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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 6 giugno 2024 (1)

Cause riunite C119/22 e C149/22

Teva BV,

Teva Finland Oy

contro

Merck Sharp & Dohme Corp.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia)]

e

Merck Sharp & Dohme Corp.

contro

Clonmel Healthcare Limited

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda)]

«Rinvio pregiudiziale – Medicinali per uso umano – Certificato protettivo complementare (CPC) – Regolamento (CE) n. 469/2009 – Prodotti costituiti da una composizione di principi attivi – Condizioni per il rilascio – Articolo 3 – Lettera a) – Il prodotto è “protetto” da un brevetto di base – Lettera c) – Il prodotto “non è già stato oggetto di un certificato” – Criteri corretti per la valutazione di tali condizioni»






I.      Introduzione

1.        Le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, provenienti rispettivamente dal markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia) e dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda), riguardano le condizioni per il rilascio di un certificato protettivo complementare (in prosieguo: il «CPC») per i medicinali di cui all’articolo 3 del regolamento (CE) n. 469/2009 (2) (in prosieguo: il «regolamento CPC»). In sostanza, detti giudici si chiedono se, e in quale misura, possa essere rilasciato un CPC per una composizione di principi attivi utilizzati in un siffatto prodotto qualora sia già stato rilasciato un precedente CPC per uno di tali componenti. In tale contesto, essi chiedono indicazioni sull’interpretazione di due di tali condizioni, ossia che la composizione sia «protett[a] da un brevetto di base in vigore» [articolo 3, lettera a)] e che «non sia già stat[a] oggetto [di un CPC]» [articolo 3, lettera c)].

2.        Come verrà spiegato nelle presenti conclusioni, tali questioni sono tutt’altro che nuove. In effetti esse sono già state oggetto di diverse decisioni della Corte, tra cui le sentenze Actavis I (3), Actavis II (4) e Teva I (5). Nonostante tali pronunce (o, secondo qualche commentatore poco benevolo, in ragione di esse), le autorità nazionali incaricate di concedere i CPC e i giudici chiamati a controllarne la validità faticano ancora a definire con certezza i criteri che disciplinano le condizioni di cui trattasi. Tale incertezza comporta difficoltà e divergenze di valutazione in merito all’ammissibilità di alcuni argomenti ai fini del rilascio di un CPC – tra cui le combinazioni di principi attivi.

3.        In tale contesto, con riferimento alla valutazione di ciascuna condizione, i giudici del rinvio chiedono di conoscere quale debba essere il criterio corretto. Essi si interrogano, a tal proposito, su alcuni passaggi ambigui delle sentenze Actavis I, Actavis II e Teva I e su come le prime due pronunce interagiscano con la terza. Le loro domande offrono alla Corte una nuova opportunità di chiarire la questione – auspicabilmente una volta per tutte.

II.    Quadro normativo

4.        L’articolo 3 del regolamento CPC, rubricato «Condizioni di rilascio del [CPC]», prevede quanto segue:

«Il [CPC] viene rilasciato se nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7 e alla data di tale domanda:

a)      il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore;

b)      per il prodotto in quanto medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione in corso di validità di immissione in commercio (...);

c)      il prodotto non è già stato oggetto di un [CPC];

d)      l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

A.      Causa C119/22

5.        La Merck Sharp & Dohme Corp. (in prosieguo: la «Merck») è un’azienda farmaceutica. Essa è titolare del brevetto europeo EP 1 412 357, rilasciato dall’Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office; in prosieguo: l’«EPO»), tra l’altro, per la Finlandia, con data di priorità del 5 luglio 2002 (in prosieguo: il «brevetto di base nella causa C‑119/22»). Tale brevetto era valido fino al 5 luglio 2022.

6.        Il titolo del brevetto di cui trattasi è: «Beta‑ammino tetraidroimidazo(1,2‑A)pirazina e tetraidrotriazolo(4,3‑A)pirazina come inibitori di dipeptidil‑peptidasi per il trattamento oppure la prevenzione del diabete». Nella sezione «Sintesi dell’invenzione» della descrizione del brevetto di cui trattasi viene affermato che l’invenzione di cui al brevetto di base riguarda sostanze che svolgono la funzione di inibitori dell’enzima dipeptidil‑peptidasi IV («inibitori della DP‑IV») e che, come tali, sono utili nel trattamento o nella prevenzione di malattie nelle quali è coinvolto l’enzima dipeptidil‑peptidasi IV, come, ad esempio, il diabete e, in particolare, il diabete di tipo 2. Inoltre, in detta sezione è precisato che l’invenzione riguarda anche sostanze contenenti detti composti e l’impiego di dette sostanze e composizioni nel trattamento o nella prevenzione di malattie nelle quali è coinvolto l’enzima dipeptidil‑peptidasi IV.

7.        Tale brevetto contiene in totale 30 rivendicazioni. Segnatamente, la rivendicazione 1 consiste in una rivendicazione di prodotto relativa a una sostanza, redatta sotto forma di una cosiddetta formula di Markush. Le rivendicazioni 15, 26 e 28 si riferiscono più specificamente a determinatee sostanze che rientrano in tale formula, rappresentati sotto forma di formula chimica di struttura, tra i quali un composto successivamente noto con la denominazione «sitagliptin»; inoltre, le rivendicazioni 20, 25 e 30 si riferiscono a quanto segue: a) composizioni che consistono di una delle sostanze rivendicate con uno o più altre sostanze, selezionate da un gruppo elencato in tali rivendicazioni, anch’esse utilizzate per il trattamento del diabete, nonché b) composizioni farmaceutiche contenenti tale combinazione. In particolare, la rivendicazione 30 si riferisce a una composizione farmaceutica costituita da una combinazione di una delle sostanze rivendicate nel brevetto e una sostanza nota come «metformina» (che è un farmaco di pubblico dominio, utilizzato anche per il trattamento del diabete) (6).

8.        Il 21 marzo 2007 la Merck ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto denominato «Januvia», un farmaco utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2 e contiene sitagliptin come unico principio attivo.

9.        Il 31 agosto 2008, la Merck ha ottenuto un’altra autorizzazione all’immissione in commercio per il medicinale denominato «Janumet», un altro farmaco tilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2, ma contiene sitagliptin e metformina cloridrato (che è un sale farmaceuticamente accettabile derivato dalla metformina) come composizione di principi attivi.

10.      Il 13 marzo 2012 la Merck ha ottenuto un CPC in Finlandia (precisamente il CPC n. 343) per il sitagliptin, sulla base i) del brevetto di base di cui alla causa C‑119/22 e ii) dell’autorizzazione all’immissione in commercio per «Januvia». Tale CPC è scaduto il 23 settembre 2022.

11.      Il 20 marzo 2012 la Merck ha ottenuto un altro CPC in Finlandia (precisamente il CPC n. 342) per la combinazione di sitagliptin e metformina, sulla base i) del medesimo brevetto e ii) dell’autorizzazione all’immissione in commercio per «Janumet». Tale CPC era valido fino all’8 aprile 2023.

12.      Successivamente, la Teva B.V. e la Teva Finland Oy (in prosieguo, collettivamente: la «Teva»), aziende farmaceutiche produttrici di farmaci generici, hanno presentato un’azione presso il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia) contro la Merck volta a dichiarare la nullità del secondo CPC (il CPC n. 342). La Teva sostiene che tale certificato sarebbe stato rilasciato in violazione delle condizioni di cui all’articolo 3 del regolamento CPC.

13.      Più specificamente essa sostiene, tra l’altro, che il CPC controverso sarebbe stato rilasciato in violazione dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC per il fatto che il «prodotto» per quale è stato rilasciato, vale a dire la combinazione di sitagliptin e metformina, non era«protetto» (ai sensi di tale disposizione) dal brevetto di base di cui alla causa C‑119/22.

14.      La Teva inoltre sostiene che il CPC n. 342 sarebbe stato rilasciato in violazione dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC. Poiché in Finlandia era già stato rilasciato un primo CPC (precisamente il CPC n. 343) per il sitagliptin, tale disposizione precluderebbe il rilascio di un altro CPC per tale principio attivo in combinazione con la metformina.

15.      La Merck si è opposta alle conclusioni della Teva e ha chiesto il rigetto del ricorso. Per quanto riguarda l’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, la Merck ha affermato che l’argomentazione della Teva si basa su un criterio errato per la valutazione di tale condizione. In base al criterio corretto, la combinazione di sitagliptin e metformina era effettivamente «protetta» (ai sensi di tale disposizione) dal brevetto di base di cui alla causa C‑119/22. Per quanto riguarda l’articolo 3, lettera c), di detto regolamento, la Merck ha affermato che il precedente rilascio di un CPC per il sitagliptin (il CPC n. 343) non precluderebbe il rilascio di un altro CPC per una combinazione di sitagliptin e metformina (il CPC n. 342), in quanto tale combinazione è, ai fini di tale disposizione, un «prodotto» diverso e distinto dal solo sitagliptin.

16.      In tale contesto il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Quali criteri debbano essere applicati per decidere quando un prodotto non sia già stato oggetto di un [CPC] ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento [CPC].

2)      Se debba ritenersi che la valutazione della condizione prevista all’articolo 3, lettera c), del regolamento [CPC] differisca da quella relativa alla condizione di cui all’articolo 3, lettera a), del medesimo regolamento e, in caso affermativo, in qual modo.

3)      Se le considerazioni relative all’interpretazione dell’articolo 3, lettera a), del regolamento [CPC] di cui alle sentenze [Teva I] e [Royalty Pharma (7) ] debbano essere ritenute pertinenti ai fini della valutazione della condizione prevista all’articolo 3, lettera c), di tale regolamento e, in caso affermativo, in qual modo. A tal proposito, si richiama, in particolare, quanto affermato in dette sentenze con riguardo all’articolo 3, lettera a), del medesimo regolamento in merito ai seguenti aspetti:

–        l’importanza essenziale delle rivendicazioni del brevetto e

–        la valutazione del caso dal punto di vista di un esperto del ramo e alla luce dello stato dell’arte alla data di deposito o di priorità del brevetto di base.

4)      Se le nozioni di “cuore dell’attività inventiva”, “attività inventiva centrale” e/o “oggetto dell’invenzione” del brevetto di base siano pertinenti ai fini dell’interpretazione dell’articolo 3, lettera c), del regolamento [CPC] e, in caso di pertinenza di alcune o di tutte tali nozioni, in qual modo debbano essere intese ai fini dell’interpretazione della disposizione medesima. Se, con riguardo all’applicazione di tali nozioni, faccia una qualche differenza il fatto che il prodotto di cui trattasi sia costituito da un unico principio attivo (cosiddetto “prodotto monocomponente”) oppure da una composizione di principi attivi (cosiddetto “prodotto combinato”) e, in caso affermativo, sotto quale profilo. Ci si chiede in qual modo debba essere valutata quest’ultima questione qualora il brevetto di base contenga, da un lato, una rivendicazione per un prodotto monocomponente e, dall’altro, una rivendicazione per un prodotto combinato, riguardando quest’ultima rivendicazione una composizione di principi attivi composta dal principio attivo del prodotto monocomponente oltre a uno o più principi attivi secondo lo stato dell’arte conosciuto».

B.      Causa C149/22

17.      La Merck è altresì titolare del brevetto europeo EP 0 720 599, concesso dall’EPO il 19 maggio 1999 per, tra l’altro, l’Irlanda, con una data di priorità del 21 settembre 1993 (in prosieguo: il «brevetto di base nella causa C‑149/22»). Tale brevetto è scaduto nel settembre 2014.

18.      Il titolo del brevetto di cui trattasi è «Composti di azetidinone idrossi‑sostituiti efficaci come agenti ipocolesterolemici». La descrizione del brevetto indica che alcune sostanze denominate «azetidinoni» hanno l’effetto di inibire l’assorbimento del colesterolo nel sangue sulla membrana del villo intestinale nell’intestino tenue. In quanto tali, dette sostanze sono utili per il trattamento e la prevenzione dell’aterosclerosi (8).

19.      Le rivendicazioni da 1 a 8 di tale brevetto riguardano singole molecole, tra cui una sostanza denominata «ezetimibe». Per contro, le rivendicazioni 9, 12, 15 e 16 riguardano l’uso dell’ezetimibe in combinazione con altre molecole, comprese le statine (anch’essi sostanze utilizzate per il trattamento dell’ipercolesterolemia) (9). Inoltre, la rivendicazione 17 fa riferimento a una combinazione di ezetime e una delle statine elencate in detta rivendicazione, compresa la «simvastatina» (che è una sostanza di pubblico dominio)

20.      Nel 2003, la Merck ha ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale denominato «Ezetrol», un farmaco ipocolesterolemizzante che contiene l’ezetimibe come unico principio attivo.

