Language of document : ECLI:EU:C:2023:581

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ANTHONY MICHAEL COLLINS

presentate il 13 luglio 2023 (1)

Causa C646/21

K,

L

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia d’asilo e di protezione sussidiaria – Domande reiterate di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 10, paragrafo 1, lettera d) – Motivi di persecuzione – Appartenenza a un particolare gruppo sociale – Cittadini di paesi terzi che hanno trascorso in uno Stato membro una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità – Valori, norme e comportamenti europei – Parità di genere – Donne e ragazze che trasgrediscono norme di comportamento sociale nel paese d’origine – Interesse superiore del minore»






I.      Introduzione

1.        Le presenti conclusioni riguardano le domande di protezione internazionale di K e L, due ragazze adolescenti provenienti dall’Iraq (2) che hanno trascorso cinque anni nei Paesi Bassi nel periodo in cui le domande iniziali di protezione internazionale presentate dalla loro famiglia erano oggetto di esame. Nel corso di tale periodo esse hanno fatto parte di una società che valuta positivamente la parità di genere e hanno assimilato i valori, le norme e i comportamenti dei loro coetanei. Nelle loro domande reiterate di protezione internazionale (3), che lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi) ha respinto in quanto manifestamente infondate (4), le ricorrenti affermano che, se tornassero in Iraq, non sarebbero in grado di conformarsi a valori, norme e comportamenti che non garantiscono alle donne e alle ragazze le libertà di cui godevano nei Paesi Bassi, la cui espressione le esporrebbe al rischio di persecuzione. Con le questioni pregiudiziali sollevate si chiede se persone che si trovano nelle condizioni delle ricorrenti possano avere diritto alla protezione internazionale in quanto appartenenti a un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE (5) e in che modo può essere preso in considerazione l’interesse superiore del minore nell’esame di una domanda di protezione internazionale.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione europea

2.        L’articolo 10 della direttiva 2011/95, intitolato «Motivi di persecuzione», così dispone:

«1.      Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:

a)      il termine “razza” si riferisce, in particolare, a considerazioni inerenti al colore della pelle, alla discendenza o all’appartenenza a un determinato gruppo etnico;

b)      il termine “religione” include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l’astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte;

c)      il termine “nazionalità” non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all’assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l’appartenenza a un gruppo caratterizzato da un’identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato;

d)      si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante.

In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione “orientamento sessuale” non può includere atti penalmente rilevanti ai sensi del diritto interno degli Stati membri. Ai fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere;

e)      il termine “opinione politica” si riferisce, in particolare, alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti.

2.      Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».

B.      Circolari di indirizzo dei Paesi Bassi

3.        In base all’allegato della decisione di rinvio, il paragrafo C7.2.8 (6) della Vreemdelingencirculaire 2000 (C) [circolare sugli stranieri del 2000 (C); in prosieguo: la «circolare sugli stranieri del 2000 (C)»] così recita:

«La regola principale è che lo stile di vita occidentale sviluppato nei Paesi Bassi non può, di per sé, dare luogo allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria. È necessario un adattamento alle consuetudini dell’Afghanistan. Sono possibili due eccezioni:

–        se una donna dimostra in modo convincente che i comportamenti occidentali sono una manifestazione di convinzioni religiose o politiche;

–        se una donna dimostra in modo convincente di avere caratteristiche personali che è molto difficile o praticamente impossibile modificare e che, a causa di tali caratteristiche, teme di essere perseguitata o rischia di subire trattamenti inumani in Afghanistan».

4.        Il paragrafo B8.10 della Vreemdelingencirculaire 2000 (B) [circolare sugli stranieri del 2000 (B)], intitolato «Ragazze occidentalizzate che frequentano la scuola», prevede quanto segue:

«L’IND [Immigratie- en Naturalisatiedienst (Servizio per l’immigrazione e la naturalizzazione, Paesi Bassi; in prosieguo: l’«IND»)] concede un permesso di soggiorno per un periodo di tempo determinato (…) alle ragazze occidentalizzate, se la ragazza ha dimostrato in modo convincente che, tornando in Afghanistan, sarà sottoposta a una pressione psicosociale sproporzionata.

L’IND valuta l’esistenza di una pressione psicosociale sproporzionata sulla base di circostanze che devono includere i seguenti elementi:

a.      il grado di occidentalizzazione della ragazza;

b.      circostanze umanitarie individuali, che devono includere le condizioni mediche (della ragazza o di un membro della famiglia) e il decesso nei Paesi Bassi di un familiare della ragazza, e

c.      la possibilità di partecipazione alla società afgana, che include una valutazione della composizione della famiglia e della presenza di soggetti potenti (capi tribù, signori della guerra) che proteggano la ragazza.

Per quanto riguarda la lettera a), l’IND valuta il grado di occidentalizzazione sulla base delle seguenti condizioni:

–        la ragazza ha almeno 10 anni;

–        ha soggiornato nei Paesi Bassi per almeno 8 anni, dalla data della prima domanda di asilo per un periodo di tempo determinato fino alla data della domanda di un permesso di soggiorno ordinario per un periodo di tempo determinato come descritto nel presente paragrafo, e

–        ha frequentato la scuola nei Paesi Bassi.

In caso di mancato soddisfacimento di uno o più condizioni tra quelle indicate, la ragazza è soggetta a un onere della prova più stringente per dimostrare in modo convincente che le dovrebbe essere concesso un permesso di soggiorno ordinario per un periodo di tempo determinato nell’ambito di tale politica. (…)».

III. Fatti all’origine del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

5.        Il 29 settembre 2015 le ricorrenti hanno lasciato l’Iraq, unitamente ai loro padre, madre e zia. Il 7 novembre 2015 hanno presentato domanda di protezione internazionale presso le autorità dei Paesi Bassi. All’epoca, le ricorrenti avevano 10 e 12 anni. Il 31 luglio 2018, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha respinto in via definitiva le loro domande. Il 4 aprile 2019 le ricorrenti hanno presentato domande di protezione internazionale reiterate, che sono state respinte in quanto manifestamente infondate il 21 dicembre 2020. Il 28 dicembre 2020, le ricorrenti hanno presentato ricorso avverso dette decisioni dinanzi al giudice del rinvio, che ha esaminato tali impugnazioni il 17 giugno 2021. Alla data dell’udienza, le ricorrenti avevano 15 e 17 anni e soggiornavano ininterrottamente nei Paesi Bassi per 5 anni e 7,5 mesi.

6.        Le ricorrenti sostengono che, a causa del loro prolungato soggiorno nei Paesi Bassi nella fase di vita in cui gli individui formano la loro identità, esse hanno assimilato i valori, le norme e i comportamenti dei loro coetanei olandesi. Nei Paesi Bassi si sono rese conto di quale libertà, come ragazze, esse hanno per fare scelte riguardanti la propria vita. Le medesime dichiarano che vogliono continuare a scegliere personalmente, come hanno sempre fatto nei Paesi Bassi, se frequentare ragazzi, praticare sport, studiare, sposarsi e, in tal caso, con chi e lavorare fuori casa. Esse vogliono anche scegliere personalmente le loro convinzioni politiche e religiose e vogliono poterle esprimere in pubblico. Dal momento che non sarebbero capaci di rinunciare a tali valori, norme e comportamenti in caso di rientro in Iraq, esse chiedono che sia loro concessa la protezione internazionale.

7.        Il giudice del rinvio ritiene che valori, norme e comportamenti a cui fanno riferimento le ricorrenti consistono in sostanza nella fede nella parità di genere (7). Il medesimo giudice deve stabilire se le ricorrenti possano essere considerate membri di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, se, quando e come un’autorità responsabile del processo decisionale debba tenere conto dell’interesse superiore del minore in una domanda di protezione internazionale e se si debba prendere in considerazione il danno che le ricorrenti affermano di aver subito a causa delle condizioni di stress dovute al prolungato stato di incertezza sul loro soggiorno nei Paesi Bassi e della minaccia di un ritorno forzato nel loro paese d’origine.

