Language of document : ECLI:EU:T:2010:67

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

4 marzo 2010 (*)

«Dumping – Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Cina e del Vietnam – Status di impresa operante in economia di mercato – Trattamento individuale – Campionamento – Sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria – Definizione del prodotto in esame – Parità di trattamento – Pregiudizio – Legittimo affidamento – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑401/06,

Brosmann Footwear (HK) Ltd, con sede in Kowloon (Cina),

Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, con sede in Zhongshan (Cina),

Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd, con sede in Guangzhou (Cina),

Risen Footwear (HK) Co., Ltd, con sede in Kowloon,

rappresentati dagli avv.ti L. Ruessmann e A. Willems,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. J.-P. Hix, in qualità di agente, assistito dall’avv. G. Berrisch,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata dai sigg. H. van Vliet e T. Scharf, in qualità di agenti,

e da

Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC), con sede in Bruxelles, rappresentata inizialmente dagli avv.ti P. Vlaemminck, G. Zonnekeyn e S. Verhulst, successivamente dagli avv.ti Vlaemminck e A. Hubert,

intervenienti

avente ad oggetto la domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 5 ottobre 2006, n. 1472, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1), nella parte in cui riguarda le ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto dalla sig.ra. M.E. Martins Ribeiro, presidente, dai sigg. S. Papasavvas (relatore) e A. Dittrich, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kantza, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 febbraio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        L’art. 1, nn. 1, 2 e 4, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato (in prosieguo: il «regolamento di base»), dispone quanto segue:

«1. Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

2. Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.

(...)

4. Ai fini del presente regolamento, per “prodotto simile” si intende un prodotto identico, vale a dire simile sotto tutti gli aspetti al prodotto considerato oppure, in mancanza di un tale prodotto, un altro prodotto che, pur non essendo simile sotto tutti gli aspetti, abbia caratteristiche molto somiglianti a quelle del prodotto considerato».

2        Quanto alle condizioni per la concessione dello status di impresa operante in economia di mercato (in prosieguo: il «SEM»), l’art. 2, n. 7, lett. b) e c), del regolamento di base così statuisce:

«b)      Nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza (...) dalla Repubblica popolare cinese (...), il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta (...), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Qualora ciò non sia possibile, si applica il regime (sancito) alla lettera a).

c)      La domanda di cui [all’art. 2, n. 7, lett.] b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato (...)

         Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta (...)».

3        Per quanto riguarda l’accertamento di un pregiudizio, l’art. 3, nn. 2, 3, 6 e 7, del regolamento di base prevede quanto segue:

«2.      L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

3. (...) Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti (...)

6. Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che può essere considerata grave.

7. Oltre alle importazioni oggetto di dumping, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono, tra l’altro, il volume e i prezzi delle importazioni non vendute a prezzi di dumping, la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi, le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e comunitari [e] la concorrenza tra gli stessi, nonché gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria comunitaria in materia di esportazioni e di produttività».

4        Quanto alle condizioni per l’avvio di un’inchiesta antidumping, l’art. 5, nn. 2, 3 e 4, del regolamento di base dispone quanto segue:

«2. La denuncia di cui al paragrafo 1 deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio (...)

3. La Commissione esamina, per quanto possibile, l’esattezza e l’adeguatezza degli elementi di prova contenuti nella denuncia, per determinare se siano sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta.

4. Un’inchiesta può essere avviata a norma del paragrafo 1 unicamente se[,] previo esame del grado di sostegno o di opposizione alla denuncia espresso dai produttori comunitari del prodotto simile, è stato accertato che la denuncia è presentata dall’industria comunitaria o per suo conto. La denuncia si considera presentata dall’industria comunitaria, o per suo conto, se è sostenuta dai produttori comunitari che complessivamente realizzano oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. L’inchiesta tuttavia non può essere aperta se i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia effettuano meno del 25% della produzione totale del prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria».

5        L’art. 6, nn. 8 e 9, del regolamento di base così recita:

«8. Salvo nei casi di cui all’articolo 18, l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze deve essere accertata con la massima accuratezza.

9. Per i procedimenti avviati a norma dell’articolo 5, paragrafo 9, l’inchiesta viene conclusa, ove possibile, entro un anno. In ogni caso, essa si conclude entro quindici mesi dall’inizio, conformemente alle conclusioni raggiunte a norma degli articoli 8 o 9».

6        A termini dell’art. 9, n. 5, secondo comma, e dell’art. 9, n. 6, del regolamento di base:

«5. (...)

Nei casi in cui si applica l’articolo 2, paragrafo 7, [lett.] a), viene tuttavia fissato un dazio individuale per gli esportatori in grado di dimostrare, presentando richieste debitamente motivate, che:

a)      nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture, sono liberi di rimpatriare i capitali e i profitti;

b)      i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente;

c)      la maggior parte delle azioni appartiene a privati, che i funzionari statali che ricoprono cariche nel Consiglio di amministrazione o si trovano in una posizione direttiva chiave sono in minoranza o che la società è sufficientemente libera dall’ingerenza dello Stato;

d)      le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato;

e)      l’ingerenza dello Stato non è tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

6. Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione (...). Si applicano dazi individuali alle importazioni provenienti da esportatori o produttori che sono stati sottoposti ad un esame individuale, a norma dell’articolo 17».

7        Per quanto concerne la tecnica consistente nel ricorso al campionamento, l’art. 17, nn. 1 e 3, del regolamento di base dispone quanto segue:

«1. Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(...)

3. Qualora l’esame sia stato limitato ai sensi del presente articolo, viene comunque determinato un margine di dumping individuale per gli esportatori o i produttori non inseriti nella selezione iniziale che presentino le informazioni necessarie entro i termini fissati dal presente regolamento, a meno che il numero di esportatori o produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso e da impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta».

8        A termini dell’art. 18, nn. 3 e 4, del regolamento di base:

«3. Le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza.

4. Se le informazioni o gli elementi di prova non sono accettati, la parte che li ha forniti viene immediatamente informata del motivo e ha la possibilità di dare ulteriori spiegazioni entro il termine specificato. Se le spiegazioni non sono considerate soddisfacenti, i motivi che hanno giustificato il rifiuto degli elementi di prova o delle informazioni vengono resi noti ed indicati nelle conclusioni pubblicate».

9        L’art. 20, nn. 1 e 2, del regolamento di base così dispone:

«1. I denunzianti, gli importatori, gli esportatori e le loro associazioni rappresentative e i rappresentanti del paese esportatore possono chiedere di essere informati degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono state istituite le misure provvisorie. Le domande di informazioni devono essere presentate per iscritto immediatamente dopo l’istituzione delle misure provvisorie e le informazioni sono comunicate il più rapidamente possibile per iscritto.

2. Le parti di cui al paragrafo 1 possono chiedere di essere informate dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive oppure la chiusura di un’inchiesta o di un procedimento senza l’istituzione di misure definitive, in particolare per quanto riguarda eventuali fatti e considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie».

 Fatti e regolamento impugnato

10      La Brosmann Footwear (HK) Ltd, la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, la Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd e la Risen Footwear (HK) Co., Ltd, ricorrenti, sono società produttrici ed esportatrici di calzature stabilite in Cina.

11      Le importazioni di calzature originarie della Cina e ricadenti sotto taluni codici della nomenclatura combinata erano soggette al regime dei contingenti quantitativi scaduto il 1° gennaio 2005.

12      A seguito di una denuncia depositata il 30 maggio 2005 dalla Confédération européenne de l’industrie de la chaussure (Confederazione europea dell’industria calzaturiera; in prosieguo: la «CEC»), la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. L’avviso di apertura di tale procedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 luglio 2005 (GU C 166, pag. 14; in prosieguo: l’«avviso di apertura»).

13      In considerazione dell’elevato numero di parti interessate, al punto 5.1, lett. a), dell’avviso di apertura si è stabilito di ricorrere alla tecnica del campionamento, in conformità all’art. 17 del regolamento di base.

14      Le ricorrenti hanno contattato la Commissione fornendole, il 25 e il 26 luglio 2005, le informazioni richieste dal punto 5.1, lett. a), i), e lett. e), dell’avviso di apertura al fine di far parte del campione di produttori esportatori che tale istituzione si proponeva di selezionare in base all’art. 17 del regolamento di base e al fine di ottenere il riconoscimento del SEM o, altrimenti, di beneficiare di un trattamento individuale (in prosieguo: il «TI»).

15      In data 23 marzo 2006 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 553, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 98, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).

16      Ai sensi del nono ‘considerando’ del regolamento provvisorio, l’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° aprile 2004 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo d’inchiesta»). L’esame degli elementi utili all’accertamento del pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° gennaio 2001 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo considerato»).

17      Tenuto conto della necessità di stabilire un valore normale relativamente ai prodotti dei produttori esportatori cinesi e vietnamiti ai quali non possa accordarsi il SEM, è stata effettuata una visita di verifica destinata a fissare il valore normale in base a dati attinenti ad un paese analogo, nella fattispecie la Repubblica federativa del Brasile, nei locali di tre società brasiliane (ottavo ‘considerando’ del regolamento provvisorio).

18      Per quanto riguarda il prodotto in esame, dai ‘considerando’ 10, 11, 40 e 41 del regolamento provvisorio risulta che questo riguarda essenzialmente i sandali, gli stivali, le calzature urbane e le scarpe da città, fabbricati tutti con tomaie di cuoio naturale o ricostituito. Inoltre, dai ‘considerando’ da 12 a 31 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha espunto dalla definizione del prodotto in esame le calzature sportive con tecnologie speciali (Special Technology Athletic Footwear; in prosieguo: le «STAF») e che vi ha incluso le calzature per bambini. Ai sensi del ‘considerando’ 38 del regolamento provvisorio, per tutte le calzature con tomaia di cuoio, benché varino molto per stile e per tipo, le caratteristiche essenziali, l’uso finale e la percezione dei consumatori sono fondamentalmente gli stessi. Tutti questi tipi e stili diversi di calzature sono pertanto, ai sensi del ‘considerando’ 39 dello stesso regolamento, in concorrenza diretta tra loro e sono in ampia misura interscambiabili.

19      La Commissione ha quindi concluso, al ‘considerando’ 52 del regolamento provvisorio, che tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito prodotti e venduti nei paesi di cui trattasi e in Brasile, così come quelli prodotti e venduti dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità, erano simili ai tipi esportati dai paesi in questione nella Comunità.

20      Nell’accertamento del dumping la Commissione ha fatto ricorso alla tecnica del campionamento. Secondo il ‘considerando’ 55 del regolamento provvisorio, dei produttori esportatori cinesi che hanno manifestato la volontà di essere compresi nel campione, 154 hanno effettuato esportazioni nella Comunità durante il periodo d’inchiesta. Ai sensi dello stesso ‘considerando’, queste società sono state inizialmente ritenute società che hanno collaborato e sono state selezionate per la formazione del campione. 

21      Dal ‘considerando’ 57 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha infine selezionato un campione comprendente tredici produttori esportatori cinesi, che rappresentano più del 20% del volume delle esportazioni cinesi nella Comunità. Secondo il ‘considerando’ 59 del medesimo regolamento, i criteri adottati ai fini della selezione in discorso erano, in primo luogo, le dimensioni del produttore esportatore in termini di vendite all’esportazione nella Comunità e, in secondo luogo, le dimensioni dello stesso in termini di vendite sul mercato interno. Per quanto concerne quest’ultimo criterio, al ‘considerando’ 60 del regolamento provvisorio la Commissione ha affermato che i dati relativi alle vendite sul mercato interno aumentavano la rappresentatività del campione fornendo informazioni sui prezzi e sui costi connessi alla produzione e alla vendita del prodotto in esame nei mercati interni. Secondo il ‘considerando’ 61 del regolamento provvisorio, le società cinesi inserite nel campione rappresentavano il 25% dei quantitativi esportati nella Comunità e il 42% delle vendite effettuate nel mercato interno cinese dagli esportatori che hanno cooperato all’inchiesta. In base a questo stesso ‘considerando’, l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame non ha influito significativamente sulla rappresentatività dei campioni.

22      Ai sensi del ‘considerando’ 62 del regolamento provvisorio, i produttori esportatori esclusi dal campione sono stati informati che tutti i dazi antidumping ad essi relativi sarebbero stati calcolati in conformità delle disposizioni dell’art. 9, n. 6, del regolamento di base. Quanto alle domande presentate da tali produttori esportatori in ordine ad un esame individuale del margine di dumping ai sensi dell’art. 9, n. 6, e dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base, al ‘considerando’ 64 del regolamento provvisorio la Commissione ha ritenuto che un loro esame individuale sarebbe stato indebitamente gravoso e avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta. In tale contesto, il margine di dumping di questi produttori è stato determinato stabilendo la media ponderata dei margini di dumping delle società incluse nel campione (‘considerando’ 135 e 143 del regolamento provvisorio).

23      Una delle tredici società inizialmente incluse nel campione non ha risposto al questionario antidumping che la Commissione le ha inviato (‘considerando’ 63 del regolamento provvisorio).

24      Per quanto concerne la definizione dell’industria comunitaria, al ‘considerando’ 150 del regolamento provvisorio la Commissione ha rilevato che i denuncianti rappresentavano il 42% della produzione comunitaria totale del prodotto in esame. Secondo i ‘considerando’ 65 e 151 del regolamento provvisorio, la Commissione ha selezionato un campione di dieci produttori comunitari in base al volume di produzione e all’ubicazione di questi. I produttori inclusi nel campione rappresenterebbero il 10% della produzione dei denuncianti. Quindi, si è ritenuto che gli 814 produttori comunitari per conto dei quali era stata depositata la denuncia costituissero l’«industria comunitaria» ai sensi dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base (‘considerando’ 152 del regolamento provvisorio).

