Language of document : ECLI:EU:T:2012:417

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

12 settembre 2012 (*)

«FEAOG – Sezione “garanzia ”– Liquidazione dei conti – Spese escluse dal finanziamento – Irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri – Articolo 8, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 729/70 e articolo 8, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CE) n. 1258/1999 – Ritardo eccessivo nella valutazione da parte della Commissione delle comunicazioni trasmesse ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 595/91 – Termine ragionevole»

Nella causa T‑394/06,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Aiello, avvocato dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da C. Cattabriga, in qualità di agente, assistita da M. Moretto, avvocato,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale della decisione 2006/678/CE della Commissione del 3 ottobre 2006, relativa alle conseguenze finanziarie da applicare, nell’ambito della liquidazione delle spese finanziate dal Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, in determinati casi di irregolarità commesse da alcuni operatori (GU L 278, pag. 24),

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto dai sigg. S. Papasavvas, presidente, V. Vadapalas e K. O’Higgins (relatore), giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 novembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        Il regolamento (CEE) n. 729/70 del Consiglio, del 21 aprile 1970, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU L 94, pag. 13), nella versione da ultimo modificata dal regolamento (CE) n. 1287/95 del Consiglio del 22 maggio 1995 (GU L 125, pag. 1), stabiliva le regole generali applicabili al finanziamento della politica agricola comune. Tale regolamento è stato sostituito dal regolamento (CE) n. 1258/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU L 160, pag. 103), che disciplinava le spese effettuate dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2006.

2        Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), e dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 729/70 nonché dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), e dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999, la sezione «garanzia» del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEAOG) finanziava, nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli, gli interventi destinati a regolarizzare tali mercati, effettuati secondo le norme comunitarie.

3        Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera c), del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999, la Commissione delle Comunità europee decideva in merito alle spese non ammesse al finanziamento comunitario qualora constatasse che queste ultime non erano state eseguite in conformità alle norme comunitarie.

4        Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1258/1999, gli Stati membri adottavano, in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per accertare se le operazioni finanziate dal FEAOG fossero reali e regolari, per prevenire e perseguire le irregolarità e recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze.

5        Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999, in mancanza di recupero totale, le conseguenze finanziarie delle irregolarità o negligenze sono sopportate dalla Comunità europea, salvo quelle risultanti da irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri.

6        L’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 595/91 del Consiglio, del 4 marzo 1991, relativo alle irregolarità e al recupero delle somme indebitamente pagate nell’ambito del finanziamento della politica agricola comune nonché all’instaurazione di un sistema di informazioni in questo settore e che abroga il regolamento (CEE) n. 283/72 (GU L 67, pag. 11), disponeva quanto segue:

«Entro i due mesi successivi alla fine di ogni trimestre, gli Stati membri comunicano alla Commissione un elenco delle irregolarità che hanno formato oggetto di un primo verbale amministrativo o giudiziario.

A tal fine forniscono ogni possibile precisazione circa:

–        la disposizione alla quale si è trasgredito;

–        la natura e l’entità della spesa; qualora non sia stato effettuato alcun pagamento, le somme che sarebbero state pagate indebitamente se non si fosse scoperta l’irregolarità, fatti salvi gli errori o le negligenze commessi dagli operatori economici, scoperti prima del pagamento e non implicanti alcuna sanzione amministrativa o giudiziaria;

–        le organizzazioni comuni di mercato e il o i prodotti interessati o la misura in causa;

–        il momento o il periodo in cui è stata commessa l’irregolarità;

–        le pratiche seguite per commettere l’irregolarità;

–        il modo in cui l’irregolarità è stata scoperta;

–        i servizi od organismi nazionali che hanno proceduto alla constatazione dell’irregolarità;

–        le conseguenze finanziarie e il possibilità di recupero;

–        la data e la fonte della prima informazione che lascia presumere l’esistenza di un’irregolarità;

–        la data in cui si è accertata l’irregolarità;

–        se del caso, gli Stati membri ed i paesi terzi interessati;

–        l’identità delle persone fisiche e giuridiche implicate, tranne qualora questa indicazione non possa essere utile nel quadro della lotta contro [le] irregolarità dato il tipo di irregolarità in questione».

7        L’articolo 5, paragrafo 1, del medesimo regolamento enunciava che «[e]ntro i due mesi successivi alla fine di ogni trimestre, gli Stati membri informano la Commissione dei procedimenti avviati in seguito alle irregolarità comunicate in applicazione dell’articolo 3 nonché dei cambiamenti significativi intervenuti in detti procedimenti (…)». Il paragrafo 2 del medesimo articolo disponeva che, «[q]ualora uno Stato membro ritenga che il recupero totale di una somma non possa essere effettuato o previsto, esso indica alla Commissione, nell’ambito di una comunicazione speciale, l’importo non recuperato e i motivi per cui tale somma è, a suo parere, a carico della Comunità o dello Stato membro», che «[t]ali indicazioni devono essere sufficientemente particolareggiate da consentire alla Commissione di prendere una decisione sull’imputazione delle conseguenze finanziarie a norma dell’articolo 8, paragrafo 2 del regolamento (…) n. 729/70» e che «[t]ale decisione è presa secondo la procedura prevista all’articolo 5 di detto regolamento».

8        Le modalità relative alla procedura di liquidazione dei conti del FEAOG erano determinate dal regolamento (CE) n. 1663/95 della Commissione, del 7 luglio 1995, che stabilisce modalità d’applicazione del regolamento n. 729/70 per quanto riguarda la procedura di liquidazione dei conti del FEAOG, sezione «garanzia» (GU L 158, pag. 6), come modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 465/2005 della Commissione, del 22 marzo 2005 (GU L 77, pag. 6).

9        L’articolo 8, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1663/95, prevedeva quanto segue:

«1. Qualora ritenga, a seguito di un’indagine, che le spese non sono effettuate nel rispetto delle norme comunitarie, la Commissione comunica allo Stato membro interessato le proprie risultanze e indica i provvedimenti da adottare per garantire, in futuro, l’osservanza delle norme stesse.

La comunicazione fa riferimento al presente regolamento. Lo Stato membro risponde entro due mesi e la Commissione può conseguentemente modificare la sua posizione. In casi giustificati la Commissione può accordare una proroga del termine per la risposta.

Alla scadenza del termine stabilito per la risposta, i servizi della Commissione convocano una discussione bilaterale ed entrambe le parti si adoperano per raggiungere un accordo sulle misure da adottare, nonché sulla valutazione della gravità dell’infrazione e del danno finanziario arrecato alla Comunità europea. In esito a tale discussione e dopo un’eventuale data fissata dalla Commissione, di concerto con lo Stato membro, dopo la discussione bilaterale per la comunicazione d’informazioni supplementari o, qualora lo Stato membro non accetti la convocazione nel termine fissato dalla Commissione, dopo la scadenza di tale termine, quest’ultima comunica ufficialmente le sue conclusioni allo Stato membro facendo riferimento alla decisione 94/442/CE. Fatte salve le disposizioni del quarto comma del presente paragrafo, tale comunicazione valuta le spese di cui sarà proposta l’esclusione in virtù dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera c), del regolamento (...) n. 729/70.

Lo Stato membro informa la Commissione quanto prima possibile dei provvedimenti adottati per assicurare il rispetto delle norme comunitarie e della data effettiva della loro attuazione. La Commissione adotta, se del caso, una o più decisioni in applicazione dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera c), del regolamento (...) n. 729/70 per escludere fino alla data effettiva di attuazione dei provvedimenti le spese per le quali non sono state rispettate le norme comunitarie.

2. le decisioni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettera c), del regolamento (...) n. 729/70 sono adottate in seguito all’esame delle relazioni predisposte dall’organo di conciliazione a norma della decisione n. 94/442 (...)».

 Fatti

10      Nel 2003 la Commissione ha istituito la «task force “recupero”» (in prosieguo: la «TFR») con il compito di esaminare i casi di irregolarità comunicati dagli Stati membri, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 595/91, anteriormente al 1° gennaio 1999, di importo superiore a EUR 500 000 e non ancora liquidati.

11      Dal maggio al settembre 2003 la TFR ha effettuato un controllo in loco presso gli organismi pagatori italiani al fine di verificare il rispetto degli adempimenti previsti dall’articolo 8 del regolamento n. 729/70 o, se del caso, dall’articolo 8 del regolamento n. 1258/99, con riguardo alle irregolarità comunicate prima del 1999, per le quali non aveva avuto luogo un recupero totale. I principali organismi coinvolti erano l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e il Servizio autonomo interventi nel settore agricolo (SAISA).

12      Con lettera del 7 dicembre 2004 la Commissione ha comunicato gli esiti delle verifiche effettuate alle autorità italiane, rilevando che, in 347 casi, queste ultime non avevano pienamente rispettato gli adempimenti imposti dalle normative citate al punto 9 supra. In un allegato alla sua lettera essa ha esposto le contestazioni specifiche relative ad ogni caso e ha rivolto alcune richieste alle autorità italiane. Conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1663/95, veniva impartito alle autorità italiane un termine di due mesi per rispondere a tali richieste e trasmettere i documenti necessari nel caso in cui la situazione dei casi esaminati fosse cambiata dopo la data del controllo.

13      Con lettera del 4 febbraio 2005 le autorità italiane hanno chiesto una proroga di tale termine, loro concessa con lettera del 18 febbraio 2005.

14      Con lettera del 9 febbraio 2005 l’AGEA ha trasmesso alla Commissione le osservazioni formulate dal SAISA relativamente ai 18 casi di competenza di quest’ultimo.

15      Con lettera del 15 marzo 2005 l’AGEA ha inviato alla Commissione le proprie osservazioni con riguardo a 75 casi.

16      Con lettera del 14 aprile 2005 essa ha trasmesso le proprie osservazioni in ordine ad altri 33 casi e ha chiesto un’ulteriore proroga di tre mesi per pronunciarsi sui casi residui. La Commissione ha acconsentito alla richiesta con lettera del 29 aprile 2005, prorogando il termine fino al 14 luglio 2005.

17      Con lettera del 4 maggio 2005, dopo aver esaminato le informazioni fornite, la Commissione ha rilevato che, nei 18 casi menzionati al punto 14 supra, il recupero non era stato gestito con diligenza. Essa ha invitato le autorità italiane a partecipare ad una prima riunione bilaterale.

18      Con lettera dell’11 maggio 2005, dopo aver esaminato le informazioni fornite, la Commissione ha osservato che, relativamente ai 75 casi menzionati nella lettera dell’AGEA del 15 marzo 2005, la gestione del recupero era stata negligente in quasi tutti i casi. Essa ha invitato le autorità italiane a partecipare ad una seconda riunione bilaterale.

19      Con lettera del 24 maggio 2005 l’AGEA ha comunicato osservazioni in vista delle riunioni bilaterali, sostenendo in particolare che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del lasso temporale di quattro anni menzionato dalla Corte nella sentenza dell’11 ottobre 1990, Italia/Commissione (C‑34/89, Racc. pag. I‑3603).

20      Con lettera del 26 maggio 2005 l’AGEA, in risposta alla richiesta contenuta nella lettera della Commissione del 4 maggio 2005, ha trasmesso le informazioni supplementari comunicate dal SAISA relativamente ai 18 casi di sua competenza.

21      Il 6 e il 7 giugno 2005 ha avuto luogo a Bruxelles la prima riunione bilaterale tra la Commissione e le autorità italiane in merito ai 18 casi SAISA.

22      La seconda riunione bilaterale relativa a 75 casi dell’AGEA si è svolta dal 13 al 17 giugno 2005.

23      Con lettera del 22 giugno 2005 l’AGEA ha trasmesso alla Commissione osservazioni integrative riguardo ai 18 casi SAISA.

24      Con lettera del 24 giugno 2005 l’AGEA ha richiesto un’ulteriore proroga per rispondere alla lettera della Commissione del 7 dicembre 2004 con riguardo ai rimanenti 130 casi. La Commissione ha respinto tale richiesta con lettera del 13 luglio 2005.

25      Con lettera del 25 agosto 2005 la Commissione ha convocato una terza riunione bilaterale, con riferimento a 163 casi di irregolarità.

26      Con lettera del 22 settembre 2005 le autorità italiane hanno risposto alla suddetta lettera comunicando informazioni complementari relative a 75 fascicoli, ma riservandosi il diritto di integrare la documentazione nel corso della riunione bilaterale.

27      La terza riunione bilaterale si è svolta dal 28 al 30 settembre 2005 (relativamente a 33 casi dell’AGEA), dal 3 al 7 ottobre e il 10 e 11 ottobre 2005 (relativamente a 130 casi dell’AGEA).

28      Con lettera del 21 ottobre 2005 l’AGEA ha comunicato alla Commissione informazioni supplementari fornite dal SAISA riguardanti i casi discussi nel corso della prima riunione bilaterale. Con lettere del 14 e 25 novembre 2005, del 1° e 28 dicembre 2005, dell’11 e 25 gennaio 2006 e del 1° marzo 2006, l’AGEA le ha altresì trasmesso informazioni di aggiornamento.

29      Con lettera del 3 aprile 2006 la Commissione ha notificato alle autorità italiane la conclusione secondo cui la Repubblica italiana era venuta meno ai propri obblighi derivanti dall’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 729/70 e dall’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1258/1999.

30      Con nota del 28 aprile 2006 le autorità italiane hanno chiesto alla Commissione di indire un’ulteriore riunione bilaterale per presentare la documentazione da esse ricevuta nel frattempo, richiesta accolta con e-mail del 2 maggio 2006. Con e-mail del 5 maggio 2006 l’AGEA ha trasmesso tale documentazione.

31      L’11 maggio 2006 si è svolta tale riunione bilaterale supplementare, a seguito della quale le autorità italiane hanno deciso di non adire l’organo di conciliazione.

32      Il 14 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso a diversi Stati membri, tra cui la Repubblica italiana, la relazione di sintesi AGRI‑2006-62645-01-00, relativa ai risultati dei controlli nella liquidazione delle spese del FEAOG, sezione garanzia, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera c), del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999 per quanto riguarda il recupero dei pagamenti irregolari (in prosieguo: la «relazione di sintesi»). La tabella I allegata a tale relazione indicava, per ciascun caso, i motivi per cui la Commissione riteneva che lo Stato membro interessato non avesse agito con la dovuta diligenza. La tabella III elencava i casi non comportanti irregolarità da depennare dal registro dei debitori. La Commissione ha rilevato che 59 casi risalenti a prima del 1999 erano esclusi dal campo di applicazione della relazione di sintesi dal momento che, siccome le autorità nazionali avevano agito con diligenza, il recupero era ancora possibile.