8.        Il giudice del rinvio ha quindi sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che le norme, i valori e i comportamenti occidentali, fatti propri da cittadini di paesi terzi mentre, in una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità, soggiornano nel territorio di uno Stato membro e partecipano nella massima misura possibile alla vita sociale, devono essere considerati come un contesto comune che non può essere mutato, ovverosia sono caratteristiche tanto fondamentali di un’identità che non si può imporre agli interessati di rinunciarvi.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se i cittadini di paesi terzi che – prescindendo dalla motivazione – hanno fatto propri norme e valori occidentali analoghi, stante la presenza effettiva nello Stato membro nella fase della vita che forma la loro identità, debbano essere considerati come “membri di un particolare gruppo sociale”, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva 2011/95]. Se a tale riguardo la questione se si configuri un “particolare gruppo sociale che possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi” debba essere valutata dal punto di vista dello Stato membro oppure se detta espressione, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 2, della [direttiva 2011/95], debba essere interpretata nel senso che spetta rilevanza determinante alla circostanza che lo straniero possa rendere manifesto che egli nel paese di origine viene considerato come membro di un particolare gruppo sociale, o quanto meno che siffatta caratteristica gli viene attribuita. Se il requisito che l’occidentalizzazione può determinare la qualifica di rifugiato solo se essa deriva da motivi religiosi o politici sia compatibile con l’articolo 10 della [direttiva 2011/95], in combinato disposto con il divieto di respingimento e il diritto d’asilo.

3)      Se una prassi giurisprudenziale nazionale in cui un’autorità responsabile del processo decisionale, nell’esame di una domanda di protezione internazionale, valuta l’interesse superiore del minore senza prima (far) concretamente determinare detto interesse superiore (in ogni procedimento) sia compatibile con il diritto dell’Unione, segnatamente con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”), in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Se la risposta a tale questione cambi qualora lo Stato membro debba esaminare una domanda di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari e l’interesse superiore del minore deve essere preso in considerazione nella decisione su detta domanda.

4)      In quale modo e in quale fase dell’esame di una domanda di protezione internazionale occorra, in considerazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, esaminare e valutare l’interesse superiore del minore e, in particolare, il danno subito da un minore a causa di un soggiorno di fatto prolungato in uno Stato membro. Se al riguardo sia rilevante se siffatto soggiorno di fatto sia stato un soggiorno regolare. Se nella valutazione dell’interesse superiore del minore in tale esame sia rilevante se lo Stato membro si sia pronunciato sulla domanda di protezione internazionale entro i termini di decisione ai sensi del diritto dell’Unione, o se non sia ottemperato un obbligo di rientro precedentemente imposto e se lo Stato membro non abbia proceduto all’allontanamento dopo l’adozione di una decisione di rimpatrio, per cui il soggiorno di fatto del minore nello Stato membro ha potuto protrarsi nel tempo.

5)      Se una prassi giurisprudenziale nazionale in cui si opera una distinzione tra la prima domanda di protezione internazionale e le domande reiterate, nel senso che nelle domande di protezione internazionale reiterate non vengono presi in considerazioni i motivi regolari, sia compatibile con il diritto dell’Unione, avendo riguardo all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta».

9.        Le ricorrenti, i governi ceco, greco, francese, ungherese e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Tali parti e il governo spagnolo hanno risposto ai quesiti scritti e orali posti dalla Corte all’udienza del 18 aprile 2023.

IV.    Analisi

A.      Le questioni prima e seconda

10.      Esaminerò congiuntamente le questioni prima e seconda in quanto entrambe riguardano l’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.

11.      Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i cittadini di paesi terzi che hanno vissuto in uno Stato membro per una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità possano essere considerati membri di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo trattino, in quanto essi hanno «una storia comune che non può essere mutata» o caratteristiche che sono «così fondamental[i] per l’identità (…) che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Tale disposizione prevede che l’adesione a taluni valori possa giustificare la concessione della protezione internazionale solo se essa ha un fondamento religioso o politico? In che modo dovrebbe valutare il giudice del rinvio se è soddisfatta la condizione di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), secondo trattino, ossia se il gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi perché vi è percepito come diverso dalla società circostante?

1.      Sintesi delle osservazioni pervenute

12.      Il governo dei Paesi Bassi rileva che, secondo le linee guida dell’IND, fondate su una sentenza del Raad van State (Consiglio di Stato) (8), le donne che hanno uno stile di vita occidentale non appartengono a un particolare gruppo sociale. Esse possono tuttavia ottenere la protezione internazionale se: (i) tale stile di vita si basa su convinzioni religiose o politiche che sono fondamentali per la loro identità o la loro integrità morale; o (ii) è plausibile che esse siano perseguitate da soggetti del loro paese d’origine a causa di caratteristiche che è praticamente impossibile mutare; o (iii) rischino di subire trattamenti inumani ai sensi dell’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 nel loro paese d’origine. La nozione di convinzioni politiche che sono fondamentali per l’identità o l’integrità morale, menzionata nell’ambito della prima condizione sopra indicata, è interpretata estensivamente in modo da includere la persecuzione delle donne che non si conformano ai costumi sociali, alle regole religiose o alle norme culturali che discriminano sulla base del genere (9).

13.      I governi ceco, greco, ungherese e dei Paesi Bassi concordano sul fatto che gli argomenti delle ricorrenti si basano su una preferenza per un determinato stile di vita. Ciò non può portare alla concessione della protezione internazionale in base alle disposizioni nazionali che recepiscono la direttiva 2011/95. Essendosi adattate alla vita in uno Stato membro durante un soggiorno prolungato nel suo territorio, ci si può attendere che, al loro ritorno nel paese di origine, le ricorrenti si riadattino alla vita conformandosi alle norme e alle consuetudini del loro paese d’origine allo stesso modo degli altri residenti. Il desiderio di un determinato stile di vita non è una convinzione talmente fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciare ad essa. Le ricorrenti non condividono na caratteristica innata o una storia comune riconoscibili poiché la presunta categoria delle «donne e ragazze che hanno assimilato uno stile di vita occidentale» è troppo ampia, eterogenea e astratta per costituire un gruppo sociale delineato in modo chiaro ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. Le ricorrenti non hanno neppure tentato di dimostrare perché o in che modo esse sarebbero esposte a persecuzione al ritorno nel loro paese d’origine.

14.      I governi spagnolo e francese e la Commissione non sono d’accordo. Essi ritengono che le ragazze possano appartenere a un particolare gruppo sociale in base, tra l’altro, al genere e all’età, che costituiscono caratteristiche innate.

15.      Nelle sue osservazioni orali, il governo spagnolo ha sostenuto che l’ordinanza di rinvio indica che le ricorrenti non hanno semplicemente acquisito aspirazioni a migliorarsi sul piano finanziario o culturale; esse sono più precisamente descritte come donne o ragazze che hanno fatto proprio uno stile di vita che riconosce e consente loro di godere dei loro diritti fondamentali. Esse soddisfano quindi la prima condizione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. Il soddisfacimento della seconda condizione di tale disposizione, in base a cui il gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, dipende anche dalle circostanze esistenti nel paese d’origine.

16.      Il governo francese sostiene che il fatto che alcuni soggetti abbiano soggiornato a lungo in uno Stato membro significa che essi condividono una storia comune che non può essere mutata o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Continuando ad aderire ai valori, alle norme e ai comportamenti esistenti in tale Stato membro, la società circostante nel loro paese d’origine percepirà gli individui che condividono tali caratteristiche come membri di un gruppo distinto. A titolo esemplificativo, la resistenza al matrimonio forzato può esporre le ricorrenti a persecuzioni dalle quali le autorità non le proteggeranno.

17.      La Commissione sostiene che la convinzione che uomini e donne abbiano pari diritti può essere considerata una fede condivisa e fondamentale. L’esistenza di leggi, nel paese d’origine, che discriminano le ragazze e le donne e mirano a punirle in maniera sproporzionata quando trasgrediscono determinate norme e consuetudini indica che tali persone rischiano di essere considerate come un gruppo distinto nel paese di cui trattasi.

2.      Considerazioni preliminari

18.      Il giudice del rinvio sottolinea che la presente causa non riguarda le «donne occidentalizzate» in quanto tali (10). L’ordinanza di rinvio, tuttavia, contiene riferimenti allo «stile di vita occidentale» e ai «comportamenti occidentalizzati», che possono riflettere l’uso di tali termini nella circolare sui cittadini stranieri del 2000 (C). Le parti che hanno presentato osservazioni ritenevano principalmente che le nozioni di «occidentalizzato» e «occidentale» fossero troppo vaghe per essere applicate nell’ambito di domande di protezione internazionale. Condivido tali osservazioni. L’«oriente» e l’«occidente» sono regioni vaste ed eterogenee con una moltitudine di tradizioni religiose, codici morali e valori. In assenza di definizioni precise, che non sono state discusse dinanzi alla Corte, espressioni come «stile di vita occidentale» e «donne occidentalizzate» sono in gran parte prive di significato. Vi è poi il rischio che l’applicazione dei termini «orientale» e «occidentale» nel contesto di codici morali e valori perpetui una falsa dicotomia che si inserisce in un dialogo divisivo. Le presenti conclusioni evitano dunque l’uso di tali termini.

