Language of document : ECLI:EU:T:2008:414

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

8 ottobre 2008 (*)

«Concorrenza − Intese − Mercato dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche − Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende − Gravità e durata dell’infrazione − Principio di proporzionalità − Principio della parità di trattamento − Limite massimo del 10% del fatturato − Interessi di mora»

Nella causa T‑68/04,

SGL Carbon AG, con sede in Wiesbaden (Germania), rappresentata dagli avv.ti M. Klusmann e A. von Bonin,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. F. Castillo de la Torre e W. Mölls, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. H.-J. Freund,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 3 dicembre 2003, 2004/420/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso n. C.38.359 - Prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche), nonché, in subordine, una domanda di riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente con tale decisione,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. M. Vilaras (relatore), presidente, dai sigg. M. Prek e V. Ciucǎ, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        La SGL Carbon AG (in prosieguo: la «SGL» o la «ricorrente») è un’impresa tedesca che fabbrica, in particolare, prodotti di carbonio e di grafite destinati ad essere utilizzati nei settori elettrico e meccanico.

2        Il 18 settembre 2001 i rappresentanti della Morgan Crucible Company plc (in prosieguo: la «Morgan») incontravano alcuni agenti della Commissione per offrire la loro cooperazione al fine di accertare l’esistenza di un cartello sul mercato europeo dei prodotti di carbonio per applicazioni elettriche e meccaniche e chiedere il beneficio delle misure di clemenza previste dalla comunicazione della Commissione 96/C 207/04 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

3        Il 2 agosto 2002 la Commissione, ai sensi dell’art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), inviava alla C. Conradty Nürnberg GmbH (in prosieguo: la «Conradty»), alla Le Carbone-Lorraine (in prosieguo: la «LCL»), alla Schunk GmbH e alla sua controllata Schunk Kohlenstoff-Technik GmbH (in prosieguo, congiuntamente: la «Schunk»), alla Eurocarbo SpA, alla Luckerath BV, alla Gerken Europe SA nonché alla ricorrente delle domande di informazioni riguardo al loro comportamento sul mercato di cui trattasi. La lettera indirizzata alla Schunk riguardava altresì le attività della Hoffmann & Co. Elektrokohle AG (in prosieguo: la «Hoffmann»), acquistata dalla Schunk il 28 ottobre 1999.

4        Con lettera 30 settembre 2002 la ricorrente rispondeva alla domanda di informazioni.

5        Con lettera 17 marzo 2003 essa sollecitava l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione e trasmetteva alla Commissione elementi di prova riguardanti l’intesa di cui trattasi.

6        Il 23 maggio 2003, in base alle informazioni già comunicatele, la Commissione inviava una comunicazione degli addebiti alla ricorrente e alle altre società interessate, vale a dire la Morgan, la Conradty, la LCL, la Schunk e la Hoffmann. Nella sua risposta la ricorrente dichiarava di non contestare, in sostanza, i fatti esposti nella comunicazione degli addebiti.

7         A seguito dell’audizione delle società interessate, ad eccezione della Morgan e della Conradty, la Commissione adottava la decisione 3 dicembre 2003, 2004/420/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso n. C.38.359 - Prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche) (in prosieguo: la «Decisione»), che veniva notificata alla ricorrente con lettera 11 dicembre 2003. Una sintesi della Decisione veniva pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 28 aprile 2004 (GU L 125, pag. 45).

8        La Commissione indicava, nella Decisione, che le imprese destinatarie di quest’ultima avevano partecipato ad un’infrazione unica e continuata dell’art. 81, n. 1, CE e, dal 1° gennaio 1994, dell’art. 53, n. 1, dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), consistente nel fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita e altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, nel ripartire i mercati, in particolare mediante l’attribuzione di clienti, e nell’intraprendere azioni coordinate (restrizioni quantitative, aumenti di prezzo e boicottaggi) nei confronti di concorrenti estranei al cartello (punto 2 della Decisione).

9        La Decisione contiene le seguenti disposizioni:

«Articolo 1

Le imprese seguenti hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] e, dal 1° gennaio 1994, dell’articolo 53, paragrafo  1, dell’accordo SEE partecipando, per i periodi indicati, ad una serie di accordi e pratiche concordate nel settore dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche:

–        [Conradty], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [Hoffmann], dal settembre 1994 all’ottobre 1999;

–        [LCL], dall’ottobre 1988 al giugno 1999;

–        [Morgan], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [Schunk], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [SGL], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999.

Articolo 2

Per le infrazioni indicate all’articolo 1 sono inflitte le seguenti ammende:

–        [Conradty]: EUR 1 060 000;

–        [Hoffmann]: EUR 2 820 000;

–        [LCL]: EUR 43 050 000;

–        [Morgan]: EUR 0;

–        [Schunk]: EUR 30 870 000;

–        [SGL]: EUR 23 640 000.

Le ammende devono essere versate entro tre mesi dalla notifica della presente decisione (...).

Dopo la scadenza di tale termine, sono automaticamente dovuti interessi al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle sue principali operazioni di rifinanziamento il primo giorno del mese nel corso del quale la presente decisione è stata adottata, maggiorato di 3,5 punti percentuali».

10      Con riferimento al calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha qualificato l’infrazione come molto grave, tenuto conto della sua natura, del suo impatto sul mercato del SEE per i prodotti di cui trattasi, anche se quest’ultimo non era misurabile con precisione, e dell’estensione del mercato geografico rilevante (punto 288 della Decisione).

11      Al fine di tener conto dell’importanza specifica del comportamento illecito di ciascuna impresa coinvolta nel cartello e, quindi, del suo impatto concreto sulla concorrenza, la Commissione ha suddiviso le imprese interessate in tre categorie, in base alla loro importanza relativa sul mercato in parola determinata dalle quote di mercato da esse detenute (punti 289‑297 della Decisione).

12      Di conseguenza, la LCL e la Morgan, considerate i due maggiori operatori con quote di mercato superiori al 20%, sono state inserite nella prima categoria. La Schunk e la ricorrente, operatori medi con quote di mercato comprese tra il 10 e il 20%, sono state collocate nella seconda categoria. La Hoffmann e la Conradty, considerate piccoli operatori in base alle loro quote di mercato inferiori al 10%, sono state raggruppate nella terza categoria (punti 37 e 297 della Decisione).

13      Sulla base delle precedenti considerazioni, la Commissione ha stabilito un importo di base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, pari a EUR 35 milioni per la LCL e la Morgan, a EUR 21 milioni per la Schunk e la ricorrente e a EUR 6 milioni per la Hoffmann e la Conradty (punto 298 della Decisione).

14      Riguardo alla durata dell’infrazione, la Commissione ha ritenuto che tutte le imprese interessate avessero commesso un’infrazione di lunga durata. In considerazione della durata dell’infrazione di undici anni e due mesi, la Commissione ha maggiorato del 110% l’importo di base stabilito nei confronti della ricorrente, della Morgan, della Schunk e della Conradty. Con riferimento alla LCL, la Commissione ha accertato una durata dell’infrazione di dieci anni e otto mesi e ha maggiorato l’importo iniziale del 105%. Nei confronti della Hoffmann, l’importo di base è stato maggiorato del 50% in considerazione di una durata dell’infrazione di cinque anni e un mese (punti 299 e 300 della Decisione ).

15      L’importo di base dell’ammenda, determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, è stato pertanto fissato a EUR 73,5 milioni per quanto riguarda la Morgan, a EUR 71,75 milioni per la LCL, a EUR 44,1 milioni per la ricorrente e per la Schunk, a EUR 12,6 milioni per la Conradty e a EUR 9 milioni per la Hoffmann (punto 301 della Decisione).

16      La Commissione non ha rilevato nessuna circostanza aggravante o attenuante a carico o a favore delle imprese interessate (punto 316 della Decisione).

17      Riguardo all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Morgan ha beneficiato di un’immunità dalle ammende per essere stata la prima impresa a segnalare alla Commissione l’esistenza del cartello. (punti 319‑321 della Decisione).

18      Ai sensi del punto D di detta comunicazione, la Commissione ha accordato una riduzione dell’importo dell’ammenda, che sarebbe stata loro inflitta in assenza di cooperazione, del 40% alla LCL, del 30% alla Schunk e alla Hoffmann e del 20% alla ricorrente, che è stata l’ultima a cooperare (punti 322‑338 della Decisione).

19      Nella Decisione, al titolo «Capacità di pagare e altri fattori», la Commissione, dopo aver respinto l’argomento della ricorrente diretto a provare un’incapacità di pagamento dell’ammenda, ha ricordato di aver recentemente inflitto alla ricorrente tre pesanti ammende per la sua partecipazione ad altre attività di cartello.

20      La Commissione ha precisato che con la decisione 18 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-1/36.490 – Elettrodi di grafite) (GU 2002, L 100, pag. 1), nel caso detto «Elettrodi di grafite» e con la decisione 17 dicembre 2002, 2006/460/CE, riguardante un procedimento a norma dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso n. C.37.667 – grafiti speciali) (GU 2006, L 180, pag. 20), nel caso detto «grafiti speciali», la ricorrente si era vista infliggere un’ammenda di EUR 80,2 milioni per la sua partecipazione al cartello degli elettrodi di grafite e due ammende di importo pari a EUR 18,94 milioni e 8,81 milioni, vale a dire pari ad un totale di EUR 27,75 milioni, per la sua partecipazione all’intesa per le grafiti isostatiche e all’intesa per le grafiti estruse (punto 358 della Decisione).