21.      Nello stesso anno, la Merck ha ottenuto un CPC in Irlanda (segnatamente il CPC n. 2003/014) per l’ezetimibe, sulla base di i) il brevetto di base oggetto della causa C‑149/22 e ii) l’autorizzazione all’immissione in commercio per il prodotto «Ezetrol». Tale CPC è scaduto nell’aprile 2018.

22.      Nel 2004 la Merck ha ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio per un altro prodotto denominato «Inegy»,un medicinale anch’esso ipocolesterolemizzante, ma che contiene ezetimibe e simvastatina come associazione di principi attivi.

23.      Nel 2005 alla Merck è stato rilasciato un altro CPC in Irlanda (CPC n. 2005/01) per l’associazione di ezetimibe e simvastatina, sulla base di i) il brevetto di base oggetto della causa C‑149/22 e ii) l’autorizzazione all’immissione in commercio per il prodotto «Inegy». Tale CPC è scaduto nell’aprile 2019.

24.      Dopo la scadenza del CPC per l’ezetimibe, ma con il CPC per l’ezetimibe e la simvastatina ancora in corso di validità, la Clonmel Healthcare Limited (in prosieguo: la «Clonmel»), un’impresa farmaceutica che produce farmaci generici, ha lanciato una versione generica del prodotto «Inegy».

25.      Ritenendo che la produzione e la commercializzazione di tale farmaco generico violasse il secondo CPC, la Merck ha avviato un’azione per contraffazione contro la Clonmel presso la High Court (Alta Corte, Irlanda), chiedendo un’ingiunzione inibitoria e il risarcimento del danno.

26.      Nell’ambito della sua difesa in detto procedimento, la Clonmel ha sostenuto che il CPC per l’ezetimibe e la simvastatina fosse nullo, in quanto rilasciato in violazione delle condizioni stabilite dall’articolo 3 del regolamento CPC. In sostanza, la Clonmel ha addotto, in primo luogo, che la composizione di principi attivi in questione non era «protetta» [ai sensi dell’articolo 3, lettera a) di suddetto regolamento] dal brevetto di base nella causa C‑149/22 e, in secondo luogo, che il rilascio di un primo CPC per l’ezetimibe precludeva, ai sensi dell’articolo 3, lettera c) di tale regolamento, il rilascio di un secondo CPC per tale principio attivo in associazione con la simvastatina.

27.      Il 29 novembre 2019 la High Court (Alta Corte) ha concluso che il CPC per l’ezetimibe e la simvastatina era nullo ai sensi dell’articolo 3, lettera a), e dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC e ha quindi emesso un’ordinanza di annullamento di tale CPC. Il 24 febbraio 2021 la Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda) ha confermato tale decisione.

28.      Il 24 maggio 2021 la Merck ha chiesto l’autorizzazione a impugnare la sentenza della Court of Appeal (Corte d’appello), autorizzazione che è stata concessa dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda) il 4 agosto 2021.

29.      Osservando che la questione centrale del procedimento principale riguarda la validità del CPC rilasciato per la combinazione di ezetimibe e simvastatina che, a sua volta, dipende dalla corretta interpretazione dell’articolo 3, lettere a) e c), del regolamento CPC e che tale questione non è (ancora) chiara nella giurisprudenza della Corte, la Supreme Court (Corte Suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)      Se, ai fini del rilascio di un [CPC] e della validità giuridica di tale CPC, ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento [CPC], sia sufficiente che il prodotto per il quale è rilasciato il CPC sia esplicitamente identificato nelle rivendicazioni del brevetto e sia oggetto dello stesso o se per il rilascio di un CPC sia necessario che il titolare del brevetto, al quale è stata rilasciata un’autorizzazione di immissione in commercio, dimostri anche la novità o l’altezza inventiva o che il prodotto rientri in una nozione più ristretta, descritta come l’invenzione oggetto del brevetto.

b)      In quest’ultimo caso, vale a dire quello dell’invenzione oggetto del brevetto, cosa debba essere dimostrato dal titolare del brevetto e dal titolare dell’autorizzazione di immissione in commercio per ottenere un valido CPC.

2)      Se, in circostanze nelle quali, come nella presente causa, il brevetto è concesso per un particolare farmaco, l’ezetimibe, e le rivendicazioni del brevetto espongono che l’applicazione in medicina umana può consistere nell’uso di quel farmaco da solo o in composizione con un altro farmaco, in questo caso la simvastatina (che è un farmaco di pubblico dominio), un CPC ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento [CPC] possa essere rilasciato solo per un prodotto che comprende l’ezetimibe, una monoterapia, o possa essere rilasciato un CPC anche per uno qualsiasi o per tutti i prodotti di associazione identificati nelle rivendicazioni del brevetto.

3)      Se, in circostanze nelle quali è stato rilasciato un CPC a una monoterapia, vale a dire il farmaco A (in questo caso l’ezetimibe), o nelle quali a qualsiasi terapia di associazione viene rilasciato in precedenza un CPC per i farmaci A e B come terapia di associazione, i quali farmaci fanno parte delle rivendicazioni del brevetto sebbene solo il farmaco A sia di per sé nuovo e quindi brevettato, mentre gli altri farmaci sono già noti o di pubblico dominio, il rilascio di un CPC sia limitato alla prima commercializzazione di quella monoterapia del farmaco A o di quella prima terapia di associazione per la quale è stato rilasciato un CPC (A+B), con la conseguenza che, dopo quel primo rilascio, non è consentito un secondo o un terzo rilascio di un CPC alla monoterapia o a qualsiasi terapia di associazione diversa dalla prima composizione alla quale è stato rilasciato un CPC.

4)      Se, laddove le rivendicazioni di un brevetto hanno ad oggetto sia una singola molecola nuova sia una composizione di tale molecola con un farmaco esistente e noto, eventualmente in pubblico dominio, o più siffatte rivendicazioni di una composizione, l’articolo 3, lettera c), del regolamento [CPC] limiti il rilascio di un CPC:

a)      solo alla singola molecola se commercializzata come prodotto;

b)      alla prima commercializzazione di un prodotto oggetto del brevetto, indipendentemente dal fatto che si tratti della monoterapia del farmaco oggetto del brevetto di base in vigore o della prima terapia di associazione [;] oppure

c)      alle precedenti ipotesi a) oppure b), a scelta del titolare del brevetto, indipendentemente dalla data dell’autorizzazione di immissione in commercio.

E quale sia la motivazione per qualsiasi delle suesposte ipotesi».

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

30.      Osservazioni scritte nella causa C‑119/22 sono state presentate dalla Teva, dalla Merck, dall’Irlanda, dai governi francese, lettone, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché dalla Commissione europea. Osservazioni scritte nella causa C‑149/22 sono state presentate dalla Merck, dalla Clonmel, dall’Irlanda, dai governi francese, ungherese, dei Paesi Bassi e polacco, nonché dalla Commissione.

31.      Con decisione del presidente della Corte del 17 gennaio 2023, le cause C‑119/22 e C‑149/22 sono state riunite ai fini dell’udienza e della sentenza.

32.      La Teva, la Clonmel, la Merck, l’Irlanda, i governi francese, lettone, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione erano rappresentati all’udienza che si è svolta l’8 marzo 2023.

V.      Analisi

33.      Come indicato nell’introduzione, le presenti cause vertono sulle condizioni per il rilascio dei CPC nell’Unione europea per combinazioni di sostanze attive utilizzate nei medicinali. Prima di esaminare le questioni sottoposte alla Corte, ritengo opportuno fornire al lettore, che potrebbe non avere familiarità con le peculiarità di questo complesso settore del diritto, una panoramica di massima del contesto e delle norme pertinenti.

34.      Quando un soggetto (tipicamente una società farmaceutica) scopre, attraverso la ricerca, che una determinata sostanza, o una famiglia di sostanze, o una combinazione di sostanze (e così via) ha un certo effetto sul corpo umano, che la rende utile per prevenire, trattare o gestire una certa malattia o condizione (o più malattie o condizioni, e così via), esso può, in determinate circostanze, tutelare tale scoperta contro la concorrenza mediante il sistema dei brevetti. In Europa è possibile, in particolare (10), richiedere un «brevetto europeo» presso l’EPO di Monaco di Baviera (Germania), in virtù della procedura centralizzata stabilita dalla convenzione sul brevetto europeo (in prosieguo: la: «CBE») (11). Affinché un siffatto brevetto venga rilasciato, devono essere soddisfatte alcune condizioni («requisiti di brevettabilità»): l’idea di utilizzare la sostanza in questione come un medicinale deve costituire un’«invenzione» che sia, fra l’altro, «nuova» e implichi un’«attività inventiva» (12). Ai nostri fini è sufficiente dire che, supponendo che tali requisiti siano soddisfatti, il brevetto viene rilasciato (generalmente, per un periodo di 20 anni) (13) e fornisce al suo titolare taluni diritti esclusivi (essenzialmente, un monopolio commerciale) sull’«invenzione» brevettata in diversi o tutti i Paesi europei aderenti alla CBE (14). In quanto tale, il titolare del brevetto può impedire a terzi di produrre e mettere in vendita un farmaco che utilizza l’«invenzione» di cui trattasi nel territorio di tali Stati. A fronte di questa protezione ventennale contro la concorrenza, il titolare del brevetto deve «esporre» la sua invenzione nel brevetto (15), cioè divulgarla al pubblico in modo che tutti siano liberi di utilizzarla (anche preparando una copia o una versione generica (16) di tale farmaco), alla scadenza del brevetto (17).

35.      Tuttavia, prima che il titolare del brevetto possa immettere in commercio come medicinale nell’Unione europea tale invenzione farmaceutica brevettata, deve ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio per tale prodotto da parte delle autorità competenti (18). In tale contesto, devono essere condotti ampi test preclinici e studi clinici per dimostrare la sicurezza e l’efficacia di tale prodotto. Di conseguenza, la procedura per il rilascio di siffatta autorizzazione richiede solitamente anni. Di fatto, il periodo durante il quale il titolare del brevetto può commercializzare la sua invenzione sotto la protezione del brevetto e trarre i benefici del suo monopolio si riduce di conseguenza.

36.      In siffatto contesto, il legislatore dell’Unione ha ritenuto opportuno compensare le società farmaceutiche per questi ritardi normativi , concedendo loro, in determinate circostanze, un periodo supplementare di commercializzazione in esclusiva. A tal fine, ha creato il sistema dei CPC.

37.      Detto sistema non è un semplice meccanismo di estensione del brevetto, come quelli esistenti in altre giurisdizioni, in cui la validità di un brevetto viene direttamente estesa per un determinato numero di anni. In effetti, sebbene il CPC sia stato concepito per fungere come estensione dei diritti di brevetto (poiché, come indica il nome stesso, fornisce una protezione che è «complementare» a questi ultimi), la realtà giuridica è, purtroppo, più complessa di così. In realtà, un CPC è un diritto di proprietà intellettuale sui generis, con un oggetto e una modalità di funzionamento alquanto sofisticati.

38.      In sostanza, un CPC può essere rilasciato per un «prodotto» che è «protetto» da un determinato brevetto (denominato, in tale contesto, «brevetto di base») (19) e per il quale è stata rilasciata per la prima volta un’autorizzazione all’immissione in commercio (20). Ai sensi della definizione di cui all’articolo 1, lettera b), del regolamento CPC, tale «prodotto» può essere o il «principio attivo» (21)o la «composizione di principi attivi», in quanto tale, di un medicinale. Il titolare di un brevetto europeo che «protegge» un siffatto «prodotto» può depositare, in relazione a quest’ultimo, una domanda di CPC entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data in cui per il prodotto è stata rilasciata l’autorizzazione di immissione in commercio (22). Essendo il CPC un titolo nazionale, il titolare del brevetto deve agire in tal senso, individualmente, dinanzi agli uffici brevetti nazionali di tutti gli Stati membri per i quali il brevetto europeo è stato rilasciato e l’autorizzazione è stata ottenuta. Una volta rilasciato, un CPC entra in vigore al termine della durata ventennale del «brevetto di base», per un periodo commisurato al tempo impiegato per ottenere tale autorizzazione all’immissione in commercio e, in ogni caso, non può superare i 5 anni (23). Durante il periodo di validità, il CPC conferisce gli stessi diritti esclusivi del brevetto di base (come definito dalla legge applicabile a tale brevetto), ma solo per quanto riguarda lo specifico «prodotto» per il quale detto certificato è stato rilasciato (24). Di fatto, il CPC garantisce al titolare del brevetto fino a 5 anni supplementari di monopolio commerciale sul «prodotto» interessato.