3.      Valutazione

a)      Panoramica del contesto normativo e introduzione

19.      La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (11) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra») è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (12). La Convenzione di Ginevra è la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (13). Sono parti contraenti della Convenzione di Ginevra tutti gli Stati membri, ma non l’Unione europea.

20.      La direttiva 2011/95 orienta le autorità competenti degli Stati membri facendo riferimento a nozioni comuni, che devono essere interpretate in modo compatibile con la Convenzione di Ginevra. Il preambolo di tale convenzione rileva che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR») è incaricato di vigilare sull’applicazione delle convenzioni internazionali intese a garantire la protezione dei rifugiati. Alla luce del ruolo che la Convenzione di Ginevra affida all’UNHCR, la Corte ha dichiarato che i documenti dell’UNHCR godono di una pertinenza particolare ai fini dell’interpretazione della direttiva 2011/95 (14). L’interpretazione della stessa direttiva deve essere operata inoltre nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta (15).

21.      La protezione internazionale a cui fa riferimento la direttiva 2011/95 deve essere riconosciuta, in linea di principio, a un cittadino di un paese terzo o a un apolide che abbia il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale (rifugiato) o che corra un rischio effettivo di subire un danno grave (persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria) se ritornasse nel suo paese d’origine (16).

22.      L’articolo 10 della direttiva 2011/95 enuncia i motivi di persecuzione (17). Tutti gli elementi elencati all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 sono rilevanti per valutare l’esistenza di motivi di persecuzione; tali categorie non si escludono a vicenda (18). L’uso della locuzione «in particolare» nelle lettere di tale disposizione indica che le considerazioni ivi esposte non sono esaustive. Infine, secondo giurisprudenza costante, qualsiasi decisione relativa al riconoscimento o al diniego dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria deve essere fondata su un esame su base individuale (19).

23.      L’UNHCR ha osservato che l’espressione «appartenenza ad un determinato gruppo sociale» di cui all’articolo 1A(2) della Convenzione di Ginevra dovrebbe essere letta in maniera evolutiva, considerando sia la natura diversa e mutevole dei gruppi all’interno delle diverse società, sia le norme internazionali in materia di diritti umani, che sono in continua evoluzione. Gli Stati hanno riconosciuto che donne, famiglie, tribù, gruppi professionali e omosessuali possono costituire un determinato gruppo sociale ai sensi di tale convenzione. A seconda delle specifiche circostanze della società in questione, una donna potrebbe essere in grado di fondare una richiesta d’asilo sulla base di motivi legati alla sua opinione politica (nel caso in cui lo Stato consideri la condotta della donna in questione come una presa di posizione politica da sopprimere), alla sua religione (se la condotta della donna in questione si fonda su di una convinzione religiosa osteggiata dallo Stato) o alla sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale (20).

24.      Affinché esista un «particolare gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), devono essere soddisfatte due condizioni cumulative. Da un lato, i membri del gruppo devono condividere una «caratteristica innata» o una «storia comune che non può essere mutata», o ancora una caratteristica o una fede che è «così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Tali elementi si riferiscono a quelli che possono essere definiti come gli aspetti interni di un gruppo. Dall’altro lato, tale gruppo deve avere un’identità propria nel paese terzo di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante (21). Ciò implica un elemento di percezione sociale, o quelli che potrebbero essere descritti come gli aspetti esterni di un gruppo. Ai fini della presente causa, il «paese di cui trattasi» è il paese d’origine, nella fattispecie l’Iraq, e la «società circostante» è la società in tale paese d’origine.

b)      Aspetti interni di un gruppo

25.      Dalla formulazione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), secondo comma, della direttiva 2011/95 risulta in modo chiaro che il genere (22) e le considerazioni di genere possono essere rilevanti per stabilire l’esistenza di un particolare gruppo sociale. In talune situazioni il genere può essere un criterio sufficiente per definire un siffatto gruppo (23). Secondo l’UNHCR, le donne costituiscono un chiaro esempio di sottoinsieme sociale definito da caratteristiche innate e sono di frequente trattate in maniera differente rispetto agli uomini. In alcune società le donne in generale possono costituire un particolare gruppo sociale in quanto subiscono una discriminazione sistemica nel godimento dei loro diritti fondamentali rispetto agli uomini (24).

26.      Nella presente causa, le ricorrenti non sostengono di avere diritto alla protezione internazionale solo a causa del loro genere. Esse affermano di non poter rinunciare ai valori, alle norme e ai comportamenti, fondati sulla loro fede nella parità di genere, che hanno assimilato nei Paesi Bassi. Si pone pertanto la questione se una siffatta convinzione possa costituire una caratteristica o una fede condivisa che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Prenderò anzitutto in considerazione il significato dei termini «caratteristica» e «fede», prima di esaminare il requisito relativo all’esistenza di una fede condivisa che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi.

1)      Significato di «caratteristica» e «fede».

27.      Nell’ambito dei valori, delle norme e dei comportamenti che le ricorrenti sostengono di aver assimilato durante il loro soggiorno nei Paesi Bassi, il giudice del rinvio menziona che l’assimilazione di valori, norme e comportamenti può costituire una «caratteristica» che è così fondamentale per l’identità che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi.

28.      La direttiva 2011/95 non definisce le espressioni «caratteristica innata» e «una caratteristica (…) che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi» utilizzate nell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della medesima direttiva. Le definizioni contenute nel dizionario di «caratteristica» di una persona comprendono «un tratto o una qualità che appartiene tipicamente a tale persona e che serve a identificarla». «Innato» significa «connaturato» o «determinato da fattori presenti in un individuo fin dalla nascita». Esempi di caratteristiche innate sono la statura, il colore degli occhi e il patrimonio genetico di una persona. La direttiva 2011/95 fornisce un unico esempio di «caratteristica comune», ossia l’orientamento sessuale (25).

29.      Tali definizioni mi portano a concludere che l’assimilazione di determinati valori, norme e comportamenti non può essere descritta come una «caratteristica» (26). Il termine «fede», che indica «l’accettazione o la sensazione che qualcosa sia vero», sembra essere più pertinente alla situazione delle ricorrenti.

30.      Alla luce della posizione sostenuta dal governo dei Paesi Bassi, è poi opportuno chiedersi se la fede condivisa menzionata dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo trattino, della direttiva 2011/95 debba essere interpretata come un implicito riferimento a una convinzione religiosa o politica. La Commissione sottolinea che l’uso del termine «Glaubensüberzeugung» nella versione in lingua tedesca può far sorgere qualche dubbio sulla questione se la fede di cui trattasi debba avere natura religiosa.

31.      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, che riguarda la persecuzione per motivi religiosi, fa riferimento alle «convinzioni teiste, non teiste e ateiste». Ad esempio, le versioni in lingua tedesca, inglese, francese e neerlandese di tale articolo della direttiva 2011/95 utilizzano i termini «religiöse Überzeugung», «religious belief», «croyance religieuse» e «godsdienstige overtuigingen». Per contro, i termini usati alla lettera d) del medesimo articolo nelle rispettive versioni linguistiche sono «Glaubensüberzeugung», «belief», «croyance» e «geloof».

32.      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, che riguarda la persecuzione politica, fa riferimento alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 della stessa e alle loro politiche o metodi.

33.      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 si riferisce quindi a convinzioni religiose teiste, non teiste e ateiste, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e) a opinioni, pensieri o convinzioni di carattere politico, e l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) a convinzioni che sono così fondamentali per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi (27). Sulla base di ciò, sembra che non vi siano indicazioni testuali o contestuali per suffragare l’idea che il fondamento di una fede ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) debba avere natura religiosa o politica (28). Un’interpretazione contraria, inoltre, non riconosce che nell’ambito di una specifica religione possa esistere una varietà di opinioni su temi fondamentali e che una persona possa cambiare le proprie opinioni su tali temi senza convertirsi a un’altra religione (29).

2)      La convinzione in questione è una fede condivisa che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi?

34.      Credere nella parità di genere dà forma a una serie di scelte relative all’istruzione e alla scelta della professione, alla portata e alla natura delle attività nella sfera pubblica, alla possibilità di raggiungere l’indipendenza economica lavorando fuori casa, alla decisione di vivere da soli o in famiglia e alla libera scelta del partner. Si tratta di questioni fondamentali per l’identità di un individuo (30).

35.      L’articolo 2 e l’articolo 3, paragrafo 3, TUE sanciscono la parità di genere come uno dei valori e degli obiettivi centrali dell’Unione europea e la giurisprudenza della Corte la riconosce quale principio fondamentale del diritto dell’Unione. L’articolo 8 TFUE stabilisce che nelle sue azioni l’Unione europea mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne. L’articolo 19 TFUE consente all’Unione europea di introdurre una legislazione volta a combattere le discriminazioni fondate sul genere. L’articolo 157 TFUE stabilisce il principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore e fornisce una base giuridica per l’adozione di norme sulla parità di genere in materia di occupazione. L’articolo 157, paragrafo 4, TFUE riconosce l’azione positiva quale strumento per raggiungere la parità di genere.

