Language of document : ECLI:EU:T:2004:236

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
13 luglio 2004 (1)

«Marchio comunitario – Procedura di opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo GAS STATION – Marchio nazionale figurativo anteriore BLUE JEANS GAS – Diniego di registrazione»

Nella causa T-115/03,

Samar S.p.A., con sede in Mottalciata, rappresentata dall'avv. A. Ruo,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazionenel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. O. Montalto e dalla sig.ra M.L. Capostagno, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione 30 gennaio 2003 della terza commissione di ricorso dell'UAMI (procedimento R 340/2002-3), relativa all'opposizione del titolare del marchio nazionale figurativo BLUE JEANS GAS alla registrazione del marchio comunitario denominativo GAS STATION,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, A.W.H. Meij e N.J. Forwood, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 7 aprile 2003,

visto il controricorso dell'interveniente depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 luglio 2003,

visto il controricorso dell'UAMI depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 luglio 2003,

in seguito alla trattazione orale del 4 febbraio 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti

1
Il 12 gennaio 1998 la ricorrente ha presentato all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI») una domanda di marchio comunitario in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2
Il marchio di cui è stata richiesta la registrazione è il segno denominativo GAS STATION.

3
I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 25 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

4
Il 22 marzo 1999 tale domanda è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 22/99.

5
Il 21 giugno 1999 l’interveniente ha presentato opposizione, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94, contro il marchio richiesto per tutti i prodotti a cui questo si riferisce, basandosi, in particolare, sul suo marchio figurativo nazionale anteriore n. 677 288, registrato segnatamente per prodotti rientranti nella classe 25, e cioè «pantaloni, giacche, jeans, camicie, gonne, giacconi, maglie, maglioni, capispalla, calzini, calzature, stivali, pantofole», riprodotto qui di seguito:

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6
Con decisione 28 febbraio 2002 la divisione d’opposizione dell’UAMI ha accolto l’opposizione sulla base dell’accentuata somiglianza tra i segni e dell’interrelazione tra segni e prodotti nel giudizio relativo alla confusione.

7
Il 16 aprile 2002 la ricorrente ha presentato un ricorso dinanzi all’UAMI, ai sensi dell’art. 59 del regolamento n. 40/94, contro la decisione della divisione d’opposizione.

8
Con decisione 30 gennaio 2003 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla ricorrente il 10 febbraio 2003, la commissione di ricorso ha respinto il ricorso in quanto sussisteva un rischio di confusione tenuto conto della natura intrinseca del marchio dell’interveniente, della forte somiglianza tra i marchi nonché dell’identità o della somiglianza tra i prodotti considerati e del momento di percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento.


Procedimento e conclusioni delle parti

9
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare l’inesistenza di un rischio di confusione nella fattispecie ed annullare la decisione impugnata;

in subordine, dichiarare l’inesistenza di un rischio di confusione nella fattispecie per tutti i prodotti richiesti, ad eccezione dei blue-jeans, o, almeno, per i prodotti per i quali il Tribunale lo riterrà opportuno, e annullare la decisione impugnata entro questi limiti;

condannare l’UAMI alle spese.

10
L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


In diritto

11
La ricorrente deduce due motivi, uno relativo a un difetto di motivazione della decisione impugnata e l’altro ad un errore di valutazione nell’analisi del rischio di confusione. In udienza essa ha precisato che l’espressione «che venga riconosciuta l’inesistenza di un rischio di confusione» nel primo capo delle sue conclusioni ed il riferimento fatto nel suo ricorso a tutte le argomentazioni da essa già esposte dinanzi all’UAMI costituivano mere clausole di stile, cosa di cui il Tribunale ha preso atto.

12
In udienza la ricorrente ha prodotto un documento, diretto a provare l’esistenza di numerosi marchi italiani nel settore dell’abbigliamento contenenti la parola «gas», invocando l’art. 48 del regolamento di procedura del Tribunale ed insistendo sul fatto che, a seguito del diniego del Tribunale di ammettere un secondo scambio di memorie, le era stato assicurato di poter far valere i suoi argomenti in udienza. Tale documento è stato ammesso dal Tribunale, in via cautelativa, con riserva di una decisione ulteriore riguardo alla sua ricevibilità.

