inoltre, se separate dai dubbi soggettivi nel caso di specie, la definizione della portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e le eccezioni a tale obbligo diventano vaghe nella loro formulazione, basandosi su nozioni astratte quali la divergenza interpretativa.

177. A mio avviso, era proprio la mancanza di chiarezza nel distinguere concettualmente tra la macro/micro funzione (pubblica/privata) e le condizioni oggettive/soggettive dell’obbligo di rinvio pregiudiziale a spiegare il problema della sentenza CILFIT. Inoltre, la scelta effettuata nella sentenza CILFIT era singolare anche sotto un altro profilo: l’obbligo di rinvio pregiudiziale è stato subordinato, principalmente, a condizioni individuali e soggettive della specifica causa pendente dinanzi a un giudice di ultima istanza, senza tuttavia conferire ai singoli qualsivoglia diritto di far rispettare tale obbligo.

178. Se, come proposto in questa sede, fosse riconosciuta la natura prevalentemente sistemica e strutturale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, che sarebbe quindi basata su considerazioni più oggettive delle esigenze sistemiche che si presentano nel caso di specie, tutto ciò potrebbe eventualmente fornire ai singoli contendenti molti più elementi su cui basare le argomentazioni in un caso di specie rispetto ai dubbi soggettivi dei giudici. Inoltre, sebbene in parte distinte dalle circostanze di un caso di specie, le condizioni qui suggerite sono, quanto alla loro natura e alla loro formulazione, di fatto molto più precise di quelle presenti nella sentenza CILFIT. Per di più, contrariamente alle infinite discussioni in corso sulla questione se le eccezioni indicate nella sentenza CILFIT costituiscano in effetti una checklist o un semplice kit di strumenti, le condizioni qui proposte formano chiaramente una checklist, con la conferma dell’obbligo correlato di motivare in modo specifico e adeguato.

179. In terzo e ultimo luogo, siffatto «allentamento» della giurisprudenza CILFIT, che non si focalizzi più sulla corretta applicazione del diritto dell’Unione in ogni causa sottoposta a un giudice di ultima istanza, non equivarrebbe all’abdicazione della responsabilità fondamentale della Corte di garantire l’unità e l’uniformità del diritto dell’Unione?

180. Nelle presenti conclusioni ho dedicato un bel po’ di spazio a tentare di spiegare perché ritengo che l’uniformità ex sentenza CILFIT quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione in ciascun caso di specie sia un’utopia. Tenuto conto del carattere decentralizzato e diffuso del sistema giudiziario dell’Unione, il meglio che si possa mai raggiungere è una ragionevole uniformità nell’interpretazione del diritto dell’Unione, in quanto questo tipo di uniformità è già un compito piuttosto arduo. Quanto all’uniformità nell’applicazione e nei risultati, la risposta è piuttosto semplice: «nessuno può perdere ciò che non ha mai avuto» (144).

V.      Conclusione

181. Propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale ad essa sottoposta dal Consiglio di Stato (Italia) nel modo seguente:

«Ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno deve rinviare la causa alla Corte di giustizia, sempre che, in primo luogo, tale causa sollevi una questione generale di interpretazione del diritto dell’Unione, che, in secondo luogo, possa essere ragionevolmente interpretata in più modi possibili e, in terzo luogo, l’interpretazione del diritto dell’Unione di cui trattasi non possa essere dedotta dalla giurisprudenza esistente della Corte. Siffatta giurisdizione nazionale dinanzi alla quale è sollevata una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, nell’ipotesi in cui dovesse decidere di non proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi di tale disposizione, è tenuta a fornire un’adeguata motivazione per spiegare quale delle tre condizioni non è soddisfatta e perché».


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Sentenza del 6 ottobre 1982 (283/81, EU:C:1982:335; in prosieguo: la «sentenza CILFIT»).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (GU 2004, L 134, pag. 1).