36.      A partire dall’adozione delle prime direttive in materia negli anni ’70, l’Unione europea ha sviluppato un’ampia normativa sulla parità di genere, principalmente nel settore dell’occupazione, che comprende aspetti quali la parità di retribuzione, la sicurezza sociale, l’occupazione, le condizioni di lavoro e le molestie (31). Tale normativa vieta le discriminazioni dirette e indirette fondate sul genere e crea negli ordinamenti giuridici degli Stati membri diritti azionabili dai singoli (32).

37.      I valori, le norme e i comportamenti che le ricorrenti affermano di aver assimilato nel corso del loro soggiorno nei Paesi Bassi riflettono altresì una serie di diritti fondamentali ora sanciti dalla Carta: l’articolo 21, paragrafo 1 include il diritto di non essere oggetto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso; l’articolo 23 riconosce il diritto alla parità tra uomini e donne in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione (33); l’articolo 9 fa riferimento al diritto di sposarsi liberamente; l’articolo 11 prevede la libertà di espressione; l’articolo 14 sancisce il diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua, e l’articolo 15 prevede il diritto di lavorare e la libertà professionale (34). Gli Stati membri sono altresì parti della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, che mira a promuovere il riconoscimento, il godimento e l’esercizio paritario di tutti i diritti umani delle donne in ambito politico, economico, sociale, culturale, civile e domestico (35).

38.      Non dubito che molte persone che hanno trascorso la loro vita nei Paesi Bassi siano state talmente influenzate dal valore della parità di genere che essa costituisce una parte indelebile della loro identità.

39.      Alla luce di quanto precede, ritengo che non ci si possa aspettare che le ragazze e le donne che hanno assimilato valori, norme e comportamenti che riflettono una fede nella parità di genere rinuncino a tale convinzione, così come non ci si può aspettare che una persona rinunci alle proprie convinzioni religiose o politiche o neghi il proprio orientamento sessuale. Ne consegue che gli Stati membri non possono aspettarsi che le ragazze e le donne adeguino il loro comportamento agendo in modo discreto per rimanere al sicuro, tanto più che, per loro natura, gli aspetti dell’identità modellati dalla fede nella parità di genere spesso si manifestano in pubblico (36). La Corte ha già dichiarato che, nell’ambito dell’omosessualità, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95 non prevede limitazioni quanto all’atteggiamento che i membri di uno specifico gruppo sociale possono adottare relativamente alla loro identità o ai loro comportamenti (37).

40.      La questione che si pone è quindi se le ricorrenti abbiano accolto e assimilato una fede nella parità di genere al punto che essa è diventata parte della loro identità (38). Data l’età delle ricorrenti e la durata del loro soggiorno nei Paesi Bassi, il giudice del rinvio osserva ragionevolmente che esse hanno trascorso in tale Stato membro una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità (39). Non dubito che l’immersione delle ricorrenti nella cultura di tale Stato membro sia stata un’esperienza profonda che ha offerto loro possibilità e aperto prospettive per il loro futuro di cui altrimenti non avrebbero potuto essere consapevoli. È pertanto plausibile che, a differenza dei loro coetanei in Iraq che non hanno avuto tale esperienza, esse abbiano fatto proprio uno stile di vita che riflette il riconoscimento e il godimento dei loro diritti fondamentali, in particolare la fede nella parità di genere, nella misura in cui esse hanno accolto e assimilato tale convinzione al punto che essa è diventata parte della loro personalità. Le autorità competenti e, in ultima analisi, i giudici nazionali devono valutare in che misura ciò sia avvenuto in riferimento alle circostanze individuali delle ricorrenti, tenendo conto, se del caso, della considerazione di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 (40).

c)      Aspetti esterni di un gruppo

41.      Nonostante una certa ambiguità, sembra che il giudice del rinvio chieda, in sostanza, in che modo le autorità competenti e i giudici nazionali debbano stabilire se sia soddisfatto il requisito di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), secondo trattino, ossia se un particolare gruppo sociale possieda un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante. Tale questione solleva interrogativi in relazione all’onere della prova e alla valutazione nel merito delle domande delle ricorrenti.

1)      Onere della prova

42.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 l’esame di una domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione, segnatamente: a) di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine, comprese le disposizioni legislative e regolamentari e le relative modalità di applicazione; b) delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente, e c) della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente. In forza dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la sua domanda di protezione internazionale, compresi i motivi a sostegno di tale domanda (41). I richiedenti devono quindi esporre e corroborare i motivi per i quali temono di essere perseguitati nel loro paese d’origine.

43.      Tale requisito si estende all’obbligo di dimostrare che il particolare gruppo sociale a cui il richiedente sostiene di appartenere possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi perché vi è percepito come diverso dalla società circostante, posizione che il governo dei Paesi Bassi sembra sostenere? Non penso. Le dichiarazioni che il richiedente deve presentare ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 per motivare una domanda di protezione internazionale costituiscono soltanto il punto di partenza per l’esame, condotto dalle autorità competenti, dei fatti e delle circostanze che hanno dato origine a tale domanda. La stessa disposizione prevede inoltre che lo Stato membro, in cooperazione con il richiedente, sia tenuto a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda (42).

44.      La Corte ha ritenuto che, in termini pratici, il requisito della cooperazione dello Stato membro nell’esame abbia come conseguenza che se, per una qualsivoglia ragione, gli elementi forniti dal richiedente una protezione internazionale non sono esaustivi, attuali o pertinenti, lo Stato membro deve aiutare il richiedente a riunire tutti gli elementi atti a sostenere tale domanda. Gli Stati membri possono trovarsi in una posizione più adeguata dei richiedenti per l’accesso a determinati tipi di documenti (43). L’onere di dimostrare che un particolare gruppo sociale possiede un’identità distinta in un determinato paese sembra quindi ricadere in egual misura sul richiedente e sullo Stato membro e non esclusivamente sul primo. In tale contesto, è altresì importante ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95, la conferma di taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non suffragati da prove documentali o di altro tipo non è necessaria se, tra l’altro, tali dichiarazioni sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni specifiche e generali disponibili pertinenti al caso del richiedente.

45.      L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 stabilisce che, nell’esaminare se un richiedente abbia un fondato timore di essere perseguitato, è irrilevante che lo stesso possegga effettivamente le caratteristiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni (44). Il tenore letterale della disposizione in esame chiarisce che essa entra in gioco una volta accertata l’esistenza di un particolare gruppo sociale. Contrariamente a quanto lascia intendere il giudice del rinvio, la valutazione della percezione degli autori della persecuzione non sostituisce, né rende meno importante, stabilire se un gruppo possegga un’identità distinta nel paese d’origine. Essa incide solo sulla misura in cui occorre dimostrare che il richiedente è un membro di tale gruppo sociale, in quanto ai fini della domanda di protezione internazionale può essere sufficiente dimostrare che è semplicemente percepito come tale (45).

2)      Valutazione nel merito

46.      La Corte ha riconosciuto che l’esistenza di leggi penali rivolte specificamente agli omosessuali può suffragare la constatazione che tali persone formano un gruppo distinto che la società circostante percepisce come diverso. Per estensione, il fatto che la società accetti determinati comportamenti tenuti dagli uomini, mentre punisce gli stessi comportamenti tenuti dalle donne, indica che la società circostante percepisce le donne, o determinate categorie di donne, come diverse. Le autorità competenti devono pertanto prendere in considerazione le norme giuridiche e i costumi sociali e culturali nel paese d’origine del richiedente (46).

47.      Il recente orientamento per paese sull’Iraq dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (in prosieguo: l’«EUAA») (47) individua gruppi di persone che la società circostante percepisce come diversi. Secondo tale orientamento per paese, le persone, in particolare le donne, che trasgrediscono i costumi sociali possono essere percepite come amorali, vengono stigmatizzate e rischiano di subire un grave danno (48). Tali trasgressioni includerebbero le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, l’essere vittima di stupro o di altre forme di violenza sessuale, il rifiuto di sposare un uomo scelto dalla famiglia (49), il matrimonio contro la volontà della famiglia, aspetto o abbigliamento inappropriato e contatti o frequentazioni inaccettabili. I lavori indicati come accettabili per le donne sono limitati all’ambito domestico e alle pubbliche amministrazioni. La società disapprova le donne e le ragazze che lavorano nei negozi, nei caffè, nel settore dell’intrattenimento, dell’assistenza sanitaria o dei trasporti. L’attività pubblica delle donne, compresa la loro presenza e le loro attività in Internet, può dar luogo a molestie. La partecipazione delle donne alle proteste può essere limitata perché le loro famiglie temono di essere percepite negativamente. La diffamazione a sfondo sessuale può esporle alla stigmatizzazione da parte della società o alla convinzione che esse abbiano leso l’onore della famiglia (50).

