Language of document : ECLI:EU:C:2022:526

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

7 luglio 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Agricoltura – Alimenti e mangimi geneticamente modificati – Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati – Direttiva 2001/18/CE – Articolo 26 bis – Possibilità per gli Stati membri di adottare le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti – Condizioni di applicazione – Principio di proporzionalità – Orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati nelle colture convenzionali e biologiche – Misura adottata da un ente infrastatale che vieta nel suo territorio la messa in coltura del mais geneticamente modificato»

Nella causa C‑24/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Pordenone (Italia), con ordinanza del 4 gennaio 2021, pervenuta in cancelleria il 14 gennaio 2021, nel procedimento

PH

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia,

Direzione centrale risorse agroalimentari, forestali e ittiche – Servizio foreste e corpo forestale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, J. Passer, F. Biltgen, N. Wahl e M.L. Arastey Sahún, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per PH, da G. Martorana, avvocato;

–        per la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, da B. Croppo, D. Iuri e. Massari, avvocati;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, da F. Castilla Contreras, I. Galindo Martín e F. Moro, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU 2001, L 106, pag. 1), come modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003 (GU 2003, L 268, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva 2001/18»), letta alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione della Commissione, del 13 luglio 2010, recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche (GU 2010, C 200, pag. 1; in prosieguo: la «raccomandazione del 13 luglio 2010»), nonché degli articoli 34, 35 e 36 TFUE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, PH, e, dall’altro, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (in prosieguo: la «Regione FVG») e la Direzione centrale risorse agroalimentari, forestali e ittiche – Servizio foreste e corpo forestale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in merito ad un’ordinanza ingiunzione con cui PH è stato condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria per violazione del divieto di coltivazione di mais geneticamente modificato.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 La direttiva 2001/18

3        L’articolo 1 della direttiva 2001/18, intitolato «Scopo», dispone quanto segue:

«Nel rispetto del principio precauzionale, la presente direttiva mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell’ambiente quando:

–        si emettono deliberatamente nell’ambiente organismi geneticamente modificati [OGM] a scopo diverso dall’immissione in commercio all’interno [dell’Unione europea],

–        si immettono in commercio all’interno [dell’Unione] [OGM] come tali o contenuti in prodotti».

4        L’articolo 4 di tale direttiva, intitolato «Obblighi generali», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri, nel rispetto del principio precauzionale, provvedono affinché siano adottate tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM. Gli OGM possono essere deliberatamente emessi o immessi in commercio solo a norma, rispettivamente, della parte B o della parte C [che assoggettano tale emissione e tale immissione in commercio ad un’autorizzazione preventiva].

(...)».

5        L’articolo 22 della suddetta direttiva, intitolato «Libera circolazione», così dispone:

«Fatto salvo l’articolo 23, gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della presente direttiva».

6        L’articolo 23 della medesima direttiva, intitolato «Clausola di salvaguardia», al paragrafo 1, primo e secondo comma, prevede quanto segue:

«Qualora uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio.

Lo Stato membro provvede affinché, in caso di grave rischio, siano attuate misure di emergenza, quali la sospensione o la cessazione dell’immissione in commercio, e l’informazione del pubblico».

7        L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, rubricato «Misure volte ad evitare la presenza involontaria di OGM», è formulato nei seguenti termini:

«1.      Gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti.

2.      La Commissione raccoglie e coordina le informazioni basate su studi condotti a livello [dell’Unione] e nazionale, osserva gli sviluppi quanto alla coesistenza negli Stati membri e, sulla base delle informazioni e delle osservazioni, sviluppa orientamenti sulla coesistenza di colture geneticamente modificate, convenzionali e organiche».

 Il regolamento n. 1829/2003

8        Il considerando 9 del regolamento n. 1829/2003 è redatto nei seguenti termini:

«Le nuove procedure di autorizzazione per gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati dovrebbero comprendere i nuovi principi contenuti nella direttiva 2001/18/CE. Esse inoltre dovrebbero ricorrere al nuovo quadro per la valutazione dei rischi in materia di sicurezza degli alimenti fissato dal regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare [(GU 2002, L 31, pag. 1)]. In tal modo, gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati dovrebbero essere autorizzati ai fini dell’immissione sul mercato soltanto dopo una valutazione scientifica del più alto livello possibile, da effettuarsi sotto la responsabilità dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (“Autorità”), dei rischi che essi eventualmente presentino per la salute umana e animale o per l’ambiente. Detta valutazione scientifica dovrebbe essere seguita da una decisione relativa alla gestione del rischio adottata [dall’Unione] mediante una procedura di regolamentazione che garantisca una stretta cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri».

