Language of document : ECLI:EU:C:2022:428

SENTENZA DELLA CORTE (Decima Sezione)

2 giugno 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi di impresa – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 5 – Diritti conferiti dal marchio di impresa – Articolo 6, paragrafo 2 – Limitazione degli effetti del marchio di impresa – Impossibilità per il titolare di un marchio di impresa di vietare ai terzi l’uso nel commercio di un diritto anteriore di portata locale – Presupposti – Nozione di “diritto anteriore” – Nome commerciale – Titolare di un marchio di impresa posteriore che ha un diritto ancora più risalente – Rilevanza»

Nella causa C‑112/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi), con decisione del 19 febbraio 2021, pervenuta in cancelleria il 25 febbraio 2021, nel procedimento

X BV

contro

Classic Coach Company vof,

Y,

Z,

LA CORTE (Decima Sezione),

composta da I. Jarukaitis, presidente di sezione, M. Ilešič (relatore) e D. Gratsias, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la X BV, da F.I. van Dorsser, advocaat;

–        per la Classic Coach Company vof, Y e Z, da M.G. Jansen, advocaat;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, inizialmente da É. Gippini Fournier e P.-J. Loewenthal, successivamente da P.-J. Loewenthal in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la X BV, un’impresa di trasporto di persone con autobus, da un lato, e la Classic Coach Company vof, anch’essa impresa di trasporto di persone con autobus (in prosieguo: la «Classic Coach»), nonché due persone fisiche, Y e Z, dall’altro, relativamente a un’asserita violazione, da parte di queste ultime, del marchio Benelux di cui la X è titolare.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

 Convenzione di Parigi

3        L’articolo 1, paragrafo 2, della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, sottoscritta a Parigi il 20 marzo 1883, da ultimo riveduta a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 828, n. 11851, pag. 305; in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»), così dispone:

«La protezione della proprietà industriale ha per oggetto i brevetti d’invenzione, i modelli d’utilità, i disegni o modelli industriali, i marchi di fabbrica o di commercio, i marchi di servizio, il nome commerciale e le indicazioni di provenienza o denominazioni d’origine, nonché la repressione della concorrenza sleale».

4        L’articolo 8 della Convenzione di Parigi prevede quanto segue:

«Il nome commerciale sarà protetto in tutti i Paesi dell’Unione senza obbligo di deposito o di registrazione, anche se non costituisce parte di un marchio di fabbrica o di commercio».

 Accordo ADPIC

5        L’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«Accordo ADPIC») è contenuto nell’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), sottoscritto a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione n. 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1).

6        L’articolo 1 dell’Accordo ADPIC, intitolato «Natura e ambito degli obblighi», al suo paragrafo 2 dispone quanto segue:

«Ai fini del presente accordo, l’espressione “proprietà intellettuale” comprende tutte le categorie di proprietà intellettuale di cui alla parte II, sezioni da 1 a 7».

7        L’articolo 2 di tale Accordo, intitolato «Convenzioni in materia di proprietà intellettuale», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«In relazione alle parti II, III e IV del presente accordo, i membri si conformano agli articoli da 1 a 12 e all’articolo 19 della [Convenzione di Parigi]».

8        L’articolo 16 di detto Accordo, intitolato «Diritti conferiti», al suo paragrafo 1 così recita:

«Il titolare di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio segni identici o simili per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato, qualora tale uso possa comportare un rischio di confusione. In caso di uso di un segno identico per prodotti o servizi identici si presume che vi sia un rischio di confusione. I diritti di cui sopra non pregiudicano eventuali diritti anteriori, né compromettono la facoltà dei membri di concedere diritti in base all’uso».

 Diritto dellUnione

9        Il considerando 5 della direttiva 2008/95 precisa quanto segue:

«La presente direttiva non dovrebbe privare gli Stati membri del diritto di continuare a tutelare i marchi di impresa acquisiti attraverso l’uso ma dovrebbe disciplinare detti marchi solo per ciò che attiene ai loro rapporti con i marchi d’impresa acquisiti attraverso la registrazione».

10      L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai marchi di impresa di prodotti o di servizi individuali, collettivi, di garanzia o certificazione che hanno formato oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione in uno Stato membro o presso l’Ufficio Benelux per la proprietà intellettuale o che sono oggetto di una registrazione internazionale che produce effetti in uno Stato membro».