21      Tenuto conto delle gravi difficoltà finanziarie della ricorrente e del fatto che le diverse attività di cartello ad essa imputate si erano svolte simultaneamente, la Commissione ha ritenuto che, in queste condizioni particolari, non fosse necessario, al fine di garantire un concreto effetto dissuasivo, infliggere alla ricorrente l’importo complessivo dell’ammenda e l’ha pertanto ridotto del 33%, portandolo a EUR 23,64 milioni (punto 360 della Decisione).

 Procedimento e conclusioni delle parti

22      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 febbraio 2004 la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

23      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato, in qualità di presidente, alla Quinta Sezione, alla quale la presente causa è stata conseguentemente attribuita.

24      A seguito della relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale. Le difese svolte dalle parti e le risposte ai quesiti loro rivolti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 27 febbraio 2008.

25      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la Decisione, nella parte che la riguarda;

–        in subordine, ridurre, in misura adeguata, l’importo dell’ammenda inflitta;

–        condannare la Commissione alle spese.

26      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

27      Con lettera depositata nella cancelleria del Tribunale il 22 febbraio 2008, la ricorrente ha dichiarato di rinunciare ai motivi quarto, quinto e sesto menzionati nel ricorso, relativi, rispettivamente, ad un’erronea valutazione, da parte della Commissione, della sua cooperazione nel corso del procedimento amministrativo, alla mancata presa in considerazione, da parte della Commissione, della sua mancanza di liquidità e del presunto carattere sproporzionato dell’ammenda rispetto alla valutazione della necessità di una dissuasione effettiva.

28      In udienza la ricorrente ha confermato la sua rinuncia ai motivi summenzionati e ha precisato che le domande di annullamento della Decisione, formulate nel ricorso, dovevano essere intese come dirette esclusivamente all’annullamento dell’art. 2 della Decisione, con il quale la Commissione infligge le ammende alle imprese interessate. Queste dichiarazioni della ricorrente sono state inserite nel verbale d’udienza.

 Sulla determinazione dell’importo di base

29      La ricorrente sostiene che nel fissare l’importo di base dell’ammenda la Commissione ha violato i principi di proporzionalità e della parità di trattamento, nonché l’obbligo di motivazione ad essa incombente.

 Sulla gravità dell’infrazione

–       Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

30      Da una giurisprudenza costante risulta che la motivazione di una decisione individuale deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui essa promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio sindacato. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso di specie. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se essa soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del tenore dell’atto di cui trattasi, ma anche del contesto in cui tale atto è stato adottato (v. sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

31      Per quanto riguarda la determinazione di ammende per violazione del diritto della concorrenza, la Commissione adempie al proprio obbligo di motivazione quando indica nella sua decisione gli elementi di valutazione che le hanno consentito di stimare la gravità e la durata dell’infrazione commessa, e non è tenuta a fornire un’esposizione più dettagliata o i dati numerici relativi alle modalità di calcolo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punti 38‑47; sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 1532). L’indicazione di dati numerici relativi alle modalità di calcolo delle ammende, per quanto utili essi siano, non è indispensabile ai fini del rispetto dell’obbligo di motivazione (sentenza della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑182/99 P, Salzgitter/Commissione, Racc. pag. I‑10761, punto 75).

32      Per quel che riguarda la motivazione degli importi di base in termini assoluti, va ricordato che le ammende sono uno strumento della politica della concorrenza della Commissione, la quale deve disporre di un margine di discrezionalità nel fissarne gli importi al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59). Occorre inoltre evitare che le ammende siano facilmente prevedibili da parte degli operatori economici. Pertanto, non si può pretendere che la Commissione fornisca a questo proposito elementi di motivazione diversi da quelli relativi alla gravità e alla durata dell’infrazione.

33      Nel caso di specie, dalla Decisione risulta che le ammende sono state inflitte in forza dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che la Commissione – anche se la Decisione non si riferisce esplicitamente agli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») – ha determinato l’importo delle ammende applicando il metodo definito negli orientamenti.

34      Riguardo all’affermazione da parte della ricorrente di un’insufficiente motivazione della Decisione relativamente alla valutazione della gravità dell’infrazione e alla fissazione dell’importo di base, è sufficiente osservare che dai punti 277-288 della Decisione risulta che la Commissione ha chiaramente indicato gli elementi di cui ha tenuto conto per valutare la gravità dell’infrazione, vale a dire la sua natura, il suo impatto sul mercato del SEE per i prodotti interessati e l’estensione del mercato geografico rilevante, e ha spiegato, per ciascuno di tali elementi, la sua applicazione al caso di specie.

35      Nella Decisione la Commissione ha pertanto considerato che:

–        l’infrazione in questione era consistita essenzialmente nel fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita ed altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, nel ripartire i mercati, in particolare mediante l’attribuzione di clienti, e nell’intraprendere azioni coordinate nei confronti di concorrenti estranei al cartello, pratiche costituenti, per loro stessa natura, il tipo di infrazione più grave alle disposizioni dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE (punto 278 della Decisione);

–        gli accordi collusivi erano stati posti in esecuzione e avevano avuto un impatto sul mercato del SEE per i prodotti interessati, anche se tale impatto non poteva essere misurato con precisione (punto 286 della Decisione);

–        il cartello era esteso a tutto il mercato comune e, dopo la sua creazione, a tutto il SEE (punto 287 della Decisione).

36      Alla luce di tutti questi elementi, la Commissione ha ritenuto che le imprese avessero commesso un’infrazione molto grave, per la quale il punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti prevede l’applicazione di un’ammenda di importo superiore a EUR 20 milioni.

37      La Commissione ha in seguito precisato che, nell’ambito della categoria delle infrazioni molto gravi, la forcella delle ammende applicabili consentiva di applicare un trattamento differenziato alle imprese, per tener conto della loro effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente alla concorrenza e di fissare l’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un effetto sufficientemente dissuasivo.

38      Nell’ambito di tale trattamento differenziato, reso tanto più necessario dalle considerevoli differenze, in termini di importanza sul mercato, tra le imprese partecipanti all’infrazione, la Commissione ha suddiviso le imprese interessate in tre categorie, in relazione alla loro importanza relativa sul mercato in parola determinata dalle quote di mercato da esse detenute. Tenuto conto di una quota di mercato stimata del 14%, la ricorrente è stata inserita nella seconda categoria (punti 288‑297 della Decisione).

39      Sulla base delle precedenti considerazioni, la Commissione ha stabilito un importo di base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, pari a EUR 21 milioni per la ricorrente (punto 298 della Decisione).

40      Una siffatta motivazione non può essere ridotta, come invece fa la ricorrente, ad una ripetizione pura e semplice del testo degli orientamenti e si deve ritenere che essa soddisfi le prescrizioni dell’art. 253 CE, quale interpretato dalla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 30‑32.

41      Ne consegue che il motivo relativo alla violazione da parte della Commissione dell’obbligo di motivazione nella fissazione dell’importo di base dell’ammenda dev’essere respinto.

–       Sulla prassi decisionale della Commissione

42      La ricorrente asserisce che gli importi di base stabiliti in funzione della gravità dell’infrazione sono sproporzionati e/o discriminatori rispetto a quelli fissati, secondo la stessa procedura, per altre imprese in casi analoghi.

43      Secondo una giurisprudenza costante, la prassi decisionale della Commissione non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza, poiché quest’ultimo è costituito esclusivamente dal regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 234) e le decisioni relative ad altri casi hanno un carattere meramente indicativo dell’eventuale esistenza di discriminazioni, essendo poco verosimile un’identità delle circostanze proprie di tali casi, come i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi di riferimento (sentenze della Corte 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione, Racc. pag. I‑8935, punti 201 e 205), e 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 60).

44      Al riguardo la ricorrente si limita ad asserire che gli importi di base stabiliti dalla Commissione si collocano e si collocavano, nel caso di intese sui prezzi riguardanti mercati di analoga importanza, in generale al di sotto di EUR 20 milioni e che l’importo di base rappresenta «in media», nella Decisione, il 48% del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante contro il 38,8% nel caso degli elettrodi in grafite e il 32,2% nella decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (Caso n. IV/35.691/E-4: intesa «tubi preisolati») (GU 1999, L 24, pag. 1). Si deve tuttavia constatare che tali considerazioni di ordine generale e imprecise, costituite da riferimenti a dati corrispondenti a medie, non sono idonee a provare l’esistenza di un trattamento sproporzionato e/o discriminatorio nei confronti della ricorrente.

45      Né ha maggiore pertinenza il più specifico riferimento alla decisione della Commissione relativa al caso delle grafiti speciali, nel quale gli importi di base sarebbero stati chiaramente inferiori a quelli stabiliti nel caso di specie, malgrado quote di mercato delle imprese interessate complessivamente più elevate.