9        L’articolo 1 del regolamento n. 1829/2003, intitolato «Obiettivo», dispone quanto segue:

«Conformemente ai principi generali stabiliti dal regolamento (CE) n. 178/2002, il presente regolamento si propone i seguenti obiettivi:

a)      fornire la base per garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana, della salute e del benessere degli animali, dell’ambiente e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti e mangimi geneticamente modificati, garantendo nel contempo l’efficace funzionamento del mercato interno;

b)      istituire procedure [dell’Unione] per l’autorizzazione e vigilanza degli alimenti e mangimi geneticamente modificati;

c)      stabilire norme per l’etichettatura degli alimenti e mangimi geneticamente modificati».

10      L’articolo 3 del regolamento n. 1829/2003, intitolato «Campo di applicazione», al suo paragrafo 1, prevede quanto segue:

«La presente sezione si applica:

a)      agli OGM destinati all’alimentazione umana;

b)      agli alimenti che contengono o sono costituiti da OGM;

c)      agli alimenti che sono prodotti a partire da o che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM».

11      L’articolo 4 di tale regolamento, intitolato «Requisiti», così dispone:

«1.      Gli alimenti di cui all’articolo 3, paragrafo 1, non devono:

a) avere effetti nocivi sulla salute umana, la salute degli animali o l’ambiente;

(...)

2.      Nessuno può immettere in commercio un OGM destinato all’alimentazione umana o un alimento di cui all’articolo 3, paragrafo 1, a meno che per esso non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente alla presente sezione e a meno che non vengano rispettate le relative condizioni dell’autorizzazione.

(...)

5.      L’autorizzazione di cui al paragrafo 2 è rilasciata, rifiutata, rinnovata, modificata, sospesa o revocata soltanto per i motivi e secondo le procedure stabiliti nel presente regolamento.

(...)».

12      L’articolo 16 di detto regolamento prevede quanto segue.

«(...)

2.      Nessuno può immettere in commercio, usare o modificare [OGM destinati all’alimentazione degli animali, mangimi che contengono o sono costituiti da OGM o mangimi prodotti a partire da OGM], a meno che per ess[i] non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente alla presente sezione e a meno che non vengano rispettate le pertinenti condizioni dell’autorizzazione.

(...)

5.      L’autorizzazione di cui al paragrafo 2 è rilasciata, rifiutata, rinnovata, modificata, sospesa o revocata soltanto per i motivi e secondo le procedure stabiliti nel presente regolamento.

(...)».

13      L’articolo 19, paragrafo 5, del medesimo regolamento prevede quanto segue:

«L’autorizzazione concessa conformemente alla procedura del presente regolamento è valida in tutta [l’Unione] per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile conformemente all’articolo 23. (...)».

14      L’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento n. 1829/2003 così recita:

«In deroga all’articolo 16, paragrafo 2, i prodotti che rientrano nel campo d’applicazione della presente sezione e che sono stati legalmente immessi sul mercato [dell’Unione] prima della data di applicazione del presente regolamento, possono rimanere sul mercato e continuare ad essere utilizzati e lavorati purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:

a)      per quanto concerne i prodotti autorizzati in virtù delle direttive 90/220/CEE [, del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (GU 1990, L 117, pag. 15),] o della direttiva [2001/18], compreso l’uso quali mangimi, in virtù della direttiva 82/471/CEE [, del Consiglio, del 30 giugno 1982, relativa a taluni prodotti impiegati nell’alimentazione degli animali (GU 1982, L 213, pag. 8),] prodotti a partire da OGM, o in virtù della direttiva 70/524/CEE [, del Consiglio, del 23 novembre 1970, relativa agli additivi nell’alimentazione degli animali (GU 1970, L 270, pag. 1),] che contengono, sono costituiti o sono prodotti a partire da OGM, gli operatori responsabili della loro immissione in commercio notificano alla Commissione la data in cui essi sono stati per la prima volta immessi sul mercato [dell’Unione], entro sei mesi dalla data di applicazione del presente regolamento;

(...)».

15      Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, di tale regolamento:

«Le autorizzazioni ai sensi del presente regolamento sono rinnovabili per periodi decennali su presentazione alla Commissione di una domanda del titolare dell’autorizzazione […] almeno un anno prima della data di scadenza».

16      L’articolo 43 del regolamento n. 1829/2003 ha modificato, con effetto dalla data di entrata in vigore di tale regolamento, la direttiva 2001/18 inserendovi l’articolo 26 bis.

 La raccomandazione del 13 luglio 2010

17      I considerando 1 e 3 della raccomandazione del 13 luglio 2010 così recitano:

«(1)      L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE prevede la possibilità per gli Stati membri di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di [OGM] in altri prodotti, in particolare, per evitare la presenza di OGM in altre colture, come le colture convenzionali o biologiche.