Sulla ricevibilità del documento prodotto in udienza

13
Per giurisprudenza costante, il ricorso di cui il Tribunale viene investito mira al controllo della legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso ai sensi dell’art. 63 del regolamento n. 40/94. Orbene, fatti invocati dinanzi al Tribunale che non siano stati previamente dedotti dinanzi all’UAMI possono viziare la legittimità di una tale decisione solo se l’UAMI avesse dovuto tenerne conto d’ufficio. A tale proposito, dall’art. 74, n. 1, in fine, secondo cui, in procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’UAMI si limita, in tale esame, ai fatti, prove ed argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti, emerge che questo non è tenuto a tenere conto, d’ufficio, dei fatti che non sono stati dedotti dalle parti. Pertanto, fatti del genere non sono idonei a mettere in discussione la legittimità di una decisione della commissione di ricorso.

14
E’ pacifico che il documento prodotto in udienza, diretto a provare l’esistenza di numerosi marchi italiani nel settore dell’abbigliamento contenenti la parola «gas», non è stato presentato dinanzi all’UAMI. Ne deriva che tale documento non può essere preso in considerazione dal Tribunale.

15
D’altronde, la ricorrente non può avvalersi dell’art. 48, nn. 1 e 2, del regolamento di procedura per giustificare il deposito tardivo di tale documento. Da un lato, la ricorrente non ha addotto alcuna motivazione che legittimasse, eventualmente, la produzione di nuovi elementi probatori in sede di replica. Dall’altro, il principio del contraddittorio non può giustificare tale deposito tardivo dato che detto documento non può essere considerato una mera risposta alle memorie dell’UAMI e dell’interveniente. Infatti, questi ultimi si sono preoccupati esclusivamente di fornire la prova del carattere intrinsecamente distintivo della parola «gas» senza mai fare riferimento ad un eventuale carattere distintivo del marchio anteriore sul mercato italiano dell’abbigliamento.

16
Pertanto, occorre dichiarare inutilizzabile il documento prodotto in udienza dalla ricorrente, senza che si renda necessario esaminarne l’efficacia probatoria o sentire più approfonditamente le altre parti della presente controversia in merito ad esso.

Sul difetto di motivazione

17
La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha violato l’obbligo di motivazione affermando, senza fornire spiegazioni, al punto 20 della decisione impugnata, che i segni in questione presentano una certa associabilità concettuale. Essa rileva di non essere quindi in grado di contestare tale motivo.

18
Il Tribunale ritiene che la censura della ricorrente derivi da una lettura parziale della decisione impugnata. Infatti, la commissione di ricorso, al punto 20 della decisione impugnata, fa espressamente propria la valutazione effettuata dalla divisione di opposizione secondo la quale i segni in questione «presentano una certa associabilità concettuale». Pertanto, alla ricorrente bastava riferirsi alla detta valutazione contenuta nella decisione della divisione di opposizione, decisione ad essa notificata, e, eventualmente, censurarne il ragionamento dinanzi al Tribunale.

19
In via ultronea, laddove l’associabilità concettuale menzionata dalla commissione di ricorso sia fondata sull’elemento «gas», come lascia supporre il seguito del punto 20 che qualifica tale elemento come dominante, il Tribunale constata, innanzi tutto, che la censura della ricorrente nei confronti della decisione della divisione di opposizione, relativa alla contraddizione che vi sarebbe nell’ammettere che la parola «gas» significhi carburante per motori a scoppio e nel rilevare, nel contempo, che non significa benzina, è esposta al punto 6, primo trattino, della decisione impugnata. In secondo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 24 della decisione impugnata, che la parola «gas» abbia un significato di senso compiuto e che «(…) l’effettivo significato ritenuto dal consumatore di lingua italiana (“gas”, “carburante”) finisc[a] con l’essere del tutto irrilevante». Per la ricorrente era quindi agevole collegare le considerazioni di cui al punto 20 della decisione impugnata a quelle esposte al punto 24 di quest’ultima e, eventualmente, censurare dinanzi al Tribunale l’opinione della commissione di ricorso secondo cui vi è somiglianza concettuale tra i segni in questione qualunque sia il significato attribuito alla parola «gas».

20
Pertanto, il presente motivo deve essere respinto.

Sull’errore di valutazione nell’analisi del rischio di confusione

Argomenti delle parti

21
La ricorrente ritiene che sia erroneo effettuare separatamente una comparazione, da un lato, dei segni in questione e, dall’altro, dei prodotti da essi contrassegnati. Nella fattispecie essa afferma che la commissione di ricorso ha ritenuto che il termine «blue-jeans» fosse descrittivo e ne ha concluso che la parola «gas» era l’elemento dominante del marchio dell’interveniente. Ora, secondo la ricorrente, una constatazione del genere è vera solo per i blue-jeans, e cioè per i prodotti di abbigliamento fabbricati con la tela di jeans, e non lo è quando è riferita a prodotti quali maglioni, pantofole o stivali. Inoltre, la commissione di ricorso ha ingiustamente trascurato al momento della sua analisi la parola «station» figurante nel marchio richiesto.

