Language of document : ECLI:EU:T:2016:369

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

28 giugno 2016 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercati portoghese e spagnolo delle telecomunicazioni – Clausola di non concorrenza nel mercato iberico inserita nel contratto di acquisizione, da parte della Telefónica, della quota detenuta dalla Portugal Telecom nell’operatore brasiliano di telefonia mobile Vivo – Salvaguardia legale “nei limiti consentiti dalla legge” – Infrazione per oggetto – Restrizione accessoria – Autonomia del comportamento della ricorrente – Concorrenza potenziale – Infrazione per effetti – Calcolo dell’importo dell’ammenda – Domanda di audizione di testimoni»

Nella causa T‑216/13,

Telefónica, SA, con sede in Madrid (Spagna), rappresentata da J. Folguera Crespo, P. Vidal Martínez e E. Peinado Iríbar, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da C. Giolito e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, la domanda di annullamento della decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom), e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M.E. Martins Ribeiro (relatore), presidente, S. Gervasoni e L. Madise, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 maggio 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La presente controversia, avente ad oggetto la decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom), (in prosieguo: la «decisione impugnata»), è scaturita da una clausola (in prosieguo: la «clausola») inserita nell’articolo 9 dell’accordo di acquisto di azioni (in prosieguo: l’«accordo») firmato dalla ricorrente, la Telefónica, SA (in prosieguo: la «Telefónica»), e dalla Portugal Telecom SGPS, SA (in prosieguo: la «PT») il 28 luglio 2010, riguardante il controllo esclusivo, da parte della Telefónica, dell’operatore di rete mobile brasiliano Vivo Participações, SA (in prosieguo: la «Vivo»). La clausola così recita (punto 1 della decisione impugnata):

«Numero nove – Divieto di concorrenza

Nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011».

2        La Commissione europea ha ritenuto, in linea con la propria conclusione preliminare contenuta nella comunicazione degli addebiti del 21 ottobre 2011, che, alla luce della clausola e delle circostanze (il contesto economico e giuridico nel quale si inseriva tale caso e il comportamento delle parti), la clausola equivaleva ad un accordo di ripartizione dei mercati avente ad oggetto la restrizione della concorrenza nel mercato interno, in violazione dell’articolo 101 TFUE (punti 2 e 434 della decisione impugnata).

I –  Presentazione della Telefónica e della PT

3        La Telefónica è l’ex monopolio di Stato spagnolo delle telecomunicazioni, interamente privatizzato nel 1997, e il primo operatore di telecomunicazioni in Spagna. La Telefónica ha sviluppato una presenza internazionale in vari paesi dell’Unione europea, dell’America latina e dell’Africa ed è uno dei più grandi gruppi europei di telecomunicazioni (punti 12 e 16 della decisione impugnata).

4        Al momento dell’adozione della decisione oggetto della presente controversia, la Telefónica deteneva il 2% del capitale della PT. All’epoca dei fatti oggetto di detta decisione, la Telefónica deteneva una partecipazione minoritaria nella Zon Multimedia (in prosieguo: la «Zon»), società concorrente della PT operante nel settore delle comunicazioni elettroniche, nata dalla scissione, avvenuta nel novembre 2007, tra la PT Multimedia e la propria controllante, la PT. Oltre alle proprie partecipazioni nelle società portoghesi, la Telefónica iniziava a sviluppare una presenza diretta in Portogallo grazie a due delle sue controllate e alla filiale portoghese di una di tali controllate (punti da 18 a 20 e 215 della decisione impugnata).

5        La Telefónica designava peraltro, a seconda della data, uno o due membri del consiglio di amministrazione della PT. Alla data di conclusione definitiva dell’operazione relativa all’acquisizione della Vivo, ossia il 27 settembre 2010 (v. infra, punto 25), la Telefónica aveva designato due membri del consiglio di amministrazione della PT (nota a piè di pagina n. 67 della decisione impugnata).

6        Il gruppo Portugal Telecom è stato costituito nel 1994 in seguito alla fusione di tre società pubbliche e privatizzato in cinque fasi dal 1995 al 2000. Al termine della quinta e ultima fase di privatizzazione, nel 2000, lo Stato portoghese deteneva 500 azioni di categoria A (in prosieguo: le «azioni privilegiate»), che gli conferivano taluni diritti particolari, tra i quali il diritto di veto per le modifiche statutarie e altre decisioni rilevanti. Il 12 dicembre 2000, la Portugal Telecom, SA ha adottato la struttura di società di investimenti e la denominazione PT (punti 21, 22 e 23 della decisione impugnata).

7        La PT è il primo operatore di telecomunicazioni in Portogallo e dispone di una presenza strategica in altri paesi, in particolare in Brasile e nell’Africa subsahariana. In Brasile, l’attivo della PT consisteva principalmente nel 50% delle quote dell’impresa comune che controllava la Vivo sino all’acquisizione di quest’ultima da parte della Telefónica. In seguito alla cessione della propria partecipazione nella Vivo, il 28 luglio 2010, la PT concludeva un partenariato strategico con l’Oi, uno dei principali fornitori di comunicazioni elettroniche in Brasile (punti 24 e 25 della decisione impugnata).

8        La PT cedeva la propria partecipazione dello 0,20% nella Telefónica nel 2010 e non controlla alcuna società spagnola. Essa fornisce servizi di telecomunicazione ai propri clienti multinazionali portoghesi che operano nel mercato spagnolo utilizzando le reti di altri operatori e, in particolare, della Telefónica (punti 27, 28 e 233 della decisione impugnata).

II –  Le negoziazioni e la firma dell’accordo

9        La Vivo è uno dei principali operatori nel settore delle telecomunicazioni mobili in Brasile. Al momento della firma dell’accordo, il 28 luglio 2010, la Vivo era controllata congiuntamente dalla Telefónica e dalla PT attraverso la Brasilcel NV (in prosieguo: la «Brasilcel»), società di investimento registrata nei Paesi Bassi (punto 33 della decisione impugnata).

10      Il 6 maggio 2010 la Telefónica lanciava un’offerta pubblica di acquisto ostile di importo pari a EUR 5,7 miliardi sulla partecipazione del 50% detenuta, all’epoca, dalla PT nella Brasilcel. Detta offerta conteneva, in particolare, una disposizione ai sensi della quale «la Telefónica non avrebbe imposto alcuna clausola di non concorrenza o di astensione alla Portugal Telecom». Questa prima offerta veniva respinta all’unanimità dai membri del consiglio di amministrazione della PT (punti 35 e 36 della decisione impugnata).

11      Il 1° giugno 2010, alle 2:53, in seguito a una riunione svoltasi inter partes il 31 maggio 2010, la PT inviava alla Telefónica un messaggio di posta elettronica con un progetto relativo a una seconda offerta per l’acquisto della sua partecipazione nella Vivo. La clausola veniva introdotta per la prima volta in tale progetto (punto 38 della decisione impugnata).

12      Il primo progetto di clausola era redatto come segue (punto 39 della decisione impugnata):

«Divieto di concorrenza

Ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di accettazione dell’offerta fino i) al 31 dicembre 2011 o ii) alla data del trasferimento effettivo dell’ultima parte delle azioni alternative B».

13      Con messaggio di posta elettronica, inviato alla PT il 1° giugno 2010 alle 12:21, la Telefónica suggeriva di apportare una modifica alla clausola mediante l’aggiunta della locuzione «ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso» al fine di escludere dall’ambito di applicazione di tale clausola le attività di ciascuna parte all’epoca esistenti nel mercato nazionale dell’altra. Tale modifica veniva inserita nella seconda offerta datata 1° giugno 2010 (punto 40 della decisione impugnata).

14      Oltre al primo progetto di clausola, la seconda offerta prevedeva un aumento del prezzo a EUR 6,5 miliardi, un’opzione di riacquisto a favore della PT, in forza della quale essa poteva riacquistare le proprie azioni detenute dalla Telefónica, e un impegno della Telefónica ad acquistare le azioni che la PT deteneva nella società Dedic SA, un operatore di call center brasiliano. Inoltre, la seconda offerta prevedeva sempre l’impegno della Telefónica ad astenersi dall’imporre «una qualsiasi clausola di non concorrenza o di astensione alla Portugal Telecom», già contenuta nella prima offerta (punti 41 e 42 della decisione impugnata).

15      Nella serata del 1° giugno 2010 il consiglio di amministrazione della PT rendeva noto che, a suo avviso, la seconda offerta formulata dalla Telefónica non rifletteva il valore effettivo della Vivo. Tuttavia, il consiglio decideva di sottoporre la propria decisione all’assemblea generale della società il 30 giugno 2010 (punto 45 della decisione impugnata).

16      La seconda offerta veniva resa pubblica dalle parti mediante inserimento in rete sui rispettivi siti Internet e con comunicazione alle autorità di borsa spagnola e portoghese. Inoltre, il contenuto della clausola inserita nella seconda offerta veniva anch’esso reso pubblico in un opuscolo distribuito dal consiglio di amministrazione della PT il 9 giugno 2010 ai propri azionisti ai fini della preparazione dell’assemblea generale prevista il 30 giugno 2010 (punti 128 e 129 della decisione impugnata).

17      Il 29 giugno 2010 la Telefónica presentava una terza offerta di importo pari a EUR 7,15 miliardi, contenente peraltro gli stessi termini e condizioni della seconda offerta (punto 46 della decisione impugnata).

18      Il 30 giugno 2010 l’assemblea generale ordinaria della PT approvava la terza offerta formulata dalla Telefónica. Tuttavia, il governo portoghese esercitava il diritto inerente alle azioni privilegiate dallo stesso detenute nella PT (v. supra, punto 6) per bloccare l’operazione e la Telefónica prorogava la terza offerta fino al 16 luglio 2010 (punti 47 e 48 della decisione impugnata).

19      Nella sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Portogallo (C‑171/08, Racc., EU:C:2010:412), la Corte ha dichiarato che, mantenendo nella PT diritti speciali come quelli previsti nello statuto di detta società a favore dello Stato e di altre entità pubbliche, attribuiti in connessione con azioni privilegiate dello Stato nella PT, la Repubblica portoghese era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 56 CE (punto 50 della decisione impugnata).

20      Il 16 luglio 2010 la PT chiedeva alla Telefónica di prorogare la propria offerta sino al 28 luglio 2010, ma la Telefónica si opponeva e l’offerta scadeva (punto 51 della decisione impugnata).

21      Il 27 luglio 2010 aveva luogo una nuova riunione tra la PT e la Telefónica e quest’ultima proponeva alla PT, da un lato, di aggiungere l’espressione «nei limiti consentiti dalla legge» all’inizio della clausola e, dall’altro, di fissare la durata della clausola dalla «data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011» (punti 52 e 53 della decisione impugnata).

22      Il 28 luglio 2010 la Telefónica e la PT concludevano l’accordo in forza del quale la Telefónica assumeva il controllo esclusivo della Vivo grazie all’acquisto del 50% del capitale della Brasilcel, versando un prezzo di EUR 7,5 miliardi (punto 54 della decisione impugnata).

23      L’accordo conteneva, all’articolo 9, la clausola seguente (punto 55 della decisione impugnata):

«Numero nove – Divieto di concorrenza

Nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011».

24      Contrariamente alla seconda offerta (v. supra, punto 14), l’accordo non prevedeva più l’opzione di riacquisto a favore della PT, in forza della quale quest’ultima poteva riacquistare le proprie azioni detenute dalla Telefónica. Per contro, l’accordo prevedeva, in particolare, in primo luogo, le dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT designati dalla Telefónica (articolo 3, paragrafo 6, dell’accordo), in secondo luogo, un programma di partenariato industriale fra le due imprese (articolo 6 dell’accordo) salvo che le stesse non fossero in concorrenza in Brasile (articolo 7 dell’accordo) e, in terzo luogo, l’eventuale acquisizione, da parte della Telefónica, della società brasiliana Dedic, specializzata nella fornitura di servizi di call center (articolo 10 dell’accordo) (punti da 56 a 61 della decisione impugnata).

25      La conclusione definitiva dell’operazione aveva luogo il 27 settembre 2010, per effetto di un «atto notarile di cessione di azioni» e di un «atto notarile di conferma» (punto 63 della decisione impugnata).

26      Alla data della firma dell’accordo, il 28 luglio 2010, la PT aveva anche annunciato di aver concluso, in pari data, un protocollo di accordo recante fissazione delle norme applicabili all’attuazione di un partenariato strategico con l’Oi (v. supra, punto 7) e di auspicare l’acquisto del 22,38% delle quote del gruppo Oi per svolgere un ruolo rilevante nella gestione di quest’ultimo (punto 62 della decisione impugnata).

27      L’operazione Vivo veniva notificata, in data 29 luglio e 18 agosto 2010, all’Agência National de Telecommunicações (Anatel, autorità di regolamentazione delle telecomunicazioni brasiliane) e al Conselho Administrativo de Defesa Econômica (CADE, autorità brasiliana garante della concorrenza) e, in un articolo apparso sulla stampa il 23 agosto 2010, la Telefónica confermava che l’accordo conteneva una clausola di non concorrenza (punti 103, 130 e 491 della decisione impugnata).

III –  Fatti avvenuti successivamente alla conclusione dell’accordo

28      Il 26 e il 29 ottobre 2010 si svolgevano due conversazioni telefoniche tra la Telefónica e la PT (punti 113 e 124 della decisione impugnata).

29      Il 4 febbraio 2011, in seguito all’avvio del procedimento da parte della Commissione il 19 gennaio 2011 (v. infra, punto 31), la Telefónica e la PT firmavano un accordo per eliminare la clausola (punto 125 della decisione impugnata), redatto nei seguenti termini:

«Preambolo:

Considerato che la [PT] e la Telefónica hanno concluso un accordo (in prosieguo: l’“accordo”), il 28 giugno 2010, relativo alla vendita, da parte della [PT], alla Telefónica del 50% (cinquanta) per cento del capitale della società di diritto olandese [Brasilcel] (in prosieguo: la “Brasilcel” o la “società”).

Considerato che l’articolo 9 dell’accordo conteneva una clausola di non concorrenza, in forza della quale, nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna parte si impegna[va] a non fare concorrenza alla controparte nel mercato iberico, a decorrere dalla data di conclusione dell’operazione (quale definita nell’accordo) e fino al 31 dicembre 2011.

Considerato che l’articolo 9 dell’accordo era stato previamente ipotizzato dalle parti nell’ambito di un’eventuale opzione di riacquisto, a favore della PT, delle azioni detenute, all’epoca, dalla Telefónica in detta società, e che tale articolo è stato mantenuto nell’accordo definitivo, salva la sua conformità alla legge, nonostante, in fine, la rinuncia a tale opzione.

Considerato che le parti intendono riportare per iscritto la circostanza che il menzionato articolo 9 non è applicabile, che non è mai stato eseguito, e che non ha avuto quindi alcun effetto sulle rispettive decisioni commerciali.

Considerato che alla Telefónica e alla PT è stato notificato, rispettivamente, il 24 gennaio e il 21 gennaio 2011, l’avvio, da parte della Commissione europea, di un procedimento formale nei loro confronti riguardante in merito al menzionato articolo 9.

Tutto ciò premesso, le parti convengono quanto segue:

Articolo 1. Modifica dell’accordo e revoca dei diritti

Si procede alla modifica dell’accordo e all’abolizione dell’intero articolo 9. Tale articolo è considerato nullo e non scritto.

Le parti confermano, in modo irrevocabile e definitivo, che l’articolo 9 non può conferire diritti o imporre obblighi di qualunque tipo alle parti o a qualsivoglia terzo.

Articolo 2. Normativa applicabile

Il presente accordo e qualsiasi controversia relativa alla sua esecuzione o qualsiasi conseguenza connessa a qualsivoglia violazione delle sue disposizioni saranno disciplinati dal diritto portoghese e interpretati conformemente a quest’ultimo».

IV –  Procedimento dinanzi alla Commissione

30      La clausola veniva individuata, nel settembre 2010, dall’autorità spagnola garante della concorrenza, che ne informava l’autorità portoghese garante della concorrenza e la Commissione, cui veniva deciso di affidare l’indagine (punto 3 della decisione impugnata).

31      Il 19 gennaio 2011 la Commissione avviava un procedimento nei confronti della Telefónica e la PT, ai sensi del disposto dell’articolo 11, paragrafo 6 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU L 123, pag. 18) (punto 5 della decisione impugnata).

32      Nell’ambito dell’indagine, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione inviava richieste di informazioni alle parti il 5 gennaio, il 1° aprile, il 25 maggio, il 10 e il 24 giugno 2011 nonché il 5 settembre 2012 e ad alcuni dei loro clienti multinazionali il 20 aprile 2011. Inoltre, avevano luogo riunioni con la PT il 17 marzo e l’8 settembre 2011 nonché il 27 settembre 2012, e con la Telefónica il 21 marzo e il 7 settembre 2011 nonché il 27 settembre 2012 (punto 6 della decisione impugnata).

33      Il 21 ottobre 2011 la Commissione emanava una comunicazione degli addebiti, il 4 novembre 2011, le parti avevano accesso al fascicolo e, il 7 novembre 2011, esse ricevevano i documenti corrispondenti. Il 13 gennaio 2012 la Telefónica e la PT rispondevano alla comunicazione degli addebiti, senza peraltro chiedere alcuna audizione (punti 7, 8 e 9 della decisione impugnata).

34      Il 23 gennaio 2013 la Commissione adottava la decisione impugnata.

 Decisione impugnata

35      La Commissione ha precisato che il caso da cui è scaturita la decisione impugnata riguardava la clausola contenuta nell’accordo (v. supra, punti 1, 22 e 23) (punto 1 della decisione impugnata).

36      La Commissione ha precisato che, a suo avviso, secondo quanto indicato nella comunicazione degli addebiti, alla luce della clausola e delle circostanze (il contesto economico e giuridico nel quale si inseriva tale caso e il comportamento delle parti), la clausola equivaleva ad un accordo di ripartizione dei mercati avente ad oggetto la restrizione della concorrenza nel mercato interno, in violazione dell’articolo 101 TFUE, confermando tale conclusione nella decisione impugnata (punto 2 della decisione impugnata).

37      In primo luogo, la Commissione ha analizzato gli antecedenti in fatto delle trattative tra le parti che hanno portato all’introduzione della clausola nella versione definitiva dell’accordo, i fatti successivi alla firma di quest’ultimo (v. supra, punti da 10 a 29) e gli argomenti delle parti presentati in relazione a detti antecedenti e fatti (punti da 29 a 130 della decisione impugnata).

38      In secondo luogo, la Commissione ha ritenuto, quanto alla sfera di applicazione della clausola e ai mercati pertinenti, che essa riguardasse, alla luce della sua formulazione (v. supra, punti 1 e 23), qualsiasi progetto relativo a servizi di comunicazione elettronica, sempreché l’una o l’altra parte fornisse o potesse fornire un servizio di tal genere. Pertanto, e come emerge dalla sua formulazione, la clausola riguardava i servizi di telefonia fissa e mobile, di accesso a Internet e televisivi nonché i servizi di radiodiffusione, considerati servizi di comunicazione sebbene non menzionati nella clausola. Per contro, la Commissione ha precisato che, conformemente al tenore della clausola, qualsiasi attività esercitata e qualsiasi investimento effettuato anteriormente alla firma dell’accordo, ossia il 28 luglio 2010, erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola (punti da 132 a 136 e 185 della decisione impugnata).

39      Su quest’ultimo punto, la Commissione ha osservato che i servizi globali di telecomunicazione e i servizi all’ingrosso di trasporto internazionale erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola per la presenza di ciascuna parte nei mercati di detti servizi, nell’ambito della penisola iberica, alla data della firma dell’accordo (punti 173, 174, 184 e 185 della decisione impugnata).

40      Quanto alla portata geografica della clausola, la Commissione ha interpretato l’espressione «mercato iberico» nel senso di un riferimento ai mercati spagnolo e portoghese. Tenuto conto delle attività commerciali delle parti, consistenti in una presenza nella maggior parte dei mercati delle comunicazioni elettroniche nel paese d’origine di ciascuna parte e in una presenza scarsa, se non addirittura inesistente, nel paese d’origine della controparte (v. supra, punti da 3 a 8), la Commissione ha ritenuto che l’ambito di applicazione geografico della clausola riguardasse il Portogallo, per la Telefónica, e la Spagna, per la PT (punti da 137 a 140 della decisione impugnata).

41      Pertanto, la Commissione ha concluso che la clausola si applicava a tutti i mercati dei servizi di telecomunicazione elettronica e dei servizi televisivi in Spagna e in Portogallo, eccezion fatta per i mercati di fornitura di servizi globali di telecomunicazione e di servizi all’ingrosso di trasporto internazionale (punto 185 della decisione impugnata).

42      In terzo luogo, secondo la Commissione, non vi è dubbio che la clausola costituisce un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, trattandosi di un accordo scritto, concluso e firmato dalle parti, la cui esistenza è innegabile e che, per di più, la clausola è stata oggetto di un atto notarile nel cui preambolo si precisa che ad esso è allegata una copia dell’accordo (punto 237 della decisione impugnata).

43      Sotto un primo profilo, alla luce della giurisprudenza relativa alle restrizioni della concorrenza per oggetto, la Commissione ha ritenuto, dopo aver analizzato gli argomenti delle parti, che la clausola costituisse una restrizione per oggetto tenuto conto del contenuto dell’accordo, degli scopi perseguiti dalla clausola, del contesto economico e giuridico nel quale la clausola si inseriva, della condotta e del comportamento effettivo delle parti e, infine, dell’intenzione di queste ultime (punti da 238 a 242 e da 243 a 356 della decisione impugnata).

44      La Commissione ha quindi concluso, quanto all’oggetto della clausola, che, alla luce della sua sfera di applicazione, la clausola vietava alla PT di penetrare in uno dei mercati spagnoli delle telecomunicazioni e alla Telefónica di estendere la sua presenza, limitata, nei mercati portoghesi delle telecomunicazioni, e ciò per tutto il periodo di applicazione della clausola, cosicché, invece di farsi concorrenza reciprocamente e di comportarsi come rivali, comportamento normalmente atteso in un mercato aperto e concorrenziale, la Telefónica e la PT avevano convenuto, deliberatamente, di escludere e di limitare qualsiasi concorrenza nei rispettivi mercati, costituendo quindi la clausola un accordo di ripartizione dei mercati (punto 353 della decisione impugnata).

45      Su quest’ultimo punto, la Commissione ha precisato che la clausola poteva, per di più, ritardare l’integrazione nel settore delle comunicazioni elettroniche, in quanto il processo di integrazione di detto mercato sarebbe stato gravemente compromesso qualora operatori storici come la Telefónica e la PT avessero potuto rafforzare la loro posizione, già particolarmente forte, nel mercato partecipando a pratiche collusive volte a proteggere i loro mercati d’origine e di evitare l’entrata di altri operatori in tali mercati (punti 354 e 355 della decisione impugnata).

46      Sotto un secondo profilo, dopo aver ricordato che, conformemente alla giurisprudenza, la considerazione degli effetti concreti di un accordo è superflua a fronte della prova che quest’ultimo costituisca una restrizione della concorrenza per oggetto – ciò che, secondo la Commissione, è avvenuto nella specie – l’Istituzione ha tuttavia precisato, in risposta agli argomenti delle parti, che, anzitutto, la clausola era stata adottata da due concorrenti, essendo quindi idonea a produrre effetti anticoncorrenziali, che, inoltre, anche laddove la clausola fosse stata considerata inidonea a produrre effetti, ciò non avrebbe potuto impedire che essa potesse essere considerata costitutiva di una restrizione per oggetto in quanto, se un accordo ha per oggetto di restringere la concorrenza, è indifferente, per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione, che la conclusione dell’accordo sia avvenuta o meno nell’interesse commerciale dei contraenti, restando quindi del tutto irrilevante il fatto che la clausola avente ad oggetto la restrizione della concorrenza sia potuta risultare inidonea a produrre effetti nell’interesse commerciale della Telefónica o della PT, e che, infine, le parti non avevano affatto dimostrato di aver avviato nuove attività in Spagna o in Portogallo che potessero smentire l’attuazione della clausola, il che non dimostrava, di per sé, che la clausola fosse stata attuata, ma era un segnale che ciò avrebbe potuto verificarsi (punti 240 e da 357 a 365 della decisione impugnata).

47      Secondo la Commissione, doveva ritenersi, nella specie, non necessario dimostrare l’esistenza di un qualsivoglia effetto negativo sulla concorrenza, in quanto l’oggetto anticoncorrenziale della clausola era stato dimostrato e non occorreva quindi effettuare una valutazione dettagliata di ciascun mercato delle telecomunicazioni in questione nonché degli effetti della clausola nell’ambito di questi ultimi (punto 366 della decisione impugnata).

48      Sotto un terzo profilo, la Commissione ha precisato che la clausola non può essere considerata quale restrizione accessoria all’operazione Vivo, in quanto la clausola riguarda il mercato iberico mentre l’operazione Vivo riguarda un operatore la cui attività si limita al Brasile e che la clausola non può essere considerata necessaria per la realizzazione dell’operazione (punti da 367 a 433 della decisione impugnata).

49      La Commissione è giunta alla conclusione che la clausola imponeva un obbligo di non concorrenza alle parti costituendo un accordo di ripartizione dei mercati allo scopo di restringere la concorrenza nel mercato interno e violando, conseguentemente, l’articolo 101 TFUE, alla luce del contenuto dell’accordo (e, in particolare, della formulazione della clausola, che dava adito solo a pochi dubbi sulla sua natura, o addirittura a nessun dubbio) nonché del contesto economico e giuridico nel quale l’accordo si inseriva (ad esempio, i mercati delle comunicazioni elettroniche, che erano liberalizzati) e della condotta e del comportamento effettivi delle parti (in particolare, dell’annullamento della clausola unicamente ad opera delle stesse il 4 febbraio 2011, in seguito all’avvio del procedimento da parte della Commissione il 19 gennaio 2011, e non già in seguito alle conversazioni telefoniche dell’ottobre 2010, contrariamente a quanto affermato dalle parti) (punto 434 della decisione impugnata).

50      Sotto un quarto profilo, la Commissione ha precisato che la clausola non risponde ai requisiti fissati dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE (punti da 436 a 446 della decisione impugnata) e che può compromettere gli scambi tra Stati membri (punti da 447 a 453 della decisione impugnata).

51      Sotto un quinto profilo, per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la Commissione ha concluso che tale durata copre il periodo decorrente dalla data della conclusione definitiva dell’operazione, ossia il 27 settembre 2010 (v. supra, punto 25), alla data in cui la clausola è stata annullata, ossia il 4 febbraio 2011 (v. supra, punto 29) (punti da 454 a 465 della decisione impugnata).

52      Sotto un sesto profilo, per quanto attiene al calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato, nella decisione impugnata, le disposizioni degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti»).

53      Ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione ha tenuto conto del valore delle vendite dei servizi oggetto della clausola, quali definiti nella sezione 5 della decisione impugnata (v. supra, punti da 38 a 40) e, in particolare, per ciascuna parte, unicamente il valore delle proprie vendite nel paese d’origine (punti da 478 a 483 della decisione impugnata).

54      La Commissione ha altresì ricordato di tener conto, in linea generale, delle vendite realizzate dalle imprese durante l’ultimo anno completo della loro partecipazione all’infrazione, ma che, nella specie, l’infrazione era durata meno di un anno e aveva avuto luogo tra il 2010 e il 2011. Successivamente, la Commissione ha fatto ricorso alle vendite delle imprese nel corso del 2011, che erano più ridotte rispetto alle vendite registrate dalle parti nel 2010 (punto 484 della decisione impugnata).