48.      Da quanto precede risulta che le ragazze e le donne che credono nella parità di genere possono essere percepite come trasgressori dei costumi sociali in Iraq per le manifestazioni di tale convinzione, ad esempio attraverso dichiarazioni o comportamenti associati a scelte su temi quali l’istruzione, la carriera e il lavoro fuori casa, la portata e la natura delle attività nella sfera pubblica, le decisioni di vivere da sole o in famiglia e la libera scelta del partner. Spetta alle autorità competenti e ai giudici nazionali stabilire se ciò si è verificato effettivamente nel caso delle ricorrenti nella loro situazione individuale.

d)      Persecuzione

49.      Alcune delle parti che hanno presentato osservazioni hanno sostenuto che le ricorrenti non hanno addotto alcun elemento per mostrare che sarebbero oggetto di atti di persecuzione al rientro nel loro paese di origine. È questa una questione diversa – benché collegata (51) – da quella consistente nel determinare se esse appartengano a un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. Il giudice del rinvio non chiede chiarimenti sull’interpretazione delle disposizioni di tale direttiva che riguardano specificamente la valutazione del timore fondato di essere perseguitati. È sufficiente sottolineare che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, nel valutare se il richiedente ha fondati motivi di temere di essere perseguitato, gli Stati membri devono tener conto, tra l’altro, delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese d’origine. A tal fine, essi devono ottenere informazioni precise e aggiornate da fonti pertinenti quali l’UNHCR e l’EUAA.

50.      Il recente orientamento per paese sull’Iraq indica che le ragazze e le donne che trasgrediscono i costumi sociali possono essere esposte ad atti così gravi da costituire una persecuzione (52). È pertanto possibile che, essendo percepite come diverse a tale riguardo (53), le ricorrenti e/o i loro familiari più stretti, possano subire ritorsioni tali da costituire persecuzione ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2011/95. Verificare la probabilità e la gravità di tali rischi spetta ancora una volta alle autorità competenti e ai giudici nazionali alla luce della situazione delle ricorrenti.

B.      Terza questione

51.      La terza questione si articola in due parti. Anzitutto, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nell’ambito di una domanda di protezione internazionale, il diritto dell’Unione imponga all’autorità responsabile del processo decisionale di determinare e prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, in quanto tale nozione è menzionata nell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta. In secondo luogo, esso chiede se la risposta alla prima parte sarebbe diversa qualora l’interesse superiore del minore debba essere preso in considerazione in quella che definisce un’«autorizzazione al soggiorno per motivi regolari».

52.      È pertinente, in tale contesto, considerare che il procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio riguarda domande reiterate, e non le prime domande di protezione internazionale (54).

1.      Prima parte

53.      L’articolo 2, lettera k), della direttiva 2011/95 definisce un minore, in altre parole un bambino, come «il cittadino di un paese terzo o l’apolide di età inferiore agli anni diciotto».

54.      L’articolo 24, paragrafo 2, e l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta affermano la natura fondamentale dei diritti del minore e l’obbligo, per gli Stati membri, di rispettare tali diritti nell’attuazione del diritto dell’Unione. La direttiva 2011/95 deve quindi essere interpretata e applicata alla luce dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (55). Ciò si riflette nel considerando 16 della direttiva 2011/95, in base al quale tale direttiva mira a promuovere l’applicazione, tra l’altro, dell’articolo 24 della Carta, e nel considerando 18 della stessa, in base al quale nell’applicare la direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’interesse superiore del minore, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 (56). Nel valutare l’interesse superiore del minore, gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo.

55.      L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2011/95 prevede che una domanda di protezione internazionale debba essere valutata su base individuale, tenendo conto della situazione e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base a tali circostanze personali, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera f), della medesima direttiva precisa che gli atti di persecuzione possono, tra l’altro, assumere la forma di atti specificamente diretti contro l’infanzia (57).

56.      Alla luce delle considerazioni che precedono e come indicato dalla giurisprudenza della Corte (58), ritengo che l’interesse superiore del minore debba essere determinato su base individuale e preso in considerazione nel valutare le domande di protezione internazionale, comprese quelle reiterate.

57.      Il governo dei Paesi Bassi ha affermato che le autorità competenti dei Paesi Bassi tengono sufficientemente conto dell’interesse superiore del minore, in quanto esso si rispecchia in modo adeguato in tutti gli aspetti procedurali dell’esame di una domanda di protezione internazionale relativa a minori o che li coinvolge, ad esempio attraverso il ricorso a procedure di colloquio consone ai minori (59).

58.      Il ricorso a garanzie procedurali attente ai minori riveste grande importanza pratica. Tuttavia, non c’è nessun elemento nell’articolo 24 della Carta, negli articoli 3, 9, 12 e 13 della Convenzione sui diritti del fanciullo, su cui si basa tale disposizione della Carta, nella direttiva 2011/95 o nella giurisprudenza della Corte, che indichi che l’interesse superiore del minore non debba essere preso in considerazione nel valutare nel merito le domande relative ai minori. Lo stesso articolo 24, paragrafo 2, della Carta stabilisce che l’interesse superiore del minore «deve» essere preso in considerazione in «tutti» gli atti relativi ai minori (60). Secondo la giurisprudenza della Corte, solo una valutazione generale ed approfondita della situazione del minore di cui trattasi consente di identificare l’interesse superiore del minore (61). In tale contesto, il parere di esperti può essere utile o addirittura necessario. La Commissione ricorda correttamente che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, gli Stati membri devono provvedere affinché le decisioni relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame e affinché il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, segnatamente su aspetti inerenti ai minori (62).

59.      Potrei aggiungere che laddove vi sia stato un cambiamento rilevante e sostanziale nelle condizioni o nello stato di salute di un minore tra la data della valutazione della sua prima domanda di protezione internazionale e qualsiasi domanda reiterata, può essere opportuna una nuova valutazione dell’interesse superiore del minore per determinare quest’ultimo (63).

60.      Ricade nell’esercizio dell’autonomia processuale degli Stati membri decidere precisamente quando e come devono essere determinate e prese in considerazione questioni di tal genere, tenendo a mente la necessità di rispettare i principi di equivalenza e di effettività (64).

61.      È pertanto necessario valutare l’interesse superiore del minore per adottare una decisione sulla domanda di protezione internazionale di un minore o una decisione riguardante un minore o che comporta conseguenze importanti per quest’ultimo (65) e ciò è conforme ai requisiti della direttiva 2011/95, letti alla luce dell’articolo 24, paragrafo 2, e dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Una siffatta adeguata valutazione può tenere conto di elementi quali l’età anagrafica, l’età evolutiva, il genere, le particolari vulnerabilità, la situazione familiare, la scolarizzazione e lo stato di salute fisico e mentale del minore (66).

62.      In tale contesto, condivido le osservazioni dei governi ceco, ungherese e dei Paesi Bassi secondo cui l’interesse superiore del minore è solo una delle considerazioni nell’ambito della valutazione di una domanda di protezione internazionale, benché una considerazione preminente. È importante ricordare che l’obiettivo della direttiva 2011/95 è quello di individuare le persone che, spinte dalle circostanze, hanno una reale e legittima necessità di protezione internazionale nell’Unione europea. La protezione internazionale è accessibile solo ai rifugiati e alle persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, quali definiti rispettivamente all’articolo 2, lettere d) e f), della stessa. In tale contesto normativo, le autorità competenti devono attribuire fondamentale importanza all’interesse superiore del minore (67) e contrasterebbe con il sistema generale e con gli obiettivi della direttiva 2011/95 la concessione dello status di rifugiato e di beneficiario di protezione internazionale a cittadini di paesi terzi che si trovino in situazioni prive di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale (68).

63.      A titolo illustrativo di una domanda di protezione internazionale in cui l’interesse superiore del minore riveste una particolare importanza, mi riferisco a circostanze in cui le specifiche vulnerabilità mentali o fisiche di un minore indicano che atti che non sarebbero considerati atti di persecuzione se colpissero un altro minore che non soffre di tali vulnerabilità, o un adulto, avrebbero un impatto più grave su tale minore, alla luce di altre circostanze pertinenti come la presenza di sostegno familiare nel paese d’origine, nella misura in cui essi costituirebbero atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9 della Direttiva 2011/95. L’interesse superiore del minore è particolarmente rilevante anche nell’ambito di forme di persecuzione specifiche ai danni di minori (69).