22
Per quanto riguarda la comparazione visiva dei marchi di cui trattasi, per tutti i prodotti che non siano blue-jeans, la ricorrente sostiene che l’elemento dominante del marchio dell’interveniente è «BLUE JEANS», che ha un forte carattere distintivo. L’aspetto dominante del marchio richiesto è costituito dalle due parole «gas» e «station». Non vi è quindi alcuna somiglianza tra i marchi. Quando i marchi in questione si riferiscono ai blue-jeans, il termine «blue-jeans» è descrittivo e, quindi, l’elemento dominante del marchio dell’interveniente è «gas». L’elemento dominante del marchio richiesto rimane «gas station». Poiché il marchio dell’interveniente ha una parte grafica fortemente distintiva, la parola comune ai due marchi in questione, e cioè «gas», non è sufficiente per determinare un rischio di confusione. Secondo la ricorrente, una siffatta analisi trova conferma nell’iter logico seguito dal Tribunale nella sentenza 12 dicembre 2002, causa T-110/01, Vedial/UAMI – France Distribution (HUBERT) (Racc. pag. II-5275, punto 54).

23
Per quanto riguarda la comparazione fonetica, secondo la ricorrente, i due marchi in questione sono del tutto distinti, soprattutto per i prodotti diversi dai blue-jeans. Ciò è tanto più vero qualora venga prestata maggiore attenzione alla parte iniziale dei marchi, come indicato dalla giurisprudenza.

24
Per quanto riguarda la comparazione concettuale, i marchi in questione sono completamente diversi per i prodotti che non siano blue-jeans, poiché uno possiede come elemento dominante il termine «blue-jeans» e l’altro i termini «gas station», vale a dire deposito di gas. Anche ammettendo che il termine «blue‑jeans» abbia una valenza descrittiva, il marchio dell’interveniente evoca l’idea del gas, mentre il marchio della ricorrente evoca l’idea di deposito, in questo caso di gas.

25
Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso non ha tratto le dovute conseguenze dalla sua definizione del pubblico di riferimento, e cioè il pubblico in generale, normalmente informato e ragionevolmente avveduto. In udienza essa ha tuttavia precisato che non rimetteva in discussione tale definizione.

26
La ricorrente ne conclude che le differenze tra i marchi escludono l’esistenza di un rischio di confusione.

27
L’UAMI e l’interveniente constatano innanzi tutto che la ricorrente non contesta l’identità o la somiglianza dei prodotti in questione. Essi ritengono inoltre che l’elemento dominante in ciascuno dei marchi in conflitto sia indiscutibilmente la parola «gas». Essi considerano corretti sia l’iter logico sia il risultato a cui è pervenuta la commissione di ricorso.

Giudizio del Tribunale

28
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, a seguito dell’opposizione del titolare di un marchio anteriore, un marchio è escluso dalla registrazione se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato.

29
Per giurisprudenza costante, il rischio di confusione relativamente all’origine commerciale dei prodotti o dei servizi deve essere valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi in questione, e prendendo in considerazione tutti i fattori peculiari del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi contrassegnati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II-2821, punti 29-33 e giurisprudenza ivi citata].

30
Occorre innanzi tutto constatare che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto, da un lato, che nella fattispecie il pubblico di riferimento sia costituito dai consumatori italiani, alla luce del fatto che il marchio anteriore preso in considerazione è un marchio nazionale italiano (punto 13 della decisione impugnata) e, dall’altro, che tale pubblico sia costituito da consumatori medi normalmente informati e ragionevolmente attenti e avveduti (punto 30 della decisione impugnata), dato che i prodotti contrassegnati dai marchi in questione sono prodotti di consumo corrente.

31
Occorre inoltre osservare che la commissione di ricorso ha correttamente ricordato che i prodotti contrassegnati dai marchi in questione sono identici o simili (punto 12 della decisione impugnata).

32
Per quanto riguarda la comparazione dei segni in conflitto, come emerge da una giurisprudenza consolidata, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti [v. sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T-292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II-4335, punto 47 e giurisprudenza ivi citata].