55      Quanto alla gravità dell’infrazione, che determina la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione per fissare l’importo di base dell’ammenda, la Commissione ha ricordato che l’infrazione è costituita da un accordo di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche e televisive spagnolo e portoghese e che la Telefónica e la PT sono gli operatori storici nei rispettivi paesi. Inoltre, la Commissione ha precisato di tener conto del fatto che la clausola non è stata tenuta segreta dalle parti (v. supra, punti 16 e 27). Alla luce di tali elementi, la Commissione ha ritenuto che la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione dovesse essere pari al 2% per le due imprese interessate (punti da 489 a 491 e 493 della decisione impugnata).

56      Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che la durata si è estesa dal 27 settembre 2010 (data della constatazione mediante atto notarile e, quindi, della conclusione definitiva dell’operazione) al 4 febbraio 2011 (data dell’accordo delle parti che poneva fine alla clausola). (punto 492 della decisione impugnata).

57      La Commissione non ha rilevato alcuna circostanza aggravante e ha ritenuto che la data di cessazione della validità della clausola, il 4 febbraio 2011, costituisse una circostanza attenuante tenuto conto del fatto che la stessa aveva avuto luogo solo sedici giorni dopo l’avvio del procedimento e 30 giorni dopo l’invio della prima richiesta di informazioni alle parti. Poiché la clausola non era, peraltro, segreta, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle parti del 20% (punti 496, 500 e 501 della decisione impugnata).

58      L’importo definitivo delle ammende ammonta a EUR 66 894 000 per la Telefónica e a EUR 12 290 000 per la PT (punto 512 della decisione impugnata). La Commissione ha precisato che tale importo non supera il 10% del fatturato totale realizzato da ciascuna impresa interessata (punti 510 e 511 della decisione impugnata).

59      Il dispositivo della decisione impugnata così recita:

«Articolo 1

La [Telefónica] e la [PT] hanno commesso una violazione dell’articolo 101 [TFUE] stipulando un patto di non concorrenza consistente nell’articolo nove dell’accordo concluso da tali società il 28 luglio 2010.

La durata dell’infrazione si è protratta dal 27 settembre 2010 al 4 febbraio 2011.

Articolo 2

«Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono inflitte le seguenti ammende:

a) alla [Telefónica]: EUR 66 894 000

b) alla [PT]: EUR 12 290 000

(…)»

 Procedimento e conclusioni delle parti

60      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 9 aprile 2013, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

61      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, ha posto alla Commissione un quesito scritto cui rispondere in udienza.

62      Il 31 marzo 2015 la ricorrente ha presentato domanda di audizione di testimoni, reiterando così la domanda di audizione di testimoni formulata nell’atto introduttivo del ricorso quale «capo di domanda integrativo». Il 24 aprile 2015 la Commissione ha presentato proprie osservazioni su detta domanda.

63      Le difese orali delle parti e le risposte di queste ultime ai quesiti orali e al quesito scritto posti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 19 maggio 2015.

64      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare gli articoli 1 e 2 della decisione impugnata nella parte in cui la riguardano;

–        in subordine, dichiarare la nullità parziale dell’articolo 2 della decisione impugnata e ridurre l’importo della sanzione inflitta, «per le ragioni esposte nella presente memoria o per altre ragioni che il Tribunale potrebbe considerare»;

–        condannare la Commissione a pagare le spese da essa sostenute nel presente procedimento.

65      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

66      All’udienza la ricorrente ha precisato che, con l’espressione «dichiarare la nullità parziale dell’articolo 2 della decisione impugnata», contenuta nel secondo capo della domanda, essa ha chiesto l’annullamento parziale della decisione impugnata. Inoltre, essa ha precisato di essersi limitata a chiedere l’annullamento parziale per le ragioni esposte nell’atto introduttivo del ricorso, in quanto la formula «o per altre ragioni che il Tribunale potrebbe considerare» corrisponde a una formula di rito nel diritto spagnolo.

 In diritto

I –  Sulla ricevibilità

67      In limine, la Commissione contesta la ricevibilità di taluni allegati all’atto introduttivo del ricorso, mentre la ricorrente contesta la ricevibilità dei rinvii operati dalla Commissione nelle proprie memorie al ricorso parallelo proposto dalla PT contro la decisione impugnata nella causa T‑208/13, Portugal Telecom/Commissione.

A –  Sulla ricevibilità di taluni allegati all’atto introduttivo del ricorso

68      La Commissione fa valere che taluni allegati acclusi dalla ricorrente all’atto introduttivo del ricorso non sono stati forniti nel procedimento amministrativo e devono essere quindi dichiarati irricevibili. Ciò si sarebbe verificato nel caso degli allegati A.25, A.37, A.55, A.56, A.57, A.58, A.59, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65, A.67, A.69, A.70, A.71, A.72, A.74, A.75, A.76, A.77, A.78, A.79, A.80, A.81, A.82 e A.83 nonché degli articoli di stampa elencati nell’allegato A.70 che non figuravano ancora nel fascicolo amministrativo, ossia gli allegati A.19, A.28, A.41, A.44, A.45, A.46, A.47, A.48, A.49, A.51 e A.53, e di parti degli allegati A.9, A.11, A.12, A.13, A.14, A.16, A.18, A.20, A.21, A.22, A.23, A.27, A.29, A.30, A.38, A.39, A.40, A.43 e A.52.

69      Per quanto riguarda gli allegati presentati a sostegno dei motivi volti a contestare l’accertamento dell’infrazione, la Commissione sostiene che essi sono irricevibili in quanto la legittimità di un atto dell’Unione si valuta in funzione degli elementi di fatto e di diritto esistenti alla data in cui l’atto è stato adottato. Inoltre, secondo la Commissione, l’esame della legittimità di una decisione dev’essere effettuato, in linea di principio, in base agli elementi di fatto e di diritto menzionati dalle parti nel corso del procedimento amministrativo.

70      Riguardo agli allegati presentati a sostegno dei motivi volti a contestare l’importo dell’ammenda, la Commissione fa valere che, se è pur vero che il Tribunale può, in forza della sua competenza estesa al merito, prendere in considerazione, nella valutazione dell’importo dell’ammenda, elementi complementari di informazione non menzionati nella decisione impugnata, alla luce del principio della certezza del diritto, tale possibilità deve limitarsi, in via di principio, all’esame di elementi di informazione precedenti a detta decisione che essa avrebbe potuto conoscere al momento della sua adozione. Orbene, ciò non si verificherebbe nel caso degli allegati A.76 (una relazione del 4 aprile 2013), A.77, A.80, A.81 (una relazione e documenti del 5 aprile 2013) e, infine, A.82 (un documento dell’8 aprile 2013).

71      Infine, la Commissione afferma, con riferimento alle relazioni giuridiche, ossia gli allegati A.69 e A.76, che gli elementi di diritto contenuti in queste ultime dovrebbero comparire nel testo stesso delle memorie della ricorrente o, quantomeno, essere sufficientemente individuati in tali memorie. Quanto alle relazioni economiche, ossia gli allegati A.75 e A.77, dalla giurisprudenza risulterebbe che le medesime non sarebbero pertinenti in caso di accordi il cui oggetto restrittivo sia incontestabilmente dimostrato.

72      Tuttavia, all’udienza, la Commissione ha precisato che le relazioni giuridiche non sono irricevibili nel caso in cui i punti di diritto che tali relazioni dovrebbero illustrare siano individuati in modo sufficientemente preciso nelle memorie, riconoscendo, in risposta a un quesito del Tribunale, che così è avvenuto nella specie, essendosi la ricorrente riferita a punti abbastanza precisi delle relazioni in questione a sostegno di elementi del proprio ragionamento chiaramente individuati ai punti 78, 83, 85, 90, 94 e nella nota a piè di pagina n. 167 dell’atto introduttivo del ricorso. Inoltre, la Commissione ha precisato di non invocare la giurisprudenza secondo cui le relazioni economiche non sono pertinenti nel caso di accordi il cui oggetto restrittivo sia incontestabilmente dimostrato al fine di contestare la ricevibilità di dette relazioni, ma al fine di far valere che non occorra tenerne conto in fase di analisi nel merito dell’infrazione.

73      Secondo la ricorrente, la Commissione procede a un’interpretazione non corretta della giurisprudenza: sarebbero considerati irricevibili soltanto gli elementi di fatto o di diritto successivi alla data di adozione della decisione, ipotesi che non ricorrerebbe nel caso degli allegati che la Commissione tenterebbe di escludere, riguardanti circostanze precedenti alla decisione. Inoltre, relazioni economiche e giuridiche appositamente redatte al fine di contestare la decisione sarebbero parimenti ricevibili.

74      Si deve distinguere, nell’ambito degli allegati di cui si contesta la ricevibilità, tra quelli prodotti nell’ambito della contestazione dell’accertamento dell’infrazione, da un lato, e, dall’altro, quelli prodotti nell’ambito della contestazione dell’importo dell’ammenda.

75      In primo luogo, sotto un primo profilo, va osservato che, tra gli allegati di cui si contesta la ricevibilità, sono stati prodotti i seguenti allegati al fine di contestare l’accertamento dell’infrazione: gli allegati A.25, A.37, A.55, A.56, A.57, A.58, A.59, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65, A.67, A.69, A.70, A.71, A.72, A.74, A.75, A.76, A.77, A.78 e A.79 nonché gli articoli di stampa citati nell’allegato A.70.

76      Sotto un secondo profilo, anzitutto, va osservato che gli allegati A.56 (una tabella riassuntiva contenente i dati di contatto dei consiglieri e dei rappresentanti della Telefónica e della PT al momento della negoziazione dell’operazione), A.69 (un parere di diritto portoghese reso dal sig. M.P.), A.70 (una tabella riassuntiva degli articoli di stampa citati nell’atto introduttivo del ricorso), A.71 [una dichiarazione rilasciata dall’Ordine degli Avvocati di Madrid (Spagna) relativa alle sanzioni disciplinari], A.75 (una relazione della PWC), A.76 (una relazione sul diritto brasiliano redatta dalla D.W.C.A.) e A.77 (una relazione della S. & R.) sono stati elaborati specificamente ai fini della contestazione della decisione impugnata. Orbene, dai propri argomenti, elaborati nell’ambito della controreplica, emerge che la Commissione non contesta la ricevibilità di elementi di prova successivi alla decisione impugnata, bensì costituiti specificamente al fine di impugnare tale decisione o di difenderla.

77      Inoltre, come la stessa ha ammesso all’udienza, la Commissione non può tantomeno contestare la ricevibilità delle relazioni giuridiche elaborate specificamente al fine di contestare la decisione impugnata, ossia gli allegati A.69 (un parere di diritto portoghese reso dal sig. M.P.) e A.76 (una relazione sul diritto brasiliano redatta dalla D.W.C.A.), per il fatto che, contenendo gli allegati elementi di diritto sui quali si fondano taluni motivi elaborati nell’atto introduttivo del ricorso, gli elementi medesimi dovrebbero comparire nel testo stesso della memoria alla quale tali allegati sono acclusi o, quantomeno, essere sufficientemente individuati in tale memoria. Infatti, nella specie, gli elementi di diritto contenuti nelle relazioni giuridiche sono sufficientemente individuati nelle memorie della ricorrente (v. supra, punto 72). In tali circostanze, gli allegati A.69 e A.76 devono essere dichiarati ricevibili.

78      Infine, le stesse considerazioni valgono, come ha altresì riconosciuto la Commissione all’udienza (v. supra, punto 72), per le relazioni economiche elaborate specificamente al fine di contestare la decisione impugnata, ossia gli allegati A.75 (una relazione della PWC) e A.77 (una relazione della S. & R.), in quanto la questione della pertinenza di tali rapporti in caso di accordi il cui oggetto restrittivo sia incontestabilmente dimostrato, sollevata dalla Commissione, ha riguardato manifestamente il merito della controversia, cosicché l’eventuale risposta a tale questione non può essere decisiva per la ricevibilità degli allegati.

79      Sotto un terzo profilo, al fine di individuare con precisione i restanti allegati, prodotti al fine di contestare l’accertamento dell’infrazione, di cui la Commissione contesta la ricevibilità per non essere stati prodotti durante il procedimento amministrativo, va osservato che la Commissione sostiene che alcuni di tali allegati (v. supra, punto 75) sono in tutto o in parte complementari rispetto agli elementi dedotti nel corso del procedimento amministrativo, senza essere contraddetta, su tale punto, ex adverso.

80      Al fine di individuare con precisione gli allegati o parti di allegati compresi, in tal caso, tra gli allegati presentati nell’ambito della contestazione della legittimità della decisione impugnata di cui la Commissione deduce l’irricevibilità, e oltre a quelli elaborati specificamente al fine di mettere in discussione la decisione impugnata (v. supra, punto 76), si devono distinguere, da un lato, gli articoli di stampa elencati nell’allegato A.70 e, dall’altro, gli altri allegati presentati nell’ambito della contestazione dell’accertamento dell’infrazione di cui la Commissione deduce l’irricevibilità.

81      Per quanto riguarda, da un lato, gli articoli di stampa elencati nell’allegato A.70, ossia gli allegati A.8, A.9, A.10, A.11, A.12, A.13, A.14, A.16, A.17, A.18, A.19, A.20, A.21, A.22, A.23, A.24, A.26, A.27, A.28, A.29, A.30, A.35, A.36, A.38, A.39, A.40, A.41, A.43, A.44, A.45, A.46, A.47, A.48, A.49, A.51, A.52, A.53 e A.54, va osservato che la Commissione ha riconosciuto all’udienza che l’allegato A.70 indicava correttamente quali fra detti allegati erano già contenuti in tutto o in parte negli atti e quali erano complementari, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Ne consegue che si deve considerare che la totalità degli allegati A.8, A.10, A.17, A.24, A.26, A.35, A.36, A.54 nonché le parti, già indicate come comprese nel fascicolo, degli allegati A.9, A.11, A.12, A.13, A.14, A.16, A.18, A.20, A.21, A.22, A.23, A.27, A.29, A.30, A.38, A.39, A.40, A.43 e A.52 erano già contenute nel fascicolo amministrativo della causa in esame, cosicché la loro ricevibilità non è contestata. Per contro, gli allegati A.19, A.28, A.41, A.44, A.45, A.46, A.47, A.48, A.49, A.51 e A.53 nonché le parti indicate come complementari agli allegati A.9, A.11, A.12, A.13, A.14, A.16, A.18, A.20, A.21, A.22, A.23, A.27, A.29, A.30, A.38, A.39, A.40, A.43 e A.52 non sono state presentate nel corso del procedimento amministrativo, cosicché la loro ricevibilità è contestata.

82      Per quanto riguarda, d’altro lato, altri allegati presentati a sostegno della contestazione della legittimità della decisione impugnata la cui irricevibilità è dedotta dalla Commissione (v. supra, punto 75), e oltre a quelli elaborati specificamente al fine di mettere in discussione la decisione impugnata (v. supra, punto 76), ossia gli allegati A.25, A.37, A.55, A.57, A.58, A.59, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65, A.67, A.72, A.74, A.78 e A.79, dal fascicolo emerge che solo quelli fra tali allegati che contengono una corrispondenza la cui autenticità è attestata da un notaio, ad eccezione dell’allegato A.58, ossia gli allegati A.55, A.57, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65 e A.67 nonché l’allegato A.37, contengono parti già contenute nel fascicolo amministrativo.

83      Al riguardo, anzitutto, va osservato che la Commissione afferma, nella nota a piè di pagina n. 11 del controricorso, che gli atti notarili inclusi quali allegati A.25, A.55, A.57, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65 e A.67 sono talvolta accompagnati da una corrispondenza già contenuta nel fascicolo amministrativo, come avviene, ad esempio, nel caso dell’allegato A.65. Tale affermazione è confermata dalla ricorrente, che ribatte nella nota a piè di pagina n. 6 della replica che gli allegati da A.55 a A.63, A.65 e A.67 contengono scambi di corrispondenza inter partes durante le trattative che risultavano nel fascicolo amministrativo, ma la cui data è ora attestata da un notaio, nonché altri scambi che rafforzano la prova di un fatto già noto alla Commissione, ossia la partecipazione del governo portoghese a dette negoziazioni. Da tali affermazioni risulta che, laddove gli allegati così menzionati dalle parti contengono una corrispondenza, quest’ultima era già contenuta nel fascicolo amministrativo, cosicché la sua ricevibilità non è contestata, mentre gli atti notarili che l’accompagnano sono complementari, cosicché la loro ricevibilità è contestata.

84      Inoltre, occorre precisare che gli allegati A.25 e A.59 non contengono alcuna corrispondenza, ma, da un lato, un atto notarile dei conti annuali della PT e della C.G. di D. e, dall’altro, estratti del Diário da República relativi alla nomina e alla cessazione dalle funzioni del capo di gabinetto del primo ministro portoghese; che la ricorrente stessa ha ammesso di non aver prodotto l’allegato A.58 nel corso del procedimento amministrativo; e, infine, che l’allegato A.37 era già contenuto negli atti della Commissione, in quanto la PT l’aveva accluso alla sua risposta alla comunicazione degli addebiti.

85      Infine, dal combinato disposto delle note a piè di pagina n. 11 del controricorso e n. 6 della replica (v. supra, punto 83) e dalle constatazioni formulate al punto precedente occorre dedurre che l’allegato A.37 nonché la corrispondenza contenuta negli allegati A.55, A.57, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65 e A.67 erano già contenuti nel fascicolo, cosicché la loro ricevibilità non è contestata. Per contro, gli atti notarili contenuti in detti allegati nonché gli allegati A.25, A.58, A.59, A.72, A.74, A.78 e A.79 non sono stati presentati nel procedimento amministrativo, cosicché la loro ricevibilità è contestata.

86      Da tutte le suesposte considerazioni risulta che, tra gli allegati prodotti ai fini della contestazione dell’accertamento dell’infrazione, è contestata soltanto la ricevibilità dei seguenti allegati: trattasi, in primo luogo, degli allegati A.25, A.58, A.59, A.72, A.74, A.78 e A.79, in secondo luogo, degli atti notarili contenuti negli allegati A.55, A.57, A.60, A.61, A.62, A.63, A.65 e A.67 e, in terzo luogo, tra gli articoli di stampa, degli allegati A.19, A.28, A.41, A.44, A.45, A.46, A.47, A.48, A.49, A.51 e A.53 nonché delle parti degli allegati A.9, A.11, A.12, A.13, A.14, A.16, A.18, A.20, A.21, A.22, A.23, A.27, A.29, A.30, A.38, A.39, A.40, A.43 e A.52, che sono definite complementari nella tabella contenuta nell’allegato A.70.

87      Riguardo alla ricevibilità di tali allegati, va ricordato, come la Corte ha più volte avuto modo di precisare, che la portata del sindacato di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE si estende a tutti gli elementi delle decisioni della Commissione relative alle procedure di applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE di cui il Tribunale garantisce un controllo approfondito, sia in diritto che in fatto, alla luce dei motivi dedotti dalle ricorrenti (v., in tal senso, sentenze dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑272/09 P, Racc., EU:C:2011:810, punti 102 e 109, e Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, Racc., EU:C:2011:815, punti 62 e 82, e del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, Racc., EU:C:2014:2062, punti 56 e 59) e tenuto conto di tutti gli elementi presentati da queste ultime, che siano precedenti o successivi alla decisione adottata, che siano stati previamente presentati nell’ambito del procedimento amministrativo o, per la prima volta, nell’ambito del ricorso di cui è investito il Tribunale, nei limiti in cui questi ultimi elementi siano pertinenti ai fini del controllo della legittimità della decisione della Commissione (v., in tal senso, sentenza del 1° luglio 2010, Knauf Gips/Commissione, C‑407/08 P, Racc., EU:C:2010:389, punti da 87 a 92), fermo restando, tuttavia, che i giudici dell’Unione non possono, nell’ambito del controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE, sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto in questione (v., in tal senso, sentenza del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, Racc., EU:C:2013:32, punto 89 e giurisprudenza ivi citata).

88      Ne consegue che l’eccezione di irricevibilità dedotta dalla Commissione con riferimento agli allegati prodotti ai fini della contestazione dell’accertamento dell’infrazione e individuati supra al punto 86 dev’essere respinta e che tali allegati devono essere dichiarati ricevibili.

89      In secondo luogo, va osservato, per quanto riguarda gli allegati prodotti ai fini della domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda la cui ricevibilità è contestata e ad eccezione degli allegati A.75 e A.77, che sono stati anche presentati nell’ambito della contestazione della legittimità della decisione impugnata e che sono già stati dichiarati ricevibili (v. supra, punti 76 e 78), ossia gli allegati A.80, A.81, A.82 e A.83, che è stato dichiarato che il Tribunale era competente a valutare, nell’ambito della competenza estesa al merito, l’adeguatezza dell’importo delle ammende, potendo tale valutazione giustificare la produzione e la presa in considerazione di elementi aggiuntivi d’informazione non menzionati nella decisione impugnata (sentenze del 16 novembre 2000, SCA Holding/Commissione, C‑297/98 P, Racc., EU:C:2000:633, punti da 53 a 55, e del 9 luglio 2003, Cheil Jedang/Commissione, T‑220/00, Racc., EU:T:2003:193, punto 100). Ne consegue che la ricevibilità degli allegati prodotti ai fini della riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente non può essere contestata per il fatto che tali elementi non erano stati ancora prodotti durante il procedimento amministrativo.

90      Alla luce dei suesposti rilievi, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione dev’essere respinta e gli allegati prodotti dalla ricorrente sono ricevibili in toto.

B –  Sulla ricevibilità dei rinvii al ricorso parallelo della PT contro la decisione impugnata

91      La ricorrente sostiene che, laddove viene fatto riferimento, ai punti 10, 39, 67 e 75 del controricorso, al ricorso parallelo proposto dalla PT contro la decisione impugnata, la Commissione ignora il principio fondamentale del contraddittorio e viola il diritto di difesa della ricorrente stessa. La Commissione non potrebbe far valere argomenti dedotti da terzi in un procedimento distinto, in quanto la ricorrente non avrebbe avuto accesso ai testi in questione e non potrebbe difendersi contro gli argomenti in essi contenuti. Inoltre, non si potrebbe escludere che la Commissione operi un’interpretazione distorta e interessata delle affermazioni della PT, come avrebbe già fatto nel procedimento amministrativo. Infine, la Commissione incorrerebbe in parzialità laddove menzionerebbe solo gli argomenti della PT che confermano la sua tesi accusatoria, senza citare i punti, la cui esistenza dovrebbe essere presunta, sui quali le parti concordano.

92      Secondo la Commissione, facendo essa riferimento, nelle proprie memorie, ad affermazioni della PT, quest’ultima può contestarle, cosicché non può sussistere una violazione dei diritti della difesa. All’udienza, la Commissione ha precisato che le citazioni dei documenti della PT non hanno fatto altro che riprendere elementi già dedotti nel corso del procedimento amministrativo e che, in ogni caso, essa ha fatto riferimento a tali documenti soltanto a titolo illustrativo.

93      In ogni caso, occorre rilevare che dalla giurisprudenza emerge che, per soddisfare le condizioni connesse al diritto a un processo equo, occorre che le parti abbiano conoscenza e possano discutere in contraddittorio gli elementi di fatto e di diritto decisivi per l’esito del procedimento (sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, Racc., EU:C:2009:742, punto 56).

94      Se è pur vero che la ricorrente ha potuto prendere conoscenza degli elementi dedotti dalla Commissione nel proprio controricorso e ha potuto far valere la propria posizione in merito a tali elementi nella replica e pronunciarsi, all’udienza, sugli elementi dedotti dalla Commissione nella controreplica, resta comunque il fatto che, non avendo avuto accesso al testo delle memorie della PT, citato dalla Commissione, la ricorrente non è stata in grado di accertare la veridicità dei richiami sui quali si è fondata l’Istituzione né il contesto nel quale le stesse erano formulate. Orbene, la ricorrente fa valere che non si può escludere che la Commissione richiami in modo selettivo e interpreti in modo distorto gli estratti della memoria della PT.

95      Dalle suesposte considerazioni risulta che i rinvii ai documenti della PT nella causa parallela, operati dalla Commissione, sono irricevibili.

II –  Nel merito

96      A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente deduce otto motivi, di cui i primi cinque sono diretti all’annullamento della decisione impugnata, mentre gli ultimi tre sono volti alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 101 TFUE, per errata applicazione alla clausola della giurisprudenza relativa alle restrizioni per oggetto, e sui principi della presunzione di innocenza, dell’onere della prova e in dubio pro reo. Il secondo motivo verte sulla violazione dell’articolo 101 TFUE per manifesto errore di valutazione dei fatti e del principio di valutazione, nel loro insieme, delle prove relative al contesto, al comportamento delle parti e alla finalità della clausola. Il terzo motivo, verte sulla violazione dei principi dell’onere della prova e di buona amministrazione, dei diritti della difesa e della presunzione di innocenza in relazione alla prova dell’intervento del governo portoghese nei negoziati dell’operazione e della clausola in particolare. Il quarto motivo verte sulla violazione dell’articolo 101 TFUE, su una carenza di motivazione e sull’errata valutazione dell’idoneità della pratica a restringere la concorrenza. Il quinto motivo verte sulla violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la clausola non sarebbe una restrizione per effetto, sulla violazione delle norme sull’onere della prova e del principio in dubio pro reo. Il sesto motivo verte su un errore manifesto nel calcolo del valore iniziale delle vendite della Telefónica ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda e sulla violazione dei principi di proporzionalità e di motivazione. Il settimo motivo verte su un errore manifesto nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità e sulla violazione del principio di proporzionalità. Infine, l’ottavo motivo verte sulla violazione dell’articolo 101 TFUE e del principio di proporzionalità e su un errore manifesto dovuto al mancato riconoscimento di altre circostanze attenuanti.

A –  Sulla domanda diretta all’annullamento della decisione impugnata

1.     Sui primi tre motivi, vertenti, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la clausola non costituirebbe una restrizione della concorrenza per oggetto

97      Con i primi tre motivi, che devono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente contesta la conclusione della Commissione secondo cui la clausola costituirebbe una restrizione della concorrenza per oggetto. La ricorrente contesta alla Commissione di aver considerato la clausola un accordo di non concorrenza indipendente dall’operazione Vivo e di aver ritenuto che l’inciso «nei limiti consentiti dalla legge» non avesse alcun fine utile e fosse stato introdotto solo a fini puramente estetici, allo scopo di dissimulare una restrizione della concorrenza. Orbene, secondo la ricorrente, sarebbe impossibile intendere la clausola indipendentemente dall’operazione Vivo e dal processo di negoziazione dell’accordo relativo a tale operazione, caratterizzato dall’intervento permanente del governo portoghese, che intendeva garantire, attraverso la clausola, in particolare, la continuità della PT quale impresa leader indipendente nel mercato portoghese. Ciò detto, la clausola sarebbe stata un elemento indispensabile per rendere l’operazione fattibile e la salvaguardia legale «nei limiti consentiti dalla legge» avrebbe trasformato l’obbligo di non concorrenza inizialmente previsto in un obbligo di autovalutazione concernente la legittimità e l’ambito di applicazione di una restrizione accessoria all’operazione in questione sotto forma di impegno di non concorrenza.

a)     Osservazioni preliminari

98      Va ricordato che la nozione di accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE risulta dall’espressione, da parte delle imprese partecipanti, della comune volontà di comportarsi sul mercato in una determinata maniera (v., per quanto riguarda l’articolo 81, paragrafo 1, CE, sentenza dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc., EU:C:1999:356, punto 130; per quanto riguarda l’articolo 65, paragrafo 1, CA, sentenza dell’11 marzo 1999, Thyssen Stahl/Commissione, T‑141/94, Racc., EU:T:1999:48, punto 262). Tale nozione è quindi incentrata sull’esistenza, tra almeno due parti, di una comune volontà, il cui modo di manifestarsi non è rilevante, purché sia fedele espressione della volontà delle parti stesse (sentenze del 26 ottobre 2000, Bayer/Commissione, T‑41/96, Racc., EU:T:2000:242, punto 69, e del 19 maggio 2010, IMI e a./Commissione, T‑18/05, Racc., EU:T:2010:202, punto 88).