4      Sentenza nella causa Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑152/17, EU:C:2018:264).


5      Ibid., punti da 33 a 35.


6      Invocando una giurisprudenza costante della Corte al riguardo, in particolare la sentenza del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punto 25).


7      V., ad esempio, sentenze del 12 febbraio 2008, Kempter (C‑2/06, EU:C:2008:78, punto 41), del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 28), e del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punto 28).


8      Già sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 9). V. anche sentenza del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 28).


9      Già sentenza del 16 giugno 1981, Salonia (126/80, EU:C:1981:136, punto 7). V. anche sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 65).


10      V., ad esempio, sentenze del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 29 e giurisprudenza ivi citata), e del 22 dicembre 2008, Les Vergers du Vieux Tauves (C‑48/07, EU:C:2008:758, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


11      V., ad esempio, sentenza dell’11 giugno 1987, X (14/86, EU:C:1987:275, punto 11).


12      V., ad esempio, sentenza del 13 aprile 2000, Lehtonen e Castors Braine (C‑176/96, EU:C:2000:201, punto 19).


13      Già sentenza del 28 giugno 1978, Simmenthal (70/77, EU:C:1978:139, punti 10 e 11). V. anche di recente, ad esempio, sentenza del 1° febbraio 2017, Tolley (C‑430/15, EU:C:2017:74, punti 32 e 33).


14      V., ad esempio, sentenza del 14 dicembre 1995, Peterbroeck (C‑312/93, EU:C:1995:437, punti 19 e 20). V. anche, con particolare riferimento alla potenziale limitazione della portata delle (seconde) impugnazioni, sentenza del 4 giugno 2002, Lyckeskog (C‑99/00, EU:C:2002:329, punti 17 e 18).


15      V. anche, più in generale, sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 25), o sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 67).


16      V., ad esempio, sentenze del 17 luglio 2014, Torresi (C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 32 e giurisprudenza ivi citata), del 20 dicembre 2017, Schweppes (C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 26), e del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 21).


17      V., ordinanza del 5 marzo 1986, Wünsche (69/85, EU:C:1986:104, punto 15), sentenza dell’11 giugno 1987, X (14/86, EU:C:1987:275, punto 12), sentenza del 6 marzo 2003, Kaba (C‑466/00, EU:C:2003:127, punto 39), e ordinanza del 30 giugno 2016, Sokoll‑Seebacher e Naderhirn (C‑634/15, EU:C:2016:510, punto 19).


18      Sentenza del 27 marzo 1963, Da Costa e a. (da 28/62 a 30/62, EU:C:1963:6).


19      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punti 13 e 14).


20      Con la presunzione tacita, resa espressa solo successivamente, che il giudice nazionale sia vincolato dall’interpretazione già fornita dalla Corte – v., più di recente, ad esempio, sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punti 29 e 30), o sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 33).


21      V., ad esempio, sentenza del 4 novembre 1997, Parfums Christian Dior (C‑337/95, EU:C:1997:517, punto 29).


22      Utilizzerò questa nota espressione come abbreviazione, in tutte le presenti conclusioni, per «una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno». Sempre sull’individuazione di tali giudici nel contesto di ogni specifico procedimento, v., ad esempio, sentenze del 4 giugno 2002, Lyckeskog (C‑99/00, EU:C:2002:329, punto 16), del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:723, punti da 76 a 78), del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 72), e del 21 dicembre 2016, Biuro podróży «Partner» (C‑119/15, EU:C:2016:987, punti 52 e 53).


23      V. sentenze del 22 ottobre 1987, Foto‑Frost (314/85, EU:C:1987:452, punto 20), del 6 dicembre 2005, Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, EU:C:2005:742, punto 17), e del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 47).


24      V., ad esempio, sentenze del 22 ottobre 1987, Foto‑Frost (314/85, EU:C:1987:452, punto 15), del 6 dicembre 2005, Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, EU:C:2005:742, punto 21), del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punti da 78 a 80).


25      V. sentenza del 6 dicembre 2005, Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, EU:C:2005:742, punti 20 e 25).