46      Come sottolinea giustamente la Commissione, il dato di fatto particolare relativo all’entità dei mercati rilevanti consente di differenziare il caso summenzionato dalla presente fattispecie. Anche ammesso che, come afferma la ricorrente, i volumi dei mercati del SEE per la grafite isostatica e per i prodotti estrusi fossero compresi, nell’ambito del caso delle grafiti speciali, rispettivamente, tra EUR 100 e 120 milioni e tra EUR 60 e 70 milioni, essi sono innegabilmente e largamente inferiori al valore complessivo del mercato del SEE per i prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche, il quale ammontava ad EUR 291 milioni nel 1998 (punto 37 della Decisione).

47      In udienza la ricorrente ha contestato per la prima volta il detto importo di EUR 291 milioni accolto dalla Commissione, censurando, più in particolare, il fatto che quest’ultima avesse tenuto conto del valore del consumo vincolato nel calcolo del fatturato e della quota di mercato delle imprese interessate.

48      Il Tribunale considera tale censura come un motivo nuovo la cui deduzione è vietata in corso di causa a norma dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale. La contestazione della valutazione del valore complessivo del mercato rilevante, esposta peraltro in udienza in modo molto sintetico, non si fonda su elementi nuovi che sarebbero emersi nel corso del procedimento, poiché l’importo di EUR 291 milioni considerato dalla Commissione e il ragionamento che giustifica la presa in considerazione del valore del consumo vincolato nel calcolo del fatturato e della quota di mercato delle imprese interessate sono chiaramente enunciati ai punti 37, 291‑295 della Decisione. La semplice affermazione della ricorrente secondo la quale essa ha contestato, già nel ricorso, la determinazione dell’importo di base dell’ammenda non permette di considerare che il motivo di cui trattasi costituisca un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio e che sia strettamente connesso con quest’ultimo. Esso deve essere pertanto dichiarato irricevibile.

49      Si deve inoltre ricordare che la Commissione dispone di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127). Il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazione non può impedirle di aumentare, in ogni momento, tale entità per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 109) e per rinforzare l’effetto dissuasivo delle ammende (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 179), confermata a seguito di impugnazione con sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑297/98 P, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. I‑10101).

50      L’affermazione della ricorrente secondo la quale l’aumento dell’entità delle ammende non era affatto necessario nei suoi confronti, tenuto conto delle sanzioni di cui essa era già stata destinataria in procedimenti paralleli, rientra nella contestazione della valutazione effettuata da parte della Commissione della nozione di dissuasione effettiva, quale illustrata al punto 359 della Decisione. Orbene, la ricorrente ha espressamente rinunciato al motivo con cui deduceva l’erronea valutazione di tale nozione da parte della Commissione.

51      Si deve, in ogni caso, sottolineare che la Commissione ha giustamente effettuato una distinzione, nell’ambito dei procedimenti e delle sanzioni, tra l’intesa relativa agli elettrodi di grafite, le intese riguardanti la grafite isostatica e la grafite estrusa e l’intesa relativa ai prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche, dal momento che si tratta di quattro distinte violazioni delle disposizioni dell’art. 81, n. 1, CE.

52      Ne consegue che la Commissione poteva infliggere alla SGL una nuova ammenda, a titolo della sua partecipazione all’intesa sui prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche, volta a dissuadere l’impresa con una sanzione eccedente l’entità di una sanzione puramente simbolica, considerato che nelle particolari circostanze del caso di specie, caratterizzate dalla parziale concomitanza delle diverse attività collusive cui la ricorrente ha partecipato, la Commissione ha ritenuto che un importo dell’ammenda ridotto del 33% fosse sufficiente a garantire l’effetto dissuasivo voluto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione; in prosieguo: la «sentenza Tokai II», punto 336).

53      Si deve infine ricordare che, secondo la giurisprudenza, il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81, n. 1, CE o l’art. 82 CE costituisce uno dei mezzi di cui la detta istituzione dispone per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende indubbiamente quello di indagare sulle singole infrazioni e reprimerle, ma implica pure il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in materia di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 49, punto 105 e sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 105).

54      Ne consegue che la Commissione ha il potere di decidere in merito al livello dell’importo delle ammende al fine di rafforzare il loro effetto dissuasivo qualora infrazioni di un determinato tipo siano ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata stabilita sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i profitti che determinate imprese possono trarne (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 49, punto 108, e Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 106).

55      Come risulta dalla giurisprudenza di cui sopra, lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza da parte delle imprese delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a causa di una violazione della normativa comunitaria sulla concorrenza non può essere determinato soltanto in funzione della situazione particolare dell’impresa condannata (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 110).

56      Nel caso di specie, che corrisponde ad una tipologia classica di violazione del diritto della concorrenza e ad un comportamento la cui illegittimità è stata reiteratamente affermata dalla Commissione fin dai suoi primi interventi nella materia, la Commissione stessa poteva legittimamente ritenere necessario fissare l’importo dell’ammenda ad un livello sufficientemente dissuasivo nei limiti fissati dal regolamento n. 17.

57      Ne consegue che il motivo relativo al trattamento sproporzionato e/o discriminatorio della ricorrente, riguardo alla fissazione dell’importo di base dell’ammenda e alla prassi decisionale della Commissione, deve essere respinto.

–       Sulla suddivisione dei membri dell’intesa in categorie

58      Si deve ricordare che, considerata la grande diversità di dimensioni tra le imprese interessate e al fine di tener conto del peso specifico di ognuna di esse e, pertanto, della concreta incidenza del loro comportamento illecito sulla concorrenza, la Commissione, in conformità al punto 1 A, commi quarto e sesto, degli orientamenti, ha effettuato nella Decisione un trattamento differenziato delle imprese che hanno partecipato all’infrazione. A tal fine essa ha ripartito le imprese interessate in tre categorie, in base al fatturato realizzato da ciascuna di esse per i prodotti interessati dal presente procedimento su scala del SEE, includendovi il valore del consumo vincolato di ogni impresa. Ne risulta un fatturato per quota di mercato che rappresenta l’importanza relativa di ciascuna impresa nell’infrazione e la sua effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente alla concorrenza (punti 289‑291 della Decisione).

59      Il raffronto è stato basato sui dati relativi al fatturato (espresso in milioni di euro) relativo ai prodotti in parola riguardante l’ultimo anno dell’infrazione, vale a dire il 1998, quali risultano dalla tabella 1 che figura al punto 37 della Decisione e intitolata «Stima del fatturato (compreso il valore corrispondente all’uso vincolato) e delle quote di mercato nel SEE, nel 1998, per il gruppo di prodotti costituenti oggetto del procedimento»:

Fornitori

Fatturato (compreso il valore dell’uso vincolato)

Quota di mercato nel SEE (in %)

Conradty

9

3%

Hoffmann

17

6%

[LCL]

84

29%

Morgan

68

23%

Schunk

52

18%

SGL

41

14%

Altre

20

7%

Totale

291

100%


60      Di conseguenza, la LCL e la Morgan, considerate come i due maggiori operatori con quote di mercato superiori al 20%, sono state classificate nella prima categoria. La Schunk e la SGL, che sono operatori medi con quote di mercato comprese tra il 10 e il 20%, sono state collocate nella seconda categoria. La Hoffmann e la Conradty, considerate piccoli operatori per quote di mercato inferiori al 10%, sono state raggruppate nella terza categoria (punti 37 e 297 della Decisione).

61      Sulla base delle precedenti considerazioni la Commissione ha stabilito un importo di base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, di EUR 35 milioni per la LCL e la Morgan, di EUR 21 milioni per la Schunk e la SGL e di EUR 6 milioni per la Hoffmann e la Conradty (punto 298 della Decisione).

62      Occorre sottolineare il fatto che la ricorrente non contesta di per sé il metodo consistente ne ripartire i membri di un’intesa in categorie ai fini di realizzare un trattamento differenziato nella fase della determinazione degli importi di base delle ammende. Orbene, tale metodo, il cui principio è stato peraltro convalidato dalla giurisprudenza del Tribunale, ancorché conduca ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese di una stessa categoria (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385, e 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181; in prosieguo: la «sentenza Tokai I», punto 217), comporta una determinazione forfetaria dell’importo di base fissato per le imprese appartenenti ad una stessa categoria.

63      La ricorrente si basa, al contrario, sul testo della sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, per affermare che se è pur vero che, come afferma il Tribunale al punto 223 di detta sentenza, la suddivisione in categorie dev’essere effettuata per scaglioni del 5% circa delle quote di mercato, poiché ciò consente di riflettere la proporzionalità delle diverse quote di mercato senza errore di valutazione, la graduazione per scaglioni del 10% scelta dalla Commissione nel caso di specie risulta troppo approssimativa e non riflette i rapporti sul mercato.

64      Essa afferma che una suddivisione delle imprese in sei categorie per scaglioni del 5% delle quote di mercato avrebbe condotto, a partire da una considerazione delle quote di mercato medie per categoria o da un’analisi delle soglie, ad un importo di base massimo di EUR 15,9 milioni o 14 milioni.

65      Anche se è accertato che nel caso degli elettrodi in grafite la Commissione aveva suddiviso le imprese interessate in tre categorie procedendo per scaglioni del 5% delle quote di mercato, non risulta assolutamente dal punto 223 della sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, né dalla motivazione del Tribunale nel suo complesso, che un siffatto modo di ripartire i membri di un’intesa in categorie sia considerato come l’unico che permetta di riflettere la proporzionalità delle diverse quote di mercato senza errore di valutazione in ogni procedimento promosso dalla Commissione per sanzionare un cartello.