33
La censura della ricorrente, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe proceduto alla comparazione dei segni in conflitto astrattamente, senza tenere conto dei prodotti contrassegnati dai marchi in questione, non è fondata. Infatti, la commissione di ricorso ha espressamente giudicato, sulla base della sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon (Racc. pag. I-5507), che «la conclusione sul rischio di confondibilità fa leva sulla considerazione dell’accentuata somiglianza tra i segni e l’interrelazione tra segni e prodotti nel giudizio di confusione» (punto 12 della decisione impugnata). Parimenti, la commissione di ricorso ha dichiarato che «l’accertamento della capacità del segno a svolgere la funzione del marchio deve essere riferito ai prodotti indicati nella domanda» (punto 21 della decisione impugnata).

34
Nell’ambito del suo esame, la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto che l’elemento dominante del marchio anteriore risieda nella parola «gas» (punti 20 e 28 della decisione impugnata). Infatti, da un lato, il termine «blue-jeans» è puramente descrittivo dei prodotti di abbigliamento in tela di jeans o che ne riproducono l’aspetto. Per gli altri prodotti di abbigliamento, tale termine non possiede un carattere distintivo forte quanto quello della parola «gas», che non presenta alcun rapporto con l’abbigliamento (punto 24 della decisione impugnata). Dall’altro, nel segno figurativo di cui trattasi, l’elemento grafico «blue jeans» è minore, essendo scritto in caratteri nettamente più piccoli ed apparendo come una mera aggiunta alla parola «gas».

35
Parimenti, la commissione di ricorso ha considerato a ragione la parola «gas» l’elemento dominante del marchio richiesto in quanto la parola «station», benché rivesta una certa importanza intrinseca, non altera il significato della parola «gas» (punto 27 della decisione impugnata). Infatti, la parola «station» può essere riferita a più luoghi diversi, che si tratti del punto di sosta di un mezzo di trasporto terrestre o del luogo di vendita o di deposito di carburante, ed acquisisce un significato definitivo solo in forza del termine che le viene accostato. Pertanto, la parola «station» rafforza il senso della parola «gas» senza offrire un significato alternativo.

36
Di conseguenza, per quanto riguarda il loro elemento dominante, i segni in questione sono visivamente, foneticamente e concettualmente identici.

37
Per quanto riguarda i segni in conflitto considerati nel loro insieme, la commissione di ricorso ha potuto ritenere, senza commettere un errore di valutazione, che le differenze tra tali segni, costituite, da un lato, dall’elemento grafico secondario «blue jeans» e, dall’altro, dall’elemento denominativo secondario «station», non resteranno impresse nella memoria del pubblico di riferimento, che si ricorderà dell’elemento «gas» (punti 27-29 della decisione impugnata). Occorre ricordare a tale proposito che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine imperfetta che ne ha mantenuto nella memoria (sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 26).

38
Tale conclusione non viene messa in discussione dal ragionamento del Tribunale nella sentenza HUBERT, citata al precedente punto 22, invocata dalla ricorrente. In tale sentenza, il Tribunale ha accordato un peso preponderante ad un elemento grafico e agli elementi denominativi che differenziavano i marchi in conflitto rispetto all’elemento denominativo comune, ossia la parola «Hubert». Tuttavia, contrariamente all’elemento grafico di cui alla presente fattispecie, l’elemento grafico era ivi particolarmente importante. A tale proposito, come è già stato constatato, l’elemento «blue jeans» è di ordine secondario, apparendo come una mera aggiunta all’elemento «gas».

39
Di conseguenza, per quanto riguarda l’identità o la somiglianza tra i prodotti contrassegnati dai marchi in questione e la somiglianza tra i segni in conflitto, occorre confermare la conclusione della commissione di ricorso secondo cui sussiste un rischio di confusione tra i marchi in questione nella mente del pubblico di riferimento.

40
Poiché tale rischio di confusione esiste per l’insieme dei prodotti considerati, anche se appare ancora più accentuato per i prodotti di abbigliamento in jeans, non va annullata la decisione impugnata nella parte in cui riguarda prodotti di abbigliamento diversi da quelli in jeans o rientranti in altre sottocategorie di prodotti di cui alla classe 25.

41
Alla luce di tali considerazioni, occorre respingere il presente ricorso.


Sulle spese

42
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI e l’interveniente ne hanno fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente è condannata alle spese.

Pirrung

Meij

Forwood

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung


1
Lingua processuale: l'italiano.