Language of document : ECLI:EU:C:2016:748

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

6 ottobre 2016 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 6 TUE – Articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Principio di retroattività della legge penale più favorevole – Cittadini italiani che hanno organizzato l’ingresso illegale nel territorio italiano di cittadini rumeni – Fatti commessi prima dell’adesione della Romania all’Unione – Effetto dell’adesione della Romania sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – Attuazione del diritto dell’Unione – Competenza della Corte»

Nella causa C‑218/15,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Campobasso (Italia), con ordinanza del 29 aprile 2015, pervenuta in cancelleria l’11 maggio 2015, nel procedimento penale contro

Gianpaolo Paoletti,

Umberto Castaldi,

Domenico Faricelli,

Antonio Angelucci,

Mauro Angelucci,

Antonio D’Ovidio,

Camillo Volpe,

Giampaolo Canzano,

Raffaele Di Giovanni,

Antonio Della Valle,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da J.L. da Cruz Vilaça (relatore), presidente di sezione, F. Biltgen, A. Borg Barthet, E. Levits e M. Berger, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: A. Calot Escobar

considerate le osservazioni presentate:

–        per G. Paoletti, da G. Milia, avvocato;

–        per G. Canzano, da P. Di Giovanni, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. D’Ascia, avvocato dello Stato;

–        per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da H. Krämer e D. Nardi, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 maggio 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6 TUE, dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dell’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale a carico del sig. Gianpaolo Paoletti e di altri cittadini italiani, accusati di essersi adoperati per favorire l’immigrazione clandestina in Italia di cittadini rumeni prima dell’adesione della Romania all’Unione europea.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Il considerando 2 della direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (GU 2002, L 328, pag. 17), enuncia:

«Occorre (...) adottare misure volte a combattere l’attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tanto se correlata all’attraversamento illegale della frontiera in senso stretto quanto se perpetrata allo scopo di alimentare le reti di sfruttamento di esseri umani».

4        L’articolo 1, paragrafo 1, della medesima direttiva dispone quanto segue:

«Ciascuno Stato membro adotta sanzioni appropriate:

a)      nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all’ingresso o al transito degli stranieri;

b)      nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti, a scopo di lucro, una persona che non sia cittadino di uno Stato membro a soggiornare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri».

5        In forza dell’articolo 3 di tale direttiva, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le infrazioni di cui agli articoli 1 e 2 della medesima direttiva siano soggette a sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.

6        L’articolo 1, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e dei soggiorni illegali (GU 2002, L 328, pag. 1), è così formulato:

«Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché gli illeciti definiti negli articoli 1 e 2 della direttiva [2002/90] siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l’estradizione».

 Diritto italiano

7        L’articolo 12, commi 3 e 3 bis, del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, recante Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (supplemento ordinario alla GURI n. 191, del 18 agosto 1998), come modificato dalla legge del 15 luglio 2009, n. 94 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 286/1998»), dispone come segue:

«3.      Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:

a)      il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

b)      la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;

c)      la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;

d)      il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;

e)      gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.

3 bis.            Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo a due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        Dall’ordinanza di rinvio risulta che gli imputati nel procedimento principale, mediante la costituzione in Italia di una società che sarebbe un’estensione fittizia dell’Api Construction SRL, società di diritto rumeno, hanno ottenuto, nel corso degli anni 2004 e 2005, dalla direzione provinciale del lavoro di Pescara (Italia), talune autorizzazioni al lavoro e successivamente taluni permessi di soggiorno sul territorio italiano per 30 cittadini rumeni. Dette autorizzazioni sono state rilasciate sulla base dell’articolo 27, lettera g), del decreto legislativo n. 286/1998, che consente l’ammissione temporanea, dietro richiesta del datore di lavoro e al di fuori delle quote di ingressi di lavoratori stranieri, di lavoratori impiegati alle dipendenze di imprese operanti in Italia.

9        Risulta parimenti dall’ordinanza di rinvio che gli imputati nel procedimento principale sono accusati di avere organizzato l’ingresso illegale dei suddetti cittadini rumeni, in un’epoca anteriore all’adesione della Romania all’Unione europea, «al fine di trarre profitto dallo sfruttamento intensivo e continuato di mano d’opera straniera a basso costo».