33      Con decisione 2006/678/CE del 3 ottobre 2006, relativa alle conseguenze finanziarie da applicare, nell’ambito della liquidazione delle spese finanziate dal Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, in determinati casi di irregolarità commesse da alcuni operatori (GU L 278, pag. 24; in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha posto a carico della Repubblica italiana le conseguenze finanziarie relative a 157 casi di irregolarità, per un importo complessivo pari a EUR 310 849 495,98.

 Procedimento e conclusioni delle parti

34      Con atto introduttivo, depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 dicembre 2006, la Repubblica italiana ha proposto il presente ricorso.

35      Poiché la composizione delle Sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato alla Quinta Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la causa in esame.

36      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di passare alla fase orale del procedimento. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del suo regolamento di procedura esso, il 28 luglio 2011, ha posto alcuni quesiti alle parti, cui queste ultime hanno risposto nel termine stabilito.

37      Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza svoltasi il 15 novembre 2011.

38      La Repubblica italiana chiede al Tribunale di annullare la decisione impugnata nella parte che riguarda l’esclusione dal finanziamento comunitario e l’imputazione a carico del suo bilancio delle conseguenze finanziarie da applicare, nell’ambito della liquidazione delle spese finanziate dal FEAOG, sezione «garanzia», nei 105 casi di irregolarità oggetto del ricorso.

39      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

 In diritto

40      La Repubblica italiana deduce tre motivi a sostegno del ricorso, il quale riguarda 105 casi, suddivisi in funzione di tre tipi di errori asseritamente commessi dalla Commissione. Pertanto, nel contesto del primo motivo, attinente ai primi 10 casi, la Repubblica italiana addebita alla Commissione di non essersi pronunciata entro un termine ragionevole sulle comunicazioni di chiusura trasmesse dalle autorità nazionali ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91. Nel contesto del secondo motivo, relativo ai successivi 36 casi, essa sostiene che la Commissione avrebbe erroneamente concluso che la Repubblica italiana aveva agito in maniera negligente, in violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1258/1999. Nel contesto del terzo motivo, relativo ai 59 ultimi casi, essa sostiene che la Commissione avrebbe omesso di imputare al FEAOG le conseguenze finanziarie in violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999.

41      Rispondendo ad una domanda posta nel corso dell’udienza, la Repubblica italiana ha confermato che il secondo motivo riguardava la circostanza per cui non le si potrebbe addebitare una condotta negligente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999.

42      Prima di procedere all’esame dei tre motivi dedotti dalla Repubblica italiana, il Tribunale ritiene opportuno formulare le seguenti osservazioni preliminari.

 Osservazioni preliminari

43      In primo luogo, si deve ricordare che da una giurisprudenza costante risulta che, nell’ambito del ricorso d’annullamento ex articolo 230 CE, la legittimità dell’atto impugnato deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (sentenza della Corte del 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, 15/76 e 16/76, Racc. pag. 321, punto 7; sentenza del Tribunale del 22 gennaio 1997, Opel Austria/Consiglio, T‑115/94, Racc. pag. II‑39, punti 87 e 88).

44      Pertanto, considerazioni relative ai procedimenti di recupero avviati dalle autorità italiane successivamente all’adozione della decisione impugnata non possono essere fatte valere a sostegno di un motivo diretto a rimettere in discussione la validità della stessa.

45      In secondo luogo, va rammentato che, ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le parti possono proporre nuovi mezzi di prova a sostegno delle loro argomentazioni nella replica e nella controreplica, ma in tal caso devono motivare il ritardo nella presentazione di tali mezzi. Ciò nondimeno, tale disposizione riguarda i mezzi di prova nuovi e dev’essere letta alla luce dell’articolo 66, paragrafo 2, di detto regolamento che prevede espressamente che la prova contraria e l’ampliamento dei mezzi di prova restino riservati (sentenza della Corte del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 72, e sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, Commissione/Trends, T‑448/04, non pubblicata nella Raccolta, punto 52).

46      Nel caso di specie occorre constatare che la ricorrente ha prodotto per la prima volta, in allegato alla replica, alcuni documenti, senza aver fornito la minima giustificazione per tale ritardo. Ciò si riscontra parimenti rispetto ad una gran parte dei documenti presentati in allegato alla risposta ai quesiti scritti del Tribunale. In siffatto contesto è necessario rilevare che un numero considerevole di tali documenti, prodotti per la prima volta in detta fase del procedimento, sono anteriori alla data della decisione impugnata e che nulla fa presumere che la Repubblica italiana non sarebbe stata in grado di presentarli già al momento dell’atto introduttivo del ricorso.

47      Si deve altresì ricordare che non spetta al Tribunale ricercare ed individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso potrebbe essere basato, atteso che gli allegati assolvono ad una funzione meramente probatoria e strumentale (sentenza del Tribunale del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc. pag. II‑3601, punto 94).

48      In terzo luogo, si deve rilevare che, ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia, dev’essere dichiarato ricevibile un motivo che costituisca l’ampliamento di un motivo enunciato precedentemente, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del ricorso, e che presenta uno stretto collegamento con questo (sentenze del Tribunale dell’8 ottobre 2008, Carbone Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc. pag. II‑2661, punto 137, e del 28 aprile 2010, Gütermann/Commissione, T‑456/05 e T‑457/05, Racc. pag. II‑1443, punto 199). Del resto gli argomenti la cui sostanza presenta uno stretto nesso con un motivo enunciato nell’atto introduttivo d’istanza non possono essere considerati motivi nuovi e la loro presentazione è consentita nella fase della replica o dell’udienza (v., in tal senso, sentenza della Corte del 12 giugno 1958, Compagnie des Hauts Fourneaux de Chasse/Alta Autorità, 2/57, Racc. pag. 123, 137).

49      Nella fattispecie un argomento della Repubblica italiana, esposto nella risposta scritta ai quesiti del Tribunale, è relativo all’applicazione del nuovo regime di liquidazione dei conti previsto dal regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU L 209, pag. 1), e dal regolamento (CE) n. 885/2006 della Commissione, del 21 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento n. 1290/2005 per quanto riguarda il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione dei conti del FEAGA e del FEASR (GU L 171, pag. 90), entrati in vigore il 16 ottobre 2006. Orbene, dovendosi constatare che detti regolamenti non erano in vigore alla data della decisione impugnata e che quindi non risultavano applicabili ai fatti in discussione, di conseguenza essi non sono da considerare ai fini della valutazione della legittimità della stessa (v. punto 43 supra).

50      Del resto la censura, formulata per la prima volta dalla Repubblica italiana nelle risposte ai quesiti del Tribunale e relativa alla situazione difficile in cui la decisione impugnata l’avrebbe posta rispetto a 59 casi non liquidati, non costituisce l’ampliamento di un motivo enunciato precedentemente, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del ricorso e non presenta uno stretto collegamento con siffatto motivo. Occorre pertanto respingerla in quanto irricevibile.

 Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91

51      Con il primo motivo la Repubblica italiana sostiene che, relativamente a dieci casi liquidati nella decisione impugnata, la Commissione avrebbe mostrato una lentezza eccessiva nel valutare le comunicazioni speciali trasmesse dalle autorità italiane conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91.

52      Questo motivo è diretto all’annullamento parziale della decisione impugnata, per l’importo di EUR 13 659 389,47, corrispondente alla somma degli importi in parola nei dieci casi interessati, ossia: APAO (IT/1990/080) EUR 997 851,72, APAO (IT/1991/024) EUR 329 539,37, Belcuore Francesca (IT/1989/208) EUR 1 528 863,48, Caroli Stefano (IT/1990/002) EUR 648 746,26, Cooperativa Agricola Delizia (IT/1991/002) EUR 2 421 612,13, De Gregorio Tabacchi (IT/1992/117) EUR 895 504,86, General Trade (IT/1989/011) EUR 880 239,40, ICAL (IT/1989/013) EUR 1 756 811,95, Rosato Antonio (IT/1986/017) EUR 1 249 635,88 e APAC (IT/1990/081) EUR 2 950 584,42. Detti importi non sono stati contestati dalle parti.

 Argomenti delle parti

53      La Repubblica italiana, in primo luogo, sostiene che dopo aver ricevuto le comunicazioni speciali delle autorità italiane, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91, la Commissione non si sarebbe pronunciata entro un termine ragionevole sull’imputabilità delle conseguenze finanziarie nei dieci casi interessati. Benché tale disposizione non preveda un termine specifico per l’adozione di siffatto provvedimento, la Commissione non sarebbe tuttavia autorizzata a superare i limiti di ragionevolezza indicati dalla giurisprudenza della Corte.

54      Inoltre, richiamandosi al principio di buona amministrazione, la Repubblica italiana afferma che la Commissione avrebbe dovuto pronunciarsi in ciascuno dei casi entro due mesi dal ricevimento della comunicazione speciale. Poiché ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1663/95, lo Stato membro è tenuto a rispondere nel termine di due mesi alla comunicazione con cui la Commissione lo informa delle risultanze di un’indagine, quest’ultima dovrebbe rispettare lo stesso termine per pronunciarsi su tale risposta. La Commissione non godrebbe di un’assoluta discrezionalità quanto alla data limite entro cui è tenuta ad adottare una decisione.

55      Infine, il superamento del suddetto termine costituirebbe una negligenza imputabile alla Commissione, e di conseguenza gli importi non recuperati o recuperabili non potrebbero essere posti a carico della Repubblica italiana. Il fatto che quest’ultima si sia trovata nell’impossibilità di procedere al recupero a causa del prolungarsi delle procedure giudiziarie, sia civili che penali, non può costituire una negligenza da parte sua. Affinché uno Stato membro possa essere considerato negligente, dovrebbe aver violato non solo le disposizioni del diritto comunitario, ma anche le disposizioni nazionali, per esempio in materia di prescrizione.

56      Nella replica la Repubblica italiana, invocando il principio della tutela del legittimo affidamento, sostiene che quanto maggiore è il tempo intercorrente tra la comunicazione speciale di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/1991 e l’adozione di una decisione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70, tanto maggiore sarà l’affidamento riposto in buona fede dallo Stato membro circa l’imputabilità delle somme non recuperate e non recuperabili a carico del bilancio comunitario. Nel caso di specie l’inosservanza di un termine ragionevole da parte della Commissione avrebbe alimentato il legittimo affidamento nell’imputabilità delle somme a carico del bilancio comunitario. Siffatto comportamento della Commissione sarebbe contrario al dovere di leale cooperazione ai sensi dell’articolo 10 CE che si imporrebbe altresì alle istituzioni comunitarie.

57      Per quanto riguarda la presunta violazione di tale dovere di leale cooperazione da parte delle autorità italiane, la Repubblica italiana asserisce che tali autorità avrebbero il diritto di inviare le comunicazioni speciali di cui all’articolo 5 del regolamento n. 595/91 nonostante la creazione della TFR, atteso che, in caso contrario, dal 2003 tutte le attività di chiusura sarebbero bloccate.

58      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

59      Si deve anzitutto ricordare che dall’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91 risulta che spetta allo Stato membro, per il tramite di una comunicazione speciale, indicare alla Commissione la somma non recuperata, qualora ritenga che il recupero totale dell’importo indebitamente concesso non può essere effettuato o atteso, mentre la Commissione deve in un secondo tempo adottare una decisione sull’imputabilità delle conseguenze finanziarie che ne derivano (sentenza della Corte del 21 gennaio 1999, Germania/Commissione, C‑54/95, Racc. pag. I‑35, punto 116).

60      Non può essere accolta l’affermazione della Repubblica italiana secondo cui la Commissione sarebbe stata tenuta a pronunciarsi entro un termine di due mesi dal ricevimento della comunicazione speciale di cui trattasi. Infatti, come ammesso dalla Repubblica italiana in risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale, nessuna disposizione regolamentare imponeva a tale istituzione di adottare una decisione relativa a una siffatta comunicazione entro un termine specifico (sentenza Germania/Commissione, punto 59 supra, punto 116, e sentenza del Tribunale del 26 ottobre 2010, Germania/Commissione, T‑236/07, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 63 e 64).

61      Gli argomenti della Repubblica italiana relativi a una violazione dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91 devono pertanto essere respinti in quanto infondati.

62      Inoltre, riguardo all’argomento secondo cui la Commissione sarebbe stata tenuta a pronunciarsi sull’imputabilità delle conseguenze finanziarie in un termine ragionevole decorrente dal ricevimento della comunicazione speciale, occorre ricordare che, in forza di un principio generale del diritto comunitario, la Commissione è tenuta a rispettare, nell’ambito delle sue procedure amministrative, un termine ragionevole (sentenza del Tribunale del 22 ottobre 1997, SCK e FNK/Commissione, T‑213/95 e T‑18/96, Racc. pag. II‑1739, punto 56).

63      A questo proposito è giurisprudenza costante che la ragionevolezza della durata di un procedimento amministrativo si valuta sulla scorta delle circostanze specifiche di ciascuna pratica e, in particolare, del contesto della stessa, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità della pratica, nonché degli interessi delle differenti parti nella causa (sentenze del Tribunale SCK e FNK/Commissione, punto 62 supra, punto 57, e del 20 settembre 2003, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, T‑196/01, Racc. pag. II‑3987, punto 230).

64      Nella fattispecie dalla cronologia degli eventi esposti ai punti 10‑33 supra risulta che il procedimento amministrativo è stato innegabilmente lungo.

65      Ciò nondimeno è necessario considerare la circostanza che la verifica, da parte della Commissione, degli svariati documenti e chiarimenti forniti dalle autorità italiane nel corso del procedimento amministrativo ha richiesto un’analisi approfondita e complessa. Tenuto conto, in particolare, del volume della documentazione presentata da tali autorità e della mancanza di sistematicità dei casi in discussione, come rilevato dalla TFR, si deve constatare che la durata del procedimento amministrativo di valutazione delle comunicazioni speciali non è stata eccessiva al punto da inficiare d’illegittimità la decisione impugnata.