25      Per quanto riguarda l’identità dei produttori comunitari inseriti nel campione, la Commissione ha rilevato che nella Comunità taluni avevano clienti che si rifornivano anche in Cina e in Vietnam e che quindi beneficiavano direttamente delle importazioni in causa. Detti produttori si troverebbero pertanto in «una posizione sensibile», giacché alcuni dei loro clienti possono non vedere di buon occhio il fatto che abbiano presentato o sostenuto una denuncia contro presunte pratiche di dumping pregiudizievole. Tali produttori riterrebbero dunque di «correre il rischio di ritorsioni» da parte di alcuni dei loro clienti, i quali potrebbero eventualmente decidere di mettere fine alle loro relazioni commerciali. La Commissione ha pertanto accolto la richiesta di trattamento confidenziale delle società incluse nel campione per quanto riguarda la divulgazione del loro nome (ottavo ‘considerando’ del regolamento provvisorio).

26      Per quanto attiene al livello che le misure antidumping provvisorie devono raggiungere per eliminare il pregiudizio, al ‘considerando’ 284 del regolamento provvisorio, la Commissione ha precisato che l’industria comunitaria poteva prevedere di ottenere un margine di utile del 2% sul fatturato in assenza di pratiche di dumping pregiudizievole. Secondo lo stesso ‘considerando’, questo margine di utile corrisponde al più alto livello di utile conseguito dall’industria comunitaria nel corso del periodo considerato e in particolare nel 2002, quando le quote di mercato dei paesi in questione erano relativamente limitate rispetto a quelle registrate durante il periodo d’inchiesta.

27      Con lettere del 7 e del 12 aprile 2006, in applicazione dell’art. 14, n. 2, e dell’art. 20, n. 1, del regolamento di base, la Commissione ha inviato alle ricorrenti, rispettivamente, una copia del regolamento provvisorio e un documento contenente informazioni sugli elementi specifici dei fatti e delle considerazioni principali in base ai quali sono stati istituiti dazi antidumping provvisori (in prosieguo: il «documento informativo intermedio»). La Commissione ha invitato le ricorrenti a trasmetterle loro eventuali osservazioni su tali documenti entro l’8 maggio 2006.

28      Con lettere dell’8 maggio 2006 due delle ricorrenti, la Brosmann Footwear (HK) (in prosieguo: la «Brosmann») e la Lung Pao Footwear (Guangzhou) (in prosieguo: la «Lung Pao»), hanno trasmesso alla Commissione proprie osservazioni sul regolamento provvisorio e sul documento informativo intermedio.

29      Il 2 giugno 2006 ha avuto luogo un incontro tra la Lung Pao e la Commissione presso la sede di quest’ultima.

30      Con fax dell’8 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti, in applicazione dell’art. 20, nn. 2‑4, del regolamento di base, un documento di informazione finale sui principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di dazi antidumping definitivi. La Commissione ha invitato le ricorrenti a trasmetterle proprie osservazioni sul documento di informazione finale entro il 17 luglio 2006.

31      Con lettera del 28 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti un documento di informazione finale supplementare.

32      Con lettere del 17 luglio e del 2 agosto 2006 tre delle ricorrenti, la Brosmann, la Seasonable Footwear (Zhongshan), la Lung Pao nonché la Novi Footwear (Far East) Pte Ltd, hanno trasmesso alla Commissione proprie osservazioni sul documento di informazione finale e sul documento di informazione finale supplementare. Con lettera del 7 agosto 2006 l’altra ricorrente, la Risen Footwear (HK) Co. ha trasmesso alla Commissione le sue osservazioni sul documento di informazione finale supplementare.

33      Il 5 ottobre 2006 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 1472/2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). In forza del regolamento impugnato, il Consiglio ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle STAF, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Cina e ricadenti sotto vari codici della nomenclatura combinata (art. 1 del regolamento impugnato). L’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, delle calzature fabbricate dalle ricorrenti, è stato stabilito al 16,5%. Ai sensi dell’art. 3 del regolamento impugnato, esso resta in vigore per un periodo di due anni.

34      Per quanto attiene al prodotto in esame, il Consiglio ha confermato le valutazioni della Commissione (v. punto 18 supra), secondo cui le STAF dovrebbero essere escluse dalla definizione dello stesso, mentre vi dovrebbero essere incluse le calzature per bambini (‘considerando’ 19 e 25 del regolamento impugnato). Per contro il Consiglio ha respinto le domande dirette ad escludere dalla definizione del prodotto in esame sei tipi di calzature, tra cui le calzature che ricorrono a tecnologie brevettate. Relativamente a questa categoria di calzature, il Consiglio ha rilevato che una tecnologia brevettata non rappresentava di per sé una modifica sostanziale delle caratteristiche che ne fanno calzature destinate ad un uso normale. Pertanto, tali calzature rimarrebbero in concorrenza con la produzione comunitaria del prodotto in esame (‘considerando’ 37 del regolamento impugnato).

35      Per quanto riguarda la rappresentatività del campione dei produttori cinesi, al ‘considerando’ 44 del regolamento impugnato il Consiglio ha sottolineato che le società in esso selezionate rappresentavano più del 12% delle quantità esportate nella Comunità dai produttori che hanno cooperato all’inchiesta. Dal momento che l’art. 17 del regolamento di base non prevedrebbe una soglia per quanto attiene al livello di rappresentatività, ai sensi di tale disposizione il campione selezionato sarebbe rappresentativo. 

36      Al ‘considerando’ 46 del regolamento impugnato il Consiglio ha altresì specificato che la metodologia applicata doveva garantire la maggiore rappresentatività possibile dei campioni e includere nel massimo volume rappresentativo di esportazioni, tale da poter essere ragionevolmente esaminato nell’ambito dell’inchiesta, alcune società che effettuano vendite rappresentative nel mercato interno.

37      Quanto al campione dei produttori comunitari, ai ‘considerando’ da 53 a 59 del regolamento impugnato il Consiglio ha respinto tutte le censure che ne mettevano in dubbio la rappresentatività e, pertanto, ha confermato le valutazioni che la Commissione aveva effettuato nel regolamento provvisorio (v. punto 24 supra).

38      Per quanto attiene alle questioni connesse alle domande formulate da varie società dirette alla concessione del SEM, su cui la Commissione non si era pronunciata, il Consiglio ha dedicato ad esse i ‘considerando’ da 60 a 65 del regolamento impugnato.

39      Secondo tali ‘considerando’, il fatto che la Commissione non abbia risposto individualmente a ciascuna domanda ad essa presentata al riguardo non configura una violazione del regolamento di base. Al contrario, tale circostanza sarebbe conforme al suo art. 17. La metodologia di campionamento di cui a tale articolo sarebbe applicabile anche nel caso in cui un numero elevato di società interessate chiedessero la concessione del SEM o di un TI. Nel caso di specie, il numero straordinariamente elevato di richieste presentate dalle società interessate non avrebbe lasciato all’amministrazione altra possibilità che esaminare soltanto quelle provenienti dalle società del campione onde conciliare gli obblighi riconducibili ad un’analisi del dossier il più individualizzata possibile con il rispetto delle scadenze imperative. Ciò avrebbe implicato l’applicazione a tutte le società non selezionate nel campione del margine medio ponderato calcolato per le imprese del campione. Ne discenderebbe che anche le censure formulate nel corso del procedimento amministrativo, secondo cui il calcolo del dumping non sarebbe rappresentativo, dovrebbero essere respinte.

40      Tali considerazioni varrebbero del pari per le domande dirette alla concessione di un TI.

41      Per quanto riguarda la definizione dell’industria comunitaria, al ‘considerando’ 157 del regolamento impugnato il Consiglio ha sottolineato che nessuno dei denuncianti si era astenuto dal cooperare all’inchiesta. I questionari completi relativi al pregiudizio sarebbero stati inviati solo ai produttori comunitari inclusi nel campione, circostanza che dipenderebbe dalla natura stessa del campionamento (‘considerando’ 158 del regolamento impugnato).

42      Quanto al livello che le misure antidumping definitive dovevano raggiungere al fine di eliminare il pregiudizio, al ‘considerando’ 292 del regolamento impugnato il Consiglio ha fatto riferimento a dati forniti dall’industria comunitaria successivamente all’imposizione dei dazi provvisori, che dimostrerebbero che il margine di utili del 2% fissato dal regolamento provvisorio (v. punto 26 supra) doveva essere riconsiderato. Su tale base il Consiglio ha portato detto margine di utili al 6% sul fatturato dell’industria comunitaria precisando che quest’ultima aveva conseguito un simile margine di profitto per calzature non soggette a dumping pregiudizievole.

 Procedimento e conclusioni delle parti

43      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 dicembre 2006 le ricorrenti hanno presentato il ricorso in esame.

44      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 marzo 2007 la Commissione ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con lettera del 27 agosto 2007 la Commissione ha comunicato al Tribunale che essa rinunciava a depositare una memoria di intervento, ma che avrebbe preso parte all’udienza.

45      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 aprile 2007 la CEC ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

46      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 21 maggio 2007 e il 30 maggio 2008 le ricorrenti hanno chiesto che taluni documenti e informazioni contenuti nelle loro memorie fossero espunte dal fascicolo comunicato alla CEC ai sensi dell’art. 116, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale. A tal fine esse hanno prodotto una versione non confidenziale dei documenti interessati.

47      Con ordinanza del 2 agosto 2007 il Presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso le domande di intervento presentate dalla Commissione e dalla CEC.

48      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 agosto 2007, la CEC ha dichiarato di non avere obiezioni sulla domanda di trattamento confidenziale presentata dalle ricorrenti.

49      La CEC ha depositato la propria memoria di intervento il 19 settembre 2007.

50      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

51      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale.

52      Le parti hanno svolto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti loro posti dal Tribunale all’udienza dell’11 febbraio 2009.

53      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui impone dazi antidumping sulle calzature che esse esportano;

–        condannare il Consiglio alle spese.

54      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso irricevibile o infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

55      La Commissione chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

56      La CEC chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese connesse al suo intervento. 

 In diritto

57      A sostegno del loro ricorso le ricorrenti adducono otto motivi, relativi rispettivamente:

–        alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. b), e dell’art. 9, n. 5, del regolamento di base, nonché alla violazione dei principi di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento,

–        alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. c), e dell’art. 18 del regolamento di base nonché alla violazione del diritto di difesa,

–        ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base,

–        ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione dell’art. 1, n. 4, e degli artt. 2 e 3 del regolamento di base,

–        ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione dell’art. 17 del regolamento di base e dell’art. 253 CE,

–        ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base e dell’art. 253 CE,

–        ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base,

–        ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 9, n. 4, del regolamento di base.

58      Poiché i primi due motivi si riferiscono agli errori che si asseriscono commessi dalla Commissione, per aver questa negato la concessione del SEM o di un TI alle ricorrenti senza peraltro esaminarne le domande di SEM/TI, essi saranno analizzati congiuntamente.

 Sui primi due motivi, relativi alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. b) e c), dell’art. 9, n. 5, e dell’art. 18 del regolamento di base, alla violazione dei principi di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento nonché alla violazione del diritto di difesa

 Argomenti delle parti

59      Nell’ambito del primo motivo, le ricorrenti fanno valere che, esaminando solo le domande di SEM/TI presentate dalle società facenti parte del campione dei produttori esportatori, la Commissione e il Consiglio hanno violato l’art. 2, n. 7, e l’art. 9, n. 5, del regolamento di base.

60      Infatti, dall’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base risulterebbe che per quanto riguarda le importazioni originarie della Cina, le istituzioni sono tenute a determinare il valore normale ai sensi dei nn. 1‑6 di tale disposizione, purché i produttori interessati introducano richieste «debitamente motivate». Allo stesso modo, dall’art. 9, n. 5, secondo comma, del regolamento di base risulterebbe che, nel caso in cui il SEM non venga concesso, il valore normale andrebbe paragonato ai prezzi praticati all’esportazione dall’esportatore interessato (TI), sempre che quest’ultimo presenti una richiesta debitamente documentata che dimostri che le condizioni elencate in tale disposizione sono soddisfatte.

61      Come il loro testo confermerebbe, l’art. 2, n. 7, lett. b), e l’art. 9, n. 5, del regolamento di base sarebbero applicabili solo su base individuale, dato che implicherebbero la considerazione delle caratteristiche specifiche di ciascun esportatore interessato.

62      Le disposizioni relative al campionamento concernerebbero un numero limitato di aspetti attinenti al calcolo dei margini di dumping, in conformità dell’art. 2, n. 11, del regolamento di base, o al calcolo del pregiudizio e non riguarderebbero le condizioni economiche nelle quali opera ciascuna società, elementi che non potrebbero essere oggetto di campionamento. L’art. 2, n. 7, lett. b), e l’art. 9, n. 5, del regolamento di base sarebbero privati del loro significato se, mediante il ricorso alla tecnica del campionamento, le istituzioni venissero liberate dagli obblighi derivanti da tali disposizioni, che tuttavia sarebbero redatte in termini imperativi e non lascerebbero alcun margine di discrezionalità. Pertanto, la questione pertinente non sarebbe quella di chiarire se le istituzioni abbiano correttamente applicato l’art. 17 del regolamento di base ai fini del calcolo del margine di dumping, bensì se esse possano legittimamente ricorrere a tale disposizione per non prendere in considerazione le richieste di SEM/TI presentate da operatori non inclusi nel campione e, pertanto, riservare lo stesso trattamento alle società la cui richiesta doveva essere accolta e a quelle la cui richiesta non lo doveva essere.

63      In caso di ricorso al campionamento, le istituzioni dovrebbero quindi applicare alle società non incluse nel campione, ma la cui richiesta di SEM/TI è stata accolta, il margine medio ponderato di dumping stabilito per le società del campione che beneficiano del SEM ovvero, a seconda dei casi, di un TI. La giurisprudenza del Tribunale dovrebbe essere interpretata nel senso che essa osta al diniego automatico del SEM o di un TI a società che lo «meritino».

64      Inoltre, la prassi precedentemente seguita dalle istituzioni nell’ambito di due altre cause confermerebbe che tutte le richieste di SEM/TI devono essere esaminate individualmente. Oltretutto, le istituzioni non possono far valere vincoli amministrativi per giustificare il mancato rispetto del loro obbligo di esaminare tutte le richieste di SEM/TI, dal momento che per tale esame sarebbe stato sufficiente un limitato numero di agenti supplementari. 

