Language of document : ECLI:EU:C:2024:79

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate il 25 gennaio 2024 (1)

Cause riunite C112/22 e C223/22

CU (C112/22)

ND (C223/22)

Procedimento penale

altre parti nel procedimento:

Procura della Repubblica Tribunale di Napoli,

Ministero dell’Economia e delle Finanze,

Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Napoli (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/109/CE – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Articolo 11, paragrafo 1, lettera d) – Parità di trattamento – Assistenza sociale – Requisito della residenza per almeno dieci anni, in modo continuativo negli ultimi due anni»






1.        È ampiamente riconosciuto che le crisi economiche che hanno segnato l’inizio del XX secolo hanno aumentato notevolmente le disparità economiche e sociali. Al fine di porvi rimedio, vari governi europei hanno scelto di attuare politiche di redistribuzione delle risorse, in Italia tradottesi principalmente nel «reddito di cittadinanza». La questione del reddito di cittadinanza presenta quindi una forte dimensione politica, la quale costituisce l’innegabile sfondo delle presenti cause.

2.        Ricondotte alla loro dimensione meramente giuridica, le presenti cause, che traggono origine da due rinvii pregiudiziali del Tribunale di Napoli (Italia), offrono alla Corte l’occasione per pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (2), e, più precisamente, sulla questione se la condizione relativa alla residenza da dieci anni nel territorio italiano, in modo continuativo nei due anni precedenti la presentazione della domanda, alla quale è subordinata la concessione del reddito di cittadinanza, sia conforme a tale disposizione.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        Nelle presenti cause vengono in rilievo gli articoli da 4 a 7 e da 9 a 11 della direttiva 2003/109, nonché l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

B.      Diritto italiano

4.        L’articolo 2 del decreto‑legge del 28 gennaio 2019, n. 4 - «Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni» (GURI n. 23, del 28 gennaio 2019), convertito in legge dalla legge del 28 marzo 2019, n. 26 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto‑legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni» (GURI n. 75, del 29 marzo 2019) (in prosieguo: il «decreto‑legge n. 4/2019»), intitolato «Beneficiari», al paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Il [reddito di cittadinanza] è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti:

a)      con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio deve essere cumulativamente:

1)      in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, come individuato dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;

2)      residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;

(...)».

5.        L’articolo 7 di tale decreto‑legge, intitolato «Sanzioni», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».

II.    Procedimenti principali, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

6.        Dalle risposte del giudice del rinvio alla domanda di chiarimenti rivoltagli dalla Corte risulta che CU e ND sono cittadini di paesi terzi che hanno acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo in Italia. Ciascuna di tali persone è accusata dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (Italia) di aver commesso il reato di cui all’articolo 7, paragrafo 1, del decreto‑legge n. 4/2019. Esse hanno firmato, rispettivamente il 27 agosto 2020 e il 9 ottobre 2020, domande di reddito di cittadinanza, avendo falsamente dichiarato in queste ultime di soddisfare le condizioni per la concessione di tale prestazione e, in particolare, la condizione relativa alla residenza per almeno dieci anni in Italia prevista da detto decreto‑legge. CU e ND avrebbero indebitamente percepito, a tale titolo, rispettivamente l’importo di EUR 3 414,40 e EUR 3 186,66.

7.        Il Tribunale di Napoli esprime dubbi riguardo alla conformità al diritto dell’Unione del decreto‑legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede una condizione di residenza della durata minima di dieci anni in Italia, continuativa negli ultimi due anni, per poter beneficiare del reddito di cittadinanza, qualificato come prestazione di assistenza sociale volta ad assicurare un livello minimo di sussistenza. Il giudice del rinvio considera che tale decreto‑legge assoggetta i cittadini di paesi terzi, anche beneficianti di un permesso di soggiorno di lungo periodo, a un trattamento diverso rispetto ai cittadini italiani.