99      Inoltre, occorre ricordare che, per ricadere nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo, una decisione di associazione di imprese o una pratica concordata devono avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno.

100    A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (v. sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, Racc., EU:C:2014:2204, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

101    Tale giurisprudenza si fonda sul fatto che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

102    È quindi pacifico che la probabilità che certi comportamenti collusivi, come quelli volti alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi, è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare che tali comportamenti hanno effetti concreti sul mercato. L’esperienza, infatti, dimostra che tali comportamenti determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo ad una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

103    Nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerebbe, per contro, esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

104    Secondo la giurisprudenza della Corte, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presenti un grado sufficiente di dannosità per essere considerati come una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano. Nella valutazione di tale contesto, si deve prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

105    Inoltre, sebbene l’intento delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo tra imprese, nulla vieta alle autorità garanti della concorrenza ovvero ai giudici nazionali e dell’Unione di tenerne conto (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 54, e giurisprudenza ivi citata).

106    È alla luce di tale giurisprudenza che occorre esaminare se, nella specie, la Commissione abbia correttamente concluso che, a fronte della clausola e delle circostanze (il contesto economico e giuridico in cui si inseriva tale caso e il comportamento delle parti), la clausola equivaleva a un accordo di ripartizione dei mercati avente ad oggetto la restrizione della concorrenza nel mercato interno, in violazione dell’articolo 101 TFUE (punti 2 e 434 della decisione impugnata).

b)     Sulla valutazione della clausola quale possibile restrizione accessoria all’operazione Vivo

107    Va osservato che la ricorrente contesta alla Commissione di essersi limitata ad affermare che la clausola non rispondeva ai criteri di una restrizione accessoria all’operazione Vivo mentre, se fosse stato possibile discutere della questione se la clausola fosse una restrizione accessoria stricto sensu, sarebbe stato indubbio, alla luce del contesto nel quale è stata negoziata, che essa era subordinata al fine ultimo della conclusione di un’operazione ben più complessa, essendo una «condicio sine qua non» affinché la PT e, soprattutto, il governo portoghese non bloccassero l’operazione. Inoltre, la Telefónica avrebbe fatto tutto il possibile per limitare il contenuto anticoncorrenziale della clausola, in particolare attraverso l’inserimento dell’inciso «nei limiti consentiti dalla legge».

108    La Commissione deduce che la questione non è se la clausola fosse indipendente dall’operazione, bensì se potesse essere qualificata come accessoria a tale operazione.

109    All’udienza la ricorrente ha precisato di non contestare la conclusione della Commissione contenuta nei punti da 367 a 433 della decisione impugnata, secondo la quale la clausola non avrebbe potuto essere qualificata come restrizione accessoria all’operazione Vivo. Di tale affermazione si è preso atto nel verbale d’udienza.

110    Ne consegue che non occorre più esaminare l’argomento della ricorrente sotto il profilo della questione se la clausola avrebbe potuto essere qualificata come restrizione accessoria all’operazione Vivo.

c)     Sull’autonomia del comportamento della ricorrente

111    All’udienza il Tribunale ha interrogato la ricorrente anche in merito alla questione se il suo argomento, vertente sulla presunta influenza del governo portoghese, dovesse essere inteso nel senso che, per effetto di detta influenza, la Telefónica avrebbe perso qualsiasi autonomia nell’attuazione delle decisioni delle pubbliche autorità, il che potrebbe sottrarre il suo comportamento all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 1996, Asia Motor France e a./Commissione, T‑387/94, Racc., EU:T:1996:120, punti 65 e 69).

112    In risposta a tale questione, la ricorrente ha affermato di essere rimasta un attore autonomo nel senso che essa avrebbe potuto non firmare l’accordo. Per quanto riguarda, più in particolare, la clausola, la ricorrente ha precisato che, conformemente alle proprie affermazioni scritte, il suo argomento sull’autonomia della Telefónica durante il processo di negoziazione doveva essere inteso nei seguenti termini: da un lato, la Telefónica sarebbe rimasta autonoma nel senso che avrebbe potuto far sì che la dicitura «nei limiti consentiti dalla legge» fosse inserita nella clausola, ma, dall’altro, non avrebbe potuto escludere la clausola così interamente modificata senza correre il rischio di compromettere l’operazione nel suo insieme.

113    Ciò detto, si deve rilevare che, nei limiti in cui tali precisazioni della ricorrente possano essere intese nel senso che essa intenderebbe sostenere di aver perso qualsiasi autonomia nell’attuazione delle decisioni delle pubbliche autorità, il che dovrebbe sottrarre il suo comportamento all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, tale argomento non può essere, in ogni caso, accolto.

114    Al riguardo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che gli articoli 101 e 102 TFUE riguardano soltanto comportamenti anticoncorrenziali adottati dalle imprese di loro propria iniziativa. Se un comportamento anticoncorrenziale viene imposto alle imprese da una normativa nazionale o se quest’ultima crea un contesto giuridico che di per sé elimina ogni possibilità di comportamento concorrenziale da parte loro, gli articoli 101 e 102 TFUE non trovano applicazione. In una situazione del genere, la restrizione alla concorrenza non trova origine, come queste norme implicano, in comportamenti autonomi delle imprese (v. sentenza del 10 aprile 2008, Deutsche Telekom/Commissione, T‑271/03, Racc., EU:T:2008:101, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

115    La possibilità di escludere un determinato comportamento anticoncorrenziale dall’ambito di applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE per il fatto che esso è stato imposto alle imprese in questione dalla normativa nazionale esistente ovvero per il fatto che questa ha eliminato ogni possibilità di comportamento concorrenziale da parte loro è stata ammessa solo in maniera restrittiva dalla Corte (v. sentenza Deutsche Telekom/Commissione, cit. supra al punto 114, EU:T:2008:101, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

116    Infatti, anche se il comportamento di un’impresa può esulare dall’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto l’impresa non dispone di autonomia, non ne consegue però che qualsiasi comportamento dettato o diretto dalle autorità nazionali esuli dalla sfera di applicazione di detta disposizione. Quindi, se un provvedimento statale ricalca gli elementi di un’intesa stipulata tra gli operatori economici di un settore o è adottato su consultazione e con l’accordo degli operatori economici interessati, detti operatori non possono invocare l’indole coercitiva della disciplina per sottrarsi all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v. sentenza Asia Motor France e a./Commissione, cit. supra al punto 111, EU:T:1996:120, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

117    Non essendovi alcuna disposizione regolamentare cogente che imponesse un comportamento anticoncorrenziale, la Commissione non può quindi concludere per la mancanza di autonomia degli operatori in questione, salvo che emerga, in base a indizi obiettivi, pertinenti e concordanti, che detto comportamento è stato loro imposto dalle autorità nazionali che hanno esercitato pressioni insostenibili, come la minaccia di adottare misure statali che potevano pregiudicarle seriamente (sentenze Asia Motor France e a./Commissione, cit. supra al punto 111, EU:T:1996:120, punto 65, dell’11 dicembre 2003, Minoan Lines/Commissione, T‑66/99, Racc., EU:T:2003:337, punto 179, e del 27 settembre 2012, Koninklijke Wegenbouw Stevin/Commissione, T‑357/06, Racc., EU:T:2012:488, punto 44).

118    Inoltre, per eludere l’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, le pressioni devono essere esercitate in modo tale da privare gli operatori interessati di qualsiasi autonomia nell’attuazione delle decisioni delle pubbliche autorità (v., in tal senso, sentenza Asia Motor France e a./Commissione, cit. supra al punto 111, EU:T:1996:120, punti 65 e 69). In mancanza di tale perdita di autonomia, la circostanza che un comportamento anticoncorrenziale sia stato favorito o incoraggiato da pubbliche autorità è, di per sé, ininfluente ai fini dell’applicabilità dell’articolo 101 TFUE (v., in tal senso, sentenza Asia Motor France e a./Commissione, cit. supra al punto 111, EU:T:1996:120, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

119    Nella specie, la ricorrente non può sostenere che presunte manovre del governo portoghese le avrebbero fatto perdere qualsiasi autonomia. Infatti, dagli atti e, in particolare, dal messaggio di posta elettronica interno della Telefónica, del 6 luglio 2010 (v. infra, punti 152 e 338), emerge che l’accordo finale è il risultato di un’intesa comune tra le parti. Inoltre, nessun elemento consente di stabilire che tali disposizioni sarebbero state imposte unilateralmente dal governo portoghese (v., in tal senso, sentenza Asia Motor France e a./Commissione, cit. supra al punto 111, EU:T:1996:120, punti 65 e 69).

120    Sebbene gli argomenti dedotti dalla ricorrente, relativi all’autonomia della Telefónica al momento della conclusione dell’accordo, non possano quindi indurre il Tribunale a concludere che la stessa abbia perso qualsiasi autonomia nell’attuazione delle decisioni delle pubbliche autorità, circostanza che potrebbe far sottrarre il suo comportamento all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre tuttavia esaminare gli altri elementi dedotti dalla ricorrente relativi al contesto dell’introduzione della clausola e della negoziazione dell’accordo, conformemente al principio secondo il quale, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presenti un grado sufficiente di dannosità per essere considerati come una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano, tenendo conto, eventualmente, dell’intenzione delle parti (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punti 53 e 54 e giurisprudenza ivi citata).

d)     Sul contesto dell’introduzione della clausola nell’accordo relativo all’operazione Vivo e sul comportamento delle parti

121    La ricorrente deduce che la circostanza che la clausola sia stata collegata all’operazione Vivo e richiesta dal governo portoghese e la circostanza che la Telefónica abbia fatto tutto il possibile per limitare il contenuto anticoncorrenziale della clausola devono essere prese in considerazione in sede di analisi della clausola e delle finalità pratiche della salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge» e dimostrano che detta salvaguardia ha trasformato la clausola in un obbligo di autovalutazione della possibilità di una restrizione della concorrenza.

 Sulla presunta pressione esercitata dal governo portoghese

122    L’argomento dedotto dalla ricorrente al fine di dimostrare che la clausola avrebbe costituito una «condicio sine qua non» per la realizzazione dell’operazione Vivo si riassume, in sostanza, nell’affermazione secondo la quale la clausola sarebbe stata una condizione necessaria affinché il governo portoghese non bloccasse detta operazione.

–       Sui principi relativi all’onere della prova

123    Va osservato che, nella specie, la controversia non riguarda l’esistenza della clausola, che è pacifica. Tuttavia, le parti dissentono riguardo alla questione se gli elementi dedotti dalla ricorrente consentano di dimostrare che la clausola era una condizione necessaria affinché il governo portoghese non bloccasse l’operazione Vivo. Inoltre, secondo la ricorrente, il riconoscimento di tale presunta influenza del governo portoghese consentirebbe di dimostrare che la clausola non contenesse un obbligo di non concorrenza, bensì un obbligo di autovalutazione, e non avrebbe costituito, quindi, un’infrazione all’articolo 101 TFUE.

124    Ciò premesso, si deve rammentare che dall’articolo 2 del regolamento n. 1/2003 nonché da costante giurisprudenza emerge che, nel settore del diritto della concorrenza, in caso di controversia sulla sussistenza di un’infrazione, spetta alla Commissione produrre la prova delle infrazioni da essa accertate e raccogliere elementi di prova atti a dimostrare adeguatamente la sussistenza dei fatti costitutivi di un’infrazione (sentenze del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc., EU:C:1998:608, punto 58, del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer, C‑2/01 P e C‑3/01 P, Racc., EU:C:2004:2, punto 62, del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, Racc., EU:C:2012:738, punto 71, del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc., EU:T:2007:289, punto 688, e del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, T‑141/08, Racc., EU:T:2010:516, punto 48). A tal fine, essa deve raccogliere elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’asserita infrazione abbia avuto luogo (v., in tal senso, sentenze del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, Racc., EU:C:1984:130, punto 20, del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Racc., EU:C:1993:120, punto 127, del 21 gennaio 1999, Riviera Auto Service e a./Commissione, T‑185/96, T‑189/96 e T‑190/96, Racc., EU:T:1999:8, punto 47, e E.ON Energie/Commissione, cit., EU:T:2010:516, punto 48).

125    Laddove la Commissione si basi, nell’ambito dell’accertamento di una violazione del diritto della concorrenza, su elementi di prova documentali, le imprese interessate sono tenute non semplicemente a presentare un’alternativa plausibile alla tesi della Commissione, ma anche a eccepire l’insufficienza delle prove prese in considerazione nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza dell’infrazione (sentenze del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Racc., EU:T:1999:80, punti da 725 a 728, dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc., EU:T:2004:221, punto 187, e E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punto 55). Se la Commissione constata una violazione delle norme sulla concorrenza basandosi sul comportamento delle imprese interessate, il giudice dell’Unione deve annullare la decisione di cui trattasi qualora esse deducano un’argomentazione che ponga in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consenta quindi di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella indicata dalla Commissione per concludere nel senso dell’esistenza di un’infrazione (v. sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

126    Nella valutazione delle prove raccolte dalla Commissione, qualora il giudice nutra un qualsivoglia dubbio, tale circostanza deve avvantaggiare l’impresa destinataria della decisione di accertamento dell’infrazione. Il giudice non può quindi ritenere che la Commissione abbia sufficientemente dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nell’ambito di un ricorso diretto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (sentenze JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 125, EU:T:2004:221, punto 177, del 27 settembre 2006, Dresdner Bank e a./Commissione, T‑44/02 OP, T‑54/02 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, Racc., EU:T:2006:271, punto 60, e E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punto 51).

127    Infatti, in quest’ultima situazione, è necessario tener conto del principio della presunzione d’innocenza, oggi sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e che si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (sentenze dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione, C‑199/92 P, Racc., EU:C:1999:358, punti 149 e 150, Montecatini/Commissione, C‑235/92 P, Racc., EU:C:1999:362, punti 175 e 176, E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:C:2012:738, punti 72 e 73, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 125, EU:T:2004:221, punto 178).

128    Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta alla parte o all’autorità che deduce un’infrazione delle regole sulla concorrenza l’onere di provare l’esistenza di tale infrazione, e all’impresa o all’associazione di imprese che sollevano un mezzo difensivo contro la constatazione di un’infrazione l’onere di provare che le condizioni per l’applicazione della norma sulla quale si fonda tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che detta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (sentenze del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc., EU:C:2004:6, punto 78, e del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, Racc., EU:C:2010:346, punto 29).

129    Anche se, secondo tali principi, l’onere della prova grava vuoi sulla Commissione vuoi sull’impresa o associazione interessata, gli elementi di fatto che una parte fa valere possono essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato assolto (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 128, EU:C:2004:6, punto 79, e Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 128, EU:C:2010:346, punto 30).

130    Si deve inoltre sottolineare che un’impresa non può traslare l’onere della prova alla Commissione invocando circostanze che non può dimostrare. In altri termini, quando la Commissione si basa su elementi di prova che risultano sufficienti, in linea di principio, a dimostrare l’esistenza dell’infrazione, l’impresa interessata non può limitarsi ad evocare la possibilità che si sia verificata una circostanza atta a pregiudicare il valore probatorio di tali elementi di prova affinché la Commissione sia tenuta a dimostrare che detta circostanza non potesse comportare tale conseguenza. Al contrario, salvo che la prova in questione non possa essere fornita dall’impresa interessata a causa del comportamento della stessa Commissione, incombe all’impresa interessata dimostrare in misura giuridicamente sufficiente, da un lato, l’esistenza della circostanza da essa invocata e, dall’altro, che tale circostanza mette in discussione il valore probatorio degli elementi di prova sui quali si basa la Commissione (v. sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

131    È alla luce di tali principi che occorre esaminare gli elementi dedotti dalla ricorrente.

–       Decisione impugnata

132    Nella specie la Commissione ha dichiarato, al punto 71 della decisione impugnata, di non contestare il fatto che il governo portoghese avesse seguito le negoziazioni dell’operazione Vivo, che avesse reso dichiarazioni pubbliche e che avesse bloccato la terza offerta esercitando i diritti speciali connessi alle azioni privilegiate dallo stesso detenute nella PT. La Commissione ha riconosciuto, in tale punto, che, come era stato precisato dalle parti e dimostrato grazie ai numerosi articoli di stampa inseriti nel fascicolo, l’operazione Vivo era particolarmente delicata in Portogallo, da un punto di vista politico.

133    Al punto 72 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che le parti sembravano sostenere un’interpretazione diversa della posizione adottata dal governo portoghese nel corso delle negoziazioni. Secondo la Telefónica, la tutela concessa alla PT (mediante la clausola) avrebbe consentito al governo portoghese di non opporsi più all’operazione Vivo. Per la PT, il governo portoghese avrebbe avuto un interesse particolare a che la PT mantenesse una presenza in Brasile. Su tale punto e a detta della PT, la firma del protocollo di accordo che garantiva la sua presenza in Brasile sarebbe stata essenziale per rassicurare il governo portoghese e sbloccare quindi la situazione.

134    La Commissione ha proseguito, al punto 73 della decisione impugnata, precisando che la Telefónica non aveva versato agli atti alcuna dichiarazione del governo portoghese in cui lo stesso avrebbe fatto allusione al proprio intento o alla necessità di inserire la clausola nell’ambito dell’operazione Vivo, anche se si riteneva che il governo portoghese avesse lasciato intendere che si sarebbe opposto a un’offerta pubblica d’acquisto (OPA) lanciata dalla Telefónica sulla PT, al fine di preservarne la dimensione portoghese.

135    In conclusione, la Commissione ha osservato, al punto 74 della decisione impugnata, che, anche se la Telefónica era convinta che la clausola fosse considerata essenziale, se non addirittura auspicata dal governo portoghese, nessuna dichiarazione di quest’ultimo lo confermava e la Telefónica non aveva mai dimostrato che la clausola rispondesse a un’esigenza del governo portoghese nell’ambito delle negoziazioni relative all’operazione Vivo.

–       Sugli elementi dedotti dalla ricorrente

136    Secondo la ricorrente, il governo portoghese aveva due obiettivi collegati, ossia tutelare la PT in Brasile e tutelare la PT in Portogallo, e che gli strumenti per conseguire questi due obiettivi erano distinti. Da un lato, per garantire la dimensione e il ruolo della PT nel mercato brasiliano, la soluzione sarebbe stata di aumentare il più possibile il prezzo di vendita della Vivo e di sostituire l’investimento in tale operatore con l’investimento in un altro operatore di analoga importanza in Brasile, il che spiegherebbe la pressione esercitata per aumentare il prezzo dell’operazione e il fatto che l’accordo non sia stato firmato prima di ottenere un preaccordo di assunzione di partecipazioni significative nell’Oi. D’altro lato, per garantire la continuità della PT quale impresa leader nel mercato portoghese, indipendente da imprese non portoghesi, la soluzione sarebbe stata la clausola. Il governo avrebbe ritenuto, senza dubbio, che la collaborazione con la Telefónica, fino ad allora esistente grazie alla Vivo, dovesse essere sostituita da una tutela contrattuale di non aggressione nel mercato iberico. È per questo motivo che la clausola sarebbe divenuta un elemento essenziale per evitare il veto governativo e garantire il successo dell’operazione.

137    I riferimenti limitati e decontestualizzati alle manovre del governo portoghese nella decisione impugnata non consentirebbero di intendere correttamente la portata dell’intervento di tale governo per tutelare la PT sia in Brasile che in Portogallo, intervento che sarebbe consistito in un «dialogo diretto e indiretto» con la Telefónica per tutta la durata dei negoziati dell’operazione.

138    Pur ammettendo la difficoltà di seguire le tracce documentali di tali contatti, la ricorrente fa valere che sussiste una serie di indizi e di elementi concordanti che, nel loro insieme, dimostrano l’influenza del governo portoghese.

139    Al riguardo, sotto un primo profilo, la ricorrente si richiama ai molteplici messaggi pubblici che il governo portoghese avrebbe fatto passare attraverso la stampa e la sintonia tra la PT, il governo e il nucleo centrale dell’azionariato della PT, di cui la stampa si sarebbe resa portavoce; il comportamento del governo portoghese nel processo di negoziazione della proroga della terza offerta la mattina del 17 luglio 2010, attestato da un messaggio di posta elettronica del capo di gabinetto del primo ministro portoghese, e, infine, la pressione esercitata da tale governo al momento della quarta offerta, che sarebbe stata sottoposta alla sua approvazione, come riconoscerebbe la PT al punto 136 delle sue osservazioni sulla comunicazione degli addebiti.

140    Sotto un secondo profilo, la ricorrente sostiene di aver chiesto espressamente alla PT, il 27 luglio 2010, di escludere qualsiasi accordo di non concorrenza, ma la PT si sarebbe opposta a tale esclusione, senza ombra di dubbio a causa della pressione del governo. Al fine di poter dimostrare tale assunto, la ricorrente chiede al Tribunale di procedere alla prova testimoniale invitando i rappresentanti della Telefónica che avevano preso parte a tali negoziazioni a testimoniare dinanzi ad esso.

141    Sotto un terzo profilo, la ricorrente afferma che l’origine stessa della clausola contenuta nella controfferta della PT (v. supra, punto 11) costituirebbe una prova evidente della pressione esercitata dal governo portoghese, in quanto tale clausola sarebbe comparsa nella serie di messaggi di detto governo, relativi alla tutela dell’attivo strategico nazionale costituito dalla PT, nel momento stesso in cui le voci riguardanti un’eventuale OPA della Telefónica sulla PT quale mezzo per accedere alla Vivo avrebbero iniziato a diffondersi. L’accordo di non concorrenza sarebbe apparso chiaramente come una risposta all’esigenza del governo portoghese di tutelare la PT contro un’eventuale OPA della Telefónica.

142    Sotto un quarto profilo, la ricorrente afferma che il governo portoghese ha costantemente minacciato la Telefónica di bloccare l’operazione esercitando il proprio veto e ricorda che tale governo ha bloccato l’operazione nel corso dell’assemblea della PT del 30 giugno 2010; che lo stesso governo ha contestato agli azionisti della PT e al suo consiglio di non aver servito gli interessi nazionali accettando la terza offerta nel corso dell’assemblea del 30 giugno 2010 e ha seguito da vicino le negoziazioni successive, il che costituirebbe l’unica spiegazione del fatto che le offerte della PT menzionano sistematicamente gli interessi «dell’insieme delle parti»; che il governo avrebbe inviato messaggi personali alla Telefónica nelle sue dichiarazioni pubbliche, citate in articoli di stampa, quali «la Telefónica dovrebbe ascoltarci» o «[p]enso agli interessi strategici della PT e del mio paese»; che avrebbe inviato messaggi al consiglio della PT attraverso la C.G. di D., un ente finanziario pubblico appartenente agli azionisti della PT; e, infine, che il messaggio di posta elettronica interno della Telefónica, del 6 luglio 2010, sarebbe particolarmente indicativo della pressione esercitata dal governo portoghese.

143    In limine, si deve rilevare che la Telefónica ha precisato all’udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, che gli elementi di prova dedotti al fine di dimostrare la presunta pressione esercitata dal governo portoghese ai fini dell’inclusione della clausola nell’accordo erano gli articoli di stampa forniti in allegato all’atto introduttivo del ricorso, la corrispondenza con il gabinetto del primo ministro portoghese fornita nell’allegato A.58, il messaggio di posta elettronica interno della Telefónica fornita nell’allegato A.50, la risposta della PT alla richiesta di informazioni della Commissione del 5 gennaio 2011 e la risposta della PT alla comunicazione degli addebiti.

144    Inoltre, è giocoforza rilevare che gli elementi di prova e gli indizi dedotti dalla ricorrente non sono tali da dimostrare che il governo portoghese abbia imposto la clausola. Appare necessario distinguere, infatti, l’interesse del governo portoghese per l’operazione Vivo nel suo insieme nonché le sue manovre volte a proteggere la posizione della PT nel corso di tale operazione dall’affermazione secondo la quale tale governo avrebbe imposto la clausola. Orbene, pur facendo valere presunte manovre del governo portoghese attinenti all’operazione Vivo, la ricorrente non fa riferimento ad alcun provvedimento né ad alcuna manovra che avrebbe potuto riguardare la clausola. Sebbene gli elementi fatti valere dalla ricorrente dimostrino che il governo portoghese ha seguito le negoziazioni relative all’operazione Vivo e si è preoccupato di proteggere la posizione della PT, circostanza riconosciuta, del resto, dalla Commissione nella decisione impugnata, detti elementi non sono tali da dimostrare che il governo portoghese abbia imposto la clausola. Da un lato, nessuno di tali elementi attesta una qualsivoglia azione del governo portoghese relativamente alla clausola. D’altro lato, e in ogni caso, come sottolinea la Commissione, anche se l’interesse del governo portoghese era stato quello di proteggere la PT da un’OPA da parte della Telefónica, la clausola non sarebbe tale da impedire l’OPA.

145    In primo luogo, si deve rilevare che gli elementi dedotti dalla ricorrente non contengono indizi atti a dimostrare che il governo portoghese abbia imposto la clausola.

146    Sotto un primo profilo, per quanto riguarda i messaggi pubblici che il governo portoghese avrebbe diffuso tra la stampa e la sintonia tra la PT, il governo e il nucleo centrale dell’azionariato della PT, di cui la stampa si sarebbe resa portavoce, si deve necessariamente rilevare che la ricorrente non cita alcun articolo di stampa in cui sarebbe menzionato il fatto che il governo abbia auspicato la clausola ed ha ammesso, in udienza, che nessuno degli articoli dalla stessa prodotti conteneva una dichiarazione espressa del governo portoghese in cui si affermava che il medesimo esigeva o auspicava la clausola o che non avrebbe firmato l’accordo in mancanza di quest’ultima o, quantomeno, di un riferimento esplicito alla clausola. Tale mancanza di affermazioni relative alla clausola o, più in generale, a un impegno di non concorrenza relativo al mercato iberico colpisce ancor di più in quanto il governo portoghese ha chiaramente affermato, peraltro, che la sua principale esigenza riguardo all’accordo era la protezione della posizione della PT in Brasile.

147    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda la corrispondenza fornita quale allegato A.58 dell’atto introduttivo del ricorso, vale a dire una serie di SMS inviati, in particolare, dal sig. A.V., avvocato esterno della Telefónica e interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese, nel luglio 2010, nei quali si sarebbe trattato di un presunto consenso del primo ministro portoghese riguardante l’accordo relativo all’operazione Vivo, nonché un messaggio di posta elettronica del capo di gabinetto del primo ministro portoghese inviato al sig. A.V. il 17 luglio 2010, è sufficiente osservare, senza dover esaminare ulteriormente se la persona menzionata nello scambio di SMS fosse veramente il primo ministro portoghese, circostanza che viene messa in dubbio dalla Commissione, che, sebbene tale scambio di corrispondenza e tale messaggio di posta elettronica possano attestare l’interesse del governo portoghese per l’operazione Vivo, essi non fanno alcun accenno alla clausola, circostanza confermata all’udienza dalla ricorrente in risposta a un quesito del Tribunale.

148    Sotto un terzo profilo, con riferimento alla presentazione della quarta offerta per approvazione al governo portoghese, è giocoforza constatare che la PT si limita, al punto 136 della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, ad affermare che essa ha consultato i suoi azionisti, tra cui lo Stato, il che risulta essere una procedura normale. In ogni caso, come afferma correttamente la Commissione, anche se l’offerta era subordinata al consenso del governo portoghese, che faceva parte degli azionisti della PT, ciò non proverebbe né suggerirebbe che detto governo abbia richiesto o auspicato la clausola.