64.      Una situazione del genere si può distinguere nettamente dalle circostanze che hanno dato origine alla sentenza M’Bodj (70), in cui la Corte ha affermato che la mancanza di un’assistenza sanitaria adeguata nel paese d’origine del richiedente non costituisce un trattamento inumano o degradante, a meno che non si configuri una privazione di assistenza sanitaria inflitta intenzionalmente a un richiedente affetto da una grave malattia, e che uno Stato membro non può adottare o mantenere in vigore disposizioni che concedono lo status di beneficiario della protezione sussidiaria ad un cittadino di un paese terzo affetto da una grave malattia, a motivo del rischio di deterioramento dello stato di salute di tale persona dovuto all’assenza di terapie adeguate nel paese d’origine.

65.      Ancora una volta, tutti gli aspetti in esame devono essere valutati dalle autorità competenti e, in ultima analisi, dai giudici nazionali nell’ambito delle singole domande di protezione internazionale.

2.      Seconda parte

66.      Dal modo in cui il giudice del rinvio ha formulato la seconda parte della terza questione desumo che essa non richieda una risposta nel caso in cui si risponda alla prima parte dichiarando che il diritto dell’Unione impone a un’autorità responsabile del processo decisionale di determinare l’interesse superiore del minore e di tenerne conto quando si pronuncia su una domanda di protezione internazionale.

67.      In ogni caso, è difficile evincere dall’ordinanza di rinvio in che modo vi sia un nesso, di carattere fattuale o logico, tra ciò che accade nel procedimento relativo a una «domanda di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari», che, secondo il governo dei Paesi Bassi, non è disciplinato diritto dell’Unione (71), e le domande di protezione internazionale in base alla legge nazionale di recepimento della direttiva 2011/95 nel caso pendente dinanzi al giudice del rinvio. I governi francese e ungherese nonché la Commissione ritengono che l’ordinanza di rinvio non contenga informazioni sufficienti, in particolare in relazione a cosa si intende per «domanda di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari», affinché la Corte possa fornire una risposta utile alla seconda parte della terza questione. Inoltre, rispondendo a un quesito posto dalla Corte in udienza, il rappresentante delle ricorrenti ha confermato che il presente procedimento riguarda solo domande di protezione internazionale e non «[domande] di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari». Ciò conferma l’argomento del governo dei Paesi Bassi secondo cui la seconda parte della terza questione è irrilevante ai fini della risoluzione delle controversie pendenti dinanzi al giudice del rinvio. In ragione di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare l’irricevibilità della seconda parte della terza questione e di non esaminarla ulteriormente (72).

C.      Quarta questione

68.      La quarta questione riguarda specificamente il danno che un minore potrebbe subire a causa di un soggiorno prolungato in uno Stato membro e quando, se del caso, esso deve essere valutato nell’esame nel merito di una domanda reiterata di protezione internazionale. Il giudice del rinvio ipotizza che possa essere rilevante considerare se la decisione sulla prima domanda abbia avuto luogo entro i termini previsti dal diritto dell’Unione, se il soggiorno del richiedente nello Stato membro fosse regolare e se sia stato ottemperato o eseguito un obbligo di rientro precedentemente imposto.

69.      Secondo l’ordinanza di rinvio, le ricorrenti affermano di aver sofferto ritardi o danni al loro sviluppo a causa delle condizioni di stress dovute allo stato di incertezza sull’esito delle prime domande di protezione internazionale presentate dalla loro famiglia e della minaccia di un ritorno forzato nel loro paese d’origine, e hanno suffragato tali affermazioni con prove documentali. Ad eccezione dei rappresentanti delle ricorrenti, tutte le parti che hanno risposto alla quarta questione sostengono che l’esito di una domanda reiterata di protezione internazionale non dovrebbe essere determinato in riferimento a tale tipo di danno.

70.      È indubbio che vivere in uno stato prolungato di incertezza e di minaccia possa comportare uno stress che può causare ritardi o danni allo sviluppo dei minori (73). Tale circostanza non è, di per sé, un fattore che possa fondare un diritto alla protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95 o giustificare un approccio più indulgente nell’esaminare una domanda in tal senso, come sembra suggerire il giudice del rinvio. I genitori delle ricorrenti hanno deciso che era nell’interesse superiore delle loro figlie esaurire tutti i mezzi di ricorso disponibili nell’ambito della prima domanda di protezione internazionale della famiglia e presentare domande reiterate nell’interesse delle loro figlie. Nulla indica che l’esame di tali domande e la decisione su tali ricorsi abbiano richiesto più tempo di quanto si potesse ragionevolmente prevedere. Le decisioni dei genitori delle ricorrenti hanno avuto l’inevitabile conseguenza di prolungare il soggiorno della famiglia nei Paesi Bassi. Si deve presumere che i genitori abbiano considerato le conseguenze delle loro decisioni sul benessere delle figlie alla luce di tali circostanze. Si può supporre che abbiano preso le loro decisioni nella convinzione che per le loro figlie fosse meglio rimanere nei Paesi Bassi piuttosto che tornare in Iraq. Forse non è stata una scelta ideale, ma se ci si basa sulla tesi stessa delle ricorrenti, è difficile ammettere che esse abbiano subito un danno maggiore rispetto a quello che avrebbero subito se i loro genitori avessero deciso di tornare con loro in Iraq.

71.      Infine, nel prendere decisioni sulle domande di protezione internazionale relative a un minore, si deve tenere conto della sua età evolutiva e del suo stato di salute fisica e mentale al momento dell’esame. Le circostanze che possono aver avuto un effetto negativo sullo sviluppo o sulla salute del minore sono, in tale contesto, irrilevanti.

D.      Quinta questione

72.      Con la quinta questione, il giudice nazionale chiede se una prassi giurisprudenziale nazionale che prevede una distinzione tra la prima domanda di protezione internazionale e le domande reiterate, nel senso che nelle domande di protezione internazionale reiterate non vengono presi in considerazione i motivi regolari, sia compatibile con il diritto dell’Unione, alla luce dell’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta.

73.      È difficile stabilire il nesso con il diritto dell’Unione e la rilevanza della questione in esame nel procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio, che riguarda domande di protezione internazionale reiterate e non domande di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari, che secondo il governo dei Paesi Bassi non sono disciplinate dal diritto dell’Unione. Propongo pertanto alla Corte di dichiarare la questione in esame irricevibile per le stesse ragioni indicate al paragrafo 67 delle presenti conclusioni.

V.      Conclusione

74.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi) come segue:

1)      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

deve essere interpretato nel senso che:

–        le ragazze e le donne, cittadine di paesi terzi, condividono una caratteristica innata a causa del loro sesso biologico e, avendo vissuto in uno Stato membro per un periodo considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità, possono condividere una fede nella parità di genere che è così fondamentale per la loro identità che non dovrebbero essere costrette a rinunciarvi;

–        per stabilire se un gruppo possiede un’identità distinta in un paese d’origine perché vi è percepito come diverso nella società circostante, gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2011/95, a prendere in considerazione tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda di protezione internazionale, comprese le disposizioni legislative e regolamentari di tale paese d’origine e le relative modalità di applicazione, unitamente a ogni elemento pertinente presentato dal richiedente;

–        un gruppo composto da donne e ragazze che condividono la fede nella parità di genere possiede un’identità distinta nel paese d’origine se, quando esprimono tale convinzione attraverso dichiarazioni o comportamenti, esse vengono percepite dalla società di tale paese come trasgressori dei costumi sociali;

–        non è necessario che una fede condivisa nella parità di genere abbia una base religiosa o politica.

2)      La direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 1, e l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretata nel senso che:

–        è incompatibile con il diritto dell’Unione una prassi nazionale nella quale l’autorità responsabile del processo decisionale, nell’ambito di un esame nel merito di una domanda di protezione internazionale o di una domanda reiterata di protezione internazionale, non tenga conto dell’interesse superiore del minore quale considerazione preminente o valuti l’interesse superiore del minore senza prima determinare, in ogni procedimento, quale sia detto interesse;

–        rientra nella competenza degli Stati membri stabilire la metodologia e la procedura per determinare l’interesse superiore del minore, tenendo pienamente conto del principio di effettività;

–        il danno subito da un minore a causa di un soggiorno prolungato in uno Stato membro è irrilevante ai fini della decisione sull’accoglimento di una domanda reiterata di protezione internazionale, quando tale soggiorno prolungato in uno Stato membro è la conseguenza della decisione dei genitori o dei tutori del minore di esaurire i mezzi di ricorso disponibili per impugnare il rigetto della prima domanda e presentare una domanda reiterata di protezione internazionale.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Nelle presenti conclusioni, mi riferirò a loro denominandole le «ricorrenti».


