Language of document : ECLI:EU:C:2010:799

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 dicembre 2010 (1)

Causa C‑279/08 P

Commissione europea

contro

Regno dei Paesi Bassi


«Impugnazione – Ricevibilità del ricorso di primo grado – Ricorso di uno Stato membro contro la decisione della Commissione che dichiara aiuto di Stato compatibile con il mercato comune una misura nazionale notificata in forza dell’art. 88 CE – Aiuti di Stato – Nozione – Selettività – Vantaggio finanziato mediante risorse statali – Sistema di scambio dei diritti di emissione per gli ossidi di azoto»







1.        Con il ricorso oggetto del presente giudizio, la Commissione impugna la sentenza del 10 aprile 2008, Paesi Bassi/Commissione (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha annullato la decisione della Commissione del 24 giugno 2003 (3) relativa all’aiuto di Stato N 35/2003, riguardante un sistema di scambio di diritti di emissione per gli ossidi d’azoto comunicato dal Regno dei Paesi Bassi (in prosieguo: la «Decisione»). La stessa sentenza è oggetto di due impugnazioni incidentali presentate dal Regno dei Paesi Bassi e dalla Repubblica federale di Germania.

I –    I fatti all’origine della controversia e la Decisione

2.        Il sistema di scambio di diritti di emissione per gli ossidi d’azoto (NOx) comunicato alla Commissione dai Paesi Bassi (in prosieguo: la «misura controversa»), nonché il contenuto della Decisione, sono descritti come segue ai punti 8‑13 e 16‑20 della sentenza impugnata:

«8.      Con lettera 23 gennaio 2003 le autorità olandesi notificavano alla Commissione, ai sensi dell’art. 88, n. 3, CE, un sistema di scambio di diritti di emissione per gli NOx (…). Esse chiedevano alla Commissione di adottare una decisione che constatasse l’inesistenza di un aiuto, ai sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE (GU L 83, pag. 1).

9.      Il 24 giugno 2003 la Commissione adottava la [Decisione].

10.      Nella [Decisione] la Commissione descrive anzitutto, al punto 1, la misura controversa. Nell’ambito del limite nazionale olandese di emissione di NOx fissato dalla direttiva 2001/81, le autorità olandesi hanno stabilito un obiettivo di 55 chilotonnellate di emissione di NOx nel 2010 per i loro grandi impianti industriali, vale a dire per circa 250 imprese.

11.      Al punto 1.2 della [Decisione] la Commissione espone il funzionamento di tale sistema: una legge nazionale stabilisce, per ogni impianto industriale, un parametro relativo di emissione di NOx da rispettare. L’impresa può rispettare il parametro di emissione così prescritto o adottando misure di riduzione delle emissioni di NOx nel proprio impianto, o acquistando diritti di emissione da altre imprese, oppure combinando le due opzioni. Le riduzioni delle emissioni, in forma di crediti di NOx, sono proposte sul mercato di scambio dei diritti di emissione da parte degli impianti le cui emissioni sono inferiori al parametro prescritto.

12.      L’emissione annuale complessiva di NOx di un impianto, corretta dagli eventuali crediti di NOx venduti o acquistati, deve corrispondere al livello di emissione autorizzato per il detto impianto. L’emissione annuale autorizzata, in valore assoluto, è calcolata in base al parametro di emissione relativo e alla quantità di energia utilizzata dal detto impianto.

13.      Alla fine di ogni anno le autorità olandesi verificano se gli impianti hanno rispettato il parametro di emissione prescritto. Ogni anno possono essere acquistati, risparmiati o dati in prestito crediti di NOx per periodi futuri. Se un impianto supera il parametro di emissione prescritto, esso deve compensare l’eccedenza l’anno successivo. Questa eccedenza da compensare è aumentata inoltre del 25% per scoraggiare ogni superamento del parametro. Se un impianto non riesce a rispettare il suo parametro di emissione, le autorità olandesi gli infliggono un’ammenda effettiva, proporzionata e dissuasiva.

(…)

16.      [A]i punti 1.5 e 1.6 della [Decisione], la Commissione precisa che la misura controversa sarà applicata a tutte le imprese industriali che possiedano una potenza installata superiore a 20 megawatt termici (in prosieguo: «MWth»), conformemente alla normativa comunitaria. Le autorità olandesi continueranno ad applicare i valori limite di emissione stabiliti dalle diverse direttive comunitarie in vigore.

17.      Nell’ambito della sua valutazione della misura controversa (punto 3 della [Decisione]) la Commissione richiama in primo luogo la sua prassi decisionale relativa ai regimi di scambio di diritti di emissione e distingue due tipi di sistemi, come di seguito indicato:

“1) I sistemi nei quali i permessi di emissione o di inquinamento negoziabili sono considerati attivi immateriali rappresentanti un valore commerciale che lo Stato avrebbe altresì potuto vendere o aggiudicare, con la conseguenza di un mancato guadagno (o di una perdita di risorse statali) e la configurazione di un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE;

2) i sistemi in cui i permessi di emissione o di inquinamento negoziabili sono considerati come prova ufficiale del fatto che una determinata produzione non potrà essere venduta o aggiudicata al beneficiario del permesso, in modo che non si configuri un mancato guadagno, e quindi nessuna risorsa statale controversa, il che a sua volta esclude la configurabilità di un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE”.

18.      Successivamente la Commissione espone le ragioni che l’hanno condotta a ravvisare un aiuto di Stato nella misura controversa, vale a dire, in sostanza, nella concessione gratuita da parte dello Stato di crediti di NOx ad un gruppo specifico di imprese che esercitano il commercio tra Stati membri. Secondo la decisione impugnata le autorità olandesi avevano la possibilità di vendere o aggiudicare i diritti di emissione. Offrendo gratuitamente crediti di NOx come attivi immateriali, lo Stato membro subirebbe quindi un danno nella forma di un mancato guadagno. La Commissione ne deduce che tale regime riguardi risorse statali ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE. Il rafforzamento della posizione delle imprese interessate inciderebbe sul commercio tra Stati membri.

19.      Infine, al punto 3.3 della [Decisione] la Commissione esamina la compatibilità della misura controversa con il mercato comune.

20.      Concludendo, al punto 4 della [Decisione] la Commissione constata che la misura controversa dà luogo ad un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, aggiungendo che tale aiuto è compatibile con il mercato comune in conformità all’art. 87, n. 3, CE (…). La Commissione invita le autorità olandesi a trasmetterle annualmente una relazione riguardante l’esecuzione della misura controversa e a notificarle preventivamente qualsiasi modifica delle condizioni alle quali l’aiuto è concesso».

3.        Nel controricorso i Paesi Bassi affermano che la misura controversa è entrata in vigore il 1° giugno 2005.

II – Le conclusioni delle parti dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

4.        Il Regno dei Paesi Bassi, sostenuto dalla Repubblica federale di Germania, chiedeva al Tribunale di annullare la Decisione nella parte in cui qualificava come aiuto di Stato la misura controversa e di condannare la Commissione alle spese. Quest’ultima concludeva, in via principale, all’irricevibilità del ricorso e, in subordine, al suo rigetto e chiedeva la condanna dei Paesi Bassi alle spese.