11      L’articolo 4 della direttiva in parola, intitolato «Altri impedimenti alla registrazione o motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori», al suo paragrafo 4 prevede quanto segue:

«Uno Stato membro può inoltre disporre che un marchio di impresa sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo se e nella misura in cui:

(...)

b)      siano stati acquisiti diritti a un marchio di impresa non registrato o a un altro segno utilizzato nel commercio prima della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio di impresa successivo o, se del caso, della data di anteriorità invocata a sostegno della data di domanda di registrazione del marchio di impresa successivo, e qualora questo marchio di impresa non registrato o questo altro segno dia al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio di impresa successivo;

c)      sia possibile vietare l’uso del marchio di impresa in base a un diritto anteriore diverso dai diritti di cui al paragrafo 2 e alla lettera b) del presente paragrafo, in particolare in base a:

i)      un diritto al nome;

ii)      un diritto all’immagine;

iii)      un diritto d’autore;

iv)      un diritto di proprietà industriale;

(...)».

12      L’articolo 5 della medesima direttiva, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», così recita:

«1.      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2.      Ciascuno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.      Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni menzionate ai paragrafi 1 e 2:

a)      di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)      di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(...)

5.      I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

13      L’articolo 6 della direttiva 2008/95, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a)      del loro nome e indirizzo;

(...)

2.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio di un diritto anteriore di portata locale, se tale diritto è riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e nel limite del territorio in cui esso è riconosciuto».

14      L’articolo 9 di tale direttiva, intitolato «Preclusione per tolleranza», prevede quanto segue:

«1.      Il titolare di un marchio di impresa anteriore (...), il quale, durante cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso in uno Stato membro di un marchio di impresa posteriore registrato in quello Stato membro, di cui era a conoscenza, non può domandare la dichiarazione di nullità del marchio di impresa posteriore né opporsi all’uso dello stesso sulla base del proprio marchio di impresa anteriore per i prodotti o servizi per i quali è stato utilizzato il marchio di impresa posteriore, salvo ove il marchio di impresa posteriore sia stato domandato in malafede.

2.      Qualsiasi Stato membro può prevedere che il paragrafo 1 sia applicabile al titolare (...) di un altro diritto anteriore di cui all’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) o c).

3.      Nei casi di cui ai paragrafi 1 o 2, il titolare di un marchio di impresa registrato posteriormente non può opporsi all’uso del diritto anteriore, benché detto diritto non possa essere fatto valere contro il marchio di impresa posteriore».

15      La direttiva 2008/95 è stata abrogata e sostituita, con decorrenza dal 15 gennaio 2019, dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1). Il contenuto dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 figura ora in sostanza, con modifiche meramente redazionali, all’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2015/2436. Tuttavia, tenuto conto della data dei fatti di cui al procedimento principale, il presente rinvio pregiudiziale deve essere esaminato alla luce della direttiva 2008/95.

 Convenzione del Benelux

16      L’articolo 2.20 della Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi e disegni o modelli), del 25 febbraio 2005, sottoscritta all’Aia dal Regno del Belgio, dal Granducato di Lussemburgo e dal Regno dei Paesi Bassi ed entrata in vigore il 1º settembre 2006 (in prosieguo: la «Convenzione del Benelux»), intitolato «Ampiezza della protezione», al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Fatta salva l’eventuale applicazione del regime giuridico ordinario in materia di responsabilità civile, il diritto esclusivo sul marchio di impresa consente al titolare di vietare a qualsiasi terzo, salvo proprio consenso:

(...)

b.      di usare nel commercio un segno che, a motivo della sua identità o della sua somiglianza con il marchio di impresa e a motivo dell’identità o della somiglianza tra i prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, può dare adito, nei confronti del pubblico, a un rischio di confusione, compreso il rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa;

(...)

d.      di usare un segno per fini diversi da quelli di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo trae indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

17      L’articolo 2.23 della Convenzione del Benelux, intitolato «Limitazione al diritto esclusivo», al suo paragrafo 2 così recita:

«Il diritto esclusivo sul marchio di impresa non comprende il diritto di opporsi all’uso nel commercio di un segno simile la cui tutela derivi da un diritto anteriore di portata locale, se tale diritto è riconosciuto in base alle disposizioni di legge di uno dei Paesi del Benelux e limitatamente al territorio in cui è riconosciuto».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18      Nel periodo compreso tra il 1968 e il 1977 due fratelli erano soci in una società in nome collettivo avente sede in Amersfoort (Paesi Bassi), che esercitava l’attività di trasporto di persone con autobus, con il nome «Reis- en Touringcarbedrijf Amersfoort’s Bloei». Fino al 1971 alcuni servizi di trasporto occasionale di persone con autobus venivano forniti dal loro padre, che svolgeva la stessa attività dal 1935.