8.        Secondo tale giudice, la prestazione denominata «reddito di cittadinanza» rientra in uno dei tre settori indicati all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, ossia le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale, ai sensi della legislazione nazionale. Inoltre, l’articolo 11, paragrafo 4, di tale direttiva non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto sembrerebbe che lo Stato italiano, quando ha adottato la normativa nazionale di cui trattasi, non abbia esplicitato la volontà di limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale prescritta dal citato articolo 11 alle prestazioni essenziali. In ogni caso, una simile limitazione, quand’anche fosse stata prevista, non sarebbe stata conforme a detto articolo 11 per il motivo che, ai sensi dell’ultima frase dell’articolo 1, paragrafo 1, del decreto‑legge n. 4/2019, il reddito di cittadinanza garantisce il livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili.

9.        L’interpretazione del diritto dell’Unione sarebbe necessaria per statuire nei procedimenti principali, in quanto, se la condizione prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), punto 2, del decreto‑legge n. 4/2019 non fosse conforme al diritto dell’Unione, il fatto costitutivo dei reati di cui trattasi verrebbe meno.

10.      In proposito, il giudice del rinvio precisa che considera la condizione della residenza decennale in Italia, con continuità negli ultimi due anni, pregiudizievole per i cittadini di paesi terzi che godono di una specifica tutela sulla base della legislazione dell’Unione, quali i soggiornanti di lungo periodo che hanno acquisito un diritto permanente di soggiorno in uno Stato membro dell’Unione dopo avervi risieduto per cinque anni, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2003/109. Altrettanto dovrebbe dirsi dei cittadini italiani che rientrano in Italia dopo un periodo di residenza in un altro Stato membro. Sarebbero discriminati a causa della disposizione nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali anche i titolari dello status di rifugiato, che, in forza dell’articolo 29 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), dovrebbero beneficiare di un’adeguata assistenza sociale a parità di condizioni con i cittadini degli Stati membri.

11.      Ciò premesso, il Tribunale di Napoli ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], l’articolo 45 [TFUE], [l’]articolo 7 comma 2 del [regolamento (UE) n. 492/2011, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1)], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto-legge n. 4/2019], nella parte in cui condiziona l’accesso al reddito di cittadinanza al requisito della residenza in Italia per almeno 10 anni (di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo) riservando così un trattamento deteriore ai cittadini italiani, [dell’Unione] titolari del diritto di soggiorno o di soggiorno permanente, o [di paesi terzi] soggiornanti di lungo periodo residenti [in Italia] da meno di dieci anni o da dieci anni di cui gli ultimi due non continuativi rispetto alle stesse categorie residenti da dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo;

Nel caso in cui la precedente questione venga risolta affermativamente:

2)      se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], l’articolo 45 [TFUE], [l’]articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto-legge n. 4/2019], nella parte in cui riserva un trattamento diverso ai soggiornanti di lungo periodo, che possono acquisire un diritto permanente di soggiorno in uno Stato Ue dopo aver risieduto per cinque anni nello Stato membro di accoglienza, e i soggiornanti di lungo periodo residenti [in Italia] da dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo;

3)      se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], [l’]articolo 45 [TFUE], [l’]articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], [l’]articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], [l’]articolo 29 [della direttiva 2011/95] ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto‑legge n. 4/2019], che impone ai cittadini italiani, [dell’Unione] e [di paesi terzi] l’obbligo di residenza decennale (e la continuatività degli ultimi due anni) per accedere al beneficio del reddito di cittadinanza;

4)      se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], l’articolo 45 [TFUE], [l’]articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto‑legge n. 4/2019], nella parte in cui, al fine di ottenere il beneficio del reddito di cittadinanza, obbliga i cittadini italiani, [dell’Unione] e [di paesi terzi] a dichiarare di aver risieduto per dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, in Italia, facendo discendere dalla falsa dichiarazione severe conseguenze di rilevanza penale».