66      Si deve a questo proposito osservare che, nel contesto del procedimento di liquidazione, la Commissione è tenuta a verificare i conti presentati dallo Stato membro per un dato esercizio. La decisione impugnata concerne complessivamente 306 casi, gli importi non recuperati sono stati imputati a carico della Repubblica italiana in 157 casi e sostenuti dal FEAOG in 29 altri casi, i quali sono stati eliminati dall’elenco delle irregolarità in 120 casi. Peraltro, come osservato dalla Repubblica italiana nella replica, su di un totale di 4 200 casi che la riguardano, 431 sono stati verificati dalla Commissione e, fra questi, il procedimento di liquidazione è stato portato a termine in 349 casi.

67      Si deve parimenti osservare che le autorità italiane, a più riprese, hanno sollecitato una proroga del termine loro impartito dalla Commissione per rispondere a quesiti o trasmettere documenti (v. punti 13, 16 e 24 supra, fermo restando che la richiesta di proroga del 24 giugno 2005 è stata respinta) e quindi hanno, esse stesse, contribuito al prolungarsi del procedimento.

68      Va in ogni caso rilevato che una violazione del principio dell’osservanza del termine ragionevole, ammettendo che sia provata, non giustifica necessariamente un annullamento automatico della decisione impugnata (v. sentenza Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, punto 63 supra, punto 233 e giurisprudenza ivi citata).

69      In proposito, risulta dalla giurisprudenza che la decisione finale e definitiva sulla liquidazione dei conti deve essere emanata al termine di uno specifico procedimento contraddittorio che garantisca debitamente agli Stati membri interessati la possibilità di esporre le loro ragioni (sentenze della Corte del 29 gennaio 1998, Grecia/Commissione, C‑61/95, Racc. pag. I‑207, punto 39, e del 14 dicembre 2000, Germania/Commissione, C‑245/97, Racc. pag. I‑11261, punto 47). Il superamento di un termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento di una siffatta decisione unicamente nell’ipotesi in cui sia dimostrato che le menzionate garanzie sono state violate. Al di fuori di siffatta ipotesi specifica il mancato rispetto dell’obbligo di adottare una decisione in un termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento contraddittorio (v. sentenza del Tribunale dell’11 giugno 2009, Grecia/Commissione, T‑33/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 240 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, nella fattispecie, la Repubblica italiana non ha sostenuto che le era stato impedito di esprimersi compiutamente nel corso del procedimento conclusosi con l’adozione della decisione impugnata a causa della durata del procedimento di cui trattasi. Il presente motivo verte esclusivamente sul tempo trascorso fra il momento dell’invio delle comunicazioni speciali e quello della presa di posizione da parte della Commissione circa l’imputabilità delle conseguenze finanziarie.

70      Pertanto l’addebito fatto valere dalla Repubblica italiana relativo al principio del rispetto di un termine ragionevole deve essere respinto in quanto infondato.

71      Ne discende che il complesso degli addebiti riguardanti il lasso di tempo trascorso fra l’invio della comunicazione speciale da parte delle autorità italiane e l’adozione di una decisione da parte della Commissione circa l’imputabilità delle conseguenze finanziarie nei dieci casi sui cui verte il presente motivo non può comportare l’annullamento della decisione impugnata nella parte in cui esclude dal finanziamento comunitario talune spese effettuate dalla Repubblica italiana.

72      Ad abundantiam, per quanto riguarda gli argomenti addotti dalla Repubblica italiana nel contesto della replica, essi vanno respinti in quanto irricevibili sulla base della giurisprudenza citata al punto 48 supra.

73      Ne consegue che il primo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, terzo trattino, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1258/1999

74      Con il presente motivo la Repubblica italiana, come ha fatto presente nel corso dell’udienza (v. punto 41 supra), contesta, in sostanza, l’affermazione della Commissione secondo cui essa sarebbe stata negligente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999, nella gestione di 36 casi liquidati nella decisione impugnata.

 Argomenti delle parti

75      La Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha erroneamente considerato che le amministrazioni o gli organismi italiani avessero dimostrato di essere negligenti nello svolgimento degli obblighi ad essi incombenti in forza dell’articolo 8, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera c), del regolamento n. 1258/1999, cosicché detta istituzione non poteva legittimamente addossarle le conseguenze finanziarie di pretese negligenze nei casi in discussione. Tale Stato indica peraltro che il presente motivo concerne l’obbligo di diligenza oggetto delle menzionate disposizioni e, in particolare, precisa che «la questione concerne l’ambito di definizione del comportamento negligente imputabile allo Stato membro».

76      Al riguardo, in primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione avrebbe dovuto valutare la diligenza delle autorità italiane nel perseguire il recupero delle somme indebitamente pagate con riferimento alle norme nazionali in materia di recupero. Stando alla giurisprudenza della Corte, per rispettare l’obbligo di diligenza, gli Stati membri non devono far altro che adottare prontamente provvedimenti destinati a rimediare alle irregolarità. Alla luce di tali norme la Repubblica italiana sarebbe stata diligente nel recupero dei crediti.

77      In secondo luogo, la Repubblica italiana fa valere che, considerate le norme nazionali applicabili, la lunghezza dei periodi di tempo trascorsi non è di per sé sufficiente a dimostrare una negligenza da parte sua. Essa sostiene che, conformemente a tali norme, nei casi di irregolarità segnalati all’AGEA, a seguito dei controlli effettuati da terzi, è solamente al termine della prima valutazione da parte dell’autorità giudiziaria che la Repubblica italiana avrebbe potuto chiedere la restituzione delle somme interessate e che il credito avrebbe acquisito i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità necessari a tal fine secondo il diritto italiano. Da ciò deriva che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del tempo necessario alla maturazione dei suddetti requisiti per valutare la lunghezza dei periodi di tempo trascorsi al fine di dimostrare la presunta negligenza imputabile alla Repubblica italiana conformemente all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999.

78      Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti nei 36 casi, la Repubblica italiana contesta la valutazione della negligenza effettuata dalla Commissione sostenendo di aver utilizzato i mezzi adeguati per il recupero dei crediti.

79      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana e asserisce che quest’ultima non ha agito con la dovuta diligenza nella ripetizione dell’indebito. Essa non avrebbe inoltre rimesso in discussione la fondatezza degli elementi alla base della decisione impugnata. Di conseguenza il presente motivo risulterebbe infondato.

 Giudizio del Tribunale

–       Osservazioni preliminari

80      Si rammenta che l’articolo 8 del regolamento n. 729/70, nonché l’articolo 8 del regolamento n. 1258/1999, distingue, nei paragrafi 1 e 2, due generi di rapporti. Il primo, che comprende i rapporti tra gli enti d’intervento e gli operatori economici, è disciplinato, secondo la prima frase del paragrafo 1 di detto articolo, dal diritto nazionale, nei limiti imposti dal rispetto del diritto comunitario (sentenza Italia/Commissione, punto 19 supra, punto 9).

81      Il secondo genere di rapporti di cui si tratta nella presente causa comprende i rapporti tra gli Stati membri e la Commissione. Tali rapporti non riguardano la concessione degli aiuti o il recupero degli anticipi versati in eccesso in quanto tali, ma la questione se sia lo Stato membro interessato o la Comunità a dover sopportare il relativo onere finanziario. La soluzione di tale questione, che ha conseguenze dirette sul bilancio comunitario, non può essere determinata dal diritto nazionale, diverso da uno Stato membro all’altro, ma deve essere fornita dal diritto comunitario (sentenza Italia/Commissione, punto 19 supra, punto 10).

82      Ne consegue che la responsabilità per negligenze ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999, nell’ambito dei rapporti tra gli Stati membri e la Commissione, dev’essere determinata dal diritto comunitario. Per quanto riguarda le normative che possono comportare conseguenze finanziarie, tale diritto detta agli Stati membri e alla Commissione vari imperativi (sentenza Italia/Commissione, punto 19 supra, punti 10 e 11).

83      Per quanto riguarda la ripetizione degli importi indebitamente versati, gli Stati membri devono segnatamente rispettare l’obbligo di diligenza generale di cui all’articolo 10 CE, quale è precisato nel citato articolo 8 del regolamento n. 729/70 e nell’articolo 8 del regolamento n. 1258/1999, per quanto riguarda il finanziamento della politica agricola comune (v., in tal senso, sentenza della Corte del 21 febbraio 1991, Germania/Commissione, C‑28/89, Racc. pag. I‑581, punto 31).

84      Tale obbligo implica che gli Stati membri debbano prontamente adottare i provvedimenti destinati a rimediare alle irregolarità. Dopo un certo periodo di tempo, infatti, il recupero delle somme indebitamente versate può essere complicato o divenire impossibile a causa di talune circostanze quali, in particolare, la cessazione delle attività o lo smarrimento di documenti contabili (sentenze Italia/Commissione, punto 19 supra, punti 11 e 12, e del 21 gennaio 1999, Germania/Commissione, punto 59 supra, punto 177). Come fatto valere dalla Commissione, siffatto obbligo di diligenza dello Stato membro si applica nel corso dell’intero procedimento di recupero al fine di ottimizzare la possibilità di detto recupero (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 1999, Germania/Commissione, punto 59 supra, in particolare punti 66, 95 e 96).

85      Inoltre, le autorità nazionali non possono giustificare l’inadempimento dei loro obblighi di rettificare con celerità le irregolarità commesse facendo valere lungaggini delle procedure amministrative o giudiziarie avviate dall’operatore economico (sentenza del 21 febbraio 1991, Germania/Commissione, punto 83 supra, punto 32).

86      Ne consegue che il complesso degli addebiti lamentati dalla Repubblica italiana e relativi alla lunghezza dei contenziosi di carattere civile e amministrativo dinanzi ai giudici italiani deve essere respinto.

87      La Repubblica italiana non può asserire che il fatto che, alla data della decisione impugnata, taluni procedimenti diretti al recupero di importi indebitamente pagati fossero ancora pendenti dinanzi ai giudici nazionali, ossia i casi Bright Verona (IT/1996/210), Cooperativa Agricola Texas (IT/1997/074), Cooperativa La Terra (IT/1996/205), Copet (IT/1990/094), Ica Ionica (IT/1988/067), Olearia Carmando (IT/1992/237), Olearia Sant’Elia (IT/1998/059), Oleificio Olivoro (IT/1994/063), Oleificio Olivoro (IT/1992/239), PAC (IT/1988/069), Riolio (IT/1994/419) e Sicav Tirrena (IT/1986/048), comprovi, di per sé, la sua diligenza. Relativamente all’esito di tali procedimenti e alla possibilità di recupero fatta valere dalla Repubblica italiana, come constatato al punto 43 supra, nell’ambito di un ricorso per annullamento proposto ai sensi dell’articolo 230 CE, la legittimità dell’atto impugnato deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato. L’eventuale recupero di importi indebitamente pagati dalle autorità nazionali conseguente ad azioni giudiziarie nazionali che fossero in corso alla data di adozione della decisione impugnata non può pertanto essere considerato per valutare la legittimità della decisione di cui trattasi.

88      Ne discende che il complesso degli addebiti della Repubblica italiana relativi all’eventuale esito di procedimenti pendenti dinanzi ai giudici italiani deve essere respinto.

89      Peraltro, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, primo comma, del regolamento n. 729/70, la Commissione ha il potere di procedere ad una rettifica qualora sia in grado di dimostrare che il FEAOG ha subito una perdita a causa del comportamento negligente delle autorità nazionali in sede di recupero delle somme controverse. Essa è tuttavia tenuta a giustificare ogni volta la decisione con cui rileva negligenze imputabili allo Stato membro considerato. Al riguardo è sufficiente per la Commissione, ai fini di tale dimostrazione, presentare seri e ragionevoli elementi di dubbio (v. sentenza della Corte del 13 novembre 2001, Francia/Commissione, C‑277/98, Racc. pag. I‑8453, punti 41 e 42 e la giurisprudenza ivi citata). Questo temperamento dell’onere della prova, di cui gode la Commissione, è dovuto al fatto che è lo Stato membro a disporre delle migliori possibilità di raccogliere e verificare i dati necessari alla liquidazione dei conti del FEAOG, ed è quindi tale Stato a dover fornire la prova più circostanziata ed esauriente dell’attendibilità dei propri controlli o dei propri dati nonché, eventualmente, dell’inesattezza delle affermazioni della Commissione (sentenze della Corte dell’11 gennaio 2001, Grecia/Commissione, C‑247/98, Racc. pag. I‑1, punti 7‑9; del 6 marzo 2001, Paesi Bassi/Commissione, C‑278/98, Racc. pag. I‑1501, punti 39‑41, e del 19 giugno 2003, Spagna/Commissione, C‑329/00, Racc. pag. I‑6103, punto 68).

90      Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 81 supra, la Commissione si è correttamente basata sul diritto comunitario per stabilire la responsabilità delle negligenze, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999, nei suoi rapporti con la Repubblica italiana. Contrariamente a quanto sostiene quest’ultima, accertare la negligenza o la diligenza dello Stato membro non consiste nel verificare se questo sia stato diligente nell’applicare le norme nazionali in materia di recupero.

91      Di conseguenza, e come indicato al punto 85 supra, si deve respingere l’argomentazione della Repubblica italiana secondo cui non si potrebbe considerare negligente lo Stato membro che abbia applicato con diligenza le norme nazionali in materia di recupero. A tale proposito va precisato che il rispetto dei termini applicabili in materia di recupero in base al diritto nazionale configura un requisito minimo necessario, ma non sufficiente a dimostrare la diligenza dello Stato membro ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 (conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa in cui la Corte ha pronunciato la sentenza dell’11 ottobre 1990, Italia/Commissione, C‑34/89, Racc. pag. I‑3603, Racc. pag. I‑3609, punto 8).

92      Analogo ragionamento vale rispetto all’argomento della Repubblica italiana secondo cui essa non sarebbe stata in grado di avviare procedimenti di restituzione dell’indebito a livello nazionale a causa delle condizioni poste dal diritto interno riguardo alla maturazione dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti. Va osservato in proposito che il ricorso alle norme nazionali in tema di ripetizione è possibile soltanto nella misura necessaria per l’attuazione delle disposizioni di diritto comunitario e nella misura in cui l’applicazione delle norme nazionali non menomi la portata e l’efficacia del diritto comunitario stesso (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 1999, Germania/Commissione, punto 59 supra, punto 179 e la giurisprudenza ivi citata). Ne deriva che non può tantomeno essere accolto l’argomento della Repubblica italiana secondo cui, nel caso di irregolarità segnalate da soggetti terzi, era necessario attendere la prima valutazione da parte dell’autorità giudiziaria prima di poter avviare il procedimento per la restituzione.