(...)

(3)      Per le autorità pubbliche degli Stati membri può rivelarsi necessario definire, nelle zone di coltivazione di OGM, misure opportune per consentire ai consumatori e ai produttori di scegliere tra produzione convenzionale, biologica e geneticamente modificata (di seguito “misure di coesistenza”)».

18      Il punto1 di tale raccomandazione prevede quanto segue:

«Nell’elaborare le misure nazionali per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche è opportuno che gli Stati membri seguano gli orientamenti contenuti nell’allegato della presente raccomandazione».

19      Gli orientamenti allegati a detta raccomandazione, al punto 1.2, ultimo comma, enunciano quanto segue:

«Poiché nell’[Unione] possono essere coltivati solo OGM autorizzati e gli aspetti ambientali e sanitari sono già contemplati dalla valutazione del rischio ambientale della procedura di autorizzazione dell’[Unione], restano da affrontare nel quadro della coesistenza soltanto gli aspetti economici connessi alla commistione tra colture transgeniche e non transgeniche».

20      Il punto 1.4 di tali orientamenti, intitolato «Scopo e portata dei presenti orientamenti», prevede quanto segue:

«I presenti orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti, sono rivolti agli Stati membri. Essi mirano a fornire principi generali per l’elaborazione di misure nazionali atte ad evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche. È riconosciuto che molti dei fattori determinanti in questo contesto variano in funzione delle condizioni nazionali, regionali e locali».

21      Il punto 2 di detti orientamenti, intitolato «Principi generali per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche», contiene il seguente passaggio:

«2.2.      Proporzionalità

Le misure per evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture devono essere proporzionali all’obiettivo perseguito (la tutela delle esigenze specifiche degli agricoltori che operano secondo metodi convenzionali o biologici). Le misure di coesistenza devono evitare oneri non necessari a carico degli agricoltori, dei produttori di sementi, delle cooperative e degli altri operatori delle diverse filiere di produzione. Nella scelta delle misure si devono tenere in considerazione i vincoli e le caratteristiche regionali e locali, quali la forma e le dimensioni dei campi in una data regione, la frammentazione e la dispersione geografica dei campi di proprietà di singole aziende agricole e le pratiche di gestione agricola regionali.

2.3.      Livelli di commistione da raggiungere attraverso misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche

Le misure nazionali per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche devono tener conto delle conoscenze disponibili sulla probabilità e le fonti di commistione tra colture GM e non GM. Tali misure devono essere proporzionali al grado di commistione perseguito, che dipenderà dalle specificità regionali e nazionali e dalle esigenze locali specifiche delle colture e dei prodotti convenzionali, biologici o di altro tipo.

2.3.1.            In alcuni casi, la presenza di tracce di OGM negli alimenti e nei mangimi produce un effetto economico solo quando supera la soglia di etichettatura dello 0,9%. In questi casi, gli Stati membri possono considerare sufficienti le misure attuate per rispettare la soglia di etichettatura dello 0,9%.

2.3.2.            Laddove etichettare una coltura come GM non ha implicazioni economiche, gli Stati membri potrebbero non considerare necessario il perseguimento di gradi specifici di commistione.

2.3.3.            In alcuni altri casi, la potenziale perdita di reddito per i produttori biologici e taluni produttori convenzionali (p. es. alcuni produttori di alimenti) potrebbe essere dovuta alla presenza di tracce di OGM in percentuali inferiori allo 0,9%. In questi casi e al fine di tutelare particolari tipi di produzioni, gli Stati membri interessati possono adottare misure miranti a raggiungere percentuali di OGM inferiori allo 0,9% nelle altre colture.

Indipendentemente dal grado di commistione da perseguire attraverso misure di coesistenza, le soglie stabilite nella legislazione dell’[Unione] continueranno a valere per l’etichettatura della presenza di OGM negli alimenti, nei mangimi e nei prodotti destinati alla trasformazione diretta.

2.4.      Misure atte ad escludere la coltivazione di OGM da vaste aree (“zone senza OGM”)

Le differenze a livello regionale, quali le condizioni climatiche (che influenzano l’attività degli impollinatori e la dispersione di polline attraverso l’aria), la topografia, i modelli produttivi e i sistemi di rotazione delle colture o le strutture aziendali (comprese le strutture circostanti, come siepi, foreste, zone incolte e ubicazione delle superfici coltivate), possono influenzare il grado di commistione tra colture GM e colture convenzionali e biologiche nonché le misure necessarie per evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture.