149    Sotto un quarto profilo, quanto all’affermazione secondo la quale, da un lato, la Telefónica avrebbe chiesto espressamente alla PT, il 27 luglio 2010, di escludere qualsiasi accordo di non concorrenza e, dall’altro, la PT si sarebbe opposta a tale esclusione, anche supponendo che vi sia stato veramente, da parte della Telefónica, un tentativo di eliminare la clausola, non si può dedurre dal presunto rifiuto della PT – ammesso che sia dimostrato – di procedere a tale eliminazione che il governo portoghese abbia avuto un qualsivoglia interesse per la clausola, cosicché la domanda di audizione di testimoni su tale punto (v. supra, punto 140) è inoperante nel presente contesto. Infatti, la ricorrente non sostiene che i testimoni di cui chiede l’audizione potrebbero affermare che la PT avrebbe precisato che il suo presunto rifiuto di eliminare la clausola era dovuto a una qualche manovra da parte del governo portoghese.

150    Sotto un quinto profilo, riguardo all’affermazione secondo la quale l’origine stessa della clausola contenuta nella controfferta della PT (v. supra, punto 11) costituirebbe prova evidente della pressione esercitata dal governo portoghese, in quanto tale clausola sarebbe comparsa nella serie di messaggi di quest’ultimo relativi alla tutela dell’attivo strategico nazionale costituito dalla PT e rappresenterebbe quindi la risposta all’esigenza di tutelare la stessa contro un’eventuale OPA della Telefónica, si deve necessariamente rilevare che si tratta di una supposizione che non è affatto suffragata da messaggi del governo portoghese, cosicché può essere solo respinta.

151    Sotto un sesto profilo, neppure i presunti indizi menzionati al punto 107 dell’atto introduttivo del ricorso sono tali da dimostrare che il governo portoghese avrebbe imposto la clausola. La minaccia di tale governo di bloccare l’operazione e l’effettiva attuazione di tale minaccia mediante l’esercizio del veto connesso ai suoi diritti speciali (v. supra, punti 6 e 18) dimostrano certamente la sua volontà di tutelare la PT e, in particolare, la presenza di quest’ultima in Brasile, ma non dimostrano che esso abbia auspicato la clausola. Lo stesso vale per le critiche asseritamente mosse agli azionisti della PT, per le parole riportate dalla stampa nonché per i messaggi asseritamente inviati al consiglio della PT attraverso la C.G. di D., mentre il fatto che le offerte della PT abbiano sistematicamente menzionato gli interessi «dell’insieme delle parti» è irrilevante ai fini della clausola.

152    Per quanto riguarda, infine, il messaggio di posta elettronica interno della Telefónica, del 6 luglio 2010, occorre rilevare, al pari della Commissione (punti 49, 68, 165 e 171 della decisione impugnata), che la ricorrente trascrive in modo non corretto detto messaggio di posta elettronica al punto 44 dell’atto introduttivo del ricorso. Infatti, le opzioni previste dalla Telefónica in tale messaggio per modificare l’offerta – tra cui quella di aumentare il periodo di applicazione della clausola – non rispondono unicamente all’obiettivo «di includere aspetti che, senza che possano nuocerci, aiuterebbero il governo portoghese a rivedere la sua posizione radicale» ma anche all’obiettivo di «riformulare l’offerta, senza aumentare il prezzo in modo tale che possa essere discussa e approvata a livello di consiglio della PT». Il messaggio di posta elettronica non distingue, tra le opzioni, quelle rispondenti all’uno o all’altro obiettivo. Inoltre, in detto messaggio, la Telefónica precisava che «[s]i dovrebbe immaginare una liturgia/messa in scena per le eventuali nuove condizioni, affinché sembri, come ci è stato spiegato, che ci siamo seduti al tavolo delle trattative e che ci siano state “imposte” nuove condizioni (mentre siamo noi ad averle proposte)». Non si può quindi dedurre da tale messaggio di posta elettronica che il governo portoghese abbia imposto alla Telefónica di includere la clausola nell’accordo relativo all’operazione Vivo.

153    Sotto un settimo profilo, la ricorrente contesta alla Commissione di non aver accettato la natura di «condicio sine qua non» della clausola ai fini dell’attuazione dell’operazione fondandosi su una presunta divergenza tra la PT e la Telefónica riguardo alla valutazione dell’importanza della clausola nell’accordo, mentre siffatta divergenza non esisterebbe. La Commissione avrebbe evidenziato presunte incongruenze tra l’approccio della PT e quello della Telefónica per quanto riguarda aspetti secondari dei fatti al fine di privare le loro tesi difensive di qualsiasi credibilità. Orbene, la ricorrente non fa riferimento ad alcun argomento secondo il quale la PT avrebbe riconosciuto il fatto che il governo portoghese avesse imposto la clausola, limitandosi a invocare i punti da 48 a 51 della risposta della PT alla comunicazione degli addebiti, in cui la PT ha affermato, in particolare, che «[l]’acquisto [dei suoi] principali attivi in Brasile e l’eventualità di un’OPA della Telefónica (…) erano scenari da trattare con estrema cautela», che, «[i]noltre, lo Stato era azionista e deteneva un’[azione privilegiata] sull’impresa» e che «[i]l governo portoghese [aveva] fatto presente con chiarezza di non essere disposto a cedere di un passo nella [sua] difesa (…) creando pubblicamente pressioni sul [suo] consiglio di amministrazione».

154    Infine, sotto un ottavo profilo, occorre altresì osservare, al pari della Commissione, che la ricorrente non ha fornito spiegazioni soddisfacenti del fatto che la clausola imponesse un obbligo bilaterale di non concorrenza, vale a dire anche a favore della Telefónica, e del fatto che il governo portoghese avrebbe voluto imporre un obbligo di non concorrenza alla PT a favore della Telefónica. L’argomento della Telefónica al riguardo non può essere accolto senza necessità di definire la questione, sulla quale dissentono le parti, se l’iniziativa della bilateralità della clausola spettasse alla PT o alla Telefónica (punti 86 e 291 della decisione impugnata).

155    Al riguardo, da un lato, la ricorrente sostiene che, poiché il suo intento sarebbe stato di disattivare la clausola, essa ne avrebbe mantenuto la bilateralità, in quanto ciò le avrebbe consentito, eventualmente, di evitare controversie giuridiche e di superare facilmente e in modo rapido il test di legittimità richiesto. Orbene, tale argomento non può essere accolto, poiché, in ogni caso, il fatto che un test di tal genere abbia avuto luogo non può ritenersi dimostrato (v. infra, punti da 181 a 192).

156    D’altro lato, la ricorrente deduce che l’obbligo di non concorrenza imposto alla PT a suo favore sarebbe stato introdotto dalla PT per ragioni puramente estetiche, al fine di agevolare le negoziazioni con la stessa, ma non l’avrebbe affatto avvantaggiata, in quanto la PT non sarebbe stata una concorrente potenziale in Spagna. Orbene, la ricorrente non dimostra che barriere insormontabili impedissero alla PT di entrare nel mercato spagnolo (v. infra, punti 223 e 224), cosicché una clausola destinata a impedirle tale entrata non avrebbe affatto avvantaggiato la Telefónica. Peraltro, come giustamente sottolineato dalla Commissione, l’argomento secondo il quale «la PT era il principale beneficiario della clausola» equivale in ogni caso a riconoscere l’esistenza di una concorrenza potenziale tra le parti in Portogallo.

157    In secondo luogo, per quanto attiene all’argomento della ricorrente secondo il quale il governo portoghese avrebbe inteso proteggere la PT in Portogallo evitando un’OPA della Telefónica sulla PT, tale dimostrazione è irrilevante ai fini della clausola, in quanto quest’ultima non vieta alla Telefónica di acquisire la PT. Infatti, è giocoforza rilevare che la clausola vieta alle parti di farsi concorrenza (v. supra, punto 1) e il fatto di acquisire la PT non equivale a farle concorrenza.

158    Secondo la ricorrente e le sue affermazioni, svolte in particolare all’udienza, la formulazione della clausola avrebbe potuto consentire alla PT e al governo portoghese di interpretare la clausola nel senso della tutela in caso di OPA, in quanto la clausola avrebbe impedito alla Telefónica di entrare nel settore in cui si trovava la PT, e acquisire il controllo della PT avrebbe implicato l’entrata nei settori in cui la PT era presente. La ricorrente deduce che tale interpretazione è coerente con quella della Commissione secondo la quale la clausola avrebbe vietato alle parti di acquistare partecipazioni o di aumentare tali partecipazioni in altre imprese nonché con l’intento del governo portoghese di tutelare l’origine portoghese della PT. A quest’ultimo proposito, la ricorrente insiste in particolare sul fatto che l’introduzione di una clausola di non concorrenza deriverebbe direttamente dalle preoccupazioni della PT e del governo portoghese quanto a una possibile OPA della Telefónica sulla PT.

159    Inoltre, secondo la ricorrente, «la redazione della clausola non è un modello giuridico, ma il risultato di un processo tortuoso di negoziazione sul quale gli obiettivi politici e mediatici hanno avuto un forte peso». A parere della ricorrente, per soddisfare l’interesse del governo, bastava che l’intento della piena tutela della PT fosse chiaramente espresso dal punto di vista mediatico e che tale intento trovasse riscontro nell’accordo.

160    L’argomento della ricorrente non risulta convincente. Da un lato, anche supponendo che il governo portoghese abbia inteso proteggere la PT, mediante la clausola, da un’OPA da parte della Telefónica, non è credibile che tale governo abbia convalidato la clausola senza interessarsi della redazione precisa del testo, mentre ci si sarebbe dovuti attendere che esso verificasse che la clausola che aveva imposto garantisse effettivamente il perseguimento dei suoi obiettivi.

161    D’altro lato, si deve necessariamente rilevare che nessun elemento contenuto negli atti consente di inficiare il rilievo secondo cui dalla formulazione della clausola emergerebbe chiaramente che quest’ultima non vieta alla Telefónica di lanciare un’OPA sulla PT. Infatti, la clausola vieta a ciascuna parte di avviare progetti nel settore delle comunicazioni che possano essere in concorrenza con la controparte nel mercato iberico durante il periodo in questione e il fatto di acquisire la PT non equivale ad avviare un progetto che possa essere in concorrenza con la PT, contrariamente al fatto di acquisire quote in altre imprese.

162    Non avendo la ricorrente dedotto elementi idonei a provare che il governo portoghese avesse imposto la clausola, né avendo dimostrato che le manovre di detto governo potessero essere interpretate nel senso di voler impedire il lancio di un’OPA da parte della Telefónica sulla PT per mezzo della clausola, l’argomento della ricorrente attinente alla pressione del governo portoghese con riguardo alla clausola dev’essere respinto.

–       Sulla presunta violazione degli obblighi di indagine e del principio di buona amministrazione

163    Considerato che la ricorrente non ha prodotto indizi volti a dimostrare che il governo portoghese avrebbe imposto la clausola, gli argomenti dedotti dalla stessa volti a contestare alla Commissione di aver violato i propri obblighi di indagine e, pertanto, i principi relativi all’onere della prova possono essere solo respinti. In applicazione della giurisprudenza richiamata supra al punto 130, si deve infatti considerare che gli elementi dedotti dalla Commissione sono tali da obbligare la ricorrente a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito concludere che tale istituzione abbia adempiuto i suoi obblighi quanto all’onere della prova. Orbene, poiché la ricorrente si è limitata a dedurre gli elementi appena esaminati e dai quali non risulta affatto che il governo portoghese abbia manifestato un qualsivoglia interesse per la clausola, è giocoforza concludere che essa ha omesso di fornire prove a sostegno della sua affermazione secondo la quale la clausola era stata imposta da tale governo o era stata in ogni caso una «condicio sine qua non» affinché detto governo non bloccasse l’accordo relativo all’operazione Vivo (v., in tal senso, sentenza Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 128, EU:C:2010:346, punto 32).

164    Ne consegue che, in mancanza di indizi in tal senso, la ricorrente non può neppure eccepire la violazione del principio di buona amministrazione a causa del presunto mancato utilizzo, da parte della Commissione, degli strumenti giuridici a sua disposizione per indagare sulla pressione asseritamente esercitata dal governo portoghese sulla Telefónica. Infatti, sebbene il principio di buona amministrazione imponga alla Commissione di concorrere con i propri mezzi all’accertamento dei fatti e delle circostanze rilevanti e sebbene essa debba esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (v. sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punti 75 e 76 e giurisprudenza ivi citata), nel caso di specie, la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione non abbia sufficientemente esaminato le prove dedotte dalle parti e la Commissione non può essere obbligata far uso dei suoi poteri al fine di dimostrare un elemento soltanto asserito, ma non sorretto da alcun indizio nelle prove dedotte dalle parti (v., in tal senso, sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. supra al punto 124, EU:T:2010:516, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

165    Inoltre, l’affermazione della ricorrente secondo la quale ritenere che possa esistere la prova dell’intervento di un governo per imporre una clausola illegittima equivale a «essere ingenui» ed è «contrario al buon senso», ed esigere tale prova costituisce una violazione dei principi applicabili all’onere della prova, non può essere accolta. Infatti, come puntualizza correttamente la Commissione, se, come sostiene la ricorrente, la clausola fosse un elemento essenziale per il successo dell’operazione, sarebbe improbabile che non esistano documenti contemporanei che ne facciano menzione, tanto più che esistono, per contro, prove di manovre del governo portoghese riguardanti aspetti dell’operazione estranei alla clausola, in particolare l’importanza della presenza della PT in Brasile.

166    Infine, in tale contesto, va altresì osservato, come è stato confermato all’udienza, che la Commissione è venuta a conoscenza dell’esistenza della clausola solo nell’ottobre 2010, ossia dopo la firma e addirittura l’entrata in vigore dell’accordo. Ne consegue che i rilievi della ricorrente volti a censurare l’inerzia della Commissione durante il processo di negoziazione di tale accordo sono infondati.

 Sulle presunte manovre della Telefónica per minimizzare il contenuto anticoncorrenziale della clausola

167    La ricorrente deduce che la Commissione ha valutato in modo errato le sue continue manovre dirette a minimizzare il contenuto della clausola e ad escludere qualsiasi rischio di illegittimità. Pur riconoscendo, al punto 338 della decisione impugnata, che l’uso dell’espressione «nei limiti consentiti dalla legge» non era di per sé un indizio di intento fraudolento, che la Telefónica aveva adottato provvedimenti al fine di limitare l’ambito di applicazione e la durata della clausola e che la salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge» era dovuta a una sua iniziativa, la Commissione non trarrebbe alcuna conseguenza da tali elementi.

168    Sotto un primo profilo, la ricorrente fa valere che non è esatto affermare che essa auspicasse «sin dall’inizio» una clausola di non concorrenza. Tuttavia, come precisato dalla Commissione, quest’ultima non ha affermato che la Telefónica auspicava sin dall’inizio una clausola di non concorrenza, ma si è limitata, ai punti 36 e da 42 a 44 della decisione impugnata, a contestare l’argomento secondo cui la Telefónica avrebbe escluso dalla prima offerta qualsiasi obbligo di non concorrenza.

169    Al riguardo, va osservato che i primi due progetti di accordo contenevano un impegno della Telefónica secondo il quale quest’ultima doveva astenersi dall’imporre «una qualsiasi clausola di non concorrenza o di astensione alla PT». Ai menzionati punti della decisione impugnata, da un lato, la Commissione ha precisato che, nelle loro risposte alla richiesta di informazioni del 5 gennaio 2011, le parti avevano affermato che detto impegno riguardava qualsiasi clausola di non concorrenza relativa al mercato brasiliano e non già al mercato iberico. D’altro lato, la Commissione ha osservato correttamente che la seconda offerta conteneva sia l’impegno summenzionato della Telefónica a non imporre alcuna clausola di non concorrenza alla PT che la clausola di non concorrenza relativa al mercato iberico, il che deponeva a favore dell’interpretazione secondo la quale il primo impegno riguardava il mercato brasiliano e non già il mercato iberico.

170    Sotto un secondo profilo, sebbene la ricorrente respinga l’affermazione della PT, contenuta nel punto 164 della risposta di quest’ultima alla comunicazione degli addebiti, riprodotta nella decisione impugnata (punti 86 e 293 della decisione impugnata), secondo la quale la Telefónica sarebbe stata la promotrice dell’inclusione dei servizi televisivi nell’ambito di applicazione della clausola, essa non produce alcun elemento probatorio a sostegno delle proprie affermazioni. In ogni caso, anche supponendo che tali servizi siano stati inclusi in detto ambito su iniziativa della PT, non se ne può dedurre una «continua manovra della Telefónica per minimizzare la portata della clausola».

171    Sotto un terzo profilo, la ricorrente nega qualsiasi ruolo trainante riguardo alla determinazione della bilateralità della clausola. Tuttavia, anche supponendo che la ricorrente non abbia svolto siffatto ruolo, e sebbene la Commissione non affermi che essa lo ha svolto, la ricorrente non contesta il fatto che la prima versione della clausola nonché quella che è stata infine adottata fossero bilaterali. La ricorrente non riesce neppure a dimostrare che la PT o il governo portoghese abbiano imposto la bilateralità della clausola (v. supra, punto 154).

172    Infine, sotto un quarto profilo, la ricorrente deduce che la decisione minimizza indebitamente la portata dell’eccezione all’ambito di applicazione della clausola che la Telefónica è riuscita a introdurre, consistente nell’escludere le attività in corso (v. supra, punto 13). Infatti, la Commissione non avrebbe riconosciuto che i servizi forniti al Portogallo dalla Zon, considerati dalla ricorrente come attività in corso, rientravano anch’esse in tale eccezione. Tuttavia, la ricorrente omette di confutare le affermazioni contenute nei punti da 156 a 164 della decisione impugnata, secondo le quali le attività fornite da società non controllate dalle parti non rientravano nell’eccezione introdotta nell’ambito di applicazione della clausola.

173    Al riguardo, va osservato che la Commissione ha spiegato che, se l’attività esercitata da una società, nella quale una delle parti deteneva azioni ma di cui non aveva il controllo, fosse rilevante ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della clausola, detta clausola avrebbe dovuto precisare che essa era applicabile alle attività delle società non controllate dalle parti. Inoltre, se tali attività fossero rilevanti ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della clausola, dovrebbero esserlo altresì ai fini del rispetto delle disposizioni di quest’ultima, cosicché l’avvio di un’attività vietata dalla clausola da parte di una società non controllata, nella quale una delle parti deterrebbe una partecipazione minoritaria, costituirebbe una violazione della clausola. La Commissione ha proseguito in proposito affermando che le parti non possono sostenere di aver contrattato siffatto obbligo in nome e per conto delle società nelle quali esse detenevano una partecipazione minoritaria ma di cui non avevano il controllo, in quanto non sarebbero in grado di garantire il rispetto di siffatto obbligo. Di conseguenza, per poter essere esclusa dall’ambito di applicazione della clausola, un’attività doveva essere realizzata direttamente da una delle parti o indirettamente da una delle società controllate da queste ultime.

174    In mancanza di elementi o, quantomeno, di argomenti che possano mettere in dubbio tale conclusione, dalla quale deriva necessariamente che le attività della Zon, nella quale la ricorrente deteneva soltanto una partecipazione minoritaria (v. supra, punto 4), non possono essere considerate come rientranti nell’eccezione introdotta nell’ambito di applicazione della clausola, le affermazioni della ricorrente a quest’ultimo proposito devono essere respinte.

175    Da tutte le suesposte considerazioni, e poiché la domanda di audizione di testimoni presentata dalla ricorrente dev’essere respinta (v. infra, punti 357 e seguenti), risulta che quest’ultima non ha prodotto elementi idonei a dimostrare che la clausola costituisse una condizione affinché il governo portoghese non bloccasse l’operazione Vivo e che, per questo, la Telefónica non avesse altra scelta se non quella di adoperarsi per limitarne gli effetti, in particolare trasformandola in una clausola di autovalutazione mediante l’introduzione dell’inciso «nei limiti consentiti dalla legge».

e)     Sul presunto contenuto sostanziale e sulle presunte finalità pratiche di salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge»

176    Secondo la ricorrente, se il fatto che essa fosse strettamente connessa all’operazione Vivo venisse preso in considerazione, risulterebbe immediatamente che la clausola, lungi dall’essere priva di utilità pratica, avrebbe svolto gran parte delle funzioni classiche e legittime che le clausole di salvaguardia legale sono chiamate a svolgere nella prassi contrattuale, ossia: riduzione dei costi dell’operazione, leva strategica per raggiungere l’accordo e garanzia del mantenimento dell’operazione. Inoltre, l’interpretazione della clausola adottata dalla Commissione sarebbe manifestamente contraria alla sua formulazione letterale.

177    In limine, va osservato che tale argomento si fonda sulla premessa secondo la quale il governo portoghese avrebbe imposto la clausola quale condizione dell’operazione Vivo, costringendo quindi la Telefónica a fare tutto quanto in suo potere per limitarne gli effetti. Orbene, dalle considerazioni svolte supra nei punti da 136 a 162 e da 167 a 175 emerge che la ricorrente non ha dedotto elementi che consentano di dimostrare la fondatezza di tale premessa, cosicché il suo argomento basato su quest’ultima non può essere accolto. In ogni caso, la ricorrente non deduce neppure elementi che consentano di dimostrare il presunto contenuto sostanziale e le presunte finalità pratiche della salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge».

 Sulla presunta funzione di riduzione dei costi dell’operazione

178    Per quanto riguarda la funzione di riduzione dei costi dell’operazione, la ricorrente afferma che le salvaguardie legali sono generalmente utilizzate in caso di dubbi o di divergenze nell’analisi giuridica delle parti e quando queste ultime intendono evitare di perdere denaro, energie e tempo in discussioni giuridiche che possono durare un’eternità e ritardare il processo di negoziazione. Secondo la ricorrente, è proprio quanto è accaduto nella specie: quando la PT avrebbe introdotto la clausola nella sua controfferta, avrebbe affermato che detta clausola poteva essere giustificata quale restrizione accessoria. La Telefónica non ne sarebbe stata convinta, ma avrebbe riconosciuto che potevano sorgere dubbi.

179    Sebbene abbia nutrito dubbi riguardo alle giustificazioni della clausola, la ricorrente sarebbe stata costretta, a causa dell’importanza della clausola per il governo portoghese, a lasciar maturare il processo di negoziazione accettando la clausola, pur introducendovi le possibili limitazioni oggettive e temporali e sapendo che, in definitiva, avrebbe potuto firmarla solo a condizione che la sua legittimità e sua portata fossero successivamente verificate. Secondo la ricorrente, l’accordo di non concorrenza è stato sanato ed è stato evitato che potesse avere effetti nel caso in cui, dopo la verifica individuale – e non, come interpreterebbe erroneamente la Commissione, dopo la verifica congiunta – della sua legittimità, si fosse concluso che non sarebbe stato legalmente ammissibile. Subordinando la restrizione alla verifica della sua legittimità, la Telefónica avrebbe anche escluso qualunque tipo di responsabilità riguardo alla sua reputazione sociale o politica nei confronti della PT qualora avesse assunto iniziative incompatibili con la restrizione.

180    Va osservato che dalla posizione della ricorrente emerge che tali argomenti sono, in sostanza, fondati sull’idea che sussistessero dubbi riguardo alla questione se la clausola potesse essere qualificata come restrizione accessoria all’operazione Vivo. Poiché la verifica giuridica delle condizioni necessarie al riguardo sarebbe stata lunga e costosa, le parti avrebbero inserito la salvaguardia legale «nei limiti consentiti dalla legge», rinviando a un momento successivo l’analisi della legittimità della clausola.

181    Orbene, senza necessità di pronunciarsi sulla fondatezza dei presunti dubbi della PT o della ricorrente riguardo alla possibile legittimità della clausola, è giocoforza constatare che l’argomento fondato sull’idea che le parti avrebbero in qualche modo «provvisoriamente convenuto» un obbligo di non concorrenza, salvo la verifica successiva della sua legittimità, dev’essere respinto per il fatto che la ricorrente omette, da un lato, di spiegare il motivo per cui non sarebbe stato possibile chiarire tale questione prima della firma dell’accordo il 28 luglio 2010 o, quantomeno, prima della sua entrata in vigore al momento della conclusione definitiva dell’operazione il 27 settembre dello stesso anno e, dall’altro, di dimostrare che siffatta verifica è stata effettuata dopo l’entrata in vigore dell’accordo.

182    In tale contesto, va ricordato che, ai punti da 96 a 100 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che le parti sostenevano che nella clausola sarebbe stato previsto un esercizio di autovalutazione e che tale esercizio avrebbe avuto luogo nel corso delle conversazioni telefoniche del 26 e del 29 ottobre 2010 (v. supra, punto 28). Inoltre, la Commissione ha precisato che le parti avevano addotto diverse ragioni per giustificare il fatto che tale esercizio non avesse avuto luogo prima dell’entrata in vigore dell’accordo al momento della conclusione definitiva dell’operazione il 27 settembre 2010 (v. supra, punto 25), ossia:

–        tenuto conto del fatto che l’accordo sarebbe stato firmato in nome e per conto della PT, senza essere stato preventivamente approvato dall’assemblea generale degli azionisti di quest’ultima, esisteva, secondo la Telefónica, il rischio che il governo portoghese si opponesse a tale modo di procedere; la Commissione ha tuttavia contestato tale argomento in quanto non suffragato da alcun elemento contenuto negli atti e in quanto l’articolo 4 dell’accordo, in combinato disposto con l’allegato 4.1, stabilisce che la PT garantisce alla Telefónica che «[l]a firma e la conclusione del presente accordo e l’attuazione delle operazioni, oggetto del medesimo accordo, sono state debitamente e validamente approvate dal [suo] consiglio (…) di amministrazione e da [quello] della PT Movéis e [che] non sono necessarie altre formalità, sia per la PT che per la PT Movéis, al fine di autorizzare la firma, la conclusione e l’esecuzione del presente contratto o l’attuazione dell’operazione ivi prevista»;

–        l’autovalutazione e la condivisione dei risultati inter partes avrebbe richiesto l’avvio di discussioni sulla portata e sugli effetti della clausola, le quali avrebbero potuto nuocere all’equilibro raggiunto nell’ambito dell’accordo; la Commissione ha tuttavia sostenuto al riguardo che, se era vero che le parti si erano accordate, al fine di rinviare siffatte discussioni a un momento successivo, sull’obbligo di procedere successivamente a un esercizio di autovalutazione della legittimità della clausola, siffatto obbligo avrebbe dovuto essere inserito nelle condizioni del contratto;

–        alcune incertezze sarebbero esistite riguardo all’operazione Oi e all’istituzione del «programma di partenariato industriale» e solo «qualche settimana» dopo la conclusione dell’operazione la stampa avrebbe annunciato che il ritorno della PT in Brasile era imminente; tuttavia, la Commissione ha ritenuto che il passaggio da uno scenario di incertezza a una situazione di certezza riguardo all’operazione Oi nell’ottobre 2010 non era stato dimostrato dalla Telefónica;

–        le richieste di informazioni della Comisión Nacional de la Competencia (CNC, commissione nazionale spagnola per la concorrenza) del 9 e del 30 settembre 2010, che, tra l’altro, richiedevano informazioni al fine di indagare su eventuali accordi anticoncorrenziali tra le parti nell’ambito dell’operazione Vivo, potrebbero aver rafforzato i dubbi riguardo alla legittimità di un impegno di non concorrenza; orbene, la Commissione ha osservato che la prima richiesta di informazioni della CNC risaliva al 9 settembre 2010, ossia circa sette settimane prima delle date in cui il presunto esercizio di autovalutazione avrebbe avuto luogo, ossia il 26 e il 29 ottobre 2010 (v. supra, punto 28).

183    La Commissione ha quindi concluso, al punto 98 della decisione impugnata, che le spiegazioni fornite dalla Telefónica sul ritardo nello svolgimento del presunto esercizio di autovalutazione non erano suffragate da alcun elemento contenuto negli atti.