65      Per di più, l’approccio delle istituzioni equivarrebbe ad una violazione del principio della parità di trattamento dal momento che essa riserva lo stesso trattamento alle società che hanno cooperato, hanno fornito gli elementi richiesti ai fini del campionamento, hanno presentato richieste di SEM/TI e «meritavano» di ottenere la concessione del SEM o di un TI, da un lato, e a quelle che non hanno fornito tali informazioni o non hanno presentato siffatte richieste o non «meritavano» il SEM o un TI, dall’altro. Né l’art. 17, n. 3, del regolamento di base, che concerne solamente il calcolo di un margine di dumping e non l’esame delle richieste di SEM/TI, né vincoli di ordine amministrativo possono giustificare obiettivamente siffatta disparità di trattamento. Nel caso di specie, tutti i produttori non inclusi nel campione, ma che «meritavano» la concessione del SEM, avrebbero dovuto ottenere un margine di dumping pari a quello riconosciuto alla società Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd (9,7%), unica società del campione che ha beneficiato del SEM.

66      Il mancato esame delle richieste di SEM/TI configurerebbe altresì una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, poiché la prassi anteriore delle istituzioni nonché l’invito rivolto agli esportatori, mediante l’avviso di apertura, a presentare entro un certo termine le loro richieste di SEM/TI avrebbero fatto sorgere nelle ricorrenti una legittima aspettativa a che le istituzioni effettuassero un esame individuale delle richieste al fine di concedere agli operatori il margine di dumping necessario in base alle considerazioni illustrate al punto 63 supra. Una diversa interpretazione dell’avviso di apertura significherebbe accettare che la Commissione potesse chiedere a tutti gli esportatori di impiegare proprie risorse per la fornitura di informazioni a fondamento delle loro richieste di SEM/TI prima della costituzione del campione, e ciò tuttavia senza avere l’intenzione di esaminare le stesse. Inoltre, il testo dell’avviso di apertura sarebbe identico a quello di avvisi pubblicati nell’ambito di altre due procedure in cui la Commissione aveva esaminato anche le richieste di SEM/TI presentate da operatori non facenti parte del campione. 

67      Nell’ambito del secondo motivo, anzitutto, le ricorrenti fanno valere l’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, secondo il quale viene accertato se il produttore soddisfi i criteri necessari per ottenere l’attribuzione del SEM entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta. Si tratterebbe di un termine procedurale imperativo che la Commissione dovrebbe osservare. Orbene, omettendo di adottare al riguardo una decisione entro tale termine, la Commissione avrebbe violato la summenzionata disposizione.

68      Le ricorrenti fanno poi valere una violazione dell’art. 18, nn. 3 e 4, del regolamento di base, ai sensi del quale le istituzioni non devono disattendere le informazioni fornite dalle parti interessate anche se queste non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste e dovrebbero informare le parti le cui informazioni non sono accettate dando loro al contempo la possibilità di fornire ulteriori spiegazioni. Tali disposizioni, che troverebbero applicazione allorché la Commissione è chiamata a pronunciarsi su richieste di SEM/TI, implicherebbero che detta istituzione fosse tenuta ad informare le ricorrenti a questo proposito in maniera motivata. Tuttavia, la Commissione avrebbe risposto alle obiezioni delle ricorrenti solo nell’ambito del documento informativo finale alludendo al numero straordinariamente elevato di richieste di SEM/TI presentate. Ora, dato che la Commissione era a conoscenza del numero di richieste di SEM/TI sin da prima della fine del mese di luglio 2005, niente le avrebbe impedito di informare le ricorrenti immediatamente dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base o, al più tardi, nel regolamento provvisorio, del fatto che le loro domande non sarebbero esaminate. Pertanto, le istituzioni non avrebbero accettato le informazioni fornite dalle ricorrenti senza giustificazione e avrebbero, quindi, violato l’art. 18, nn. 3 e 4, del regolamento di base.

69      Inoltre, sebbene l’avviso di apertura informasse gli operatori che desideravano ottenere un margine di dumping individuale conformemente all’art. 17, n. 3, del regolamento di base del fatto che non fosse certo che la loro richiesta sarebbe stata accettata, ciò non toglie che detto avviso non specificava che la Commissione si riservava il diritto di non rispondere alle richieste di SEM/TI, contrariamente alla prassi precedente.

70      La Commissione avrebbe in tal modo violato il diritto di difesa delle ricorrenti, dato che non ha indicato nel documento informativo intermedio che le loro richieste di SEM/TI non sarebbero state esaminate, mentre gli esportatori facenti parte del campione avrebbero ricevuto una comunicazione relativa alle loro rispettive richieste. Orbene, le ricorrenti avrebbero ricevuto una risposta soltanto tramite il documento informativo finale.

71      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

72      In primo luogo, va rilevato che, secondo il testo dell’art. 17, nn. 1 e 3, del regolamento di base, il ricorso al campionamento, in quanto tecnica che consente di far fronte al numero rilevante di denuncianti, di esportatori, di importatori, di tipi di prodotti o di operazioni, configura una limitazione dell’inchiesta. Tale valutazione è corroborata dall’art. 9, n. 6, del regolamento di base, sulla scorta del quale i produttori che non fanno parte del campione non sono inclusi nell’inchiesta.

73      Il regolamento di base prevede tuttavia che, quando viene operata tale limitazione, le istituzioni debbano soddisfare due condizioni. Innanzitutto, il campione selezionato deve essere rappresentativo ai sensi dell’art. 17, nn. 1 e 2, del regolamento di base. Poi, l’art. 9, n. 6, del regolamento di base prevede che il margine di dumping stabilito per i produttori non facenti parte del campione non debba eccedere la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione.

74      In secondo luogo, quest’ultima disposizione, letta in combinato disposto con l’art. 17, n. 3, del regolamento di base, al quale essa rinvia, offre la possibilità a tutti i produttori non facenti parte del campione di chiedere il calcolo di un margine di dumping individuale, a condizione che essi presentino tutte le informazioni necessarie entro i termini fissati a tal fine e che tale operazione non renda indebitamente gravoso il compito della Commissione né impedisca la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

75      In terzo luogo, l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base prevede che il valore normale venga determinato a norma dei nn. 1‑6 della stessa disposizione, qualora, in base a richieste presentate da uno o più produttori oggetto dell’inchiesta, sia dimostrato che le condizioni stabilite in tale paragrafo, lett. c), sono soddisfatte.

76      Pertanto, come fatto valere dal Consiglio, i produttori non facenti parte del campione possono chiedere il calcolo di un margine di dumping individuale, che presuppone l’accettazione di una richiesta di SEM/TI quando si tratta dei paesi cui si riferisce l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, soltanto sul fondamento dell’art. 17, n. 3, di tale regolamento. Tuttavia, quest’ultima disposizione riconosce alla Commissione il potere di valutare se, considerato il numero di richieste di SEM/TI, il loro esame renderebbe indebitamente gravoso il suo compito e impedirebbe la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

77      Dalle considerazioni che precedono risulta innanzitutto che, in caso di ricorso alla tecnica del campionamento, il regolamento di base non attribuisce agli operatori non facenti parte del campione un diritto incondizionato al beneficio del calcolo di un margine di dumping individuale. L’accettazione di una simile richiesta dipende, difatti, dalla decisione della Commissione relativa all’applicazione dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base.

78      Dal momento che, poi, la concessione del SEM o di un TI, conformemente all’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, serve soltanto a determinare il metodo di calcolo del valore normale al fine di un calcolo dei margini di dumping individuale, la Commissione non è tenuta ad esaminare le richieste di SEM/TI presentate dagli operatori non facenti parte del campione, qualora essa abbia concluso, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base, che il calcolo di tali margini renderebbe indebitamente gravoso il proprio compito e le impedirebbe la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

79      Infine, nel caso di specie, non viene contestato che il calcolo dei margini di dumping individuali per tutti gli operatori non facenti parte del campione e che hanno presentato richieste in questo senso avrebbe reso indebitamente gravoso il compito delle istituzioni e impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

80      Pertanto, l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui l’art. 2, n. 7, lett. b) e c), del regolamento di base imponeva alla Commissione di esaminare le richieste di SEM/TI presentate dagli operatori non facenti parte del campione, anche quando non venisse loro applicato un margine di dumping individuale, deve essere respinta. A tale proposito, va aggiunto che la giurisprudenza invocata dalle ricorrenti, secondo cui la Commissione decide della concessione del SEM o di un TI sulla base di un esame di tutte le richieste ad essa presentate, non implica che tale istituzione sia tenuta ad esaminare tutte le richieste anche quando non intenda calcolare margini di dumping individuali conformemente all’art. 17, n. 3, del regolamento di base.

81      Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti relativo ad una violazione del principio di parità di trattamento tra le società facenti parte del campione e quelle che non ne fanno parte (v. punto 65 supra). Infatti, queste due categorie di società si trovano in situazioni differenti, dal momento che, per quanto riguarda le prime, la Commissione deve necessariamente calcolare un margine di dumping individuale, circostanza che presuppone l’esame e l’accettazione di una richiesta di SEM/TI, laddove essa non è obbligata a stabilire un margine individuale per quanto riguarda le seconde. Pertanto, il rispetto del principio della parità di trattamento, il quale vieta, da un lato, di trattare diversamente situazioni simili e, dall’altro, di trattare allo stesso modo situazioni difformi, salvo che motivi obiettivi giustifichino siffatto trattamento, non impone che le suddette due categorie di società ricevano identico trattamento.

82      Quanto all’argomento relativo alla violazione del principio della parità di trattamento tra le società non facenti parte del campione, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non si può ritenere che tale principio imponesse alla Commissione di pronunciarsi su tutte le richieste SEM/TI ad essa sottoposte, di modo che i produttori o esportatori non facenti parte del campione, ma ai quali fosse concesso il SEM o un TI, potessero ottenere l’applicazione del margine medio di dumping delle società del campione alle quali fosse stato accordato.

83      Infatti, come è stato rilevato ai punti 76‑80 supra, nell’ipotesi in cui il numero di richieste di SEM/TI fosse così elevato che il loro esame impedirebbe alle istituzioni di concludere tempestivamente l’inchiesta, le istituzioni, ai sensi dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base, non sarebbero tenute a pronunciarsi su tutte le suddette richieste, e ciò anche al solo fine di distinguere, tra le società non comprese nel campione, quelle che potrebbero beneficiare o meno del SEM o di un TI, allo scopo di applicar loro il margine medio di dumping delle società del campione alle quali il SEM o un TI sia stato concesso, senza peraltro calcolare un margine di dumping individuale.

84      Nel caso di specie sono state presentate alla Commissione 141 richieste di SEM/TI presentate da produttori esportatori cinesi, con la conseguenza che, anche ritenendo che fosse stato possibile esaminarle unicamente su base documentale, senza che fosse necessario verificare tali dati per mezzo di visite di verifica sul posto presso i produttori o esportatori interessati, la Commissione ha ritenuto a giusto titolo che il numero di richieste fosse manifestamente troppo elevato per consentirne l’esame senza compromettere la conclusione tempestiva dell’inchiesta.

85      Pertanto, si deve ritenere che, tenuto conto del numero particolarmente elevato di richieste di SEM/TI che le sono state presentate nel caso di specie, la Commissione non abbia ecceduto il margine di discrezionalità accordatole dall’art. 17, n. 3, del regolamento di base omettendo di pronunciarsi su tutte le domande di SEM/TI che le sono state sottoposte da società non facenti parte del campione, dato altresì che la disparità di trattamento eccepita dalle ricorrenti era inerente alla tecnica di campionamento prevista dall’art. 17 del regolamento di base.

86      Quindi, se è pur vero che la Commissione poteva legittimamente agire nel modo descritto dalle ricorrenti al punto 63 supra, né il regolamento di base né il principio della parità di trattamento le imponevano di procedere in questo modo.

87      Le stesse considerazioni valgono per quanto attiene all’esame delle domande di TI presentate dalle società non facenti parte del campione.

88      Quanto all’asserita violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, è costante giurisprudenza che tale principio si estende a tutti i soggetti nei confronti dei quali un’istituzione comunitaria abbia fatto sorgere fondate aspettative. Inoltre, nessuno può invocare una violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise che l’amministrazione gli abbia fornito (sentenza della Corte 22 giugno 2006, cause riunite C‑182/03 e C‑217/03, Belgio e Forum 187/Commissione, Racc. pag. I‑5479, punto 147).

89      Ora, dal punto 5.1, lett. a), i), quarto trattino, dell’avviso di apertura, e segnatamente dalla nota a piè di pagina n. 1 inserita in tale punto, risulta che la Commissione ha informato gli operatori interessati della possibilità di ricorrere alla tecnica di campionamento conformemente all’art. 17 del regolamento di base e che, in una simile ipotesi, poteva essere richiesto il calcolo dei margini individuali, per le società non incluse nel campione, ai sensi dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base. Tale informazione è stata ripetuta al punto 5.1, lett. b), dell’avviso di apertura. Pertanto, la circostanza che gli operatori interessati siano stati invitati a presentare una richiesta di SEM/TI non equivale ad un’assicurazione precisa, incondizionata e concordante che questa sarebbe stata esaminata.

90      In tale contesto, si deve anche riconoscere che l’inerzia da parte della Commissione per un lungo periodo di tempo non può essere costitutiva di un’assicurazione che faccia sorgere un legittimo affidamento in capo alle ricorrenti. Infatti, tale inerzia non incide sul significato dei chiari termini utilizzati nell’avviso di apertura.