19      Nel corso del 1975 uno dei fratelli in parola (in prosieguo: il «fratello 1») ha costituito la X, la quale ha utilizzato, a partire dal 1975 o dal 1978, due nomi commerciali, uno dei quali corrispondeva, in parte, al cognome di detti fratelli.

20      Nel corso del 1977, in seguito all’uscita del fratello 1 dalla società costituita nel corso del 1968, l’altro fratello (in prosieguo: il «fratello 2») ha proseguito l’attività di quest’ultima con sua moglie come socia, in forma di società a responsabilità limitata, mantenendo al contempo lo stesso nome della società costituita nel corso del 1968.

21      Nel corso del 1991, per motivi fiscali, il fratello 2 ha altresì costituito, unitamente alla moglie, una società in nome collettivo. Le due società appartenenti al fratello 2 e a sua moglie sono coesistite e hanno entrambe utilizzato, sui loro autobus, scritte contenenti una denominazione corrispondente al nome del fratello 2.

22      Nel corso del 1995, dopo il decesso del fratello 2, l’attività di quest’ultimo è stata proseguita dai suoi due figli Y e Z, che hanno costituito, a tal fine, la Classic Coach, anch’essa avente sede nei Paesi Bassi. Da alcuni anni gli autobus della Classic Coach recano una scritta, che figura sulla loro parte posteriore, contenente in particolare il nome del fratello 2, e più precisamente l’iniziale del prenome di quest’ultimo seguito dal suo cognome.

23      Inoltre, la X è titolare di un marchio denominativo Benelux che è stato registrato il 15 gennaio 2008, in particolare, per servizi della classe 39, ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, compresi i servizi forniti da una compagnia di autobus. Tale marchio di impresa corrisponde al cognome comune ai fratelli 1 e 2.

24      In tali circostanze la X ha proposto ricorso dinanzi al rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), chiedendo, in particolare, la condanna dei resistenti nel procedimento principale a cessare definitivamente qualsiasi contraffazione del suo marchio denominativo Benelux e dei suoi nomi commerciali.

25      La X ha basato il suo ricorso sul fatto che, utilizzando la denominazione corrispondente al nome del fratello 2, i resistenti nel procedimento principale avevano violato i suoi diritti sul marchio di impresa, ai sensi dell’articolo 2.20, paragrafo 1, lettere b) e d), della Convenzione del Benelux, nonché i suoi diritti sul nome commerciale, ai sensi dell’articolo 5 della Handelsnaamwet (legge sul nome commerciale).

26      I resistenti nel procedimento principale hanno contestato l’asserita contraffazione, facendo valere, in particolare, l’articolo 2.23, paragrafo 2, della Convenzione del Benelux, che ha trasposto, in sostanza, l’articolo 6, paragrafo 2, della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), il quale corrisponde all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95. Inoltre, i resistenti nel procedimento principale hanno contestato la pretesa violazione del nome commerciale facendo valere, in particolare, il principio della preclusione.

27      Con sentenza del 10 maggio 2017 il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha accolto il ricorso della X ma, con decisione del 12 febbraio 2019, il Gerechtshof Den Haag (Corte d’appello dell’Aia, Paesi Bassi) ha annullato tale sentenza e ha respinto il ricorso della X.

28      Lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi), investito del ricorso per cassazione proposto dalla X avverso tale sentenza, afferma di nutrire dubbi riguardo a quando possa essere ammessa l’esistenza di un «diritto anteriore», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95.

29      Al riguardo, si potrebbe in particolare ipotizzare che, per ammettere l’esistenza di un diritto anteriore, sia necessario, che in base a tale diritto, ai sensi della normativa nazionale applicabile, possa essere vietato l’uso del marchio di impresa fatto dal titolare. Infatti, dalla genesi della disposizione in parola risulterebbe che una formulazione, contenuta nella proposta iniziale, che ampliava l’ambito di applicazione della stessa ai diritti anteriori di portata locale che non possono più essere fatti valere contro il marchio di impresa posteriormente registrato, non è infine stata adottata.