12.      Il governo italiano e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. Questi stessi interessati, nonché CU e ND, hanno esposto le loro difese orali all’udienza del 3 ottobre 2023.

III. Analisi

A.      Contesto normativo dell’analisi

13.      Nel corso della sua riunione generale del 2 maggio 2023, la Corte ha deciso, ai sensi dell’articolo 101 del regolamento di procedura, di presentare una domanda di chiarimenti al giudice del rinvio, invitandolo a indicare lo status giuridico delle persone interessate dai procedimenti penali principali, nonché a precisare l’atto di diritto dell’Unione che riteneva loro applicabile e le specifiche disposizioni di quest’ultimo la cui interpretazione gli sembrava necessaria ai fini della risoluzione delle controversie di cui era investito.

14.      Nelle sue risposte a tale domanda, trasmesse alla Corte il 9 giugno 2023 nella causa C‑223/22 e il 13 giugno 2023 nella causa C‑112/22, il giudice del rinvio ha dichiarato che le persone interessate sono entrambe cittadini di paesi terzi aventi lo status di soggiornante di lungo periodo in Italia. Nella risposta fornita nella causa C‑112/22, tale giudice ha precisato che la disposizione la cui interpretazione è utile ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito è l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. Invece, nella risposta relativa alla causa C‑223/22, il giudice del rinvio ha ribadito la necessità di interpretare tutte le disposizioni menzionate nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte.

15.      Tenuto conto di tali chiarimenti, l’analisi giuridica sarà strutturata nel modo seguente. Innanzitutto, prenderò posizione sulle obiezioni sollevate da alcune parti interessate riguardo alla competenza della Corte e alla ricevibilità del presente rinvio pregiudiziale (sottosezioni B e C). Successivamente, esaminerò in particolare la questione relativa alla conformità del requisito di residenza previsto dalla pertinente normativa italiana alla direttiva 2003/109 (sottosezione D).

B.      Sulla competenza della Corte

16.      Come risulta dagli atti di causa, il reddito di cittadinanza, quale previsto dal decreto‑legge n. 4/2019, consiste in un’integrazione del reddito familiare fino a un massimo di EUR 6 000, alla quale può aggiungersi un’integrazione del reddito per i nuclei familiari che siano locatari, fino all’importo massimo di EUR 3 360 all’anno. Tale prestazione è concessa per un periodo continuativo non superiore a diciotto mesi e può essere rinnovata.

17.      L’erogazione del reddito di cittadinanza è subordinata a una dichiarazione dei componenti maggiorenni del nucleo familiare in questione attestante la loro immediata disponibilità al lavoro nonché alla loro adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che preveda attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti, finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale. Tale percorso è ufficializzato dalla conclusione del patto per il lavoro, che ha essenzialmente ad oggetto la ricerca attiva del lavoro e l’accettazione delle offerte congrue, o del patto per l’inclusione sociale, sottoscritto presso i servizi comunali competenti per il contrasto della povertà.

18.      Nelle sue osservazioni scritte, il governo italiano ha posto in discussione la competenza della Corte a rispondere alle questioni sollevate per il motivo che la normativa nazionale relativa al reddito di cittadinanza rientrerebbe nella competenza esclusiva degli Stati membri. A suo avviso, il reddito di cittadinanza non costituisce una misura di protezione o assistenza sociale, avente lo scopo di garantire alle persone interessate un certo livello di reddito. Si tratterebbe, al contrario, di una misura complessa, che persegue un obiettivo più generale di contrasto dell’esclusione sociale. Poiché il diritto dell’Unione non è applicabile nei procedimenti principali, la Corte dovrebbe dichiarare la propria incompetenza nel caso di specie.

19.      In proposito, il governo italiano ha contestato la qualificazione del reddito di cittadinanza fornita dal giudice del rinvio. Una simile contestazione si fonda essenzialmente sulla sentenza della Corte costituzionale (Italia) n. 19/2022, del 10 gennaio 2022.