91      Per quanto riguarda la censura relativa all’interruzione di una prassi che le istituzioni avrebbero seguito nell’ambito di inchieste anteriori, occorre rammentare che la Commissione non ha oltrepassato il margine di discrezionalità accordatole dall’art. 17, n. 3, del regolamento di base, ritenendo che l’esame di tutte le domande di SEM/TI presentate dai produttori esportatori cinesi non facenti parte del campione avrebbe impedito di concludere l’inchiesta entro i termini previsti dal regolamento di base (v. punto 84 supra). Orbene, è giurisprudenza costante che, quando le istituzioni dispongono di un margine di discrezionalità nella scelta dei mezzi necessari per la realizzazione della loro politica, gli operatori economici non possono riporre un legittimo affidamento sulla conservazione del metodo inizialmente prescelto, che può venir modificato dalle istituzioni stesse nell’esercizio dei propri poteri (sentenze della Corte 7 maggio 1987, causa 258/84, Nippon Seiko/Consiglio, Racc. pag. 1923, punto 34, e 10 marzo 1992, causa C‑171/87, Canon/Consiglio, Racc. pag. I‑1237, punto 41).

92      Dal momento che, alla luce di quanto precede, la Commissione non ha commesso errori omettendo di esaminare le domande di SEM/TI delle ricorrenti, queste ultime non possono legittimamente far valere la scadenza del termine di tre mesi fissato dall’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base (v. punti 3 e 67 supra), posto che questo termine concerne i casi in cui la Commissione è tenuta a esaminare tali domande.

93      Per quanto attiene all’argomento relativo alla violazione dell’art. 18, nn. 3 e 4, del regolamento di base si deve necessariamente constatare, alla stregua del Consiglio, che tale disposizione non impone alle istituzioni di esaminare le domande di SEM/TI di società non facenti parte del campione. Pertanto, poiché, secondo le considerazioni che precedono, la Commissione poteva legittimamente astenersi dall’esaminare e quindi, omettere di pronunciarsi sulle domande di SEM/TI dei produttori non facenti parte del campione, l’art. 18 del regolamento di base non può essere interpretato nel modo suggerito dalle ricorrenti.

94      Infine, relativamente all’asserita violazione del diritto di difesa delle ricorrenti, va rammentato che, secondo costante giurisprudenza, in forza del principio del rispetto del diritto di difesa, le imprese interessate da una procedura di indagine preliminare all’adozione di un regolamento antidumping devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati nonché sugli elementi di prova accolti dalla Commissione a sostegno delle proprie affermazioni relative all’esistenza di una pratica di dumping e del danno conseguente (sentenze della Corte 27 giugno 1991, causa C‑49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187, punto 17, e 3 ottobre 2000, causa C‑458/98 P, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. I‑8147, punto 99; sentenze del Tribunale 19 novembre 1998, causa T‑147/97, Champion Stationery e a./Consiglio, Racc. pag. II‑4137, punto 55, e 21 novembre 2002, causa T‑88/98, Kundan e Tata/Consiglio, Racc. pag. II‑4897, punto 132).

95      Nel caso di specie occorre rilevare che, come risulta dai ‘considerando’ 62, 64, 135 e 143 del regolamento provvisorio, la Commissione ha dichiarato che tutti i dazi antidumping concernenti i produttori non facenti parte del campione sono stati calcolati sulla base delle disposizioni dell’art. 9, n. 6, del regolamento di base e che il margine di dumping di tali produttori è stato determinato calcolando la media ponderata dei margini di dumping delle società incluse nel campione.

96      La Commissione quindi ha illustrato nel regolamento provvisorio la propria posizione sul metodo di calcolo del margine di dumping degli operatori non facenti parte del campione, consistente nell’applicazione del margine medio di dumping delle società comprese nel campione. Tale metodo implicava che le domande di SEM/TI presentate da detti operatori non venissero esaminate, posto che siffatto esame era privo di utilità nell’ambito del procedimento in questione.

97      Ne consegue che le ricorrenti avevano, sin dalla fase della comunicazione del regolamento provvisorio e del documento informativo intermedio, la possibilità di far valere la propria posizione sul metodo impiegato dalla Commissione per calcolare il loro margine di dumping, così che il loro diritto di difesa non è stato violato.

98      Ne discende che i primi due motivi devono essere respinti.

 Sul terzo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base in difetto di prova da parte della Commissione del sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria

 Argomenti delle parti

99      Le ricorrenti fanno valere che le istituzioni comunitarie hanno commesso un errore nella definizione dell’industria comunitaria che sostiene la censura all’origine del procedimento antidumping in questione. L’amministrazione comunitaria avrebbe in passato adottato la tesi secondo cui solo i produttori comunitari che cooperano al procedimento partecipando al campione o fornendo informazioni utili potevano essere considerati aver sostenuto la denuncia.

100    Nel caso di specie vi sarebbero state solo dieci richieste di partecipazione al campione dei produttori comunitari, presentate dagli operatori da ultimo selezionati nel campione. Pertanto, delle 814 società denuncianti, soltanto dieci avrebbero fornito informazioni significative e potrebbero quindi essere qualificate come società che hanno cooperato all’inchiesta. Di conseguenza solo queste società dovrebbero essere prese in considerazione ai fini della definizione dell’industria comunitaria. Orbene, tali società rappresenterebbero solo il 4,2% della produzione comunitaria e, quindi, non sarebbe raggiunta la soglia del 25% richiesta dall’art. 5, n. 4, del regolamento di base.

101    Le informazioni fornite dal Consiglio nel controricorso sul metodo di esame del grado di sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria non sarebbero state comunicate alle ricorrenti nel corso del procedimento amministrativo. Il fatto che il regolamento impugnato non illustri il modo in cui le istituzioni hanno misurato il grado di sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria configurerebbe un difetto di motivazione. La mancanza di tale informazione costituirebbe altresì una violazione del diritto di difesa delle ricorrenti. Inoltre, raccogliendo i dati relativi al sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria prima di avviare l’inchiesta con la pubblicazione dell’avviso di apertura, la Commissione avrebbe violato l’art. 6, n. 1, e l’art. 17 del regolamento di base. In ogni caso, anche supponendo che l’inchiesta potesse validamente aver inizio prima della pubblicazione dell’avviso di apertura, ciò significherebbe che il regolamento impugnato è stato adottato dopo la scadenza del termine di quindici giorni di cui all’art. 6, n. 9, del regolamento di base per la conclusione dell’inchiesta. Da ultimo, le ricorrenti fanno osservare che, nell’esaminare se la denuncia fosse sostenuta dall’industria comunitaria prima di avviare l’inchiesta, la Commissione non ha debitamente verificato se i produttori comunitari che la sostenevano rappresentassero il 25% della produzione totale del prodotto simile dell’industria comunitaria, in conformità dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base. Infatti, il sostegno ad una denuncia ai sensi dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base presupporrebbe che colui che effettua la dichiarazione di sostegno sia consapevole degli obblighi connessi alla propria partecipazione al campione dei produttori comunitari, quali la risposta ad un questionario concernente il pregiudizio e l’accettazione a sottoporsi ad una visita di verifica sul posto. Orbene, una semplice dichiarazione effettuata prima dell’inizio dell’inchiesta non può dimostrare un sostegno ai sensi dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base.

102    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

103    Come risulta dall’art. 5, nn. 1 e 4, del regolamento di base, un’inchiesta antidumping è avviata in modo valido, salvo applicazione del n. 6 dello stesso articolo, se una denuncia viene depositata dall’industria comunitaria o per suo conto. La denuncia si considera presentata dall’industria comunitaria, o per suo conto, se è sostenuta da produttori comunitari che complessivamente realizzano, per quanto attiene al prodotto simile, oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. Inoltre, i produttori che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia devono altresì rappresentare almeno il 25% della produzione totale del prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria.

104    Quanto alla nozione di «sostegno», occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 5, n. 2, del regolamento di base, la denuncia deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra i due. La denuncia deve contenere a tale riguardo un determinato numero di informazioni che possono essere ragionevolmente a disposizione del denunciante.

105    Sostenere una denuncia depositata dall’industria comunitaria o per suo conto implica quindi che il o i denunciante/i e i soggetti per conto dei quali questa è stata depositata, in primo luogo, forniscano gli elementi che la Commissione chiede per verificare che le condizioni necessarie per la concessione di un dazio antidumping siano soddisfatte e, in secondo luogo, accettino di sottoporsi a qualsiasi controllo che la Commissione possa effettuare per verificare che gli elementi forniti corrispondano a realtà. Infatti, considerata la mancanza di qualsiasi strumento d’inchiesta coercitivo, le risposte delle parti al questionario di cui all’art. 6, n. 2, del regolamento di base, nonché la successiva verifica alla quale la Commissione può procedere in loco, ai sensi dell’art. 16 del medesimo regolamento, sono essenziali per lo svolgimento della procedura antidumping (sentenza del Tribunale 13 luglio 2006, causa T‑413/03, Shandong Reipu Biochemicals/Consiglio, Racc. pag. II‑2243, punto 65).

106    Di conseguenza correttamente la Commissione non prende in considerazione, per verificare che il sostegno alla denuncia soddisfi le soglie di cui all’art. 5, n. 4, del regolamento di base, un produttore non disposto ad offrire elementi a sostegno di una denuncia depositata da esso o per suo conto ovvero a consentire la verifica della fondatezza di una simile denuncia. Pertanto, quando un produttore comunitario dichiara di non accettare la verifica dei dati da esso forniti a sostegno di una denuncia depositata da lui stesso o per suo conto, esso, in primo luogo, deve essere considerato un produttore che rifiuta di cooperare ai sensi dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base e, in secondo luogo, deve essere escluso dal gruppo dei produttori che sostengono la denuncia ai sensi dell’art. 4, n. 1, e dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base.

107    Tale impostazione è conforme all’art. 6, n. 8, del regolamento di base, secondo il quale, salvo il caso di mancanza di cooperazione, l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze deve essere accertata con la massima accuratezza.

108    Quindi, come il Consiglio afferma al ‘considerando’ 156 del regolamento impugnato, i produttori comunitari all’origine di una denuncia che non hanno cooperato nel corso dell’inchiesta devono essere esclusi dalla definizione dell’industria comunitaria. In caso di ricorso al campionamento, dunque, come indicato dal Consiglio nel controricorso, nella maggior parte dei casi la Commissione procede all’invio di un questionario a tutti i produttori noti sollecitando dati relativi alla loro produzione e alle loro vendite e chiedendo loro se siano disposti a compilare il questionario relativo al pregiudizio nonché a consentire una verifica in loco nel caso in cui vengano selezionati nel campione. Solo i produttori che rispondano in senso affermativo a queste due ultime domande vanno considerati cooperare all’inchiesta e possono pertanto essere inclusi nel campione. Per contro, un produttore che dichiari di non essere pronto a partecipare al campione non può essere considerato cooperare all’inchiesta, dal momento che per definizione non è disposto a compilare il questionario relativo al pregiudizio né a consentire la verifica delle proprie risposte. Infatti, tali misure riguardano solo società facenti parte del campione.

109    Il Consiglio fa valere che nel caso di specie, tenuto conto del numero eccezionalmente elevato di produttori comunitari, la Commissione ha applicato una procedura diversa, ma altrettanto valida. In tal modo, anziché trasmettere questionari di campionamento a tutti i produttori comunitari, la Commissione, in primo luogo, ha utilizzato i dati relativi alla produzione comunitaria figuranti nella denuncia e, in secondo luogo, ha raccolto gli elementi relativi al sostegno alla denuncia presso ciascuno degli 814 produttori rappresentati dalla CEC.

110    Per di più, all’udienza, il Consiglio e la Commissione hanno affermato che il documento allegato al controricorso intitolato «Informazioni sulla denuncia antidumping concernente le importazioni di (...) originarie di (...)» non era quello effettivamente inviato ai produttori comunitari e che il Consiglio aveva prodotto tale documento per errore. La Commissione ha prodotto un altro documento che sarebbe stato inviato ai produttori comunitari per accertare il loro sostegno alla denuncia. Contrariamente al documento presentato in allegato al controricorso, il titolo di tale documento (Probabile apertura di un’inchiesta antidumping concernente le importazioni di calzature con tomaia in cuoio provenienti dalla Repubblica popolare cinese e dal Vietnam) fa specificamente riferimento all’inchiesta in esame, di modo che può concludersi che è effettivamente questo il documento inviato dalla Commissione ai produttori comunitari. Con tale documento la Commissione ha chiesto a tutti i produttori comunitari destinatari dello stesso di dichiarare, segnatamente, se sostenevano la denuncia, se vi si opponevano ovvero se non prendevano posizione, se producevano e vendevano sul mercato comunitario il prodotto in esame e in quali quantità, se erano legati a produttori o a esportatori cinesi o vietnamiti del prodotto in esame e se avevano venduto il prodotto in esame importato dai paesi terzi interessati.

111    Nel preambolo di questo documento veniva affermato che ogni elemento cifrato sarebbe stato trattato in via confidenziale e avrebbe potuto essere oggetto di una verifica da parte della Commissione. In tale contesto, tutti i produttori comunitari che ne erano destinatari erano consapevoli del fatto che tutte le informazioni comunicate alla Commissione, comprese quelle eventualmente fornite nell’ambito del questionario relativo al pregiudizio, potevano essere altresì accertate dalla stessa. Inoltre, nel medesimo documento si specificava che il fondamento giuridico in base al quale tali informazioni venivano richieste era l’art. 5, n. 4, del regolamento di base. In base all’elenco degli allegati contenuti nell’ultima pagina del documento in questione, gli artt. 4 e 5 del regolamento di base ne facevano parte. Al riguardo, il rinvio all’art. 5 del regolamento di base e l’inclusione dello stesso tra gli allegati del documento in questione rendevano noto ai produttori comunitari il fatto che la denuncia doveva contenere una serie di elementi di prova sull’esistenza di un dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra i due e, in particolare, informazioni sui prezzi.

112    In tale contesto, si deve affermare che la dichiarazione dei produttori comunitari, secondo cui essi sostenevano la denuncia, era sufficiente a provare l’esistenza di un sostegno alla denuncia ai sensi dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base.