10      Il giudice del rinvio s’interroga sulla questione se, da un lato, in considerazione dell’articolo 6 TUE, dell’articolo 49 della Carta e dell’articolo 7 della CEDU, l’adesione della Romania all’Unione abbia comportato l’effetto di abolire il reato di favoreggiamento, da parte di cittadini italiani, dell’immigrazione clandestina di cittadini rumeni commesso prima di tale adesione, e, dall’altro, se il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole debba applicarsi agli imputati nel procedimento principale.

11      Pertanto, il Tribunale ordinario di Campobasso (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se l’articolo 7 della CEDU, l’articolo 49 della [Carta], l’articolo 6 del [TUE] debbano essere interpretati nel senso che l’adesione della Romania all’Unione Europea, avvenuta il dì 1° gennaio 2007, abbia determinato l’abolizione del reato previsto e punito dall’articolo 12 Decreto legislativo n. 286/1998 (…) relativamente al favoreggiamento dell’immigrazione e del trattenimento di cittadini rumeni nel territorio dello Stato italiano;

2)      se i richiamati articoli debbano essere interpretati nel senso che sia precluso allo Stato membro, nei confronti di quanti, prima del dì 1° gennaio 2007 (o di altra data successiva indicante la piena operatività del trattato), data di operatività dell’adesione della Romania all’Unione Europea, si siano resi responsabili della violazione dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 286/1998 per avere favorito l’immigrazione di cittadini rumeni, non più prevista come reato dal dì 1° gennaio 2007, applicare il principio della retroattività benigna (in mitius)».

 Sulla competenza della Corte

12      Il governo italiano contesta la ricevibilità delle questioni pregiudiziali per il motivo che le norme di diritto dell’Unione invocate non sono applicabili ad un caso come quello oggetto del procedimento principale. Infatti, le disposizioni nazionali relative al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, anche quando il reato sia stato commesso a beneficio di cittadini rumeni prima dell’adesione della Romania all’Unione, non rientrerebbero nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

13      A tale riguardo occorre ricordare che l’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 17).

14      Dalla giurisprudenza della Corte risulta che la nozione di «attuazione del diritto dell’Unione» di cui all’articolo 51 della Carta presuppone l’esistenza di un collegamento tra un atto del diritto dell’Unione e la misura nazionale in causa che vada al di là dell’affinità tra le materie prese in considerazione o dell’influenza indirettamente esercitata da una materia sull’altra (v., in tal senso, sentenza del 6 marzo 2014, Siragusa, C‑206/13, EU:C:2014:126, punto 24).

15      Tali considerazioni corrispondono a quelle sottese all’articolo 6, paragrafo 1, TUE, a termini del quale le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione come definite nei trattati (sentenza dell’8 maggio 2014, Pelckmans Turnhout, C‑483/12, EU:C:2014:304, punto 21).

16      È vero che l’ordinanza di rinvio non indica espressamente le disposizioni del diritto dell’Unione che sarebbero state attuate dalla normativa nazionale in causa nel procedimento principale.

17      Tuttavia, ai sensi del suo considerando 2, la direttiva 2002/90 persegue l’obiettivo di ridurre l’attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dal canto suo, l’articolo 1, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/946 prevede che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie affinché gli illeciti definiti negli articoli 1 e 2 della citata direttiva siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l’estradizione.

18      Indipendentemente dalla questione se il decreto legislativo n. 286/1998 sia stato adottato al fine di trasporre nell’ordinamento giuridico italiano le disposizioni della direttiva 2002/90 e della decisione quadro 2002/946, i procedimenti penali volti a reprimere il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, come quelli oggetto del procedimento principale, mirano ad assicurare l’attuazione di tale direttiva e di tale decisione quadro (v., per analogia, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 27 e 28).

19      Inoltre, occorre constatare che, nel caso di specie, le questioni pregiudiziali sono relative alla questione di sapere quale sia l’incidenza dell’acquisizione dello status di cittadino dell’Unione da parte dei cittadini rumeni, per effetto dell’adesione della Romania, sull’applicazione della predetta normativa nazionale, in tal modo mettendo in opera l’interpretazione del diritto dell’Unione.