20.      Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, la Corte costituzionale era chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), punto 1), del decreto‑legge n. 4/2019, il quale esige, tra le differenti condizioni che devono essere soddisfatte per beneficiare del reddito di cittadinanza, che i cittadini di paesi terzi siano in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Più precisamente, tale giudice era investito in particolare della questione se, dal momento che il reddito di cittadinanza mira a soddisfare bisogni primari della persona umana, una simile limitazione della cerchia dei beneficiari di tale prestazione fosse conforme al principio della parità di trattamento sancito all’articolo 3 della Costituzione italiana.

21.      Nella sua sentenza, la Corte costituzionale ha ricordato di aver già rilevato che «la disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di là della pura assistenza economica» e che tale prestazione «non ha natura meramente assistenziale, proprio perché accompagnat[a] da un percorso formativo e d’inclusione che comporta precisi obblighi, il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l’espulsione dal percorso medesimo».

22.      Essa ha poi considerato che «il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale», e ha quindi rilevato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale deferitale.

23.      Mi sembra che tale valutazione della Corte costituzionale riguardo alla qualificazione del reddito di cittadinanza non possa giustificare l’inapplicabilità dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 e, di conseguenza, l’incompetenza della Corte a conoscere delle questioni pregiudiziali in esame.

24.      La disposizione in parola, infatti, rinvia al diritto nazionale per quanto concerne la definizione delle nozioni di «prestazioni sociali», di «assistenza sociale» e di «protezione sociale». Orbene, la Corte ha già dichiarato che un simile rinvio implica che spetta al giudice del rinvio valutare se una data misura nazionale costituisca una prestazione rientrante nelle categorie ivi contemplate (3). Quest’ultima constatazione non è altro che un’espressione specifica della regola generale, che si fonda sulla necessità di una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte nell’ambito del rinvio pregiudiziale, secondo la quale la Corte non è competente ad interpretare il diritto nazionale, dal momento che spetta unicamente al giudice nazionale che ha effettuato il rinvio pregiudiziale stabilire l’esatta portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative interne (4). Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha indicato chiaramente che il reddito di cittadinanza rientra in una delle tre categorie di cui all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, cosicché l’applicabilità di tale articolo non può essere posta in discussione.

25.      Certamente è vero che, per dare al giudice nazionale una risposta utile, la Corte, conformemente a una giurisprudenza consolidata, può fornire indicazioni tratte dagli atti del procedimento principale come pure dalle osservazioni scritte e orali che gli sono state sottoposte, in particolare riguardo agli elementi che devono essere presi in considerazione da detto giudice ai fini della sua decisione in tale causa (5). Tuttavia, la citata giurisprudenza autorizza soltanto la Corte a includere nella propria risposta elementi del diritto nazionale idonei a soddisfare lo scopo summenzionato, senza procedere a un’interpretazione di tale diritto.

26.      La Corte è legittimata unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione con riferimento al contesto di fatto e di diritto descritto dal giudice del rinvio, senza poterlo mettere in discussione o verificarne l’esattezza alla luce della sentenza di un giudice nazionale, sia pure supremo.

27.      Tenuto conto di quanto precede, occorre attenersi alla qualificazione della misura in questione fornita dal giudice del rinvio e considerare quindi il reddito di cittadinanza come una prestazione rientrante nella nozione di «assistenza sociale», quale compare all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. Poiché tale direttiva è dunque applicabile nel caso di specie, la Corte, a mio avviso, deve dichiararsi competente a conoscere delle presenti domande di pronuncia pregiudiziale.

C.      Sulla ricevibilità

28.      Nelle loro osservazioni scritte, il governo italiano e la Commissione hanno sostenuto che le domande di pronuncia pregiudiziale sono irricevibili ai sensi dell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte.