184    Inoltre, la Commissione ha respinto, ai punti 99 e 100 della decisione impugnata, gli argomenti della PT basati sul fatto che la clausola non fosse più una priorità una volta firmato l’accordo. In primo luogo, la PT ha sostenuto che avrebbe concentrato i propri sforzi sulla conclusione delle operazioni Vivo e Oi. In secondo luogo, la clausola di non concorrenza sarebbe stata subordinata alla conferma della sua legittimità e della sua portata. In terzo luogo, essa non sarebbe entrata in vigore prima della data della conclusione definitiva dell’operazione, ossia il 27 settembre 2010. In quarto luogo, la PT ha sostenuto di non essere stata contattata da alcuna autorità garante della concorrenza. In quinto luogo, la PT ha ritenuto che il risultato dell’autovalutazione avrebbe condotto alla conclusione che l’assunzione di un impegno di non concorrenza avrebbe presentato poche possibilità di successo, indipendentemente dalla sua portata. Sarebbero le informazioni pubblicate a fine agosto 2010 nel Jornal de Negócios e nel Cinco Días, relative alla clausola che vincolava le parti, e il 19 ottobre 2010 nel Diario Economico, riguardo all’indagine svolta dalla CNC sulla clausola, ad aver indotto le parti a mettersi in contatto tra loro.

185    Secondo la Commissione, tali argomenti non sono sufficienti per spiegare le ragioni per cui un’obbligazione contrattuale cogente, ossia il presunto obbligo di svolgere un esercizio di autovalutazione, non sarebbe stata rispettata. Inoltre, anche qualora la clausola fosse stata corredata di un qualsivoglia obbligo di autovalutazione, il rispetto di tale obbligo avrebbe dovuto costituire parte integrante della conclusione dell’operazione Vivo, sulla quale la PT, a quanto pare, concentrava tutta l’attenzione. Peraltro, il fatto che l’impegno di non concorrenza entrasse in vigore alla data della conclusione definitiva dell’operazione, ossia il 27 settembre 2010, non può giustificare il ritardo accertato nello svolgimento dell’esercizio di autovalutazione, che avrebbe avuto luogo in ottobre. Al contrario, ci si sarebbe potuti attendere che la valutazione della legittimità della clausola avvenisse prima della sua entrata in vigore. Infine, il fatto che fosse stato poco fattibile giustificare l’impegno di non concorrenza avrebbe dovuto favorire maggiormente la rapida eliminazione della clausola piuttosto che il suo mantenimento.

186    La Commissione ha infine affermato, al punto 298 della decisione impugnata, che gli elementi di prova contenuti negli atti, riguardanti il comportamento effettivo delle parti relativamente alla clausola e, in particolare, l’accordo del 4 febbraio 2011 che poneva fine a quest’ultima (v. supra, punto 29), mettevano in evidenza il fatto che la clausola non prevedesse alcun obbligo di autovalutazione. A tal proposito, la Commissione ha poi esaminato gli elementi di prova corrispondenti, ossia, in primo luogo le dichiarazioni delle parti relative alla natura della clausola precedenti alle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, in secondo luogo, l’accordo del 4 febbraio 2011 che poneva fine alla clausola, in terzo luogo, le conversazioni telefoniche dell’ottobre 2010, in quarto luogo, la data di svolgimento del presunto esercizio di autovalutazione e, in quinto luogo, altri elementi fatti valere dalle parti, come la pubblicità della clausola (punti da 299 a 328 della decisione impugnata).

187    È giocoforza rilevare che la ricorrente non deduce elementi che possano rimettere in discussione tali conclusioni della Commissione riguardo al presunto esercizio di autovalutazione al fine di verificare la legittimità della clausola.

188    Da un lato, la ricorrente si limita ad affermare che la Commissione intende in modo errato l’esercizio di autovalutazione, che non avrebbe necessitato di un esercizio di valutazione congiunta, bensì di una valutazione individuale seguita da una condivisione dei risultati, cosicché il fatto che detta condivisione abbia avuto luogo solo quattro settimane dopo l’entrata in vigore dell’accordo non può essere qualificata come periodo eccessivamente lungo. Orbene, anche supponendo che le parti abbiano valutato individualmente la clausola, ciò non giustificherebbe un periodo di quattro settimane fra la sua entrata in vigore e la presunta condivisione dei risultati della presunta autovalutazione della sua legittimità.

189    D’altro lato, pur sostenendo di aver fornito prove del contenuto delle conversazioni che hanno avuto luogo il 26 e il 29 ottobre 2010, la ricorrente si limita a rinviare alle affermazioni delle parti nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti nonché alle dichiarazioni di due consulenti legali esterni, di un rappresentante della Telefónica e di un rappresentante della PT. Orbene, se è pur vero che non si deve privare di qualsiasi credibilità le dichiarazioni rese dai rappresentanti delle parti, in particolare se tali dichiarazioni sono rese dinanzi a un notaio, tuttavia si deve necessariamente rilevare, come sottolinea la Commissione ai punti da 313 a 323 della decisione impugnata, che i risultati e il contenuto delle conferenze fatti valere dalla Telefónica non trovano alcuna conferma nella formulazione dell’accordo che abroga la clausola del 4 febbraio 2011, mentre il medesimo spiega nei dettagli le circostanze in cui le parti sono giunte alla decisione di eliminare la clausola (v. supra, punto 29).

190    Inoltre, come sottolinea la Commissione (punti 120 e 122 della decisione impugnata), le dichiarazioni in questione non costituiscono una prova contemporanea del contenuto delle conversazioni dell’ottobre 2010, il che conferirebbe loro un valore probatorio più elevato (v., in tal senso, sentenze dell’11 marzo 1999, Ensidesa/Commissione, T‑157/94, Racc., EU:T:1999:54, punto 312, e del 16 dicembre 2003, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, T‑5/00 e T‑6/00, Racc., EU:T:2003:342, punto 181). Inoltre, anche se una deposizione resa da un testimone diretto dei fatti riferiti dev’essere considerata, in linea di principio, di elevato valore probatorio. (sentenza del 3 marzo 2011, Siemens/Commissione, T‑110/07, Racc., EU:T:2011:68, punto 75), occorre altresì considerare il fatto che le dichiarazioni di cui trattasi nella specie sono state rese da persone che potrebbero avere un interesse diretto nella causa e che non possono essere qualificate come indipendenti dalla ricorrente (v., in tal senso, sentenza Siemens/Commissione, cit., EU:T:2011:68, punti 69 e 70).

191    Ne consegue che, alla luce dell’insieme degli elementi in gioco, tali dichiarazioni, quali unici elementi di prova, non sono sufficienti per dimostrare che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione, fermo restando che, per quanto riguarda il valore probatorio che occorre attribuire ai diversi elementi di prova, il solo criterio rilevante per valutare le prove liberamente prodotte risiede nella loro credibilità (v. sentenze dell’8 luglio 2004, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, T‑44/00, Racc., EU:T:2004:218, punto 84 e giurisprudenza ivi citata; Dalmine/Commissione, T‑50/00, Racc., EU:T:2004:220, punto 72 e giurisprudenza ivi citata, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 125, EU:T:2004:221, punto 273) e che, secondo le norme generalmente applicabili in materia di prove, la credibilità e, quindi, il valore probatorio di un documento dipendono dalla sua fonte, dalle circostanze nelle quali è stato redatto, dal suo destinatario e dalla ragionevolezza e affidabilità del suo contenuto (sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Racc., EU:T:2000:77, punto 1053).

192    Dalle suesposte considerazioni risulta che gli argomenti della ricorrente fondati sul presunto esercizio di autovalutazione svolto nell’ottobre 2010 devono essere respinti, al pari dell’insieme degli argomenti diretti ad affermare che la clausola avrebbe assolto la funzione di riduzione dei costi dell’operazione.

 Sulla presunta funzione di leva strategica per raggiungere l’accordo

193    Per quanto riguarda la presunta funzione di leva strategica per raggiungere l’accordo dell’inciso «nei limiti», la Telefónica sostiene che avrebbe sempre inteso eliminare la clausola, ma si sarebbe resa conto, nel processo di negoziazione, a causa del programma politico del governo portoghese, che non avrebbe potuto eliminare la clausola senza mettere in pericolo l’operazione, cosicché avrebbe scelto di neutralizzarla mediante la riserva «nei limiti». Poiché il suo intento sarebbe stato quello di disattivare la clausola, essa avrebbe sempre mantenuto la sua bilateralità, in quanto ciò le avrebbe consentito, eventualmente, di evitare controversie giuridiche e di superare facilmente e in modo rapido il test di legittimità richiesto.

194    Da un lato, fondandosi sul postulato che il governo portoghese avrebbe richiesto la clausola, postulato respinto supra ai punti da 136 a 162, tale argomento non può essere accolto. D’altro lato, è stato già rilevato supra ai punti 154 e 171 che gli argomenti della ricorrente relativi alla bilateralità della clausola dovevano essere respinti.

 Sulla presunta funzione di sicurezza nel mantenimento dell’operazione

195    Secondo la ricorrente, l’inciso «nei limiti consentiti dalla legge» ha assolto altresì la funzione di sicurezza nel mantenimento dell’operazione, garantendo la sopravvivenza di quest’ultima anche in caso di contestazione o di decisione ex post. L’importanza attribuita alla clausola dalla PT avrebbe lasciato intendere che la stessa la considerasse essenziale, cosicché sussisteva il rischio che, in caso di nullità della clausola, la PT tentasse di ottenere la nullità dell’intero accordo; tale rischio sarebbe stato attenuato, ma non eliminato, dalla «clausola generale di divisibilità» che, nel diritto portoghese, farebbe solo invertire l’onere della prova riguardo all’essenzialità della clausola ai fini dell’intero accordo.

196    Tale argomento non può essere accolto, in quanto si fonda sull’affermazione secondo cui, con l’inciso «nei limiti consentiti dalla legge», la ricorrente avrebbe inteso evitare che, in caso di nullità dell’obbligo di non concorrenza, l’accordo fosse totalmente privo di validità. Orbene, ciò presupporrebbe che la clausola sia considerata essenziale per l’intero accordo e, poiché la ricorrente non afferma che la clausola era una restrizione accessoria all’operazione Vivo (v. supra, punti da 107 a 110) e non dimostra, in particolare mediante un parere giuridico prodotto in allegato, che la percezione soggettiva della Telefónica o le presunte preoccupazioni della PT avrebbero potuto essere rilevanti, con riferimento all’importanza della clausola, ai fini dell’accordo nel suo insieme, è giocoforza rilevare che la ricorrente non ha dedotto alcun elemento tale da spiegare per quale ragione una clausola di non concorrenza nel mercato iberico potesse essere considerata oggettivamente essenziale ai fini di un’operazione relativa all’acquisizione di quote in un operatore brasiliano.

 Sull’interpretazione del testo della clausola

197    La ricorrente sostiene che la Commissione ha preso in considerazione in modo parziale il testo della clausola, concentrandosi sul titolo «divieto di concorrenza» e ignorando l’inciso «nei limiti», violando così i diritti della difesa e l’onere della prova ad essa incombente. Il testo effettivamente pertinente della clausola si troverebbe nel suo dispositivo, che dimostrerebbe che l’intento non era quello di restringere la concorrenza, bensì di conformarsi alla legge. La pubblicità e la breve durata della clausola sarebbero inconcepibili nell’ambito di un accordo di ripartizione dei mercati, quale asserito dalla Commissione. L’accordo non avrebbe neppure previsto meccanismi di controllo del rispetto della restrizione e il suo ambito di applicazione sarebbe stato tutt’altro che chiaro. Gli accordi «nudi» di ripartizione dei mercati non sarebbero né pubblici né soggetti a una valutazione di legittimità, né negoziati con il governo né conclusi per un periodo limitato e, soprattutto, tali accordi sarebbero applicati e attuati.

198    L’argomento della ricorrente fondato sul testo della clausola non può essere accolto, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente stessa, la clausola non indica chiaramente che l’intento delle parti fosse non già di restringere la concorrenza, bensì di conformarsi alla legge.

199    È indicativa, al riguardo, l’affermazione della ricorrente secondo cui si potrebbe ipotizzare che la clausola avrebbe potuto precisare che «[l]e parti [erano] libere di farsi concorrenza in tutto il mercato iberico (la PT in Spagna e la Telefónica in Portogallo), salvo nei casi in cui l’esistenza di un motivo legittimo [consentisse] la restrizione legale della concorrenza». La ricorrente è del parere che, se la clausola fosse stata così formulata, la Commissione sarebbe pervenuta a un’altra decisione, circostanza che non dovrebbe verificarsi, in quanto le formulazioni reale e alternativa sarebbero equivalenti da un punto di vista funzionale. Orbene, senza necessità di pronunciarsi sulla questione se la formulazione alternativa proposta dalla ricorrente sia realmente equivalente a quella della clausola, il semplice fatto di proporre quindi una formulazione alternativa asseritamente equivalente da un punto di vista funzionale dimostra chiaramente che un’interpretazione della clausola non può fondarsi unicamente sul testo di quest’ultima, ma deve prendere in considerazione il suo contesto che, come deriva dalla trattazione precedente, non conferma l’interpretazione proposta dalla ricorrente.

200    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che la ricorrente non ha dimostrato che, alla luce dell’insieme delle circostanze, la clausola non costituisse una restrizione della concorrenza per oggetto, in quanto l’inciso «nei limiti consentiti dalla legge» l’avrebbe trasformata in una clausola di autovalutazione della legittimità di un impegno di non concorrenza. I primi tre motivi devono essere quindi respinti.

2.     Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE, sull’insufficienza della motivazione e sull’errata valutazione dell’idoneità della pratica a restringere la concorrenza

201    La ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un manifesto errore di valutazione riguardo all’idoneità della clausola a restringere la concorrenza tra essa stessa e la PT e che la Commissione non ha sufficientemente motivato la decisione impugnata al riguardo. La Commissione avrebbe omesso di esaminare tale questione, che sarebbe stata sollevata nella risposta alla comunicazione degli addebiti, e non avrebbe effettuato il benché minimo studio della struttura dei mercati interessati, del contesto economico e delle reali e concrete possibilità per le parti di entrare nei rispettivi mercati contigui durante il breve periodo previsto dalla clausola. Secondo la ricorrente, se la Commissione avesse proceduto a un esame di tal genere, avrebbe constatato che le parti non erano concorrenti potenziali. Orbene, in mancanza di concorrenza potenziale che possa essere sottoposta a restrizione, la clausola non può costituire una restrizione della concorrenza per oggetto. Infine, gli elementi dedotti dalla Commissione nella decisione impugnata per giustificare la mancanza di un’analisi dettagliata dei mercati e per rispondere agli argomenti delle parti nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, secondo la ricorrente, non possono essere accolti.

202    Peraltro, la ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato, al punto 364 della decisione impugnata (v. supra, punto 46), che, anche se la clausola era inidonea a restringere la concorrenza, ciò non avrebbe potuto impedire che essa potesse essere considerata costitutiva di una restrizione della concorrenza per oggetto.

203    In via preliminare, va osservato, in risposta a quest’ultimo argomento, che non si può in effetti affermare che, anche se la clausola era inidonea a restringere la concorrenza, ciò non poteva impedire che essa potesse essere considerata costitutiva di una restrizione della concorrenza per oggetto. Come ha precisato la Corte, affinché un accordo abbia un oggetto anticoncorrenziale, dev’essere capace di produrre effetti negativi sulla concorrenza, vale a dire essere concretamente idoneo ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza in seno al mercato interno (sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, Racc., EU:C:2013:160, punto 38).

204    Tuttavia, occorre rilevare che la ricorrente omette di precisare che la Commissione ha citato, al punto 364 della decisione impugnata, la sentenza del 25 gennaio 2007, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione (C‑403/04 P e C‑405/04 P, Racc., EU:C:2007:52, punti 44 e 45), e ha affermato che, se un accordo aveva per oggetto di restringere la concorrenza, era indifferente, per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione, che la sua conclusione fosse avvenuta o meno nell’interesse commerciale dei contraenti. La Commissione ha quindi concluso che il fatto che la clausola sia potuta risultare inidonea a produrre effetti nell’interesse commerciale della Telefónica o della PT era del tutto irrilevante (v. supra, punto 46).

205    Ne consegue che da detto punto risulta che la Commissione non ha affermato che, in generale, era indifferente che un accordo fosse idoneo a produrre effetti per qualificarlo come restrizione della concorrenza per oggetto, ma che, nella specie, l’argomento della Telefónica riprodotto, in particolare, al punto 359, lettera d), della decisione impugnata, relativo alla mancanza di incentivi delle parti a entrare nel mercato della controparte, era irrilevante, in quanto era indifferente, nell’ambito di un accordo il cui obiettivo era di restringere la concorrenza, che la conclusione dell’accordo fosse avvenuto o meno nell’interesse commerciale delle parti.

206    Inoltre, per quanto riguarda, in primo luogo, la censura relativa all’insufficienza della motivazione, dall’argomento della ricorrente emerge che esso non mette in discussione, a dire il vero, la motivazione della decisione impugnata, bensì il fatto che la Commissione abbia omesso, a suo avviso erroneamente, di procedere a uno studio della struttura dei mercati interessati e delle reali possibilità di concorrenza delle parti in tali mercati. La ricorrente contesta, infatti, gli argomenti dedotti nei punti da 265 a 278 della decisione impugnata.

207    In ogni caso, da detti punti emerge che la Commissione ha spiegato le ragioni per cui non aveva ritenuto necessario procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati e ha risposto agli argomenti formulati dalle parti nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, riguardo all’esistenza di una concorrenza potenziale tra loro, quali sintetizzati dall’Istituzione ai punti da 268 a 270 della decisione impugnata. L’argomento della ricorrente, nei limiti in cui può essere inteso nel senso della contestazione di una presunta carenza di motivazione della decisione impugnata al riguardo, non può essere accolto.

208    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la censura relativa all’errata valutazione dell’«idoneità» della clausola a restringere la concorrenza tra la PT e la Telefónica per effetto della posizione della Commissione, secondo cui, nella specie, essa non era tenuta a procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati, si devono rilevare, come emerge dalla decisione impugnata, tre elementi sui quali la Commissione si è basata al fine di concludere che nessuna analisi dettagliata della concorrenza potenziale tra le parti risultava necessaria con riguardo ad ogni singolo mercato specifico per valutare se l’accordo fosse costitutivo di una restrizione della concorrenza per oggetto (punto 278 della decisione impugnata).

209    Anzitutto, la Commissione ha rilevato che il fatto di concludere un accordo di non concorrenza, o di prevedere la necessità di procedere a un’autovalutazione della legittimità e dell’ambito di applicazione di un impegno di non concorrenza accessorio, laddove ci si attenga all’interpretazione della clausola proposta dalle parti, costituisce un riconoscimento, da parte di queste ultime, del fatto che esse erano, quantomeno, concorrenti potenziali relativamente a taluni servizi. Infatti, in mancanza di qualsiasi concorrenza potenziale, non si dovrebbe concludere alcun accordo di non concorrenza, o prevedere la realizzazione di un’autovalutazione riguardante un impegno di non concorrenza (punto 271 della decisione impugnata).

210    Inoltre, la Commissione ha osservato che la clausola presenta una sfera di applicazione ampia, applicandosi a tutti i servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi (punti 141, 265 e 278 della decisione impugnata).

211    Infine, la Commissione ha precisato che detti servizi erano stati liberalizzati conformemente al quadro normativo dell’Unione, che ha consentito e incentivato la concorrenza tra gli operatori (punto 265 della decisione impugnata), e che tale contesto liberalizzato, nel quale la concorrenza è stata resa possibile e incentivata, doveva costituire il punto di partenza della valutazione della clausola (punto 267 della decisione impugnata).

212    Occorre peraltro ricordare la giurisprudenza già richiamata supra al punto 104, secondo la quale per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presentino un grado sufficiente di dannosità per essere considerati quale restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre far riferimento al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano. Nella valutazione di tale contesto, occorre prendere parimenti in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 100, EU:C:2014:2204, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

213    Tuttavia, sebbene, nell’ambito dell’interpretazione del contesto di un accordo, si debbano prendere in considerazione le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione, la Commissione non è sempre tenuta a procedere a una definizione precisa del mercato o dei mercati in questione. Infatti, la definizione del mercato rilevante non riveste la stessa importanza nell’applicazione dell’articolo 101 TFUE o dell’articolo 102 TFUE. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, la definizione adeguata del mercato rilevante è una condizione necessaria e preliminare a qualsiasi giudizio su un comportamento che si pretende anticoncorrenziale (sentenze del 10 marzo 1992, SIV e a./Commissione, T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, Racc., EU:T:1992:38, punto 159, e dell’11 dicembre 2003, Adriatica di Navigazione/Commissione, T‑61/99, Racc., EU:T:2003:335, punto 27), in quanto, prima di dimostrare la presenza di un abuso di posizione dominante, è necessario provare l’esistenza di una posizione dominante in un determinato mercato, il che presuppone la previa definizione di tale mercato. Per contro, da costante giurisprudenza emerge che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE, si deve definire il mercato di cui trattasi per determinare se l’accordo di cui è causa possa incidere sugli scambi tra Stati membri ed abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (sentenze del 21 febbraio 1995, SPO e a./Commissione, T‑29/92, Racc., EU:T:1995:34, punto 74, e Adriatica di Navigazione/Commissione, cit., EU:T:2003:335, punto 27; v., anche, sentenza del 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, T‑30/05, EU:T:2007:267, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

214    Pertanto, nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, una definizione preliminare del mercato pertinente non si impone quando l’accordo controverso ha di per sé un oggetto anticoncorrenziale, vale a dire quando la Commissione ha potuto correttamente concludere, senza una delimitazione preventiva del mercato, che l’accordo in questione falsava la concorrenza e poteva incidere in modo significativo sugli scambi tra gli Stati membri. Si tratta, in particolare, del caso delle restrizioni più gravi, espressamente vietate all’articolo 101, paragrafo 1, lettere da a) a e), TFUE (conclusioni dell’avvocato generale Bot nelle cause riunite Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc., EU:C:2009:192, paragrafi da 168 a 175). Se l’oggetto stesso di un accordo è quello di restringere la concorrenza per mezzo di una «ripartizione di mercati», non è necessario definire i mercati in questione in maniera precisa, dato che la concorrenza attuale o potenziale è stata necessariamente ristretta (sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 191, EU:T:2004:218, punto 132).

215    Pertanto, atteso che, nella specie, la Commissione ha accertato o che la clausola sanzionata dalla decisione impugnata aveva ad oggetto una ripartizione di mercati, la ricorrente non può sostenere che un’analisi dettagliata dei mercati interessati era necessaria per stabilire se la clausola costituisse una restrizione della concorrenza per oggetto.

216    Infatti, imprese che stipulano un accordo diretto a restringere la concorrenza non possono, in linea di principio, essere esonerate dall’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE sostenendo che il loro accordo non doveva avere un’incidenza considerevole sulla concorrenza (sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 191, EU:T:2004:218, punto 130). Poiché l’accordo sanzionato nella specie consiste in una clausola di non concorrenza, definita dalle parti come applicabile a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico», la sua esistenza aveva un senso solo qualora vi fosse una concorrenza da restringere (sentenze Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 191, EU:T:2004:218, punto 131, e del 21 maggio 2014, Toshiba/Commissione, T‑519/09, EU:T:2014:263, punto 231).

217    A tal riguardo, va respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale, sebbene si potesse ancora ammettere che, qualora fosse stato dimostrato che l’intento effettivo delle parti fosse di restringere illecitamente la concorrenza, la clausola avrebbe costituito un indizio dell’esistenza di una concorrenza potenziale, ciò non sarebbe avvenuto nella specie, in quanto la clausola non avrebbe avuto una finalità restrittiva, ma avrebbe soddisfatto esigenze strategiche di negoziazione.

218    Infatti, non solo la ricorrente non ha dimostrato che la clausola rispondesse a siffatte esigenze strategiche (v. supra, punti da 121 a 175), mentre ciò costituiva la premessa stessa del suo argomento, ma per di più, è giocoforza constatare, al pari della Commissione, che l’argomento della ricorrente risente di una certa incoerenza. Infatti, anche se la clausola racchiudeva soltanto l’obbligo di valutare se un obbligo di non concorrenza fosse legittimamente possibile e se l’inserimento di siffatto obbligo nell’accordo fosse stato percepito come necessario da uno degli operatori coinvolti nell’operazione Vivo, ciò costituirebbe un chiaro indizio dell’esistenza di una concorrenza potenziale tra le parti.

219    Peraltro, la ricorrente non può neppure invocare la sentenza del 29 giugno 2012, E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione (T‑360/09, Racc., EU:T:2012:332), al fine di sostenere che, in generale, l’esistenza di un accordo di non concorrenza non può costituire una prova dell’esistenza di una concorrenza potenziale tra le parti.

220    Infatti, al punto 115 di detta sentenza, il Tribunale si è limitato a rilevare che, durante il periodo in cui un mercato è dotato di barriere all’entrata e di strutture che impediscano l’ingresso di nuovi concorrenti, la sola esistenza di un accordo di non concorrenza non può essere sufficiente a dimostrare la sussistenza di una concorrenza potenziale nel mercato in questione.

221    Per contro, risulta, in particolare, dalla richiamata giurisprudenza che, in presenza di un mercato liberalizzato come quello di cui trattasi nella specie, la Commissione non deve procedere a un’analisi della struttura del mercato interessato e della questione se l’entrata in tale mercato corrisponda, per ciascuna delle parti, a una strategia economica praticabile (v., in tal senso, sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 219, EU:T:2012:332, punti da 89 a 93), ma è tenuta ad esaminare se esistano barriere insormontabili all’ingresso nel mercato, che escludano qualsiasi concorrenza potenziale (v., in tal senso, sentenza Toshiba/Commissione, cit. supra al punto 216, EU:T:2014:263, punto 230).

222    Orbene, nella specie, la Commissione ha non solo constatato che il mercato dei servizi di telecomunicazione e televisivi in Spagna e in Portogallo era pienamente liberalizzato (v. supra, punto 211), ma ha altresì rilevato che, per ammissione stessa delle parti, queste ultime erano presenti nei mercati di fornitura di servizi globali di telecomunicazione nonché in quelli di servizi all’ingrosso di trasporto internazionale, su tutto il mercato iberico (punti 173, 174 e 272 della decisione impugnata); che esse non avevano dimostrato che il periodo di applicazione previsto dalla clausola sarebbe risultato insufficiente per procedere all’acquisizione di un operatore di telecomunicazioni esistente, quale mezzo per divenire titolare di talune reti senza doverle realizzare (punto 273 della decisione impugnata); che la situazione attuale dei mercati spagnolo e portoghese non poteva essere fatta valere per escludere la possibilità di investire nel settore, in quanto, nonostante la crisi, gli investimenti avevano registrato in tali mercati una crescita o, quantomeno, erano rimasti stabili (punto 274 della decisione impugnata); e, infine, che la stessa Telefónica aveva ammesso che il lancio di un’offerta pubblica d’acquisto su una società quale la PT era ipotizzabile, in occasione delle negoziazioni relative all’operazione Vivo, cosicché l’acquisizione di un concorrente della PT avrebbe potuto essere anch’essa fattibile (punti 37 e da 275 a 277 della decisione impugnata).

223    La ricorrente non deduce, nell’atto introduttivo del ricorso, alcun elemento tale da indicare che, nonostante tali elementi, un’analisi dettagliata dei mercati in questione sarebbe stata necessaria per stabilire se la clausola costituisse una restrizione della concorrenza per oggetto o per stabilire che nessuna barriera insormontabile impediva alle parti di entrare nei rispettivi mercati contigui.

224    Va, infatti, osservato che, oltre all’argomento già trattato supra ai punti da 201 a 221, la ricorrente si limita, nelle sue memorie, a contestare l’argomento della Commissione sintetizzato supra al punto 222 senza che tale contestazione risulti tale da rimettere in discussione l’analisi della Commissione secondo la quale, nella specie, essa non era tenuta a procedere a un’analisi dettagliata della concorrenza potenziale tra le parti nei mercati interessati dalla clausola.

225    Parimenti, non può essere accolto l’ulteriore argomento della ricorrente, con cui sono stati dedotti elementi ritenuti necessari per dimostrare che un ingresso nei mercati interessati non sarebbe stato corrispondente alle priorità strategiche delle parti o non sarebbe stato economicamente vantaggioso o allettante.