39.      Il sistema dei CPC e la (sorta di) estensione del brevetto che esso consente, pur essendo prima facie limitato negli effetti, riveste invero una notevole importanza nella pratica. Tale sistema deve essere infatti visto alla luce degli enormi (e contrapposti) interessi economici dei portatori di interessi del settore farmaceutico. Da un lato, il modello commerciale delle società farmaceutiche che sviluppano nuovi farmaci (l’«industria originatrice») dipende fortemente dai monopoli brevettuali sui propri farmaci (e dagli elevati ricavi che ne derivano). Logicamente, tali società cercano di estendere il più possibile detti monopoli. Dall’altro lato, il modello commerciale dei produttori di farmaci generici consiste nell’immettere sul mercato gli equivalenti generici di farmaci originatori che si sono affermati, operazione da cui anch’essi possono trarre notevoli ricavi. Tuttavia, tali aziende non possono farlo legalmente fintanto che sussiste un siffatto monopolio. Questi interessi economici contrapposti spiegano perché il periodo di scadenza dei brevetti dei farmaci originatori è spesso conflittuale e perché, in particolare, il rilascio di CPC spesso genera controversie.

40.      Le cause nei procedimenti principali sono esemplificative delle considerazioni che precedono. Ai fini della mia analisi, le caratteristiche pertinenti di tali cause sono sostanzialmente le stesse e possono essere riassunte come segue.

41.      In ciascuna di esse e, in un determinato momento, la Merck ha scoperto che una data famiglia di sostanze (le pirazine nella causa C‑119/22; gli azetidinoni nella causa C‑149/22) esercitava un’azione sull’organismo umano (le pirazine inibiscono l’enzima dipeptidil peptidasi‑IV e gli azetidinoni inibiscono l’assorbimento del colesterolo nel sangue). Successivamente, negli anni ’90, è stato rilasciato alla Merck un brevetto europeo (che copre vari Stati membri) per un’invenzione consistente nell’idea innovativa di utilizzare sostanze appartenenti alla famiglia interessata, alla luce dell’azione esercitata sull’organismo umano, come medicinali per trattare determinate patologie o condizioni di salute (le pirazine in relazione, tra l’altro, al diabete, e gli azetidinoni in relazione all’ipercolesterolemia e all’aterosclerosi). Il brevetto di cui trattasi si riferiva altresì all’idea di utilizzare tali sostanze in associazione ad altre sostanze già utilizzate per trattare tali patologie o condizioni di salute al momento del deposito della domanda di brevetto (metformina in relazione al diabete e statine in relazione all’ipercolesterolemia e all’aterosclerosi).

42.      La Merck ha sviluppato e ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio di un primo farmaco per trattare le patologie o le condizioni di salute in questione, contenente una sostanza appartenente alla famiglia di cui trattasi oggetto di brevetto come unico principio attivo (sitagliptin nella causa C‑119/22 e ezetimibe nella causa C‑149/22). Per semplicità, nel resto delle presenti conclusioni farò riferimento, di norma, a tale sostanza con il nome «A». Successivamente, per compensare il tempo impiegato per ottenere tale autorizzazione, alla Merck è stato rilasciato un primo CPC per A (in vari Stati membri).

43.      In seguito, la Merck ha sviluppato e ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio di un altro medicinale per il trattamento delle stesse patologie o condizioni di salute, che aveva come principio attivo A in associazione con una delle altre sostanze già utilizzate a tal fine, come indicato nel brevetto della Merck (metformina nella causa C‑119/22; statine nella causa C‑149/22). Per semplicità, nel resto delle presenti conclusioni farò riferimento, di norma, a tale altra sostanza con il nome «B» e, quindi, alla siffatta combinazione con il nome «A+B». La Merck ha successivamente richiesto e ottenuto (sempre in diversi Stati membri) un secondo CPC per A+B.

44.      Tale secondo CPC (nella sua versione nazionale rilasciata, rispettivamente, in Finlandia e in Irlanda) rappresenta l’oggetto delle controversie nei procedimenti principali. In sostanza, i produttori di farmaci generici (la Teva nella causa C‑119/22 e la Clonmel nella causa C‑149/22), ai quali è tuttora impedito di produrre e commercializzare versioni generiche dei medicinali della Merck a causa di questa ulteriore estensione del monopolio della stessa, contestano ora la validità di quest’ultimo CPC dinanzi ai giudici del rinvio.

45.      Dette aziende produttrici sostengono, nelle rispettive cause, che il secondo CPC fosse nullo, in quanto rilasciato in contrasto con le condizioni cumulative (25) di cui all’articolo 3 di detto regolamento (26). La loro contestazione della validità si incentra sulle condizioni di cui all’articolo 3, lettere a), e articolo 3, lettera c) di tale regolamento. Ricordo che la prima disposizione richiede che «il prodotto [sia] protetto da un brevetto di base in vigore», e la seconda che «il prodotto non [sia] già stato oggetto di un [CPC]». A loro avviso, il CPC contestato non soddisfaceva tali requisiti, circostanza che la Merck contesta.

46.      Il disaccordo delle parti in causa si basa su un’interpretazione divergente di tali condizioni. Tutto ciò premesso, da un lato, le questioni prima e seconda nella causa C‑149/22 (27), che è opportuno esaminare congiuntamente, vertono sull’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC. Dall’altro lato, tutte le questioni nella causa C‑119/22, nonché le questioni terza e quarta nella causa C‑149/22, che è opportuno esaminare congiuntamente, riguardano l’articolo 3, lettera c), del detto regolamento. Come indicato in premessa, tali numerose questioni vertono, in sostanza, sui criteri corretti da applicare per valutare ciascuna condizione e, in definitiva, se (e, in caso affermativo, in che misura) una condizione o l’altra (o entrambe) ostino al rilascio di un CPC per una composizione di principi attivi (A+B), in particolare nell’ipotesi, oggetto dei procedimenti principali, in cui il titolare del brevetto abbia precedentemente ottenuto un CPC per uno di tali principi (A).

47.      Benché possa sembrare illogico, inizierò ad affrontare le questioni relative all’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC. Infatti, diversi intervenienti hanno sostenuto, dinanzi alla Corte, che la chiave per risolvere le presenti cause risiede in detta disposizione. Non concordo e fornirò, al riguardo, alcuni chiarimenti (probabilmente necessari) e una risposta (relativamente) rapida fin dall’inizio (sezione A). A mio avviso, la chiave per risolvere tali cause risiede, in realtà, nella corretta interpretazione dell’articolo 3, lettera a), di tale regolamento, che richiede una discussione più complessa (sezione B).

A.      Articolo 3, lettera c), del regolamento CPC (questioni dalla prima alla quarta nella causa C119/22 e questioni terza e quarta nella causa C149/22)

48.      Ricordo che, nell’ambito delle condizioni cumulative per il rilascio di un CPC, l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC richiede che «il prodotto non sia stato già oggetto di un [CPC]».

49.      A questo proposito, i giudici del rinvio desiderano sapere i) in generale, quale sia il criterio corretto per stabilire se tale condizione sia soddisfatta in un determinato caso e ii), più in particolare, se, in base al criterio corretto, tale condizione osti al rilascio di un CPC per una composizione di principi attivi (A+B) quando è già stato rilasciato un CPC per uno di tali principi (A).

50.      Il criterio da adottare per valutare la condizione di cui all’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC è (presumibilmente) semplice. Come sostiene la Merck e come risulta dalla chiara formulazione di tale disposizione, si tratta di i) definire «il prodotto» per il quale è stata depositata la domanda di CPC di cui trattasi o per il quale è stato rilasciato il CPC controverso e ii) verificare se il titolare del brevetto abbia già ottenuto un CPC, in una data precedente, per lo stesso «prodotto».

51.      Ai sensi, tra l’altro, di tale disposizione, ricordo che l’articolo 1, lettera b), del regolamento CPC fornisce la definizione della nozione di «prodotto», con cui si intende «il principio attivo o la composizione di principi attivi di un medicinale» (il corsivo è mio).

52.      In ciascuno dei procedimenti principali, il CPC controverso era stato rilasciato per A+B. Secondo la definizione di cui al paragrafo precedente, una tale composizione di principi attivi costituisce, di per sé, un «prodotto». Pertanto, come sostiene la Merck, ai fini della valutazione della condizione di cui all’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC, conformemente al criterio di cui al precedente paragrafo 50, i) il «prodotto» pertinente è la composizione A+B e ii) l’esaminatore deve verificare se il titolare del brevetto abbia già ottenuto un CPC per tale composizione. Nei casi di specie è pacifico che non è stato rilasciato alcun precedente CPC per A+B. Pertanto, tale condizione è soddisfatta.

53.      Questa conclusione non è (o, almeno, non dovrebbe essere) messa in discussione dal fatto che, in entrambi i casi, la Merck aveva ottenuto un precedente CPC per A. Infatti, in base alla definizione di cui all’articolo 1, lettera b), del regolamento CPC, A, in quanto singolo principio attivo, è un «prodotto» diverso da A+B, in quanto composizione di principi attivi. Pertanto, ai sensi dell’articolo 3, lettera c), di detto regolamento, il rilascio di un CPC per A non dovrebbe ostare al rilascio di un altro CPC per A+B (28).

54.      Ciò premesso, in merito all’interpretazione dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC, i giudici del rinvio nutrono dubbi derivanti da due pronunce della Corte, segnatamente le sentenze Actavis I e Actavis II, citate nell’introduzione, in cui la Corte si è discostata dalla logica lineare sopra descritta.

55.      Le cause che hanno portato a dette sentenze hanno una certa affinità fattuale con le presenti. In entrambe le cause, i) era stato rilasciato un primo CPC al titolare del brevetto per un principio attivo (A) sulla base di un brevetto e di un’autorizzazione di immissione in commercio per un medicinale contenente tale principio e ii) era stato poi rilasciato un secondo CPC per la combinazione di tale principio attivo con un altro principio attivo di pubblico dominio (A+B). In tali cause, un giudice del Regno Unito doveva determinare la validità del secondo CPC e, a tal scopo, ha posto alla Corte, diverse questioni relative alla corretta interpretazione, tra l’altro, dell’articolo 3, lettera a) e dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC.

56.      La Corte ha di fatto seguito lo stesso ragionamento in entrambe le sentenze. In sostanza, essa ha ritenuto che l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC ostasse al rilascio del CPC per A+B. A tale riguardo, essa ha sottolineato che il brevetto di base in questione «proteggeva» [ai sensi dell’articolo 3, lettera a), di detto regolamento], soltanto A, poiché tale principio attivo costituiva «il cuore dell’attività inventiva» (per usare i termini della Corte nella causa Actavis I (29)), o «l’unico oggetto dell’invenzione» (per usare i termini della Corte nella causa Actavis II (30)) in forza di quei brevetti. Al contrario, B era un principio noto e di dominio pubblico. In siffatte circostanze, il rilascio di un CPC per la combinazione A+B sarebbe stato equivalente al rilascio di un secondo CPC per A, in contrasto con l’articolo 3, lettera c), di tale regolamento (31).

57.      La Corte ha aggiunto che una siffatta interpretazione dell’articolo 3, lettera c), era conforme agli obiettivi perseguiti nell’ambito del regolamento CPC. Il sistema dei CPC è stato infatti concepito per compensare i titolari di brevetti per i ritardi normativi che essi devono affrontare (come spiegato ai precedenti paragrafi 35 e 36) prima di poter commercializzare per la prima volta le loro invenzioni farmaceutiche. Nelle cause in questione, secondo la Corte, solo A costituiva un’invenzione di questo tipo; pertanto, il primo CPC per A aveva già svolto tale funzione. Per contro, se il titolare del brevetto potesse ottenere un nuovo CPC ogni volta che immette sul mercato la sua invenzione (A) «in tutte le forme di commercializzazione possibili», anche sotto forma di farmaci combinati con altri ingredienti noti (B), favorirebbe indebitamente gli interessi dell’industria farmaceutica a scapito di quelli dei produttori di farmaci generici e, in ultima analisi, della salute pubblica (mentre il legislatore ha cercato, nel regolamento CPC, di prendere in considerazione e bilanciare tutti i suddetti interessi) (32). Ciò potrebbe inoltre facilitare le strategie di «evergreening» (33), con le quali le imprese farmaceutiche potrebbero prolungare, in modo eccessivo, il loro monopolio commercializzando un primo farmaco contenente «A», poi un farmaco contenente «A+B», poi un altro composto da «A+C», e così via) (34).