29.      In particolare, queste due parti hanno affermato che le ordinanze di rinvio sono lacunose per quanto riguarda lo status delle persone rinviate dinanzi al giudice del rinvio nei procedimenti penali principali. Infatti, nella motivazione che sviluppa le risposte che propone per le questioni pregiudiziali, tale giudice spiega che la condizione relativa alla residenza di cui trattasi nei procedimenti principali comporterebbe una discriminazione a scapito dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, dei cittadini nazionali e dei cittadini dell’Unione, nonché dei cittadini di paesi terzi beneficiari della protezione internazionale, mentre le questioni sollevate hanno ad oggetto atti che riguardano tutte queste categorie di persone. Si tratta nondimeno di status giuridici reciprocamente incompatibili che le persone interessate nelle presenti cause non possono cumulare.

30.      Al riguardo, si deve ricordare che da una costante giurisprudenza risulta che, in forza dell’articolo 94 del regolamento di procedura, il giudice del rinvio è tenuto a fornire elementi sufficienti a spiegare le ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e il collegamento che esso ravvisa tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (6).

31.      Nel caso di specie, alla luce delle risposte fornite dal giudice del rinvio alla domanda di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, si deve concludere che le presenti questioni pregiudiziali sono ricevibili nella misura in cui vertono sull’interpretazione della direttiva 2003/109 (7).

D.      Sul merito

32.      Con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che condiziona l’accesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura di assistenza sociale al requisito della residenza nello Stato membro interessato per almeno dieci anni, in modo continuativo negli ultimi due anni, e che prevede una sanzione penale in caso di falsa dichiarazione relativa a tale requisito.

33.      Sono necessarie, in via preliminare, alcune precisazioni, per definire il regime giuridico nel quale si inserisce la disposizione di diritto derivato che la Corte è chiamata a interpretare.

34.      Strumento chiave del quadro giuridico dell’Unione in materia di migrazione legale, la direttiva 2003/109, come risulta dai suoi considerando 2, 4, 6 e 12, ha l’obiettivo di garantire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo e legale negli Stati membri e, a tal fine, di ravvicinare i diritti di tali cittadini a quelli di cui godono i cittadini dell’Unione, in particolare istituendo la parità di trattamento con questi ultimi in un’ampia gamma di settori economici e sociali (8).

35.      La direttiva 2003/109 determina le norme per il conferimento e la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo e i relativi diritti, nonché le norme sul soggiorno negli altri Stati membri dei cittadini di paesi terzi che beneficiano di tale status. Un simile status corrisponde al più avanzato livello di integrazione per un cittadino di un paese terzo fatta salva la possibilità di acquisire la cittadinanza dello Stato membro ospitante.

36.      Occorre enunciare le disposizioni di tale direttiva che sono pertinenti nella presente causa.

37.      L’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che gli Stati membri conferiscono lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda. L’articolo 5 enuncia alcune condizioni per acquisire tale status. In forza del paragrafo 1, lettere a) e b), di tale articolo, il cittadino di un paese terzo deve comprovare che dispone di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia, in modo da non diventare un onere per lo Stato membro interessato (9). L’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, prevede che la concessione dello status in questione può essere negata per ragioni di ordine pubblico o pubblica sicurezza. L’articolo 7 stabilisce norme procedurali relative all’esame della domanda di acquisizione di detto status e l’articolo 9 disciplina le condizioni di revoca e perdita di quest’ultimo.

38.      Come ho spiegato precedentemente, lo status di soggiornante di lungo periodo, una volta acquisito, implica in particolare che i cittadini di paesi terzi beneficiano della parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, oltre che di una protezione rafforzata contro l’espulsione.

39.      Conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, tale parità di trattamento riguarda i settori ivi elencati, in particolare le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale [lettera d)], ai sensi della legislazione nazionale, fatte salve le deroghe che gli Stati membri possono stabilire in forza dei paragrafi 2, 3 e 4 di tale articolo.

40.      Poiché, secondo il giudice del rinvio, la misura in questione nel caso di specie rientra in uno di tali settori ai sensi della legislazione nazionale, il reddito di cittadinanza rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.