93      È alla luce delle suesposte considerazioni che, nella fattispecie, vanno esaminati i vari addebiti e gli elementi di prova prodotti dalla Repubblica italiana nell’ambito del presente motivo.

94      Innanzitutto è necessario osservare che la Commissione basa la decisione impugnata, la quale, all’articolo 1, imputa alla Repubblica italiana gli importi corrispondenti ai casi considerati dal presente motivo, su principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte, quali precisati al secondo considerando della decisione stessa. Sono specificamente citate le sentenze Italia/Commissione, punto 19 supra, del 21 gennaio 1999, Germania/Commissione, punto 59 supra, e del 13 novembre 2001, Francia/Commissione, punto 89 supra.

95      La Commissione rinvia poi a due principi richiamati nella relazione di sintesi e nelle menzionate sentenze riguardo alla nozione di diligenza dello Stato membro nel contesto dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70. In primo luogo, essa fa valere che tale Stato non può omettere di agire durante un lasso di tempo di quattro anni a partire dalla data in cui è venuto a conoscenza di un’irregolarità. In secondo luogo, sostiene che lo Stato membro deve avviare il procedimento di recupero entro l’anno successivo alla data in cui dispone di tutti gli elementi concernenti l’irregolarità.

96      Infine, al quarto considerando della decisione impugnata, la Commissione constata che dalle verifiche e dalle discussioni bilaterali risulta che, in taluni casi, lo Stato membro non ha agito con la rapidità e la diligenza necessarie. Essa ha quindi ritenuto che le conseguenze finanziarie del mancato recupero non dovessero essere a carico del bilancio comunitario. Pertanto, contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica italiana, la Commissione non fonda la sua accusa di negligenza sulla lunghezza dei procedimenti nazionali.

97      Quindi, nella fattispecie, si deve accertare se la Repubblica italiana abbia dimostrato l’inesattezza delle valutazioni della Commissione o l’assenza di rischi di perdita o d’irregolarità per il FEAOG relativamente ai 36 casi considerati dal presente motivo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 24 febbraio 2005, Paesi Bassi/Commissione, C‑318/02, non pubblicata nella Raccolta, punto 36).

–       Caso Agritalia Conserve (IT/1996/388)

98      Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di liquidazione forzata della società del [4 giugno 1993] prima [che fosse chiesta] il [21 settembre 2004] l’iscrizione del credito al passivo e di un anno dalla sentenza penale di condanna dell’[11 dicembre 1999], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

99      La Repubblica italiana, anzitutto, osserva che l’irregolarità è stata notificata il 25 marzo 1996, che l’azione penale è stata avviata nell’ottobre 1996, che l’Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, (AIMA, ente d’intervento italiano) si è costituita parte civile nel procedimento penale fin dal 5 dicembre 1996 e che tale procedimento si è concluso, l’11 dicembre 1999, con l’assoluzione di tutti gli imputati tranne uno. Inoltre, con nota del 1° aprile 2004, l’Avvocatura distrettuale di Bologna avrebbe comunicato di aver intrapreso l’azione civile e di aver proposto istanza di ammissione al passivo del fallimento. Infine, essa sostiene che il credito è stato ammesso a titolo chirografario e di essere in attesa degli esiti della ripartizione del credito e della causa civile.

100    In primo luogo, dagli allegati risulta che l’irregolarità risale al 1992. Inoltre, la semplice affermazione che detta irregolarità sarebbe stata notificata solamente il 25 marzo 1996 non può rimettere in discussione il fatto che le autorità nazionali hanno senz’altro avuto contezza della dichiarazione di liquidazione forzata della società del 4 giugno 1993, richiamata nella relazione di sintesi. Del resto occorre constatare che, contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica italiana, la sentenza dell’11 dicembre 1999 non menziona alcuna costituzione di parte civile nell’ambito del procedimento penale. Inoltre, anche qualora l’irregolarità fosse stata notificata nel 1996, le autorità italiane avrebbero ciò nondimeno lasciato trascorrere oltre quattro anni prima di chiedere, il 21 settembre 2004, l’iscrizione del credito al passivo del fallimento. Si aggiunga che tale domanda dell’AIMA è stata presentata soltanto più di un anno dopo la succitata sentenza, risultando, infatti, dal fascicolo che quest’ultima reca la data del 2 febbraio 2004. Da quanto esposto appare chiaro che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Arco di Sant’Antonio (IT/1989/003)

101    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (verbale del [25 novembre 1987]) e dalla decisione dell’organo giurisdizionale penale del [23 ottobre 1989] che applica l’amnistia, senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito all’operatore e ad altri interessati» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

102    La Repubblica italiana afferma che la comunicazione dell’irregolarità risale al 23 novembre 1987 e che la decisione presa dall’AIMA nel 1998 di sospendere il pagamento degli aiuti per la campagna del 1987 è all’origine di due contenziosi. Il primo, contenzioso civile, si sarebbe concluso con una sentenza del Tribunale di Roma che dichiarava il difetto di giurisdizione. L’operatore avrebbe proposto appello avverso tale pronuncia e la Corte d’appello avrebbe riconosciuto la legittimità del blocco dei fondi. Il secondo, contenzioso amministrativo, si sarebbe concluso con una sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha dichiarato il ricorso inammissibile, come successivamente confermato dal Consiglio di Stato. Inoltre, la Repubblica italiana sostiene che i procedimenti penali avviati nei confronti del rappresentante legale, deceduto nel 1995, riguardavano solo reati di natura fiscale e che per il recupero della somma era stato inviato, il 2 febbraio 2004, un atto interruttivo della prescrizione. Nella replica essa aggiunge che, con nota del 2 febbraio 2004, l’AGEA ha indicato al governo italiano che, alla luce del suddetto procedimento penale, non aveva ravvisato alcuna delle condizioni necessarie per avviare una procedura di recupero di ulteriori crediti.

103    Innanzitutto, i procedimenti avviati riguardavano la sospensione dei pagamenti degli aiuti, e non il recupero del credito. Inoltre, è pacifico fra le parti che la notifica dell’irregolarità è avvenuta nel novembre del 1987. In proposito si osservi che la Repubblica italiana non ha dimostrato di aver preso qualsivoglia iniziativa diretta ad ottenere il rimborso del credito nei quattro anni successivi a detta notifica o alla decisione del 23 ottobre 1989 citata al punto 101 supra. Infine, sebbene la domanda di rimborso del 2 febbraio 2004 sia effettivamente inclusa nella documentazione allegata al ricorso della Repubblica italiana, essa non contiene però prove della notifica al debitore. In ogni caso, e ad avviso della Repubblica italiana stessa, tale nota era stata inviata oltre sedici anni dopo la notifica dell’irregolarità. Da quanto precede risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente riguardo nel presente caso.

–       Caso Baraggiolo Giuseppe (IT/1990/077)

104    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di un anno dalla sentenza penale di condanna del [26 febbraio 1998 nei confronti della garante del credito], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

105    La Repubblica italiana fa valere che, nel corso dell’evoluzione del contenzioso, i tentativi di recupero dell’AGEA hanno necessariamente dovuto adattarsi alla lunghezza del procedimento giudiziario. A seguito della notifica dell’irregolarità nel 1989, una domanda di pagamento sarebbe stata indirizzata il 20 luglio 1990 al debitore, il quale si sarebbe rifiutato di adempiere. Sarebbero stati avviati tre procedimenti penali in cui l’AGEA si sarebbe costituita parte civile. Uno di questi si sarebbe chiuso in favore dell’operatore nel 1998, mentre la Corte d’appello di Lecce avrebbe dichiarato la responsabilità del rappresentante legale della società. Inoltre, il 30 marzo1992, l’AGEA avrebbe inviato un’ingiunzione di pagamento ai garanti, i quali avrebbero proposto ricorso ottenendo, nel 1995, una sentenza favorevole del Tribunale civile di Roma. Infine, il 25 novembre 2002, la Corte suprema di Cassazione avrebbe accolto il ricorso proposto dall’AGEA nei confronti del rappresentante legale, rinviando il caso ad un’altra sezione della Corte d’appello di Roma.

106    Relativamente all’ingiunzione di pagamento del 30 marzo 1992 occorre rilevare che non è stata presentata con l’atto introduttivo del ricorso, ma unicamente in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, e ciò senza alcuna giustificazione per la produzione tardiva. Essa risulta pertanto irricevibile per le ragioni esposte ai punti 45‑47 supra. In ogni caso la Repubblica italiana non ha mai fornito una motivazione adeguata, nemmeno in risposta ad un quesito posto in udienza. Quanto al resto, essa non ha addotto elementi idonei a confutare gli addebiti formulati a suo carico dalla Commissione.

–       Caso Bright Verona (IT/1996/210)

107    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [9 luglio 1996]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

108    La Repubblica italiana conferma che l’irregolarità è stata notificata il 9 luglio 1996 e fa valere che, nel settembre 1996, l’AIMA ha chiesto la restituzione dell’importo attribuito. Inoltre, nel 1998, tre sospensioni di pagamento sarebbero state comunicate alla società e al responsabile in solido. Il procedimento giudiziario amministrativo e civile sarebbe stato avviato il 23 dicembre 1998, con un ricorso della società dinanzi al Consiglio di Stato. Veniva rilevato che la società era in liquidazione volontaria dal 2001. Il Consiglio di Stato avrebbe sospeso l’esecuzione della decisione di fermo dei fondi subordinandola alla costituzione di una cauzione a garanzia dell’intero ammontare del credito. La causa è ancora pendente dinanzi alla Corte suprema di cassazione e, di conseguenza, non si potrebbe attribuire alcuna negligenza alle autorità italiane.

109    Dal fascicolo risulta che, in una lettera del 23 ottobre 1998, l’AIMA ha fatto presente di aver sollecitato, il 5 settembre 1996, un importo significativo alla cooperativa in questione, tuttavia la Repubblica italiana non ha prodotto elementi idonei a dimostrare di aver attivato le procedure prescritte ai fini del recupero del credito dopo tale richiesta di rimborso. Come correttamente fatto valere dalla Commissione, i provvedimenti di fermo dei pagamenti del 1998 non sono stati applicati a causa dell’opposizione presentata dagli interessati, e la cooperativa in questione ha continuato a ricevere aiuti fino all’anno 2000. Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente riguardo nel presente caso.

–       Caso Brizi Giuseppe (IT/1996/254)

110    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [9 luglio 1996]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

111    La Repubblica italiana sostiene di aver recuperato la somma indebitamente pagata e gli interessi sotto forma di compensazione effettuata dalla Regione Lazio sul pagamento relativo alla campagna 1994‑1995, confermando altresì detta posizione nella risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale.

112    Ciò nondimeno, nel corso dell’udienza, la Repubblica italiana ha confermato che un importo era ancora da recuperare, vale a dire quello corrispondente alla differenza fra l’importo di EUR 71 572,77 sollecitato dalla Commissione e l’importo di EUR 47 237,59 recuperati sotto forma di compensazione sui pagamenti dovuti per la campagna 1994‑1995. Secondo la Commissione, una nuova determinazione della superficie ammissibile spiegherebbe tale differenza di importo. La superficie ammissibile agli aiuti sarebbe, infatti, stata ridotta dopo aver constatato che taluni fra i terreni interessati dagli aiuti erogati erano improduttivi. Era stato allora proposto di compensare il versamento di aiuti indebitamente pagati con gli altri aiuti ancora da percepire. A tale riguardo la Repubblica italiana ha fornito a due riprese documenti simili, senza indicare al Tribunale gli elementi idonei a dimostrare l’avvenuto recupero del credito residuo, che, in forza della giurisprudenza citata al punto 47 supra, non incombe al Tribunale ricercare. Essa non ha peraltro addotto elementi tali da provare che il credito fosse stato integralmente recuperato. Quanto al resto, la Repubblica italiana non ha presentato elementi idonei a confutare gli addebiti formulati nei suoi confronti dalla Commissione.

–       Caso Cooperativa Agricola Texas (IT/1997/074)

113    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [2 giugno 1997]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

114    La Repubblica italiana sostiene che, dopo aver ricevuto la notificazione dell’irregolarità il 25 novembre 2002, l’AGEA ha chiesto la ripetizione dell’indebito ed ha emanato un provvedimento di sospensione dei pagamenti. Essa avrebbe poi emesso un’ingiunzione di pagamento e chiesto l’iscrizione a ruolo del credito. Il procedimento sarebbe pendente dinanzi al Tribunale di Roma.

115    Anzitutto occorre rilevare che, nella risposta a un quesito scritto posto dal Tribunale, la Repubblica italiana ha fatto presente di non essere in grado di confermare la data dell’irregolarità. Tuttavia, dal fascicolo e, segnatamente, dal testo dell’ingiunzione di pagamento emessa dall’AGEA il 25 novembre 2002, risulta che la comunicazione dell’irregolarità in discussione è stata oggetto di un processo verbale datato 2 giugno 1997, come osservato dalla Commissione. Dal medesimo documento emerge poi che il provvedimento di sospensione, la richiesta di restituzione dell’indebito e l’ingiunzione fatti valere dalla Repubblica italiana sono stati disposti solamente nel 2002, e cioè oltre cinque anni dopo la notifica dell’irregolarità. Inoltre, la Repubblica italiana non ha fornito la prova dell’iscrizione a ruolo del credito. È necessario constatare che la nota del 19 marzo 2003, allegata alla replica, che è soltanto una nota trasmessa dall’ufficio pagamenti dell’AGEA al proprio servizio di contabilità interno al fine di chiedere l’iscrizione a ruolo di detto credito, è irricevibile per i motivi esposti al punto 46 supra. In ogni caso, come riconosciuto dalla Repubblica italiana rispondendo ad un quesito scritto posto dal Tribunale, l’AGEA ha annullato l’iscrizione a ruolo del credito e le autorità nazionali sono attualmente «in procinto di iscrivere nuovamente a ruolo la somma». Tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 43 della presente sentenza, quest’ultima circostanza non è pertinente nel caso di specie. Infine, l’argomento relativo all’impossibilità di proseguire con il recupero del credito stante l’assoluzione in sede penale dell’interessato non può essere accolto per i motivi esposti al punto 92 supra. Dal complesso delle osservazioni precedenti risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Cooperativa Papa Giovanni XXIII (IT/1989/187)

116    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale dell’[11 luglio 1989]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

117    La Repubblica italiana ricorda che il caso è stato chiuso a seguito della sentenza del giudice di primo grado di Palermo del 26 giugno 1996, che ha revocato l’ingiunzione nei confronti della Cooperativa Papa Giovanni XXIII ed ha qualificato come «arbitrario dal punto di vista probatorio» il processo verbale all’origine della comunicazione dell’irregolarità. Essa aggiunge che dalla sentenza del Tribunale di Palermo del 7 ottobre 1994 emerge che il titolare della suddetta cooperativa è stato giudicato solo per reati di natura fiscale per il periodo 1994‑1999 e che il giudice non lo aveva rinviato a giudizio per irregolarità e frodi a danno della Comunità. Nello sviluppo del caso non vi sarebbe alcuna inattività amministrativa da parte dell’AIMA tra il 1989 e il 1996 che possa giustificare la sua condanna all’importo dovuto.