58.      Comprensibilmente, la Teva, la Clonmel, i governi intervenuti (tranne quello ungherese) e la Commissione sostengono che la Corte, nelle presenti cause, dovrebbe seguire la stessa interpretazione dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC. Da parte mia non la penso così.

59.      Per essere chiaro, sono molto sensibile al ragionamento pragmatico e teleologico delle sentenze Actavis I e Actavis II. In effetti, concordo con le considerazioni politiche avanzate dalla Corte. Sebbene, come indicato al paragrafo 38 supra, il regolamento CPC preveda espressamente la possibilità di ottenere CPC per combinazioni di principi attivi, sarebbe stato contrario allo spirito di tale regolamento ammetterlo in tale sede. In determinate circostanze, che saranno ulteriormente discusse nella prossima sezione, sarebbe eccessivo consentire ai titolari di brevetti di ottenere la protezione del CPC per tali combinazioni. Ciononostante, a mio avviso, l’interpretazione dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC avallata in tali sentenze non è l’approccio adeguato al riguardo.

60.      Da un lato, mi sembra che l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC non sia suscettibile di una siffatta interpretazione teleologica. Tale disposizione, infatti, non è né ambigua né vaga per quanto riguarda la natura della condizione in essa contenuta. Ai fini di tale disposizione, la definizione di «prodotto» di cui all’articolo 1, lettera b), di tale regolamento è anche chiara nel senso che un «principio attivo» e una «composizione di principi attivi» sono due cose diverse. Inoltre, nella sentenza Santen (35), la Corte ha ritenuto che tale definizione è «restrittiva». Pertanto, a mio avviso, ignorando tale definizione nelle sentenze Actavis I e Actavis II, la Corte, per quanto lodevoli fossero le intenzioni, ha travalicato la formulazione di tale regolamento.

61.      Inoltre, con il suo ragionamento in tali sentenze, la Corte ha altresì snaturato il sistema previsto all’articolo 3 del regolamento CPC. Infatti, sebbene tale articolo stabilisca quattro condizioni cumulative, ciascuna con una propria logica e finalità, e che di conseguenza dovrebbero essere valutate indipendentemente l’una dall’altra, la Corte ha finito per fonderne due. La disposizione, infatti, imponeva sostanzialmente all’esaminatore di verificare ciò che un brevetto «protegge» (A, B, e/o A+B?) al fine di decidere se due CPC rilasciati su tale base riguardassero lo stesso «prodotto». In tal modo, la Corte ha fatto confluire nell’articolo 3, lettera c), di tale regolamento un’analisi che, per sua natura, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, lettera a), del medesimo (36). Questo stato di cose crea una deplorevole confusione, con le autorità nazionali che si chiedono se dovrebbero effettuare la stessa analisi in base alle due condizioni oppure un’analisi diversa (37).

62.      D’altro canto, come sostiene il governo ungherese, l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC, anche se interpretato come ha fatto la Corte nelle sentenze Actavis I e Actavis II, è di fatto insufficiente a impedire il rilascio di CPC per composizioni di principi attivi contrarie allo spirito del regolamento CPC. In primo luogo, l’applicazione di tale disposizione dipenderebbe dal previo rilascio di un CPC per uno dei componenti di tale composizione e, in secondo luogo, il divieto previsto da tale disposizione, a seguito della sentenza della Corte nella causa Biogen (38), può essere facilmente aggirato dai gruppi farmaceutici (39).

63.      Pertanto, nel caso di specie, la Corte dovrebbe, a mio avviso, avallare l’interpretazione chiara e letterale dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC menzionata al precedente paragrafo 52. Essa dovrebbe ripristinare l’integrità del sistema ivi previsto, riservando ogni discussione su ciò che un brevetto «protegge» alla valutazione della condizione di cui all’articolo 3, lettera a), di detto regolamento. Le considerazioni della Corte nelle sentenze Actavis I e Actavis II relative a tale questione (in particolare le nozioni di «cuore dell’attività inventiva» e di «oggetto del brevetto») dovrebbero essere esaminate in tale contesto.

64.      Contrariamente a quanto sostengono la Teva, la Clonmel e il governo lituano, tale applicazione letterale dell’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC non spianerebbe la strada all’utilizzo abusivo del sistema dei CPC. Di fatto, al pari del governo ungherese, sono del parere che le legittime preoccupazioni politiche accennate dalla Corte nelle sentenze Actavis I e Actavis II per quanto riguarda il rilascio di CPC per le composizioni di prodotti possano essere affrontate in un modo che è al contempo più efficiente e più rispettoso della formulazione e del sistema del regolamento CPC, mediante un’interpretazione corretta e un’applicazione restrittiva di quest’ultima condizione, come sarà spiegato nella sezione seguente.

B.      Articolo 3, lettera a), del regolamento CPC (questioni prima e seconda nella causa C149/22)

65.      L’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC stabilisce, lo ricordo, che un determinato «prodotto», per poter essere oggetto di CPC, deve essere «protetto da un brevetto di base in vigore».

66.      In ciascuna delle cause oggetto dei procedimenti principali, non vi è alcuna contestazione sul fatto che il «brevetto di base» pertinente, ossia il brevetto europeo designato dalla Merck ai fini delle procedure per il rilascio del secondo, e controverso, CPC, fosse «in vigore» al momento in cui è stato richiesto tale CPC.

67.      Le parti in causa sono invece in forte disaccordo sul fatto che «il prodotto» per il quale è stato rilasciato il CPC (che, ricordo, è A+B, in quanto composizione di principi attivi (40)) fosse «protetto» da tale brevetto. La risposta a tale questione dipende dal significato di «protetto».

68.      Poiché tale termine non è definito nel regolamento CPC, in parecchie occasioni i giudici nazionali hanno chiesto alla Corte indicazioni sul suo significato, spesso in relazione a «prodotti» consistenti in composizioni di principi attivi, come nei casi di specie. La giurisprudenza che ne deriva evoca la «The Long and Winding Road» descritta da The Beatles. In una prima serie di decisioni, la Corte ha fornito sull’argomento spiegazioni alquanto divergenti (sezione 1). Poiché tali meandri giurisprudenziali sono diventati fonte di incertezza giuridica, alcuni anni fa la Corte, riunita in Grande Sezione, ha cercato di chiarire la sua giurisprudenza e di fornire un criterio definitivo nella sentenza Teva I (sezione 2). Tuttavia, l’incertezza permane. Detta sentenza (e il criterio con essa stabilito) richiede importanti chiarimenti (sezione 3). Qualora la Corte fornisse tali chiarimenti nella futura sentenza nelle presenti cause, gli operatori nel settore dei brevetti e le autorità nazionali coinvolte in questioni relative ai CPC raggiungeranno, auspicabilmente e finalmente, la «porta» a cui conduce la «strada» di quel brano.

1.      Giurisprudenza della Corte anteriore alla sentenza Teva I

69.      La prima causa in assoluto in cui la Corte è stata chiamata a chiarire il significato del termine «protetto» utilizzato all’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC è quella che ha dato luogo alla sentenza Farmitalia (41). Non è necessario ricordare i fatti di quella causa. È sufficiente dire che, la Corte ha fornito una risposta diretta, secondo cui, «in mancanza di armonizzazione comunitaria del diritto dei brevetti, l’ambito di protezione del brevetto può essere determinato solo con riguardo alle norme non comunitarie che disciplinano quest’ultimo». Di conseguenza, la circostanza se un «prodotto» sia «protetto» da un brevetto ai sensi di tale disposizione deve essere determinata non dal diritto dell’Unione, ma esclusivamente dal diritto dei brevetti (nazionale o della CBE) (42).

70.      Così, nella sentenza Farmitalia, la Corte ha apparentemente rinviato la questione interamente alla normativa (nazionale o internazionale) in materia di brevetti che riguarda la portata (o i «limiti») della protezione conferita da un brevetto (una questione cruciale, in particolare nelle azioni per contraffazione), come l’articolo 69 della CBE. Ai sensi di tale disposizione e del relativo Protocollo esplicativo, i «limiti della protezione» conferita da un brevetto europeo dipendono dalle rivendicazioni del brevetto, che devono essere interpretate alla luce della descrizione (con eventuali disegni) contenuta nel brevetto. L’applicazione di tale criterio dei «limiti della protezione» nel contesto dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC significherebbe che un «prodotto», compresa una composizione di principi attivi (A+B), sarebbe considerato «protetto» da un brevetto quando è coperto dalle rivendicazioni, così interpretate.

71.      Tuttavia, benché tale prima risposta, nell’ambito di cause successive la Corte ha stabilito due criteri (apparentemente autonomi, basati sul diritto dell’Unione) per stabilire se un determinato «prodotto» sia «protetto» da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC.

72.      Da un lato, la Corte ha stabilito, a tal fine, ciò che chiamerò un criterio di «identificazione» nelle sentenze Medeva (43) e Eli Lilly (44). In tali sentenze, dopo aver inizialmente indicato che la questione era lasciata al diritto nazionale (e facendo espresso riferimento alle norme relative ai «limiti della protezione» e, in particolare, all’articolo 69 della CBE in quest’ultima sentenza), la Corte ha dichiarato che un «prodotto» può essere considerato “protetto” da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC solo se è «indicat[o] nel testo delle rivendicazioni» (sentenza Medeva (45)) o, quanto meno, «menzionato» nelle rivendicazioni, esplicitamente o «implicitamente ma necessariamente, e in maniera specifica» (sentenza Eli Lilly (46)). Al pari del criterio dei «limiti della protezione» discusso al paragrafo 70 supra, il criterio di «identificazione» dipende dalla formulazione delle rivendicazioni del brevetto di base, pur essendo più esigente a tale riguardo (47). In base a quest’ultimo criterio, in particolare, una composizione di principi attivi (A+B) potrebbe formare oggetto di CPC se fosse espressamente menzionata (per denominazione chimica o formula di struttura) o, quanto meno, identificabile, con un sufficiente grado di specificità, in tali rivendicazioni.

73.      D’altra parte, parallelamente, la Corte ha stabilito quello che chiamerò criterio di «invenzione» nelle sentenze Actavis I e Actavis II. Come discusso nella sezione precedente, in ciascuna di tali cause, sulla base dello stesso brevetto, i) un primo CPC era stato rilasciato a un titolare di brevetto per un principio attivo (A)e ii) un secondo CPC era stato poi rilasciato per la combinazione di tale principio attivo con un altro principio attivo di pubblico dominio (A+B. È stata contestata la validità del CPC per l’associazione. Nelle parti pertinenti di ciascuna di tali sentenze, la Corte ha indicato che, a suo avviso, il brevetto di base «proteggeva» solo A (e, quindi, non A+B). La Corte non ha fatto riferimento alle rivendicazioni di tale brevetto, ma ha basato il suo ragionamento sul fatto che A fosse il «cuore dell’attività inventiva» (sentenza Actavis I) (48) o l’«unico oggetto dell’invenzione» (sentenza Actavis II) (49) di tale brevetto. Inoltre, la Corte ha accennato al fatto che la combinazione di A+B avrebbe potuto essere considerata «protetta» solo se fosse stata un’«innovazione separata» (presumibilmente, da A) (50). In sintesi, in dette sentenze la Corte sembra indicare che, a prescindere dal fatto che le rivendicazioni del brevetto di base soddisfino il criterio di «identificazione» (51) discusso nei paragrafi precedenti (che non ha nemmeno menzionato), un determinato «prodotto», in particolare una composizione di principi attivi, può essere oggetto di un CPC solo se corrisponde all’«invenzione» per la quale il brevetto è stato rilasciato.

2.      «Criterio definitivo» di cui alla sentenza Teva I

74.      Alla luce delle incertezze create dalle indicazioni divergenti fornite nelle sentenze discusse nella sezione precedente, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha colto l’opportunità offertale da un altro rinvio pregiudiziale relativo all’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC per chiarire la sua giurisprudenza; essa lo ha fatto nella sentenza Teva I.

75.      Ancora una volta, la causa che ha portato a tale pronuncia riguardava la possibilità, una composizione di principi attivi, di essere oggetto di CPC . In sostanza, alla Gilead Inc. era stato rilasciato un brevetto per un’invenzione che consisteva nell’uso di talune sostanze per il trattamento dell’HIV. Le rivendicazioni di tale brevetto facevano riferimento, tra l’altro, a i) uno di tali sostanze (A) e a ii) una composizione farmaceutica contenente tale sostanza «ed eventualmente altri principi terapeutici». La Gilead ha sviluppato, ottenendo un’autorizzazione all’immissione in commercio, un medicinale contenente A+B come composizione di principi attivi (dove B era una sostanza di pubblico dominio, utile anche per il trattamento dell’HIV). Successivamente essa ha ottenuto un CPC per tale composizione, la cui validità è stata contestata dalla Teva UK Ltd dinanzi ai giudici del Regno Unito. In tale contesto, il giudice nazionale si è chiesto se il criterio di «identificazione» stabilito nelle sentenze Medeva e Eli Lilly fosse soddisfatto nelle circostanze del caso e se, oltre a (o forse invece di) tale criterio, dovesse essere soddisfatto il criterio di «invenzione» derivante dalle sentenze Actavis I e Actavis II affinché la combinazione A+B potesse essere considerata «protetta» dal brevetto di base ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC.