20      In considerazione di quanto precede, la Corte è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio.

 Nel merito

 Osservazioni preliminari

21      Come precisato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. L’articolo 52, paragrafo 3, della Carta prevede, inoltre, che i diritti in essa contenuti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU hanno lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti da tale convenzione. Quest’ultima tuttavia non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 44, e del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 45).

22      Occorre pertanto riferirsi unicamente all’articolo 6 TUE nonché all’articolo 49 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 6 novembre 2012, Otis e a., C‑199/11, EU:C:2012:684, punto 47, nonché del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 46).

 Sulle questioni pregiudiziali

23      Con le sue questioni, alle quali è opportuno rispondere congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 6 TUE e l’articolo 49 della Carta debbano essere interpretati nel senso che l’adesione di uno Stato all’Unione non osti a che un altro Stato membro possa infliggere una sanzione penale a coloro che, prima di tale adesione, abbiano commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini del primo Stato.

24      In tale contesto, il giudice del rinvio s’interroga altresì sull’applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole ad imputati che abbiano organizzato l’immigrazione clandestina.

25      A tal riguardo, occorre ricordare che detto principio, quale sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta, fa parte del diritto primario dell’Unione. Ancor prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito alla Carta lo stesso valore giuridico dei trattati, la Corte ha dichiarato che tale principio derivava dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e, pertanto, doveva essere considerato parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione che il giudice nazionale deve rispettare quando applica il diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 29 maggio 1997, Kremzow, C‑299/95, EU:C:1997:254, punto 14).

26      Pertanto, la mera circostanza che i fatti oggetto del procedimento principale siano occorsi negli anni 2004 e 2005, vale a dire prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta il 1° dicembre 2009, non osta all’applicazione, nel caso di specie, dell’articolo 49, paragrafo 1, della Carta.

27      L’applicazione della legge penale più favorevole comporta necessariamente una successione di leggi nel tempo e poggia sulla constatazione che il legislatore ha cambiato parere o in merito alla qualificazione penale dei fatti o in merito alla pena da applicare a un’infrazione.

28      Ebbene, nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la normativa penale in causa nel procedimento principale, segnatamente l’articolo 12, commi 3 e 3 bis, del decreto legislativo n. 286/1998, non è stata oggetto di modifiche successivamente alla commissione dei reati contestati agli imputati nel procedimento principale. Infatti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Italia resta passibile di una pena che va dai cinque ai quindici anni di reclusione.

29      Tuttavia, il giudice del rinvio osserva che la modifica legislativa da prendere in considerazione è avvenuta nell’ambito di una legge «extra-penale», vale a dire l’atto di adesione della Romania all’Unione. Esso sottolinea che l’acquisizione, da parte dei cittadini rumeni, dello status di cittadini dell’Unione in seguito a tale adesione, il 1° gennaio 2007, e l’abolizione, il 1° gennaio 2014, delle ultime restrizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori hanno reso nulle le ragioni della repressione penale nei confronti di coloro che hanno organizzato l’immigrazione di tali cittadini in epoca anteriore.

30      Detto giudice aggiunge che, in una sentenza del 10 gennaio 2008, la Corte suprema di cassazione (Italia), statuendo a Sezioni Unite, ha escluso che l’adesione della Romania all’Unione abbia potuto privare della sua rilevanza penale il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina commesso anteriormente a detta adesione, e che detta giurisprudenza è stata riaffermata nel corso degli anni 2011 e 2015. Nondimeno, nell’ordinanza dell’8 maggio 2007, mediante cui aveva rimesso la causa appena citata dinanzi alle Sezioni Unite, la Prima Sezione della Corte suprema di cassazione aveva sostenuto la tesi opposta.

31      Si pone dunque la questione se l’acquisizione dello status di cittadino dell’Unione da parte dei cittadini rumeni incida sugli elementi costitutivi del reato in materia di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e, di conseguenza, sull’applicazione della normativa penale in causa nel procedimento principale.

32      L’articolo 12, commi 3 e 3 bis, del decreto legislativo n. 286/1998 non ha per obiettivo i cittadini di paesi terzi che entrino illegalmente in Italia e vi soggiornino senza disporre di un titolo di residenza, bensì le persone che favoriscano l’ingresso e il soggiorno irregolari di tali cittadini nel territorio di tale Stato. La mera circostanza per cui, successivamente al loro ingresso illegale, detti cittadini siano divenuti cittadini dell’Unione a motivo dell’adesione del loro Stato d’origine all’Unione non è idonea ad influenzare lo svolgimento dei procedimenti penali avviati contro coloro che abbiano favorito l’immigrazione clandestina.