26      Parere 1/09 (Accordo che crea un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, punto 84). Il corsivo è mio.


27      Sentenza del 24 maggio 1977, Hoffmann‑Laroche (107/76, EU:C:1977:89, punto 5), ribadita successivamente in una serie di altre sentenze, quali le sentenze del 2 aprile 2009, Pedro IV Servicios (C‑260/07, EU:C:2009:215, punto 32 e giurisprudenza ivi citata), del 15 marzo 2017, Aquino (C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 33 e giurisprudenza ivi citata), e del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta) (C‑416/17, EU:C:2018:811, punto 109).


28      Sentenza del 24 maggio 1977, Hoffmann-Laroche (107/76, EU:C:1978:89, punto 7).


29      V., ad esempio, sentenza del 15 marzo 2017, Aquino (C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 34).


30      Ad esempio, sentenza del 24 maggio 1977, Hoffmann‑Laroche (107/76, EU:C:1977:89, punto 5) o Corte di giustizia dell’Unione europea, Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (GU 2019, C 380, pag. 1, punto 1).


31      Ad esempio, sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 7), e parere 1/09 (Accordo che crea un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, punto 84).


32      Ad esempio, sentenze del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 47), e del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 80).


33      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 7).


34      Ibid., punto 10. Il corsivo è mio.


35      Per un esempio recente, v. sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny (C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234).


36      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 13).


37      Ibid., punto 14.


38      Sentenza del 27 marzo 1963, Da Costa e a. (da 28/62 a 30/62, EU:C:1963:6, pag. 38).


39      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16).


40      Ibid., punto 16.


41      Ibid., punto 18.


42      Ibid., punto 19.


43      Ibid., punto 20.


44      V., tra i tanti, in particolare, Rasmussen, H., «The European Court’s Acte Clair Strategy in C.I.L.F.I.T. Or: Acte Clair, of Course! But What does it Mean?», 9 EL Rev. (1984), pag. 242; Bebr, G., «The Preliminary Proceedings or Article 177 EEC – Problems and Suggestions for Improvement», in Schermers, HG, et al. (a cura di), Article 177 EEC: Experience and Problems. North‑Holland, Amsterdam, 1987, pag. 355; Vaughan, D., «The Advocate’s View», in: Andenas, M., Article 177 References to the European Court – Policy and Practice. Butterworths, Londra, 1994, pag. 61; Broberg, M., «Acte clair revisited: Adapting the acte clair criteria to the demands of time», CMLR 45, 2008, pag. 1383; Broberg, M., e Fenger, N., Preliminary References to the European Court of Justice, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2014, pagg. da 240 a 246.


45      V. già, ad esempio, le posizioni dei giudici nazionali in Schermers, HG, et al. (a cura di), Article 177 EEC: Experience and Problems. North‑Holland, Amsterdam, 1987, pagg. da 53 a 134; General report to the 18th Colloquium of the Association of the Councils of State and Supreme Administrative Jurisdictions of the European Union in Helsinki, 20 e 21 maggio 2002, sul tema «The Preliminary Reference to the Court of Justice of the European Communities», pagg. 28 e 29; v. anche Wattel, P.J., «Köbler, CILFIT and Welthgrove: We can’t go on meeting like this» CMLR 41, 2004, pag. 177.


46      Per riprendere l’espressione utilizzata di recente dall’avvocato generale Wahl nelle cause riunite X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:319, paragrafo 67).


47      Sentenza del 15 settembre 2005, Intermodal Transports (C‑495/03, EU:C:2005:552).


48      Ibid., punto 34.


49      Ibid., punto 35.


50      Sentenza del 9 settembre 2015 (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564).


51      Ibid., punto 59.


52      Ibid., punto 61. Il corsivo è mio.


53      Sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565).


54      Direttiva del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU 2001, L 82, pag. 16).


55      Sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punti 41 e 42). Il corsivo è mio.


56      Ibid., punto 44.


57      Sentenza del 28 luglio 2016 (C‑379/15, EU:C:2016:603).


58      Ibid., punto 48.


59      Sentenza del 28 febbraio 2012, Inter‑Environnement Wallonie e Terre wallonne (C‑41/11, EU:C:2012:103).


60      Sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 51). Il corsivo è mio.


61      Ibid., punto 52. Il corsivo è mio.


62      Sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 43).


63      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16). Il corsivo è mio.