66      La ricorrente non può dedurre dalla sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, l’asserito carattere approssimativo o discriminatorio della suddivisione in categorie delle imprese coinvolte nell’intesa oggetto della Decisione per il solo fatto che la Commissione ha seguito nel caso di specie, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, un metodo di suddivisione diverso decidendo di creare tre categorie sulla base di scaglioni del 10% delle quote di mercato, tenendo presente che il numero degli operatori destinatari della decisione nel caso degli elettrodi di grafite e la suddivisione delle loro quote di mercato erano diversi da quelli che caratterizzano la presente fattispecie.

67      Si deve del resto rilevare che il ragionamento della ricorrente conduce, nella specie, alla creazione di sei categorie, sulla base di scaglioni del 5% delle quote di mercato (dalla fascia che va dallo 0 al 5% sino alla fascia che va dal 25 al 30%), comprendenti ognuna una sola impresa, il che contraddice il principio stesso della suddivisione in categorie.

68      Nondimeno, la ripartizione in categorie cui la Commissione ha proceduto nella Decisione deve rispettare il principio della parità di trattamento secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Peraltro, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende dev’essere quantomeno proporzionato agli elementi presi in considerazione al fine di valutare la gravità dell’infrazione (v. sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, punto 219 e giurisprudenza citata).

69      Per verificare se una ripartizione in categorie dei membri di un’intesa sia conforme ai principi della parità di trattamento e di proporzionalità, il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve tuttavia limitarsi a controllare che la detta ripartizione sia coerente ed oggettivamente giustificata (sentenze CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 416, e sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, punti 220 e 222).

70      Occorre al riguardo considerare che una ripartizione delle imprese in tre categorie, grandi, medi e piccoli operatori, è una maniera ragionevole di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato al fine di stabilire l’importo di base, purché non porti ad una rappresentazione grossolanamente alterata del mercato in questione. Si deve inoltre rilevare che, con percentuali del 3, 6, 14, 18, 23 e 29%, le quote di mercato dei membri dell’intesa si ripartiscono in modo relativamente equilibrato su una scala da 0 a 30 e che il metodo della Commissione, consistente nello stabilire le soglie delle categorie al 10 e al 20% non può, a priori, essere considerata priva di coerenza interna.

71      Con riferimento alla prima categoria, la Commissione vi ha raggruppato le imprese LCL e Morgan e ha stabilito un importo di base pari a EUR 35 milioni. Contrariamente alle affermazioni della ricorrente, questa scelta della Commissione non può essere qualificata arbitraria e non oltrepassa i limiti dell’ampio potere discrezionale di cui essa dispone in materia.

72      Si deve in primo luogo sottolineare che la fissazione dell’importo di base di EUR 35 milioni al punto 298 della Decisione costituisce la conclusione dell’analisi condotta dalla Commissione quale esposta ai punti 277‑297 della Decisione, nell’ambito della quale essa ha, da un lato, qualificato l’infrazione in quanto tale, tenendo conto di elementi obiettivi, cioè la natura stessa dell’infrazione, il suo impatto sul mercato e la portata geografica di tale mercato, e, dall’altro, preso in considerazione elementi soggettivi, vale a dire l’importanza specifica di ciascuna delle imprese coinvolte nell’intesa e, pertanto, la concreta incidenza del loro comportamento illecito sulla concorrenza. Proprio nell’ambito di questa seconda parte della sua analisi essa ha, in particolare, perseguito l’obiettivo di assicurare un livello dissuasivo dell’ammenda, riguardo all’importanza relativa di ciascuna impresa nell’infrazione e alla sua capacità economica effettiva di arrecare un danno consistente alla concorrenza sul mercato di cui trattasi. A conclusione della sua valutazione della gravità dell’infrazione la Commissione ha stabilito direttamente un importo di base, nel caso di specie pari a EUR 35 milioni per la LCL e la Morgan, tenendo conto di tutti gli elementi summenzionati, compreso l’obiettivo di dissuasione.

73      Si deve rilevare, in secondo luogo, che per quanto riguarda specificamente le infrazioni che devono essere qualificate come «molto gravi», gli orientamenti si limitano a indicare che gli importi delle ammende applicabili vanno «oltre i 20 milioni di [EUR]». I soli limiti massimi menzionati negli orientamenti applicabili a tali infrazioni sono il limite generale del 10% del fatturato globale fissato all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 [v. preambolo e punto 5, lett. a), degli orientamenti] – la cui violazione non è denunciata nel caso di specie – e i limiti relativi alla maggiorazione che può essere prevista a causa della durata dell’infrazione (v. punto 1 B, primo comma, secondo e terzo trattino, degli orientamenti). Nulla osta, negli orientamenti, nel caso di un’infrazione «molto grave», all’innalzamento di una soglia in valore assoluto identico a quello applicato dalla Commissione nel caso di specie.

74      Si deve considerare, in terzo luogo, che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, limitando la valutazione del carattere proporzionato dell’importo di base dell’ammenda previsto dalla Commissione alla considerazione della relazione tra il detto importo e il fatturato summenzionato, si attribuirebbe un’importanza eccessiva all’elemento costituito dal fatturato realizzato con i prodotti di cui trattasi. La natura stessa dell’infrazione, l’impatto concreto di quest’ultima, l’estensione geografica del mercato rilevante e la necessaria portata dissuasiva dell’ammenda sono tanti altri elementi, che la Commissione ha preso in considerazione nella fattispecie, idonei a giustificare l’importo summenzionato. Al riguardo la Commissione ha giustamente qualificato l’infrazione come «molto grave», in quanto la ricorrente ha partecipato ad un’intesa orizzontale, mirante essenzialmente a fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita ed altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, a ripartire i mercati, in particolare mediante l’attribuzione di clienti, e a intraprendere azioni coordinate nei confronti di concorrenti estranei al cartello e che ha avuto un impatto concreto sul mercato dei prodotti di cui trattasi nel SEE.

75      Si deve, in quarto luogo, sottolineare che il fatturato rilevante della LCL e della Morgan era pari rispettivamente a EUR 84 e a 68 milioni, con quote di mercato corrispondenti rispettivamente al 29% e al 23%. Correttamente quindi la Commissione ha ritenuto opportuno inserire queste due imprese in una stessa categoria, con un fatturato medio pari a EUR 76 milioni e una quota di mercato media di circa il 26%.

76      Poiché la composizione della prima categoria così come il corrispondente importo di base possono quindi essere considerati coerenti e obiettivamente giustificati, occorre esaminare se anche la seconda categoria, composta dalla ricorrente e dalla Schunk, sia stata costituita anch’essa in modo coerente e obiettivamente giustificato.

77      La ricorrente afferma che se, in conformità alla motivazione della sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, il rispettivo rapporto tra le diverse quote di mercato deve riflettersi negli importi di base stabiliti per le diverse categorie, si deve necessariamente comparare «la quota di mercato più elevata della categoria più alta con la quota di mercato meno elevata della categoria più bassa». Il rapporto fra queste due quote di mercato dovrebbe quantomeno corrispondere alla differenza relativa fra le quote di mercato in valore assoluto. Poiché il rapporto tra le quote di mercato della LCL e della ricorrente è di 2,07, l’importo di base dell’ammenda di quest’ultima, nonché dell’altra impresa inclusa nella seconda categoria, avrebbe dunque dovuto riflettere tale rapporto ed essere fissato, al massimo, a EUR 16,9 milioni.

78      Occorre nuovamente sottolineare le differenze tra la causa che ha dato luogo alla sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, e la presente fattispecie, tenuto conto del numero degli operatori interessati, della ripartizione delle quote di mercato e del fatto che, nel caso degli elettrodi di grafite, la Commissione aveva scelto di applicare un metodo aritmetico specifico consistente nel procedere per scaglioni di circa il 5% delle quote di mercato, ognuna delle quali corrispondente ad un importo di circa EUR 8 milioni. Nella sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62 (punto 232), il Tribunale ha verificato la coerenza di tale metodo di differenziazione precisando che la Commissione, una volta effettuata volontariamente la scelta di applicare un simile metodo aritmetico, è vincolata al rispetto delle regole ad esso inerenti, salva esplicita giustificazione, nei confronti di tutti i membri di una stessa intesa.

79      In ogni caso, nessun elemento della sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, consente di desumere che il rapporto tra gli importi di base delle ammende fissati nell’ambito di una ripartizione dei membri dell’intesa in categorie debba essere determinato in funzione del rapporto esistente tra la quota di mercato dell’impresa «più grande» della categoria più alta e quella dell’impresa «più piccola» della categoria più bassa.

80      L’analisi della ricorrente consistente nell’isolare la sua quota di mercato e nel compararla esclusivamente con quella della LCL al fine di determinare il rapporto tra gli importi di base stabiliti nei confronti della stessa e della LCL, che sarebbe in seguito applicabile alle due imprese della seconda categoria, equivale, in realtà, a negare il principio della ripartizione per categorie e la forfetizzazione degli importi di base che esso comporta, ammesso dalla giurisprudenza.

81      Al contrario, la considerazione dei valori medi delle imprese di una stessa categoria rivela che la ripartizione per categorie operata nella Decisione è coerente e oggettivamente giustificata.