113    Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 6, n. 1, e dell’art. 17 del regolamento di base per il fatto che la Commissione ha tenuto conto di elementi relativi alla produzione comunitaria, alla legittimazione ad agire dei denuncianti e al pregiudizio forniti prima dell’apertura dell’inchiesta, si deve necessariamente constatare che essa non può essere accolta.

114    Infatti, in primo luogo, va rammentato che l’art. 5, n. 2, del regolamento di base prevede che la denuncia, che per definizione è depositata prima dell’apertura dell’inchiesta, debba contenere una serie di elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra i due. Inoltre, l’art. 5, n. 3, del regolamento di base dispone che la Commissione verifichi, per quanto possibile, l’esattezza e l’adeguatezza degli elementi di prova contenuti nella denuncia, per determinare se siano sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta. Orbene, come fatto valere dal Consiglio, niente impedisce alla Commissione di tener conto, nell’ambito dell’inchiesta, di elementi che per loro natura vengono raccolti prima dell’apertura della stessa.

115    In secondo luogo, occorre rilevare che la Commissione deve verificare la legittimazione ad agire dei denuncianti prima dell’apertura dell’inchiesta.

116    Da ultimo, quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 6, n. 9, del regolamento di base per il fatto che il regolamento impugnato sarebbe stato adottato dopo lo scadere del termine di quindici mesi previsto da tale disposizione, si deve ricordare che l’apertura dell’inchiesta costituisce, secondo detta disposizione, il momento a partire dal quale decorre il termine di quindici mesi previsto per l’imposizione dei dazi definitivi.

117    Occorre tuttavia precisare che, come risulta dai punti 114‑116 supra, sebbene il termine di quindici mesi previsto dal regolamento di base per l’imposizione di dazi definitivi vada calcolato a partire dal momento in cui la Commissione procede all’apertura dell’inchiesta, una simile apertura interviene soltanto dopo che la Commissione ha verificato che le condizioni di essa siano soddisfatte sia per quanto attiene al contenuto della denuncia sia per quanto attiene alla legittimazione ad agire del o dei denuncianti.

118    Le censure mosse dalle ricorrenti a questo proposito devono pertanto essere respinte, dal momento che il regolamento impugnato è stato adottato entro il termine di quindici mesi previsto dal regolamento di base.

119    Quanto alle censure relative alla violazione del diritto di difesa delle ricorrenti, si deve osservare che, in una nota datata 6 luglio 2005 contenuta nel fascicolo, la Commissione ha dichiarato che si era valutato che la produzione comunitaria fosse stata di circa 425 milioni di paia di calzature nel 2004 e di circa 92 milioni di paia di calzature nel primo trimestre del 2005. Risulta inoltre da tale nota che la produzione delle società per conto delle quali è stata depositata la denuncia raggiungeva circa i 190 milioni di paia di calzature nel 2004 e circa i 44 milioni di paia di calzature nel primo trimestre del 2005, così che tali società rappresentavano più del 44% dell’industria comunitaria nel 2004 e più del 47% di tale industria nel primo trimestre del 2005. Inoltre, altri 36 produttori avrebbero del pari sostenuto la denuncia, circostanza che aumenterebbe ulteriormente la rappresentatività ad un tasso di oltre il 45% nel 2004 e di oltre il 48% nel primo trimestre del 2005. Tali cifre proverrebbero dalla denuncia, dai produttori comunitari e dalle associazioni che li raggruppano. Infine, nella nota in questione si afferma che non è stata espressa alcuna opposizione alla denuncia e, in allegato, vi figurano dati numerici concernenti la produzione totale di sei Stati membri (non designati) nel 2004 e nel primo trimestre del 2005.

120    In tale contesto occorre rilevare che, contrariamente a quanto fatto valere dalle ricorrenti, la Commissione ha illustrato il fondamento della sua valutazione relativa alla legittimazione ad agire delle società per conto delle quali era stata depositata la denuncia. Pertanto, le istituzioni hanno rispettato il diritto di difesa delle ricorrenti.

121    Per gli stessi motivi, si deve rilevare che le istituzioni hanno assolto all’obbligo di motivare i propri atti in modo giuridicamente sufficiente.

122    Ne consegue che il terzo motivo deve essere respinto.

 Sul quarto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 1, n. 4, e degli artt. 2 e 3 del regolamento di base

 Argomenti delle parti

123    Le ricorrenti addebitano alle istituzioni, anzitutto, di avere proceduto ad una definizione troppo ampia del prodotto in esame includendovi prodotti sostanzialmente diversi quanto alle loro caratteristiche, al loro aspetto, alla percezione che ne avrebbe il consumatore, al loro stile, al loro uso e ai canali di distribuzione. 

124    Le ricorrenti fanno poi osservare che, includendo nell’inchiesta le calzature che fanno ricorso a tecnologie brevettate (v. punto 34 supra), le istituzioni hanno proceduto, anche sotto questo profilo, ad una definizione troppo ampia del prodotto in esame, circostanza che le avrebbe indotte a trarre conclusioni errate. Infatti, le caratteristiche fisiche e tecniche di tali calzature sarebbero diverse da quelle delle altre calzature dal momento che esse includerebbero un «sistema brevettato di assorbimento degli urti», una suola intermedia «facente da cuscinetto» e un «dispositivo super-flex brevettato». Per di più, tali calzature sarebbero diverse per quanto attiene al processo di produzione dal momento che necessiterebbero di catene di produzione separate e di macchinari specifici. Inoltre, quanto all’uso finale di dette calzature, le ricorrenti ritengono che queste siano destinate ad un «mercato di nicchia» appartenente al settore delle calzature sanitarie e avente come pubblico di riferimento un pubblico femminile con problemi di salute. Tali calzature sarebbero quindi vendute in negozi specializzati. Da ultimo, le ricorrenti rammentano che questo tipo di calzature non è prodotto nella Comunità.

125    L’«erronea classificazione» adottata dalle istituzioni avrebbe dato luogo a raffronti tra calzature prodotte a partire da tipi di cuoio di qualità del tutto differenti. Orbene, tali raffronti non avrebbero senso.

126    A tale proposito, esempi e informazioni sul contesto figurerebbero in tre documenti prodotti dalla Footwear Association of Importers and Retail chains (Associazione degli importatori e delle catene di dettaglianti della calzatura) nel corso del procedimento amministrativo.

127    Pertanto, le istituzioni avrebbero violato l’art. 1, n. 4, del regolamento di base secondo cui l’espressione «prodotto simile» significherebbe un prodotto somigliante al prodotto considerato sotto tutti gli aspetti. Una simile violazione metterebbe in discussione la validità delle conclusioni dell’intera inchiesta.

128    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

129    Si deve rilevare che, nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti formulano due censure. La prima concerne la definizione del prodotto in esame, qual è effettuata nei ‘considerando’ 38 e 39 del regolamento provvisorio (v. punto 18 supra) e confermata al ‘considerando’ 39 del regolamento impugnato. La seconda riguarda l’inclusione nell’inchiesta delle calzature che fanno ricorso a tecnologie brevettate.

130    Per quanto riguarda la prima censura, le ricorrenti elaborano l’argomentazione generale secondo cui il prodotto in esame, quale definito nel regolamento provvisorio e nel regolamento impugnato, includerebbe prodotti sostanzialmente diversi quanto alle loro caratteristiche, al loro aspetto, alla percezione che ne avrebbe il consumatore, al loro stile, al loro uso e ai canali di distribuzione. A titolo di illustrazione, le ricorrenti fanno riferimento alle calzature da città, da un lato, e alle calzature da escursione, dall’altro, che differirebbero in modo sostanziale quanto alle loro caratteristiche e al loro uso e, quindi, quanto alla percezione che ne avrebbero i consumatori.

131    A tale riguardo, va rilevato che la definizione del prodotto in esame nell’ambito di un’inchiesta antidumping ha l’obiettivo di agevolare l’elaborazione dell’elenco dei prodotti che, se del caso, saranno assoggettati all’imposizione dei dazi antidumping. Ai fini di questa operazione, le istituzioni possono tener conto di vari fattori, quali le caratteristiche fisiche, tecniche e chimiche dei prodotti, il loro uso, la loro intercambiabilità, la percezione che ne ha il consumatore, i canali di distribuzione, il processo di fabbricazione, i costi di produzione, la qualità, etc.

132    Pertanto, l’affermazione secondo cui un prodotto determinato va escluso dalla definizione del prodotto in esame deve poggiare su argomenti tendenti a dimostrare vuoi che le istituzioni hanno effettuato una valutazione erronea dei fattori che le stesse hanno giudicato pertinenti, vuoi che l’applicazione di altri fattori maggiormente pertinenti avrebbe imposto l’esclusione di tale prodotto dalla definizione del prodotto in esame.

133    Nel caso di specie, le istituzioni si sono fondate sulle caratteristiche essenziali dei prodotti, sul loro uso principale e sulla percezione che ne hanno i consumatori. Le ricorrenti si limitano ad affermare in modo generale che il prodotto in esame include tipi di calzature difformi menzionando, a titolo d’esempio, le calzature da città e le calzature da escursione. Orbene, come è stato rilevato al punto precedente, tali affermazioni possono essere valide solo se riguardano uno o più tipi di prodotti specifici che dovrebbero essere esclusi dalla definizione del prodotto in esame. Ne risulta che l’argomentazione delle ricorrenti può tutt’al più riguardare l’esclusione delle calzature da escursione dalla definizione del prodotto in esame. Tuttavia, ciò che rileva nel caso di specie è che le calzature con tomaia in cuoio oggetto del procedimento di cui trattasi hanno le stesse caratteristiche fisiche essenziali e lo stesso uso e che esiste una concorrenza tra le calzature di diverse categorie, in particolare quelle di categorie vicine. Pertanto, le istituzioni non hanno commesso un errore di valutazione includendo le calzature da escursione nella definizione del prodotto in esame.

134    Quanto agli argomenti formulati nell’ambito delle osservazioni sottoposte dalla Footwear Association of Importers and Retail chains nel corso del procedimento amministrativo, che offrirebbero «informazioni di contesto» relativamente al presente motivo (v. punto 126 supra), si deve rilevare che, messe da parte le affermazioni generali sulla definizione del prodotto in esame, esse riguardano i criteri adottati per raggruppare in numeri di controllo di prodotto i diversi tipi di calzature appartenenti alla definizione del prodotto in esame. Pertanto, tale argomentazione non riguarda la questione se taluni tipi di calzature con tomaia in cuoio debbano far parte del prodotto in esame, ma quella dei criteri secondo cui la categorizzazione dei prodotti appartenenti al prodotto in esame avrebbe dovuto essere effettuata. Tali argomenti sono, di conseguenza, inconferenti nella disamina del presente motivo. Per identici motivi, gli argomenti presentati nella replica, diretti a censurare la valutazione delle istituzioni relativa alla categorizzazione dei tipi di calzature appartenenti al prodotto in esame (v. punto 125 supra), devono essere parimenti respinti in quanto inconferenti.

135    Per quanto riguarda gli argomenti relativi all’esistenza di catene di produzione separate per la fabbricazione delle calzature che fanno ricorso a tecnologie brevettate, all’assenza di produzione comunitaria di questo tipo di calzature e all’esistenza di un brevetto, va rilevato che essi non sono determinanti. Infatti, il processo di fabbricazione non influenza di per sé la percezione del consumatore né, quindi, l’intercambiabilità tra più tipi di calzature se le caratteristiche fisiche e la destinazione dei prodotti non differiscono. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’assenza di produzione comunitaria di calzature facenti ricorso a tecnologie brevettate, atteso che la questione decisiva è se tale tipo di calzature sia, a causa delle sue caratteristiche fisiche, della sua destinazione e, pertanto, della percezione che ne ha il consumatore, in concorrenza con le calzature di produzione comunitaria. In tale contesto, si deve necessariamente rilevare che il fatto che un tipo di calzature benefici della tutela di un brevetto non costituisce un indizio della sua posizione concorrenziale nei confronti dei prodotti di origine comunitaria.

136    Per quanto attiene alla seconda censura relativa all’inclusione delle calzature facenti ricorso a tecnologie brevettate nella definizione del prodotto in esame, si deve rilevare che gli argomenti secondo cui tali calzature sono destinate a soggetti con problemi ortopedici e sono vendute esclusivamente in negozi specializzati potrebbero essere idonei a mettere in discussione la valutazione delle istituzioni sull’inclusione di tale tipo di calzature nella definizione del prodotto in esame. Infatti, anche se fosse dimostrato che l’utilizzo di questo tipo di calzature facesse parte di un trattamento medico destinato ai soggetti con problemi ortopedici e che tali prodotti fossero distribuiti unicamente in negozi specializzati, si dovrebbe necessariamente constatare che non avrebbero le medesime caratteristiche fisiche né la medesima destinazione delle calzature prive di simili qualità. La percezione del consumatore sarebbe dunque necessariamente diversa a questo proposito.

137    Ciò nondimeno, occorre necessariamente constatare che le ricorrenti non hanno prodotto alcun elemento di prova atto a corroborare la loro descrizione relativa alle caratteristiche e all’uso di questo tipo di calzature. Infatti, né la lettera della Brosmann dell’8 maggio 2006 (v. punto 28 supra) né le osservazioni trasmesse per fax il 29 novembre 2005 dalla Wortmann KG Internationale Schuhproduktionen, titolare dei brevetti in questione, contengono elementi di prova a sostegno delle affermazioni ivi contenute. A tale rilievo si deve aggiungere che, come risulta dal punto 3.2.1.3 della lettera dell’8 maggio 2006 e dal punto 3.4 del fax del 29 novembre 2005, nel far riferimento a negozi specializzati le ricorrenti paiono prendere in considerazione negozi diversi dai negozi di discount e dai grandi magazzini. Orbene, tale approccio non esclude che, nei negozi specializzati, ossia che vendono unicamente calzature, vengano altresì vendute calzature facenti ricorso a tecnologie brevettate. Tale valutazione rafforza la tesi del Consiglio secondo cui, malgrado le qualità delle calzature in questione, è del tutto probabile che la scelta dei consumatori dipenda da preferenze personali piuttosto che da circostanze riconducibili a considerazioni d’ordine medico.