5.        Nella sentenza impugnata il Tribunale respingeva l’eccezione d’irricevibilità del ricorso sollevata dalla Commissione (punti 37‑49). Nel merito, esso respingeva la prima censura del primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’art. 87 CE, con la quale i Paesi Bassi facevano valere l’assenza di un vantaggio finanziato mediante risorse statali (punti 63‑78) e accoglieva la seconda censura, con cui lo Stato ricorrente contestava la sussistenza della condizione di selettività (punti 84‑101). Il Tribunale annullava dunque la Decisione e condannava la Commissione alle spese di giudizio.

III – La procedura dinanzi alla Corte e le conclusioni delle parti

6.        Con atto depositato alla cancelleria della Corte il 23 giugno 2008, la Commissione proponeva l’impugnazione oggetto del presente giudizio. Nelle rispettive memorie di risposta, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica federale di Germania hanno proposto impugnazioni incidentali. Con ordinanza del presidente della Corte del 23 dicembre 2008, il Regno Unito e la Repubblica slovena sono stati ammessi a intervenire nel presente giudizio. Con ordinanza dell’8 maggio 2009, la Repubblica francese è stata ammessa a intervenire alle condizioni previste dall’art. 93, n. 7, del regolamento di procedura della Corte. All’udienza del 14 ottobre 2010 sono stati sentiti gli agenti della Commissione e dei governi dei Paesi Bassi, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese.

7.        Nell’atto introduttivo del giudizio la Commissione chiede alla Corte, a titolo principale, di annullare la sentenza impugnata e dichiarare irricevibile il ricorso di annullamento della Decisione e, in subordine, di annullare la sentenza impugnata e respingere il ricorso di annullamento della Decisione. In entrambi i casi, essa chiede la condanna dei Paesi Bassi alle spese delle procedure di primo grado e d’impugnazione. Nella memoria di risposta alle impugnazioni incidentali dei Paesi Bassi e della Repubblica federale tedesca, la Commissione chiede alla Corte, a titolo principale, di annullare la sentenza impugnata e di dichiarare irricevibile il ricorso di primo grado e, in subordine, di respingere le impugnazioni incidentali, annullare la sentenza impugnata e rigettare come infondato il ricorso in primo grado.

8.        Il Regno dei Paesi Bassi conclude, a titolo principale, al rigetto dell’impugnazione e, a titolo subordinato, nell’ipotesi in cui la Corte dovesse accogliere l’impugnazione, all’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui respinge il motivo di ricorso vertente sull’assenza di un vantaggio finanziato mediante risorse dello Stato. In entrambi i casi, essi richiedono la condanna della Commissione alle spese della prima istanza e dell’impugnazione.

9.        La Repubblica federale di Germania conclude, a titolo principale, al rigetto dell’impugnazione e all’annullamento della sentenza impugnata e, in subordine, per l’ipotesi in cui la Corte dovesse considerare irricevibile quest’ultima conclusione, al rigetto dell’impugnazione e, in caso di accoglimento dell’impugnazione, all’annullamento della sentenza impugnata. In entrambi i casi essa mantiene le conclusioni presentate in prima istanza e chiede la condanna della Commissione alle spese.

10.      Il Regno Unito conclude al rigetto delle conclusioni della Commissione in favore dell’irricevibilità del ricorso di primo grado e sostiene le conclusioni presentate a titolo principale dai Paesi Bassi. La Repubblica slovena conclude al rigetto dell’impugnazione della Commissione e alla condanna della stessa alle spese. In udienza, la Repubblica francese ha concluso al rigetto delle conclusioni della Commissione in favore dell’irricevibilità del ricorso di primo grado.

IV – Sull’impugnazione principale

11.      La Commissione solleva due motivi a sostegno della sua impugnazione. Il primo motivo denuncia una violazione dell’art. 230 CE ed è diretto contro la parte della sentenza impugnata in cui si dichiara ricevibile il ricorso del Regno dei Paesi Bassi. Con il secondo motivo, invocato a titolo subordinato, la Commissione lamenta una violazione dell’art. 87, n. 1, CE.

A –    Sul primo motivo d’impugnazione, vertente su una violazione dell’art. 230 CE

12.      La Commissione ritiene che uno Stato membro non sia legittimato ad agire ex art. 230 CE contro una decisione che approvi incondizionatamente una misura notificata nel quadro del regime di controllo degli aiuti di Stato. Il motivo si articola in due censure.

1.      Sulla prima censura

13.      Con la prima censura del suo primo motivo d’impugnazione, la Commissione fa valere che il Tribunale ha erroneamente distinto la fattispecie sottoposta al suo esame da quella oggetto della causa che ha dato luogo all’ordinanza della Corte 28 gennaio 2004, Paesi Bassi/Commissione (4) (nel prosieguo: l’«ordinanza Paesi Bassi/Commissione»). Secondo la Commissione non esiste alcuna differenza giuridicamente rilevante tra le due cause. I Paesi Bassi, sostenuti dal Regno Unito, dalla Repubblica slovena e dalla Repubblica francese, nonché la Repubblica federale tedesca ritengono invece che le circostanze della causa che ha dato origine a detta ordinanza divergano sostanzialmente da quelle del presente giudizio e che tale precedente non sia dunque pertinente.

14.      Occorre richiamare brevemente il contenuto dell’ordinanza Paesi Bassi/Commissione, adottata nelle more del procedimento che ha condotto all’adozione della sentenza impugnata.

15.      In tale ordinanza, la Corte ha dichiarato irricevibile il ricorso introdotto dai Paesi Bassi contro la decisione con cui la Commissione aveva constatato la compatibilità con il mercato comune di talune misure di incentivo alla trasformazione dei residui di dragaggio notificate da detto Stato membro. Il ricorso era limitato alla parte della decisione «in cui la Commissione conclude[va] che i contributi assegnati alle autorità portuali in forza [di] detta normativa costituiva[no] aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE» (punto 1).