82      Il fatturato medio e la quota di mercato media della LCL e della Morgan (prima categoria) erano di EUR 76 milioni e del 26%, mentre per la Schunk e per la ricorrente (seconda categoria) questi stessi valori medi erano di EUR 46,5 milioni e del 16%. Il rapporto tra i due valori medi risulta pertanto pari a 1,634 (per il fatturato) e a 1,625 (per la quota di mercato).

83      Tali rapporti sono molto vicini al rapporto tra l’importo di base per la prima categoria (EUR 35 milioni) e quello per la seconda categoria (EUR 21 milioni), che è pari a 1,66. Di conseguenza, tale rapporto non svantaggia la ricorrente, ma al contrario la avvantaggia, poiché il rapporto tra i due valori medi è pari a 1,634 (per il fatturato) e a 1,625 (per la quota di mercato).

84      Con riferimento alla terza categoria, composta dalla Hoffmann e dalla Conradty, il fatturato medio e la quota di mercato media di tali imprese erano pari a EUR 13 milioni e al 4,5%. Tenuto conto dei dati relativi alla LCL e alla Morgan (prima categoria), il rapporto tra i due valori medi è pari a 5,846 (per il fatturato) e a 5,777 (per la quota di mercato). Esso si avvicina molto, anche in questo caso, al rapporto tra l’importo di base per la prima categoria (EUR 35 milioni) e quello per la terza categoria (EUR 6 milioni) che è pari a 5,83.

85      Quanto al raffronto tra le imprese raggruppate nella seconda e nella terza categoria, il rapporto tra i due valori medi è pari a 3,576 (per il fatturato) e a 3,555 (per la quota di mercato), corrispondente pressappoco al rapporto tra l’importo di base per la seconda categoria (EUR 21 milioni) e quello per la terza categoria (EUR 6 milioni), pari a 3,5.

86      Si deve rilevare che, nella replica, la ricorrente sostiene che una valutazione fondata sui valori medi conduce parimenti ad un risultato discriminatorio e sproporzionato e sottolinea, a tale titolo, che la Commissione ha stabilito un importo di base per la LCL e la Hoffman, corrispondente, rispettivamente, a EUR 1,207 milioni e a EUR 1 milione per punto di quota di mercato (35: 29 = 1,207 e 6: 6 = 1), il che, applicato alla sua situazione, avrebbe dovuto condurre ad un importo di base di EUR 16,9 o 14 milioni.

87      È sufficiente constatare che, in tal modo, la ricorrente si limita a riprendere, con una formulazione diversa, il ragionamento riassunto al precedente punto 77 e basato sulla pretesa di un rigido rispetto della proporzionalità nei rapporti tra ciascuna impresa.

88      Com’è stato esposto, tale ragionamento conduce a negare il principio della ripartizione delle imprese per categorie, quale applicato dalla Commissione nella Decisione e ammesso dalla giurisprudenza, e non può essere accolta dal Tribunale, salvo dimostrazione che la classificazione della ricorrente nella seconda categoria sia contraria ai principi di proporzionalità e della parità di trattamento.

89      Nell’ambito del suo ragionamento la ricorrente rileva appunto che la sua classificazione nella stessa categoria della Schunk determina una disparità di trattamento a suo danno, in quanto quest’ultima detiene una quota di mercato del 18%, che rappresenta un fatturato superiore al suo di circa EUR 12 milioni.

90      Si deve ricordare che la Schunk e la ricorrente sono state classificate in una stessa categoria con quote di mercato del 18% e del 14%, che rappresentano un fatturato sul mercato rilevante rispettivamente di EUR 52 e 41 milioni, dati che le collocavano chiaramente nella fascia delle imprese con quote di mercato comprese tra il 10 e il 20%.

91      Si deve sottolineare che la differenza di dimensioni tra la Schunk e la ricorrente, appartenenti ad una stessa categoria, è meno rilevante di quella tra la ricorrente e la Hoffman, che fanno parte di due categorie diverse. La quota di mercato della ricorrente (14%) era più vicina a quella della Schunk (18%) che a quella del più importante operatore della terza categoria (la Hoffman, 6%), dal momento che essa è separata dall’una e dall’altra, rispettivamente, da 4 e 8 punti percentuali. La limitata differenza tra la Schunk e la ricorrente (4 punti percentuali), tenuto conto della quota di mercato non particolarmente elevata della Schunk, ha così permesso alla Commissione, in piena coerenza e obiettività e, dunque, senza violare i principi della parità di trattamento e di proporzionalità, di trattare la ricorrente al pari della Schunk, e, a differenza della Hoffman e della Conradty, come un operatore medio, fissando, pertanto, per la ricorrente medesima lo stesso importo di base stabilito per la Schunk, superiore all’importo di base imposto alla Hoffman e alla Conradty, detentrici di una posizione molto marginale sul mercato di cui trattasi (6 e 3%).

92      Si deve inoltre ricordare che sebbene a talune imprese venga applicato, a causa della suddivisione in gruppi, un importo di base identico pur avendo esse dimensioni differenti, si deve concludere che detta diversità di trattamento è oggettivamente giustificata dalla preminenza attribuita al tipo di trasgressione rispetto alla dimensione delle imprese in sede di determinazione della gravità dell’infrazione (v. sentenza CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 411, e giurisprudenza citata).

93      La ricorrente asserisce, infine, che la ripartizione per categorie effettuata dalla Commissione è erronea, in quanto quest’ultima avrebbe dovuto sommare le quote di mercato della Schunk e della Hoffmann, dal momento che le imprese devono essere considerate quali si presentano al momento dell’adozione della decisione che infligge un’ammenda. Pertanto, la ricorrente avrebbe dovuto essere classificata in una terza categoria, corrispondente ad una quota di mercato inferiore al 20%, dato che la prima e la seconda categoria sono rispettivamente costituite dalla LCL, con una quota di mercato superiore al 25%, e dalla Schunk e la Hoffmann, con una quota di mercato complessiva compresa tra il 20% e il 25%, specificamente del 24%. Quindi, conformemente alla prassi decisionale della Commissione, l’importo di base stabilito nei confronti della ricorrente avrebbe dovuto essere inferiore di EUR 17,5-13 milioni rispetto a quello previsto nel caso di specie.

94      Si deve ricordare che la Commissione ha sancito la responsabilità specifica della Hoffman per il fatto che tale impresa ha partecipato in modo autonomo all’infrazione dal settembre 1994 all’ottobre 1999, con la precisazione che la Schunk ha assunto il controllo della Hoffman soltanto a partire dal 28 ottobre 1999.

95      Sulla base di tale valutazione, che non è direttamente contestata dalla ricorrente, la Commissione ha ripartito le imprese interessate, compresa la Hoffman, in tre categorie, in base al fatturato realizzato da ciascuna per i prodotti interessati dal presente procedimento su scala del SEE, includendovi il valore del consumo vincolato di ogni impresa. Ne risulta un fatturato per quota di mercato che rappresenta l’importanza relativa di ciascuna impresa nell’infrazione e la sua effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente alla concorrenza.

96      Il raffronto è stato basato sui dati relativi al fatturato relativo ai prodotti in parola riguardante l’ultimo anno dell’infrazione, vale a dire il 1998, cosa che la ricorrente contesta, asserendo, in nome del rispetto del principio della parità di trattamento, che la Commissione avrebbe dovuto valutare la situazione delle imprese nel giorno in cui infliggeva l’ammenda e, di conseguenza, sommare le quote di mercato della Schunk e della Hoffmann.

97      Tale tesi, oltre al fatto di essere diretta a contestare la responsabilità autonoma della Hoffmann, quale affermata dalla Commissione nella Decisione, deve essere respinta in quanto del tutto infondata.

98      Si deve rilevare che la censura della ricorrente riguarda una fase del calcolo dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione nel corso della quale la Commissione adegua l’importo dell’ammenda previsto superiore a EUR 20 milioni, determinato dalla qualificazione dell’infrazione come «molto grave», tenendo conto dell’importanza specifica di ciascuna delle imprese coinvolte nell’intesa e, quindi, della concreta incidenza del loro comportamento illecito sulla concorrenza.

99      Orbene, con riferimento alla determinazione dell’entità dell’infrazione sul mercato e alla parte di responsabilità che ne consegue a carico di ciascun partecipante all’intesa, la Corte ha dichiarato che la parte del fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione può fornire una corretta indicazione dell’entità di un’infrazione sul mercato interessato (v., in particolare, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 49, punto 121, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T-347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 369). In particolare, come ha sottolineato il Tribunale, il fatturato realizzato sui prodotti oggetto di una pratica restrittiva costituisce un elemento oggettivo che fornisce una corretta misura della nocività di tale pratica per il gioco normale della concorrenza ([sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑151/94, British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑629, punto 643).

100    Giustamente pertanto la Commissione ha preso in considerazione, in tale contesto, il fatturato realizzato con i prodotti di cui trattasi e la quota di mercato nel SEE di ciascuna delle imprese presenti sul mercato rilevante nel 1998, nell’ultimo anno civile completo dell’infrazione, e non la situazione di dette imprese nel giorno dell’adozione della Decisione, quattro anni dopo la fine dell’infrazione.