In presenza di determinate condizioni economiche e naturali, gli Stati membri possono vagliare la possibilità di escludere la coltivazione di OGM da vaste zone nel loro territorio, onde evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche. Per attuare tale esclusione gli Stati membri devono dimostrare che in tali zone non è possibile raggiungere un livello sufficiente di purezza con altri mezzi. Inoltre, le misure restrittive devono essere proporzionali all’obiettivo perseguito (vale a dire la tutela delle esigenze specifiche degli agricoltori che operano secondo metodi convenzionali o biologici)».

 Diritto italiano

22      L’articolo 2.1 della legge della Regione Friuli Venezia Giulia dell’8 aprile 2011, n. 5 – Disposizioni relative all’applicazione di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura (Bollettino ufficiale della Regione Friuli Venezia Giulia n. 15, del 13 aprile 2011), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: la «legge regionale n. 5/2011»), prevede quanto segue:

«Al fine di evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche di mais, nel territorio del Friuli Venezia Giulia, caratterizzato da modelli produttivi e strutture aziendali che condizionano il grado di commistione tra le colture transgeniche e non transgeniche, è esclusa la coltivazione di mais geneticamente modificato in applicazione della facoltà riconosciuta dal paragrafo 2.4 della raccomandazione [del 13 luglio 2010]. La coltivazione di mais geneticamente modificato comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 000 euro a 50 000 euro irrogata dal Servizio competente in materia di Corpo forestale regionale».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

23      PH, proprietario di un’azienda agricola nel territorio della Regione FVG, il 9 maggio 2015 vi ha messo in coltura una varietà di mais geneticamente modificato MON 810.

24      L’11 agosto 2015, i servizi ambientali competenti della Regione FVG hanno irrogato a PH una sanzione pecuniaria di EUR 10 000 per aver coltivato tale mais in violazione dell’articolo 2.1 della legge regionale n. 5/2011.

25      In seguito alla contestazione di detta sanzione da parte di PH, il Direttore sostituto del Servizio foreste e corpo forestale della Regione FVG, con ordinanza ingiunzione dell’8 ottobre 2019, ha confermato tale violazione, ma ha ridotto la sanzione a EUR 5 000.

26      PH ha proposto opposizione avverso tale ordinanza ingiunzione dinanzi al Tribunale ordinario di Pordenone (Italia), giudice del rinvio.

27      Dopo aver richiamato il contenuto dell’articolo 2.1 della legge regionale n. 5/2011, del paragrafo 2.4 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010, dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, nonché degli articoli 16 e 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (GU 2002, L 193, pag. 1), tale giudice osserva che la controversia nel procedimento principale non riguarda il fatto che il mais MON 810 possa essere liberamente commercializzato all’interno dell’Unione, ma il fatto che, ai sensi della legge regionale n. 5/2011, esso non possa essere coltivato nell’intero territorio della Regione FVG. A tal proposito, esso ricorda, da un lato, che nell’ordinanza dell’8 maggio 2013, Fidenato (C‑542/12, non pubblicata, EU:C:2013:298), la Corte ha dichiarato che l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 deve essere interpretato nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura nel suo territorio di OGM, quali le varietà del mais MON 810, per il motivo che l’ottenimento di un’autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta ad evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture e, dall’altro, che con la decisione di esecuzione (UE) 2016/321 della Commissione, del 3 marzo 2016, che modifica l’ambito geografico dell’autorizzazione alla coltivazione del granturco geneticamente modificato (Zea mays L.) MON 810 (MON-ØØ81Ø‑6) (GU 2016, L 60, pag. 90), è stato disposto il divieto di coltivazione del mais OGM MON 810 in tutto il territorio italiano.

28      Alla luce di tali elementi nonché del petitum e dei motivi di ricorso dedotti dalle parti, il giudice del rinvio si chiede se, da un lato, il divieto, in applicazione dell’articolo 2.1 della legge regionale n. 5/2011, di coltivare mais geneticamente modificato nel territorio della Regione FVG sia conforme alla direttiva 2001/18, letta alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010, e se, dall’altro, tale divieto possa costituire una misura di effetto equivalente contraria agli articoli da 34 a 36 TFUE.

29      In tale contesto, il Tribunale ordinario di Pordenone ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se il divieto posto dall’articolo 2.1 della Legge Regionale Friuli Venezia Giulia n. 5/2011, il quale introduce misure di coesistenza che si risolvono nel divieto di coltivare la varietà di mais MON 810 nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia, sia conforme o si ponga in contrasto con l’intero impianto della direttiva 2001/18, anche alla luce del Regolamento 1829/2003 e di quanto specificato nella raccomandazione [del 13 luglio 2010];

2)      se il predetto divieto possa anche costituire una misura ad effetto equivalente e si ponga quindi in contrasto con gli articoli 34, 35, e 36 TFUE».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

 Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità

30      Il governo italiano contesta la ricevibilità della prima questione per il motivo che, da un lato, il giudice del rinvio non esporrebbe le ragioni per le quali la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe essere contraria alla direttiva 2001/18, al regolamento n. 1829/2003 e alla raccomandazione del 13 luglio 2010 e, dall’altro, tale questione non preciserebbe né le parti della raccomandazione del 13 luglio 2010 né le disposizioni della direttiva 2001/18 e del regolamento n. 1829/2003 applicabili nel caso di specie. Peraltro, tale governo fa valere che la prima questione è irricevibile nella parte in cui verte sulla raccomandazione del 13 luglio 2010, poiché la competenza della Corte in materia di questioni pregiudiziali si limiterebbe all’interpretazione degli atti delle istituzioni produttivi di effetti giuridici vincolanti.

31      In primo luogo, nei limiti in cui, con quest’ultimo argomento, il governo italiano mira in realtà a mettere in discussione la competenza della Corte a statuire sulla prima questione nella parte in cui essa verte sull’interpretazione della raccomandazione del 13 luglio 2010, occorre ricordare che l’articolo 267 TFUE attribuisce alla Corte la competenza a statuire, in via pregiudiziale, sulla validità e l’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza alcuna eccezione (sentenze del 13 dicembre 1989, Grimaldi, C‑322/88, EU:C:1989:646, punto 8, nonché del 13 giugno 2017, Florescu e a., C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 30).

32      Ne consegue che la Corte è competente a pronunciarsi sull’interpretazione della raccomandazione del 13 luglio 2010 e, pertanto, a statuire sulla prima questione nel suo insieme.

33      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la contestazione da parte del governo italiano della ricevibilità della prima questione per il motivo che il giudice nazionale non avrebbe esposto sufficientemente le ragioni per le quali pone tale questione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, i requisiti concernenti il contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale figurano espressamente nell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, che il giudice del rinvio, nell’ambito della cooperazione instaurata dall’articolo 267 TFUE, è tenuto a conoscere e rispettare scrupolosamente (sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

34      Pertanto, il giudice del rinvio deve indicare le ragioni precise che l’hanno portato ad interrogarsi sull’interpretazione di determinate disposizioni del diritto dell’Unione e a reputare necessario sottoporre delle questioni pregiudiziali alla Corte (sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

35      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge in maniera sufficiente che il giudice del rinvio è investito di una controversia relativa alla legittimità di una sanzione irrogata in applicazione di una disposizione legislativa emanata da una regione che vieta, per motivi legati alla prevenzione della presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali o biologiche, la coltivazione del mais geneticamente modificato MON 810 in tutto il suo territorio, che, al momento dell’irrogazione di tale sanzione, detta varietà poteva essere liberamente coltivata e commercializzata all’interno dell’Unione ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, che la disposizione di cui trattasi nel procedimento principale è stata adottata sulla base dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 e che tale giudice si interroga, nella prima questione, sulla validità di detta disposizione rispetto a tale direttiva, letta alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010.

36      Peraltro, il fatto che, in tale questione, il giudice del rinvio non abbia fatto riferimento ad alcuna disposizione specifica della direttiva 2001/18 e del regolamento n. 1829/2003, né ad alcuna parte specifica della raccomandazione del 13 luglio 2010, non incide sulla ricevibilità di detta questione.

37      Da una giurisprudenza costante della Corte risulta infatti che quest’ultima ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (sentenza del 28 giugno 2018, Crespo Rey, C‑2/17, EU:C:2018:511, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

38      Di conseguenza, la prima questione è ricevibile.

 Nel merito

39      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, come risulta dal punto 35 della presente sentenza, se l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, letto alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una misura nazionale che vieta, al fine di evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, la coltivazione nel territorio di una regione dello Stato membro interessato di OGM autorizzati ai sensi del regolamento n. 1829/2003.

40      In via preliminare, occorre ricordare che la direttiva 2001/18 mira, come risulta dal suo articolo 1, al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell’ambiente quando si emettono deliberatamente nell’ambiente OGM, attraverso l’immissione in commercio all’interno dell’Unione di OGM come tali o a uno scopo diverso da tale immissione in commercio. Per raggiungere tali obiettivi, essa assoggetta tali modalità di emissione deliberata nell’ambiente di OGM a procedure di autorizzazione che implicano una valutazione e un monitoraggio dei rischi per la salute umana e l’ambiente secondo modalità e principi armonizzati.