64      Tuttavia, v. su tale punto, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause riunite X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:319, paragrafo 68).


65      V., ad esempio, Kornezov, A., «The New Format of the Acte Clair Doctrine and its Consequences» CMLR, vol. 53, 2016, pag. 1317; Limante, A., «Recent Developments in the Acte Clair Case Law of the EU Court of Justice: Towards a more Flexible Approach», JCMS vol. 54, 2016, pag. 1384; Gervasoni, S., «CJUE et cours suprêmes: repenser les termes du dialogue des juges?» AJDA, 2019, pag. 150.


66      V., ad esempio, sentenza dello Ústavní soud (Corte costituzionale, Repubblica ceca) dell’11 settembre 2018, Causa No II.ÚS 3432/17 (ECLI:CZ:US:2018:2.US.3432.17.1). In tale causa, l’Ústavní soud (Corte costituzionale), basandosi più volte sulla sentenza Ferreira Da Silva e Brito, ha rifiutato di sanzionare, contrariamente alla sua giurisprudenza anteriore, un accertato mancato rinvio pregiudiziale da parte del Nejvyšší soud (Corte suprema, Repubblica ceca), in una situazione in cui esistevano sentenze contraddittorie, riguardanti la stessa materia di diritto dell’Unione, emesse all’interno della Repubblica ceca. In senso critico, v., ad esempio, Malenovský J., «Protichůdné zájmy v řízení o předběžné otázce a jejích důsledky», Právní rozhledy, C.H. Beck, 2019, 6/2019, pag. 191.


67      V. supra, paragrafo 51 delle presenti conclusioni.


68      Sentenza del 24 maggio 1977, Hoffmann‑Laroche (107/76, EU:C:1977:89, punto 5).


69      V. supra, paragrafi 59 e 60 delle presenti conclusioni.


70      V. sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 3).


71      V., a tal riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Capotorti nella causa CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:267) che, dopo aver spiegato in maniera critica le origini della «teoria dell’acte clair» francese, ha parimenti rifiutato di ispirarsi al diritto costituzionale italiano (criterio della «manifesta irrilevanza») per determinare la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale previsto dal diritto dell’Unione.


72      Sulla prassi dei giudici francesi dell’«acte clair» in generale, v., ad esempio, Lagrange, M., «Cour de justice européenne et tribunaux nationaux – La théorie de “l’acte clair”: pomme de discorde ou trait d’union?», Gazette du Palais, 19 marzo 1971, nn. da 76 a 78, pag. 1; nel contesto specifico del diritto dell’Unione, v., ad esempio, Lesguillons, H., «Les juges français et l’article 177», Cahiers de droit européen 4, 1968, pag. 253.


73      Conseil d’État (Consiglio di Stato) francese, sentenza del 19 giugno 1964, Société des pétroles Shell‑Berre, n. 47007, nota come la prima sentenza in cui il Conseil d’Etat (Consiglio di Stato) ha applicato la «teoria dell’acte clair» al diritto dell’Unione.


74      V. Damaška, R., The Faces of Justice and State Authority: A Comparative Approach to the Legal Process. Yale University Press, 1986, pag. 16.


75      Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Wiener SI (C‑338/95, EU:C:1997:352, paragrafo 65). V., tuttavia, conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella causa Lyckeskog (C‑99/00, EU:C:2002:108, paragrafo 75).


76      Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Wiener SI (C‑338/95, EU:C:1997:352, paragrafo 58).