101    Risulta dalle precedenti considerazioni che tutte le censure relative alla ripartizione dei membri dell’intesa in categorie effettuata dalla Commissione nella Decisione devono essere respinte.

 Sulla durata dell’infrazione

102    Conformemente all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

103    Per quanto riguarda il fattore relativo alla durata dell’infrazione, gli orientamenti distinguono tra le infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a un anno), per le quali l’importo di base applicato in considerazione della gravità non dovrebbe essere maggiorato, le infrazioni di media durata (in generale per periodi da uno a cinque anni), per le quali il detto importo può essere maggiorato del 50%, e le infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a cinque anni), per le quali l’importo in questione può essere maggiorato del 10% per ciascun anno (punto 1 B, primo comma, primo-terzo trattino).

104    È pacifico che la ricorrente ha partecipato all’intesa dall’ottobre 1988 al dicembre 1999, vale a dire per un periodo di undici anni e due mesi, corrispondente ad un’infrazione di lunga durata, e che l’importo di base della sua ammenda è stato di conseguenza maggiorato del 110% in considerazione della durata dell’infrazione.

105    La ricorrente sostiene che tale maggiorazione del 110% sia sproporzionata e violi sia il metodo di calcolo delle ammende previsto dagli orientamenti sia la precedente prassi decisionale della Commissione.

106    Riguardo, in primo luogo, alla presunta violazione degli orientamenti, la ricorrente sostiene, contemporaneamente e in modo contraddittorio, che la maggiorazione contestata conduca a privare di significato la fase preliminare della valutazione della gravità dell’infrazione e a tenere conto una seconda volta di questa stessa gravità, in quanto le intese sui prezzi, qualificate dalla Commissione come infrazioni «molto gravi», sono, per loro natura, infrazioni di lunga durata.

107    La prima asserzione della ricorrente costituisce una mera affermazione di principio del tutto irrilevante. E’ sufficiente osservare che, al termine della sua valutazione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha fissato un importo di base, nella fattispecie pari a EUR 21 milioni per la ricorrente. Completata questa prima fase, la Commissione ha preso in considerazione la durata dell’infrazione e, tenuto conto della lunga durata di quest’ultima, ha aumentato l’importo di base preliminarmente definito. Il solo fatto che l’importo aggiuntivo dell’ammenda rappresenti una maggiorazione superiore al 100% dell’importo di base non significa affatto che la fissazione dell’importo di base in funzione della gravità dell’infrazione sia privata di significato.

108    La seconda affermazione non ha maggior fondamento, in quanto si basa sulla erronea premessa di una necessaria correlazione tra la natura di determinate infrazioni e la loro durata e perviene ad una confusione dei criteri della gravità e della durata previsti all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

109    Anche ammesso che le intese sui prezzi siano intrinsecamente di lunga durata, non può vietarsi alla Commissione di tener conto della loro durata effettiva in ciascun caso concreto. Infatti alcune intese, nonostante una lunga durata progettata, vengono scoperte dalla Commissione ovvero denunciate da un partecipante dopo un breve periodo di funzionamento effettivo. Il loro effetto dannoso è necessariamente inferiore rispetto al caso in cui tali intese siano state effettivamente messe in opera per un lungo periodo. Di conseguenza, è sempre necessario distinguere, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, tra la durata effettiva delle infrazioni e la loro gravità, quale risulta dalla loro stessa natura (sentenze Tokai I, cit. supra al punto 62, punto 259, e Tokai II, cit. supra al punto 52, punto 275).

110    Legittimamente la Commissione poteva quindi dichiarare, al punto 1 B, terzo comma, degli orientamenti, che la maggiorazione per le infrazioni di lunga durata sarebbe stata più consistente che in precedenza, nell’intento di sanzionare realmente le restrizioni «che hanno arrecato un pregiudizio durevole» ai consumatori (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, punto 260).

111    Peraltro, il punto 1 B, primo comma, terzo trattino, degli orientamenti non prevede una maggiorazione automatica del 10% annuo per le infrazioni di lunga durata, ma lascia, al riguardo, un margine discrezionale alla Commissione. Risulta chiaramente dai punti 299 e 300 della Decisione che la Commissione ha esercitato il suo potere discrezionale decidendo di aumentare gli importi di base delle ammende del 10% per ogni anno completo di infrazione e di un altro 5% per ogni periodo ulteriore superiore a sei mesi, ma inferiore a un anno, e ciò tenuto conto della durata del periodo relativo all’infrazione, di gran lunga superiore a quello di cinque anni che delimita la categoria delle infrazioni denominate di «media durata».

112    Il fatto che la Commissione abbia applicato il principio di una maggiorazione del 10% annuo per tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione qualificata, giustamente, come infrazione di lunga durata, non è affatto contrario agli orientamenti, e l’argomento della ricorrente relativo alla violazione di un «principio di maggiorazione decrescente delle pene» in caso di infrazioni di lunga durata, la cui esistenza nel diritto comunitario non è dimostrata, non tiene conto del carattere continuativo dell’infrazione, accertato dalla Commissione unitamente all’unicità di quest’ultima, e che non è contestato dalla ricorrente.

113    Nulla osta, pertanto, al fatto che la Commissione, in applicazione della disciplina che essa stessa si è imposta negli orientamenti, abbia aumentato del 110%, in considerazione di una durata dell’infrazione di undici anni e due mesi, l’importo di base dell’ammenda della ricorrente. Inoltre, tale maggiorazione del 110% non può essere considerata manifestamente sproporzionata tenuto conto della lunga durata dell’infrazione.

114    Riguardo, in secondo luogo, all’asserita violazione della prassi decisionale della Commissione, si deve ricordare che tale prassi non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza, il quale è esclusivamente costituito dal regolamento n. 17 (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 234), e che le decisioni relative ad altri casi hanno un carattere meramente indicativo dell’esistenza eventuale di discriminazioni, essendo poco verosimile un’identità delle circostanze proprie di tali casi, come i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi di riferimento (sentenze JCB Service/Commissione, cit. supra al punto 43, punti 201 e 205, e Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 60).

115    A tale riguardo, la ricorrente richiama tre decisioni della Commissione nelle quali quest’ultima ha aumentato l’importo di base dell’ammenda tenendo conto della durata dell’infrazione a decorrere soltanto dal secondo anno del periodo di durata dell’infrazione, e ciò in quanto gli orientamenti prevedono maggiorazioni dell’ammenda soltanto per periodi che superino una durata dell’infrazione considerata «media».

116    Si deve tuttavia osservare che le cause richiamate dalla ricorrente non possono essere paragonate alla presente causa.

117    In tal senso, nella decisione relativa al caso dei tubi preisolati e nella decisione della Commissione 5 luglio 2000, 2001/135/CE, relativa ad un procedimento in applicazione dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP.F.1.36.516 - Nathan-Bricolux) (GU 2001, L 54, pag. 1), la Commissione ha preso in considerazione il fatto che, contrariamente alla presente causa, le restrizioni in parola non erano state operate in maniera sistematica nel corso del periodo controverso.

118    Nella decisione 7 giugno 2000, 2001/418/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/36.545/F3 - Aminoacidi) (GU 2001, L 152, pag. 24), la Commissione ha sanzionato diverse imprese per la loro partecipazione ad un’intesa sul mercato della lisina. La Commissione aveva stabilito il principio di una maggiorazione del 10% per anno di infrazione, ma non l’aveva mai applicato in maniera uniforme, senza fornire spiegazioni al riguardo. Il Tribunale, nella sentenza 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione (Racc. pag. II‑2473, punti 130‑139), ha operato una rettifica, diminuendo la maggiorazione prevista in considerazione della durata in favore dell’impresa, cui era stato applicato il principio di una maggiorazione del 10% annuo.

119    In ogni caso, si deve rammentare che il rispetto del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto del principio di legalità, secondo il quale nessuno può invocare a proprio vantaggio un’illegittimità commessa a favore di altri ([sentenza della Corte 4 luglio 1985, causa 134/84, Williams/Corte dei conti (Racc. pag. 2225, punto 14; sentenze 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, cit. supra al punto 49, punto 160, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 367).

120    Orbene, contrariamente alle affermazioni della ricorrente, dalle disposizioni del punto 1 B, degli orientamenti non risulta che il primo anno d’infrazione non debba essere calcolato. A tale proposito è infatti disposto unicamente che non si applichino maggiorazioni per le infrazioni di breve durata, in genere inferiori ad un anno. Al contrario, è praticata una maggiorazione per le infrazioni più durature, che può essere fissata per «ogni anno» al 10% dell’importo di base, qualora, come nella fattispecie, l’infrazione si sia protratta per più di cinque anni (sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 118, punto 133).

121    Ne consegue che il motivo relativo al trattamento sproporzionato e/o discriminatorio della ricorrente, riguardo alla fissazione della maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda in considerazione della durata dell’infrazione e tenuto conto della prassi decisionale della Commissione, deve essere respinto.

 Sul limite massimo dell’ammenda previsto all’art 15, n. 2, del regolamento n. 17

 Sulla non applicazione alla ricorrente del tetto del 10% del fatturato mondiale

122    L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 prevede che le ammende inflitte dalla Commissione a imprese che abbiano violato l’art. 81 CE o l’art. 82 CE possano essere aumentate fino al «10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione».