41      Inoltre, il regolamento n. 1829/2003 fornisce, come risulta dal suo articolo 1, la base per garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana, della salute e del benessere degli animali, dell’ambiente e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti e mangimi geneticamente modificati, garantendo nel contempo l’efficace funzionamento del mercato interno. A tal fine, stabilisce procedure standardizzate per l’autorizzazione e la vigilanza di tali alimenti e mangimi che, come emerge dal considerando 9, comprendono i principi contenuti nella direttiva 2001/18. L’articolo 19, paragrafo 5, di tale regolamento precisa che l’autorizzazione concessa conformemente alla procedura di quest’ultimo è valida in tutta l’Unione.

42      Per quanto riguarda il caso particolare del mais geneticamente modificato, l’immissione in commercio del mais MON 810 è stata autorizzata con decisione 98/293/CE della Commissione, del 22 aprile 1998, concernente l’immissione in commercio di granturco geneticamente modificato (Zea Mays L. T25), a norma della direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU 1998, L 131, pag. 32). Se è vero che la direttiva 90/220 è stata abrogata dalla direttiva 2001/18, l’autorizzazione all’immissione in commercio del mais MON 810 ha conservato la sua validità in applicazione degli articoli 20 e 23 del regolamento n. 1829/2003 ed era ancora valida alla data in cui è stata inflitta a PH la sanzione di cui trattasi nel procedimento principale.

43      Tuttavia, resta il fatto che l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 prevede, al suo paragrafo 1, che gli Stati membri possono adottare le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti.

44      È sulla base di tale disposizione che la Regione FVG ha adottato la legge regionale n. 5/2011, il cui articolo 2.1 vieta la coltivazione di mais geneticamente modificato in tutto il suo territorio e la cui validità è contestata da PH nell’ambito del procedimento principale.

45      Al fine di rispondere alla prima questione, come riformulata al punto 39 della presente sentenza, occorre dunque esaminare le condizioni di applicazione dell’articolo 26 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/18.

46      A tal proposito, in primo luogo, tale disposizione è destinata ad applicarsi non solo alle varietà di OGM autorizzate in conformità alle disposizioni di tale direttiva, ma anche a quelle le cui autorizzazioni sono state notificate o rinnovate in conformità agli articoli 20 e 23 del regolamento n. 1829/2003, quali le varietà di mais geneticamente modificato di cui trattasi nel procedimento principale (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2012, Pioneer Hi Bred Italia, C‑36/11, EU:C:2012:534, punti 60, 67 e 68, nonché ordinanza dell’8 maggio 2013, Fidenato, C‑542/12, non pubblicata, EU:C:2013:298, punto 23).

47      Inoltre, le misure di prevenzione adottate dagli Stati membri conformemente all’articolo 26 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/18 devono avere l’obiettivo di evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, e ciò al fine di consentire ai produttori e ai consumatori di avere la scelta tra una produzione biologica, una produzione convenzionale e una produzione che si avvale di OGM. Tali misure non possono mirare a proteggere la salute umana o l’ambiente. Infatti, la tutela di questi ultimi obiettivi è garantita dalle procedure armonizzate di autorizzazione per l’emissione deliberata di OGM, stabilite dalla direttiva 2001/18 e dal regolamento n. 1829/2003, che subordinano il rilascio di tali autorizzazioni ad una valutazione dei rischi di tale emissione per la salute umana e per l’ambiente. Dette misure mirano invece a preservare la pluralità delle colture e, in particolare, per quanto possibile, la coesistenza di colture di OGM, da un lato, e di colture biologiche e convenzionali, dall’altro. Pertanto, esse implicano che si tenga conto della rilevanza economica che può assumere per i produttori biologici e convenzionali la commistione di OGM nelle loro colture.

48      Di conseguenza, uno Stato membro non può subordinare ad un’autorizzazione nazionale, fondata su considerazioni di tutela della salute o dell’ambiente, la messa in coltura di OGM autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003. Inoltre, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 può dar luogo a restrizioni, e a fortiori a divieti geograficamente delimitati, solo per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate in osservanza delle loro finalità (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2012, Pioneer Hi Bred Italia, C‑36/11, EU:C:2012:534, punti 69 e 75). Infine, tale articolo esclude che una procedura di autorizzazione nazionale per la messa in coltura di OGM possa costituire una misura di coesistenza (v., in tal senso, ordinanza dell’8 maggio 2013, Fidenato, C‑542/12, non pubblicata, EU:C:2013:298, punto 33).

49      Inoltre, come risulta dalla formulazione dell’articolo 26 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, le misure adottate per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti devono essere «opportune». Tale requisito, letto alla luce del principio di proporzionalità, richiede che gli Stati membri facciano ricorso a misure che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo di evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti al fine di preservare la scelta dei consumatori e dei produttori, non vadano al di là di quanto necessario e arrechino il minor pregiudizio agli obiettivi e ai principi stabiliti da tale direttiva. Infatti, in applicazione della giurisprudenza della Corte relativa a tale principio, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2017, Commissione/Portogallo, C‑126/15, EU:C:2017:504, punto 64 e giurisprudenza citata).