16.      La motivazione dell’ordinanza è particolarmente sintetica. Dopo aver richiamato la giurisprudenza secondo cui possono essere oggetto di un’azione di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE solo i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici vincolanti idonei a incidere sugli interessi dei ricorrenti, modificando in modo rilevante la loro situazione giuridica, la Corte affermava, al punto 20, che la decisione impugnata, la quale aveva dichiarato il regime di aiuti notificato compatibile con il mercato comune, non poteva modificare in modo rilevante la situazione giuridica del Regno dei Paesi Bassi, «posto che, nella sua notificazione di tale regime, il governo olandese [aveva] chiesto alla Commissione di valutarne la legittimità ai sensi degli artt. 87 CE e 88 CE» (5). Ai punti 21 e 22, la Corte rispondeva all’argomento dei Paesi Bassi secondo cui una parte della motivazione della decisione impugnata (in cui la Commissione riteneva che talune autorità portuali rientrassero nella nozione di impresa ai sensi dell’art. 87 CE) avrebbe comunque prodotto conseguenze giuridiche negative per detto Stato. Al riguardo, essa osservava anzitutto che solo il dispositivo di una decisione è idoneo a produrre effetti giuridici e, conseguentemente, ad arrecare un pregiudizio e che gli apprezzamenti espressi nella motivazione possono essere sottoposti al sindacato di legittimità del giudice comunitario «solo qualora, in quanto motivazione di un atto recante pregiudizio, costituiscano il fondamento necessario del dispositivo di tale atto». Essa concludeva, al punto 22, che, nella fattispecie, «la motivazione contestata non costituisce il fondamento necessario del dispositivo di una decisione recante pregiudizio al regno dei Paesi Bassi», precisando che, «poiché la Commissione ha constatato nel dispositivo della decisione impugnata che, indipendentemente dal fatto che alcuni dei contributi interessati possano costituire aiuti ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, il regime in causa sarebbe comunque giustificato in forza delle ragioni enunciate nell’art. 87, n. 3, lett. c), CE, il detto dispositivo non costituisce assolutamente una presa di posizione sulla natura di impresa di ogni autorità portuale, né sulla natura economica dell’insieme delle attività delle dette autorità» (6). Al punto 23, la Corte aggiungeva che «la decisione impugnata non si pronuncia sulle posizioni particolari dell’una o dell’altra autorità portuale interessata» e che «tale decisione non condiziona in alcun modo la valutazione, ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, di eventuali altri contributi concessi alle autorità portuali».

17.      Dalla motivazione dell’ordinanza, ripresa nelle sue grandi linee nel paragrafo che precede, emerge che due elementi hanno condotto in quel caso la Corte a dichiarare il ricorso dei Paesi Bassi irricevibile. In primo luogo, nell’economia del ragionamento della Corte, ha rivestito un ruolo particolarmente significativo, se non determinante, la circostanza che, all’atto della notifica, i Paesi Bassi si fossero limitati a chiedere alla Commissione di valutare la legittimità delle misure di incentivo alla trasformazione dei residui di dragaggio, senza segnalare di ritenere che tali misure non costituissero aiuti ove destinate alle autorità portuali (7). In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che la Commissione, considerando l’insieme delle misure notificate comunque compatibili con l’art. 87, n. 3, CE si fosse astenuta dal pronunciarsi definitivamente sulla natura di aiuto degli incentivi alle autorità portuali.

18.      Entrambi questi elementi difettano nell’odierna fattispecie.

19.      Per un verso, nel notificare la misura controversa, i Paesi Bassi hanno precisato che, a loro avviso, essa non costituiva aiuto di Stato e hanno richiesto una dichiarazione della Commissione in tal senso. Per altro verso, nella Decisione, la Commissione ha preso una posizione chiara ed inequivocabile circa la natura di aiuto di detta misura. Contrariamente a quanto sostenuto dall’istituzione ricorrente, alla luce della motivazione dell’ordinanza Paesi Bassi/Commissione, tali differenze sono giuridicamente rilevanti e impediscono di trasporre automaticamente al caso di specie la soluzione adottata dalla Corte in tale precedente.

20.      Più in generale, non ritengo sia possibile intravedere nell’ordinanza Paesi Bassi/Commissione l’intenzione della Corte di escludere in via di principio il diritto degli Stati membri di ricorrere contro le decisioni con cui la Commissione autorizza, in modo incondizionato, le misure di aiuto da questi notificate. Al contrario, le specifiche caratteristiche della fattispecie, e il modo in cui queste sono state interpretate dalla Corte, conducono piuttosto ad attribuire una portata circoscritta a tale pronuncia.

21.      In conclusione, ritengo che il Tribunale non abbia commesso un errore distinguendo la fattispecie sottoposta al suo esame da quella oggetto della causa che ha dato luogo all’ordinanza Paesi Bassi/Commissione. Tale conclusione non sarebbe rimessa in discussione anche ove fosse constatato lo snaturamento dei fatti in cui, secondo la Commissione, sarebbe incorso il Tribunale al punto 47 della sentenza impugnata (8).

22.      La prima censura avanzata dalla Commissione nel quadro del suo primo motivo d’impugnazione va quindi respinta.

2.      Sulla seconda censura

23.      Con la seconda censura, la Commissione contesta l’affermazione del Tribunale secondo cui la qualificazione della misura controversa come aiuto ha prodotto conseguenze giuridiche. La censura è diretta in particolare contro il punto 41 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha affermato che tale qualificazione, che ha consentito alla Commissione di esaminare la compatibilità della misura controversa con il mercato comune, da un lato, «determina l’applicazione della procedura prevista per i regimi di aiuto esistenti dal regolamento n. 659/1999, in particolare dai suoi artt. 17-19 e dal suo art. 21, il quale impone allo Stato membro l’obbligo di presentare una relazione annuale su tutti i regimi di aiuto esistenti» e, dall’altro, «può (…) avere un’incidenza sulla concessione di un nuovo aiuto, in virtù delle norme relative al cumulo di aiuti di diversa origine previste in particolare al punto 74 della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente».

24.      L’istituzione ricorrente fa anzitutto valere che, dato il carattere oggettivo della nozione di aiuto, le conseguenze menzionate dal Tribunale discendono dalla natura stessa della misura controversa e non dalla Decisione. Tale argomento non mi pare condivisibile. Certo, la Corte ha più volte affermato, anche se nel diverso contesto della definizione della portata del controllo giurisdizionale sull’applicazione della nozione di aiuto da parte della Commissione, che tale nozione ha un carattere oggettivo (9), autorizzando a ritenere, come sembra fare la Commissione, che una decisione adottata ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (divenuto art. 107, n. 1, TFUE) ha valore di mero accertamento, positivo o negativo, della natura di aiuto della misura notificata. Ciò nonostante, mi sembra difficilmente contestabile che, ove la Commissione dichiari a torto che un determinato intervento statale costituisce un aiuto, sia da tale decisione e non dalla misura in questione, in realtà priva dei requisiti di un aiuto, che discendono le conseguenze giuridiche collegate a una tale qualificazione, conseguenze che non sarebbe possibile allo Stato membro interessato eliminare se non ottenendo l’annullamento sul punto della decisione. Ricordo peraltro che un argomento analogo è stato invocato dall’istituzione ricorrente anche per escludere la ricevibilità di un ricorso di annullamento contro la decisione di esaminare una misura statale in quanto aiuto «nuovo» e non «esistente» e che esso è stato respinto dalla Corte (10).

25.      La Commissione fa inoltre valere che l’applicazione del limite al cumulo degli aiuti previsto dalla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente, e menzionato al suddetto punto 41 della sentenza impugnata, costituisce una conseguenza meramente ipotetica della Decisione. Concordo con tale analisi. Detto limite è infatti destinato a produrre effetti solo qualora i Paesi Bassi decidano di accordare ulteriori aiuti alle imprese riguardate dalla misura controversa. Lo stesso può peraltro dirsi per quanto concerne l’obbligo di notifica e l’obbligo di stand-still previsto dall’art. 88, n. 3, CE (divenuto art. 108, n. 3, TFUE), ai quali si riferisce in particolare il governo tedesco, obblighi che i Paesi Bassi dovrebbero rispettare solo ove decidessero di adottare misure analoghe a quella controversa o, conformemente al punto 4 della Decisione, di modificare elementi di tale misura.