138    Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto.

 Sul quinto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 17 del regolamento di base e dell’art. 253 CE

 Argomenti delle parti

139    Le ricorrenti contestano la rappresentatività del campione dei produttori esportatori cinesi argomentando in base a due circostanze. In primo luogo, tale campione sarebbe essenzialmente costituito da operatori che fabbricano principalmente STAF, le quali tuttavia erano state escluse dalla definizione del prodotto in esame (v. punti 18 e 34 supra). In secondo luogo, le ricorrenti denunciano svariate «carenze» per quanto concerne i criteri applicati ai fini della costituzione del campione di cui trattasi e indicano a titolo d’esempio il fatto che varie società che hanno cooperato e che non fanno parte del campione registrerebbero livelli di produzione, di esportazione e di vendite ben maggiori rispetto a quelle che ne fanno parte.

140    Sebbene, al ‘considerando’ 43 del regolamento impugnato, il Consiglio abbia affermato che l’esclusione delle STAF non ha «influito significativamente» sulla rappresentatività del campione, resterebbe il fatto che le istituzioni non hanno motivato questa valutazione, benché tali prodotti rappresentino una percentuale sostanziale delle importazioni inizialmente considerate. Tale rilievo sarebbe ancor più pertinente dal momento che, secondo i ‘considerando’ 180 e 181 del regolamento impugnato, l’esclusione delle STAF avrebbe avuto notevoli ripercussioni sul margine di dumping. In generale, un campione costituito dai soli produttori di un prodotto escluso dall’ambito dell’inchiesta dovrebbe essere considerato, per definizione, non rappresentativo.

141    Ad avviso delle ricorrenti, il fatto che i governi dei paesi esportatori siano stati coinvolti nella scelta di una parte delle società selezionate nel campione, come verrebbe affermato nella penultima frase del ‘considerando’ 61 del regolamento impugnato, non ha rilevanza diretta al fine di giudicare della rappresentatività del campione, tanto più che la definizione del prodotto in esame è stata modificata dopo la consultazione di tali governi. Dai chiarimenti forniti nel controricorso risulterebbe che la selezione ai fini della costituzione del campione era fondata sui criteri della nazionalità cinese dei proprietari delle imprese nonché dell’appartenenza alla China Chamber of Commerce for Import and Export of Light Industrial Products and Arts-Crafts (Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di prodotti industriali leggeri e di prodotti artigianali; in prosieguo: la «CCCLA»). Pertanto, il campione non sarebbe stato costituito in modo tale da assicurarne la rappresentatività.

142    Inoltre, il campione includerebbe soltanto un’unica impresa che ha conseguito il SEM e nessuna società beneficiante di un TI, circostanza che costituirebbe un ulteriore indizio della mancanza di rappresentatività di detto campione. 

143    Al ‘considerando’ 44 del regolamento impugnato, il Consiglio avrebbe affermato che gli esportatori del campione rappresentavano il 12% delle esportazioni cinesi dopo l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame, circostanza che priverebbe il campione della sua rappresentatività. In tale contesto, dato che la Brosmann da sola rappresenterebbe il 10% delle importazioni nella Comunità, l’affermazione secondo cui il campione includeva il massimo volume rappresentativo di esportazioni possibile non sarebbe corretta. Per di più, il Consiglio non presenterebbe alcun elemento a sostegno della propria asserzione secondo cui i produttori del campione rappresentavano il 14% di tutte le esportazioni cinesi, comprese quelle dei produttori che non hanno cooperato.

144    Ciò attesterebbe un difetto di motivazione del regolamento impugnato ed un errore manifesto di valutazione riconducibile alla violazione dell’art. 17 del regolamento di base.

145    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

146    Va rammentato che, ai sensi dell’art. 17, n. 1, del regolamento di base, il ricorso al campionamento consiste nella limitazione dell’inchiesta ad un numero ragionevole di parti, di prodotti od operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

147    Tale disposizione attribuisce alla Commissione il potere di scegliere, tra le società che hanno dichiarato la propria volontà di partecipare al campione e che hanno fornito le informazioni necessarie a tal fine, quelle che vi saranno incluse. Per quanto riguarda il potere discrezionale che l’art. 17, n. 1, del regolamento di base riconosce in tal modo alla Commissione, il controllo esercitato dal giudice comunitario sulla scelta operata a questo proposito riguarda la verifica del rispetto delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti in base ai quali si è operata la scelta contestata, della mancanza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti, ovvero dell’assenza di sviamento di potere.

148    Nel caso di specie, dal ‘considerando’ 60 del regolamento provvisorio e dai ‘considerando’ 44 e 46 del regolamento impugnato risulta che, nel compiere la scelta relativa alla costituzione del campione dei produttori esportatori cinesi, le istituzioni sono state guidate dall’obiettivo di assicurare sia la rappresentatività del campione che l’inclusione, nel maggiore volume rappresentativo di esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile, di un certo numero di società che effettuano vendite rappresentative nel mercato interno cinese.

149    Occorre quindi verificare se, considerate le circostanze denunciate dalle ricorrenti, le scelte delle istituzioni rivelino un errore manifesto di valutazione con riferimento a questi due obiettivi.

150    Quanto all’affermazione secondo cui le società facenti parte del campione sono produttori di STAF, si deve rilevare che le ricorrenti non hanno fornito elementi in grado di corroborare tale affermazione. In tale contesto, si deve respingere la censura relativa ad un errore manifesto di valutazione. 

151    Si deve altresì respingere la censura relativa ad un difetto di motivazione, dal momento che le istituzioni hanno illustrato l’incidenza dell’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame.

152    Per quanto riguarda la percentuale delle esportazioni incluse nel campione, occorre rilevare che le ricorrenti e il Consiglio concordano sul fatto che le vendite delle tredici società inizialmente selezionate per partecipare al campione rappresentassero il 25% delle esportazioni e il 42% delle vendite interne di tutti i produttori cinesi del prodotto in esame che hanno cooperato. Le parti concordano altresì sul fatto che, a seguito dell’esclusione dei dati di un produttore cinese che non aveva risposto al questionario della Commissione e di cinque altre società che non avevano cooperato, la rappresentatività del campione si era ridotta al 16,5% delle esportazioni di tutti i produttori cinesi che hanno cooperato, percentuale che è stata riportata al 12,5% dopo l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame.

153    Per quanto attiene alla censura relativa ad un difetto di motivazione, al ‘considerando’ 44 del regolamento impugnato il Consiglio ha illustrato i motivi per cui tale percentuale era sufficiente a garantire la rappresentatività del campione. Pertanto, il Consiglio ha sufficientemente motivato in diritto la propria valutazione del carattere rappresentativo del campione.

154    Quanto alle censure relative ad un errore manifesto di valutazione, in primo luogo, si deve necessariamente constatare che, al momento della costituzione del campione non era possibile prevedere il numero di operatori che avrebbero rifiutato di cooperare in seguito, tanto più che tali operatori avevano dichiarato il contrario nei documenti sino a quel momento trasmessi alla Commissione. Lo stesso dicasi delle società che avevano ottenuto il SEM o un TI, giacché l’esame delle domande di SEM/TI viene effettuato dopo la costituzione del campione. 

155    In secondo luogo, supponendo che fosse possibile includere nel campione altre società dopo aver constatato che un certo numero di partecipanti non aveva l’intenzione di cooperare, ciò non toglie che il fatto che gli operatori rimasti nel campione rappresentassero il 12,5% delle esportazioni cinesi nella Comunità è sufficiente a dimostrare la rappresentatività del campione.

156    In tale contesto, si deve affermare che la Commissione non aveva l’obbligo di includervi altre società e, pertanto, non ha commesso un errore manifesto di valutazione omettendo di farlo. Il quinto motivo deve, di conseguenza, essere respinto.

 Sul sesto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base nonché dell’art. 253 CE

 Argomenti delle parti

157    Le ricorrenti addebitano alle istituzioni comunitarie di essersi fondate su dati «privi di rappresentatività e scarsamente affidabili» per valutare il pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Più specificamente, le ricorrenti fanno osservare che, dal momento che il campione dei produttori comunitari comprende solamente dieci società, esso rappresenta soltanto lo 0,1% dei produttori e il 4,2% della produzione comunitaria. Inoltre, i produttori selezionati non avrebbero presentato le informazioni che consentivano di valutare la rappresentatività del campione e non sarebbero stati a ciò invitati. Tale approccio, per sua natura arbitrario, costituirebbe una violazione dell’art. 17 del regolamento di base. La raccolta delle informazioni macroeconomiche relative al pregiudizio prima dell’apertura del procedimento implicherebbe che detti dati non sarebbero stati correttamente verificati, che una versione non confidenziale di questi ultimi non sarebbe stata messa a disposizione delle parti interessate e che la Commissione avrebbe trattato i produttori comunitari in modo discriminatorio rispetto ai produttori cinesi che non avrebbero avuto la possibilità di presentare proprie domande di SEM/TI prima dell’apertura del procedimento affinché la Commissione disponesse di un maggiore periodo di tempo per il loro esame. 

158    Dato che il nome delle società facenti parte del campione dei produttori comunitari non è stato divulgato, le ricorrenti non avrebbero ottenuto alcuna informazione relativa alle loro attività e non avrebbero potuto effettuare una verifica indipendente della rappresentatività del campione. Ne conseguirebbe che il loro diritto di difesa è stato violato, e ciò in contrasto con la giurisprudenza sul tema.

159    Per quanto concerne l’affidabilità dei dati ai quali le istituzioni hanno fatto ricorso, le ricorrenti sottolineano che, durante il procedimento amministrativo, esse hanno fornito alla Commissione un insieme di informazioni provenienti da fonti pubbliche ed atte a dimostrare che taluni dei maggiori produttori italiani, facenti probabilmente parte del campione dei produttori comunitari o dei denuncianti (circostanza che il Consiglio non smentirebbe) avevano presentato a tale istituzione informazioni false o deformate. I dati non corretti riguarderebbero l’impiego, gli investimenti, le cifre d’affari, le vendite e il luogo di stabilimento, dal momento che talune società avrebbero delocalizzato le proprie unità di produzione verso paesi terzi. Tali informazioni giustificherebbero un controllo più attento da parte della Commissione. Atteso che, secondo le ricorrenti, due società italiane che hanno presentato informazioni false o deformate rappresentavano circa il 10,4% delle vendite e il 7,5% della produzione comunitaria, l’impatto delle circostanze sopra denunciate sulla valutazione del pregiudizio sarebbe rilevante a tal punto da incidere profondamente sui risultati dell’inchiesta, che tali società abbiano o meno partecipato al campione. Infatti, ai sensi del ‘considerando’ 175 del regolamento provvisorio, gli indicatori macroeconomici sarebbero stati valutati a livello dell’intera industria comunitaria laddove gli indicatori microeconomici sarebbero stati valutati al livello dei produttori del campione. Supponendo quindi che nessuna di tali società abbia partecipato al campione dei produttori comunitari, resterebbe tuttavia il fatto che la Commissione avrebbe utilizzato dati forniti da queste ultime per trarre conseguenze macroeconomiche relative al pregiudizio dell’industria comunitaria.

160    Orbene, le istituzioni non avrebbero tenuto conto di dette informazioni nell’ambito del calcolo del pregiudizio subito dall’industria comunitaria, e ciò costituirebbe un errore manifesto di valutazione con conseguente violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base (v. punto 3 supra). In ogni caso, il fatto che nel regolamento impugnato manchi qualunque chiarimento a questo proposito configurerebbe una violazione dell’obbligo di motivazione su un aspetto determinante dell’inchiesta.

161    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, confuta gli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

162    Il motivo in esame presenta due parti. Nell’ambito della prima, le ricorrenti addebitano alle istituzioni di non aver accertato se gli operatori selezionati nel campione dei produttori comunitari fossero rappresentativi dell’industria comunitaria. In tale ambito, esse fanno altresì valere di essere state private di qualsiasi elemento che avrebbe loro consentito di verificare la rappresentatività di tali operatori. Nell’ambito della seconda parte, le ricorrenti sostengono che le istituzioni si sono fondate su dati non affidabili per valutare i fattori macroeconomici e microeconomici relativi al pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

163    Per quanto concerne la prima parte, si deve rammentare che, secondo il ‘considerando’ 65 del regolamento provvisorio, la Commissione ha selezionato un campione di dieci produttori comunitari basato sul volume di produzione e sulla loro ubicazione (v. punto 24 supra). Secondo lo stesso ‘considerando’, tali criteri miravano non solo a rispecchiare le dimensioni e l’importanza dei vari produttori, ma anche la ripartizione geografica dell’industria comunitaria. In tal modo, i produttori del campione erano stabiliti, secondo il ‘considerando’ 8 del regolamento provvisorio, in cinque Stati membri diversi.

164    A questo riguardo, va rilevato che il modulo di denuncia e i questionari di campionamento inviati agli 814 produttori per conto dei quali era stata depositata la denuncia (v. punto 108 supra) contenevano informazioni sulla produzione e sulle vendite interne dell’industria comunitaria nonché sulla produzione di ciascun produttore all’origine della denuncia nel 2003 e nel 2004. In tale contesto, si deve constatare che la Commissione era in grado di valutare le dimensioni e le capacità produttive di ciascuna società all’origine della denuncia e, evidentemente, la sua ubicazione. In tal modo, la Commissione era in possesso delle informazioni necessarie per procedere alla costituzione del campione dei produttori comunitari sulla base dei criteri che, a suo avviso, erano i più pertinenti. Dal momento che le ricorrenti non hanno contestato la pertinenza di tali criteri, si deve concludere che a tale riguardo la loro argomentazione sulla costituzione del campione deve essere respinta.