76.      Ancora una volta, la Corte ha iniziato, nei punti da 31 a 33 della sentenza Teva I, indicando che la questione era lasciata alla normativa nazionale in materia di brevetti e, più specificamente, alle norme relative ai «limiti della protezione», come l’articolo 69 della CBE. Tuttavia, dopo una dettagliata esposizione del suo ragionamento, che sarà esaminata nella prossima sezione, la Corte ha enunciato il suo «criterio definitivo» nel punto 57 e nel dispositivo di tale sentenza, come segue:

«(...) un prodotto composto da più principi attivi (52) che hanno un effetto combinato è “protetto da un brevetto di base in vigore”, ai sensi [dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC], quando la combinazione dei principi attivi che lo compongono, anche se non viene esplicitamente menzionata nelle rivendicazioni del brevetto di base, è necessariamente e specificamente ricompresa in tali rivendicazioni. A tal fine, dal punto di vista di un esperto del ramo e sulla base dello stato dell’arte alla data di deposito o di priorità del brevetto di base:

–        la combinazione di tali principi attivi deve necessariamente rientrare, alla luce della descrizione e dei disegni di tale brevetto, nell’invenzione oggetto del brevetto stesso, e

–        ciascuno di tali principi attivi deve essere specificamente identificabile, alla luce di tutti gli elementi divulgati da tale brevetto».

3.      Incertezze derivanti dalla sentenza Teva I e chiarimenti necessari

77.      Nonostante la sentenza Teva I, permane controverso cosa debba sussistere affinché un «prodotto» possa essere considerato «protetto» da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC. Le presenti cause sono esemplificative al riguardo.

78.      In tutta onestà, la Teva, la Clonmel e la Merck (così come gli altri intervenienti) concordano su una cosa. Sembra chiaro che, contrariamente a quanto indicato nella sentenza Farmitalia, il termine «protetto» utilizzato nell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC non è definito con riferimento alle norme (nazionali o internazionali) che disciplinano i brevetti, come l’articolo 69 della CBE. Sebbene la Corte, purtroppo, abbia accennato nuovamente a ciò all’inizio della sua sentenza nella causa Teva I, questo semplicemente non può essere vero. In caso contrario, la Corte avrebbe interrotto il suo ragionamento dopo il punto 33 di tale sentenza.

79.      La circostanza che non abbia agito in tal modo, ma abbia invece continuato e aggiunto una serie di considerazioni e di requisiti rispetto all’interpretazione dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC dimostra che, in realtà, la Corte ha attribuito un significato autonomo, di diritto dell’Unione, al termine «protetto» utilizzato in tale disposizione (che coincide solo parzialmente con l’interpretazione della nozione di «limiti della protezione» di un brevetto ai sensi dell’articolo 69 della CBE).

80.      Tale approccio è, a mio avviso, razionale. Dopotutto, secondo una giurisprudenza consolidata i termini di una disposizione del diritto dell’Unione che, al pari dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC non contenga alcun espresso richiamo al diritto nazionale (o internazionale) per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata devono, di norma, dar luogo, nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme, tenendo conto del contesto nel quale vengono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte (53).

81.      Ciò è tanto più necessario, nel caso di specie, in quanto l’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC stabilisce un requisito fondamentale per il rilascio dei CPC negli Stati membri. Al riguardo, la posta in gioco non è tanto l’imperativo di rilasciare i CPC alle stesse condizioni nell’intera Unione europea (54); infatti, la portata di un brevetto europeo è determinata, ai sensi dell’articolo 69 della CBE, allo stesso modo in tutti gli Stati membri (55). Al contrario, un’interpretazione autonoma del termine «protetto» utilizzato all’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, alla luce del contesto specifico e dell’obiettivo perseguito da tale strumento, è necessaria (56) per garantire che i CPC siano rilasciati solo se ciò è in linea con lo spirito di tale strumento. La semplice applicazione, ai fini di tale disposizione, delle norme sui «limiti della protezione» dei brevetti, come quelle previste dall’articolo 69 della CBE, non garantirebbe sempre tale risultato, come spiegherò in seguito.

82.      Pertanto, al fine di stabilire se un «prodotto» sia «protetto» da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, occorre effettuare una verifica secondo un criterio autonomo che differisca (in parte) dal criterio dei «limiti della protezione» applicato alla luce della normativa in materia di brevetti (57). È altresì evidente che il primo criterio è più severo del secondo. In effetti, alcuni «prodotti» possono essere considerati protetti da brevetto ai fini del diritto dei brevetti, e non essere considerati «protetti» da brevetto ai fini dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC. Un chiaro riconoscimento da parte della Corte di tale (per il momento implicito) stato di cose nella sentenza che sarà emessa nelle presenti cause costituirebbe già un gradito chiarimento della sentenza Teva I.

83.      La controversia inizia a partire da questo punto. Infatti, come sottolinea il giudice del rinvio nella causa C‑149/22, vi sono due modi di intendere il criterio stabilito al punto 57 (e dispositivo) della sentenza Teva I e la sua interazione di quest’ultimo con la precedente giurisprudenza della Corte.

84.      In base a una prima lettura, sostenuta dalla Merck, nella sentenza Teva I la Corte ha approvato e perfezionato il criterio di «identificazione» stabilito nelle sentenze Medeva e Eli Lilly. In quanto tale, un «prodotto», compresa una composizione di principi attivi, deve essere considerato «protetto» da un brevetto di base ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC quando è «esplicitamente menzionato (...) nelle rivendicazioni di tale brevetto» (prima ipotesi) o, quanto meno, quando è «necessariamente e specificamente ricompreso nelle rivendicazioni di tale brevetto» (seconda ipotesi). Nella prima ipotesi (che non era in discussione nella causa che ha portato alla sentenza Teva I), la condizione prevista da tale disposizione è automaticamente soddisfatta. Infatti, la Corte non ha richiesto alcuna ulteriore valutazione per stabilire se un «prodotto» così espressamente menzionato costituisse il «cuore dell’attività inventiva» o l’«oggetto dell’invenzione» ai sensi del brevetto. Pertanto, la Corte ha implicitamente respinto il criterio di «invenzione» enunciato nelle sentenze Actavis I e Actavis II e non ha tenuto conto di tali sentenze. Al contrario, nella seconda ipotesi (che era in discussione nella causa che ha portato alla sentenza Teva I), acquistano significato i due trattini che compaiono al termine del punto 57 della sentenza Teva I; si tratta di una sorta di «sottocriterio» concepito «[al] fine» (58) di determinare se nelle rivendicazioni del brevetto un «prodotto» che esse non menzionano espressamente possa essere considerato come ricompreso «necessariamente e specificamente» (59).

85.      A seguito di una seconda interpretazione della sentenza Teva I, sostenuta dalla Teva, dalla Clonmel, dai governi intervenuti e dalla Commissione, la Corte ha approvato tanto il criterio di «identificazione» che quello di «invenzione». Essa ha perfezionato e trasformato tali criteri nel nuovo duplice criterio enunciato al paragrafo 57 della sentenza Teva I, che deve essere seguito in ogni caso per determinare se un «prodotto» sia «protetto» da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC. Ciò significa che, per essere considerato come tale, il «prodotto» non solo deve essere espressamente menzionato nelle rivendicazioni o, quanto meno, essere «specificamente identificabile» da una persona esperta del ramo (seconda parte del criterio), ma deve anche «rientrare nell’invenzione», nel senso che riflette la vera innovazione per la quale il brevetto è stato rilasciato (prima parte del criterio).

86.      Il giudice del rinvio nella causa C‑149/22 invita la Corte a chiarire quale sia la corretta interpretazione della sentenza Teva I. A parte il fatto che la natura equivoca di detta sentenza ha apparentemente portato a decisioni divergenti a livello nazionale, tale interpretazione è fondamentale per l’esito del procedimento principale. Infatti, detto giudice nazionale ha accertato che la combinazione di ezetimibe e simvastatina oggetto del secondo, e controverso, CPC era «esplicitamente menzionata» in una rivendicazione del relativo brevetto di base (60).

87.      A mio avviso, la seconda interpretazione della sentenza Teva I è quella corretta. Infatti, pur concordando sul fatto che, a prima vista, il punto 57 e il dispositivo di detta sentenza potrebbero essere letti nel modo suggerito dalla Merck (cosa certamente infelice), i seguenti motivi mi hanno convinto del contrario.

88.      All’inizio della sentenza Teva I (in particolare, al punto 30), la Corte ha annunciato ciò che intendeva fare. Su invito del giudice del rinvio, essa doveva chiarire se, affinché un «prodotto» possa essere considerato «protetto» da un brevetto, ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, sia sufficiente che esso soddisfi il criterio di «identificazione» enunciato nelle sentenze Medeva e Eli Lilly o se, in aggiunta a ciò, debba essere soddisfatto un «criterio aggiuntivo». Si trattava, ovviamente, di un riferimento al «cuore dell’attività inventiva»/«oggetto dell’invenzione» menzionato nelle sentenze Actavis I e Actavis II, che il giudice nazionale aveva espressamente citato (61).

89.      La risposta fornita dalla Corte nel prosieguo della motivazione non è, certo, del tutto lineare. Piuttosto, essa ha un incedere alquanto discontinuo. Tuttavia, quando si ricollocano assieme le tessere del puzzle, si vede che il quadro completo, a mio avviso, è chiaro.

90.      Da un lato, la Corte ha dedicato una parte significativa del suo ragionamento a ribadire che, affinché un «prodotto» possa essere considerato «protetto» da un brevetto di base ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, esso deve soddisfare il criterio di «identificazione» enunciato inizialmente nelle sentenze Medeva e Eli Lilly. La Corte ha ribadito l’affermazione contenuta nell’ultima sentenza, secondo cui un siffatto «prodotto» non può essere considerato «protetto» se non è «esplicitamente menzionato (...) nelle rivendicazioni di tale brevetto» o, quanto meno, «necessariamente e specificamente ricompreso nelle rivendicazioni di tale brevetto» (62).

91.      Inoltre, la Corte ha chiarito le circostanze in cui un prodotto può essere considerato «necessariamente e specificamente» ricompreso nelle rivendicazioni (un aspetto che era stato lasciato alquanto aperto ad interpretazione nella sentenza Eli Lilly). Tale è il caso in cui il prodotto è «specificamente identificabile» da una persona esperta nel ramo, alla luce di tutte le informazioni divulgate dal brevetto di base (in particolare nella descrizione) (63) e alla luce dello stato dell’arte alla data di deposito o di priorità di tale brevetto. Quanto sopra è, di fatto, la seconda parte del criterio enunciato alla fine del punto 57 e nel dispositivo della sentenza Teva I. (64)

92.      La Corte ha inoltre spiegato la ratio di tale requisito. Alla luce dello scopo del periodo aggiuntivo di esclusiva concesso da un CPC, che è quello di «consentire che siano ammortizzati gli investimenti effettuati [dal titolare del brevetto di base nella] ricerca», tale parte del criterio è volta a garantire che i CPC siano rilasciati solo per «prodotti» che sono stati sviluppati attraverso tale ricerca, al momento del deposito della domanda di brevetto di base. Sarebbe infatti contrario allo scopo del CPC se un titolare di brevetto potesse, sulla base di rivendicazioni ampiamente formulate (comprese definizioni funzionali generiche che coprono una vasta famiglia di sostanze), ottenere un siffatto certificato per una sostanza che non era nota al momento della domanda di brevetto, ma che è stato scoperto in seguito, come risultato di ulteriori ricerche, eventualmente condotte da terzi (65).

93.      D’altro canto, a mio avviso, diverse affermazioni contenute nella sentenza Teva I indicano chiaramente che, affinché un «prodotto» possa essere considerato «protetto» da un brevetto, ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, non è sufficiente che esso sia «esplicitamente menzionato (...) nelle rivendicazioni di tale brevetto» o «necessariamente e specificamente ricompreso nelle rivendicazioni di tale brevetto», dovendo infatti essere soddisfatto il «criterio aggiuntivo» prefigurato al punto 30 di tale sentenza.