118    La Repubblica italiana non contesta che l’irregolarità sia stata notificata l’11 luglio 1989. Dal fascicolo si evince che il primo tentativo di recupero è avvenuto con l’ingiunzione del 28 giugno 1994, come rilevato dalla Commissione, ossia quasi cinque anni più tardi. È necessario constatare che, nella sentenza del 26 giugno 1996, il giudice non si è pronunciato sulla sussistenza o meno dell’irregolarità, ma si è limitato a revocare l’ingiunzione in considerazione del carattere arbitrario del verbale redatto dalla Guardia di Finanza, e a constatare che permaneva il dubbio che fosse stata commessa una frode. In ogni caso, le sentenze pronunciate nel 1994 e nel 1996, indipendentemente dal loro contenuto, non dimostrano che la Commissione abbia errato nel considerare che la Repubblica italiana fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Cooperativa agricola La Terra (IT/1996/205)

119    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [18 giugno 1996]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

120    La Repubblica italiana sostiene che la comunicazione dell’irregolarità è datata 10 giugno 1996, che l’AIMA ha trasmesso una lettera di recupero il 18 settembre 1996, mentre il credito è stato iscritto nel registro dei debitori nel luglio 1998. Essa rileva che il procedimento penale, nel quale l’AIMA si è costituita parte civile, è stato trasferito per motivi di competenza ed è tuttora pendente dinanzi al Tribunale di Nola. Nella risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale la Repubblica italiana ha indicato che, relativamente all’obbligo di diligenza, la costituzione di parte civile nel processo penale garantisce, in caso di condanna, il diritto all’azione risarcitoria e al recupero dell’indebito.

121    Dai punti 81, 82 e 90 supra risulta che la diligenza della Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999 non può essere valutata in funzione delle norme nazionali. Inoltre, va constatato che la Repubblica italiana non ha dimostrato di aver dato seguito alla richiesta di rimborso del 18 settembre 1996 attivando le dovute procedure per il recupero coattivo, né di aver assunto altre iniziative in sede civile o in sede penale dinanzi ai giudici nazionali. Essa ha fornito la prova della costituzione di parte civile nel procedimento penale solamente in allegato alle risposte ai quesiti scritti posti dal Tribunale, senza tuttavia giustificare tale produzione tardiva conformemente al punto 45 supra. Da tutto quanto precede risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Copet (IT/1990/094)

122    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [20 novembre 1990]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

123    La Repubblica italiana sostiene che la negligenza addebitatale con la decisione impugnata non è dimostrata. Essa fa valere che, dopo aver ricevuto la notifica dell’irregolarità nel 1990, l’AIMA ha adottato tre provvedimenti di sequestro nei confronti della società per un importo superiore a quello indebitamente percepito. La decisione di bloccare il versamento dei contributi comunitari a tale società avrebbe dato origine ad un contenzioso tra l’AIMA e il curatore fallimentare, conclusosi con esito sfavorevole per l’amministrazione, condannata al pagamento delle somme sospese. Alle autorità italiane non si potrebbe imputare alcuna negligenza.

124    Si deve constatare che la Repubblica italiana non ha fornito elementi idonei a confutare gli addebiti formulati nei suoi confronti dalla Commissione, segnatamente quello relativo al fatto che la constatazione dell’irregolarità non era stata seguita da alcuna iniziativa volta al recupero del credito (ad eccezione di azioni cautelative di fermo amministrativo a carattere provvisorio). Dal fascicolo risulta che la prima iniziativa a tutela del credito si è configurata come una domanda riconvenzionale presentata nel 1999, la quale è stata respinta, poiché l’organismo pagatore non aveva né fornito la prova dei presupposti che potevano legittimare la ripetizione dei contributi versati, né indicato il motivo per cui gli stessi dovevano ritenersi indebitamente percetti. Dal complesso dei suesposti argomenti risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Eden (IT/1992/253)

125    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [20 luglio 1992], di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [5 luglio 1993] e di un anno dalle sentenze penali del [16 luglio 2001] e del [4 dicembre 2002] che hanno dichiarato prescritti i reati, senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

126    La Repubblica italiana ritiene che, data la correzione negativa effettuata con la nota della Commissione n. 019456 dell’8 giugno 1993, l’importo da recuperare dovrebbe essere di EUR 1 274 012,64. Essa conferma che la prima informazione sull’irregolarità risaliva ad un verbale del 20 luglio 1992 e che tale verbale riguardava un importo di ITL 1 629 377 319 (EUR 841 503,158). Successivamente, con un verbale del 1° giugno 1996, la Guardia di Finanza avrebbe rilevato irregolarità per un importo complessivo di ITL 3 685 921 590 (EUR 1 878 926,73). In primo luogo, essa fa presente che il 14 novembre 1991, a seguito di diversi verbali, l’AIMA ha sospeso i pagamenti anticipati alla società, la quale ha inizialmente contestato detta misura dinanzi alla Pretura di Rutigliano, rinunciandovi in seguito. Tale società sarebbe stata dichiarata fallita il 5 luglio 1993. L’AIMA avrebbe richiesto un importo di EUR 1 878 926,73 con nota di recupero del 14 dicembre 1993, essendo poi ammessa al passivo del fallimento per un importo di ITL 4 809 386,457 (EUR 2 483 840) in via privilegiata, oltre agli interessi legali su tale somma in via chirografaria. In secondo luogo, essa indica che, il 30 giugno 1991, è stato instaurato un procedimento penale a carico dei responsabili della società, che si è concluso con un non luogo a procedere per prescrizione. Il 17 marzo 2006 essa è stata informata del passaggio in giudicato di tale sentenza, senza conseguenze per il procedimento civile. Pertanto, alle autorità italiane non potrebbe essere imputata alcuna negligenza.

127    Anzitutto, con riferimento all’importo del credito, si deve constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato, né nelle memorie né nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale, che la Commissione avesse omesso di considerare una qualsivoglia correzione. Occorre inoltre rilevare che lo Stato in parola non ha dedotto alcun elemento idoneo a confutare l’addebito formulato a suo carico dalla Commissione. Come quest’ultima ha fatto correttamente valere, dal fascicolo risulta che, nonostante le summenzionate sentenze del 16 luglio 2001 e del 4 dicembre 2002, la prima domanda di rimborso era una semplice nota del 14 dicembre 1993. Va parimenti osservato che, malgrado la dichiarazione di fallimento del 5 luglio 1993, il credito è stato ammesso al passivo unicamente con la sentenza del Tribunale di Bari del 17 febbraio 1998. Ne discende che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Casi Eridania (IT/1996/301) e Eridania 2 (IT/1996/302)

128    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [25 luglio 1996]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

129    La Repubblica italiana conferma che le prime comunicazioni dell’irregolarità risalgono al 1996 e che l’AIMA, anziché procedere ad azioni di recupero, ha atteso l’evoluzione del procedimento penale. Il 21 dicembre 1998 tale procedimento sarebbe stato archiviato per assenza di frode, ma l’AGEA non sarebbe riuscita ad ottenere una copia di tale decisione. La restituzione dell’importo sarebbe stata richiesta con numerose lettere e, da ultimo, con raccomandata del 27 novembre 2006 trasmessa all’Unicredit, con cui si richiedeva la confisca delle polizze fideiussorie che coprivano l’intero ammontare dei due casi, circostanza che escluderebbe ogni condotta negligente da parte delle autorità italiane.

130    È pacifico fra le parti che la comunicazione delle irregolarità in causa risale al 1996. Per i motivi già esposti ai punti 81, 82 e 90 supra, la diligenza della Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999 non può essere valutata in funzione delle norme nazionali. È pertanto necessario respingere gli argomenti relativi alla costituzione di garanzie a copertura dell’importo controverso. Quanto al resto, la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico dalla Commissione. Difatti, né le ingiunzioni di pagamento asseritamente emesse nel 1996 né la prova della loro notifica all’operatore sono presenti nel fascicolo. Si aggiunga che quest’ultimo non reca traccia di azioni dirette al recupero del credito antecedentemente alle lettere redatte nel 2005. Dalle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Eurotabac (IT/1995/053)

131    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dall’opposizione presentata dall’operatore il [29 luglio 1998] all’ingiunzione di pagamento, senza portare avanti il procedimento di recupero e di un anno dalla sentenza penale di condanna del [17 maggio 1999], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito all’imputato condannato».

132    La Repubblica italiana sostiene che l’AIMA ha chiesto la restituzione delle somme indebitamente pagate nel 1995 e, il 29 settembre 1998, ha ottenuto un decreto ingiuntivo. Quest’ultimo è stato poi oggetto di contestazione dinanzi al Tribunale civile di Roma, che si è pronunciato il 16 aprile 2002. Per quanto riguarda i procedimenti penali, da un lato, l’8 giugno 1999, il Tribunale di Benevento avrebbe assolto il debitore perché il fatto non sussisteva e, dall’altro lato, gli unici due imputati condannati, ai quali l’AIMA aveva chiesto il risarcimento, sono stati assolti il 4 aprile 2000, dalla Corte d’appello di Napoli, con la medesima motivazione.

133    È d’uopo constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato di aver dato seguito all’ingiunzione di pagamento del 29 settembre 1998, né di aver inviato una richiesta di pagamento ai responsabili della frode dopo la sentenza del 17 maggio 1999 con cui il Tribunale di Benevento aveva condannato talune persone preposte al controllo della cooperativa per reati di falso in relazione ad operazioni fittizie di conferimento all’ammasso, che avevano consentito l’indebita percezione di contributi comunitari. Benché la pronuncia del Tribunale civile di Roma del 16 aprile 2002 sia pertinente nel caso di specie, essa giova a dimostrare soltanto l’irricevibilità parziale dell’ingiunzione in parola. Relativamente alla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 4 aprile 2000 va sottolineato che non è stata prodotta nella fase dell’atto introduttivo del ricorso e che la Repubblica italiana non ha fornito spiegazioni per giustificarne la presentazione tardiva. Siffatto elemento probatorio è, di conseguenza, irricevibile per le ragioni esposte ai punti 45‑47 supra. Da quanto precede risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Ica Ionica (IT/1988/067)

134    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[superamento] [del termine] di un anno dalla sentenza penale del [16 settembre 1991], che dichiara prescritti i reati (riconoscimento della responsabilità di vari imputati), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito agli interessati».

135    La Repubblica italiana sostiene che, alla conclusione del procedimento penale per amnistia nel 1991, l’organismo pagatore ha agito con l’assistenza dell’Avvocatura distrettuale di Catanzaro al fine di recuperare le somme dovute. Tale azione di recupero avrebbe dato luogo ad una pronuncia sfavorevole nel 2002, la cui udienza d’appello era stata fissata per il 9 maggio 2006.

136    Si deve constatare che l’azione di ripetizione dell’indebito è stata avviata solamente oltre un anno dopo il summenzionato procedimento penale del 16 settembre 1991. Dal fascicolo risulta, infatti, che, nella lettera del 18 ottobre 1994, l’Avvocatura distrettuale dello Stato ha chiaramente fatto presente all’AIMA che a tale data non era stata intrapresa alcune azione di ripetizione dell’indebito nei confronti della Ica Ionica. Peraltro, la sentenza n. 20/2002 del Tribunale di Catanzaro dell’11 novembre 2001 attesta che l’organismo pagatore aveva erroneamente notificato l’atto di citazione il 5 aprile 1996 all’ex amministratore della società, il quale aveva cessato di esercitare dette funzioni dal 1987, e che il procedimento civile era stato instaurato soltanto il 31 gennaio 1995. Dal complesso delle suesposte osservazioni discende che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso La Sibarita (IT/1989/188)

137    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica delle irregolarità (verbale del [21 marzo 1983]) e di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento dell’[11 luglio 1990], senza chiedere [prontamente] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

138    La Repubblica italiana afferma che l’irregolarità è stata notificata il 2 dicembre 1987 e che l’AIMA ha sospeso la società dal beneficio della liquidazione del contributo per la campagna 1987. Tale sospensione sarebbe stata contestata, con esito a favore dell’AIMA. Peraltro, quest’ultima sarebbe stata ammessa al passivo della procedura fallimentare a titolo privilegiato, e il credito sarebbe stato ammesso al riparto dell’attivo fallimentare.

139    Occorre rilevare che le parti non sono concordi sulle date di notifica dell’irregolarità e di dichiarazione di fallimento della società di cui trattasi. Orbene, dalla documentazione allegata al ricorso della Repubblica italiana risulta che la società è stata dichiarata in fallimento il 29 settembre 1999, ma che l’AIMA ha presentato la domanda d’insinuazione al passivo solamente il 1° luglio 2004, e per giunta in via chirografaria. In ogni caso la Repubblica italiana non ha dimostrato di aver assunto iniziative dirette ad ottenere il rimborso del credito nei cinque anni successivi a detta dichiarazione di fallimento. Da siffatte considerazioni risulta che, sebbene la Commissione richiami date diverse nella relazione di sintesi e nel controricorso, ciò nondimeno la Repubblica italiana non ha dimostrato che tale istituzione abbia errato nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso La Sorrentina (IT/1989/185)

140    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di un anno dalla sentenza penale di amnistia del [28 novembre 1994], senza chiedere prontamente il rimborso del credito e di un anno dalla sentenza del 1998 resa dal Tribunale competente del fallimento senza portare avanti il procedimento di recupero del credito».