165    Per quanto riguarda l’argomento relativo alla violazione del diritto di difesa, le ricorrenti non hanno contestato l’affermazione del Consiglio secondo cui esse avevano accesso ai dati relativi alla produzione di tutte le società del campione nonché alla versione non confidenziale delle risposte che tali società avevano fornito al questionario relativo pregiudizio. Il nome delle società facenti parte del campione costituisce un elemento privo di rilevanza ai fini della valutazione della loro rappresentatività. Tuttavia, tale valutazione è valida solo se i dati forniti dalle società interessate corrispondono a verità. In tale contesto, le ricorrenti avrebbero dovuto chiedere l’accesso alle informazioni che hanno consentito alla Commissione di concludere che gli elementi forniti dagli operatori comunitari facenti parte del campione erano corretti. Tale accesso avrebbe potuto essere accordato senza che il nome delle società venisse divulgato. Orbene, è evidente che le ricorrenti non hanno chiesto l’accesso a tali elementi, cosicché la loro argomentazione relativa alla violazione del loro diritto di difesa non può essere accolta.

166    Per quanto riguarda la seconda parte del presente motivo, si deve innanzitutto respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio in quanto le ricorrenti farebbero un mero rinvio ai loro allegati. Infatti, le ricorrenti non si sono limitate ad effettuare un mero rinvio agli allegati A 33 e A 34 del ricorso, ma hanno proceduto ad una presentazione sommaria dei punti principali degli stessi formulando censure specifiche contro la valutazione compiuta dalle istituzioni. Orbene, il regolamento di procedura non vieta di presentare, a sostegno di tali censure, documenti più dettagliati forniti alla Commissione nel corso del procedimento amministrativo.

167    Quanto al merito degli argomenti delle ricorrenti, va anzitutto rilevato che le informazioni da esse fornite alla Commissione nei memorandum del 17 luglio e del 2 agosto 2006 riguardano, in sostanza, informazioni raccolte dalla stampa su violazioni commesse dai produttori comunitari di calzature, come frodi commesse a livello nazionale per poter profittare di sussidi, o infrazioni al codice del lavoro.

168    A questo proposito si deve sottolineare che il fatto che un’impresa abbia commesso frodi a livello nazionale non implica necessariamente che essa non cooperi ad un’inchiesta antidumping della Commissione e che in tale contesto fornisca informazioni scorrette. Va rilevato che, anche supponendo che le imprese menzionate dalle ricorrenti abbiano commesso frodi a livello nazionale, ciò non consente di per sé di concludere che i dati da esse forniti nell’ambito di un’inchiesta antidumping non siano affidabili se detti dati non hanno alcun nesso con le predette frodi. Per quanto riguarda le informazioni fornite dalle ricorrenti nel corso del procedimento amministrativo, relative al trattamento degradante dei lavoratori e all’impiego di bambini, si deve anzitutto rilevare che sembra escluso che tali fatti possano essere in relazione con i dati che le società interessate hanno eventualmente fornito nell’ambito dell’inchiesta in questione.

169    Le ricorrenti fanno altresì valere che il produttore italiano La Nuova Adelchi ha fornito dati inesatti concernenti il proprio fatturato e le proprie vendite. Al riguardo, esse hanno addotto, nei memorandum del 17 luglio e del 2 agosto 2006, il fatto che l’amministratore unico della società La Nuova Adelchi fosse stato condannato in primo grado dalle autorità italiane per aver tenuto conti irregolari. A sostegno di tale affermazione esse si sono fondate, nei memorandum del 17 luglio e del 2 agosto 2006, sulla sentenza della Corte 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565). Tuttavia, dal punto 29 di tale sentenza risulta che i fatti in causa sono relativi agli anni 1992 e 1993, e quindi un periodo antecedente di svariati anni al periodo d’inchiesta. Eventuali irregolarità relative ai bilanci del 1992 e del 1993 non possono mettere in discussione l’affidabilità dei dati forniti nell’ambito della presente inchiesta.

170    Per quanto riguarda altri fatti che le ricorrenti addebitano a taluni produttori di calzature comunitarie, occorre rilevare quanto segue. Secondo i ‘considerando’ da 175 a 185 del regolamento provvisorio, la Commissione ha verificato l’esistenza del pregiudizio subito dall’industria comunitaria a livello macroeconomico sulla base dei dati relativi alla produzione, alle vendite, alla quota di mercato, all’occupazione, alla crescita, all’entità dei margini di dumping e al superamento delle conseguenze di precedenti pratiche di dumping. Questi dati riguardavano l’intera industria comunitaria (v. punto 24 supra). In seguito a tale esame la Commissione ha concluso per l’esistenza di un calo della produzione, della quota di mercato, dell’occupazione e, pertanto, della crescita per un periodo che va dal 2001 alla fine del periodo d’inchiesta. Per quanto attiene agli indicatori macroeconomici relativi ai produttori del campione, ai ‘considerando’ da 186 a 196 del regolamento provvisorio la Commissione ha concluso che i volumi di produzione e di vendita, i prezzi di vendita, i flussi di cassa, la redditività, gli utili sul capitale investito, la capacità di reperire capitale a fini di investimento e l’occupazione avevano conosciuto un calo significativo dal 2001 alla fine del periodo d’inchiesta.

171    Per quanto attiene alle conclusioni definitive relative agli indicatori di pregiudizio macroeconomici, ai ‘considerando’ da 186 a 198 del regolamento impugnato il Consiglio ha confermato le conclusioni della Commissione sulla riduzione della produzione, delle vendite, della quota di mercato, dell’occupazione, della produttività, della crescita e del superamento delle conseguenze di pratiche di dumping. Relativamente agli indicatori microeconomici, ai ‘considerando’ da 199 a 206 del regolamento impugnato, il Consiglio ha del pari confermato le valutazioni della Commissione sul calo dei prezzi di vendita, dei flussi di cassa, della redditività e degli utili sul capitale investito nonché della capacità di reperire capitali a fini di investimento.

172    Sulla base di queste considerazioni, al ‘considerando’ 214 del regolamento impugnato il Consiglio ha rilevato che, a livello macroeconomico, il pregiudizio si era concretizzato soprattutto nella diminuzione del volume delle vendite e nella perdita delle quote di mercato, circostanze che avevano influito sui livelli di produzione e di occupazione. Quanto al livello microeconomico, al ‘considerando’ 200 del regolamento impugnato il Consiglio ha constatato che le società del campione avevano realizzato utili minimi nel corso del periodo d’inchiesta e che non potevano ridurre ulteriormente i loro prezzi senza registrare delle perdite.

173    In tale contesto, le affermazioni delle ricorrenti sui dati falsi asseritamente forniti da due società italiane possono essere ritenute pertinenti solo ove tali dati siano idonei a mettere in discussione i fattori presi in considerazione dal Consiglio al fine di stabilire l’esistenza di un pregiudizio.

174    A tal riguardo, in primo luogo, le ricorrenti fanno riferimento ai licenziamenti fittizi effettuati da due società italiane al fine di riassumere il personale licenziato profittando degli aiuti di Stato per l’assunzione di disoccupati. Le ricorrenti ritengono che il numero dei licenziamenti fittizi in questione sia pari a 3 100. Supponendo che tutti questi licenziamenti non consentano di dimostrare una situazione di difficoltà delle società in questione, ma l’intenzione di riscuotere aiuti di Stato in maniera fraudolenta, si deve necessariamente constatare che, al ‘considerando’ 192 del regolamento impugnato, il Consiglio fa riferimento ad una perdita di oltre 27 000 posti di lavoro dal 2001. Pertanto, anche ammettendo che 3 100 di questi licenziamenti siano stati fittizi, la conclusione del Consiglio in ordine ad un calo importante del livello dell’occupazione a livello macroeconomico resta valida. Si deve altresì rilevare che, a livello microeconomico, il Consiglio non ha fondato la sua conclusione relativa al pregiudizio su dati concernenti l’occupazione.

175    In secondo luogo, le ricorrenti si riferiscono alla delocalizzazione della produzione comunitaria verso paesi terzi accompagnata da misure fraudolente finalizzate all’indicazione dell’origine italiana dei prodotti. Orbene, anche supponendo che le istituzioni siano state vittime di questa prassi nel senso che esse avrebbero incluso nelle cifre relative alla produzione dell’industria comunitaria quantità prodotte all’estero, ciò significherebbe di fatto che la diminuzione della produzione comunitaria è ancora maggiore rispetto a quella descritta nel regolamento provvisorio e nel regolamento impugnato. Le circostanze denunciate dalle ricorrenti, supponendole dimostrate, non sono quindi idonee a mettere in discussione la valutazione del Consiglio in relazione al pregiudizio risultante dal livello di produzione comunitario.

176    In terzo luogo, le ricorrenti fanno valere frodi asseritamente commesse da una delle due imprese italiane, consistenti nella percezione di aiuti di Stato per l’acquisto di nuovi macchinari che sarebbero stati tuttavia installati in particolare in Albania. Orbene, anche ammettendo che questa affermazione sia dimostrata, tale circostanza potrebbe avere soltanto un impatto negativo sul livello reale degli investimenti all’interno del mercato comunitario, confermando in tal modo le conclusioni del Consiglio al riguardo.

177    Le allegazioni delle ricorrenti, dunque, non sono idonee a mettere in discussione le valutazioni del Consiglio a livello macroeconomico.

178    Dal punto di vista microeconomico, si deve rilevare in ogni caso che, anche se le due società italiane in questione hanno partecipato al campione e hanno incluso tra le loro vendite nel mercato comunitario vendite di calzature che esse hanno prodotto in paesi terzi, circostanza che potrebbe incidere sul calcolo del prezzo medio per paio di EUR 18,2 menzionato al ‘considerando’ 199 del regolamento impugnato, resta il fatto che, per le ragioni illustrate al ‘considerando’ 200 del regolamento impugnato, il criterio del prezzo di vendita medio non è di per sé un fattore determinante.

179    Infatti, come è affermato al ‘considerando’ 200 del regolamento impugnato, le calzature sono prodotte su ordinazione e i nuovi ordinativi sono normalmente soddisfatti solo se il prezzo corrispondente garantisce almeno la copertura dei costi. Pertanto, supponendo che il prezzo di vendita medio dell’industria comunitaria non sia stato accertato con la massima precisione e che, in realtà, esso si collochi ad un livello superiore, tale circostanza non sarebbe sufficiente per mettere in discussione le conclusioni relative ai flussi di cassa, alla redditività, all’utile sui capitali investiti, alla capacità di reperire capitali e agli investimenti, che dimostrano tutte un notevole peggioramento della situazione dell’industria comunitaria.

180    Quanto alla censura relativa ad un difetto di motivazione, occorre rilevare che non è necessario che la motivazione dei regolamenti specifichi i vari elementi di fatto e di diritto, talora molto numerosi e complessi, che ne sono oggetto, dal momento che detti regolamenti si collocano nell’impianto sistematico di tutte le misure di cui fanno parte. Al riguardo, è sufficiente che l’iter logico seguito dalle istituzioni nei regolamenti emerga in modo chiaro e non equivoco (sentenza del Tribunale 15 ottobre 1998, causa T‑2/95, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. II‑3939, punti 357 e 358).

181    Si deve inoltre sottolineare che le istituzioni non hanno l’obbligo di prendere posizione su tutti gli argomenti fatti valere dinanzi ad esse dagli interessati, ma che è sufficiente l’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche aventi importanza essenziale nell’economia della decisione (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 gennaio 2007, causa C‑404/04 P, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 30).

182    Orbene, da quanto precede risulta che, nel regolamento impugnato, il Consiglio ha illustrato in modo chiaro le ragioni per cui ha ritenuto che l’industria comunitaria avesse subito un pregiudizio grave, a livello microeconomico come a livello macroeconomico, a causa delle importazioni provenienti dalla Cina. Ne discende che a questo riguardo il regolamento impugnato è sufficientemente motivato in diritto.

183    Ne consegue che il sesto motivo deve essere respinto.

 Sul settimo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base

 Argomenti delle parti

184    Secondo le ricorrenti, occorre indagare se esista un nesso di causalità diretta tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio che l’industria comunitaria ha subito nel 2004. Così non sarebbe, considerata l’esistenza di altri fattori pregiudizievoli quali, sostanzialmente, i risultati negativi dell’esportazione dell’industria comunitaria, l’aumento delle importazioni provenienti da paesi terzi diversi dalla Cina o dal Vietnam e la soppressione del sistema dei contingenti quantitativi a partire dal 1º gennaio 2005 (v. punto 11 supra).

185    Nel caso di specie, la mediocre situazione economica dell’industria comunitaria sarebbe dovuta ad un peggioramento dei suoi risultati all’esportazione, circostanza che confermerebbe la mancanza di competitività della produzione comunitaria. Si tratterebbe del motivo per cui i produttori comunitari non possono aumentare i loro prezzi in modo significativo o accrescere la redditività del settore a un livello superiore rispetto a quello del 2004, anno rilevante per la determinazione del livello dei dazi antidumping atti ad eliminare il pregiudizio. Ciò chiarirebbe altresì il calo delle vendite dei produttori comunitari nel mercato comunitario nonché la delocalizzazione della produzione verso paesi terzi. Inoltre, come risulterebbe dalle precedenti inchieste antidumping, il livello di redditività raggiunto dall’industria comunitaria nel 2004 e durante il periodo d’inchiesta non sarebbe nettamente inferiore a quello degli ultimi quindici anni.

186    Ne conseguirebbe che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è essenzialmente dovuto ai prezzi non competitivi dei prodotti comunitari interessati. Pertanto, anche se entro certi limiti poteva essere esatta la tesi secondo cui l’andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria non ha cagionato un grave pregiudizio, essa non terrebbe conto del fatto che il grave pregiudizio causato non risulta dalle importazioni oggetto del dumping di cui trattasi.