94.      Precisamente, al punto 43 della sentenza Teva I, la Corte ha dichiarato che le rivendicazioni del brevetto di base devono altresì «essere lette alla luce dei limiti [dell’invenzione coperta da brevetto di base], quale essa risulta dalla descrizione e dai disegni del brevetto di cui trattasi».

95.      A tal riguardo, la Corte ha aggiunto, al punto 46 di tale sentenza, che «l’oggetto della protezione conferita da un CPC deve limitarsi alle caratteristiche tecniche dell’invenzione tutelata dal brevetto di base, come rivendicate da tale brevetto». Purtroppo, il significato di tale affermazione si perde nella versione in lingua inglese della sentenza a causa di un errore di traduzione. Per gli operatori del settore dei brevetti, l’espressione «technical specifications of the invention» (letteralmente: «specifiche tecniche dell’invenzione») è, nella migliore delle ipotesi, priva di significato e, nella peggiore, fonte di confusione (66). Orbene, nella versione francese di tale sentenza (che è la lingua in cui è stata redatta), tale punto fa riferimento alle «caractéristiques techniques» dell’invenzione, ossia alle sue «caratteristiche tecniche» (67).

96.      Di conseguenza, come sostengono la Teva, la Clonmel, i governi intervenuti e la Commissione, da tali punti deriva che, al fine di determinare se un «prodotto» sia «protetto» da un brevetto di base, occorre anche i) identificare nelle rivendicazioni, alla luce della descrizione e dei disegni di tale brevetto, l’oggetto del medesimo (l’«invenzione» e le sue caratteristiche tecniche, che costituisce una nozione più restrittiva rispetto ai «limiti della protezione» garantita dal brevetto in relazione a tale oggetto) (68), e, ii) stabilire se il «prodotto» corrisponda a tale «invenzione» (69).

97.      Successivamente, la Corte ha concluso che un «prodotto» può essere considerato «protetto» da un brevetto solo qualora «rientri necessariamente nell’invenzione» per la quale il brevetto è stato concesso. Ciò, di fatto, è quanto pertiene alla prima parte del criterio stabilito alla fine del punto 57 e nel dispositivo della sentenza Teva I.

98.      Come osservano i suddetti intervenienti, tale criterio richiede che nelle rivendicazioni del brevetto di base figuri più di un semplice riferimento al «prodotto». In genere, quando il «prodotto» per il quale viene richiesto un CPC è una composizione di principi attivi, la rivendicazione (o le rivendicazioni) relativa a tale combinazione deve essere letta alla luce della descrizione e dei disegni di tale brevetto per determinare se essa corrisponda all’«invenzione» per la quale il brevetto è stato concesso . Pertanto, tale criterio è una conferma e un perfezionamento del criterio di «invenzione» stabilito nelle sentenze Actavis I e Actavis II.

99.      Contrariamente a quanto sostiene la Merck, tale conclusione non è, a mio avviso, messa in discussione dal fatto che, al punto 31 della sentenza Royalty Pharma, la Corte ha indicato, su richiesta del giudice del rinvio, che la nozione di «cuore dell’attività inventiva» (utilizzata nella sentenza Actavis I) non è pertinente (o non lo è più) nel contesto dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC.

100. Infatti, pur respingendo tale espressione, la Corte ha ribadito, nello stesso punto, che «l’oggetto della protezione conferita da un CPC deve limitarsi alle caratteristiche tecniche dell’invenzione tutelata dal brevetto di base», confermando che, per decidere se un «prodotto» è «protetto» da un brevetto ai sensi di tale disposizione, sono dirimenti la natura e la portata dell’«invenzione». Pertanto, a mio avviso, la Corte ha voluto, nel punto di cui trattasi, convalidare un cambiamento terminologico piuttosto che sostanziale. Essa ha sostituito la nozione di «invenzione» a quella di «cuore dell’attività inventiva» (in realtà, già nella sentenza Actavis II), probabilmente perché la prima è nota agli operatori nel campo dei brevetti e quindi veicola meglio della [seconda] il messaggio che essa vuole trasmettere (70). Tuttavia, l’idea sottesa in entrambe le espressioni è, in sostanza la stessa: se il «prodotto» corrisponde all’«invenzione» per la quale il brevetto è stato concesso.

101. Le ragioni addotte dalla Corte in merito allo scopo della prima parte del criterio enunciato nella sentenza Teva I confermano, a mio avviso, tale interpretazione. Al punto 40 di tale sentenza, la Corte ha indicato che il rilascio di un CPC per un prodotto che non rientra nell’invenzione tutelata dal brevetto di base sarebbe in contrasto con l’obiettivo del regolamento CPC, [che è quello di] sostenere l’innovazione nel settore farmaceutico (e il bilanciamento di interessi che esso cerca di raggiungere a tale riguardo), «poiché un siffatto CPC non si riferirebbe ai risultati della ricerca rivendicati da tale brevetto». Alcune spiegazioni si rendono necessarie al riguardo.

102. Semplificando, tale prima parte del criterio è stata concepita pensando alle composizioni di principi attivi. A tale riguardo, dalla definizione del concetto di «prodotto» di cui all’articolo 1, lettera b), del regolamento CPC risulta evidente che, come sottolineato dalla Merck, tale regolamento consente il rilascio di CPC per tali composizioni. Orbene, dalla relazione accompagnatoria si evince che gli ideatori del sistema dei CPC intendevano premiare lo sviluppo di «una nuova composizione contenente un prodotto nuovo o già noto» (71). Tuttavia, per quanto riguarda siffatte combinazioni di principi attivi, distinguerei due situazioni.

103. Da un lato, l’idea di utilizzare determinati principi attivi (nuovi o noti) in una particolare combinazione può costituire un’«invenzione» che è «nuova» e implica un «passaggio creativo» che, in quanto tale, è brevettabile. Tale è il caso in cui detti principi attivi, una volta combinati, presentano un «effetto sinergico» innovativo, che va oltre il loro semplice effetto additivo (72), utile per il trattamento di talune patologie o condizioni di salute. Di solito, in tal caso, la combinazione è oggetto di un brevetto dedicato, che rivela l’effetto innovativo di detta combinazione. Come sostengono i governi intervenuti, sono tali i tipi di «nuove composizioni» innovative che il legislatore dell’Unione aveva in mente e intendeva incoraggiare nell’ambito del sistema dei CPC (73). In quanto tali, quando vengono sviluppate esse dovrebbero essere ricompensate attraverso un CPC.

104. D’altra parte, come illustrato utilmente dal governo ungherese nelle sue osservazioni, sembra prassi consolidata che, quando le imprese farmaceutiche compilano domande di brevetto relative allo sviluppo di nuovi principi monoattivi, vi includano, oltre alle rivendicazioni principali dedicate al principio (o ai principi) di cui trattasi (A), una o più rivendicazioni (dipendenti) (74) per l’uso di tale principio (o tali principi) in combinazione con altre sostanze note (A+B, A+C e così via) come «realizzazioni» particolari dell’invenzione. Solitamente, la descrizione non divulga, alcun «effetto sinergico» innovativo intrinseco in tali composizioni, come ad esempio un effetto sinergico. In genere, la descrizione non ne comprova nemmeno l’idoneità (capacità di svolgere correttamente la funzione in associazione, assenza di effetti collaterali pericolosi e così via). Di fatto, tali rivendicazioni di combinazioni possono essere del tutto speculative e essere aggiunte al solo scopo di estendere i limiti della protezione conferita dal brevetto ai sensi dell’articolo 69 della CBE.

105. Sebbene, come sostiene la Merck, tale prassi sembri accettata dall’UEB (e, in effetti, sembra che un gran numero di brevetti europei concessi da tale ufficio contenga siffatte rivendicazioni di combinazioni) (75), è chiaro che, come ribattono gli altri intervenienti, il rilascio di CPC per composizioni di principi attivi nella seconda situazione sarebbe in contrasto con gli obiettivi del regolamento CPC e con il bilanciamento di interessi che esso aspira a conseguire.

106. Orbene, in una siffatta situazione, la combinazione A+B non è, di per sé, l’idea innovativa che costituisce il risultato della ricerca indicata nel brevetto; A lo è. Pertanto, lo sviluppo di A dovrebbe essere premiato da un CPC. Per contro, la combinazione di A+B non dovrebbe essere premiata in tal modo, semplicemente perché una rivendicazione speculativa per tale composizione è stata inserita nel brevetto per A.

107. L’argomento della Merck secondo cui il rilascio di un CPC per una tale composizione di principi attivi presuppone lo sviluppo e la commercializzazione di un medicinale che include tale composizione, che richiede ricerche e test ( per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio), non mette in discussione tale interpretazione. Come spiegato, nella sitauzione descritta al paragrafo 104 supra, l'«invenzione» divulgata nel brevetto di base è A. Il fatto che, dopo la compilazione della domanda di brevetto, ulteriori ricerche abbiano dimostrato la sicurezza e l'utilità della combinazione A+B non dovrebbe essere preso in considerazione. Come ricorda il governo ungherese, il sistema dei CPC è stato concepito per premiare non tutta la ricerca farmaceutica che porta alla commercializzazione di un nuovo medicinale, ma il tipo di ricerca che porta alla scoperta, fra l’altro, di nuove composizioni di principi attivi, come inteso al paragrafo 103 supra (76), precisamente quelli che presentano un «effetto sinergico» . Per contro, l'innovazione (a volte molto relativa) che consiste nell'inserire A e un altro farmaco noto (B), ciascuno dei quali ha un effetto indipendente sul corpo umano, in un'unica pillola per facilitare la somministrazione di una terapia combinata contro una determinata malattia, non merita tale ricompensa. Come stabilito dalla Corte nelle sentenze Actavis I e Actavis II, l’obiettivo perseguito dal regolamento CPC non è quello di compensare il titolare di un brevetto per i ritardi accumulati nella commercializzazione della sua invenzione con riferimento a tutte le forme di commercializzazione possibili, tra cui la forma di composizioni in un’unica pillola (77).

108. Pertanto, è necessario separare il primo tipo di composizioni di principi attivi dal secondo. Ciò appare tanto più necessario in quanto, come sottolineato dalla Corte al punto 42 della sentenza Teva I (con riferimento ad Actavis II), se il titolare del brevetto potesse ottenere più CPC sulla base della stessa invenzione (A) nella forma di un’unica pillola, faciliterebbe le strategie di «evergreening», con le quali le imprese farmaceutiche potrebbero prolungare, in modo eccessivo, il loro monopolio commercializzando un primo farmaco contenente «A», poi un farmaco contenente «A+B», poi un altro composto da «A+C», e così via (78).

109. Il criterio di «invenzione» stabilito nelle sentenze Actavis I e Actavis II e perfezionato nella sentenza Teva I è adeguato, necessario e proporzionato a tale riguardo. Esso garantisce infatti un giusto bilanciamento tra il rilascio di un CPC per le combinazioni chemeritano tutela supplementare (e quindi incoraggia l’innovazione in tal senso), evitando al contempo che vengano rilasciati più CPC per singoli principi attivi confezionati come nuova «composizione», leggermente modificata.

110. Al contrario, e nonostante le deduzioni della Merck, il criterio di «identificazione» non è adatto a tale scopo. Certamente, poiché limita il rilascio dei CPC alle combinazioni di principi attivi che sono esplicitamente menzionate nelle rivendicazioni del brevetto di base o sono, quanto meno, «specificamente identificabili», tale criterio limita la possibilità per il titolare del brevetto di ottenere più CPC per composizioni in un’unica pillola. Tuttavia, esso contribuirebbe soltanto in modo (molto) parziale al conseguimento di tale obiettivo. Infatti, come sostiene la Teva, si creerebbe semplicemente un incentivo per le imprese farmaceutiche a includere nelle domande di brevetto un elenco standard di principi attivi (diuretici, antibiotici, ecc.) che potrebbero essere combinati con sostanze oggetto di tali domande (79).

111. Non mi convince nemmeno l’argomento della Merck, secondo cui tali tentativi di «evergreening» sarebbero più teorici che reali poiché, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento CPC, la protezione conferita da CPC basati sullo stesso brevetto di base è in ogni caso limitata a cinque anni dalla scadenza di tale brevetto.

112. Infatti, da un lato, come sostiene la Clonmel, dati gli interessi (economici) coinvolti, la possibilità per un titolare di brevetto di ottenere anche solo pochi mesi di protezione aggiuntiva compilando più CPC per A in composizioni in un’unica pillola non può essere considerata una questione banale (80). D’altra parte, è abbastanza facile per le società farmaceutiche aggirare il limite di cinque anni stabilito dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento CPC. Infatti, poiché tale limite si applica solo ai CPC rilasciati sulla base dello stesso brevetto, una tale società deve semplicemente ottenere, a intervalli di tempo, vari brevetti relativi allo stesso principio attivo (per la famiglia di sostanze che lo comprende; per sostanze specifiche della famiglia; per un uso specifico delle stesse, e così via), alcuni dei quali includono rivendicazioni speculative per l’uso di tale principio in composizione con altre sostanze, e compilare domande per CPC sulla base di questi vari brevetti (81).