26.      Per quanto concerne l’obbligo per lo Stato membro interessato di presentare una relazione sull’esecuzione della misura controversa, anch’esso richiamato al punto 41 della sentenza impugnata, la Commissione si limita in sostanza a osservare che, secondo le informazioni in suo possesso, nessuna relazione è mai stata inviata dalle autorità dei Paesi Bassi. Tale argomento è, a mio avviso, inoperante. La circostanza che un tale obbligo sia stato finora disatteso dai Paesi Bassi non incide infatti sulla sua presa in conto quale conseguenza giuridica della qualificazione della misura controversa come aiuto.

27.      Più in generale, ritengo che proprio l’applicazione della procedura prevista per i regimi di aiuto esistenti, evocata dal Tribunale al suddetto punto 41 della sentenza impugnata, costituisca la conseguenza giuridica di maggior rilievo che discende dalla qualificazione come aiuto di un intervento statale notificato. Ai sensi dell’art. 108, n. 1, TFUE, la Commissione procede all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti negli Stati membri secondo la procedura indicata al successivo n. 2 e precisata agli artt. 17‑19 del regolamento 659/1999. Ciò implica che un intervento statale qualificato come aiuto è sottoposto a un monitoraggio costante da parte della Commissione e a un controllo periodico. Ne consegue che una decisione di compatibilità ex art. 107, n. 3, TFUE offre allo Stato membro interessato una minore certezza del diritto, oltre che un più ristretto margine di manovra nell’attuazione della misura notificata, rispetto a una decisione che esclude la natura di aiuto di tale misura ai sensi dell’art. 107, n. 1, TFUE. Nel caso dei Paesi Bassi, è stata proprio la ricerca di certezza del diritto che ha mosso le autorità di detto Stato membro a notificare la misura controversa pur nella convinzione che essa non costituisse aiuto ai sensi dell’art. 87 CE.

28.      Sulla base di quanto fin qui esposto ritengo dunque che anche la seconda censura avanzata dalla Commissione nel quadro del suo primo motivo d’impugnazione debba essere respinta.

3.      Conclusioni sul primo motivo d’impugnazione

29.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni suesposte, suggerisco alla Corte di respingere integralmente il primo motivo d’impugnazione sollevato dalla Commissione, vertente su una violazione dell’art. 230 CE.

B –    Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’art. 87, n. 1, CE

30.      Il secondo motivo d’impugnazione, presentato in via subordinata, si articola anch’esso in due censure.

1.      Sulla prima censura

31.      Con la prima censura del secondo motivo d’impugnazione, la Commissione contesta la conclusione del Tribunale secondo cui la misura in questione non costituisce aiuto di Stato poiché non è tale da favorire talune imprese o talune produzioni. Tale censura verte sui punti 84‑96 della sentenza impugnata e solleva due distinte contestazioni.

a)      Sulla prima contestazione

32.      La Commissione censura anzitutto il Tribunale per aver attribuito un particolare rilievo, al fine di escludere la selettività della misura in questione, alla circostanza che tutti i grandi stabilimenti industriali dei Paesi Bassi sono soggetti alla misura controversa e che, di conseguenza, il criterio di applicazione di detta misura è oggettivo e non fondato su considerazioni di carattere geografico o settoriale.

33.      Per giurisprudenza costante, la circostanza che il numero di imprese che possono pretendere di beneficiare della misura in questione sia assai rilevante, o che tali imprese appartengano a settori di attività diversi, non è sufficiente per far venir meno il carattere selettivo della misura medesima e, quindi, per escludere la qualifica di aiuto di Stato (11). Secondo questa stessa giurisprudenza, la circostanza che una misura statale sia retta da criteri oggettivi di applicazione orizzontale dimostra unicamente che gli incentivi da essa previsti non costituiscono un aiuto individuale ma rientrano in un regime di aiuti (12). La Commissione afferma dunque correttamente, nel quadro della sua prima contestazione, che detta circostanza non consente, di per sé, di concludere che un’iniziativa statale deve considerarsi come misura generale di politica economica, priva perciò di carattere selettivo.

34.      Tuttavia, tale contestazione si basa su una lettura inesatta della sentenza impugnata e va pertanto disattesa. In effetti, contrariamente a quanto sembra ritenere la Commissione, la conclusione contenuta al punto 96 della sentenza impugnata, secondo cui «la misura controversa, globalmente considerata non favorisce (…) talune imprese o talune produzioni ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE», non si fonda, o non si fonda in modo determinante, sui precedenti punti 87 e 88, specialmente oggetto di contestazione da parte della ricorrente. Per un verso, al punto 87 della sentenza impugnata, il Tribunale non esprime valutazioni proprie, ma si limita a esporre alcuni degli elementi che caratterizzano la misura controversa, quali descritti nella Decisione, mentre la prima frase del successivo punto 88 contiene unicamente una constatazione di fatto.

35.      Per altro verso, la conclusione contenuta nella seconda frase del medesimo punto 88, secondo cui «il criterio di applicazione della misura controversa è (…) oggettivo, senza alcuna considerazione di carattere geografico o settoriale», riveste un’importanza limitata nell’economia del ragionamento del Tribunale e comunque sensibilmente inferiore rispetto a quella che le attribuisce la Commissione. Emerge infatti dai punti 89 e segg. della sentenza impugnata che il Tribunale ha piuttosto considerato decisiva, al fine di escludere la selettività della misura in questione, la constatazione, contenuta al punto 90 della motivazione, secondo cui la situazione giuridica e fattuale delle imprese soggette al limite di emissione di NOx che si applica ai grandi impianti industriali «non può essere ritenuta analoga a quella delle imprese cui questo limite non si applica». Altrettanto dirimente è la conclusione, che figura al successivo punto 94, secondo cui la Commissione «non ha provato l’esistenza di un regime generale che s’imporrebbe ad imprese in una situazione fattuale e giuridica analoga a quella degli impianti soggetti alla misura controversa, ma che non offrirebbe il vantaggio rappresentato dalla negoziabilità dei diritti di emissione di NOx».

36.      In base all’analisi che precede, la prima contestazione sollevata dalla Commissione nell’ambito della prima censura del suo secondo motivo d’impugnazione, con cui l’istituzione ricorrente contesta al Tribunale di aver basato il proprio ragionamento sul carattere obiettivo del criterio di applicazione della misura controversa, deve considerarsi infondata. Essa è comunque inoperante, poiché, anche ove fondata, non sarebbe di per sé sufficiente a infirmare la conclusione del Tribunale secondo cui detta misura non ha carattere selettivo, dal momento che, come si è visto, tale conclusione si fonda, in modo preponderante, su considerazioni di ordine diverso.

b)      Sulla seconda contestazione

37.      Nel quadro della prima censura del suo secondo motivo d’impugnazione, la Commissione contesta inoltre l’onere probatorio posto a suo carico dal Tribunale (13). Tale contestazione è diretta contro i punti 89-96 della sentenza impugnata, dai quali emerge, in sostanza, che, per dimostrare la selettività della misura controversa, la Commissione avrebbe dovuto apportare la prova che: a) le imprese cui tale misura non si applica, e alle quali non è dunque offerto il vantaggio rappresentato dalla negoziabilità dei diritti di emissione di NOx, sono assoggettate agli stessi obblighi (il PSR), o ad «obblighi della stessa natura», di quelli imposti da detta misura, e b) che tali imprese sono passibili di ammenda in caso di trasgressione (14).