187    L’analisi contenuta nel regolamento impugnato, tesa a mettere in discussione questa conclusione, sarebbe fondata su valutazioni manifestamente erronee figuranti al ‘considerando’ 229 dello stesso. Infatti, in primo luogo, la valutazione secondo cui nessuno dei paesi terzi elencati al ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato avrebbe aumentato in modo sensibile la propria quota di mercato nel corso del periodo considerato disconoscerebbe il fatto che due paesi che detengono quote di mercato non trascurabili le avrebbero raddoppiate e altri due le avrebbero aumentate rispettivamente del 50% e del 30%. In secondo luogo, la quota di mercato di tutti i paesi elencati al ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato sarebbe paragonabile a quella dei paesi destinatari delle misure antidumping in questione e, benché tale quota non corrisponda esattamente a quella della Cina, essa sarebbe superiore a quella del Vietnam. In terzo luogo, tre paesi terzi avrebbero ridotto i loro prezzi di almeno il 22% ed un quarto li avrebbe ridotti di quasi il 20%. In quarto luogo, la diminuzione dei prezzi dei prodotti provenienti dalla Cina si spiegherebbe con il venir meno del regime dei contingenti quantitativi imposto alle importazioni di calzature provenienti da tali paesi, circostanza che avrebbe comportato un aumento delle quantità di calzature a basso prezzo importate e, dunque, un’evoluzione nella ripartizione dei prodotti.

188    Le circostanze elencate al ‘considerando’ 227 e seguenti del regolamento impugnato condurrebbero piuttosto alla conclusione che le importazioni provenienti dai paesi terzi (diversi dalla Cina e dal Vietnam) hanno contribuito sostanzialmente al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Inoltre, le istituzioni comunitarie avrebbero artificiosamente minimizzato l’impatto che la rimozione del contingente ha potuto avere sull’industria comunitaria, segnatamente per quanto attiene alla diminuzione del prezzo unitario medio, all’aumento delle importazioni e alla variazione nella ripartizione dei prodotti. Le ricorrenti sottolineano a questo proposito che il periodo d’inchiesta ha coperto solo un periodo di tre mesi senza contingenti (dal 1º gennaio fino al 31 marzo 2005). Orbene, si tratterebbe di un periodo troppo breve per trarre le conclusioni da un cambiamento così importante che necessita di un periodo rilevante al fine di consentire la stabilizzazione del mercato. Le istituzioni quindi avrebbero concluso ingiustamente che la soppressione del regime dei contingenti non abbia avuto alcun maggiore effetto distorsivo o che abbia unicamente esacerbato gli effetti delle importazioni oggetto di dumping.

189    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta la fondatezza degli argomenti delle ricorrenti.

 Giudizio del Tribunale

190    Va rilevato che, al momento della determinazione del danno, il Consiglio e la Commissione sono tenuti a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere invece ogni danno derivante da altri fattori, in particolare quello causato dallo stesso comportamento dei produttori comunitari (sentenza della Corte 11 giugno 1992, causa C‑358/89, Extramet Industrie/Consiglio, Racc. pag. I‑3813, punto 16).

191    Nel caso di specie, il Consiglio ha accertato l’esistenza di un nesso di causalità esaminando, da un lato, gli effetti delle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro, gli effetti di altri fattori, quali l’andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria, le importazioni provenienti da altri paesi terzi, le fluttuazioni dei corsi di cambio, la soppressione del regime dei contingenti, la mancanza di modernizzazione presso i produttori all’origine della denuncia e la delocalizzazione della produzione da parte dell’industria comunitaria.

192    Per quanto concerne l’argomento delle ricorrenti relativo al negativo andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria, si deve rilevare, alla stregua del Consiglio al ‘considerando’ 224 del regolamento impugnato, che tale circostanza non incide sugli indicatori quali il volume delle vendite, le quote di mercato e la depressione dei prezzi che sono stati alla base dell’accertamento del danno. Infatti, tali indicatori sono stati accertati a livello delle vendite entro la Comunità. Inoltre, secondo i ‘considerando’ 187 e 189 del regolamento impugnato, la diminuzione delle quote di mercato dell’industria comunitaria nel mercato interno ha dato luogo ad un’analoga flessione della produzione. Ne consegue che il Consiglio, al ‘considerando’ 224 del regolamento impugnato, ha giustamente constatato che la maggior parte della produzione comunitaria era destinata al mercato comunitario e che, pertanto, l’andamento delle esportazioni non poteva aver causato un pregiudizio grave all’industria comunitaria.

193    Per quanto riguarda gli argomenti relativi alle importazioni provenienti da altri paesi terzi, si deve rilevare che tutti i paesi ai quali viene fatto riferimento al ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato si sono ripartiti una quota di mercato pari al 33,8% nel corso del periodo d’inchiesta contro il 24,4% nel 2001. In tale contesto, va altresì constatato che due paesi, Macao e il Brasile, hanno raddoppiato la propria quota di mercato nel corso del periodo considerato (dal gennaio 2001 all’aprile 2005) aumentandola dall’1,2% al rispettivamente 2,4% e 2,5%, mentre l’India ha aumentato la propria quota di mercato dal 3,6% nel 2001 al 5,7% durante il periodo d’inchiesta.

194    Per di più, in base alla seconda tabella del ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato, i prezzi dei prodotti importati da questi stessi paesi, ad eccezione della Romania, hanno conosciuto una diminuzione dal 10% (India) al 25% (Brasile), che varia tra gli EUR 8,7 (Indonesia con una quota di mercato del 2%) e gli EUR 14,9 (Romania con una quota di mercato del 6,9%).

195    Inoltre, si deve rammentare che, secondo i ‘considerando’ 162, 168 e 170 del regolamento impugnato, la quota di mercato delle importazioni provenienti dalla Cina e dal Vietnam è aumentata dal 9,3% nel 2001 al 23,2% durante il periodo d’inchiesta. Per di più, secondo i ‘considerando’ 170 e 199 del regolamento impugnato, le calzature provenienti dalla Cina e dal Vietnam sono state importate, durante il periodo d’inchiesta, ad un prezzo medio pari a EUR 8,5 per paio contro un prezzo medio pari a EUR 18,2 per paio per le calzature prodotte nella Comunità e un prezzo medio ponderato pari a EUR 12,21 per paio per le importazioni provenienti dai paesi terzi. Il calcolo di quest’ultimo prezzo si fonda sui prezzi medi menzionati nella seconda tabella del ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato, ponderati secondo le quote di mercato alle quali si fa riferimento nella prima tabella del medesimo ‘considerando’.

196    Dai suddetti dati risulta che, sebbene i paesi terzi detengano collettivamente una quota notevole del mercato comunitario, la quota globale di mercato della Cina e del Vietnam corrisponde a circa il 72% della quota di mercato dei paesi terzi elencati nel ‘considerando’ 227 del regolamento impugnato. Ciò premesso si deve aggiungere che il prezzo medio all’importazione delle calzature provenienti dai paesi interessati è inferiore del 30,4% al prezzo medio al quale vengono importate le calzature provenienti dagli altri paesi terzi. In tali circostanze, gli effetti riconducibili alle importazioni provenienti da altri paesi terzi non sono atti a mettere in discussione il nesso di causalità sussistente tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

197    Tale conclusione non viene inficiata dal fatto che taluni paesi terzi hanno aumentato in maniera significativa la propria quota di mercato durante il periodo considerato, dal momento che i dati di cui ai precedenti punti 193‑196 tengono in debito conto questa evoluzione.

198    Quanto all’impatto che potrebbe avere avuto l’eliminazione dei contingenti (v. punto 188 supra), occorre rilevare che l’imposizione di dazi antidumping non costituisce la sanzione per un comportamento precedente, ma una misura di difesa e protezione contro la concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping. Pertanto, al fine di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping, è necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali (sentenza Industrie des poudres sphériques/Consiglio, cit., punti 91 e 92, e sentenza del Tribunale 14 novembre 2006, causa T‑138/02, Nanjing Metalink/Consiglio, Racc. pag. II‑4347, punto 60).

199    In tal modo, allorché le istituzioni constatano che le importazioni di un prodotto sino ad allora soggetto a restrizioni quantitative aumentano a seguito del venir meno di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale crescita ai fini della valutazione dalle stesse compiuta del pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

200    Infine, come risulta dai ‘considerando’ 162, da 168 a 170, da 187 a 206 e da 216 a 240 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno tenuto conto di vari fattori, concernenti il pregiudizio e il nesso di causalità, relativi non solo all’ultimo trimestre del periodo d’inchiesta, ma anche al periodo considerato.

201    Ne consegue che il settimo motivo deve essere respinto.

 Sull’ottavo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 9, n. 4, del regolamento di base

 Argomenti delle parti

202    Le ricorrenti fanno valere che la valutazione del Consiglio relativa al livello che le misure antidumping definitive dovevano raggiungere per eliminare il pregiudizio (v. punto 42 supra) è manifestamente erronea. Tale valutazione si fonderebbe su dati relativi ad una parte del prodotto in esame che non sarebbe oggetto di «dumping gravemente pregiudizievole» (anziché impiegare dati più validi, relativi agli anni dal 2001 al 2003, nel corso dei quali non vi sarebbe stato dumping) e consisterebbe nel procedere ad una suddivisione del prodotto simile seguendo un «ragionamento circolare». L’identificazione delle calzature che non sono oggetto di un «dumping gravemente pregiudizievole» implicherebbe che venga stabilito il momento a partire del quale esiste un «dumping gravemente pregiudizievole», circostanza che richiederebbe altresì un raffronto tra il margine di utili dei produttori comunitari e il margine di utili che sarebbe stato raggiunto in mancanza di importazioni oggetto di dumping. Simile approccio sarebbe particolarmente inadeguato, dal momento che le misure antidumping sono applicabili a tutte le importazioni.

203    Inoltre, nel controricorso il Consiglio avrebbe chiarito che il margine di utili del 6% riguarderebbe prodotti che non sono oggetto dell’inchiesta di cui trattasi, circostanza che per definizione implicherebbe che tale percentuale non può costituire un’indicazione valida per il calcolo del margine di utili che i produttori comunitari avrebbero realizzato in assenza di importazioni oggetto di dumping. Infatti, l’industria comunitaria non avrebbe realizzato un margine di utili superiore al 2% durante il periodo coperto dall’inchiesta o nel passato recente.

204    Ne conseguirebbe che la fissazione al 6% del margine di utili che l’industria comunitaria avrebbe potuto prevedere in mancanza di dumping pregiudizievole sarebbe riconducibile ad un errore manifesto di valutazione che configura una violazione dell’art. 9, n. 4, del regolamento di base.

205    Il Consiglio confuta gli argomenti delle ricorrenti affermando che la nozione di «calzature che non sono oggetto di dumping gravemente pregiudizievole» non corrisponde ad una sottocategoria del prodotto in esame, ma a calzature che non sono sussumibili nella definizione del prodotto in esame. Pertanto, le istituzioni non avrebbero seguito un «ragionamento circolare» e non avrebbero privilegiato dati non affidabili a danno di dati maggiormente validi relativi al prodotto in esame.

206    In via subordinata il Consiglio fa valere che, anche nell’ipotesi in cui il motivo in esame fosse accolto, tale circostanza potrebbe comportare unicamente l’annullamento del regolamento impugnato nella parte in cui il Consiglio ha adottato un margine di pregiudizio superiore del 4% rispetto al margine che avrebbe dovuto accertare.

 Giudizio del Tribunale

207    Si deve anzitutto rilevare che, nella replica, le ricorrenti hanno accettato il chiarimento fornito dal Consiglio, secondo cui la nozione di «calzature che non sono oggetto di dumping gravemente pregiudizievole» non corrispondeva ad una sottocategoria del prodotto in esame, ma a calzature non ricadenti nella definizione del prodotto in esame.

208    Si deve poi respingere l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui il margine di utili che l’industria comunitaria ha realizzato per calzature non coperte dall’inchiesta (e che non sono oggetto di dumping pregiudizievole) non può essere considerato un’indicazione valida del margine di utili che i produttori comunitari avrebbero realizzato sulla vendita del prodotto in esame in assenza di importazioni oggetto di dumping. Infatti, niente obbliga le istituzioni a fondarsi unicamente su dati relativi al prodotto in esame al fine di valutare il margine di utili che l’industria comunitaria avrebbe conseguito in assenza di dumping pregiudizievole. Al contrario, esse possono legittimamente fondarsi su prodotti vicini, simili in senso largo al prodotto in esame. Anche se tali prodotti non ricadono nella definizione del prodotto in esame, il margine di utili che l’industria comunitaria ha realizzato per tali prodotti può essere considerato un’indicazione valida del margine di utili che i produttori comunitari avrebbero ottenuto sulla vendita del prodotto in esame in mancanza di importazioni oggetto di dumping. Nel caso di specie, il Consiglio non ha commesso un errore manifesto di valutazione fondandosi sul margine di utili che l’industria comunitaria ha realizzato per altre calzature rispetto a quelle oggetto dell’inchiesta, giacché tali altre calzature sono sufficientemente vicine al prodotto in esame.

209    Infine, va rammentato che l’art. 3, n. 3, del regolamento di base prevede espressamente la possibilità di tener conto di un’eventuale depressione dei prezzi praticati dall’industria comunitaria per stabilire, in questo caso, il livello di sottoquotazione dei prezzi di riferimento.

210    Ne consegue che l’ottavo motivo deve essere anch’esso respinto, come il ricorso nel suo insieme.

 Sulle spese

211    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, vanno condannate alle spese.

212    Conformemente all’art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, la Commissione e la CEC sopportano le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Brosmann Footwear (HK) Ltd, la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, la Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd e la Risen Footwear (HK) Co., Ltd sopportano le proprie spese nonché quelle del Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione europea e la Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC) sopportano le proprie spese.

Martins Ribeiro

Papasavvas

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 marzo 2010.

Indice


Contesto normativo

Fatti e regolamento impugnato

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sui primi due motivi, relativi alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. b) e c), dell’art. 9, n. 5, e dell’art. 18 del regolamento di base, alla violazione dei principi di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento nonché alla violazione del diritto di difesa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul terzo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base in difetto di prova da parte della Commissione del sostegno alla denuncia da parte dell’industria comunitaria

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quarto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 1, n. 4, e degli artt. 2 e 3 del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quinto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 17 del regolamento di base e dell’art. 253 CE

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul sesto motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base nonché dell’art. 253 CE

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul settimo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sull’ottavo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’art. 9, n. 4, del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.