41.      L’imperativo della parità di trattamento trova quindi applicazione nel caso di specie.

42.      Prima di verificare il rispetto della parità di trattamento, mi preme precisare che la giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 non è applicabile per analogia nel caso di specie a causa della differente natura dei diritti di libera circolazione e dei diritti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

43.      I primi diritti sono conferiti ai cittadini degli Stati membri dal Trattato. L’idea alla base della giurisprudenza summenzionata è infatti che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 «costituisce l’espressione particolare, nel campo specifico della concessione di vantaggi sociali, della regola della parità di trattamento sancita dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e deve essere interpretato allo stesso modo di quest’ultima disposizione» (10). Di conseguenza, quando si pone la questione della parità di trattamento tra lavoratori cittadini di uno Stato membro e lavoratori nazionali in materia di vantaggi sociali e fiscali, occorre stabilire se la differenza di trattamento derivante da una misura nazionale persegua un obiettivo legittimo e sia conforme al principio di proporzionalità.

44.      I secondi diritti traggono origine dallo strumento di diritto derivato costituito dalla direttiva 2003/109. Infatti, nelle sentenze in cui si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, la Corte non ha ritenuto che detta disposizione fosse un’«espressione particolare» di un articolo del Trattato (11).

45.      Poiché il legislatore dell’Unione ha già previsto in maniera esaustiva nella direttiva 2003/109 le situazioni nelle quali gli Stati membri possono derogare alla parità di trattamento fra cittadini dei paesi terzi titolari dello status di soggiornante di lungo periodo e cittadini nazionali (12), una differenza di trattamento fra queste due categorie di cittadini che si trovino in una situazione comparabile costituisce, di per sé, una violazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva.

46.      Pertanto, la giurisprudenza in materia di libera circolazione dei lavoratori, a mio avviso, può servire unicamente a verificare l’esistenza di una differenza di trattamento fra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini dello Stato membro ospitante e la comparabilità delle loro situazioni.

47.      Nel caso di specie, alla luce della comparabilità delle situazioni di queste due categorie di cittadini, si deve osservare che il governo italiano ha dichiarato che il reddito di cittadinanza è una misura particolarmente complessa dal punto di vista amministrativo, in quanto, in occasione della sua attuazione, è necessario rispettare specifici patti per ciascun nucleo familiare interessato ed effettuare un costante controllo della loro esecuzione nonché procedere all’erogazione di rilevanti somme a carico del bilancio pubblico. Per tale ragione, secondo detto governo, il legislatore nazionale ha legittimamente riservato il beneficio di tale prestazione ai soli cittadini il cui radicamento è forte e permanente sia nel mercato del lavoro italiano sia, più in generale, nella società italiana.

48.      Supponendo che il governo italiano intenda così riferirsi a difficoltà amministrative ed economiche, occorre considerare che queste ultime non spieghino affatto la ragione per la quale si deve ritenere che i cittadini dei paesi terzi non si trovino in una situazione comparabile a quella dei cittadini dello Stato membro ospitante aventi il medesimo bisogno economico, qualora, avendo espletato la procedura e soddisfatto le condizioni previste dalla direttiva 2003/109, abbiano acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo conferito da tale direttiva (13). Aggiungerò che, in una sentenza più recente, la Corte ha deciso che non si può neppure ritenere che queste due categorie di cittadini si trovino in una situazione diversa a causa dei loro rispettivi legami con lo Stato membro ospitante, essendo una simile constatazione in contraddizione con la valutazione del legislatore dell’Unione secondo la quale lo status di soggiornante di lungo periodo dà diritto alla parità di trattamento con i cittadini nazionali ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 (14).

49.      Quanto alla questione se la condizione di cui trattasi nei procedimenti principali istituisca una differenza di trattamento fra queste stesse categorie di cittadini, mi sembra che la risposta debba essere necessariamente affermativa.