38.      Secondo la Commissione la prova richiesta dal Tribunale è superflua, dal momento che si evince chiaramente dalla Decisione e dalla stessa sentenza impugnata che tutte le imprese dei Paesi Bassi sono assoggettate a restrizioni in materia di emissioni di NOx: ciò sarebbe sufficiente a dimostrare il carattere selettivo della misura controversa, poiché, a fronte di limitazioni imposte all’insieme delle imprese stabilite nei Paesi Bassi, solo il gruppo di imprese cui tale misura si applica sono abilitate a scambiare tra loro diritti di emissione. La prova richiesta dal Tribunale sarebbe inoltre impossibile da apportare, poiché è evidente che le imprese non assoggettate alla misura controversa non sono tenute ad adempiere agli obblighi da questa previsti. I Paesi Bassi fanno invece valere che il Tribunale ha correttamente interpretato la portata dell’onere della prova a carico della Commissione, posto che il criterio di selettività fissato dalla Corte nella sentenza Adria‑Wien Pipeline (15) si basa proprio sulla comparabilità della situazione delle imprese contemplate dalla misura di cui trattasi e di quelle che ne sono escluse. Nella specie, le 250 imprese cui si applica la misura controversa non si troverebbero in una situazione comparabile a quella delle altre imprese, poiché su esse gravano degli obblighi supplementari, derivanti dall’obiettivo ulteriore di riduzione delle emissioni di NOx a 55 chilotonnellate per il 2010.

39.      Per parte mia, ricordo che in base alla condizione di selettività sono escluse dall’applicazione delle disposizioni in materia di aiuti le misure cosiddette generali, dirette a sostenere non attività o imprese specifiche, ma l’insieme degli operatori economici attivi sul territorio dello Stato. In proposito la giurisprudenza, per un verso, ha precisato che un intervento pubblico in favore di un numero indefinito di beneficiari identificati in applicazione di una serie di criteri obiettivi deve essere analizzato come un regime di aiuto costitutivo di una misura selettiva, se a causa dei suoi criteri di applicazione arrechi un vantaggio a talune imprese o a talune produzioni, con esclusione di altre (16). Per altro verso, essa ha chiarito che anche le misure apparentemente generali, in quanto non limitate settorialmente, né territorialmente, e non dirette ad una categoria ristretta di imprese, possono ricadere nel divieto di cui all’art. 87, n. 1, CE, se la loro attuazione, per quanto concerne in particolare la scelta dei destinatari, l’importo e le condizioni dell’intervento finanziario, è lasciata alla discrezionalità delle autorità nazionali (17). La Corte ha inoltre affermato che un aiuto può essere selettivo anche quando riguardi tutto un settore economico (18). Più in generale, emerge dalla giurisprudenza che la sussistenza del requisito di selettività deve fare l’oggetto di una valutazione caso per caso, mirata a verificare se la misura di cui trattasi, conto tenuto della sua natura, del suo ambito di applicazione, delle sue modalità di attuazione e dei suoi effetti, comporti o no vantaggi a esclusivo profitto di talune imprese o di taluni settori di attività (19). Nella sentenza Adria-Wien Pipeline, la Corte ha precisato che una tale valutazione impone di determinare se, nell’ambito di un dato regime giuridico, una misura statale sia tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre, le quali si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga tenuto conto dell’obiettivo perseguito da detto regime (20).

40.      È alla luce di tale giurisprudenza che occorre esaminare le critiche mosse dalla Commissione alla sentenza impugnata. Dirò subito che tali critiche mi paiono condivisibili.

41.      Premetto che la circostanza che una misura statale favorisca determinate imprese, individuate in base a elementi che caratterizzano la loro situazione rispetto a quella di tutti gli altri operatori economici – ad esempio perché appartenenti a un determinato settore o perché svolgono un certo tipo di attività (21), o ancora per le loro dimensioni (22) – opera, in linea di principio, nel senso di un riconoscimento del carattere selettivo di tale misura (23). Pertanto, la circostanza che la misura controversa si applichi unicamente alle imprese che dispongono di grandi stabilimenti industriali milita piuttosto in favore della sua natura selettiva.

42.      Nel caso di specie, poiché i vantaggi offerti dalla misura controversa sono collegati all’imposizione di oneri, il Tribunale ha ritenuto che fosse necessario provare che i medesimi oneri, ma non i relativi vantaggi, fossero imposti anche alle imprese escluse da detta misura e ha concluso che, in assenza di una tale prova, la situazione dei due gruppi di imprese non fosse comparabile e che i vantaggi concessi alle imprese appartenenti al primo gruppo non potessero considerarsi selettivi. Tale conclusione mi sembra criticabile sotto due aspetti.

43.      In primo luogo, essa mi sembra procedere da un presupposto di fatto erroneo. In effetti, la differenza quantitativa (24) degli obblighi di riduzione delle emissioni di NOx che incombono ai diversi impianti stabiliti nei Paesi Bassi in funzione del loro potenziale inquinante (obblighi che, per le 250 imprese interessate dalla misura controversa, comportano una riduzione complessiva di 55 chilotonnellate di NOx per il 2010) non costituisce, a mio avviso, un ostacolo alla possibilità di comparare la situazione delle imprese che gestiscono tali impianti dal punto di vista dell’onere che implica per esse il rispetto di detti obblighi. In effetti, un’impresa che dispone di uno o più impianti con una potenza installata inferiore a 20 MWth, che quindi non rientra nella misura controversa, può incontrare le stesse difficoltà, in termini di investimenti da effettuare e di costi da sostenere, ad adeguarsi ai limiti di emissione ad essa imposti di un’impresa che gestisce stabilimenti dotati di una potenza superiore a 20 MWth, per i quali la misura controversa stabilisce un obiettivo di riduzione delle emissioni quantitativamente superiore. In linea teorica, anzi, poiché i costi di abbattimento delle emissioni variano da impresa a impresa, non è neanche escluso che un tale adeguamento risulti più gravoso per la prima impresa, ove questa abbia costi di abbattimento più elevati rispetto a quelli della seconda (25). Ne consegue che, nonostante la diversità degli obblighi ad esse incombenti, l’onere che grava su queste due imprese è proporzionalmente comparabile.