30      Inoltre, si potrebbe altresì ipotizzare che, per ammettere l’esistenza di un diritto anteriore di un terzo, occorra chiarire se il titolare del marchio di impresa abbia un diritto ancora più risalente, riconosciuto dalla normativa dello Stato membro interessato, relativo al segno registrato come marchio di impresa, e, in caso affermativo, se in base a siffatto diritto ancora più risalente possa essere vietato l’uso dell’asserito diritto anteriore di tale terzo.

31      Nel caso di specie il Gerechtshof Den Haag (Corte d’appello dell’Aia) avrebbe statuito che la X, titolare del marchio Benelux, aveva diritti sul nome commerciale ancora più risalenti di quelli dei resistenti nel procedimento principale per quanto riguarda il segno registrato come marchio di impresa. A parere di tale giudice, nondimeno, in ragione della preclusione per tolleranza la X avrebbe perduto il suo diritto di vietare, in base a detti diritti anteriori sul nome commerciale, l’uso del nome commerciale corrispondente al nome del fratello 2 da parte dei resistenti nel procedimento principale. Pertanto, la X si troverebbe nella situazione di non poter vietare l’uso di suddetto nome commerciale da parte dei resistenti nel procedimento principale in base ai propri diritti ancora più risalenti sul nome commerciale.

32      La valutazione della fondatezza del ricorso per cassazione diretto avverso tale posizione del giudice in parola dipenderebbe dalla portata della nozione di «diritto anteriore» di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95. A tal riguardo, lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi) specifica che è necessario partire dalla premessa che tutti i nomi commerciali in discussione nel procedimento principale sono diritti riconosciuti nei Paesi Bassi, ai sensi del citato articolo 6, paragrafo 2.

33      In tali circostanze lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se per constatare l’esistenza di un “diritto anteriore” di un terzo, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della [direttiva 2008/95],

a)      sia sufficiente che prima del deposito del marchio detto terzo abbia utilizzato in commercio un diritto riconosciuto nella normativa dello Stato membro di cui trattasi; o

b)      sia necessario che detto terzo, in forza di tale diritto anteriore, possa vietare l’uso del marchio ad opera del titolare del marchio secondo la normativa nazionale applicabile.

2)      Se per rispondere alla questione 1 assuma rilevanza la circostanza se il titolare del marchio abbia un diritto ancora più risalente (riconosciuto nella normativa dello Stato membro di cui trattasi) riguardo al segno registrato come marchio e, in caso affermativo, se sia rilevante se il titolare del marchio, in forza di detto diritto riconosciuto ancora più risalente, possa vietare l’uso da parte del terzo dell’asserito “diritto anteriore”».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

34      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che, per constatare l’esistenza di un «diritto anteriore», ai sensi di tale disposizione, sia richiesto che il titolare di detto diritto possa vietare l’uso del marchio di impresa posteriore da parte del titolare di quest’ultimo.

35      Come emerge dalla decisione di rinvio, il procedimento principale è relativo a un conflitto tra diversi nomi commerciali identici o simili, tutti riconosciuti dalla normativa nazionale, uno dei quali è stato successivamente registrato dal suo titolare come marchio di impresa. Ciò posto, secondo quanto indicato in tale decisione, a causa della preclusione per tolleranza il titolare del marchio di impresa registrato non può più, in forza del diritto nazionale applicabile, opporsi, sulla base del nome commerciale più risalente da lui stesso utilizzato, all’uso del nome commerciale identico o simile utilizzato da un terzo.

36      In siffatto contesto occorre ricordare che la nozione di «diritto anteriore», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, deve essere interpretata alla luce delle equivalenti nozioni contenute nel diritto internazionale, e in maniera tale da risultare con esse compatibile, tenendo parimenti conto del contesto in cui si collocano e delle finalità perseguite dalle pertinenti disposizioni convenzionali in materia di proprietà intellettuale (v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020, Stim e SAMI, C‑753/18, EU:C:2020:268, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

37      Emerge dalla giurisprudenza della Corte che la ditta costituisce un diritto che rientra nell’espressione «proprietà intellettuale» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, dell’Accordo ADPIC. Inoltre, dall’articolo 2, paragrafo 1, di tale Accordo risulta che la tutela delle ditte, specificamente prescritta all’articolo 8 della Convenzione di Parigi, è espressamente inclusa in detto Accordo. La tutela delle ditte è quindi imposta ai membri dell’OMC in forza dell’accordo ADPIC (sentenza del 16 novembre 2004, Anheuser-Busch, C‑245/02, EU:C:2004:717, punto 91).