50.      Certamente, tale condizione è richiesta a tutti coloro che pretendono di ottenere il reddito di cittadinanza, a prescindere dal fatto che si tratti di cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo o di cittadini nazionali. Si deve tuttavia constatare che l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 non contiene alcun elemento il quale lasci supporre che la parità di trattamento ivi prevista vieti unicamente le discriminazioni palesi, fondate sulla cittadinanza del cittadino interessato (discriminazioni dirette). Infatti, essa si estende a tutte le forme dissimulate di discriminazione che, in applicazione di altri criteri distintivi, pervengano di fatto allo stesso risultato (discriminazioni indirette).

51.      In proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che qualsiasi distinzione in base alla residenza, come quella stabilita nel caso di specie dalla condizione di cui trattasi nei procedimenti principali, rischia di operare maggiormente a favore dei cittadini nazionali, in quanto i non residenti sono più frequentemente cittadini non nazionali (15). Lo stesso vale per una distinzione fondata sulla durata della residenza qualora il trattamento dei cittadini nazionali sia comparabile a quello dei cittadini dei paesi terzi che hanno acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo al termine di un regolare soggiorno di cinque anni nel territorio dello Stato membro interessato.

52.      All’udienza, il governo italiano ha affermato che i cittadini dei paesi terzi soggiornanti di lungo periodo sono ben integrati nella società italiana dal momento che godono degli stessi diritti dei cittadini italiani (ad eccezione dei diritti politici), dispongono di un reddito minimo e di un alloggio e hanno una padronanza sufficiente della lingua italiana. Pertanto, secondo detto governo, l’idoneità di tali cittadini a soddisfare la condizione di cui trattasi nei procedimenti principali è sostanzialmente analoga a quella dei cittadini italiani. Orbene, non vedo come tale argomento possa inficiare la constatazione effettuata nel paragrafo precedente delle presenti conclusioni.

53.      Il giudice del rinvio afferma che la condizione relativa alla residenza oggetto dei procedimenti principali può interessare anche i cittadini italiani che rientrano in Italia dopo aver risieduto in un altro Stato membro. Mi sembra che neppure tale circostanza possa mettere in discussione la conclusione alla quale sono pervenuto. In proposito, si deve rilevare che la Corte ha già dichiarato che, perché una misura possa essere qualificata come indirettamente discriminatoria, non è necessario che abbia l’effetto di avvantaggiare l’insieme dei cittadini nazionali o di sfavorire unicamente i soli cittadini degli altri Stati membri ad esclusione di quelli nazionali (16).

54.      Infine, la Corte dovrà affrontare la questione della conformità alla direttiva 2003/109 di una disposizione nazionale, quale l’articolo 7, paragrafo 1, del decreto‑legge n. 4/2019, che preveda una pena privativa della libertà da due a sei anni in particolare in caso di falsa dichiarazione relativa alla condizione di cui trattasi nei procedimenti principali, come prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), punto 2, di tale decreto.

55.      Il regime giuridico di una simile sanzione non è previsto dalla direttiva 2003/109 e rientra pertanto nell’ambito del diritto nazionale. Ciò non significa tuttavia che tale regime sia conforme alla direttiva in questione.

56.      Si deve infatti ricordare che la condizione di cui trattasi nei procedimenti principali costituisce un elemento oggettivo del reato la cui integrazione determina l’irrogazione della sanzione in questione.

57.      Ne deriva che, se la Corte decidesse, come propongo, che tale condizione è contraria al diritto dell’Unione, in particolare all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, il giudice nazionale sarebbe tenuto a disapplicare sia l’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), punto 2, del decreto‑legge n. 4/2019 sia l’articolo 7, paragrafo 1, di quest’ultimo.

58.      Come rileva in sostanza il giudice del rinvio, infatti, la disapplicazione della disposizione nazionale che prevede tale condizione ha l’effetto di eliminare dalla dichiarazione della persona rinviata dinanzi al giudice penale tale elemento oggettivo del reato e, di conseguenza, il reato nella sua interezza. Più precisamente, l’inapplicabilità della disposizione che enuncia detta condizione priva di effetto il contenuto della falsa dichiarazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del decreto‑legge n. 4/2019.