113. Inoltre, il mio convincimento non è rimesso in discussione dalle affermazioni della Merck, secondo cui il criterio di «invenzione», equivalente a una valutazione del «passaggio innovativo» è complesso (mentre il sistema dei CPC è stato concepito come «semplice»)(82) e, in quanto tale, genera incertezza e potrebbe comportare che gli uffici nazionali dei brevetti adottino decisioni divergenti su fatti sostanzialmente identici, contrariamente all’obiettivo di uniformità perseguito da tale regolamento.

114. Indubbiamente, il fatto di limitarsi a seguire un semplice criterio di «identificazione» per determinare se un «prodotto» sia «protetto» da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC sarebbe (talvolta) più semplice rispetto ad applicare, in aggiunta, quel criterio di «invenzione». Tuttavia, ciò porterebbe a risultati contrastanti con lo spirito di tale strumento, come spiegato nelle presenti conclusioni. Inoltre, l’argomento della certezza del diritto deve essere relativizzato. I singoli principi attivi risponderanno facilmente a tale criterio. È solo per quanto riguarda i «prodotti» consistenti in combinazioni di ingredienti attivi che si rende necessaria un’ulteriore analisi, come discusso nelle conclusioni (e, anche per quanto riguarda tali prodotti, mi sembra che, salvo alcuni casi limite, gli operatori del settore dei brevetti saranno in grado di prevedere quando tali combinazioni possono essere oggetto di CPC e quando non possono).

115. Invero, la prima parte del criterio enunciato nella sentenza Teva I non è così complessa come la presenta la Merck. Per quanto riguarda l’applicazione di tale criterio, ricordo che la Corte ha precisato, al punto 48 di detta sentenza, che un «prodotto» «rientra necessariamente nell’invenzione oggetto del brevetto» qualora «un esperto del ramo sia in grado di comprendere inequivocabilmente, sulla base delle sue conoscenze generali e alla luce della descrizione e dei disegni dell’invenzione contenuti nel brevetto di base, che il prodotto indicato nelle rivendicazioni del brevetto di base è una caratteristica (83) necessaria per la soluzione del problema tecnico divulgata da tale brevetto».

116. Pur ammettendo che la spiegazione fornita nel paragrafo precedente riecheggia l’approccio «problema e soluzione» utilizzato per valutare l’esistenza di una «attività inventiva» ai sensi dell’articolo 56 della CBE, in realtà non si tratta di stabilire se la combinazione di A+B soddisfi i requisiti di brevettabilità. In effetti, si tratta di una valutazione ex post di ciò che il brevetto divulga (specialmente la descrizione). Il brevetto descrive, come invenzione, l’uso di A+B, dato l’effetto combinato e sinergico che essi producono sull’organismo umano, per risolvere un certo problema tecnico (medico), in modo che (seguendo i termini della Corte nella sentenza Teva) la composizione di A e Bsarebbe chiaramente «necessaria per la soluzione di tale problema tecnico»? O invece il brevetto descrive piuttosto, come invenzione, l’idea di utilizzare alcune singole sostanze (inclusa A), dato l’effetto (individuale) da loro prodotto sull’organismo umano, per trattare talune patologie o condizioni di salute, aggiungendo che tali sostanze possono anche essere utilizzate in composizione con altre sostanze (B, C, e così via), senza svolgere un «effetto sinergico» che sia connaturato a tale composizione? In tal caso, la composizione di A+B (o C, e così via) non costituisce una «caratteristica necessaria» dell’invenzione. Sebbene tale verifica spetti ai giudici del rinvio, mi sembra che i procedimenti principali ricadano nella seconda ipotesi (84).

VI.    Conclusione

117. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia) e dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 3, lettera a), del regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, dev’essere interpretato nel senso che un prodotto, per essere considerato «protetto da un brevetto di base» ai sensi di tale disposizione, deve non solo i) essere espressamente menzionato o, quanto meno, «specificamente identificabile» nelle rivendicazioni, ma deve anche ii) rientrare nell’invenzione oggetto di tale brevetto.

2)      L’articolo 3, lettera c), del regolamento n. 469/2009 deve essere interpretato nel senso che esso non osta al rilascio di un certificato protettivo complementare (CPC) per una composizione di principi attivi qualora sia stato rilasciato un precedente CPC per uno di tali principi. Le nozioni di «cuore dell’attività inventiva» e di «oggetto dell’invenzione» sono irrilevanti ai fini della valutazione della condizione prevista da tale disposizione.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali (GU 2009, L 152, pag. 1).


3      Sentenza del 12 dicembre 2013, Actavis Group PTC e Actavis UK (C‑443/12, in prosieguo: la «sentenza Actavis I», EU:C:2013:833).


4      Sentenza del 12 marzo 2015, Actavis Group PTC e Actavis UK (C‑577/13, in prosieguo: la «sentenza Actavis II», EU:C:2015:165).


5      Sentenza del 25 luglio 2018, Teva UK e a. (C‑121/17, in prosieguo: la «sentenza Teva I», EU:C:2018:585).


6      La metformina ha un effetto diverso sull’organismo e contribuisce al trattamento del diabete in modo diverso rispetto al sitagliptin. La metformina agisce infatti diminuendo la produzione di glucosio nel fegato, aumentando la sensibilità all’insulina dei tessuti corporei e aumentando la secrezione di GDF15, che riduce l’appetito e l’assunzione di calorie.


7      Sentenza del 30 aprile 2020 (C‑650/17, in prosieguo: la «sentenza Royalty Pharma», EU:C:2020:327)


8      L’aterosclerosi comporta un indurimento delle arterie, che si verifica come conseguenza dell’accumulo, tra l’altro, di colesterolo nelle e sulle pareti delle arterie.


9      Le statine hanno effetti diversi e sono utili nel trattamento dell’ipercolesterolemia in modo differente rispetto agli azetidinoni. Mentre gli azetidinoni, compreso l’ezetimibe, agiscono come inibitori dell’assorbimento del colesterolo, le statine agiscono promuovendo la scomposizione del colesterolo nel fegato.


10      I brevetti possono anche essere concessi dagli Stati a seguito di procedure di registrazione effettuate dal rispettivo ufficio nazionale dei brevetti. Poiché i brevetti di cui trattasi nelle controversie dei procedimenti principali sono brevetti europei, mi concentrerò sulle norme della Convenzione sul brevetto europeo (CBE). Tuttavia, le regole che si applicano ai brevetti nazionali negli Stati membri sono sostanzialmente le stesse.


11      La CBE vincola 39 Parti contraenti, compresi gli Stati membri dell’Unione europea. L’Unione europea non è parte di tale convenzione, la quale, pertanto, non fa parte del diritto dell’Unione.


12      V. articolo 52, paragrafo 1), articolo 54 e articolo 56 della CBE. L’invenzione deve anche essere atta ad avere un’«applicazione industriale» (v. articolo 57 di detto trattato), ma tralascio questa condizione poiché è raramente in discussione nel caso dei farmaci.


13      Calcolato a decorrere dalla data di deposito della domanda (v. articolo 63, paragrafo 1, della CBE).


14      A rigore, un brevetto europeo non è un titolo unitario che fornisce una protezione uniforme in tutti gli Stati per i quali è stato rilasciato, ma nasce sostanzialmente come un insieme di brevetti nazionali [v. le prime conclusioni da me presentate nella causa BSH Hausgeräte (C‑339/22, EU:C:2024:159, paragrafo 21)].


15      V. articolo 83 della CBE.


16      Un medicinale generico è un farmaco simile a un medicinale originale di marca; esso ha, tra l’altro, gli stessi principi attivi del farmaco originale.


17      V. Pila, J., e Torremans, P., European Intellectual Property Law, Oxford University Press, 2016, pag. 114.


18      V. direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001 recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU 2001, L 311, pag. 67).


19      V. articolo 1, lettera c), del regolamento CPC, che definisce «brevetto di base» come «un brevetto che protegge un prodotto in quanto tale, un processo di fabbricazione di un prodotto o un impiego di prodotto e che è designato dal suo titolare ai fini della procedura di rilascio di un certificato».


20      V., in tal senso, articolo 2 e articolo 3, lettere a), b) e d), del regolamento CPC. Pertanto, solo i «prodotti» che sono «nuovi», nel senso che non sono mai stati immessi sul mercato prima, per qualsiasi uso medico, possono essere oggetto di CPC [v., al riguardo, sentenza del 9 luglio 2020, Santen (C‑673/18, EU:C:2020:531)].


21      Il «principio attivo» (o i «principi attivi») di un medicinale, ai sensi dell’articolo 1, lettera b), del regolamento CPC è (o sono) una sostanza o sostanze che ha (o hanno) un effetto terapeutico proprio; non vi rientrano le sostanze incluse nella composizione di detto medicinale che non esercitano un’azione propria sull’organismo umano [v. sentenza del 9 luglio 2020, Santen, C‑673/18, EU:C:2020:531, punto 42 e giurisprudenza ivi citata)].


22      V. articolo 7, paragrafo 1, del regolamento CPC.


23      V. articolo 3, del regolamento CPC.


24      V., in tal senso, considerando 10 e articoli 4 e 5 del regolamento CPC.


25      V. sentenza del 15 gennaio 2015, Forsgren (C‑631/13, EU:C:2015:13, punto 32).


26      V., per tale motivo di nullità, articolo 15, paragrafo 1, lettera a), del regolamento CPC.


27      Sebbene il giudice del rinvio nella causa C‑119/22 non abbia proposto questioni relative all’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, un chiarimento in merito sarà parimenti utile a detto giudice per risolvere la controversia principale in tale causa.


28      Al riguardo, nella sentenza del 12 dicembre 2013, Georgetown University (C‑484/12, EU:C:2013:828, punto 30), la Corte ha confermato che, come risulta dalla sua formulazione letterale, l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC non osta al rilascio di più CPC basati su uno stesso brevetto qualora tali certificati non riguardino lo stesso prodotto, bensì «prodotti» diversi.


29      Punti 30 e 41.


30      Punti 26, 36 e 39 e dispositivo.


31      V., in tal senso, sentenze Actavis I (punti 29 e 42) e Actavis II (punto 33). È implicito nel ragionamento della Corte che essa abbia ritenuto che A+B fosse lo stesso «prodotto» di A, o che il «prodotto» pertinente, in tutti i CPC, fosse A. La Corte ha accennato al fatto che l’analisi sarebbe stata diversa se A+B fosse stata un’«innovazione separata» (presumibilmente, da A) (v. sentenza Actavis I, punto 42).


32      V., al riguardo, considerando 10 del regolamento CPC.


33      Il termine «evergreening» si riferisce alle varie strategie con cui le aziende farmaceutiche cercano di prolungare la durata dei brevetti che proteggono i loro medicinali per ritardare la concorrenza e mantenere i ricavi del monopolio [v., in tal senso, Max Planck Institute for Innovation and Competition, Study on the Legal Aspects of Supplementary Protection Certificates in the EU, Ufficio delle Pubblicazioni dell’Unione europea, pag. 115].


34      V. sentenze Actavis I (punti da 39 a 41) e Actavis II (punti da 34 a 37).


35      Sentenza del 9 luglio 2020 (C‑673/18, EU:C:2020:531, punti 46 e 52).


36      Il quale, lo ricordo, verte sulla questione se «il prodotto [sia] protetto da un brevetto di base in vigore». Di fatto, chiaramente consapevole del modo in cui ha accorpato le due condizioni nella sentenza Actavis I, la Corte ha fornito, nella sentenza Actavis II, una risposta generica secondo cui l’«articolo 3, lettere a) e c)», del regolamento CPC, affermando osta al rilascio di un CPC per una composizione di principi attivi nelle circostanze descritte in precedenza al paragrafo 55, senza operare una distinzione tra le due disposizioni.