50      Infine, per valutare se una misura di coesistenza soddisfi tali condizioni di applicazione dell’articolo 26 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, il giudice del rinvio è tenuto a prendere in considerazione gli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010, che sono stati adottati dalla Commissione sulla base dell’articolo 26 bis, paragrafo 2, di tale direttiva.

51      Infatti, se è vero che orientamenti del tipo di quelli allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010 non producono, in quanto tali, effetti vincolanti, ciò non toglie che i giudici nazionali sono tenuti a prenderli in considerazione ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in particolare quando sono tali da chiarire l’interpretazione di disposizioni dell’Unione attuate da disposizioni nazionali o mirano a precisare disposizioni del diritto dell’Unione aventi carattere vincolante (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2014, Baltlanta, C‑410/13, EU:C:2014:2134, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

52      Orbene, gli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010 espongono, al punto 2, i principi generali per l’elaborazione di misure di coesistenza da parte degli Stati membri e precisano così l’articolo 26 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/18.

53      Nel caso di specie, spetterà al giudice del rinvio valutare se il divieto, posto dall’articolo 2.1 della legge regionale n. 5/2011, di coltivare mais geneticamente modificato in tutto il territorio della Regione FVG persegua effettivamente l’obiettivo di garantire ai consumatori e ai produttori la scelta tra una produzione di mais geneticamente modificato e produzioni di mais biologico o convenzionale.

54      Tale giudice dovrà altresì valutare, alla luce degli argomenti presentati dalle parti nel procedimento principale, se tale divieto sia necessario e proporzionato al conseguimento di questo obiettivo. In tale contesto, esso dovrà in particolare prendere in considerazione i principi generali enunciati ai punti 2.2, 2.3 e 2.4 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010, che enunciano fattori pertinenti per definire la portata della misura richiesta, al fine di preservare la scelta dei produttori e dei consumatori tra colture di OGM e colture senza OGM.

55      Tra questi fattori figurano il livello di commistione da raggiungere attraverso le misure nazionali di coesistenza, di cui al punto 2.3 di tali orientamenti, che dipende dalle specificità regionali e nazionali e dalle esigenze locali specifiche delle colture e dei prodotti convenzionali, biologici o di altro tipo, ma anche le conoscenze disponibili sulla probabilità e sulle fonti di commistione tra colture con OGM e colture senza OGM. A tal riguardo, il grado di commistione tra tali colture, conformemente al punto 2.4 di detti orientamenti, può variare in funzione di diversi parametri quali le condizioni climatiche, la topografia, i modelli produttivi e i sistemi di rotazione delle colture o le strutture aziendali, comprese le strutture circostanti.

56      Pertanto, l’esame della proporzionalità del divieto di coltivare mais geneticamente modificato, di cui trattasi nel procedimento principale, in tutto il territorio della Regione FVG ai fini dell’obiettivo di garantire la scelta per i produttori e i consumatori dovrà tener conto del livello di commistione di mais geneticamente modificato da raggiungere nonché della probabilità di commistione tra tale mais geneticamente modificato e il mais coltivato in modo biologico o tradizionale.

57      Tale presa in considerazione implicherà, in particolare, che sia definito il livello di purezza da raggiungere, tenuto conto dell’incidenza economica che comporta la commistione di mais geneticamente modificato in colture convenzionali o biologiche. A tal riguardo, occorrerà, in particolare, valutare le conseguenze economiche di un superamento della soglia di etichettatura conformemente ai punti da 2.3.1 a 2.3.3 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010.

58      Inoltre, occorrerà prendere in considerazione le fonti del rischio di commistione nonché l’efficacia dei metodi di separazione delle colture, la quale deve essere valutata alla luce, tra l’altro, dei vincoli e delle caratteristiche geografiche e climatiche della Regione FVG e delle modalità di coltivazione ivi praticate. Come enunciato al punto 2.2 di tali orientamenti, dette caratteristiche sono in particolare la forma e le dimensioni dei campi in tale regione, la frammentazione e la dispersione geografica dei campi di proprietà di singole aziende agricole e le pratiche di gestione agricola di detta regione. Inoltre, come prevede il punto 2.4. di detti orientamenti, per attuare tale esclusione le autorità che l’hanno adottata dovranno dimostrare che nella Regione FVG non è possibile raggiungere un livello sufficiente di purezza con altri mezzi.