59.      Pertanto, la sanzione penale prevista in caso di falsa dichiarazione relativa alla condizione di cui trattasi nei procedimenti principali è parimenti contraria al diritto dell’Unione (17).

60.      Alla luce di tali considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio dichiarando che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che condiziona l’accesso a una misura nazionale di assistenza sociale al requisito della residenza nello Stato membro interessato per almeno dieci anni, in modo continuativo negli ultimi due anni, e che prevede una sanzione penale in caso di falsa dichiarazione relativa a tale requisito.

IV.    Conclusione

61.      Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Napoli (Italia) nel modo seguente:

L’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo

dev’essere interpretato nel senso che:

esso osta a una normativa nazionale che condiziona l’accesso a una misura nazionale di assistenza sociale al requisito della residenza nello Stato membro interessato per almeno dieci anni, in modo continuativo negli ultimi due anni, e che prevede una sanzione penale in caso di falsa dichiarazione relativa a tale requisito.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2004, L 16, pag. 44.


3      V., in tal senso, sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 77 e 81), e del 28 ottobre 2021, ASGI e a. (C‑462/20, EU:C:2021:894, punto 30).


4      V. sentenza del 13 luglio 2023, Ferrovienord (C‑363/21 e C‑364/21, EU:C:2023:563, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).


5      V. sentenza dell’8 giugno 2023, Fastweb e a. (Cadenza della fatturazione) (C‑468/20, EU:C:2023:447, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).


6      Sentenza del 18 settembre 2019, Ortiz Mesonero (C‑366/18, EU:C:2019:757, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza ivi citata).


7      Preciso che, dal momento che la Corte vi fa riferimento esclusivamente quale ausilio per l’interpretazione dell’ambito di applicazione della direttiva 2003/109 (v., in proposito, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 81 e 92), l’articolo 34, paragrafo 3, della Carta non appare pertinente quando, come nel caso di specie, la questione dell’applicabilità di tale direttiva sia già stata risolta in senso affermativo. Quanto agli articoli 30 e 31 della Carta sociale europea, la Corte ha ripetutamente dichiarato di non essere competente a interpretarli. V., in proposito, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 70).


8      V. sentenza del 20 gennaio 2022, Landeshauptmann von Wien (Perdita dello status di soggiornante di lungo periodo) (C‑432/20, EU:C:2022:39, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


9      V. altresì considerando 7 della direttiva 2003/109.


10      V., in particolare, sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 35).


11      Sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, in particolare punto 75), e del 25 novembre 2020, Istituto nazionale della previdenza sociale (Prestazioni familiari per i soggiornanti di lungo periodo) (C‑303/19, EU:C:2020:958, in particolare punto 34).


12      V. sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva (C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 29).


13      V., riguardo alle difficoltà amministrative, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 75).


14      Sentenza del 25 novembre 2020, Istituto nazionale della previdenza sociale (Prestazioni familiari per i soggiornanti di lungo periodo) (C‑303/19, EU:C:2020:958, punto 34).


15      V., in particolare, sentenza del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero) (C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 56).


16      V., per analogia, sentenza del 23 gennaio 2019, Zyla (C‑272/17, EU:C:2019:49, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


17      V., riguardo alla non conformità al diritto dell’Unione di un sistema sanzionatorio imposto per assicurare il rispetto di un obbligo a sua volta non conforme al diritto dell’Unione, sentenza del 26 aprile 2022, Landespolizeidirektion Steiermark (Durata massima del controllo di frontiera alle frontiere interne) (C‑368/20 e C‑369/20, EU:C:2022:298, punto 97 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì, in proposito, sentenza del 29 aprile 1999, Ciola (C‑224/97, EU:C:1999:212, punto 33).