44.      In secondo luogo, la conclusione cui giunge il Tribunale non mi sembra neanche in linea con la giurisprudenza Adria-Wien Pipeline, citata al punto 86 della sentenza impugnata e su cui si fonda l’intero ragionamento del giudice di prima istanza. In base al punto 41 di tale sentenza, per determinare se un provvedimento statale ha carattere selettivo occorre valutare se sia tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre imprese che si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga tenuto conto dell’obiettivo perseguito dal provvedimento. Nella specie, l’obiettivo ambientale della misura controversa è la riduzione delle emissioni industriali di NOx, vale a dire di gas inquinanti, per i quali non rileva la fonte di emissione che procede alla riduzione. Contrariamente a quanto conclude il Tribunale, rispetto a un tale obiettivo, tutte le imprese i cui stabilimenti industriali installati nei Paesi Bassi emettono NOx si trovano in una situazione comparabile (26). Tale comparabilità non viene meno per il solo fatto che per alcune di tali imprese lo Stato abbia deciso di perseguire detto obiettivo mediante la creazione di un sistema di scambio di diritti di emissione. Ove tale sistema conferisca un vantaggio alle imprese che vi partecipano, nonostante gli oneri che esso comporta, tale vantaggio ha natura selettiva, poiché favorisce solo un numero limitato, anche se cospicuo e determinato in base a criteri oggettivi, di imprese che emettono NOx nei Paesi Bassi.

45.      Numerosi precedenti giurisprudenziali confermano l’analisi che precede (27).

46.      In conclusione, ritengo che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel delineare la portata dell’onere probatorio a carico della Commissione, laddove ha concluso che quest’ultima fosse tenuta a dimostrare che le imprese non assoggettate alla misura controversa fossero sottoposte a obblighi di riduzione delle emissioni di NOx identici a quelli imposti alle imprese assoggettate a tale misura.

47.      Il Tribunale ha inoltre ritenuto che spettasse alla Commissione dimostrare che le imprese soggette a limiti di emissione diversi da quelli fissati dalla misura controversa fossero passibili di ammenda in caso di mancato rispetto di tali limiti. Per valutare se, nella specie, si giustifichi l’imposizione di un tale onere probatorio, occorre ricordare che, ai punti 68 e segg. della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che la misura controversa comportasse due distinti vantaggi a favore delle imprese che vi sono assoggettate. Da un lato, essa consentirebbe a tali imprese di negoziare tra loro i diritti di emissione risultanti indirettamente dal parametro di emissione loro imposto, dall’altro, essa permetterebbe alle imprese che hanno emesso più NOx rispetto al parametro di emissione stabilito di evitare un’ammenda acquistando diritti di emissione dalle imprese che hanno determinato un’eccedenza. Orbene, la prova che le imprese non assoggettate alla misura controversa sono passibili di ammenda nel caso di superamento dei limiti di emissione può essere necessaria per considerare selettivo il vantaggio costituito dalla possibilità di evitare l’imposizione di una siffatta ammenda, dato che in assenza di una tale prova la situazione di tali imprese non sarebbe logicamente comparabile, rispetto a tale vantaggio, a quella delle imprese assoggettate a detta misura. Tuttavia una siffatta prova non può assumere alcun rilievo trattandosi di valutare il carattere eventualmente selettivo del vantaggio costituito dalla negoziabilità dei diritti di emissione.

48.      Ne discende che, anche sotto tale profilo, il Tribunale ha male interpretato la portata dell’onere probatorio a carico della Commissione.

49.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che la seconda contestazione sollevata dall’istituzione ricorrente nel quadro della prima censura del suo secondo motivo di ricorso, con la quale si fa valere un errore di diritto nel delineare la portata dell’onere della prova ad essa incombente, sia fondata.

2.      Sulla seconda censura

50.      Anche nel quadro di tale censura la Commissione solleva due distinte contestazioni. Da un lato, il Tribunale avrebbe erroneamente concluso, all’ultima frase del punto 88 e ai punti 97‑100 della sentenza impugnata, che la misura controversa non costituisce un aiuto di Stato poiché ha a oggetto la tutela dell’ambiente. Dall’altro, esso avrebbe mal applicato la giurisprudenza secondo cui una misura non costituisce aiuto se essa si giustifica in base alla natura o all’economia generale del sistema nel quale si inserisce.

51.      Quanto alla prima contestazione, mi limito a rilevare che essa procede da una lettura errata della sentenza impugnata. Contrariamente a quanto sostenuto dall’istituzione ricorrente, infatti, nei passaggi da questa citati il Tribunale si limita in sostanza ad affermare che il criterio di determinazione delle imprese cui si applica la misura controversa è conforme allo scopo ambientale da essa perseguito e trova la sua giustificazione nella natura e nella struttura generale del sistema da essa creato. Parimenti da respingere è l’allegazione della Commissione – sollevata a titolo principale nel quadro della sua seconda contestazione – secondo cui il Tribunale sarebbe incorso in una contraddizione affermando, ai punti 97-100 della sentenza impugnata, che esiste nei Paesi Bassi un sistema più ampio in materia di emissione di NOx nel quale si iscrive la misura in questione, laddove, ai punti 91-94 di tale sentenza, esso ha imputato alla Commissione proprio di non aver provato l’esistenza di un siffatto regime generale. In effetti, da un lato, i punti 97-100 si fondano su una semplice ipotesi, peraltro formulata a titolo sovrabbondante, e, dall’altro, nei passaggi in cui menziona «la natura e la struttura generale del sistema», il Tribunale si riferisce al «sistema» creato dalla stessa misura controversa – rispetto al quale esso ritiene di dover verificare la coerenza della differenziazione tra imprese che esso assume esistente in via ipotetica (28) –, e non, come ritiene la Commissione, a un «più ampio» regime generale in materia di NOx applicato nei Paesi Bassi.

52.      Nel quadro della sua seconda contestazione, a titolo sussidiario, la Commissione sostiene che, contrariamente a quanto concluso dal Tribunale, l’attribuzione di diritti di emissione negoziabili a un numero limitato di imprese determinate in funzione della potenza degli stabilimenti industriali di cui esse dispongono non si giustifica né in base agli obiettivi ambientali della misura né in base alla natura o alla struttura del sistema. Al riguardo essa rinvia ai punti 52 e 53 della sentenza Adria‑Wien Pipeline, citata al paragrafo 39 delle presenti conclusioni. Più in generale, essa fa valere, da un lato, che incombe allo Stato membro interessato dimostrare, nel corso del procedimento amministrativo, che la misura notificata si giustifica in base alla natura e all’economia generale del sistema – prova che nella specie non sarebbe stata apportata dai Paesi Bassi –, e, dall’altro che una tale giustificazione, in quanto eccezione al principio secondo cui una misura che favorisce certe imprese costituisce un aiuto di Stato, va interpretata e applicata restrittivamente.

53.      Ricordo che, in base alla giurisprudenza richiamata al punto 97 della sentenza impugnata, la Corte ha precisato, con particolare riferimento a interventi statali a carattere fiscale, che anche provvedimenti che hanno carattere selettivo, in quanto introducono una differenziazione tra imprese, possono sottrarsi alla qualificazione di aiuto, qualora tale differenziazione risulti giustificata dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale in cui tali provvedimenti si inseriscono (29). Più in generale, la Corte applica il test previsto da tale giurisprudenza a «misure che introducono una distinzione tra imprese in materia di oneri» (30).