38      Inoltre, in conformità all’articolo 16, paragrafo 1, ultima frase, dell’accordo ADPIC, deve trattarsi di un diritto anteriore esistente, laddove la parola «esistente» significa che il diritto in questione deve rientrare nell’ambito di applicazione ratione temporis dell’Accordo ADPIC ed essere ancora protetto nel momento in cui è fatto valere dal suo titolare per opporsi alle pretese avanzate dal titolare del marchio di impresa con cui si ritiene che tale diritto sia confliggente (v., in tal senso, sentenza del 16 novembre 2004, Anheuser-Busch, C‑245/02, EU:C:2004:717, punto 94).

39      In aggiunta, anche se, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione di Parigi, la tutela della ditta deve essere garantita senza che la si possa subordinare ad alcuna condizione relativa alla registrazione, né l’articolo 16, paragrafo 1, dell’Accordo ADPIC, né l’articolo 8 della Convenzione di Parigi ostano, in linea di principio, a che, in forza del diritto nazionale, l’esistenza della ditta sia subordinata a condizioni relative ad un uso minimo o ad una conoscenza minima della stessa (v., in tal senso, sentenza del 16 novembre 2004, Anheuser-Busch, C‑245/02, EU:C:2004:717, punti 96 e 97).

40      Quanto alla nozione di anteriorità, essa significa che il fondamento del diritto in esame deve precedere nel tempo l’ottenimento del marchio di impresa con il quale tale diritto è ritenuto confliggente. Infatti, si tratta dell’espressione del principio della prevalenza del titolo di esclusiva anteriore, che rappresenta uno dei fondamenti del diritto dei marchi e, più in generale, dell’intero diritto della proprietà industriale (v., in tal senso, sentenza del 16 novembre 2004, Anheuser-Busch, C‑245/02, EU:C:2004:717, punto 98).

41      Peraltro, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera c), della direttiva 2008/95, con la nozione di «diritto anteriore» si intende, in particolare, un diritto di proprietà industriale, la quale non è che un tipo di proprietà intellettuale. Orbene, dall’articolo 1, paragrafo 2, della Convenzione di Parigi risulta che il nome commerciale costituisce un diritto di proprietà industriale.

42      In tale contesto, se è vero che l’articolo 4, paragrafo 4, lettera c), della direttiva 2008/95 persegue principalmente fini diversi da quelli di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, ossia consentire al titolare di un diritto anteriore di opporsi alla registrazione di un marchio di impresa o di chiedere che un marchio di impresa registrato sia dichiarato nullo, resta tuttavia il fatto che la nozione di «diritto anteriore» utilizzata nelle due disposizioni in parola deve avere lo stesso significato, dal momento che, nel caso di specie, il legislatore dell’Unione non ha espresso una diversa volontà (v., per analogia, sentenza del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631, punto 188).

43      Di conseguenza, un nome commerciale può costituire un diritto anteriore ai fini dell’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95.

44      Per quanto riguarda le condizioni di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, occorre ricordare, in via preliminare, che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, indipendentemente dalle qualificazioni utilizzate dagli Stati membri, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della medesima, ma anche del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2021, LR Ģenerālprokuratūra, C‑3/20, EU:C:2021:969, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

45      A tal riguardo, per quanto concerne la formulazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, occorre rilevare che, al di là delle condizioni relative, in primo luogo, all’uso di un siffatto diritto nel commercio, in secondo luogo, all’anteriorità di tale diritto, in terzo luogo, alla portata locale dello stesso e, in quarto luogo, al riconoscimento di detto diritto da parte delle leggi dello Stato membro interessato, la citata disposizione non prevede affatto che, per poter far valere il diritto medesimo nei confronti del titolare di un marchio di impresa posteriore, il terzo debba poter vietare l’uso di quest’ultimo.