226    Infatti, senza necessità di esaminare nei dettagli tale argomento né di pronunciarsi sul metodo, contestato dalla Commissione, di una delle relazioni economiche prodotte dalla ricorrente, è sufficiente rilevare che se l’intenzione di un’impresa di aderire ad un mercato è eventualmente pertinente al fine di stabilire se possa essere considerata un concorrente potenziale sullo stesso mercato, l’elemento essenziale sul quale deve basarsi tale qualificazione è tuttavia costituito dalla sua capacità di entrare in detto mercato (v. sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 219, EU:T:2012:332, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

227    Dalle suesposte considerazioni risulta che non si può affermare che, sebbene l’esistenza stessa della clausola sia un chiaro indizio di una concorrenza potenziale tra le parti, che il suo oggetto consistesse in un accordo di ripartizione dei mercati, che essa avesse un ampio ambito di applicazione e che si inserisse in un contesto economico liberalizzato, la Commissione avrebbe dovuto procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati e della concorrenza potenziale tra le parti su tali mercati al fine di concludere che la clausola costituiva una restrizione della concorrenza per oggetto. Il quarto motivo dev’essere, quindi, respinto.

3.     Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la clausola non sarebbe una restrizione per effetto e sulla violazione delle norme sull’onere della prova e del principio in dubio pro reo

228    A parere della ricorrente, dato che la clausola non costituisce una restrizione per oggetto, spettava alla Commissione provare che il preteso comportamento restrittivo aveva avuto luogo, che tale comportamento aveva avuto effetti reali o potenziali sul mercato e che tali effetti erano stati significativi. Non avendo la Commissione dimostrato che la clausola fosse restrittiva per i suoi effetti, l’articolo 101 TFUE sarebbe stato applicato erroneamente e i principi della presunzione di innocenza e dell’onere della prova sarebbero stati violati.

229    Fondandosi sull’errata premessa secondo la quale il comportamento in questione non potrebbe essere qualificato come restrizione della concorrenza per oggetto, tale argomento può solo essere respinto. Dal testo stesso dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE emerge che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale. Di conseguenza, la dimostrazione di effetti anticoncorrenziali concreti non è necessaria qualora sia comprovato l’oggetto anticoncorrenziale dei comportamenti addebitati (v. sentenza del 3 marzo 2011, Siemens e VA Tech Transmission & Distribution/Commissione, da T‑122/07 a T‑124/07, Racc., EU:T:2011:70, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

230    Infatti, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza. Ciò si verifica in particolare per quanto riguarda gli accordi che comportano restrizioni manifeste della concorrenza quali la fissazione di prezzi e la ripartizione dei mercati (sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, Racc., EU:C:2011:816, punto 75).

231    Pertanto, il quinto motivo, attinente al fatto che la Commissione non avrebbe esaminato gli effetti della clausola, dev’essere respinto.

B –  Sulla domanda relativa all’importo dell’ammenda

232    Con il sesto, settimo e ottavo motivo, dedotti in subordine, la ricorrente eccepisce una serie di pretesi errori commessi nel calcolo dell’ammenda.

1.     Osservazioni preliminari

a)     Sui principi relativi al calcolo delle ammende

233    Va ricordato che, secondo giurisprudenza costante, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’importo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Racc., EU:C:2009:500, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

234    La gravità delle infrazioni al diritto dell’Unione in materia concorrenza va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze del 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑510/06 P, Racc., EU:C:2009:166, punto 72, e del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc., EU:C:2009:505, punto 54).

235    Come esposto supra al punto 52, la Commissione, nella specie, ha determinato l’importo delle ammende applicando il metodo definito negli orientamenti.

236    Anche se tali orientamenti non possono essere qualificati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione è comunque tenuta, essi enunciano tuttavia una norma di comportamento indicativa della prassi da seguire dalla quale l’amministrazione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire ragioni compatibili con il principio di parità di trattamento (v., per analogia, sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc., EU:C:2005:408, punto 209 e giurisprudenza ivi citata, e dell’8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc., EU:T:2008:416, punto 70).

237    Adottando norme di comportamento di tal genere e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate ai casi cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v., per analogia, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 236, EU:C:2005:408, punto 211 e giurisprudenza ivi citata, e Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. supra al punto 236, EU:T:2008:416, punto 71).

238    Inoltre, tali orientamenti stabiliscono, in modo generale e astratto, il metodo che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’importo delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (v., per analogia, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 236, punti 211 e 213).

239    I punti 4 e 5 degli orientamenti prevedono quanto segue:

«4. Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese o alle associazioni di imprese che, intenzionalmente o per negligenza, violano le disposizioni degli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE] costituisce uno dei mezzi che le sono stati attribuiti per consentirle di svolgere la missione di sorveglianza conferitale dal trattato. Tale missione non comprende soltanto il compito di indagare sulle singole infrazioni e di sanzionarle, ma comporta anche il dovere di perseguire una politica generale intesa ad applicare, nel campo della concorrenza, i principi fissati dal trattato e ad orientare in tal senso il comportamento delle imprese. A tal fine la Commissione deve far sì che la propria azione abbia il necessario carattere dissuasivo. Quando la Commissione constata un’infrazione alle disposizioni degli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE], può essere pertanto necessario infliggere un’ammenda a coloro che hanno agito illegalmente. Le ammende devono avere un effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE] (effetto dissuasivo generale).

5. Per conseguire tali obiettivi è opportuno che la Commissione si riferisca, come base per la determinazione delle ammende, al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione. Anche la durata dell’infrazione dovrebbe avere un ruolo significativo nella determinazione dell’importo appropriato dell’ammenda. Essa, infatti, necessariamente ha un impatto sulle conseguenze potenziali dell’infrazione sul mercato. Per questo si ritiene importante che l’ammenda rifletta anche il numero di anni durante i quali l’impresa ha partecipato all’infrazione».

240    Gli orientamenti definiscono un metodo di calcolo che si articola su due fasi (punto 9 degli orientamenti). Essi prevedono, per la prima fase di calcolo, la determinazione da parte della Commissione di un importo di base per ciascuna impresa o associazione di imprese interessata e contengono, al riguardo, le seguenti disposizioni:

«12. L’importo di base sarà fissato in riferimento al valore delle vendite secondo la metodologia seguente.

(…)

13. Al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE). In linea di massima la Commissione prenderà come riferimento le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione.

(…)

19. L’importo di base dell’ammenda sarà legato ad una proporzione del valore delle vendite, determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione, moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione.

20. La gravità sarà valutata caso per caso per ciascun tipo di infrazione, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti.

21. In linea di massima, la proporzione considerata del valore delle vendite sarà fissata a un livello che può raggiungere il 30% del valore delle vendite.

22. Per decidere se la proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione in un determinato caso debba situarsi sui valori minimi o massimi all’interno della forcella prevista, la Commissione terrà conto di un certo numero di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e se sia stata data attuazione o meno alle pratiche illecite.

23. Per la loro stessa natura, gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione, che sono generalmente segreti, costituiscono alcune delle più gravi restrizioni della concorrenza. Nell’ambito della politica di concorrenza essi saranno severamente sanzionati. In generale, pertanto, la proporzione del valore delle vendite considerata per le infrazioni di questo tipo si situerà sui valori più alti previsti.

24. Per tenere pienamente conto della durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione, l’importo determinato in funzione del valore delle vendite (cfr. i punti da 20 a 23) sarà moltiplicato per il numero di anni di partecipazione all’infrazione. I periodi di durata inferiore a un semestre saranno contati come metà anno, quelli di durata superiore a sei mesi, ma inferiore a un anno, saranno contati come un anno intero.

25. Inoltre, a prescindere dalla durata della partecipazione di un’impresa all’infrazione, la Commissione inserirà nell’importo di base una somma compresa fra il 15% e il 25% del valore delle vendite definito nella sezione A al fine di dissuadere ulteriormente le imprese dal prendere parte ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione. Essa può applicare tale importo supplementare anche ad altre infrazioni. Per decidere la proporzione del valore delle vendite da considerare in un determinato caso, la Commissione terrà conto di un certo numero di fattori, fra cui in particolare quelli indicati al punto 22.

(…)».

241    Gli orientamenti prevedono, per una seconda fase di calcolo, che la Commissione possa adeguare l’importo di base, aumentandolo o riducendolo, sul fondamento di una valutazione globale che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti (punti 11 e 27 degli orientamenti).

242    Con riferimento a tali circostanze, il punto 29 degli orientamenti così dispone:

«L’importo di base dell’ammenda può essere ridotto qualora la Commissione constati l’esistenza di circostanze attenuanti, quali:

–        quando l’impresa interessata fornisce la prova di aver posto fine alle attività illecite immediatamente dopo i primi interventi della Commissione. Questo non si applica agli accordi o alle pratiche di natura segreta (in particolare i cartelli);

–        quando l’impresa fornisce la prova che l’infrazione è stata commessa per negligenza;

–        quando l’impresa fornisce la prova che la propria partecipazione all’infrazione è sostanzialmente marginale dimostrando altresì che, nel periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, non ha di fatto dato loro applicazione adottando un comportamento concorrenziale sul mercato; il fatto che un’impresa abbia partecipato a un’infrazione per una durata inferiore rispetto alle altre imprese non costituisce di per sé una circostanza attenuante, in quanto di tale circostanza si è già tenuto conto nella determinazione dell’importo di base;

–        quando l’impresa collabora efficacemente con la Commissione al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole e oltre quanto richiesto dagli obblighi di collaborazione previsti dalla legge;

–        quando il comportamento anticoncorrenziale è stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge».

243    Infine, come ricordato dalla Corte nelle sentenze KME Germany e a./Commissione, citata supra al punto 230 (EU:C:2011:816, punto 129), e KME Germany e a./Commissione, citata supra al punto 87 (EU:C:2011:810, punto 102), il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei suoi motivi. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

244    Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 17 del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), e attualmente dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (sentenza KME Germany e a./Commissione, cit. supra al punto 87, EU:C:2011:810, punto 103).

b)     Decisione impugnata

245    La Commissione ha ritenuto che, alla luce dei fatti descritti nella decisione impugnata, l’infrazione fosse stata commessa deliberatamente e fosse costituita da un accordo, chiaramente illecito, tra le parti di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche spagnolo e portoghese. Secondo la Commissione, per quanto riguarda questo tipo di infrazioni manifeste, le parti non possono sostenere di non aver agito intenzionalmente (punto 477 della decisione impugnata).

246    Per quanto attiene al valore delle vendite che funge da riferimento per la fissazione dell’importo di base, la Commissione ha ritenuto che la clausola di non concorrenza fosse applicabile a tutti i servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi forniti in Spagna o in Portogallo, eccezion fatta per i servizi globali di telecomunicazione e per i servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, per i quali le parti erano in concorrenza nella penisola iberica alla data della firma dell’accordo, e che per questo fatto sono stati esclusi dall’ambito di applicazione di quest’ultimo. Inoltre, tenuto conto del fatto che la clausola escludeva dal suo ambito di applicazione investimenti e attività già in corso alla data dell’accordo che potevano essere considerati concorrenti rispetto alle attività e agli investimenti della controparte nel mercato iberico, la Commissione ha tenuto conto, per ciascuna parte, solo del valore delle proprie vendite nel suo paese d’origine. Essa non ha quindi preso in considerazione, in particolare, il valore delle vendite di ciascuna parte nel paese d’origine della controparte, in quanto tali importi corrispondevano, in linea di principio, ad attività preesistenti, non rientranti nella clausola. Ciò implica che, per quanto riguarda la Telefónica, il valore delle vendite è stato fissato dalla Commissione tenendo conto del valore delle vendite di quest’ultima società in Spagna, mentre, per quanto riguarda la PT, detto valore è stato determinato tenendo conto del valore delle vendite di tale società in Portogallo (punti 482 e 483 della decisione impugnata).

247    La Commissione ha poi precisato che, in generale, essa ha tenuto conto delle vendite realizzate dalle imprese durante l’ultimo anno intero della loro partecipazione all’infrazione. Poiché, nella specie, l’infrazione è durata meno di un anno e si è verificata tra il 2010 e il 2011, la Commissione ha utilizzato le vendite delle imprese nel corso del 2011, che erano più ridotte rispetto alle vendite registrate dalle parti nel 2010 (punto 484 della decisione impugnata).

248    Quanto alla gravità dell’infrazione, che determina la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione per fissare l’importo dell’ammenda, la Commissione ha sostenuto che, nella specie, l’infrazione è costituita da un accordo di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche e televisivo spagnolo e portoghese tra le parti e che la Telefónica e la PT sono gli operatori storici nei rispettivi paesi (punto 489 della decisione impugnata).

249    La Commissione ha precisato di aver tenuto conto del fatto che la clausola non era stata tenuta segreta dalle parti, sin dalla sua introduzione, per la prima volta, nell’offerta del 1° giugno 2010. Infatti, e come esposto ai punti da 128 a 130 della decisione impugnata, la seconda offerta che includeva il primo progetto di clausola è stata messa online dalle parti sui rispettivi siti Internet e comunicata alle autorità di borsa spagnola e portoghese, che l’hanno pubblicata, a loro volta, sui propri siti Internet. Peraltro, il 9 giugno 2010, la PT ha diffuso presso i propri azionisti un opuscolo esplicativo dell’operazione e della clausola. Inoltre, l’accordo contenente la versione definitiva della clausola costituiva parte integrante del fascicolo depositato dalla Telefónica e dalla PT presso l’Anatel e il CADE. Infine, in un articolo pubblicato dal Jornal de Negócios il 23 agosto 2010, la Telefónica ha confermato che l’accordo conteneva una clausola di non concorrenza (punto 491 della decisione impugnata).

250    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che questa si è protratta dal 27 settembre 2010, data dell’atto notarile e quindi della conclusione definitiva dell’operazione, al 4 febbraio 2011, data dell’accordo delle parti che ha posto termine alla clausola (punto 492 della decisione impugnata).

251    Alla luce di tali elementi, delle dimensioni delle imprese e della breve durata dell’accordo restrittivo, la Commissione ha ritenuto che, nelle circostanze specifiche della causa in esame, fosse proporzionato e sufficiente in termini di dissuasione considerare una bassa percentuale del valore delle vendite per calcolare l’importo di base delle ammende. La Commissione ha quindi ritenuto che la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione dovesse essere pari al 2% per le due imprese interessate (punto 493 della decisione impugnata). La percentuale del valore delle vendite considerata per ciascuna impresa è stata moltiplicata per il coefficiente considerato per la durata, ossia 0,33, corrispondente a quattro mesi di un anno intero.

252    La Commissione ha considerato gli importi così calcolati come importi di base finali, dovendosi quindi rilevare che essa non ha aggiunto alcun importo fisso di dissuasione (droit d’entrée) nella specie, come previsto al punto 25 degli orientamenti (v. supra, punto 240), circostanza che l’Istituzione stessa ha peraltro confermato all’udienza.

253    Per quanto riguarda l’adeguamento dell’importo di base, da un lato, la Commissione ha ritenuto che non sussistesse alcuna circostanza aggravante da considerare nella specie (punto 496 della decisione impugnata).

254    Dall’altro, la Commissione ha ricordato che le parti avevano deciso di eliminare la clausola il 4 febbraio 2011, ponendo quindi fine alla pratica anticoncorrenziale in questione. Secondo la Commissione, tenuto conto del fatto che si è posto fine alla clausola soltanto sedici giorni dopo che la Commissione aveva proceduto all’avvio del procedimento e 30 giorni dopo che la Commissione aveva inviato la prima richiesta di informazioni alle parti e che la clausola non era segreta, si doveva ritenere che l’eliminazione summenzionata costituisse una circostanza attenuante che occorreva applicare alle due parti (punto 500 della decisione impugnata).

255    Alla luce di tali circostanze, la Commissione ha ritenuto che l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle parti dovesse essere ridotto del 20% (punto 501 della decisione impugnata) e ha respinto tutti gli argomenti delle parti diretti a far valere altre circostanze attenuanti (punti da 502 a 507 della decisione impugnata).

256    Gli importi finali delle ammende ammontano quindi a EUR 66 894 400 per la Telefónica e a EUR 12 290 400 per la PT.

2.     Sul sesto motivo, vertente su un manifesto errore nel calcolo del valore iniziale delle vendite della Telefónica ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda e sulla violazione dei principi di proporzionalità e di motivazione

257    La ricorrente sostiene che il volume delle vendite della Telefónica preso in considerazione al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda dev’essere ridotto e riportato al minore importo applicato alla PT e che la Commissione ha erroneamente incluso nel volume delle vendite della Telefónica servizi non soggetti a concorrenza o esclusi dall’ambito di applicazione della clausola, ossia le vendite realizzate in Spagna, ma al di fuori della penisola iberica, le vendite a titolo di servizi forniti in regime di monopolio, le vendite a titolo di altri servizi all’ingrosso ai quali la PT non poteva accedere e, infine, le vendite della Telefónica a titolo di servizi forniti attraverso la ZON nonché le vendite corrispondenti ad attività per le quali le parti erano concorrenti effettivi.

a)     Sul primo capo, vertente sul fatto che il volume delle vendite preso in considerazione per la Telefónica dovrebbe essere identico a quello preso in considerazione per la PT

258    La ricorrente si oppone al fatto che siano stati presi in considerazione, al punto 483 della decisione impugnata, volumi delle vendite di ciascuna parte nel suo Stato membro d’origine ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda. In forza del principio di proporzionalità, sarebbe stato invece opportuno che il volume delle vendite preso in considerazione per la Telefónica fosse riportato al minor importo applicato alla PT, per non penalizzare ingiustamente la Telefónica rispetto alla stessa infrazione reciproca unicamente per il fatto che il mercato spagnolo era assai più ampio del mercato portoghese.

259    Inoltre, proprio come nella causa che ha dato luogo alla sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, citata supra al punto 219 (EU:T:2012:332), sussisterebbero nella specie circostanze eccezionali che giustificherebbero tale riduzione, ossia, da un lato, il ruolo distinto svolto dalle due imprese riguardo all’inserimento della clausola nel contratto, che dimostrerebbe che soltanto la PT era effettivamente interessata, mentre la Telefónica sarebbe stata costretta dal governo portoghese ad accettare la clausola e, dall’altro, la mancanza di impatto che l’applicazione effettiva della clausola avrebbe potuto avere sulla concorrenza effettiva nei mercati spagnoli delle telecomunicazioni.

260    Si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, per fissare ammende come quella di cui trattasi nella specie, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, in particolar modo i principi della parità di trattamento e di proporzionalità, quali elaborati dalla giurisprudenza dei giudici dell’Unione (sentenze del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, Racc., EU:T:2006:103, punti 77 e 79, e dell’8 ottobre 2008, Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, T‑69/04, Racc., EU:T:2008:415, punto 41). In particolare, il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefisso (sentenze del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, Racc., EU:T:2006:270, punto 226, e Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 213, EU:T:2007:267, punto 223).

261    Risulta, inoltre, da giurisprudenza costante che la quota del fatturato proveniente dalle merci oggetto dell’infrazione è tale da fornire un’esatta indicazione della portata di un’infrazione nel mercato interessato (sentenza del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc., EU:C:1983:158, punto 121). In particolare, il volume di affari realizzato sui prodotti che abbiano costituito oggetto di una pratica restrittiva costituisce un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza (sentenze dell’11 marzo 1999, British Steel/Commissione, T‑151/94, Racc., EU:T:1999:52, punto 643, e dell’8 luglio 2008, Saint‑Gobain Gyproc Belgium/Commissione, T‑50/03, EU:T:2008:252, punto 84). La Commissione può quindi validamente scegliere di basarsi su tale fatturato come punto di partenza per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda da infliggere per una violazione delle norme in materia di concorrenza, come ha fatto negli orientamenti (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione, T‑211/08, Racc., EU:T:2011:289, punto 61).

262    Inoltre, è già stato dichiarato che occorre basarsi sul fatturato delle imprese coinvolte nella stessa infrazione onde stabilire i rapporti tra le ammende da infliggere (sentenza del 12 luglio 2011, Toshiba/Commissione, T‑113/07, Racc., EU:T:2011:343, punto 283).

263    Nella specie, come sottolinea correttamente la Commissione, il fatto di utilizzare, come chiede la ricorrente, il fatturato della PT per calcolare l’importo di base dell’ammenda da infliggere alla Telefónica sarebbe contrario sia al principio di proporzionalità che al principio secondo il quale l’ammenda dev’essere fissata a un livello che le garantisca una natura sufficientemente dissuasiva.

264    Per quanto riguarda il riferimento alla causa che ha dato luogo alla sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, citata supra al punto 219 (EU:T:2012:332), va ricordato che, secondo costante giurisprudenza, la prassi decisionale della Commissione non serve da quadro giuridico alle ammende in materia di concorrenza, atteso che la Commissione dispone, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, di un ampio potere discrezionale, restando escluso che l’istituzione sia vincolata dalle proprie precedenti valutazioni, cosicché il semplice fatto che la Telefónica avesse invocato la decisione che ha dato luogo alla sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, citata supra al punto 219 (EU:T:2012:332), è di per sé inoperante, in quanto la Commissione non era tenuta a valutare il caso in esame allo stesso modo (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, cit. supra al punto 234, EU:C:2009:166, punto 82).

265    Del resto, va osservato, al pari della Commissione, che le circostanze che hanno giustificato l’applicazione dello stesso valore delle vendite per le due imprese interessate nella causa che ha dato luogo alla sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, citata supra punto 219 (EU:T:2012:332), non sussistono nella specie. Infatti, in detta causa, le due parti di un accordo di ripartizione dei mercati detenevano quote di mercato equivalenti. Tuttavia, dato che gran parte del mercato francese del gas non era aperta alla concorrenza, l’applicazione del criterio degli orientamenti avrebbe comportato una notevole differenza tra le vendite dell’una e dell’altra impresa. L’accordo di ripartizione dei mercati ha tuttavia consentito alla GDF di tutelare l’intero mercato francese. Inoltre, è stato segnalato che non sarebbe stato giustificato che la GDF beneficiasse del fatto che il mercato francese venisse liberalizzato più lentamente. Tali circostanze non sussistono nella specie, in quanto i mercati di cui trattasi sono pienamente liberalizzati.

266    Infine, devono essere respinti anche gli altri argomenti della ricorrente, attinenti al fatto che sarebbe stato necessario tener conto, nella specie, del valore delle vendite della PT ai fini del calcolo dell’ammenda della Telefónica.

267    In primo luogo, quanto al preteso distinto ruolo svolto delle due imprese riguardo all’inserimento della clausola nel contratto, che si ritiene indicativo del fatto che solo la PT fosse effettivamente interessata, mentre la Telefónica sarebbe stata costretta ad accettare la clausola, tale ruolo non può essere preso in considerazione nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda, ma soltanto, eventualmente, quale circostanza attenuante (v. infra, al riguardo, punti 330 e seguenti).

268    In secondo luogo, per quanto riguarda la presunta mancanza di impatto che l’applicazione effettiva della clausola avrebbe potuto avere sulla concorrenza effettiva nei mercati spagnoli delle telecomunicazioni, si deve rinviare all’esame del quarto motivo (v. supra, punti da 201 a 227), nel cui ambito è stato constatato che la ricorrente non aveva dimostrato che le due imprese non dovevano essere qualificate come concorrenti potenziali durante il periodo interessato dalla clausola. Pertanto, la ricorrente non può sostenere che un’applicazione effettiva della clausola non avrebbe potuto avere alcun impatto.

269    Inoltre, va ricordato che uno degli esempi di accordo forniti dall’articolo 101, paragrafo 1, lettera c), TFUE, dichiarato espressamente incompatibile con il mercato interno, è proprio quello consistente nel «ripartire i mercati». La pratica che ha costituito oggetto della clausola è espressamente vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto implica restrizioni intrinseche alla concorrenza nel mercato interno (v., per analogia, sentenza del 14 marzo 2013, Fresh Del Monte Produce/Commissione, T‑587/08, Racc., EU:T:2013:129, punto 768).

270    L’articolo 101 TFUE, come le altre regole in materia di concorrenza enunciate nel Trattato, non è destinato a tutelare soltanto gli interessi immediati di singoli concorrenti o consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale. Pertanto, l’accertamento della sussistenza dell’oggetto anticoncorrenziale di un accordo non può essere subordinato all’accertamento di un legame diretto di quest’ultimo con i prezzi al dettaglio (v., per analogia, sentenze del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a., C‑8/08, Racc., EU:C:2009:343, punti 38 e 39, e Fresh Del Monte Produce/Commissione, cit. supra al punto 269, EU:T:2013:129, punto 769).

271    Dal sistema sanzionatorio delle violazioni delle regole di concorrenza, quale istituito dai regolamenti n. 17 e n. 1/2003 ed interpretato dalla giurisprudenza, emerge che le intese, come i cartelli, meritano, a causa della loro natura, le ammende più severe. L’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è, di per sé, un criterio decisivo per la determinazione del livello delle ammende (sentenze del 12 novembre 2009, Carbone‑Lorraine/Commissione, C‑554/08 P, EU:C:2009:702, punto 44, e Fresh Del Monte Produce/Commissione, cit. supra al punto 269, EU:T:2013:129, punto 770).

272    Va inoltre osservato che, contrariamente agli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3), gli orientamenti non menzionano più la necessità, al fine di valutare la gravità, di prendere in considerazione «l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori», né «l’impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato laddove possa essere misurato» (sentenze del 16 giugno 2011, Gosselin Group/Commissione, T‑208/08 e T‑209/08, Racc., EU:T:2011:287, punto 128, e Fresh Del Monte Produce/Commissione, cit. supra al punto 269, EU:T:2013:129, punto 772). Pertanto, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione il possibile impatto dell’infrazione al fine di determinare la proporzione del valore delle vendite considerata a titolo di gravità conformemente ai punti da 19 a 24 degli orientamenti. Orbene, dall’argomento della ricorrente non emerge che essa rimette in discussione la legittimità di detti orientamenti.

273    Dalle suesposte considerazioni risulta che il primo capo del sesto motivo, vertente sul fatto che il volume delle vendite preso in considerazione per la Telefónica dovrebbe essere identico a quello preso in considerazione per la PT, dev’essere respinto.

b)     Sul secondo capo, attinente al fatto che il valore di talune vendite avrebbe dovuto essere escluso dal calcolo dell’ammenda

274    A parere della ricorrente, dal calcolo dell’importo dell’ammenda dovrebbe essere escluso il valore di talune vendite, corrispondente a servizi non soggetti a concorrenza o esclusi dall’ambito di applicazione della clausola, ossia le vendite realizzate in Spagna, ma al di fuori della penisola iberica, le vendite a titolo di servizi forniti in regime di monopolio, le vendite a titolo di altri servizi all’ingrosso ai quali la PT non poteva accedere e, infine, le vendite della Telefónica a titolo di servizi forniti attraverso la ZON nonché le vendite corrispondenti ad attività per le quali le parti erano concorrenti effettive. La decisione impugnata non indicherebbe le ragioni per le quali le spiegazioni fornite dalla ricorrente al riguardo nel procedimento amministrativo non sarebbero state accolte, arrecando così un grave danno ai suoi diritti della difesa.

 Sulla motivazione

275    Va ricordato che la motivazione dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, Racc., EU:C:2011:620, punto 147 e giurisprudenza ivi citata). La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento del se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc., EU:C:1998:154, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

276    Quanto alla portata dell’obbligo di motivazione in ordine al calcolo dell’ammenda inflitta per violazione della normativa dell’Unione in materia di concorrenza, va osservato che l’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 dispone che «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Al riguardo, gli orientamenti, nonché la comunicazione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17) contengono regole indicative sugli elementi di valutazione di cui la Commissione si avvale per misurare la gravità e la durata dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 89, EU:T:2003:193, punto 217 e giurisprudenza ivi citata).