54.      Nella specie, al punto 99 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che «la determinazione delle imprese beneficiarie trova[sse] la sua giustificazione nella natura e nella struttura generale del sistema a causa delle loro rilevanti emissioni di NOx e del parametro specifico di riduzione che grava su di esse» e che «considerazioni di carattere ecologico giustifica[ssero] la distinzione tra le imprese che emettono elevate quantità di NOx e le altre imprese». Inoltre, secondo il Tribunale, «l’attuazione di tali principi deve tenere conto del combinato disposto degli artt. 6 CE e 87 CE».

55.      Il ragionamento del Tribunale non mi persuade. In primo luogo, non ritengo che la distinzione tra impianti più o meno inquinanti possa considerarsi «inerente» ad un regime diretto a ridurre l’inquinamento di origine industriale e pertanto necessariamente giustificato dal suo obiettivo ambientale. Come correttamente affermato dalla Commissione, dal punto di vista dell’impatto ambientale, ogni emissione di NOx è nociva, indipendentemente dalle dimensioni dell’impianto da cui proviene (31). Contrariamente a quanto afferma il Tribunale, una differenziazione tra imprese fondata unicamente su un criterio quantitativo del tipo di quello applicato dalla misura controversa non può considerarsi di per sé giustificata da considerazioni di ordine ecologico. Rilevo peraltro che il rinvio fatto dal Tribunale al combinato disposto degli artt. 6 CE e 87 CE, senza ulteriori precisazioni, richiama alcuni dei motivi della sentenza British Aggregates, adottata dal Tribunale il 13 settembre 2006, censurati dalla Corte qualche mese dopo l’adozione della sentenza impugnata (32).

56.      In secondo luogo, in assenza di prove – che spettava al governo dei Paesi Bassi apportare (33) – circa l’inapplicabilità del PSR a imprese con stabilimenti industriali di dimensioni inferiori a quelle stabilite dalla misura controversa non è possibile concludere, come fa il Tribunale, che la differenziazione tra imprese operata da tale misura discende dalla natura e dalla struttura generale del sistema a causa del parametro specifico di riduzione che grava su alcune di esse e non su altre.

57.      In base a quanto precede, ritengo che anche la seconda contestazione avanzata dalla Commissione nel quadro della sua seconda censura sia fondata e che il Tribunale abbia commesso un errore nel concludere, ai punti 97‑100 della sentenza impugnata, che la differenziazione operata dalla misura controversa tra imprese con stabilimenti di potenza superiore a 20 MWth e imprese con stabilimenti di potenza inferiore a tale soglia trovasse una giustificazione nella natura e nella struttura del sistema ai sensi della giurisprudenza citata al paragrafo 53 supra.

C –    Conclusioni sull’impugnazione principale

58.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di accogliere il secondo motivo d’impugnazione, sollevato a titolo sussidiario dalla Commissione, e di annullare la sentenza impugnata.

V –    Sulle impugnazioni incidentali

59.      I Paesi Bassi e la Germania sollevano un’impugnazione incidentale contro la parte della sentenza in cui il Tribunale ha respinto la censura avanzata in prima istanza dai Paesi Bassi, vertente su un’applicazione scorretta da parte della Commissione della nozione di «vantaggio finanziato mediante risorse statali» ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (punti 63‑78 della sentenza impugnata).

60.      L’impugnazione della Germania è sollevata in via sia autonoma sia condizionata all’accoglimento nel merito dell’impugnazione principale. Nella misura in cui costituisce un gravame autonomo, essa deve, a mio avviso, essere dichiarata irricevibile. In effetti, risulta da una giurisprudenza costante che solo le parti totalmente o parzialmente soccombenti in primo grado possono proporre impugnazione contro una sentenza del Tribunale (34). Nella specie, sebbene quest’ultimo abbia respinto, nella parte della sentenza su cui verte l’impugnazione incidentale, il motivo avanzato dai Paesi Bassi, sostenuti dalla Germania, esso ha nondimeno accolto pienamente le conclusioni presentate da detti Stati membri, annullando integralmente la decisione contestata. L’impugnazione di tali Stati membri non è dunque ricevibile se non nei limiti in cui la Corte, accogliendo nel merito l’impugnazione principale della Commissione, rimetta in questione la qualificazione della misura controversa operata dal Tribunale.

61.      A sostegno delle loro impugnazioni incidentali i Paesi Bassi e la Germania fanno valere un motivo unico, relativo a una violazione dell’art. 87, n. 1, CE, articolato in due distinte censure. In primo luogo, la misura controversa non conferirebbe alcun vantaggio alle imprese a essa assoggettate e, in secondo luogo, quand’anche fosse accertata l’esistenza di un tale vantaggio, questo non sarebbe finanziato mediante risorse pubbliche. Il Tribunale avrebbe pertanto interpretato e applicato in modo scorretto le nozioni di «vantaggio» e di «finanziamento mediante risorse statali», di cui all’art. 87, n. 1, CE.

A –    Sulla prima censura, relativa a un’errata interpretazione e applicazione della nozione di vantaggio ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE

62.      Con la prima censura dell’unico motivo d’impugnazione, i governi dei Paesi Bassi e tedesco contestano anzitutto la conclusione del Tribunale secondo cui la negoziabilità dei diritti di emissione prevista dalla misura controversa costituirebbe per le imprese un vantaggio. I Paesi Bassi contestano inoltre la conclusione, contenuta al punto 73 della sentenza impugnata, secondo cui la misura controversa consente alle imprese che hanno emesso NOx in eccesso rispetto al parametro fissato di evitare il pagamento di un’ammenda acquistando diritti di emissione sul mercato.

1.      Sulla negoziabilità dei diritti di emissione

63.      In via preliminare, occorre ricordare che, in linea con l’importanza che riveste dal punto di vista del diritto dell’Unione l’obiettivo dell’istituzione e del mantenimento di un regime di libera concorrenza (35), la Corte ha, fin dalle sue prime sentenze, interpretato estensivamente la nozione di aiuto di Stato. Tale nozione vale a designare non soltanto prestazioni positive, quali le sovvenzioni, ma anche «interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono identici effetti» (36). Per contro, una misura diretta a evitare che gravi sul bilancio di un’impresa un onere che, in circostanze normali, non sarebbe esistito, non costituisce aiuto (37). Inoltre, come si è già avuto modo di ricordare, secondo una costante giurisprudenza, l’art. 87, n. 1, CE non distingue gli interventi statali a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti (38). Ne consegue che, il solo fatto che una misura statale persegua obiettivi di politica economica, strutturale, sociale (39) o ambientale (40) non è di per sé sufficiente a sottrarli alla qualificazione come aiuti ai sensi della suddetta disposizione (41). Più in generale, come sottolineato dall’avvocato generale Leger nella causa Altmark (42), gli elementi caratteristici della misura – quali la forma in cui viene concesso l’aiuto, lo status giuridico della misura secondo il diritto nazionale, la sua appartenenza a un regime di aiuti, i suoi obiettivi, o l’intenzione delle autorità pubbliche e dell’impresa beneficiaria – non sono rilevanti nella fase della determinazione dell’esistenza di un aiuto, in quanto non possono avere effetti sulla concorrenza. Possono tuttavia diventare pertinenti in una fase successiva dell’analisi, per valutare la compatibilità dell’aiuto alla luce delle disposizioni derogatorie del Trattato.