123    La ricorrente sostiene, in primo luogo, che la Commissione ha violato l’articolo summenzionato, in quanto essa avrebbe dovuto, nel caso di specie, ridurre d’ufficio l’importo di base dell’ammenda in applicazione di tale articolo, e ciò tenuto conto delle ammende, che si tratti dell’importo di base o dell’importo finale, di cui essa è già stata destinataria nei casi degli elettrodi di grafite e delle grafiti speciali, poiché l’importo complessivo di tali ammende, compresa quella imposta nella Decisione, supera nettamente il 10% del suo fatturato mondiale. Tale soluzione sarebbe dettata dall’obiettivo del rispetto del tetto del 10%, stabilito all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, consistente nel proteggere l’impresa da un’ammenda eccessiva che possa mettere in pericolo la sua esistenza economica.

124    Si deve precisare che la Commissione, ancorché sia libera di valutare, sotto il controllo del Tribunale, la concessione di riduzioni delle ammende in base alla comunicazione sulla cooperazione alla luce delle circostanze di ciascun caso, è, d’altra parte, obbligata a rispettare il tetto del 10%. La Commissione non dispone di un potere discrezionale nell’applicazione del tetto del 10%, che dipende unicamente dall’entità del fatturato di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Come sottolineato dall’avvocato generale Tizzano, nelle sue conclusioni per la sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione (Racc. pag. I‑5439, paragrafo 125), «per definizione, un tetto rappresenta un limite assoluto che si applica automaticamente, qualora venga raggiunta una determinata soglia, e indipendentemente da ogni altro elemento di valutazione».

125    Nel presente caso, l’importo di base dell’ammenda, determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, è stato fissato a EUR 44,1 milioni nei confronti della ricorrente, importo rimasto invariato a seguito dell’esame della Commissione di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, poiché nessuna di esse è stata accertata a carico o a favore della ricorrente. Orbene, questo importo di EUR 44,1 milioni è manifestamente inferiore al limite del 10% del fatturato globale di detta impresa, che per l’anno 2002 ammontava a EUR 1 112 milioni. Nessuna riduzione dell’importo di base dell’ammenda poteva pertanto essere concessa alla ricorrente e la Commissione ha effettuato una corretta applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

126    L’argomento della ricorrente ricordato al precedente punto 123 contrasta la chiara formulazione dell’articolo summenzionato da cui risulta che il tetto del 10% si applica separatamente a ciascuna infrazione sanzionata dalla Commissione (sentenza Tokai II, cit. supra al punto 52, punto 377). Si deve al riguardo ricordare che, per determinare l’importo dell’ammenda all’interno dei limiti fissati dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, quest’ultimo prevede la presa in considerazione della gravità e della durata dell’«infrazione».

127    Nell’interpretare il riferimento esplicito al fatturato dell’impresa, il giudice comunitario ha indicato che il previsto tetto massimo del 10% mira ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa, e, poiché solo il fatturato complessivo può effettivamente dare un’indicazione approssimativa in proposito, è opportuno intendere questa percentuale come riferita al fatturato complessivo (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 49, punto 119). La definizione così fornita dell’obiettivo del tetto del 10% è tuttavia indissociabile dal testo e dalla portata dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 ricordati al punto precedente e tale obiettivo non può giustificare un’interpretazione del detto articolo, come quella avanzata dalla ricorrente, contraria al suo testo.

128    A sostegno della sua censura, la ricorrente fa altresì riferimento alla decisione della Commissione 21 novembre 2001, 2003/2/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.512 - Vitamine) (GU 2003, L 6, pag. 1), nella quale la Commissione ha ritenuto che due imprese avessero commesso ognuna otto violazioni dell’art. 81 CE, infliggendo di conseguenza a queste ultime otto ammende. Si deve al riguardo rilevare che l’importo di ciascuna di queste otto ammende rispetta il tetto del 10% e che l’osservazione della ricorrente secondo la quale la somma delle ammende inflitte a ciascuna impresa era inferiore al 10% del fatturato globale di detta impresa non può dimostrare una violazione da parte della Commissione, nel presente caso, dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

129    La ricorrente sostiene, in secondo luogo, che la Commissione ha, in sostanza, commesso uno sviamento di potere. La Commissione avrebbe cercato di sottrarsi al rispetto del limite massimo del 10% sanzionando separatamente, in tre decisioni distinte, un comportamento in violazione del diritto della concorrenza tenuto nel corso di uno stesso periodo.

130    Interrogata in udienza sull’esatto significato di tale affermazione, la ricorrente ha fatto presente che essa non intendeva sostenere che le intese relative ai casi degli elettrodi di grafite e delle grafiti speciali e quella che ha dato luogo all’adozione della Decisione costituissero, in realtà, una stessa e unica infrazione.

131    Si deve sottolineare, in tale contesto, che la Commissione poteva legittimamente infliggere alla ricorrente quattro ammende distinte, ciascuna nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, a condizione che quest’ultima avesse commesso quattro distinte violazioni delle disposizioni dell’art. 81, n. 1, CE, ricordando, al tempo stesso, che nel caso delle grafiti speciali la Commissione ha avviato un solo procedimento che ha condotto all’adozione di una decisione unica, con cui si accertava l’esistenza di due distinte violazioni, una riguardante il mercato della grafite speciale isostatica e l’altra il mercato della grafite speciale estrusa, e infliggeva alla ricorrente due ammende distinte.

132    Pertanto, l’argomento della ricorrente relativo ad una presunta «elusione illegittima» del tetto previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è del tutto privo di rilevanza. Infatti, come indica giustamente la Commissione, è indifferente, per l’applicazione del tetto summenzionato, che diverse violazioni delle regole della concorrenza siano sanzionate nel corso di un procedimento unico o nel corso di procedimenti separati, scaglionati nel tempo, poiché il tetto massimo del 10% si applica a ciascuna violazione dell’art. 81 CE.

133    Le considerazioni generali della ricorrente riguardanti il fatto che l’atteggiamento della Commissione nel caso di specie avrebbe un effetto demoralizzante per l’impresa, posta nell’impossibilità di riassestare le proprie finanze e sottoposta ad una denuncia politica costante, fonte di un ulteriore pregiudizio in forma di danno alla reputazione, sono altresì del tutto prive di rilevanza in relazione ai requisiti di prova della presunta violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 o del presunto sviamento di potere che la Commissione avrebbe commesso.

134    Occorre infine rilevare che la Commissione ha concesso alla ricorrente una riduzione dell’ammenda del 33% tenendo conto delle sue gravi difficoltà finanziarie e del fatto che era stata recentemente condannata, nei casi degli elettrodi di grafite e delle grafiti speciali, a pesanti ammende per la sua partecipazione a concomitanti attività collusive.

 Sulla presunta applicazione discriminatoria del tetto del 10% a vantaggio della Hoffmann

135    Si deve rilevare che la ricorrente non sostiene di essersi trovata in una situazione analoga a quella della Hoffmann, bensì che la Commissione abbia applicato in modo irregolare il tetto del 10% a vantaggio della Hoffmann, tenendo conto di un fatturato globale errato. Essa fa presente che la Hoffmann è stata acquisita dalla Schunk il 28 ottobre 1999 e che la somma degli importi di base stabiliti nei confronti delle due imprese (EUR 53,1 milioni) rappresentava meno del 10% del loro fatturato complessivo nel 2002 (EUR 624,4 milioni), situazione che impediva qualsiasi riduzione dell’importo dell’ammenda in applicazione del tetto del 10%.

136    Poiché la ricorrente invoca una riduzione illegittima dell’ammenda ottenuta dalla Hoffmann e anche ammesso che la Commissione abbia illegittimamente concesso una riduzione a tale impresa per effetto di un’erronea applicazione del tetto del 10%, si deve ricordare che il rispetto del principio della parità di trattamento invocato dalla ricorrente deve conciliarsi con il rispetto del principio di legalità, secondo il quale nessuno può invocare a proprio vantaggio un’illegittimità commessa a favore di altri (sentenza Williams/Corte dei Conti, cit. supra al punto 119, punto 14; sentenze 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, cit. supra al punto 49, punto 160, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 367).

137    Si deve rammentare, ad abundantiam, che ai fini dell’applicazione del tetto del 10%, la Commissione deve prendere in considerazione il fatturato dell’impresa interessata, vale a dire dell’impresa che si è vista imputare l’infrazione e che, per questo fatto, è stata dichiarata responsabile e si è vista notificare la decisione che infligge l’ammenda ([sentenza del Tribunale 4 luglio 2006, causa T‑304/02, Hoek Loos/Commissione, Racc. pag. II‑1887, punto 116).

138    Orbene, è pacifico, nella fattispecie, che la Commissione ha ritenuto che la Hoffmann avesse violato l’art. 81 CE, avendo preso parte in modo autonomo e sotto la propria responsabilità all’intesa dal settembre 1994 all’ottobre 1999, vale a dire prima della sua acquisizione da parte della Schunk. Inoltre, dopo questa acquisizione, la Hoffmann ha conservato la sua personalità giuridica, nonché attività e attivi sufficienti, sebbene essa sia attualmente diretta dalla Schunk (punto 256 della Decisione). Pertanto, giustamente la Commissione ha ritenuto che la Hoffmann dovesse essa stessa essere considerata responsabile dell’infrazione commessa prima della sua acquisizione da parte della Shunk e si è esclusivamente basata sul fatturato della Hoffmann per l’applicazione del tetto del 10% del fatturato menzionato all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

139    Ne consegue che i motivi relativi ad un’applicazione errata o discriminatoria e ad una «elusione illegittima» del tetto del 10% del fatturato menzionato all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 devono essere respinti.