277    Di conseguenza, i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione sono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione di cui deve servirsi nell’applicare i suoi orientamenti e, all’occorrenza, la sua comunicazione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese, elementi che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 89, EU:T:2003:193, punto 218).

278    Nella specie, nelle sezioni 5 e 6.3.3.2 della decisione impugnata e in particolare ai punti 153, 184, 185 e 278 della medesima decisione, la Commissione ha precisato che le parti dovevano essere considerate, quantomeno, concorrenti potenziali su tutti i mercati dei servizi di comunicazioni elettroniche e dei servizi televisivi in Spagna e in Portogallo, che i loro argomenti volti a ottenere l’esclusione di talune attività dall’ambito di applicazione della clausola non potevano essere accolti e che, alla luce del rigetto degli argomenti delle parti riguardo all’esistenza di una concorrenza potenziale tra le stesse e tenuto conto dell’ampio ambito di applicazione della clausola, nessuna analisi dettagliata quanto al fatto se le parti fossero concorrenti potenziali risultava necessaria nella specie relativamente a ciascun mercato specifico per valutare se l’accordo dovesse essere considerato costitutivo di una restrizione per oggetto. Inoltre, la Commissione ha osservato, al punto 482 della decisione impugnata, sotto il titolo «Il valore delle vendite», che essa riteneva che la clausola di non concorrenza fosse applicabile a qualsiasi tipo di servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali e che, pertanto, tutti i servizi forniti in Spagna o in Portogallo e costituenti parte integrante dei mercati elencati nella sezione 5.3, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, erano direttamente o indirettamente interessati dall’infrazione.

279    Ne consegue che la Commissione ha fornito spiegazioni sufficienti sul modo in cui essa ha determinato il valore delle vendite da prendere in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda e sulle ragioni per le quali essa ha ritenuto che non fosse necessario esaminare ogni servizio di cui la ricorrente aveva chiesto l’esclusione ai fini del calcolo dell’ammenda nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. L’argomento della ricorrente attinente alla violazione dell’obbligo di motivazione e, pertanto, del proprio diritto di difesa dev’essere quindi respinto.

 Nel merito

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività realizzate al di fuori della penisola iberica

280    La ricorrente sostiene che dal calcolo dell’ammenda dovrebbero essere escluse le vendite realizzate in Spagna al di fuori della penisola iberica, vale a dire nelle Isole Canarie, a Ceuta, a Melilla e nelle Isole Baleari.

281    Tale argomento dev’essere respinto.

282    Infatti, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il testo della clausola non fa riferimento letterale alla «penisola iberica», bensì al «mercato iberico». Orbene, risulta che il riferimento al «mercato iberico» dev’essere inteso non già in senso strettamente geografico, come riferimento alla sola penisola iberica, bensì come riferimento ai mercati della Spagna e del Portogallo, che includono i mercati dei loro territori non situati nella penisola iberica. Non sussistono indizi, né la ricorrente deduce argomenti al fine di dimostrare che i territori di tali Stati, situati al di fuori della penisola iberica, fossero esclusi dall’ambito di applicazione della clausola.

283    A tal riguardo, occorre, infatti, osservare che la ricorrente si limita a contestare l’interpretazione dell’ambito di applicazione geografico della clausola adottata dalla Commissione e ricordare che le parti hanno unanimemente rilevato che l’ambito geografico interessato era la penisola iberica, senza peraltro dedurre alcun argomento volto a rimettere in discussione le conclusioni della Commissione riguardo all’ambito di applicazione geografico della clausola, esposte ai punti da 175 a 182 della decisione impugnata. Orbene, le sue affermazioni possono essere solo respinte.

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività preesistenti

284    Secondo la ricorrente, dal calcolo dell’ammenda dovrebbero essere escluse le vendite a titolo di servizi per i quali le parti erano concorrenti effettive.

285    Da un lato, dovrebbero essere quindi escluse dal calcolo dell’ammenda le vendite dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, per i quali le parti erano concorrenti effettive alla data della firma dell’accordo e che, per questo, erano esclusi dall’ambito di applicazione di tale accordo.

286    Va osservato che, all’udienza, alla luce dei punti 482 e 483 della decisione impugnata, dai quali emerge che il valore delle vendite dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, per i quali le parti erano concorrenti effettive alla data della firma dell’accordo, non è stato preso in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda, la ricorrente ha desistito dalla domanda iniziale di esclusione di tali servizi dal calcolo dell’ammenda, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

287    D’altro lato, la ricorrente fa valere che devono essere escluse dal calcolo del valore delle sue vendite le vendite a titolo di servizi forniti attraverso la Zon. Secondo la ricorrente, detenendo essa quote in tale società concorrente della PT, operante nel settore delle comunicazioni elettroniche (v. supra, punto 4), i servizi forniti dalla Zon erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola, che escludeva «attività o (…) investimenti già realizzati o in corso» (v. supra, punto 1).

288    Orbene, la ricorrente deteneva solo una partecipazione minoritaria nella Zon (5,46%) e non ne aveva quindi il controllo. Peraltro, come è già stato osservato supra ai punti da 172 a 174, la ricorrente non ha contestato le affermazioni contenute nei punti da 156 a 164 della decisione impugnata, secondo le quali le attività fornite da società non controllate dalle parti non rientravano nella deroga inserita nell’ambito di applicazione della clausola. Ne consegue che non può essere accolto l’argomento secondo il quale dal calcolo dell’ammenda dovrebbe essere escluso il valore delle vendite a titolo di servizi forniti attraverso la Zon.

289    In ogni caso, va osservato che la domanda di esclusione del valore delle vendite realizzate dalla Zon dal valore delle vendite preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda della ricorrente è inoperante, in quanto le vendite della Zon sono state realizzate in Portogallo e le uniche vendite prese in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda della Telefónica sono state le vendite realizzate in Spagna (v. supra, punti 53 e 246). Pertanto, l’esclusione del valore delle vendite della Zon dall’ambito di applicazione della clausola non avrebbe alcun impatto sul valore delle vendite preso in considerazione per il calcolo dell’ammenda della ricorrente.

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività che non possono essere soggette a concorrenza

290    La ricorrente sostiene che si dovrebbe altresì escludere dal calcolo dell’ammenda il volume delle vendite realizzate nei mercati o con servizi non soggetti a una concorrenza potenziale, anche su un piano teorico, non rientranti nell’ambito di applicazione della clausola, ossia le vendite a titolo di servizi forniti in regime di monopolio e le vendite a titolo di altri servizi all’ingrosso ai quali la PT non poteva accedere.

291    A tal riguardo, la ricorrente sostiene di aver fornito, durante il periodo 2010‑2011, diversi servizi di telecomunicazione in regime di monopolio. Per tali servizi, la sua offerta non avrebbe potuto essere coperta da altre società, o per ragioni di esclusiva o a causa della natura stessa del servizio. Si tratterebbe segnatamente, in primo luogo, del servizio universale, in secondo luogo, del «sistema de radiocomunicaciones digitales de emergencia del Estado» (SIRDEE, sistema di radiocomunicazioni digitali di emergenza dello Stato spagnolo), in terzo luogo, dei servizi di terminazione di chiamata sulla sua rete fissa e sulla sua rete mobile e, in quarto luogo, dei servizi all’ingrosso di locazione di linee principali di talune rotte sottomarine. Inoltre, la PT non avrebbe potuto fare concorrenza alla Telefónica nei settori dei servizi di accesso e di emissione di chiamate sulla rete telefonica pubblica in un luogo fisso, dei servizi di accesso e di emissione di chiamate sulle reti pubbliche di telefonia mobile e dei servizi all’ingrosso di dati. Tenuto conto della motivazione accolta dal Tribunale nella causa sfociata nella sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, citata supra al punto 219 (EU:T:2012:332), l’importo delle vendite della ricorrente per tali servizi dovrebbe essere escluso dal valore delle sue vendite assunto ai fini del calcolo dell’ammenda.

292    In primo luogo, va osservato che la Commissione, al punto 478 della decisione impugnata, ha rinviato al punto 12 degli orientamenti, il quale stabilisce che l’importo di base dell’ammenda sarà fissato con riferimento al valore delle vendite secondo la metodologia esposta nei punti successivi. In detto punto la Commissione ha inoltre spiegato che l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle imprese sarebbe stato fissato con riferimento al valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dalle imprese nell’area geografica interessata all’interno dell’Unione europea. Al punto 482 della decisione impugnata (v. supra, punto 278), la Commissione ha proseguito precisando che essa riteneva che la clausola di non concorrenza fosse applicabile a qualsiasi tipo di servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali e che, pertanto, tutti i servizi forniti in Spagna o in Portogallo e costituenti parte integrante dei mercati elencati nella sezione 5.3, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, fossero direttamente o indirettamente interessati dall’infrazione.

293    All’udienza la Commissione, in risposta segnatamente a un quesito scritto del Tribunale (v. supra, punto 61) ha spiegato che, a fronte della sfera di applicazione molto ampia della clausola, essa non era tenuta ad analizzare la concorrenza potenziale tra le parti per ciascuno dei servizi fatti valere dalla ricorrente ai fini della determinazione del valore delle vendite da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda. Nell’ambito di un’infrazione per oggetto come quella del caso di specie, tale operazione, non richiesta ai fini dell’accertamento dell’infrazione, non poteva essere imposta neppure per la determinazione dell’importo dell’ammenda. In subordine, la Commissione ha aggiunto che i servizi considerati dalla ricorrente non erano mercati «autentici», bensì servizi forniti in un mercato nel quale le parti erano concorrenti potenziali e che rientrava, quindi, nella sfera di applicazione della clausola.

294    Tale argomento non può essere accolto.

295    Infatti, la clausola si applicava, alla luce del suo tenore letterale, a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico». Inoltre, la Commissione ha utilizzato, ai fini del calcolo dell’ammenda, il valore delle vendite di attività rientranti, a suo avviso, nell’ambito di applicazione della clausola e ha escluso le vendite corrispondenti ad attività in corso, escluse, conformemente alla formulazione letterale della clausola, dall’ambito di applicazione di quest’ultima. Pertanto, le vendite corrispondenti ad attività che non possono essere in concorrenza con la controparte durante il periodo di applicazione della clausola, parimenti escluse dall’ambito di applicazione di quest’ultima in forza della sua formulazione, dovrebbero essere altresì escluse ai fini del calcolo dell’ammenda.

296    Ne consegue che, indipendentemente dalla questione se i servizi di cui la ricorrente chiede l’esclusione ai fini del calcolo dell’ammenda fossero mercati a parte, per i quali la Commissione avrebbe dovuto valutare la concorrenza potenziale ai fini dell’accertamento dell’infrazione (v. supra, punto 215) la Commissione avrebbe dovuto esaminare se la ricorrente avesse fondati motivi per sostenere che il valore delle vendite dei servizi in questione doveva essere escluso dal calcolo dell’ammenda in considerazione dell’assenza di concorrenza potenziale tra le parti relativamente a tali servizi.

297    Al riguardo, va ricordato che, come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, la Commissione deve valutare, caso per caso e a fronte del contesto della fattispecie nonché degli obiettivi perseguiti dal regime sanzionatorio istituito con il regolamento n. 1/2003, l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata, segnatamente tenendo conto di un fatturato che rifletta la situazione economica reale dell’impresa stessa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa (sentenze del 7 giugno 2007, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, C‑76/06 P, Racc., EU:C:2007:326, punto 25, del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, Racc., EU:C:2014:2363, punto 53, e del 23 aprile 2015, LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, C‑227/14 P, Racc., EU:C:2015:258, punto 49).

298    È possibile, ai fini della commisurazione dell’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, ancorché approssimativa ed imperfetta, delle dimensioni della stessa e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione e che può, quindi, fornire un’indicazione dell’entità della medesima (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 261, EU:C:1983:158, punto 121, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2014:2363, punto 54, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2015:258, punto 50).

299    Se è pur vero che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 lascia alla Commissione un margine discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio stabilendo criteri oggettivi ai quali detta istituzione deve attenersi. Così, da un lato, l’importo dell’ammenda applicabile ad un’impresa è soggetto ad un limite massimo esprimibile in cifre e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta ad una data impresa è determinabile anticipatamente. D’altro lato, l’esercizio di tale potere discrezionale è altresì limitato dalle regole di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta, segnatamente con gli orientamenti (sentenze Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2014:2363, punto 55, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2015:258, punto 51).

300    Pertanto, laddove la Commissione proceda, come nella specie, alla determinazione dell’importo di base dell’ammenda conformemente al metodo esposto negli orientamenti, detto metodo dev’essere rispettato.

301    Al riguardo, va ricordato che, in forza del punto 13 degli orientamenti, «[a]l fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE)». I medesimi orientamenti precisano, al punto 6, che «la combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato».

302    Inoltre, come già rammentato supra al punto 261, dalla giurisprudenza risulta che la quota del fatturato proveniente dalle merci oggetto dell’infrazione è tale da fornire un’esatta indicazione della portata di un’infrazione nel mercato interessato, in quanto il volume di affari realizzato sui prodotti che abbiano costituito oggetto di una pratica restrittiva costituisce un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza (v., in tal senso, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 261, EU:C:1983:158, punto 121, British Steel/Commissione, cit. supra al punto 261, EU:T:1999:52, punto 643, e Saint‑Gobain Gyproc Belgium/Commissione, cit. supra al punto 261, EU:T:2008:252, punto 84).

303    Il punto 13 degli orientamenti mira, quindi, ad assumere quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione ed il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima (sentenze dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 76, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2014:2363, punto 57, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra punto 297, EU:C:2015:258, punto 53).

304    Pertanto, la nozione di valore delle vendite di cui al punto 13 include le vendite realizzate nel mercato interessato dall’infrazione nell’ambito del SEE, senza che si debba stabilire se tale infrazione abbia effettivamente inciso su dette vendite, in quanto la quota del fatturato proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione costituisce l’elemento più idoneo per riflettere l’importanza economica dell’infrazione stessa (v., in tal senso, sentenze Team Relocations e a./Commissione, cit. supra punto 303, EU:C:2013:464, punti da 75 a 78, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra punto 297, EU:C:2014:2363, punti da 57 a 59, del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, Racc., EU:C:2015:184, punti 148 e 149, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 297, EU:C:2015:258, punti da 53 a 58 e 64).

305    Nondimeno, sebbene l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe certamente pregiudicato qualora la nozione di valore delle vendite ivi prevista dovesse essere intesa nel senso che riguarda unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertata la loro effettiva connessione con l’intesa contestata, tale nozione non può tuttavia estendersi sino a includere le vendite realizzate dall’impresa interessata non rientranti, direttamente o indirettamente, nella sfera di applicazione dell’intesa stessa (v., in tal senso, sentenze Team Relocations e a./Commissione, cit. supra al punto 303, EU:C:2013:464, punto 76, e Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, cit. supra al punto 304, EU:C:2015:184, punto 148).

306    In tale contesto, va osservato che non si può certamente richiedere alla Commissione, in presenza di una restrizione per oggetto come quella di cui trattasi nella specie, che essa esegua d’ufficio un esame della concorrenza potenziale per tutti i mercati e i servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’infrazione, salvo derogare ai principi stabiliti dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 213, 214 e 216 e introdurre, attraverso la determinazione del valore delle vendite di cui tener conto per il calcolo dell’ammenda, l’obbligo di esaminare la concorrenza potenziale mentre siffatto esercizio non è necessario nel caso di una restrizione della concorrenza per oggetto (v. supra, punto 215). Al riguardo, la Corte ha, infatti, già avuto modo di dichiarare, in un caso di specie disciplinato dagli orientamenti del 1998 menzionati supra al punto 272, che, nel caso di un’infrazione consistente in una ripartizione di mercati, un’interpretazione che producesse la conseguenza d’imporre alla Commissione, relativamente al metodo di calcolo delle ammende, un obbligo al quale essa non è tenuta ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE, dal momento che l’infrazione in questione ha un oggetto anticoncorrenziale, non può essere accolta (sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 234, EU:C:2009:505, punto 64).

307    La soluzione accolta nella specie non consiste nell’imporre alla Commissione, nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda, un obbligo al quale essa non è tenuta ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE relativamente a un’infrazione avente un oggetto anticoncorrenziale, bensì nel trarre conseguenze dal fatto che il valore delle vendite debba essere direttamente o indirettamente collegato all’infrazione ai sensi del punto 13 degli orientamenti e non possa includere vendite non rientranti, direttamente o indirettamente, nella sfera di applicazione dell’infrazione sanzionata (v. giurisprudenza citata supra al punto 305). Ne consegue che la Commissione, a decorrere dal momento in cui sceglie di basarsi, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, sul valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, deve determinare tale valore in modo preciso.

308    Al riguardo, si deve rilevare che, nella specie, alla luce della formulazione letterale della clausola, che fa espressamente riferimento a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico», e del fatto che la ricorrente ha dedotto, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, elementi di fatto per dimostrare che il valore delle vendite di taluni servizi così menzionati doveva essere escluso ai fini del calcolo dell’ammenda a causa dell’assenza di qualsiasi concorrenza tra le parti, la Commissione avrebbe dovuto procedere all’esame di tali elementi per determinare il valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa.

309    Pertanto, nella specie, dato che le vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce sono le vendite dei servizi rientranti nell’ambito di applicazione della clausola, ossia le vendite di qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni, ad eccezione delle attività già realizzate o in corso, che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico, la Commissione, al fine di determinare il valore di tali vendite, avrebbe dovuto determinare i servizi per i quali le parti non erano in concorrenza potenziale nel mercato iberico, esaminando gli elementi dedotti da queste ultime nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti al fine di dimostrare la mancanza di concorrenza potenziale tra le stesse riguardo a taluni servizi durante il periodo di applicazione della clausola. Solo in base a tale analisi di fatto e di diritto sarebbe stato possibile determinare le vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferiva, il cui valore avrebbe dovuto fungere da importo di partenza per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda.

310    Ne consegue che dev’essere accolto l’argomento della ricorrente consistente nel sostenere che la Commissione avrebbe dovuto determinare, in base agli elementi fatti valere dalla ricorrente sulla mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT riguardo a taluni servizi, il valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferiva e annullare l’articolo 2 della decisione impugnata, unicamente nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda in base al valore delle vendite assunto dall’Istituzione.

311    In secondo luogo, occorre ricordare che il sistema di controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti ai sensi degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE consiste in un controllo di legittimità degli atti delle istituzioni stabilito all’articolo 263 TFUE, che può essere integrato, in applicazione dell’articolo 261 TFUE e su richiesta delle ricorrenti, dall’esercizio, da parte del Tribunale, di una competenza estesa al merito per quanto riguarda le sanzioni inflitte in tale settore dalla Commissione (sentenza Telefónica e Telefónica de España/Commissione, cit. supra al punto 87, EU:C:2014:2062, punto 42). Al riguardo, va rilevato che l’illegittimità constatata nella specie riguarda il valore delle vendite assunto ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente e, quindi, la base stessa del calcolo di quest’ultima.

312    In tale contesto, va nuovamente rammentato che la Commissione non ha proceduto, al punto 482 della decisione impugnata, ad un’analisi della concorrenza potenziale tra le parti per i servizi fatti valere dalla ricorrente. Peraltro, in risposta a una misura di organizzazione del procedimento volta ad ottenere da parte della Commissione risposte agli argomenti della ricorrente relativi alla presunta mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT riguardo a taluni servizi in Spagna (v. supra, punti 61 e 293), la Commissione si è limitata a ribadire la propria posizione secondo la quale essa non sarebbe stata tenuta ad analizzare la concorrenza potenziale tra le parti ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda e si è inoltre limitata a rispondere a tutti gli argomenti della ricorrente affermando che la PT era una concorrente potenziale della Telefónica riguardo ai servizi in questione, in quanto avrebbe potuto partecipare alle gare d’appalto o acquisire un operatore esistente.

313    Dalle suesposte considerazioni risulta che, nella specie, il Tribunale non dispone di elementi sufficienti al fine di determinare l’importo finale dell’ammenda da infliggere alla ricorrente.

314    È ben vero che la competenza estesa al merito, di cui il Tribunale è titolare in forza dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la propria valutazione a quella della Commissione. Tuttavia, nella specie, la Commissione non ha proceduto all’analisi degli elementi dedotti dalla ricorrente per dimostrare la mancanza di concorrenza potenziale tra le parti riguardo a taluni servizi al fine di determinare il valore delle vendite da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda. La determinazione del valore di tali vendite da parte del Tribunale implicherebbe quindi che il medesimo sia indotto a colmare una lacuna nell’istruzione del fascicolo.

315    Orbene, l’esercizio della competenza estesa al merito non può estendersi sino al punto da indurre il Tribunale a procedere a siffatta istruzione, che andrebbe al di là della sostituzione della valutazione del Tribunale a quella della Commissione, in quanto la valutazione del Tribunale sarebbe l’unica e la prima valutazione degli elementi che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione per la determinazione del valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce ai sensi del punto 13 degli orientamenti e la cui analisi spettava alla Commissione.

316    Ne consegue che, nella specie, non occorre esercitare la competenza estesa al merito del Tribunale, cosicché spetta alla Commissione trarre tutte le conseguenze dall’illegittimità accertata nell’ambito dell’esecuzione della presente sentenza e pronunciarsi nuovamente sulla fissazione dell’importo dell’ammenda. Peraltro, il Tribunale ritiene che debbano essere esaminati gli altri motivi relativi all’entità dell’ammenda.

3.     Sul settimo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE per manifesto errore nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità e sulla violazione del principio di proporzionalità

317    La ricorrente fa valere che, in fase di calcolo dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione non ha tenuto debitamente conto dei seguenti elementi, che avrebbero giustificato l’imposizione di un’ammenda simbolica o, quantomeno, di un’ammenda ridotta rispetto a quella inflitta nella specie: in via principale, la clausola è stata determinata dal comportamento del governo portoghese; la clausola non è stata attuata; le parti hanno precisato per iscritto, immediatamente dopo l’intervento della Commissione, che esse ritenevano che la restrizione non potesse essere effettiva e che non lo fosse mai stata; in subordine, la restrizione alla quale la clausola si riferisce non è mai stata attuata e non ha avuto conseguenze, e la Telefónica si è assicurata che detta restrizione non potesse essere attuata qualora ciò fosse illegittimo; la mancanza di precedenti nei quali un accordo eccezionale come quello di cui trattasi sarebbe stato sanzionato; e, infine, la natura pubblica della clausola.

318    Va ricordato che l’importo dell’ammenda è fissato dalla Commissione in funzione della gravità dell’infrazione e, se occorre, della sua durata. La gravità dell’infrazione dev’essere accertata sulla scorta di criteri come le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende. Devono essere presi in considerazione elementi obiettivi come il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve considerare altresì l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 128, EU:C:2004:6, punti da 89 a 91, e Toshiba/Commissione, cit. supra al punto 262, EU:T:2011:343, punto 281).

319    Va altresì ricordato che, nella specie, la Commissione ha assunto, a titolo di gravità dell’infrazione, una bassa percentuale del valore delle vendite delle imprese interessate, ossia il 2% (v. supra, punto 251). Inoltre, occorre rilevare che la Commissione si è astenuta, nella specie, dall’applicare un «droit d’entrée», quale previsto al punto 25 degli orientamenti (v. supra, punto 240), al fine di dissuadere le imprese dal partecipare ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione (v. supra, punto 252). Infine, la Commissione ha precisato di aver tenuto conto, in fase di fissazione della percentuale da considerare a titolo di gravità dell’infrazione, in particolare, del fatto che la clausola non era stata tenuta segreta nonché della breve durata prevista per la sua applicazione (v. supra, punti 249 e 251).

320    Tenuto conto del fatto che la clausola costituiva un accordo di ripartizione dei mercati, infrazione normalmente fra le più gravi, e tenuto conto del fatto che la proporzione del valore delle vendite presa in considerazione è fissata a un livello che può raggiungere il 30% per questo tipo di infrazione (v., punti 21 e 23 degli orientamenti, e supra punto 240), risulta che la Commissione ha preso in considerazione in gran parte elementi idonei ad attenuare, nella specie, la gravità dell’infrazione.

321    Pertanto, gli argomenti della ricorrente diretti a sostenere che la Commissione non avrebbe tenuto debitamente conto di altri elementi che avrebbero dovuto far diminuire la percentuale considerata a titolo di gravità dell’infrazione non possono essere accolti.

322    In primo luogo, per quanto riguarda la considerazione del presunto comportamento del governo portoghese ai fini della determinazione della gravità dell’infrazione, va osservato che gli orientamenti prevedono espressamente che la circostanza che «il comportamento anticoncorrenziale [sia] stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge» possa essere presa in considerazione quale circostanza attenuante (v. infra, al riguardo, punti 333 e seguenti). Pertanto, siffatto incoraggiamento, ammesso che sia dimostrato, non può essere preso in considerazione anche in sede di determinazione della gravità dell’infrazione.

323    In secondo luogo, per quanto riguarda l’attuazione della clausola, si deve rilevare che non risulta dimostrato se quest’ultima sia stata o meno attuata. La Commissione si è limitata a osservare, al punto 365 della decisione impugnata, che, sebbene non si possa dedurre, direttamente, dalla mancanza di nuove attività concorrenziali il fatto che la clausola sia stata attuata, l’osservazione secondo la quale le parti non hanno dimostrato di aver sviluppato nuove attività in Spagna o in Portogallo, che consentano di concludere che la clausola non era stata applicata, dovrebbe essere mantenuta, quale segno (non concludente) della possibile applicazione della clausola. Alla luce di tali circostanze, non si può sostenere che la Commissione avrebbe dovuto applicare una percentuale più bassa a titolo di gravità dell’infrazione a causa della presunta mancata attuazione della clausola. Inoltre, l’argomento secondo il quale la Telefónica si sarebbe assicurata che la clausola non potesse essere attuata qualora fosse risultata illegittima non può essere accolto, in quanto è stato constatato, nell’ambito dell’esame dei primi tre motivi (v. supra, in particolare, punti 121 e da 176 a 199), che la ricorrente non aveva dimostrato che la salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge» avesse trasformato la clausola in un obbligo di autovalutazione della possibilità di una restrizione della concorrenza.

324    In terzo luogo, come è stato precisato dalla Commissione al punto 500 della decisione impugnata (v. supra, punto 254), essa ha tenuto conto, a titolo di circostanze attenuanti, conformemente al punto 29 degli orientamenti (v. supra, punto 242), del fatto che le parti avessero eliminato la clausola pochissimo tempo dopo il suo intervento, cosicché non si deve parimenti tenerne conto a titolo di gravità dell’infrazione.

325    In quarto luogo, la ricorrente sostiene che il fatto che la clausola non sia stata tenuta segreta non è stato preso in considerazione in modo adeguato. Va osservato che la Commissione ha precisato, al punto 491 della decisione impugnata, che la pubblicità della clausola era stata uno degli elementi atti a giustificare la circostanza di aver considerato solo una bassa percentuale del valore delle vendite a titolo di gravità dell’infrazione (v. supra, punti 249 e 319). Se il fatto di essere tenuti segreti è un elemento preso in considerazione a titolo di gravità degli accordi del genere dei cartelli (v. punto 23 degli orientamenti, e supra punto 240), risulta che, nella specie, considerando solo il 2% del valore delle vendite a titolo di gravità dell’infrazione, la Commissione ha preso debitamente in considerazione la pubblicità della clausola.