59      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, letto alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una misura nazionale che vieta, al fine di evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, la coltivazione nel territorio di una regione dello Stato membro di cui trattasi di OGM autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003, a condizione che tale misura consenta di raggiungere l’obiettivo di garantire ai produttori e ai consumatori la scelta tra prodotti provenienti da colture geneticamente modificate e prodotti provenienti da colture biologiche o convenzionali e che, alla luce delle peculiarità di dette colture in tale territorio, la suddetta misura sia necessaria a raggiungere tale obiettivo e sia proporzionata ad esso.

 Sulla seconda questione

60      Tenuto conto del tenore della prima questione, la seconda questione deve essere intesa nel senso che con essa ci si chiede se, qualora una misura nazionale vieti, nel territorio di una regione dello Stato membro di cui trattasi, la coltivazione di OGM autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003, conformemente all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, letto alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010, sia necessario verificare, ulteriormente e distintamente, se tale misura sia conforme agli articoli da 34 a 36 TFUE.

61      Secondo costante giurisprudenza, qualora un settore sia stato oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione, qualsiasi misura nazionale ad esso relativa deve essere valutata alla luce delle disposizioni dell’atto di armonizzazione, e non anche delle disposizioni del diritto primario (sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

62      A tal riguardo, occorre osservare che la direttiva 2001/18 e il regolamento n. 1829/2003 assoggettano l’immissione in commercio di OGM attraverso un prodotto, un alimento o mangimi ad un regime di autorizzazione preventiva stabilito a livello dell’Unione.

63      In tal senso, l’articolo 4, paragrafi 2 e 5, e l’articolo 16, paragrafi 2 e 5, del regolamento n. 1829/2003 prevedono, rispettivamente, che gli OGM destinati all’alimentazione umana o agli alimenti, da un lato, e gli OGM destinati all’alimentazione degli animali, i mangimi che contengono o sono costituiti da OGM, o i mangimi prodotti a partire da OGM, dall’altro, non possono essere immessi in commercio in assenza di autorizzazioni che sono rilasciate, rifiutate, modificate, sospese o revocate soltanto per i motivi e secondo le procedure stabiliti in tale regolamento.

64      Inoltre, l’articolo 4 della direttiva 2001/18 dispone che gli OGM possono essere emessi deliberatamente o immessi in commercio solo secondo le procedure di autorizzazione previste da tale direttiva. L’articolo 22 di tale direttiva prevede espressamente che gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della medesima direttiva.

65      Infine, le deroghe a tale divieto che formano la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 23 della direttiva 2001/18 e la possibilità di adottare misure di coesistenza prevista all’articolo 26 bis di tale direttiva sono delimitate con precisione e, pertanto, non possono rimettere in discussione il fatto che le condizioni di immissione in commercio di OGM sono essenzialmente disciplinate in modo uniforme a livello dell’Unione.

66      Si deve pertanto ritenere che la direttiva 2001/18 e il regolamento n. 1829/2003 abbiano operato un’armonizzazione delle condizioni di immissione in commercio degli OGM tramite prodotti, alimenti o mangimi. Qualsiasi misura nazionale che vieti la coltivazione e l’immissione in commercio di OGM deve, di conseguenza, essere esaminata alla luce delle disposizioni di tale quadro normativo e non degli articoli da 34 a 36 TFUE.

67      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che, qualora una misura nazionale vieti, nel territorio di una regione dello Stato membro di cui trattasi, la coltivazione di OGM autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003, in conformità all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, letto alla luce del regolamento n. 1829/2003 e della raccomandazione del 13 luglio 2010, non è necessario verificare, ulteriormente e distintamente, se tale misura sia conforme agli articoli da 34 a 36 TFUE.

 Sulle spese

68      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, letto alla luce di tale regolamento e della raccomandazione della Commissione del 13 luglio 2010 recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una misura nazionale che vieta, al fine di evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti, la coltivazione nel territorio di una regione dello Stato membro di cui trattasi di organismi geneticamente modificati autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003, a condizione che tale misura consenta di raggiungere l’obiettivo di garantire ai produttori e ai consumatori la scelta tra prodotti provenienti da colture geneticamente modificate e prodotti provenienti da colture biologiche o convenzionali e che, alla luce delle peculiarità di dette colture in tale territorio, la suddetta misura sia necessaria a raggiungere tale obiettivo e sia proporzionata ad esso.

2)      Qualora una misura nazionale vieti, nel territorio di una regione dello Stato membro di cui trattasi, la coltivazione di organismi geneticamente modificati autorizzati in forza del regolamento n. 1829/2003, in conformità all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, come modificata dal regolamento n. 1829/2003, letto alla luce di tale regolamento e della raccomandazione della Commissione del 13 luglio 2010 recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche, non è necessario verificare, ulteriormente e distintamente, se tale misura sia conforme agli articoli da 34 a 36 TFUE.

Firme


*      Lingua processuale: l’italiano.