77      C‑495/03, EU:C:2005:215, paragrafo 99.


78      Ibid., paragrafo 100.


79      Conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, EU:C:2005:415, paragrafo 52).


80      Cause riunite C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:319, paragrafo 69.


81      Ibid., paragrafo 62.


82      V. supra, paragrafo 81 delle presenti conclusioni.


83      A titolo comparativo, v., ad esempio, le varie relazioni nazionali al 18th Colloquium of the Association of the Councils of State and Supreme Administrative Jurisdictions of the European Union in Helsinki (18a Conferenza dell’Associazione dei Consigli di Stato e degli organi giurisdizionali supremi amministrativi dell’Unione europea a Helsinki), 20 e 21 maggio 2002, sul tema «The Preliminary Reference to the Court of Justice of the European Communities (Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee)» (http://www.aca-europe.eu/index.php/en/colloques-top-en/240-18th-colloquium-in-helsinki-from-20-to-21-may-2002); Research Note No 19/004 of May 2019 compiled by the Directorate General for Library, Research and Documentation of the Court of Justice concerning the «Application of the cilfit case-law by national courts or tribunals against whose decisions there is no judicial remedy under national law» (Nota di ricerca n. 19/004, del maggio 2019, redatta dalla Direzione generale della biblioteca, della ricerca e della documentazione della Corte di giustizia riguardante «L’applicazione della giurisprudenza cilfit da parte dei giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno) (https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2020-01/ndr-cilfit_synthese_en.pdf)); o Fenger, N., e Broberg, M., «Finding Light in the Darkness: On The Actual Application of the Acte Clair Doctrine», Yearbook of European Law 1, vol. 30, n. 1, 2011, pag. 180.


84      Ciò che conduce in definitiva ad usare della nozione di «nessun ragionevole dubbio», ma modificata quanto al suo contenuto. V., ad esempio, a Cipro, Anotato Dikastirio (Corte suprema), Cypra Limited v. Kipriakis Dimokratias, appeal 78/2009 del 15 giugno 2013 (esiste un obbligo di rinvio pregiudiziale solo quando il diritto dell’Unione di cui trattasi non è «privo di dubbi»); nel diritto inglese è stato applicato un criterio leggermente meno stringente rispetto al requisito del «nessun ragionevole dubbio», v. O’Byrne v Aventis Pasteur SA [2008] UKHL 34 (House of Lords), punto 23 (nessuna necessità di rinvio pregiudiziale quando l’interpretazione della disposizione di cui trattasi è «chiara entro i limiti di un argomento ragionevole») e R. (on the application of Buckinghamshire CC) v Secretary of State for Transport [2014] UKSC 3 (Corte suprema), punto 127 (nessuna necessità di rinvio pregiudiziale quando l’interpretazione della disposizione di cui trattasi è «non ragionevolmente contestabile»).


85      V., ad esempio, Conseil d’État (Consiglio di Stato), 1e/6e SSR, sentenza del 26 febbraio 2014, n. 354603, ECLI:FR:XX:2014:354603.20140226; Cour de cassation (Corte di cassazione), 1e civ., sentenza dell’11 luglio 2018, n. 17‑18177, ECLI:FR:CCASS:2018:C100737. Mentre il primo giudice si basa generalmente sul criterio della «grave difficoltà», il secondo utilizza anche altri criteri.


86      Nei casi in cui la causa solleva «questioni interpretative di interesse generale» [Cypriot Anotato Diskastirio Kyprou (Corte suprema), Proedros Tis Demokratias v. Vouli Ton Antiprosopon, appeal 5/2016 del 5 aprile 2017]; o nei casi in cui si discute di una questione di interpretazione, non di applicazione del diritto dell’Unione [Maltese Qorti tal‑Appell (Corte d’appello), sentenza del 26 giugno 2007, GIE Pari Mutuel Urbain (PMU) vs Bell Med Ltd & Computer Aided Technologies Ltd (224/2006/1)].