326    Infine, in quinto luogo, per quanto riguarda la pretesa natura eccezionale dell’accordo di cui trattasi nella specie, va ricordato che la ricorrente ha tentato di giustificare l’esistenza della clausola, in particolare, con il fatto che fosse difficile valutare la questione se tale clausola potesse essere qualificata come restrizione accessoria all’operazione Vivo, cosicché detta valutazione è stata rinviata a un momento successivo mediante la salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge» (v. supra, punto 178). Orbene, come correttamente sottolineato dalla Commissione, esistono precedenti in materia di restrizioni accessorie, cosicché le parti potevano valutare perfettamente la questione se la clausola potesse costituire una restrizione accessoria di tal genere. Pertanto, un’impresa diligente come la ricorrente, che, inoltre, beneficia ampiamente di consulenze giuridiche di qualità, non può far valere un margine di dubbio irragionevole riguardo alla legittimità della clausola.

327    Inoltre, la ricorrente non può sostenere che la decisione impugnata stabilisce una nuova regola di valutazione delle restrizioni la cui attuazione è soggetta a una salvaguardia legale, secondo la quale siffatte restrizioni costituirebbero infrazioni per oggetto salvo nel caso in cui, in sede di valutazione ex post, la Commissione ritenga che sussistesse un dubbio ragionevole sulla loro natura restrittiva e salvo che le parti procedano immediatamente a un’autovalutazione e eliminino o modifichino di conseguenza l’accordo che prevede la restrizione. Infatti, risulta che la Commissione ha unicamente ritenuto, correttamente, che, nelle circostanze del caso di specie, il fatto che non sussistesse un ampio margine di dubbio quanto alla legittimità della clausola al momento della firma dell’accordo nonché il fatto che le parti non abbiano proceduto all’esame della legittimità della clausola prima dell’entrata in vigore dell’accordo che ha avuto luogo due mesi dopo la sua firma, contraddicevano l’affermazione delle parti secondo la quale la salvaguardia legale avrebbe trasformato la clausola di non concorrenza in una clausola di autovalutazione. Se tali circostanze non fossero prese in considerazione nel valutare una clausola contenente una salvaguardia legale, sarebbe sufficiente che le parti includessero la dicitura «nei limiti consentiti dalla legge» affinché un accordo anticoncorrenziale non possa più costituire una restrizione della concorrenza per oggetto e la Commissione sia obbligata ad esaminarne gli effetti. Orbene, non solo una situazione di tal genere aggraverebbe eccessivamente l’onere della prova, incombente alla Commissione, della sussistenza di comportamenti contrari all’articolo 101 TFUE e sarebbe quindi incompatibile con la funzione di sorveglianza della corretta applicazione di tali disposizioni attribuitale dai Trattati, ma aprirebbe altresì la via a ogni sorta di abuso ad opera delle parti di un accordo anticoncorrenziale.

328    In ogni caso, nei limiti in cui sia consistita in un accordo di ripartizione dei mercati, la clausola non può essere esentata dalla sanzione, e ciò anche supponendo che essa abbia presentato una natura inedita a causa della dicitura «nei limiti consentiti dalla legge». Infatti, la circostanza che un comportamento avente le medesime caratteristiche non sia stato ancora esaminato in precedenti decisioni non esenta l’impresa dalla sua responsabilità (sentenza del 1° luglio 2010, AstraZeneca/Commissione, T‑321/05, Racc., EU:T:2010:266, punto 901).

329    Dalle suesposte considerazioni risulta che il settimo motivo dev’essere respinto.

4.     Sull’ottavo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 101 TFUE per violazione del principio di proporzionalità e ad un errore manifesto per mancato riconoscimento di altre circostanze attenuanti

330    La ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore manifesto, per non aver tenuto debitamente conto, a titolo di circostanze attenuanti, dell’influenza del governo portoghese nella genesi e nell’introduzione della clausola e del ruolo propositivo e della buona fede della Telefónica.

331    Va ricordato che dalla decisione impugnata, dagli orientamenti, i cui principi sono applicati in detta decisione e, infine, dalla giurisprudenza emerge che, se è pur vero che la gravità della violazione viene in un primo momento valutata in base agli elementi propri della violazione stessa, quali la sua natura, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e il fatto che essa sia stata attuata oppure meno, in un secondo momento tale valutazione viene modulata in funzione di circostanze aggravanti o attenuanti proprie di ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione (v. sentenza del 25 ottobre 2011, Aragonesas Industrias y Energía/Commissione, T‑348/08, Racc., EU:T:2011:621, punto 264 e giurisprudenza ivi citata).

332    Come è stato precisato supra ai punti 254 e 255, la Commissione, nella specie, ha applicato una riduzione del 20% a titolo di circostanze attenuanti, avendo le parti posto termine alla clausola che, per di più, non era segreta, pochissimo tempo dopo il suo intervento respingendo gli argomenti delle parti che rivendicavano altre circostanze attenuanti.

333    In primo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha tenuto debitamente conto del fatto che la clausola era stata imposta dal governo portoghese, laddove l’Istituzione stessa riconoscerebbe, al punto 75 della decisione impugnata, che il comportamento di tale governo ha potuto convincere la ricorrente del fatto che la restrizione era necessaria per la fattibilità dell’operazione.

334    Tale argomento non può essere accolto. Va, infatti, osservato che, sebbene gli orientamenti prevedano espressamente, quale circostanza attenuante, il fatto che un comportamento anticoncorrenziale sia stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge (v. supra, punto 242), nella specie, da quanto esposto supra ai punti da 122 a 175 risulta che la ricorrente non ha dimostrato che il governo portoghese avesse incoraggiato l’inserimento della clausola nell’accordo, cosicché siffatto incoraggiamento non può essere preso in considerazione quale circostanza attenuante. Non essendo stato dedotto alcun indizio che possa attestare un qualsiasi interesse del governo portoghese per la clausola, la ricorrente non può neppure sostenere che il comportamento di tale governo l’avrebbe indotta a ritenere che la clausola fosse indispensabile per l’attuazione dell’operazione. Al riguardo, va peraltro osservato che, contrariamente a quanto precisato dalla ricorrente, la Commissione non ha riconosciuto, al punto 75 della decisione impugnata, che il comportamento del governo portoghese ha potuto convincere la Telefónica del fatto che la clausola fosse necessaria per la fattibilità dell’operazione, ma si è limitata a osservare che, anche se la Telefónica avesse ritenuto che così fosse nel caso di specie, ciò non sarebbe stato sufficiente per qualificare la clausola come restrizione accessoria all’operazione Vivo.

335    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che essa avrebbe agito in buona fede e non avrebbe inteso attuare deliberatamente un accordo di ripartizione dei mercati; in caso contrario, l’inciso «nei limiti» sarebbe stato inutile e la pubblicità data all’accordo sarebbe stata assurda. Parimenti, il presunto ritardo nell’attuazione dell’autovalutazione della legittimità della clausola potrebbe essere considerato tutt’al più come negligenza, ma non come volontà deliberata di restringere la concorrenza.

336    Nemmeno tale argomento può essere accolto.

337    Anzitutto, dall’esame dei primi tre motivi risulta che la ricorrente non ha dimostrato né di essere stata costretta ad accettare la clausola (v. supra, punti da 122 a 175) né di aver avuto un atteggiamento propositivo al fine di limitarne l’impatto (v. supra, punti da 167 a 174).

338    Inoltre, nel considerare la presunta «buona fede» della ricorrente quale circostanza attenuante non si terrebbe debitamente conto del fatto che l’obbligo di non concorrenza contenuto nella clausola aveva natura bilaterale, cosicché doveva avvantaggiare anche la Telefónica nonché del fatto che l’accordo era stato concluso tra le due parti. Al riguardo, occorre peraltro ricordare, al pari della Commissione, il messaggio di posta elettronica interno della Telefónica del 6 luglio 2010, nel quale si precisava che «[s]i dovrebbe immaginare una liturgia/messa in scena per le eventuali nuove condizioni, affinché sembri, come ci è stato spiegato, che ci siamo seduti al tavolo delle trattative e che ci siano state “imposte” nuove condizioni (mentre siamo noi ad averle proposte)». Alla luce di tale elemento, la ricorrente non può sostenere di aver svolto un ruolo puramente difensivo durante i negoziati dell’accordo.

339    Infine, la ricorrente sostiene che il ritardo nella presunta valutazione della legittimità della clausola e nella sua abolizione potrebbe essere considerato tutt’al più come negligenza, ma non come volontà deliberata di restringere la concorrenza. Orbene, tenuto conto dell’importanza dell’operazione Vivo, evidenziata dalla stessa ricorrente, non è affatto credibile che l’omessa attuazione in tempo utile di una presunta obbligazione contrattuale vincolante asseritamente contenuta nell’accordo relativo a tale operazione – ossia valutare la legittimità dell’obbligo di non concorrenza contenuto nella clausola – sia dovuta a negligenza da parte di imprese come la Telefónica e la PT, che hanno accesso e fanno ricorso a consulenze giuridiche sofisticate.

340    Dalle suesposte considerazioni risulta che l’ottavo motivo dev’essere respinto.

C –  Sulla domanda di audizione di testimoni

341    Con la domanda integrativa, reiterata nella lettera del 31 marzo 2015 (v. supra, punto 62), la ricorrente chiede al Tribunale, a sostegno della propria affermazione secondo la quale la Commissione sarebbe incorsa in un manifesto errore di valutazione dei fatti relativi alla negoziazione della terza e della quarta offerta nonché di quelli relativi all’autovalutazione della clausola effettuata dalle parti e alla condivisione dei risultati di tale autovalutazione per effetto di vari contatti telefonici il 26 e il 29 ottobre 2010, di raccogliere la testimonianza delle persone che hanno partecipato a detti eventi.

342    Nella domanda di audizione di testimoni presentata con lettera separata del 31 marzo 2015, la ricorrente insiste inoltre sull’importanza dell’audizione di uno dei testimoni richiesti, ossia il sig. A.V., suo avvocato esterno, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese.

343    Nelle proprie memorie nonché nella propria risposta alla domanda di audizione di testimoni, la Commissione contesta la pertinenza dell’audizione dei testimoni proposta dalla ricorrente ai fini della soluzione della controversia.

344    Va ricordato che il Tribunale è l’unico giudice dell’eventuale necessità di integrare le informazioni di cui dispone sulle cause di cui è investito (v. ordinanza del 10 giugno 2010, Thomson Sales Europe/Commissione, C‑498/09 P, EU:C:2010:338, punto 138 e giurisprudenza ivi citata).

345    Come la Corte ha già avuto modo di dichiarare nell’ambito di una causa relativa al diritto della concorrenza, anche se una domanda di audizione di testimoni, formulata nell’atto introduttivo del ricorso, indica con precisione i fatti sui quali occorre sentire il testimone o i testimoni e le motivazioni atte a giustificare la loro audizione, spetta al Tribunale valutare la pertinenza della domanda rispetto all’oggetto della controversia e alla necessità di procedere all’audizione dei testimoni citati (v. sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens/Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, EU:C:2013:866, punto 323 e giurisprudenza ivi citata).

346    La Corte ha inoltre precisato che tale potere discrezionale del Tribunale si concilia con il diritto fondamentale a un processo equo e, in particolare, con l’articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU). Risulta, infatti, dalla giurisprudenza della Corte che quest’ultima disposizione non riconosce all’imputato il diritto assoluto di ottenere la comparizione di testimoni dinanzi a un tribunale e che spetta, in via di principio, al giudice decidere in ordine alla necessità o all’opportunità di citare un testimone. L’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU non impone la convocazione di qualsiasi testimone, ma prevede una totale parità di condizioni che garantiscono che il procedimento controverso, considerato nel suo insieme, abbia offerto all’imputato un’occasione adeguata e sufficiente per contestare i sospetti gravanti sullo stesso (v. sentenza Siemens/Commissione, cit. supra al punto 345, EU:C:2013:866, punti 324 e 325 e giurisprudenza ivi citata).

347    Al riguardo, il Tribunale ha già dichiarato di non poter accogliere la domanda di audizione di testimoni di un’impresa ricorrente quando le dichiarazioni che quest’ultima intenda ottenere con la testimonianza dinanzi al Tribunale siano già state formulate dinanzi alla Commissione, siano state considerate non suffragate da elementi di prova documentali e persino contraddette da alcuni elementi degli atti (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2011, ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione, T‑144/07, da T‑147/07 a T‑150/07 e T‑154/07, Racc., EU:T:2011:364, punti 152 e 154).

348    Inoltre, va osservato che una domanda diretta a far sì che il Tribunale integri le informazioni di cui dispone è inoperante quando, anche se il Tribunale accogliesse siffatta domanda, il significato della sua decisione non verrebbe modificato (v., in tal senso, ordinanza Thomson Sales Europe/Commissione, cit. supra al punto 344, EU:C:2010:338, punto 141).

349    Qualora il Tribunale possa pronunciarsi utilmente in base a conclusioni, motivi e argomenti sviluppati nell’ambito della fase sia scritta che orale del procedimento e alla luce dei documenti prodotti, la domanda di audizione di un testimone, presentata dalla ricorrente, dev’essere respinta, senza che il Tribunale sia tenuto a giustificare con una motivazione specifica la sua valutazione circa l’inutilità di ricercare elementi di prova supplementari (v., in tal senso, ordinanza del 15 settembre 2005, Marlines/Commissione, C‑112/04 P, EU:C:2005:554, punto 39, e sentenza del 9 settembre 2009, Clearstream/Commissione, T‑301/04, Racc., EU:T:2009:317, punto 218).

350    Tuttavia, se è vero che una parte non ha diritto di richiedere al giudice dell’Unione di adottare una misura di organizzazione del procedimento o un mezzo istruttorio, resta il fatto che il giudice non può trarre conseguenze dalla mancanza, negli atti di causa, di taluni elementi fino a quando non abbia esaurito i mezzi previsti dal regolamento di procedura dell’organo giurisdizionale al fine ottenerne la produzione ad opera della parte in causa (v. ordinanza dell’8 ottobre 2013, Michail/Commissione, T‑597/11 P, Racc. FP, EU:T:2013:542, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

351    Nella specie, la ricorrente chiede al Tribunale di procedere all’audizione delle persone che hanno partecipato al processo di negoziazione della proroga della terza offerta il 16 e il 17 luglio 2010, al processo di negoziazione della quarta offerta il 26, 27 e 28 luglio 2010 nonché ai contatti tra la Telefónica e la PT che hanno avuto luogo il 26 e il 29 ottobre 2010.

352    Per quanto riguarda, da un lato, questi ultimi contatti, occorre rilevare che le dichiarazioni delle persone di cui trattasi sono già contenute negli atti di causa.

353    Al riguardo, va ricordato, come già precisato supra al punto 347, che il Tribunale ha dichiarato di non poter accogliere la domanda di audizione di testimoni di un’impresa ricorrente quando le dichiarazioni che quest’ultima intenda ottenere con la testimonianza dinanzi al Tribunale siano già state formulate dinanzi alla Commissione, siano state considerate non suffragate da elementi di prova documentali e persino contraddette da alcuni elementi degli atti.

354    Nella specie, va ricordato che la Commissione ha precisato, come è già stato osservato supra ai punti da 189 a 191, che essa aveva preso in considerazione le dichiarazioni di cui trattasi e le aveva valutate conformemente ai principi applicabili in materia di valutazione della prova. La Commissione ha quindi tenuto conto del fatto che tali dichiarazioni fossero state rese da persone che avrebbero potuto avere un interesse diretto nella causa (punto 122 della decisione impugnata) e ha compiuto una valutazione ponderata di tali elementi rispetto agli altri elementi di prova disponibili (punti 121, 124 e 308 decisione impugnata). La Commissione non hai mai messo in dubbio il fatto che gli autori di tali dichiarazioni si fossero effettivamente espresse come riportato in tali dichiarazioni.

355    Ciò premesso, la domanda diretta ad ottenere che sia disposta l’audizione dinanzi al Tribunale degli autori di dette dichiarazioni dev’essere respinta, in quanto gli elementi contenuti negli atti sono sufficienti per consentire al Tribunale di pronunciarsi sulle audioconferenze dell’ottobre 2010 (v., in tal senso, sentenza ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione, cit. supra al punto 347, EU:T:2011:364, punti 152 e 154; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI, C‑136/02 P, Racc., EU:C:2004:592, punto 77).

356    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’affermazione formulata dalla ricorrente all’udienza, secondo la quale, in forza del principio di immediatezza, l’audizione di testimoni da parte del Tribunale presenterebbe un innegabile valore aggiunto rispetto al fatto di prendere in considerazione dichiarazioni riportate per iscritto. Infatti, dato che il contenuto delle dichiarazioni non è rimesso in discussione e trattandosi soltanto di comprendere tali elementi rispetto all’insieme delle prove, gli argomenti dedotti dalla ricorrente all’udienza non possono rimettere in discussione la constatazione secondo la quale è superflua l’audizione degli autori delle dichiarazioni in questione dinanzi al Tribunale.

357    Per quanto riguarda, d’altro lato, le testimonianze proposte relativamente alle negoziazioni della terza e della quarta offerta del 16, 17, 26, 27 e 28 luglio 2010, le domande di audizione di testimoni devono essere parimenti respinte.

358    Per quanto attiene, in primo luogo, alle negoziazioni della terza offerta del 16 e 17 luglio 2010, sotto un primo profilo, va osservato che la ricorrente ha precisato nella propria domanda di audizione di testimoni del 31 marzo 2015 e ha confermato all’udienza che il sig. A.V., suo avvocato esterno, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese, era l’unico fra i testimoni proposti ad aver avuto contatti con detto governo e, quindi, «l’unico testimone diretto del nesso causale tra le azioni del governo portoghese e l’esistenza della clausola» e l’unico «avente una conoscenza diretta delle azioni del governo portoghese e della sua influenza sul risultato dell’operazione rimessa in discussione». Ne consegue che non occorre esaminare, relativamente alle negoziazioni del 16 e 17 luglio 2010, la necessità dell’audizione delle altre persone proposte dalla ricorrente, in quanto queste ultime, secondo le sue stesse affermazioni, non hanno alcuna conoscenza diretta delle presunte manovre del governo portoghese.

359    Sotto un secondo profilo, va osservato che la ricorrente fa valere che il contenuto delle dichiarazioni del sig. A.V., suo avvocato esterno, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese, che non compaiono in alcun documento del fascicolo, è essenziale per la sua difesa, in quanto tale testimone sarebbe in grado di fornire una prova del nesso causale che esisterebbe tra le azioni del governo portoghese e la clausola. In udienza la ricorrente ha precisato che l’audizione di detto testimone mirerebbe, in particolare, a chiarire le circostanze relative all’allegato A.58 (v. supra, punto 147), circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

360    Al riguardo, va ricordato che è già stato rilevato che l’allegato A.58 (v. supra, punto 147) e, più in generale, l’insieme degli elementi dedotti dalla ricorrente al fine di dimostrare un presunto interesse del governo portoghese per la clausola (v. supra, punti da 136 a 162) non contengono alcun indizio che consenta di individuare tale interesse. Infatti, sebbene l’interesse del governo portoghese per le negoziazioni dell’accordo sia stato accertato, la ricorrente non ha dedotto il benché minimo indizio diretto a dimostrare che detto governo avrebbe imposto o, quantomeno, auspicato la clausola e ha omesso di spiegare in qual modo la testimonianza del suo avvocato esterno, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese riguardo agli scambi di corrispondenza contenuti nell’allegato A.58, indicherebbe «il nesso causale tra le manovre del governo portoghese e la clausola», mentre la stessa sembrava ammettere nelle sue memorie che gli «indizi» forniti fino a quel momento costituivano «il più alto livello di prova della (…) prassi [del governo portoghese] al quale la Telefónica poteva accedere, in quanto – a causa della sua stessa natura – la pressione esercitata da un governo in questioni delicate è generalmente discreta e informale».

361    A tal proposito, è opportuno segnalare che la ricorrente ha ammesso all’udienza, al fine di spiegare il motivo per cui non aveva né prodotto gli scambi di corrispondenza contenuti nell’allegato A.58 né proposto la testimonianza del suo avvocato esterno, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese riguardo a tali scambi di corrispondenza nel corso del procedimento amministrativo, che, a causa dell’ingente volume di documenti da esaminare nell’ambito della causa in esame, essa aveva rinvenuto detti scambi di corrispondenza – ritenuti indicativi del ruolo chiave di detto avvocato in tale causa e dell’importanza cruciale della sua testimonianza per provare la presunta influenza del governo portoghese riguardo alla clausola – solo successivamente, nel corso di una ricerca elettronica. Alla luce di tale affermazione, come ha osservato correttamente la Commissione, va rilevato che, se l’avvocato in questione avesse svolto realmente il ruolo chiave attribuitogli dalla ricorrente e se potesse rendere una testimonianza diretta sulle manovre del governo portoghese relativamente alla clausola, è poco probabile che fosse caduto nell’oblio sino a quando una ricerca elettronica ha rivelato scambi di corrispondenza attestanti la sua presunta importanza nell’ambito della causa in esame.

362    Orbene, una testimonianza che si limiti a ripetere gli elementi già dedotti dalla ricorrente nell’ambito del proprio ricorso e la cui rilevanza non è contestata e a trarre le stesse conclusioni che la ricorrente trae nelle sue memorie (v. supra, punti da 136 a 143) non può costituire una prova fattuale che possa essere pertinente ai fini della definizione della causa in esame. Infatti, è pacifico che il governo portoghese ha seguito da vicino le negoziazioni dell’accordo, ma ciò non significa che esso abbia voluto imporre la clausola. Una testimonianza che attesti fatti che dimostrano in generale l’interesse del governo portoghese per l’accordo senza rivelare fatti che provino il presunto interesse di detto governo per la clausola sarebbe quindi irrilevante ai fini della verifica della fondatezza dell’argomento della ricorrente.

363    Ciò detto, non spetta al Tribunale disporre i provvedimenti istruttori sollecitati (v., in tal senso, sentenze Siemens/Commissione, cit. supra al punto 345, EU:C:2013:866, punto 323, e del 27 ottobre 1994, Fiatagri e New Holland Ford/Commissione, T‑34/92, Racc., EU:T:1994:258, punto 27).

364    Per quanto attiene, in secondo luogo, alla domanda di audizione, in qualità di testimoni, del sig. R.S.L.G.‑O., segretario generale e membro del consiglio della Telefónica, del sig. A.V.B., direttore generale delle finanze e dello sviluppo d’impresa della Telefónica, del sig. J.S.B., direttore delle alleanze industriali e delle controllate, della sig.ra M.L.M.A., vice segretario generale e membro del consiglio della Telefónica e, infine, nuovamente del sig. A.V., avvocato esterno della Telefónica, interlocutore nei contatti e nelle negoziazioni con il governo portoghese, riguardo all’insistenza della Telefónica nel voler eliminare la clausola e al rifiuto della PT di darvi seguito il 27 luglio 2010, è giocoforza constatare che tale domanda è inoperante.

365    Infatti, anche supponendo che i testimoni di cui la ricorrente chiede l’audizione affermassero che la Telefónica ha chiesto alla PT, il 27 luglio 2010, di eliminare la clausola e che la PT si è opposta, alla luce di tutti gli elementi in gioco e, in particolare, della bilateralità della clausola (v. supra, punti 154 e 171) e dell’atteggiamento della Telefónica in sede di negoziazione (v. supra, punti 152 e 338), tale elemento non consentirebbe di riconoscere né che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione né che occorrerebbe tener conto, in fase di determinazione dell’importo dell’ammenda, dei presunti tentativi della Telefónica di limitare l’impatto della clausola a titolo di circostanze attenuanti (v. supra, punti da 335 a 338).

366    Ciò premesso, e dato che una domanda diretta a far sì che il Tribunale integri le informazioni di cui dispone è inoperante quando, anche laddove il Tribunale accogliesse la domanda, il senso della sua decisione non risulterebbe modificato (v. la giurisprudenza citata supra al punto 348), la domanda di audizione dei testimoni delle negoziazioni del 26 e 27 luglio 2010 dev’essere respinta, al pari della domanda di audizione di testimoni nel suo insieme.

367    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il sesto motivo dev’essere parzialmente accolto in quanto, al fine di determinare il valore delle vendite della ricorrente da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione era tenuta ad esaminare gli argomenti della ricorrente diretti a dimostrare una mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT relativamente a taluni servizi. Pertanto, l’articolo 2 della decisione impugnata dev’essere annullato, unicamente per la parte in cui fissa l’importo dell’ammenda in base al valore delle vendite considerato dalla Commissione, mentre il ricorso dev’essere respinto quanto al resto.

 Sulle spese

368    A norma dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

369    Poiché il ricorso è stato solo parzialmente accolto, sarà fatta un’equa valutazione delle circostanze della causa decidendo che la ricorrente sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Commissione. La Commissione sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’articolo 2 della decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom), è annullato nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda inflitta alla Telefónica, SA in EUR 66 894 000, atteso che tale importo è stato fissato in base al valore delle vendite assunto dalla Commissione europea.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Telefónica sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Commissione. La Commissione sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Telefónica.

Martins Ribeiro

Gervasoni

Madise

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 giugno 2016.

Firme



Indice


Fatti

I –  Presentazione della Telefónica e della PT

II –  Le negoziazioni e la firma dell’accordo

III –  Fatti avvenuti successivamente alla conclusione dell’accordo

IV –  Procedimento dinanzi alla Commissione

Decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

I –  Sulla ricevibilità

A –  Sulla ricevibilità di taluni allegati all’atto introduttivo del ricorso

B –  Sulla ricevibilità dei rinvii al ricorso parallelo della PT contro la decisione impugnata

II –  Nel merito

A –  Sulla domanda diretta all’annullamento della decisione impugnata

1.  Sui primi tre motivi, vertenti, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la clausola non costituirebbe una restrizione della concorrenza per oggetto

a)  Osservazioni preliminari

b)  Sulla valutazione della clausola quale possibile restrizione accessoria all’operazione Vivo

c)  Sull’autonomia del comportamento della ricorrente

d)  Sul contesto dell’introduzione della clausola nell’accordo relativo all’operazione Vivo e sul comportamento delle parti

Sulla presunta pressione esercitata dal governo portoghese

–  Sui principi relativi all’onere della prova

–  Decisione impugnata

–  Sugli elementi dedotti dalla ricorrente

–  Sulla presunta violazione degli obblighi di indagine e del principio di buona amministrazione

Sulle presunte manovre della Telefónica per minimizzare il contenuto anticoncorrenziale della clausola

e)  Sul presunto contenuto sostanziale e sulle presunte finalità pratiche di salvaguardia «nei limiti consentiti dalla legge»

Sulla presunta funzione di riduzione dei costi dell’operazione

Sulla presunta funzione di leva strategica per raggiungere l’accordo

Sulla presunta funzione di sicurezza nel mantenimento dell’operazione

Sull’interpretazione del testo della clausola

2.  Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE, sull’insufficienza della motivazione e sull’errata valutazione dell’idoneità della pratica a restringere la concorrenza

3.  Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la clausola non sarebbe una restrizione per effetto e sulla violazione delle norme sull’onere della prova e del principio in dubio pro reo

B –  Sulla domanda relativa all’importo dell’ammenda

1.  Osservazioni preliminari

a)  Sui principi relativi al calcolo delle ammende

b)  Decisione impugnata

2.  Sul sesto motivo, vertente su un manifesto errore nel calcolo del valore iniziale delle vendite della Telefónica ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda e sulla violazione dei principi di proporzionalità e di motivazione

a)  Sul primo capo, vertente sul fatto che il volume delle vendite preso in considerazione per la Telefónica dovrebbe essere identico a quello preso in considerazione per la PT

b)  Sul secondo capo, attinente al fatto che il valore di talune vendite avrebbe dovuto essere escluso dal calcolo dell’ammenda

Sulla motivazione

Nel merito

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività realizzate al di fuori della penisola iberica

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività preesistenti

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività che non possono essere soggette a concorrenza

3.  Sul settimo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE per manifesto errore nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità e sulla violazione del principio di proporzionalità

4.  Sull’ottavo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 101 TFUE per violazione del principio di proporzionalità e ad un errore manifesto per mancato riconoscimento di altre circostanze attenuanti

C –  Sulla domanda di audizione di testimoni

Sulle spese


* Lingua processuale: lo spagnolo.