3      Domande del 4 aprile 2019. L’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), definisce la domanda reiterata come un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, della medesima direttiva.


4      Decisioni del 21 dicembre 2020, impugnate il 28 dicembre 2020 ed esaminate dal giudice del rinvio il 17 giugno 2021.


5      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


6      Sebbene tale paragrafo rientri nella sezione intitolata «Orientamenti specifici per paese» in relazione all’Afganistan, il presente rinvio riguarda ricorrenti provenienti dall’Iraq.


7      Ordinanza di rinvio, punto 23.


8      Werkinstructie 2019/1, Het beoordelen van asielaanvragen van verwesterde vrouwen (Istruzione di servizio 2019/1, La valutazione delle domande di asilo di donne occidentalizzate).


9      Paragrafo C2.3.2. della circolare sugli stranieri del 2000 (C).


10      Ordinanza di rinvio, punto 25.


11      United Nations Treaty Series, vol. 189, 1954, pag. 150, n. 2545.


12      Tale protocollo ha eliminato le restrizioni temporali e geografiche della Convenzione di Ginevra, in modo da renderla applicabile in maniera generalizzata, anziché riguardare solo le persone che avevano ottenuto lo status di rifugiato a seguito di avvenimenti verificatisi prima del 1° gennaio 1951.


13      V. articolo 78 TFUE, relativo allo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, conformemente alla Convenzione di Ginevra e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati. V. altresì, in particolare, considerando 3, 4, 14 e da 22 a 24 della direttiva 2011/95.


14      Sentenza del 9 novembre 2021, Bundesrepublik Deutschland (Mantenimento dell’unità del nucleo familiare) (C‑91/20, EU:C:2021:898, punto 56 e giurisprudenza citata).


15      Considerando 16 della direttiva 2011/95 e sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punti 47 e 48 e giurisprudenza citata).


16      V. articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con le definizioni di «rifugiato» e di «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» di cui rispettivamente all’articolo 2, lettere d) e f), della stessa. L’articolo 5 della direttiva in esame prevede, tra l’altro, che siano incluse in essa situazioni in cui il timore fondato di essere perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave è basato su avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo paese d’origine. Nella decisione di rinvio non si chiede un’interpretazione di tale disposizione.


17      V. paragrafo 2 delle presenti conclusioni.


18      Benché l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), secondo comma si riferisca al fatto che «[a]i fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere», ciò non impedisce che considerazioni di genere siano valutate nell’ambito degli altri motivi di persecuzione di cui all’articolo 10 della direttiva 2011/95.


19      Articolo 4 della direttiva 2011/95. V. altresì sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 48 e giurisprudenza citata), e UNHCR, Linee guida sulla protezione internazionale. La persecuzione di genere nel contesto dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, 2002, paragrafo 7.


20      V. UNHCR, Linee guida in materia di protezione internazionale: «Appartenenza ad un determinato gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del relativo Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati, 2002, paragrafi 3 e 4.


21      Spetta al giudice del rinvio determinare se tali condizioni cumulative sono soddisfatte in relazione a una data situazione di fatto. V. sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 89 e giurisprudenza citata).


22      La direttiva 2011/95 non definisce il genere, termine che è stato definito altrove come «ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini» [v. articolo 3, lettera c), della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (in prosieguo: la «Convenzione di Istanbul»), entrata in vigore il 1° agosto 2014 (Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa – n. 210)]. Il 9 maggio 2023 il Parlamento europeo ha approvato l’adesione dell’Unione europea a tale convenzione [v. altresì parere 1/19 (Convenzione di Istanbul) del 6 ottobre 2021, EU:C:2021:832].


23      Conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestiche) (C‑621/21, EU:C:2023:314, paragrafo 73).


24      V. UNHCR, Linee guida sulla protezione internazionale. La persecuzione di genere nel contesto dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, 2002, paragrafi 30 e 31; Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (in prosieguo: l’«EASO»), Guida sull’appartenenza a un determinato gruppo sociale, 2020, pag. 21, e conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestica) (C‑621/21, EU:C:2023:314, paragrafo 71).


25      V. altresì sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 46).


26      Può essere rilevante aggiungere che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo trattino, della direttiva 2011/95 afferma che un gruppo può costituire un particolare gruppo sociale anche quando i suoi membri condividono una storia comune che non può essere mutata. Non sono persuaso che tale considerazione sia pertinente nel caso di specie. È certamente possibile sostenere che persone come le ricorrenti, che hanno trascorso una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità in uno Stato membro, condividono una storia comune che non può essere mutata. Tuttavia, nel caso di specie non sembra essere dedotto alcun argomento secondo cui le ricorrenti possano avere il fondato timore di essere perseguitate perché condividono una siffatta storia comune.


27      Ciò non incide sulla possibilità che una fede ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95 possa essere basata su, o influenzata da, fattori politici o religiosi e che tali fattori abbiano un ruolo nella percezione di un gruppo da parte della società nel paese d’origine.


28      V., altresì, considerando 29 e 30 della direttiva 2011/95, che operano una netta distinzione tra i motivi di persecuzione elencati all’articolo 10, paragrafo 1, della medesima.


29      In altre parole, i precetti religiosi e i dogmi di fede non escludono l’esistenza tra i fedeli di una varietà di credenze religiose divergenti. Ad esempio, i cattolici possono ritenere che le donne dovrebbero essere ammesse a ricevere l’ordinazione sacerdotale nonostante il canone 1024 del codice di diritto canonico lo vieti.


30      Erik Erikson è stato uno dei primi psicologi a descrivere il concetto di identità nell’ambito dello sviluppo della personalità. Egli riteneva che l’identità consenta a una persona di muoversi con uno scopo e una direzione nella vita e con un senso di identità interiore e di continuità nel tempo e nello spazio. L’identità ha una natura psicosociale, formata dall’intersezione delle capacità biologiche e psicologiche individuali in combinazione con le opportunità e i vari tipi di supporto offerti dal contesto sociale di una persona. L’identità diventa normalmente un tema centrale durante l’adolescenza, quando l’individuo affronta questioni relative all’aspetto, alla scelta professionale, alle aspirazioni di carriera, all’istruzione, alle relazioni, alla sessualità, alle opinioni politiche e sociali, alla personalità e agli interessi. Le questioni fondamentali relative all’identità spesso richiedono una riflessione e una revisione ulteriori in momenti successivi della vita. La branca della psicologia che si occupa dell’identità e del sé ha sviluppato e perfezionato le teorie di Erikson. V., ad esempio, Branje, S., de Moor, E.L., Spitzer, J., Becht, A.I., «Dynamics of Identity Development in Adolescence: A Decade in Review», Journal of Research on Adolescence, 2021, vol. 1(4), pagg. da 908 a 927.


31      V., ad esempio, direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23), direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio (GU 2010, L 180, pag. 1), e direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU 2004, L 373, pag. 37).


32      Già nel 1976 la Corte ha dichiarato che il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne previsto dal diritto dell’Unione ha efficacia diretta, cosicché un singolo può invocarlo contro il proprio datore di lavoro (sentenza dell’8 aprile 1976, Defrenne, 43/75, EU:C:1976:56).


33      Il diritto di tutte le persone all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla tutela contro la discriminazione costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.


34      V. altresì le disposizioni equivalenti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), di cui tutti gli Stati membri sono firmatari, in particolare l’articolo 14 (divieto di discriminazione), l’articolo 12 (diritto al matrimonio) e l’articolo 10 (libertà di espressione) nonché l’articolo 2 del protocollo alla CEDU (diritto all’istruzione).


35      L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato tale convenzione il 18 dicembre 1979 ed essa è entrata in vigore il 3 settembre 1981 (United Nations Treaty Series, vol. 1249, pag. 13). L’Unione europea non ne è parte.


36      Sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punti da 70 a 75). Si può osservare che la valutazione della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), nella sua sentenza del 28 giugno 2011, Sufi e Elmi c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0628JUD000831907, § 275), riguarda la diversa questione dell’esistenza, per i richiedenti in tale causa, di un rischio effettivo di subire maltrattamenti contrari all’articolo 3 CEDU e/o una violazione dell’articolo 2 CEDU. È in tale contesto che la Corte EDU ha valutato se i richiedenti fossero in grado di evitare tali rischi «stando al gioco».


37      Sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 68).


38      V. UNHCR, Linee guida in materia di protezione internazionale. Appartenenza ad un determinato gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del relativo Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati, 2002, paragrafo 15. V. altresì guida dell’EASO sull’appartenenza a un determinato gruppo sociale, 2020, pag. 16.