141    La Repubblica italiana fa presente che l’AIMA ha sospeso la società dal beneficio della liquidazione del contributo per la campagna 1986‑1987, che tale sospensione è stata contestata dinanzi ai giudici, i quali, nel 1990, hanno emesso decisione favorevole all’AGEA, che nel 2003 gli eredi del legale rappresentante della società hanno interposto appello contro tale decisione e che quest’ultimo procedimento è tuttora in corso. In sede di replica essa ha aggiunto che l’iscrizione a ruolo non costituisce un elemento necessario per chiedere l’insinuazione al passivo fallimentare e nega di essere venuta meno ai propri obblighi al riguardo, allegando alcuni documenti a sostegno dei propri argomenti. Alle autorità italiane non si potrebbero imputare negligenze unicamente a causa del protrarsi di procedimenti giudiziari.

142    Occorre constatare che la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico dalla Commissione e a dimostrare che avesse avviato con diligenza iniziative finalizzate al recupero del credito. Infatti, anche qualora l’iscrizione a ruolo non costituisse un elemento necessario per chiedere l’ammissione al passivo del fallimento, ciò nondimeno dall’ordinanza del Tribunale di Cosenza del 13 giugno 1998 risulta che il giudice delegato ha respinto il ricorso per insinuazione al passivo perché l’organismo pagatore ricorrente non aveva rispettato un adempimento previsto dalla procedura fallimentare. Inoltre, la nota n. 20381 del 31 agosto 2004 dell’Avvocatura distrettuale indica che a tale stadio nessuna possibilità di recupero era ormai configurabile. Dalle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Maremmana Conserve (IT/1989/017)

143    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di un anno dal decreto del giudice per le indagini preliminari del [18 giugno 1992] del Tribunale di Grosseto recante applicazione dell’amnistia per taluni reati e rinvio a giudizio per altri reati, senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

144    La Repubblica italiana ricorda che la prima constatazione giudiziaria dell’irregolarità risale al 17 luglio 1989, che un procedimento penale è stato instaurato nello stesso anno e che esso è stato archiviato il 18 giugno 1992.

145    Rispondendo a un quesito scritto del Tribunale, la Repubblica italiana conferma che l’archiviazione del credito il 13 febbraio 2003 da parte dell’AGEA si fonda sul decreto del 18 giugno 1992 citato al punto 143 supra, il quale non è stato prodotto nella documentazione di cui al fascicolo del Tribunale. Quanto all’ingiunzione di pagamento del 14 dicembre 1992, occorre notare che non è stata prodotta nella fase della procedura amministrativa dinanzi alla Commissione, come riconosciuto dalla Repubblica italiana nella risposta a un quesito scritto del Tribunale. Inoltre, nel corso dell’udienza, la Repubblica italiana ha ammesso che detta ingiunzione non riguardava il recupero del credito, ma sanzioni amministrative. Dal complesso di siffatte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso MIO Mutunato (IT/1995/103)

146    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [19 luglio 1996], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

147    La Repubblica italiana, in primo luogo, contesta l’importo figurante nella decisione impugnata. Essa sostiene che quest’ultimo ammonterebbe in realtà a EUR 2 140 340 e che la Commissione avrebbe erroneamente duplicato le schede riferite ai casi di irregolarità inferiori a EUR 500 000 per arrivare alla somma di EUR 2 595 717,93. In secondo luogo, essa ricorda che, a seguito della comunicazione dell’irregolarità avvenuta il 22 ottobre 1994, l’AIMA, con nota del 20 febbraio 1995, aveva richiesto la restituzione delle somme indebitamente percepite e che il procedimento penale è stato archiviato per incompetenza il 3 luglio 2000. L’AGEA si è opposta al ricorso presentato dalla società per ottenere i pagamenti comunitari relativi al periodo aprile‑giugno 1992, ottenendo una pronuncia favorevole. L’AGEA è in attesa della decisione sulla sua domanda riconvenzionale riguardante il pagamento della somma indebitamente percepita per il periodo 1989‑1992. Infine, essa rileva che la società è in fallimento dal 1996, che l’AGEA ha presentato istanza tardiva di insinuazione al passivo e che, il 12 maggio 2005, essa è stata ammessa in via chirografaria per un importo di EUR 2 140 340. Di conseguenza, alle autorità italiane non si potrebbe imputare alcuna negligenza.

148    Riguardo all’importo del credito la Repubblica italiana non ha dimostrato, né nelle sue memorie né nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale, che la Commissione abbia commesso un errore nel fissarlo. Gli elementi relativi all’asserita «duplicazione di schede» o alla situazione creditoria prodotti negli allegati alla replica non forniscono chiarimenti atti mettere in luce un errore del genere. Nella risposta a un quesito scritto del Tribunale la Commissione ha spiegato la differenza fra l’importo di EUR 2 588 483,52 riportato nella relazione della TFR e quello di EUR 2 595 717,93 sollecitato nella decisione impugnata con un mero errore di calcolo. In ogni caso, l’importo corretto figura in tre documenti diversi, ossia la lettera del 7 dicembre 2004 (v. punto 12 supra), la relazione di sintesi e la decisione impugnata. Inoltre, la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi idonei a dimostrare che, dopo la dichiarazione di fallimento del 19 luglio 1996, siano state prese con diligenza iniziative finalizzate al recupero del credito. Al riguardo va rilevato che l’istanza d’insinuazione del credito è stata presentata solamente otto anni dopo, che le affermazioni relative alla pronuncia favorevole del Tribunale di Lecce e dei procedimenti a questa collegati sono imprecise e non suffragate da elementi probatori adeguati e che la Repubblica italiana non ha fornito informazioni circa lo sviluppo del procedimento avviato nei confronti di talune persone responsabili della società per truffa nel gennaio 2002, ad eccezione di un aggiornamento sulla situazione nel settembre 2005. Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Olearia Carmando (IT/1992/237)

149    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [30 giugno 1992]) e di un anno dalla sentenza penale del [5 ottobre 2001] che dichiara prescritti i reati, senza chiedere il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

150    La Repubblica italiana afferma, innanzi tutto, che dalle sentenze delle Commissioni tributarie di Salerno, pronunciate nel 2002, emerge che i verbali di verifica non contengono indizi gravi, precisi e concordanti, tali da suffragare la pretesa erariale italiana. Questa constatazione dovrebbe valere per la tutela, non solo degli interessi finanziari nazionali, ma anche di quelli comunitari. Inoltre, essa fa presente, a dimostrazione della diligenza delle autorità italiane, che sono pendenti due ricorsi per Cassazione. Infine, essa sostiene che la Commissione dovrebbe riconoscerle un importo di EUR 688 837,34, in quanto questo era già stato oggetto di una correzione finanziaria nel caso IT/1992/263 riguardante la stessa società.

151    Si deve osservare che la data di notifica dell’irregolarità, ossia il 30 giugno 1992, non è contestata dalle parti. Riguardo all’importo del credito, la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel fissarlo. A maggior ragione occorre escludere un errore del genere dato che il caso IT/1992/263 è stato depennato dall’elenco dei crediti, come emerge dalla tabella III allegata alla decisione impugnata. Occorre constatare che la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi atti a provare di aver prontamente avviato le dovute iniziative volte al recupero del credito, né dopo la sentenza penale del 5 ottobre 2001 che ha dichiarato il reato estinto per prescrizione, né dopo le due decisioni delle Commissioni Tributarie di Salerno del 2002. Emerge dal fascicolo che queste ultime decisioni, prodotte in allegato, non fanno riferimento alla competenza delle commissioni né fanno menzione degli aiuti comunitari. Dal complesso di siffatte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Olearia Sant’Elia (IT/1998/059)

152    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [12 maggio 1998]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

153    La Repubblica italiana afferma innanzitutto che la prima comunicazione di irregolarità risale al 23 ottobre 1997, che l’AIMA ha inviato una richiesta di rimborso il 23 giugno 1998 e che, immediatamente dopo l’esame della sentenza penale del 22 dicembre 2005 dichiarativa della prescrizione del reato, sono state attivate le necessarie procedure di recupero. Tali procedure sarebbero tuttora in corso. Inoltre, essa sostiene che l’ingiunzione fiscale inviata nel 2006 doveva essere ritenuta tempestiva, posto che la sentenza penale era stata pronunciata il 21 dicembre 2005. Poiché il credito non è prescritto, non si potrebbe accusare lo Stato membro di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali. Infine, quanto alla non accertata costituzione di parte civile, essa sostiene che la partecipazione al procedimento del pubblico ministero è comunque sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi finanziari comunitari.

154    In primo luogo, riguardo, segnatamente, all’ingiunzione di pagamento del 20 settembre 2006, occorre notare che questa è stata emessa soltanto qualche giorno prima dell’adozione della decisione impugnata e che non è stata prodotta nella fase del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione. Pertanto, alla luce della giurisprudenza citata al punto 43 supra, non può essere presa in considerazione al fine della valutazione della legittimità della decisione medesima. Inoltre, benché le parti facciano valere date diverse per la notifica dell’irregolarità, è d’uopo constatare che la Repubblica italiana non ha segnalato nessuna azione che avrebbe intrapreso nei quattro anni successivi alla prima domanda di rimborso del 23 giugno 1998 e che essa ammette che non vi è stata costituzione di parte civile nel procedimento penale conclusosi il 21 dicembre 2005. Infine, dal fascicolo risulta che, in una lettera del 1° giugno 2006, l’AGEA ha indicato alla società di non aver ricevuto nulla da parte sua dopo la domanda di rimborso del 23 giugno 1998 e l’ha invitata a versare la somma dovuta. Di conseguenza, senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione della partecipazione del pubblico ministero al procedimento penale, dalle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Oleificio Addante (IT/1992/006)

155    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [25 ottobre 1990]) e di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [10 aprile 1991], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

156    La Repubblica italiana sostiene, in primo luogo, che dopo l’apertura del fallimento il 10 aprile 1991, l’AGEA è stata ammessa in via privilegiata al passivo di tale procedura con sentenza 19 gennaio 2000 per un importo complessivo di EUR 1 112 798,30 (ITL 2 154 697,481) e che, in attesa della ripartizione dell’attivo fallimentare, tutte le somme indebitamente ricevute da tale società dovevano essere imputate al FEAOG. Inoltre, essa afferma che l’insinuazione al passivo del credito non comporta variazioni di sorta, sia che venga effettuata tempestivamente, sia che venga realizzata tardivamente. Infine, il fatto che l’AGEA non abbia ottenuto notizie sulla data prevista per il riparto dell’attivo fallimentare non significa che il recupero fosse stato infruttuoso e che, di conseguenza, la Commissione fosse legittimata a chiudere la pratica.

157    È necessario constatare che, come correttamente fatto presente dalla Commissione, dopo la notifica dell’irregolarità, il 25 ottobre 1990, l’organismo pagatore si è limitato ad inviare una prima richiesta di pagamento, il 27 novembre 1990, e poi una seconda richiesta il 10 febbraio 1999, ossia quasi otto anni dopo. Dalla documentazione allegata al ricorso della Repubblica italiana emerge che la domanda d’insinuazione al passivo del 21 settembre 1995 è stata presentata oltre quattro anni dopo l’apertura della procedura fallimentare. Inoltre, conformemente al punto 90 supra, il fatto che il credito non sia prescritto, indipendentemente dalla questione dell’iscrizione tardiva al passivo del fallimento, non dimostra di per sé la diligenza dello Stato membro. Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Oleificio Olivoro (IT/1994/063)

158    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [28 dicembre 1993]) e di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [27 febbraio 1995], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

159    Rispetto a questo primo caso riguardante la società Oleificio Olivoro, la Repubblica italiana spiega che la prima constatazione dell’irregolarità risale al 28 dicembre 1993 e che l’AIMA ha sospeso i pagamenti alla società il 31 gennaio 1994, ha inviato una richiesta di rimborso il 29 marzo 1994, ha ottenuto un fermo amministrativo il 21 ottobre 1994 e si è costituita parte civile nel procedimento penale a carico dei responsabili della società, conclusosi nel 2001 con sentenza che ha dichiarato estinti i reati per prescrizione. Peraltro, e dopo la pronuncia di tale sentenza, l’AGEA avrebbe chiesto l’insinuazione al passivo fallimentare, aperto già il 27 febbraio 1995 dal Tribunale civile di Bari. Con nota del 7 luglio 2003 essa avrebbe chiesto informazioni su detta procedura fallimentare, la cui udienza sarebbe stata fissata per il 24 ottobre 2007. Lo Stato membro non potrebbe essere accusato di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali.

160    È necessario osservare che la Repubblica italiana non ha fornito elementi idonei a confutare l’addebito avanzato nei suoi confronti, segnatamente quello relativo alla circostanza che alla constatazione dell’irregolarità non erano seguite iniziative finalizzate al recupero del credito nei quattro anni successivi (ad eccezione di azioni cautelative di fermo amministrativo a carattere provvisorio). In proposito occorre rilevare che la prova della costituzione di parte civile nel procedimento penale non compare nel fascicolo, da cui risulta invece che la domanda d’iscrizione del credito al passivo del fallimento è stata presentata solamente dopo il 23 luglio 2001. La data di ammissione tuttavia non compare. Da quanto precede risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Oleificio Olivoro (IT/1992/239)

161    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [27 febbraio 1992]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

162    La Repubblica italiana asserisce che la prima constatazione dell’irregolarità risale al 27 febbraio 1992 e che l’AIMA ha sospeso taluni pagamenti alla società il 12 marzo 1992, ha inviato una richiesta di rimborso il 23 marzo 1992 e, sempre nel 1992, ha emanato un’ordinanza di ingiunzione relativa ai futuri pagamenti, contestata dalla società in parola. A seguito della comunicazione, il 13 maggio 1997, dell’ordinanza di ingiunzione n. 45/97 relativa ad una sanzione amministrativa, l’AIMA, sin dal 5 giugno 1997, avrebbe sospeso ogni forma di pagamento. L’AIMA si sarebbe costituita parte civile nel procedimento penale a carico dei responsabili della società, conclusosi nel 2001 per prescrizione del reato. Inoltre, e successivamente alla pronuncia di tale sentenza, l’AGEA avrebbe chiesto l’insinuazione al passivo fallimentare che era stato aperto il 27 febbraio 1995 dal Tribunale civile di Bari. Con nota del 7 luglio 2003 essa avrebbe domandato informazioni su tale procedura fallimentare, la cui udienza era fissata per il 24 ottobre 2007. Lo Stato membro non potrebbe essere accusato di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali.