46      Tale interpretazione è corroborata sia dal contesto in cui si colloca la disposizione in parola, sia dal sistema generale della direttiva 2008/95. Infatti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) e c), della menzionata direttiva, uno Stato membro può disporre che un marchio di impresa sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo, in particolare, da un lato, se e nella misura in cui i diritti a un segno utilizzato nel commercio siano stati acquisiti prima della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio di impresa successivo o, se del caso, della data di anteriorità invocata a sostegno della data di domanda di registrazione del marchio di impresa successivo, e qualora questo segno dia al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio di impresa successivo, nonché, d’altro lato, se e nella misura in cui sia possibile vietare l’uso del marchio di impresa in base a un diritto anteriore, come un diritto di proprietà industriale.

47      Orbene, a differenza degli impedimenti alla registrazione o dei motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori previsti, in particolare, all’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) e c), della direttiva 2008/95, diretti vuoi a impedire la registrazione del marchio di impresa, vuoi a ottenerne l’annullamento, l’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva prevede soltanto una limitazione dei diritti conferiti da un marchio di impresa registrato, come previsti all’articolo 5 di detta direttiva.

48      Inoltre, i «diritti anteriori» di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 devono avere una portata esclusivamente locale, ciò significando che, da un punto di vista geografico, essi non possono riguardare un territorio così esteso come quello coperto da un marchio di impresa registrato, il quale concerne, di norma, l’intero territorio per il quale è stato registrato.

49      Un siffatto approccio, secondo il quale la limitazione dei diritti conferiti da un marchio di impresa registrato è soggetta a condizioni meno rigorose di quelle richieste al fine di impedire la registrazione di un marchio di impresa o di dichiararlo nullo, è altresì conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/95 che è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, gli interessi del titolare di un marchio di impresa a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo e, dall’altro, l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

50      Detta interpretazione non può essere rimessa in discussione dalla genesi storica della disposizione in parola, benché la genesi storica di un atto dell’Unione possa rivelare elementi rilevanti per la sua interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 13 gennaio 2022, Germania e a./Commissione, da C‑177/19 P a C‑179/19 P, EU:C:2022:10, punto 82). Nel caso di specie occorre rilevare che, al momento dell’adozione della direttiva 89/104, la quale è stata successivamente codificata dalla direttiva 2008/95, il testo dell’attuale articolo 6, paragrafo 2, di quest’ultima, come proposto dalla delegazione italiana al Consiglio dell’Unione europea, non è stato adottato integralmente. Secondo la proposta della summenzionata delegazione, la limitazione degli effetti del marchio di impresa sarebbe applicabile «anche quando [tale diritto anteriore] non possa più essere fatto valere in opposizione del marchio posteriormente registrato».

51      Nondimeno, da ciò non si può dedurre che il legislatore dell’Unione abbia inteso limitare l’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 esclusivamente ai diritti anteriori che consentono al loro titolare di vietare l’uso del marchio di impresa posteriore. Una condizione del genere priverebbe infatti tale disposizione di ogni effetto utile, in quanto assimilerebbe le condizioni di applicazione di detta disposizione alle condizioni di applicazione degli altri impedimenti alla registrazione o dei motivi di nullità, previsti all’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) e c), della summenzionata direttiva.

52      Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, affinché esso sia opponibile al titolare di un marchio di impresa posteriore, è sufficiente, in linea di principio, che il diritto anteriore di portata locale, come un nome commerciale, sia riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e sia utilizzato nel commercio.

53      Una normativa nazionale in forza della quale il diritto anteriore deve conferire al suo titolare il diritto di vietare l’uso locale di un marchio di impresa registrato posteriormente andrebbe oltre i requisiti stabiliti dall’articolo 6 della direttiva 2008/95, restando inteso che detta disposizione, unitamente agli articoli 5 e 7 della direttiva in parola, procede ad un’armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio di impresa e definisce in tal modo i diritti di cui godono i titolari dei marchi di impresa all’interno dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

54      Occorre altresì ricordare che l’uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di due segni identici che designano prodotti identici non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio di impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi. Nondimeno, qualora in futuro si verificassero comportamenti disonesti nell’uso di detti segni, tale situazione potrebbe essere vagliata alla luce delle norme in materia di concorrenza sleale (v., per analogia, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punti 82 e 83).

55      Tenuto conto di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che, per constatare l’esistenza di un «diritto anteriore», ai sensi di tale disposizione, non è richiesto che il titolare di detto diritto possa vietare l’uso del marchio di impresa posteriore da parte del titolare di quest’ultimo.