39      V. nota 30 delle presenti conclusioni.


40      V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.


41      Articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2011/95.


42      Sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo) (C‑238/19, EU:C:2020:945, punto 52 e giurisprudenza citata).


43      V., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2012, M. (C‑277/11, EU:C:2012:744, punti 65 e 66), e del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 64 e giurisprudenza citata). V. altresì la Guida pratica dell’EASO: valutazione delle prove, 2015.


44      V., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 86).


45      V., per analogia, sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punti 31 e 32), e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Fathi (C‑56/17, EU:C:2018:621, paragrafo 44 e giurisprudenza citata).


46      V. articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2011/95, e conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:474, paragrafo 35) e nella causa Shepherd (C‑472/13, EU:C:2014:2360, paragrafo 56). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestiche) (C‑621/21, EU:C:2023:314, paragrafi 72 e 73 e giurisprudenza citata).


47      Il regolamento (UE) 2021/2303 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2021, relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010 (GU 2021, L 468, pag. 1) ha istituito l’EUAA affinché si sostituisse all’EASO e ne assumesse le funzioni.


48      V. EUAA, Orientamento per paese: Iraq – Analisi comune e nota di orientamento, 2022, in particolare sezioni 2.13 e 2.17. L’UNHCR ritiene che, a seconda delle circostanze individuali, le persone che vengono percepite quali trasgressori delle rigide regole islamiche possano avere bisogno di protezione internazionale per i rifugiati sulla base della loro religione o della loro appartenenza a un particolare gruppo sociale: UNHCR, Considerazioni in materia di protezione internazionale relative alle persone in fuga dalla Repubblica d’Iraq, 2019, pagg. 79 e 80.


49      Il matrimonio infantile è un fenomeno persistente in Iraq, dove l’età legale per sposarsi è di 15 anni con il permesso dei genitori e di 18 anni senza (EUAA, Orientamento per paese: Iraq – Analisi comune e nota di orientamento, 2022, sezione 2.16). Secondo la rete di organizzazioni «Girls not Brides», il 28% delle ragazze in Iraq si sposa prima di compiere 18 anni e il 7% si sposa prima di compiere 15 anni. Sul matrimonio infantile in generale, v. la risoluzione del Parlamento europeo del 4 luglio 2018 intitolata «Verso una strategia esterna dell’UE contro i matrimoni precoci e forzati – prossime tappe» [2017/2275(INI)].


50      V., ad esempio, relazione informativa dell’EASO sul paese d’origine, intitolata «Iraq Key socio-economic indicators for Baghdad, Basra and Erbil», 2020, in particolare la sezione 1.4; EUAA, Orientamento per paese: Iraq – Analisi comune e nota di orientamento, 2022, in particolare sezioni 2.13 e 2.16.4, e il rapporto sull’Iraq pubblicato il 28 ottobre 2020 da «Humanists International», in particolare la sezione intitolata «Discrimination against women and minorities».


51      Conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestiche) (C‑621/21, EU:C:2023:314, paragrafi da 74 a 77 e giurisprudenza citata).


52      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


53      L’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 esige un collegamento tra i motivi di cui all’articolo 10 di tale direttiva e gli atti di persecuzione quali descritti all’articolo 9, paragrafo 1, della medesima direttiva o la mancanza di protezione contro tali atti.


54      La Corte ha dichiarato che poiché l’articolo 40, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 non opera alcuna distinzione tra una prima domanda di protezione internazionale e una domanda reiterata per quanto concerne la natura degli elementi o delle risultanze atti a dimostrare che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95, la valutazione dei fatti e delle circostanze a sostegno di tali domande deve, in entrambi i casi, essere condotta conformemente all’articolo 4 della direttiva 2011/95 [sentenza del 10 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Elementi o risultanze nuovi) (C‑921/19, EU:C:2021:478, punto 40)].


55      V., per analogia, sentenze del 9 settembre 2021, Bundesrepublik Deutschland (Familiare) (C‑768/19, EU:C:2021:709, punto 38), e del 1° agosto 2022, Bundesrepublik Deutschland (Ricongiungimento familiare con un minore rifugiato) (C‑273/20 e C‑355/20, EU:C:2022:617, punti da 36 a 39 e giurisprudenza citata).


56      Firmata il 20 novembre 1989 (United Nations Treaty Series, vol. 1577, pag. 3). Secondo le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), l’articolo 24 della Carta si basa su tale convenzione, ratificata da tutti gli Stati membri, e in particolare, sugli articoli 3, 9, 12 e 13. V. per analogia, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 64).


57      Anche una serie di altre disposizioni della direttiva 2011/95, così come il considerando 38 della stessa, rispecchiano i requisiti dell’articolo 24 della Carta. L’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 impone agli Stati membri di tener conto della specifica situazione di persone vulnerabili, quali i minori. L’articolo 20, paragrafo 5, della stessa stabilisce che l’interesse superiore del minore è la principale considerazione degli Stati membri quando attuano le disposizioni del capo VII di tale direttiva che coinvolgono i minori che hanno ottenuto la protezione internazionale. Le disposizioni del capo VII riguardano, ad esempio, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria (rispettivamente articolo 27, paragrafo 1, e articolo 30 della direttiva 2011/95). I requisiti di cui all’articolo 20, paragrafi 3 e 5 non si estendono, tuttavia, all’attuazione delle disposizioni del capo II della direttiva 2011/95, ossia quelle che riguardano specificamente la valutazione delle domande di protezione internazionale.


58      Sentenza del 9 settembre 2021, Bundesrepublik Deutschland (Familiare) (C‑768/19, EU:C:2021:709, punto 38).


59      Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, lettera e), della direttiva 2013/32.


60      V. altresì Comitato sui diritti del fanciullo, Osservazione generale n. 14 (2013) sul diritto del minore a che il suo interesse superiore sia una considerazione preminente (articolo 3, paragrafo 1) (CRC/C/GC/14), che spiega che l’interesse superiore del minore costituisce un diritto soggettivo, un principio interpretativo e una norma procedurale.


61      V., per analogia, sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) (C‑441/19, EU:C:2021:9, punto 46).


62      V., in particolare, articolo 10, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2013/32.


63      V. Guida pratica dell’EASO sull’interesse superiore del minore nelle procedure di asilo, 2019, pag. 14, in cui si afferma che tenere in primaria considerazione l’interesse superiore del minore costituisce un processo continuo che richiede una valutazione prima di ogni decisione amministrativa importante.


64      V., per analogia, sentenza del 9 settembre 2020, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rigetto di una domanda ulteriore – Termine di ricorso) (C‑651/19, EU:C:2020:681, punti 34 e 35 e giurisprudenza citata).


65      V., per analogia, sentenze dell’11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore) (C‑112/20, EU:C:2021:197, punti da 33 a 38), e del 17 novembre 2022, Belgische Staat (Rifugiata minorenne coniugata) (C‑230/21, EU:C:2022:887, punto 48 e giurisprudenza citata).


66      V. per analogia, sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) (C‑441/19, EU:C:2021:9, punto 47).


67      Ad esempio, se un’autorità responsabile del processo decisionale presume ragionevolmente che la domanda di protezione internazionale dei genitori non sarà accolta, da ciò può risultare che è nell’interesse del minore tornare con i genitori nel paese d’origine.


68      V. per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 44).


69      V., per analogia, sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punti 65 e 66), nonché, in senso analogo, UNCHR, Linee guida sulla protezione internazionale n. 8: Richieste di asilo di minori ai sensi degli articoli 1(A)2 e 1(F) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativo allo status dei rifugiati, 2009, paragrafi da 15 a 17. V. altresì la sezione di tali linee guida dedicata alle forme di persecuzione specifiche ai danni di minori.


70      Sentenza del 18 dicembre 2014 (C‑542/13, EU:C:2014:2452).


71      Nelle sue osservazioni sulla quinta questione, che fa altresì riferimento alla concessione del soggiorno per motivi ordinari, il governo dei Paesi Bassi ha rinviato la Corte all’articolo 3.6a del Vreemdelingenbesluit 2000 (decreto sugli stranieri del 2000) del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 497).


72      Sentenza del 14 gennaio 2021, The International Protection Appeals Tribunal e a. (C‑322/19 e C‑385/19, EU:C:2021:11, punti da 51 a 55 e giurisprudenza citata).


73      V., ad esempio, Kalverboer, M.E., Zijlstra, A.E., e Knorth, E.J., «The The developmental consequences for asylum-seeking children living with the prospect for five years or more of enforced return to their home country », European Journal of Migration and Law, vol. 11, Martinus Nijhoff Publishers, 2009, pagg. da 41 a 67.