 Sugli interessi moratori

140    La ricorrente sottolinea che, a seguito della notifica della Decisione e della scadenza di un termine di tre mesi, l’importo dell’ammenda non pagato produce automaticamente interessi moratori al tasso del 5,5%, vale a dire al tasso di rifinanziamento della Banca centrale europea (BCE), corrispondente al 2% alla data pertinente, maggiorato del 3,5%, tasso del 5,5% che viene ridotto al 3,5% nel caso di presentazione di un ricorso con costituzione di garanzia bancaria.

141    Essa sostiene che la Commissione non ha affatto motivato, nella Decisione, questo tasso d’interesse molto elevato e arbitrario. Si tratterebbe, inoltre, di un tasso d’interesse proibitivo che costituirebbe, senza alcun fondamento normativo, una sanzione ulteriore avverso l’utilizzazione di un mezzo di difesa e che violerebbe «il principio generale del diritto comunitario secondo il quale ciascuno ha diritto ad un rimedio giurisdizionale efficace, senza che il fatto di ricorrere ad un mezzo di difesa possa arrecargli pregiudizio».

142    Si deve osservare che la SGL aveva già sollevato un’analoga censura nell’ambito delle controversie che hanno condotto alla sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, e alla sentenza Tokai II, cit. supra al punto 52, nelle quali il Tribunale aveva respinto la detta censura, soluzione confermata dalla Corte a seguito delle impugnazioni nelle sentenze 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977, punti 113‑118), e 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑3921, punti 109‑115).

143    Occorre ricordare al riguardo che, secondo una giurisprudenza consolidata (sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punti 141‑143; sentenze del Tribunale 14 luglio 1995, causa T‑275/94, CB/Commissione, Racc. pag. II‑2169, punti 46-49, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punti 395 e 396), il potere di cui la Commissione è investita ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 comprende la facoltà di determinare la data di esigibilità delle ammende e quella relativa al decorso degli interessi di mora, di fissare il tasso di questi interessi e di stabilire le modalità di esecuzione della sua decisione esigendo, all’occorrenza, la costituzione di una garanzia bancaria a copertura dell’importo del capitale e degli interessi delle ammende inflitte. In mancanza di siffatto potere, il vantaggio che le imprese potrebbero trarre dal pagamento tardivo delle ammende avrebbe l’effetto di attenuare le sanzioni inflitte dalla Commissione nell’esercizio del suo compito di vigilare sull’applicazione delle norme in materia di concorrenza. L’applicazione di interessi di mora alle ammende è giustificata quindi dall’intento di evitare che l’effetto utile del Trattato sia eluso mediante prassi applicate unilateralmente da imprese che tardino a pagare le ammende alle quali sono state condannate, nonché di evitare che tali imprese siano avvantaggiate rispetto a quelle che effettuano il pagamento delle ammende alla scadenza loro impartita (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 52, punto 475).

144    In tale contesto, la giurisprudenza ha riconosciuto alla Commissione il diritto di fissare gli interessi moratori al tasso di mercato aumentato di 3,5 punti percentuali (sentenze del Tribunale CB/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 54; 8 ottobre 1996, cause riunite da T‑24/93 a T‑26/93 e T‑28/93, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, Racc. pag. II‑1201, punto 250, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 397), e, nell’ipotesi di costituzione di una garanzia bancaria, al tasso di mercato aumentato di 1,5 punti percentuali (sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 54).

145    Tali soluzioni hanno oramai un fondamento normativo, poiché esse sono state recepite nel regolamento (CE, Euratom) della Commissione 23 dicembre 2002, n. 2342, recante modalità d’esecuzione del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (GU L 357, pag. 1), e più precisamente nell’art. 86 di tale regolamento, del quale la ricorrente non contesta la legittimità. Questo regolamento è entrato in vigore, ai sensi del suo art. 273, il 1° gennaio 2003.

146    Si deve rilevare che nella sua giurisprudenza il Tribunale ha tollerato interessi di mora del 7,5%, del 13,25% e del 13,75%, precisando che la Commissione può adottare un valore di riferimento più elevato rispetto al tasso di interesse passivo medio applicabile sul mercato quando ciò sia necessario per scoraggiare manovre dilatorie (v. sentenza Tokai I, cit. supra al punto 62, punto 476, e giurisprudenza citata). Pertanto, i tassi d’interesse del 5,5% e del 3,5% stabiliti nel caso di specie non possono essere considerati sproporzionati, tenuto conto dell’obiettivo legittimo summenzionato.

147    L’argomento della ricorrente relativo alla violazione di un presunto principio generale del diritto comunitario secondo il quale «ciascuno ha diritto ad un rimedio giurisdizionale efficace, senza che il fatto di ricorrere ad un mezzo di difesa possa arrecargli pregiudizio» comporta sostanzialmente la rivendicazione del diritto dell’impresa sanzionata con un’ammenda di presentare un ricorso senza incorrere nel rischio relativo alle conseguenze del rigetto di quest’ultimo ed equivale, infine, a negare la ratio legis della fissazione degli interessi moratori, vale a dire quella di evitare i ricorsi temerari.

148    La ricorrente non ha dimostrato, in ogni caso, che la Commissione, nell’aver fissato i tassi d’interesse al 5,5% e al 3,5%, abbia violato il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, che costituisce un principio generale del diritto comunitario. Si deve del resto rilevare che i tassi d’interesse fissati dalla Commissione nelle sue decisioni relative ai casi degli elettrodi di grafite e delle grafiti speciali, nonché nella presente fattispecie, non hanno evidentemente dissuaso la ricorrente dal presentare un ricorso dinanzi al giudice comunitario.

149    Peraltro, le considerazioni della ricorrente sull’impatto della durata del procedimento giurisdizionale, che costituisce un dato aleatorio inerente a questo tipo di procedimento, non sono tali da invalidare la conclusione summenzionata. Occorre altresì rilevare che, per prevenire le conseguenze dell’alea della durata del procedimento giurisdizionale sull’importo degli interessi, un’impresa ha la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione della decisione della Commissione che le infligge l’ammenda o di costituire una garanzia bancaria, che le consente di ridurre il tasso d’interesse dal 5, 5% al 3,5%.

150    Inoltre, la ricorrente fa riferimento ad una prassi della Commissione consistente nel remunerare con un interesse, superiore dello 0,1% al tasso d’interesse minimo offerto per le operazioni di rifinanziamento della BCE, i versamenti effettuati dalle imprese per pagare le ammende ad esse inflitte, operazione che permette di neutralizzare il rischio evocato al punto precedente.

151    Resta il fatto che, a parere della ricorrente, questa prassi proverebbe che, secondo la Commissione stessa, interessi poco elevati risulterebbero sufficienti per evitare ricorsi temerari, poiché, altrimenti, nessun interesse verrebbe versato, e che, pertanto, l’importo degli interessi richiesti nel caso di specie è comunque ingiustificato, o perlomeno ingiustificato a concorrenza dell’importo degli interessi versati.

152    Remunerando con un interesse, superiore dello 0,1% al tasso d’interesse minimo offerto per le operazioni di rifinanziamento della BCE, versamenti provvisori effettuati dalle imprese per pagare le ammende ad esse inflitte, la Commissione concede all’impresa interessata il beneficio di un privilegio che non risulta dalle disposizioni del Trattato, né da quelle del regolamento n. 17, né da quelle del regolamento n. 2342/2002 (v., in tal senso, sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 82) e che non può costituire valido fondamento per il motivo della ricorrente. Infatti, il tasso d’interesse applicato dalla Commissione alle ammende che successivamente risultino infine indebitamente pagate, persegue una finalità totalmente diversa rispetto a quella sottesa agli interessi di mora: il primo tasso d’interesse ha lo scopo d’impedire un arricchimento senza causa delle Comunità a scapito di un’impresa il cui ricorso diretto all’annullamento dell’ammenda inflittale sia stato accolto, mentre il secondo tasso d’interesse mira ad impedire i ritardi ingiustificati nel pagamento di un’ammenda (sentenza Tokai II, cit. supra al punto 52, punto 414).

153    Si deve infine rilevare che la lettura combinata dell’art. 2 della Decisione e della lettera 11 dicembre 2003, con la quale la Commissione ha notificato la Decisione alla ricorrente, rivela che le modalità di fissazione degli interessi di mora sono state ivi chiaramente precisate e che, così facendo, la Commissione ha assolto l’obbligo di motivazione previsto all’art. 253 CE.

154    Pertanto, il motivo relativo ai tassi d’interesse previsti nella Decisone, quale ricordato al precedente punto 141, dev’essere respinto.

155    Di conseguenza, il ricorso dev’essere respinto in toto.

 Sulle spese

156    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La SGL Carbon AG è condannata alle spese.

Vilaras Prek Ciucǎ

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 ottobre 2008.

Il cancelliere            Il presidente

E. Coulon          M. Vilaras


* Lingua processuale: il tedesco.