87      Per un quadro comparativo, v. già Solar, N., Vorlagepflichtverletzung mitgliedstaatlicher Gerichte und ihre Sanierung, Neuer Wissenschaftlicher Verlag, Vienna, 2004; o Warnke, M., Die Vorlagepflicht nach Art. 234 Abs. 3 EGV in der Rechtsprechungspraxis des BVerfG im Vergleich zu den Verfassungsgerichtsbarkeit der EGMitgliedstaaten, Peter Lang, Francoforte, 2004. Più di recente, ad esempio, v. le relazioni individuali per paese in Coutron, L. (a cura di), L’obligation de renvoi préjudiciel à la Cour de justice: une obligation sanctionnée?, Bruylant, Bruxelles, 2014, o i contributi individuali al numero speciale del 2015, German Law Journal, vol. 16/6, in particolare Lacchi, C., «Review by Constitutional Courts of the Obligation of National Courts of Last Instance to Refer a Preliminary Question to the Court of Justice of the EU», pag. 1663.


88      A titolo esemplificativo, v. ad esempio in Germania, Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), ordinanza del 9 maggio 2018 – 2 BvR 37/18; in Spagna, Tribunal Constitucional (Corte costituzionale), 19 aprile 2004, STC 58/2004 (ECLI:ES:TC:2004:58); nella Repubblica ceca, Ústavní soud (Corte costituzionale), 8 gennaio 2009, n. II. ÚS 1009/08; in Croazia, Ustavni sud Republike Hrvatske (Corte costituzionale della Repubblica di Croazia), decisione n. U‑III‑2521/2015 del 13 dicembre 2016; in Slovacchia, Ústavný súd (Corte costituzionale), sentenza del 18 aprile 2012, n. II. ÚS 140/2010; in Slovenia, Ustavno sodišče (Corte costituzionale), decisione n. Up‑1056/11 del 21 novembre 2013, ECLI:SI:USRS:2013:Up.1056.11.


89      Corte EDU, 8 aprile 2014, CE:ECHR:2014:0408JUD001712009, § 33. Per le constatazioni più recenti di violazione, v., ad esempio, Corte EDU, 16 aprile 2019, Baltic Master c. Lituania, CE:ECHR:2019:0416JUD005509216, §§ da 36 a 38, Corte EDU, 13 febbraio 2020, Sanofi Pasteur c. Francia, CE:ECHR:2020:0213JUD002513716, § 81.


90      Corte EDU, 24 aprile 2018, Baydar c. Paesi Bassi, CE:ECHR:2018:0424JUD005538514, § 43.


91      Corte EDU, 20 settembre 2011, Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, CE:ECHR:2011:0929JUD000398907 e 3835307, § 62, e del 10 aprile 2012, Vergauwen e a. c. Belgio, CE:ECHR:2012:0410JUD00483204, §§ 89 e 90.


92      Nel 1975, in una relazione, la Corte ha suggerito l’introduzione di un mezzo di ricorso adeguato per la violazione dell’allora articolo 177 CEE o mediante un ricorso diretto alla Corte ad opera delle parti nel procedimento principale o mediante un ricorso per inadempimento obbligatorio, o, infine, mediante un ricorso per risarcimento danni contro lo Stato interessato, su istanza della parte lesa [Relazioni sull’Unione europea, Bollettino delle Comunità europee (Supplemento 9/75, pag. 18)].


93      V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


94      Esposta supra, al paragrafo 106 delle presenti conclusioni.


95      V. supra, paragrafi 108 e 109 delle presenti conclusioni.


96      V., a tal riguardo, ad esempio, Baquero Cruz, J., «The Preliminary Rulings Procedure: Cornerstone or Broken Atlas?» in Baquero Cruz, J., What’s Left of the Law of Integration? Decay and Resistance in European Union Law. Oxford University Press, 2018, pagg. 64 e 65.


97      Sentenza del 30 settembre 2003 (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 36).


98      V., ad esempio, sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 51 e 52), del 28 luglio 2016, Tomášová (C‑168/15, EU:C:2016:602, punti 22 e 23), e del 29 luglio 2019, Hochtief Solutions Magyarországi Fióktelepe (C‑620/17, EU:C:2019:630, punti 35 e 36).