163    Innanzitutto va constatato che la Repubblica italiana non ha fornito elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico, segnatamente quello relativo alla circostanza che alla constatazione dell’irregolarità non erano seguite iniziative dirette al recupero del credito nei quattro anni successivi, ad eccezione di azioni cautelative di fermo amministrativo, che hanno carattere provvisorio. Inoltre, nel fascicolo non si riscontrano prove dell’esistenza di un’ordinanza-ingiunzione fatta valere dalla Repubblica italiana e asseritamente risalente al 1992. Quanto all’ordinanza-ingiunzione del 3 febbraio 1997, anche qualora si ammettesse la sua pertinenza nella fattispecie (la circostanza che il pagamento dell’importo sia stato comminato a titolo di sanzione amministrativa non opera tuttavia a suffragio di siffatta tesi), occorre constatare che è stata emanata oltre quattro anni dopo la notifica dell’irregolarità. Infine, in conformità del punto 90 supra, la circostanza che le autorità nazionali abbiano richiesto l’ammissione al passivo del fallimento dopo aver atteso la conclusione del procedimento penale non prova di per sé che lo Stato membro abbia dimostrato la dovuta diligenza. In ogni caso, la Repubblica italiana non ha indicato la data in cui tali provvedimenti erano stati adottati. Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso PAC (IT/1988/069)

164    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (verbale del [19 dicembre 1988]) e di un anno dalle sentenze penali del [12 ottobre 1996, del 1° giugno 1999 e del 31 marzo 2000], che hanno statuito la prescrizione dei reati, senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito all’operatore e ad altri interessati».

165    La Repubblica italiana asserisce che tale caso è stato seguito con diligenza, malgrado la sua complessità derivante da una serie di problematiche legate all’andamento societario. In primo luogo, essa ricorda la successione degli avvenimenti tra la comunicazione dell’irregolarità, avvenuta il 2 dicembre 1987, e la comunicazione della sentenza sfavorevole della Corte d’appello, avvenuta il 7 gennaio 2003, per dimostrare che l’organismo pagatore ha agito in tempo utile. Essa, in particolare, ricorda le seguenti azioni compiute dall’AIMA: la sospensione, in data 14 dicembre 1987, dei pagamenti per le campagne in corso, che è stata contestata con taluni ricorsi presentati dalla società nel 1988, ma approvata con sentenza del 24 giugno 1993; il rifiuto di pagare le somme reclamate dal liquidatore, comprensive di un contributo supplementare, e dell’aiuto; la domanda del 14 settembre 1993 di ammissione al passivo del fallimento; la domanda del 19 ottobre 1994 di costituzione come parte civile nel procedimento penale, conclusosi con l’assoluzione dei responsabili; la revoca del 13 settembre 1995 di tutti i decreti di pagamento dei contributi comunitari versati alla società, che è stata contestata dalla società stessa; i ricorsi presentati dinanzi al Tribunale fallimentare. Inoltre, essa ricorda che nel 1999 il Tribunale di Cosenza aveva disposto l’accantonamento di una somma a favore dell’AIMA e che un ricorso in Cassazione è ancora pendente contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro. Infine, la Repubblica italiana sostiene di non poter essere accusata di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali.

166    Va innanzitutto rilevato che la Repubblica italiana non ha fornito elementi idonei a confutare gli addebiti a suo carico, segnatamente quello relativo alla circostanza che alla constatazione dell’irregolarità non erano seguite iniziative dirette al recupero del credito nei quattro anni successivi (ad eccezione di azioni cautelative di fermo amministrativo con carattere provvisorio). Risulta inoltre dal fascicolo del Tribunale che, contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica italiana, l’iscrizione al passivo del fallimento è avvenuta il 26 luglio 1995. Infine, e in ogni caso, il fascicolo non contiene elementi che provino l’esistenza di provvedimenti adottati dopo le pronunce penali Dal complesso delle suesposte considerazioni consegue che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Panolio (IT/1994/439)

167    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [26 maggio 1994]) e di un anno dalla sentenza penale di condanna del [17 luglio 2001], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

168    La Repubblica italiana ricorda che tutti i procedimenti penali sono stati archiviati a causa della prescrizione del reato e che solo il 24 giugno 2005 la Corte suprema di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dall’amministratore della società contro le pronunce di estinzione del reato. Essa sostiene che l’AGEA aveva dovuto non soltanto chiedere la restituzione delle somme (con nota del 3 marzo 2006), ma anche opporsi al decreto ingiuntivo per la liquidazione delle somme in sospeso (a garanzia del credito). Il credito non è prescritto a causa della costituzione di parte civile dell’AGEA e dell’ingiunzione fiscale che quest’ultima ha emesso e, pertanto, lo Stato membro non può essere accusato di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali.

169    Innanzitutto, conformemente al punto 90 supra, la circostanza che il credito non sia prescritto non prova di per sé la diligenza dello Stato membro. Si aggiunga che occorre constatare che la Repubblica italiana non ha fornito elementi idonei a confutare gli addebiti a suo carico, segnatamente quello relativo alla circostanza che alla constatazione dell’irregolarità non erano seguite iniziative dirette al recupero del credito nei quattro anni successivi. In proposito si deve notare che l’ingiunzione fiscale è datata 18 dicembre 2002 e che la costituzione di parte civile è avvenuta nel 2001. Di conseguenza, contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica italiana, tali elementi non possono rimettere in discussione la constatazione della Commissione. Infine, dal fascicolo risulta parimenti che l’AGEA stessa ha riconosciuto che la sentenza penale del 10 luglio 2001 era vincolante per quanto riguarda il recupero del credito. Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso P.A.S. (IT/1986/035)

170    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di un anno dalla sentenza penale di applicazione dell’amnistia del [25 novembre 1992] (e che ha messo in luce elementi di colpevolezza), senza che sia richiesto rimborso del credito agli interessati e senza proseguire il procedimento di recupero del credito avviato il [18 maggio 1994], per errori procedurali».

171    La Repubblica italiana fa presente che il caso è ancora in via di risoluzione. In proposito essa ricorda che l’AIMA ha chiesto all’Avvocatura dello Stato di costituirsi parte civile nel 1986, anno della redazione del verbale di constatazione e che, nel 1993, dopo la decisione di amnistia del 25 novembre 1992, era stata avviata un’azione civile. Quest’ultima è giunta a conclusione nel 2005, con una sentenza della Corte d’appello favorevole all’AGEA, e in esito alla quale è stata instaurata la procedura esecutiva.

172    Innanzitutto, riguardo all’azione civile richiamata dalla Repubblica italiana, è d’uopo constatare che è stata avviata solamente il 18 maggio 1994, vale a dire oltre un anno dopo la pronuncia penale. Dalla documentazione allegata si evince che l’AIMA aveva unicamente trasmesso una nota, il 19 marzo 1993, all’Avvocatura dello Stato, dandole incarico di proporre detta azione civile. Quanto al resto, la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi idonei a confutare l’addebito avanzato a suo carico. Dalle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Cooperativa Agr. Pezzarossa (IT/1985/028)

173    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (processo verbale del [29 novembre 1985]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai dichiarato prescritto dalla Repubblica italiana.

174    La Repubblica italiana sostiene che la prima comunicazione dell’irregolarità risale al 17 agosto 1985 e che l’AGEA si è costituita parte civile nel procedimento penale conclusosi con sentenza del 26 maggio 1987 che ha dichiarato gli imputati colpevoli. Tale sentenza è stata confermata in seguito ad appello il 13 ottobre 1989, il 23 ottobre 1990 e il 3 ottobre 1991. Dopo che la cooperativa è stata posta in liquidazione coatta il 1° agosto 2002, il credito dell’AGEA sarebbe stato ammesso al passivo con privilegio speciale per un importo superiore a quello menzionato nella decisione impugnata. Dal 13 dicembre 2005 l’AGEA sarebbe in attesa di una comunicazione del liquidatore sullo stato del passivo.

175    Si deve constatare che, contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la constatazione dell’irregolarità risale al 17 agosto 1985. Relativamente alla costituzione di parte civile menzionata dalla Repubblica italiana, dal fascicolo risulta che l’AGEA ha riconosciuto che non ne sussisteva prova, ma che la nota dell’Avvocatura distrettuale n. 14253 del 30 giugno 1994 vi faceva allusione. Ciò nondimeno l’AGEA non fa valere la costituzione di parte civile. Per quanto riguarda le misure adottate a seguito della sentenza di condanna della Corte d’appello di Lecce del 3 ottobre 1991, occorre constatare che l’AIMA ha dato incarico all’Avvocatura distrettuale solamente il 2 agosto 1994 e che le autorità si sono attivate per la tutela del credito il 17 novembre 2005. Dal complesso di siffatte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Pianura Verde (IT/1992/230)

176    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di un anno dalla sentenza penale di condanna del [7 dicembre 1993], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

177    La Repubblica italiana sostiene di aver dato prova della massima diligenza nel presente caso, in particolare presentando la domanda di costituzione come parte civile nel 1993. In proposito essa fa rilevare di essere venuta a conoscenza della sentenza del Tribunale di Crotone del 7 agosto 2001 entro un termine ragionevole, ossia nel giugno 2002, e di aver chiesto l’iscrizione a ruolo del credito il 24 novembre 2003.

178    Si constati, innanzitutto, che la data della pronuncia penale, ossia il 7 dicembre 1993, non è controversa. A tale riguardo è d’uopo osservare che la Repubblica italiana non ha adottato alcuna iniziativa diretta a ottenere il rimborso del credito l’anno seguente. Va inoltre rilevato che, contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica italiana, nel ricorso non compaiono prove della costituzione di parte civile e che la documentazione attestante tale circostanza è stata prodotta soltanto come allegato alla risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, senza fornire spiegazioni per siffatta produzione tardiva. La documentazione di cui trattasi è di conseguenza inammissibile per i motivi esposti ai punti 45‑47 supra. Analogo ragionamento è da applicare rispetto ai documenti attestanti l’iscrizione a ruolo del credito, forniti nella medesima fase del procedimento. Infine, benché la richiesta d’iscrizione a ruolo sia stata presentata nel novembre 2003, essa ha avuto luogo dieci anni dopo la sentenza penale. Dal complesso di siffatte considerazioni emerge che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Pork’s House (IT/1989/010)

179    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [22 maggio 1992], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

180    La Repubblica italiana nega di essere stata negligente, dal momento che il 13 luglio 2004 il credito è stato ammesso al passivo in via chirografaria. Essa fa valer che, poiché la società era stata dichiarata fallita nel 1992, non sarebbe stato possibile esperire azioni diverse dall’insinuazione al passivo del fallimento e che il fatto che quest’ultima sia avvenuta tardivamente non modificherebbe il risultato in termini di tutela del credito. L’AGEA sarebbe in attesa del piano di riparto.

181    In conformità del punto 90 supra va constatato che la mancata prescrizione del credito, indipendentemente della questione dell’iscrizione tardiva al passivo del fallimento, non dimostra, di per sé, la diligenza dello Stato membro. Peraltro, dal fascicolo risulta che la richiesta d’iscrizione del credito al passivo della società, fatta valere dalla Repubblica italiana, è stata presentata soltanto l’11 febbraio 2004, ossia circa quattordici anni dopo la sentenza di fallimento. Di conseguenza, la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Riolio (IT/1994/419)

182    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [19 gennaio 1994] e di un anno dalla sentenza penale di condanna del [2 novembre 1999], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

183    La Repubblica italiana respinge gli addebiti di negligenza, in quanto l’ammissione del credito al passivo del fallimento in via privilegiata è stata chiesta dall’AIMA l’11 luglio 2005, subito dopo la pronuncia della sentenza penale del 2005. Essa sostiene che sono state poste in essere tutte le azioni possibili per evitare la prescrizione del credito e che la curatela si è opposta all’ammissione del credito al passivo. Inoltre, nel novembre 2006 sarebbe dovuta intervenire una pronuncia che ha potuto essere emessa solo il 23 ottobre 2009 a causa del rinvio dell’udienza. Nella risposta a un quesito scritto del Tribunale la Repubblica italiana aggiunge che un’istanza di insinuazione tardiva al passivo del fallimento è stata respinta con decisione del Tribunale di Trani del 9 febbraio 2010 e che l’AGEA ha proposto appello dinanzi alla Corte d’appello di Bari il 19 maggio 2011.

184    È sufficiente constatare che la Repubblica italiana non ha fatto valere elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico. In particolare, dal fascicolo risulta che la richiesta di iscrizione del credito è stata presentata solo tardivamente, l’11 luglio 2005. Dalle suesposte osservazioni emerge che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Cooperativa San Giuseppe (IT/1997/193)

185    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (verbale del [23 gennaio 1998]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito».

186    La Repubblica italiana sostiene che il procedimento penale, avviato nel 1997, è ancora in corso e pertanto non la si può accusare di negligenza. La presenza del pubblico ministero in detto procedimento garantirebbe un’adeguata protezione degli interessi comunitari.

187    Dal fascicolo emerge che la prima richiesta di restituzione dell’indebito risale al 30 giugno 2004. Pertanto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione della partecipazione del pubblico ministero al procedimento penale, dalle considerazioni esposte risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel ritenere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Sicav Tirrena (IT/1986/048)

188    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [9 febbraio 1989], [del termine] di un anno dalla sentenza penale di amnistia del [10 luglio 1992] e [del termine] di un anno dalla sentenza civile di condanna a rimborsare il credito accertato il [30 settembre 2003], senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito al curatore del fallimento e ad altri interessati».

189    La Repubblica italiana osserva che, nel 1993, l’AIMA si è costituita parte civile nel procedimento penale che era stato promosso il 7 giugno 1988 (conclusosi con una pronuncia di amnistia) e, dopo la sentenza pronunciata nel 2003 dal Tribunale di Roma, ha incaricato uno studio legale esterno di avviare tutte le possibili azioni di recupero del credito. Nel frattempo la procedura fallimentare si sarebbe chiusa definitivamente per mancanza di attivo. L’operatore sarebbe stato condannato al pagamento dell’importo in parola e attualmente l’AGEA sta procedendo al recupero. Di conseguenza, non si potrebbe accusare lo Stato membro di negligenza a causa del protrarsi delle procedure nazionali.