33      Invero, l’acquisizione della cittadinanza dell’Unione costituisce una circostanza di fatto che non è di natura tale da modificare gli elementi costitutivi del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

34      Orbene, come è stato indicato al punto 28 della presente sentenza, la normativa penale in causa nel procedimento principale, segnatamente l’articolo 12, commi 3 e 3 bis, del decreto legislativo n. 286/1998, punisce il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Italia con la reclusione, conformemente all’articolo 3 della direttiva 2002/90 ed all’articolo 1 della decisione quadro 2002/946, a termini dei quali un’infrazione di questo tipo dev’essere passibile di una sanzione effettiva, proporzionata e dissuasiva.

35      Gli elementi costitutivi del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono dunque rimasti invariati nell’ordinamento giuridico italiano, non avendo l’adesione della Romania all’Unione prodotto effetti sulla qualificazione di tale infrazione.

36      Come l’avvocato generale ha rilevato ai paragrafi 26 e 27 delle sue conclusioni, nessuna disposizione della direttiva 2002/90 né di alcun altro testo normativo dell’Unione consente di ritenere che l’acquisizione della cittadinanza dell’Unione debba comportare il venir meno dell’infrazione commessa da imputati, come quelli nel procedimento principale, che erano dediti al traffico di manodopera. Statuire in senso contrario equivarrebbe ad incoraggiare detto traffico non appena uno Stato abbia avviato il processo di adesione all’Unione, poiché i trafficanti avrebbero la garanzia di beneficiare successivamente dell’immunità. Lo scopo raggiunto sarebbe, quindi, contrario a quello perseguito dal legislatore dell’Unione.

37      Peraltro, la Corte ha reiteratamente dichiarato che le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione sono applicabili sin dal momento della loro entrata in vigore e che, pertanto, occorre ritenere che esse devono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti di situazioni sorte anteriormente (sentenze dell’11 luglio 2002, D’Hoop, C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 25, nonché del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 58).

38      Risulta inequivocabilmente dall’ordinanza di rinvio che il reato contestato agli imputati nel procedimento principale è stato commesso negli anni 2004 e 2005.

39      Ebbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 36 e 37 delle sue conclusioni, la modalità di realizzazione dell’elemento materiale di tale infrazione impone di classificare quest’ultima nella categoria dei reati istantanei. Infatti, il favoreggiamento dell’ingresso risulta materialmente realizzato quando il cittadino di un paese terzo attraversa la frontiera esterna dell’Unione, e il favoreggiamento del soggiorno quando gli sono consegnati i documenti, ottenuti fraudolentemente, che gli consentono di simulare la sussistenza del diritto a beneficiare dei vantaggi connessi alla cittadinanza dell’Unione o allo status di lavoratore straniero in situazione regolare.

40      L’infrazione contestata agli imputati nel procedimento principale era pertanto integralmente e definitivamente realizzata prima dell’adesione della Romania all’Unione, il 1° gennaio 2007, e, a fortiori, prima dell’abolizione, il 1° gennaio 2014, delle ultime restrizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori cittadini di detto Stato.

41      Ne consegue che, nel caso di specie, la suddetta infrazione non costituisce una situazione sorta prima dell’adesione della Romania all’Unione che non abbia prodotto tutti i suoi effetti prima di tale adesione (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2014, X, C‑318/13, EU:C:2014:2133, punti 22 e 23).

42      Pertanto, in considerazione di tutto quanto precede, alle questioni pregiudiziali occorre rispondere che l’articolo 6 TUE e l’articolo 49 della Carta devono essere interpretati nel senso che l’adesione di uno Stato all’Unione non osta a che un altro Stato membro possa infliggere una sanzione penale a coloro che, prima di tale adesione, abbiano commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini del primo Stato.

 Sulle spese

43      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

L’articolo 6 TUE e l’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che l’adesione di uno Stato all’Unione non osta a che un altro Stato membro possa infliggere una sanzione penale a coloro che, prima di tale adesione, abbiano commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini del primo Stato.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.