99      Pur se appaiono applicabili – v., in tal senso, sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 118).


100      Nell’ambito della quale l’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale può costituire solo uno degli elementi da prendere in considerazione. V., ad esempio, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 55), del 28 luglio 2016, Tomášová (C‑168/15, EU:C:2016:602, punto 25), e del 29 luglio 2019, Hochtief Solutions Magyarországi Fióktelepe (C‑620/17, EU:C:2019:630, punto 42).


101      Con le precedenti indicazioni costituite dalle sentenze del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:656), e del 12 novembre 2009, Commissione/Spagna (C‑154/08, non pubblicata, EU:C:2009:695). In entrambe le cause, il procedimento verteva, in generale, sull’incompatibilità del diritto nazionale o della prassi amministrativa con altre disposizioni sostanziali del diritto dell’Unione. Tuttavia, in particolare nella seconda causa, era piuttosto evidente che era da biasimare il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) per aver omesso di procedere a un rinvio pregiudiziale (v., in particolare, punti da 124 a 126 di detta sentenza).


102      Sentenza del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta) (C‑416/17, EU:C:2018:811).


103      Ibid., punto 110.


104      Ibid., punto 111.


105      Ibid., punto 112.


106      V. supra, paragrafi da 73 a 86 delle presenti conclusioni.


107      V. sentenza del 14 febbraio 1989, Star Fruit/Commissione (247/87, EU:C:1989:58, punto 11).


108      Giudicando già in base al fatto che la stessa questione giuridica non era neppure evidente per lo stesso rapporteur public (relatore pubblico) del Conseil d’État (Consiglio di Stato) nell’ambito del medesimo stesso procedimento. V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Commissione/Francia (C‑416/17, EU:C:2018:626, paragrafi 56, 81 e 99).


109      A tal riguardo, non posso che unirmi ai miei dotti predecessori nell’osservare che, anche partendo dall’assunto che la sentenza CILFIT fosse attuabile all’epoca della sua concezione, quod non, certamente essa non è invecchiata bene – Conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, EU:C:2005:415, paragrafo 52) nonché conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Wiener SI (C‑338/95, EU:C:1997:352, paragrafi 59 e 60).


110      Regolamento (UE, Euratom) 2019/629 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, recante modifica del protocollo n. 3 sullo statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (GU 2019, L 111, pag. 1).


111      Il buon soldato Švejk è un’interessante figura della letteratura ceca, noto in particolare per le sue numerose dimostrazioni della forza distruttiva dell’insensata obbedienza. Švejk sovvertiva, di fatto, il funzionamento dell’esercito austro‑ungarico durante la prima guerra mondiale, seguendo alla lettera tutti gli ordini impartiti dai suoi superiori, senza mai rimettere in discussione il loro contenuto né adattarli alle circostanze. V., fra le numerose edizioni, Hašek, J., The Good soldier Svejk e His fortunes in the World War, Penguin Classics, 2005.


112      V. supra, paragrafo 51 delle presenti conclusioni.


113      Come già affermato supra, paragrafo 64 delle presenti conclusioni.


114      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91 (GU 2004, L 46, pag. 1)


115      Sentenza del 22 dicembre 2008, Wallentin‑Hermann (C‑549/07, EU:C:2008:771, punto 23). Per successive conferme, v., ad esempio, sentenze del 31 gennaio 2013, McDonagh (C‑12/11, EU:C:2013:43, punto 29), e dell’11 giugno 2020, Transportes Aéreos Portugueses (C‑74/19, EU:C:2020:460, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


116      Sentenza del 4 maggio 2017, Pešková e Peška (C‑315/15, EU:C:2017:342, punto 26).


117      Sentenza del 31 gennaio 2013, McDonagh (C‑12/11, EU:C:2013:43, punto 34).


118      Sentenza dell’11 giugno 2020, Transportes Aéreos Portugueses (C‑74/19, EU:C:2020:460, punto 48).


119      Sentenza del 4 aprile 2019, Germanwings (C‑501/17, EU:C:2019:288, punto 34).


120      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità (GU 2009, L 263, pag. 11).