190    È innanzitutto d’uopo fare presente che, sebbene l’AIMA si sia effettivamente costituita parte civile nel procedimento penale il 7 giugno 1988, ciò nondimeno tale circostanza non è idonea a rimettere in discussione gli addebiti della Commissione. Inoltre, dal fascicolo risulta che il primo tentativo diretto alla ripetizione dell’indebito era un atto di citazione notificato il 7 febbraio 1995. Infine, occorre constatare che la Repubblica italiana non ha addotto elementi atti a dimostrare di aver prontamente avviato le dovute iniziative ai fini del recupero del credito successivamente alla sentenza datata 30 settembre 2003 del Tribunale civile di Roma, che aveva condannato la società in causa al rimborso dell’indebito, in capitale e interessi. Dal complesso di siffatte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso SO.C.OLI – F.lli Papaianni (IT/1989/130)

191    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla notifica dell’irregolarità (nota Agea n. 4968/A del [9 giugno 1986]), senza [che fosse chiesto] il rimborso del credito» e considerato che il credito corrispondente è ormai prescritto.

192    La Repubblica italiana sostiene che, data la mancanza di prove documentali attestanti la sussistenza dell’irregolarità, che si assume risalente al 1989, il caso avrebbe dovuto essere chiuso. Il credito non sarebbe stato iscritto nel registro dei debitori non essendo stato dimostrato dall’organo di controllo. Essa afferma che il procedimento penale cui si riferisce la Commissione è stato menzionato in una nota dell’AIMA del 1986, mentre l’irregolarità in discussione risale al 1989. Nella risposta a un quesito scritto del Tribunale essa fa presente che la società in questione ha ottenuto il riconoscimento di impresa necessario per percepire aiuti solo a partire dal 2 maggio 1984.

193    Nel caso di specie la Repubblica italiana contesta la sussistenza di un’irregolarità ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1258/1999. Va rammentato in proposito che secondo una giurisprudenza costante la Commissione è obbligata a giustificare la decisione con cui rileva la mancanza o l’inadeguatezza dei controlli attuati dallo Stato membro interessato (v. sentenza della Corte del 24 febbraio 2005, Grecia/Commissione, C‑300/02, Racc. pag. I‑1341, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata). Lo Stato membro interessato non può tuttavia confutare le constatazioni della Commissione con semplici affermazioni non suffragate da elementi atti a dimostrare l’esistenza di un sistema di controlli affidabile ed operativo (sentenza della Corte del 28 ottobre 1999, Italia/Commissione, C‑253/97, Racc. pag. I‑7529, punto 7).

194    È alla luce di siffatte considerazioni che vanno esaminati gli elementi probatori relativi al presente fascicolo forniti dalla Repubblica italiana.

195    Anzitutto emerge dagli atti di causa, e segnatamente da una nota dell’AIMA del 9 giugno 1986 e dalla rilevazione del terzo trimestre del 1989, che è stata commessa un’irregolarità e che un procedimento penale era pendente nel giugno del 1986 nei confronti dei responsabili, sulla base degli accertamenti effettuati in precedenza dalla Guardia di finanza. Rispondendo ad un quesito posto nel corso dell’udienza, la Repubblica italiana ha asserito che i crediti in questione erano posteriori al 1984 e che costituivano debiti nei confronti della Repubblica italiana con riferimento ad un documento prodotto tardivamente. Inoltre occorre constatare che la mera affermazione, presente nel ricorso della Repubblica italiana, che non vi sarebbe traccia di un verbale di constatazione dell’irregolarità non soddisfa i requisiti dell’onere della prova. Nella replica la Repubblica italiana si è limitata agli argomenti già addotti nel ricorso e menzionati al punto 192 supra. Quanto agli argomenti fatti valere nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale, non sono addotte prove di sorta. Dal complesso di siffatte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel riscontrare la sussistenza di irregolarità e nel ritenere che la Repubblica italiana fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Zootecnica Adriatica (IT/1990/059)

196    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dall’avvio dei processi civili ([24 settembre 1994] e [22 giugno 1998]), senza portare avanti il procedimento di recupero del credito ».

197    La Repubblica italiana sostiene che il 25 gennaio 2006 il credito è stato ammesso in via privilegiata al passivo della società in parola nel presente caso e che, pertanto, gli interessi finanziari della Comunità sono stati tutelati al meglio. La liquidazione del fascicolo da parte della Commissione sarebbe inspiegabile.

198    Si deve constatare che la Repubblica italiana non ha addotto elementi idonei a provare di aver prontamente avviato le dovute iniziative volte al recupero del credito, né dopo l’atto di citazione del 24 settembre 1994, né in seguito alla nuova notifica di tale atto il 22 giugno 1998. Inoltre, dal fascicolo risulta altresì che l’organismo pagatore ha avuto contezza del fallimento solamente il 23 marzo 2002, ossia oltre cinque anni dopo la dichiarazione di fallimento del 14 gennaio 1997, e che non sono state adottate iniziative finalizzate all’iscrizione del credito al passivo del fallimento prima del 12 aprile 2005. Ne consegue che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Enosicilia (IT/1985/001)

199    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento del [27 gennaio 1988] e di un anno dalla sentenza penale di condanna del [7 novembre 1990], senza [che fosse portato] avanti il recupero del credito nei confronti dei condannati e del curatore del fallimento».

200    La Repubblica italiana innanzi tutto ricorda che la comunicazione dell’irregolarità è avvenuta il 14 marzo 1985 e che il SAISA si è costituito parte civile nell’ambito del procedimento penale, che si è concluso con una sentenza di assoluzione. Peraltro, i tentativi di compensazione sarebbero falliti a causa dell’assenza di controcrediti (crediti «back-to-back») della società. Essa asserisce, inoltre, di non aver potuto agire in sede civile, dopo la sentenza penale pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo il 7 novembre 1990, a causa della mancanza di titolo esecutivo (amministrativo o giudiziario) e di prove circa l’ammontare esatto dell’indebito. Il caso avrebbe dovuto essere chiuso per accertata insussistenza del credito. Tuttavia, il SAISA aveva, entro i termini di legge, presentato istanza di insinuazione al passivo della liquidazione della società aperta dal 27 gennaio 1988. La domanda è stata respinta nel 2000 dal Tribunale fallimentare di Marsala a causa, segnatamente, dell’impossibilità di stabilire adeguatamente e correttamente l’ammontare esatto dell’indebito. Infine, essa osserva che è pendente un appello che potrebbe rivelare che la decisione impugnata era illegittima. La Repubblica italiana sostiene che il mancato recupero del credito è da addebitare alla insussistenza dello stesso accertata giudizialmente.

201    Riguardo all’argomento relativo all’assenza di controcrediti («back-to-back») occorre constatare che nella documentazione allegata alle memorie della Repubblica italiana non si rinvengono elementi in proposito. Quanto al resto, la Repubblica italiana non ha addotto elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico. In particolare, dal fascicolo risulta che nessuna azione effettiva risulta essere stata avviata nei confronti dei responsabili dell’irregolarità dopo la sentenza penale di condanna del 7 novembre 1990 (che attestava chiaramente la sussistenza dell’irregolarità) e che l’istanza di ammissione al passivo è stata di fatto presentata solo il 20 febbraio 1995, ossia sette anni dopo l’apertura, il 27 gennaio 1988, del procedimento di liquidazione forzata. Dalle suesposte considerazioni risulta che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia errato nel considerare che essa fosse stata negligente nel presente caso.

–       Caso Terra d’Oro (IT/1996/004)

202    Nella relazione di sintesi la Commissione imputa al bilancio nazionale le conseguenze finanziarie a causa del «[s]uperamento [del termine] di quattro anni dall’ingiunzione di pagamento del [15 settembre 1997] al liquidatore della società, responsabile in solido, e dall’iscrizione a ruolo del credito eseguita nel 1997, senza [che fosse portato] avanti il recupero del credito (l’autorità competente dell’esecuzione forzata ha dichiarato il credito irrecuperabile nel 1998, mentre invece quasi tutti gli immobili sono stati venduti il [23 dicembre 2003])».

203    La Repubblica italiana sostiene che l’azione di recupero è stata intrapresa tempestivamente e che le accuse di negligenza sono prive di fondamento. In proposito essa rileva che il SAISA ha emesso un’ingiunzione di pagamento il 9 maggio 1996 contro la società e il suo legale rappresentante, che il credito è stato iscritto a ruolo il 29 ottobre 1997 sia nei confronti della società in parola nel presente caso che nei confronti della società responsabile in solido e che sui beni del debitore è stata iscritta un’ipoteca. Queste azioni avrebbero interrotto il periodo di prescrizione. Inoltre, i tentativi di compensazione sarebbero falliti a causa dell’assenza di controcrediti della società. Essa sottolinea che l’amministratore della società ha impugnato l’ingiunzione di pagamento dinanzi al Tribunale civile di Roma e che tale procedimento è tuttora in corso. Per quanto riguarda la mancanza di esecuzioni immobiliari, essa sostiene che, fin dal 1996, questi immobili sono gravati da procedura esecutiva ad istanza di un altro creditore e che, di conseguenza, il concessionario incaricato ha effettuato un’iscrizione ipotecaria sui restanti beni immobili del debitore.

204    La Repubblica italiana non ha addotto elementi idonei a confutare l’addebito formulato a suo carico. Dal fascicolo emerge, in particolare, che successivamente agli atti intrapresi nel 1997, il SAISA si è informato dello stato del caso solamente il 7 aprile 2003, ossia cinque anni dopo. Inoltre, il Concessionario per la riscossione si è limitato ad inviare una lettera di messa in mora il 19 dicembre 2003 e, con lettera del 3 marzo 2004, avrebbe comunicato al SAISA che il debitore aveva alienato alcuni beni. Ne consegue che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel concludere che essa fosse stata negligente nel presente caso.

205    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il secondo motivo sollevato dalla Repubblica italiana deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999

 Argomenti delle parti

206    La Repubblica italiana sostiene che la Commissione avrebbe agito in modo contraddittorio e senza motivare la propria decisione, omettendo di imputare le conseguenze finanziarie a carico del FEAOG in 59 casi in relazione ai quali è stata riconosciuta la sua diligenza. Il fatto che tali casi non figurino nella decisione impugnata costituirebbe una violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999.

207    Nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale la Repubblica italiana aggiunge che appaiono particolarmente gravi le conseguenze pregiudizievoli per lo Stato membro determinate dalla impostazione della Commissione. Come già esposto, al punto 50 supra, siffatta considerazione deve tuttavia essere respinta in quanto irricevibile.

208    Nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale la Repubblica italiana fa altresì valere, in sostanza, che dall’esame del complesso dei casi per i quali la decisione propone l’addebito delle somme non recuperate allo Stato membro emerge che pressoché tutti, con l’eccezione di quelli impugnati con il primo motivo, hanno tuttora in corso procedimenti civili, fallimentari o penali, e dunque sono ancora aperti. Non si ravviserebbe, pertanto, a seguito di analisi di dettaglio su tutti i casi, alcuna ragionevole e giustificata motivazione alla base della distinzione dei casi in due distinte categorie (procedimento aperti o definiti), vale a dire nella distinzione fra i casi su cui vertono il secondo e il terzo motivo.

209    La Commissione ritiene tale argomento irricevibile e, in ogni caso, infondato.

 Giudizio del Tribunale

210    Si deve constatare che la decisione impugnata non riguarda i 59 casi menzionati dalla Repubblica italiana nell’ambito di tale motivo. In siffatte circostanze, anche qualora si congetturasse che gli argomenti di quest’ultima siano ricevibili e fondati, essi non sono idonei a comportare l’annullamento della decisione impugnata e devono quindi essere respinti in quanto inconferenti.

211    Occorre pertanto respingere il terzo motivo dedotto dalla Repubblica italiana.

212    Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che il ricorso deve essere respinto nel suo complesso.

 Sulle spese

213    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

Papasavvas

Vadapalas

O’Higgins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 settembre 2012.

Firme

Indice


Contesto normativo

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Osservazioni preliminari

Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 595/91

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, terzo trattino, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1258/1999

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Osservazioni preliminari

– Caso Agritalia Conserve (IT/1996/388)

– Caso Arco di Sant’Antonio (IT/1989/003)

– Caso Baraggiolo Giuseppe (IT/1990/077)

– Caso Bright Verona (IT/1996/210)

– Caso Brizi Giuseppe (IT/1996/254)

– Caso Cooperativa Agricola Texas (IT/1997/074)

– Caso Cooperativa Papa Giovanni XXIII (IT/1989/187)

– Caso Cooperativa agricola La Terra (IT/1996/205)

– Caso Copet (IT/1990/094)

– Caso Eden (IT/1992/253)

– Casi Eridania (IT/1996/301) e Eridania 2 (IT/1996/302)

– Caso Eurotabac (IT/1995/053)

– Caso Ica Ionica (IT/1988/067)

– Caso La Sibarita (IT/1989/188)

– Caso La Sorrentina (IT/1989/185)

– Caso Maremmana Conserve (IT/1989/017)

– Caso MIO Mutunato (IT/1995/103)

– Caso Olearia Carmando (IT/1992/237)

– Caso Olearia Sant’Elia (IT/1998/059)

– Caso Oleificio Addante (IT/1992/006)

– Caso Oleificio Olivoro (IT/1994/063)

– Caso Oleificio Olivoro (IT/1992/239)

– Caso PAC (IT/1988/069)

– Caso Panolio (IT/1994/439)

– Caso P.A.S. (IT/1986/035)

– Caso Cooperativa Agr. Pezzarossa (IT/1985/028)

– Caso Pianura Verde (IT/1992/230)

– Caso Pork’s House (IT/1989/010)

– Caso Riolio (IT/1994/419)

– Caso Cooperativa San Giuseppe (IT/1997/193)

– Caso Sicav Tirrena (IT/1986/048)

– Caso SO.C.OLI – F.lli Papaianni (IT/1989/130)

– Caso Zootecnica Adriatica (IT/1990/059)

– Caso Enosicilia (IT/1985/001)

– Caso Terra d’Oro (IT/1996/004)

Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 729/70 e dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.