37      V., al riguardo, le questioni seconda, terza e quarta poste dal giudice del rinvio nella causa C‑119/22.


38      Sentenza del 23 gennaio 1997 (C‑181/95, EU:C:1997:32).


39      Nella sentenza del 23 gennaio 1997, Biogen (C‑181/95, EU:C:1997:32, punto 28), la Corte ha interpretato l’articolo 3, lettera c), del regolamento CPC nel senso che esso osta a che più CPC siano rilasciati a un solo titolare per lo stesso «prodotto». Se più entità giuridicamente distinte sono titolari di più brevetti che proteggono lo stesso «prodotto», ciascuna di esse può ottenere per quest’ultimo un CPC, senza che tale disposizione entri in gioco. Pertanto, i gruppi farmaceutici, che di solito possiedono più brevetti relativi alle loro invenzioni, potrebbero facilmente eludere il divieto stabilito da questa disposizione: la società 1 potrebbe chiedere un CPC per «A» sulla base di primo un brevetto che protegge A, e la società 2 potrebbe allora ottenere liberamente un CPC per «A+B» sulla base di un altro brevetto.


40      V. articolo 1, lettera b), del regolamento CPC. Pertanto, la questione non è se il brevetto di base «protegge» A o B, presi singolarmente, ma piuttosto se «protegge» A+B, in quanto tale.


41      Sentenza del 16 settembre 1999 (C‑392/97, in prosieguo: la «sentenza Farmitalia», EU:C:1999:416).


42      Sentenza Farmitalia (punti 27 e 29, rispettivamente) (il corsivo è mio).


43      Sentenza del 24  novembre 2011, Medeva (C‑322/10, in prosieguo: la«sentenza Medeva», EU:C:2011:773).


44      Sentenza del 12 dicembre 2013, Eli Lilly and Company (C‑493/12, in prosieguo: la «sentenza Eli Lilly», EU:C:2013:835)


45      Punti 25, 28 e dispositivo).


46      Punti 38, 39 e dispositivo).


47      Infatti, ai sensi dell’articolo 69 della CBE, non occorre che qualcosa sia «specificato» o «necessariamente, e in maniera specifica» implicito nelle rivendicazioni di un brevetto per essere considerato coperto da esse. Ad esempio, per quanto riguarda le composizioni di principi attivi, sarebbero sufficienti termini generici che facciano riferimento all’uso di «A in combinazione con altri principi attivi».


48      Punti 30 e 41.


49      Punti 26, 36, 30 e dispositivo.


50      V. sentenza Actavis I, punto 42.


51      Nel primo caso, il brevetto di base conteneva una rivendicazione relativa all’uso di A in associazione con altri principi attivi, descritti in termini generali (v. sentenza Actavis I, punto 11). Nel secondo caso, invece, il brevetto di base conteneva una rivendicazione che si riferiva specificamente alla combinazione A+B. Tale rivendicazione, tuttavia, era stata aggiunta dopo la presentazione della domanda di CPC per A+B (v. sentenza Actavis II, punti da 14 a 18). Tuttavia, tale circostanza non riveste alcun ruolo nel ragionamento della Corte.


52      Sebbene il punto 57 della sentenza Teva I menzioni solo le combinazioni di principi attivi, dai punti 52 e 53 di tale sentenza si evince che il criterio ivi previsto è valido anche per i «prodotti» costituiti da un unico principio attivo.


53      V., tra l’altro, sentenza del 6 luglio 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Reato di particolare gravità) (C‑402/22, EU:C:2023:543, punti 23 e 24 e giurisprudenza ivi citata).


54      V. considerando 7 del regolamento CPC e sentenza Medeva (punto 24).


55      Anche rispetto ai brevetti nazionali, le norme nazionali sui “limiti della protezione” sono essenzialmente le stesse in tutti gli Stati membri e rispecchiano l’articolo 69 della CBE.


56      Inoltre, contrariamente a quanto previsto dall'articolo 3, lettera c), del regolamento sul CPC (v. supra, paragrafo 60), il termine “protetto” utilizzato nell'articolo 3, lettera a), di tale regolamento, a causa della sua vaghezza, si presta a tale interpretazione teleologica.


57      Per essere più precisi, il criterio di cui all’articolo 3, lettera a), di tale regolamento potrebbe essere descritto come una sorta di «ibrido» tra il diritto dell’Unione e il diritto dei brevetti (nazionale o internazionale). Infatti, come spiegherò in seguito, sebbene la Corte abbia dato una definizione autonoma di cosa significhi «protetto» ai fini dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC, tale definizione si basa su talune nozioni di diritto dei brevetti, come quella di «invenzione». Inoltre, per valutare se un determinato «prodotto» soddisfi tale definizione autonoma, occorre seguire alcuni principi del diritto dei brevetti (v. nota 63).


58      Sentenza nella causa Teva I (punto 38).


59      V., per la stessa interpretazione, conclusioni presentate dall’avvocato generale Hogan nelle cause riunite Royalty Pharma Collection Trust e a. (C‑650/17 e C‑114/18, EU:C:2019:704, paragrafi 41 e 49). Secondo la Merck, in forza di tale duplice criterio, si deve ritenere che le rivendicazioni del brevetto ricomprendono «necessariamente e specificamente» un «prodotto» qualora un esperto del ramo sia in grado di i) comprendere che tale «prodotto» «rientra necessariamente (...) nell’invenzione oggetto di tale brevetto», nel senso che la presenza del principio o dei principi attivi di cui trattasi è richiesta, anziché solo facoltativamente consentita, dalla formulazione delle rivendicazioni di tale brevetto e ii) «identificare specificamente» tali principi attivi quando legge dette rivendicazioni alla luce di tutte le informazioni divulgate da tale brevetto. Quando un «prodotto» è esplicitamente menzionato nelle rivendicazioni di un brevetto, il duplice (sotto)criterio stabilito nella sentenza Teva I non deve essere esaminato, poiché ovviamente risulta soddisfatto. Infatti, se tale «prodotto» è esplicitamente menzionato nella rivendicazione, allora i) la sua presenza è richiesta in base a tali rivendicazioni e ii) esso è «specificamente identificabile», in quanto è specificamente identificato.


60      Per contro, nel procedimento principale della causa C‑119/22, tale questione non è stata apparentemente ancora risolta dal giudice del rinvio. La Teva contesta che la combinazione di sitagliptin e metformina, oggetto del secondo CPC in tale causa, sia «esplicitamente menzionata» dal pertinente brevetto di base.


61      V. sentenza Teva I (punto 26).


62      V. sentenza Teva I (punti 34, 36 e 37).


63      Per la Corte, infatti, la risposta a tale questione implicava un esercizio di interpretazione della rivendicazione. L’interpretazione delle rivendicazioni obbedisce ad alcuni principi del diritto dei brevetti (ripresi nell’articolo 1 del protocollo e nell’articolo 69 della CBE). In base a tali principi, in primo luogo, le rivendicazioni di un brevetto devono essere interpretate dal punto di vista di una persona esperta nel ramo (la finzione giuridica utilizzata per tali questioni). In secondo luogo, devono essere presi in considerazione la descrizione e i disegni del brevetto di base, come indicato nell’articolo 69 della CBE e nel relativo protocollo (v. sentenza Teva I, punti 38 e 47).


64      V. sentenza Teva I (punti da 49 a 51). Nella sentenza Royalty Pharma (punto 40), la Corte ha chiarito che la questione cruciale è se il «prodotto» di cui trattasi sia divulgato nel brevetto di base (v., per tale nozione, punto 34 supra) e che il criterio applicabile a tale proposito è se la persona esperta nel ramo sia «in grado (...) di dedurre direttamente e in maniera non equivoca» (il corsivo è mio) tale «prodotto» dal fascicolo del brevetto così come depositato. Questa è, infatti, la «regola aurea» di divulgazione utilizzata, nel diritto dei brevetti, per vari scopi, tra cui la determinazione dell’ammissibilità delle modifiche alle domande di brevetto, ai sensi dell’articolo 123, paragrafo 2, della CBE. Pertanto, per determinare se un «prodotto» sia «specificamente identificabile» ai fini della seconda parte del criterio della sentenza Teva I, gli operatori dei brevetti possono porsi una domanda familiare: ossia se il brevetto di base possa essere limitato, mediante modifica, a un siffatto «prodotto» senza violare l’articolo 123, paragrafo 2, della CBE. In caso contrario, quel «prodotto» non può essere oggetto di CPC neanche ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del regolamento CPC.


65      V. sentenza Teva I (punti da 39 a 41 e 50). V. altresì sentenze Eli Lilly (punti da 41 a 43) e Royalty Pharma (punti 45 e 46).


66      Potrebbe essere inteso come un riferimento al «fascicolo del brevetto», che è ildocumento legale che accompagna la domanda di brevetto e che contiene la descrizione dell’invenzione. Nelle presenti cause, la Merck gioca (consapevolmente o accidentalmente) su questo errore, sostenendo che il punto 46 della sentenza Teva I si limita a ribadire l’idea che il «prodotto» deve essere «specificato» nel brevetto.


67      V., ad esempio, articolo 43, paragrafo 1, del regolamento di attuazione della CBE (il corsivo è mio). Purtroppo, tale errore è stato ripetuto nella sentenza Royalty Pharma (punto 31). Al fine di evitare ulteriore confusione, invito la Corte non solo a chiarire la questione nella sentenza che verrà emessa nella presente causa, ma anche a rettificare le versioni inglesi delle sentenze Teva I e Royalty Pharma.


68      In effetti, nel diritto dei brevetti, le rivendicazioni di brevetto sono utilizzate per definire sia l'invenzione che la protezione richiesta intorno ad essa. Tuttavia, la Corte è interessata solo alla prima. Per questo motivo insiste sulla necessità di leggere le rivendicazioni alla luce della descrizione e dei disegni del brevetto, che raffigurano anche l'invenzione.


69      Apparentemente, quindi, la Corte cerca di garantire una coincidenza tra l’oggetto del brevetto («l’invenzione») e l’oggetto di un CPC («il prodotto»).


70      Inoltre, «cuore dell’attività inventiva» era forse troppo somigliante, dal punto di vista terminologico, alla nozione di «attività inventiva» e, quindi, ai requisiti di brevettabilità.


71      V. relazione che accompagna la proposta di regolamento (CEE) del Consiglio, sulla creazione di un certificato protettivo complementare per i medicinali 11 aprile 1990 [COM(90) 101 def.] (in prosieguo: la «relazione accompagnatoria»), punto 29.


72      L’espressione «effetto additivo» descrive una situazione in cui gli effetti combinati di due farmaci sono pari alla somma degli effetti dei due farmaci che agiscono indipendentemente. Per contro, un «effetto sinergico» descrive una situazione in cui l’effetto combinato dei due farmaci è maggiore della somma dei loro effetti individuali.


73      Relazione accompagnatoria, punto 29.


74      V. articolo 43, paragrafo 3, del regolamento di esecuzione della Convenzione sul rilascio di brevetti europei.


75      Semplificando, per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità della novità (articolo 54 CBE) e dell’attività inventiva (articolo 56 CBE), sembra che la rivendicazione (indipendente) per A e la rivendicazione (dipendente) per A+B siano solitamente valutate come un’unità. Pertanto, la combinazione A+B sarà considerata nuova e innovativa per il semplice fatto che lo è A.


76      V., per analogia, sentenza del 9 luglio 2020, Santen, (C‑673/18, EU:C:2020:531, punto 55).


77      V. sentenze Actavis I (punto 40) e Actavis II (punto 35).


78      Simili strategie di «evergreening», tra l’altro, potrebbero essere particolarmente dannose per la salute pubblica. Infatti, come ha osservato l’avvocato generale Trstenjak nelle conclusioni presentate nelle cause riunite Medeva (C‑322/10 e C‑422/10, EU:C:2011:476, paragrafo 77), «i regimi statali di sanità pubblica (...) hanno (...) uno specifico interesse ad evitare che vengano immessi sul mercato, protetti dalla certificazione, principi attivi preesistenti in forma lievemente modificata, ma senza un effettivo contenuto innovativo e che, in tal modo, le spese sanitarie lievitino artificialmente».


79      V. Romandini, R. «Art. 3(a) SPC Regulation: An analysis of the CJEU’s ruling in Teva (C‑121/17) and a proposal for its implementation», Journal of Intellectual Property Law & Practice, Vol. 14, N. 3, 2019, pagg. da 230 a 251, in particolare pag. 245.


80      Ad esempio, nel procedimento principale della causa C‑149/22, risulta che il primo CPC ottenuto dalla Merck per il farmaco A le ha conferito tre anni e sette mesi di protezione complementare. Ottenendo, successivamente, un secondo CPC per A+B, la Merck ottiene un ulteriore anno di protezione.


81      V. Romandini, R., op. cit., pag. 245.


82      V. relazione accompagnatoria, pag. 10.


83      [Nella versione inglese] anche il paragrafo 48 della sentenza nella causa Teva I fa riferimento, erroneamente, a una «specifica» tecnica anziché a una «caratteristica» e, pertanto, dovrebbe essere rettificato.


84      V., in particolare, il precedente paragrafo 41.