121      V. sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk (C‑162/13, EU:C:2014:2146, punto 59). V. anche sentenze del 28 novembre 2017, Rodrigues de Andrade (C‑514/16, EU:C:2017:908, punto 34), e del 15 novembre 2018, BTA Baltic Insurance Company (C‑648/17, EU:C:2018:917, punto 34).


122      V., ad esempio, sentenze del 28 novembre 2017, Rodrigues de Andrade (C‑514/16, EU:C:2017:908, punto 38), del 20 dicembre 2017, Núñez Torreiro (C‑334/16, EU:C:2017:1007, punto 29), e del 15 novembre 2018, BTA Baltic Insurance Company (C‑648/17, EU:C:2018:917, punto 44).


123      Sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk (C‑162/13, EU:C:2014:2146, punto 59 e dispositivo di tale sentenza).


124      Sentenza del 28 novembre 2017, Rodrigues de Andrade (C‑514/16, EU:C:2017:908, punto 42 e dispositivo di tale sentenza).


125      Sentenza del 15 novembre 2018, BTA Baltic Insurance Company (C‑648/17, EU:C:2018:917, punto 48 e dispositivo di tale sentenza).


126      Sentenza del 20 giugno 2019, Línea Directa Aseguradora (C‑100/18, EU:C:2019:517, punto 48 e dispositivo di tale sentenza).


127      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9). Ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di tale direttiva, «si intende per “orario di lavoro” qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».


128      V., ad esempio, sentenza del 9 settembre 2003, Jaeger (C‑151/02, EU:C:2003:437, punto 63), ordinanza del 4 marzo 2011, Grigore (C‑258/10, non pubblicata, EU:C:2011:122, punto 53 e giurisprudenza ivi citata), nonché sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 59).


129      Sentenza del 3 ottobre 2000, Simap (C‑303/98, EU:C:2000:528), e ordinanza del 3 luglio 2001, CIG (C‑241/99, EU:C:2001:371).


130      Sentenza del 9 settembre 2003, Jaeger (C‑151/02, EU:C:2003:437, punto 71).


131      Sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 65).


132      Conclusioni nella causa Wiener SI (C‑338/95, EU:C:1997:352, paragrafo 50).


133      V. le mie conclusioni nella causa Van Ameyde España SA (C‑923/19, EU:C:2021:125).


134      Per tornare nuovamente alla metafora dell’avvocato generale Wahl, v. supra al paragrafo 103 delle presenti conclusioni.


135      Come era stato suggerito in passato sotto la rubrica «green light procedure» o altre modalità di riforma del procedimento pregiudiziale – v., ad esempio, Due, O., «The Working Party Report» in Dashwood, A., e Johnston, A.C., The Future of the Judicial System of the European Union. Hart, Oxford, 2001. D’altro canto, ciò non osta certamente a che il giudice del rinvio agisca in tal senso, se lo desidera.


136      V. anche, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause riunite X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:319, paragrafo 68).


137      Sentenza del 27 marzo 1963, Da Costa e a. (da 28/62 a 30/62, EU:C:1963:6).


138      Sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, EU:C:1982:335, punti 13 e 14).


139      Esposti supra, paragrafo 134 delle presenti conclusioni.


140      Si può solo mettere a confronto, tra le cause discusse nelle presenti conclusioni, la sentenza del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (anticipo d’imposta) (C‑416/17, EU:C:2018:811), da un lato, e la sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), dall’altro.


141      Per un esempio, v. la recente sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, EU:C:2017:936).


142      In cui il termine «chiarimento» serve, in realtà, da eufemismo per una modifica della giurisprudenza.


143      V. già, in tal senso, sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 53).


144      Walton, I., «The Complete Angler», Gay & Bird, Londra, 1901, Capitolo V.