 Sulla seconda questione

56      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che un «diritto anteriore», ai sensi di tale disposizione, possa essere riconosciuto a un terzo nel caso in cui il titolare del marchio di impresa posteriore abbia un diritto ancora più risalente, riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato, sul segno registrato come marchio di impresa e, eventualmente, se il fatto che, in base alle leggi dello Stato membro interessato, il titolare del marchio di impresa e del diritto ancora più risalente non possa più, in base a quest’ultimo diritto, vietare l’uso, da parte del terzo, del suo diritto più recente incida sull’esistenza del «diritto anteriore», ai sensi di detta disposizione.

57      Occorre rilevare, anzitutto, che la direttiva 2008/95 non disciplina, in linea di principio, i rapporti tra i diversi diritti che possono essere qualificati come «diritti anteriori», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della stessa, bensì i rapporti tra questi ultimi e i marchi di impresa acquisiti attraverso la registrazione.

58      Da un lato, infatti, conformemente al suo articolo 1, la direttiva 2008/95 si applica, in sostanza, ai marchi di impresa che hanno formato oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione.

59      D’altro lato, l’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) e c), e l’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva disciplinano i conflitti tra marchi di impresa registrati o domande di marchio di impresa e diritti anteriori.

60      Siffatta constatazione è corroborata sia dalla formulazione del considerando 5 della direttiva 2008/95, che riguarda i rapporti tra i marchi di impresa acquisiti attraverso l’uso e i marchi d’impresa acquisiti attraverso la registrazione, sia dall’articolo 9, paragrafo 3, di tale direttiva, da cui risulta che, in relazione alla preclusione per tolleranza, detto articolo disciplina solo i rapporti tra i diritti anteriori e i marchi di impresa registrati posteriori.

61      Di conseguenza, i rapporti tra i diversi diritti che possono essere qualificati come «diritti anteriori», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, sono principalmente disciplinati dal diritto interno dello Stato membro interessato.

62      Pertanto, ciò che rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, di detta direttiva è che il diritto fatto valere dal terzo sia riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e che il diritto in parola sia ancora protetto nel momento in cui è fatto valere dal suo titolare per opporsi alle pretese del titolare del marchio di impresa con cui si ritiene che tale diritto sia confliggente, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza.

63      In tale contesto, il fatto che il titolare del marchio di impresa posteriore abbia un diritto ancora più risalente, riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato, sul segno depositato come marchio di impresa può incidere sull’esistenza del «diritto anteriore», ai sensi della disposizione in parola, nella misura in cui, basandosi su tale diritto ancora più risalente, il titolare del marchio di impresa può effettivamente opporsi alla rivendicazione di un diritto anteriore o limitarla, circostanza che, nel caso di specie, spetta al giudice del rinvio verificare, in conformità al diritto nazionale dallo stesso applicabile.

64      Infatti, nel caso in cui il diritto fatto valere da un terzo non fosse più tutelato in base alle leggi dello Stato membro interessato, non si potrebbe ritenere che tale diritto costituisca un «diritto anteriore» riconosciuto da dette leggi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95.

65      In tali circostanze, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che un «diritto anteriore», ai sensi della disposizione in parola, può essere riconosciuto a un terzo nel caso in cui il titolare del marchio di impresa posteriore abbia un diritto ancora più risalente, riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato, sul segno depositato come marchio di impresa, nella misura in cui, in forza di dette leggi, il titolare del marchio di impresa e del diritto ancora più risalente non possa più vietare, in forza del proprio diritto ancora più risalente, l’uso, da parte del terzo, del suo diritto più recente.

 Sulle spese

66      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che, per constatare l’esistenza di un «diritto anteriore», ai sensi di tale disposizione, non è richiesto che il titolare di detto diritto possa vietare l’uso del marchio di impresa posteriore da parte del titolare di quest’ultimo.

2)      L’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che un «diritto anteriore», ai sensi di tale disposizione, può essere riconosciuto a un terzo nel caso in cui il titolare del marchio di impresa posteriore abbia un diritto ancora più risalente, riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato, sul segno depositato come marchio di impresa, nella misura in cui, in forza di dette leggi, il titolare del marchio di impresa e del diritto ancora più risalente non possa più vietare, in forza del proprio diritto ancora più risalente, l’uso, da parte del terzo, del suo diritto più recente.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.