64.      È sulla base, in particolare, di tali principi che occorre esaminare gli argomenti avanzati dai Paesi Bassi e dalla Germania. A sostegno della tesi secondo cui la negoziabilità dei diritti di emissione non comporta alcun vantaggio per le imprese assoggettate alla misura controversa, detti Stati membri osservano anzitutto che tali imprese possono vendere i loro diritti di emissione solo se e nei limiti in cui, grazie agli investimenti che hanno realizzato, riescono a ridurre le loro emissioni di NOx in misura maggiore rispetto al parametro fissato. Pertanto, la quantità dei diritti di emissione che esse possono negoziare non sarebbe predeterminata ma sarebbe unicamente funzione di tale riduzione supplementare. Inoltre, il valore di tali diritti sarebbe determinato dagli operatori interessati e dipenderebbe esclusivamente dalla quantità di diritti disponibili sul mercato. Il governo tedesco osserva inoltre che tale valore potrebbe anche essere pari a zero, ove tutte le imprese del sistema rispettassero i limiti di emissione loro imposti. In ogni caso, secondo tale governo, una prestazione consistente in una contropartita al prezzo di mercato non conferisce alcun vantaggio e non costituisce aiuto di Stato.

65.      Tali argomenti mirano, da un lato, a mettere in discussione l’imputabilità allo Stato del presunto vantaggio costituito dalla negoziabilità dei dritti di emissione e, dall’altro, a mettere in dubbio l’esistenza stessa di tale vantaggio, qualificandolo come meramente teorico. Essi sono, a mio avviso, da respingere sotto entrambi i profili.

66.      Sotto il primo profilo, ricordo che la forma mediante la quale si realizza un intervento statale è irrilevante ai fini della sua qualificazione come aiuto; anche una misura che comporta un vantaggio meramente indiretto per l’impresa beneficiaria, alleviando gli oneri che gravano normalmente sul suo bilancio, può costituire aiuto ai sensi dell’art. 107, n. 1, TFUE. Inoltre, l’imputabilità allo Stato del vantaggio che deriva da un intervento pubblico non viene meno per il solo fatto che, per conseguire tale vantaggio, l’impresa beneficiaria, sia tenuta a porre in essere un determinato comportamento (43). Nella specie, poi, indipendentemente da ogni considerazione circa la condotta richiesta alle imprese assoggettate alla misura controversa, è chiaro che se la negoziabilità dei diritti di emissione di NOx conferisce loro un vantaggio, questo dipende anzitutto dal fatto che lo Stato, da un lato, autorizza la vendita di tali diritti e, dall’altro, permette alle imprese che hanno emesso NOx in eccesso di acquistare i diritti di emissione mancanti da altre imprese del sistema, consentendo in questo modo la creazione di un mercato di tali diritti. Pertanto, come correttamente affermato al punto 70 della sentenza impugnata, un tale vantaggio, ove confermato, sarebbe riconducibile all’intervento dello Stato, nonostante quest’ultimo non conceda in modo diretto diritti di emissione alle imprese interessate.

67.      Sotto il secondo profilo, il fatto che, in presenza di determinate circostanze, il vantaggio collegato a uno specifico intervento statale possa non concretizzarsi in un reale beneficio per l’impresa interessata – come sarebbe il caso ove tutte le imprese partecipanti al sistema si limitassero a rispettare i limiti di emissione loro imposti – non consente, a mio avviso, di escludere ipso facto una sua presa in conto ai fini della qualificazione dell’intervento come aiuto. Peraltro, nella specie, occorre rilevare, da un lato, che il sistema creato dalla misura controversa è destinato a disciplinare la riduzione delle emissioni di NOx nel settore industriale per diversi anni, e, dall’altro, che, come emerge in particolare dal punto 71 della sentenza impugnata, le imprese appartenenti a tale sistema hanno la possibilità di negoziare tutti i diritti di emissione e non soltanto quelli resi disponibili, a fine anno, dalla differenza positiva tra emissioni realizzate e emissioni autorizzate. In tali circostanze, l’ipotesi formulata dal governo tedesco è, nella pratica, destinata a rimanere marginale.

68.      I Paesi Bassi e la Germania fanno altresì valere che il sistema di diritti negoziabili mira a compensare i costi sostenuti dalle imprese per ridurre le emissioni o, alternativamente, per acquistare i diritti necessari a rispettare il parametro fissato. Tale sistema non condurrebbe ad alleviare gli oneri che gravano normalmente il bilancio delle imprese in questione, e non conferirebbe loro alcun vantaggio, ma sarebbe da mettere in relazione con i limiti di emissioni più severi imposti dalla misura controversa. Infine, il governo tedesco osserva che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, neanche la funzione di credito conferita ai diritti di emissione consente di concludere all’esistenza di un vantaggio a favore delle imprese che fanno parte del sistema.

69.      Ritengo che anche tali argomenti siano da respingere.

70.      In via preliminare, ricordo che l’esistenza di un aiuto non è, in linea di principio, esclusa nel caso in cui la misura in questione sia destinata a compensare svantaggi o costi aggiuntivi che colpiscono le imprese interessate a seguito di congiunture economiche sfavorevoli, interventi legislativi (44) o ancora modifiche del quadro regolamentare applicabile a tali imprese (45).

71.      Ciò premesso, rilevo che, secondo quanto affermato dagli stessi Paesi Bassi, le imprese che hanno realizzato investimenti per ridurre le emissioni di NOx al di sotto del limite risultante dall’applicazione del PSR possono, vendendo sul mercato i relativi diritti di emissione, recuperare, anche solo in parte, i costi connessi a tali investimenti. Da parte loro, le imprese che invece non riescono a rispettare tale limite potranno scegliere se investire in misure atte a ridurre le emissioni dei loro impianti oppure acquistare i necessari diritti di emissione sul mercato. Come lo stesso agente dei Paesi Bassi ha sottolineato in udienza, tale scelta dipenderà in particolare dalla differenza tra i costi per acquistare i diritti di emissione, variabili in funzione dell’andamento del mercato, e quelli necessari a finanziare gli interventi per ridurre le emissioni di NOx. In entrambi i casi, le imprese appartenenti al sistema potranno dunque, per effetto della negoziabilità dei diritti di emissione autorizzata dai Paesi Bassi, ridurre, in misura più o meno variabile, costi connessi ad investimenti ambientali o comunque derivanti dal rispetto di obblighi ambientali, i quali gravano normalmente il loro bilancio (46). La possibilità di una tale riduzione costituisce per tali imprese un vantaggio. Più in generale, come evidenziato dai Paesi Bassi nelle risposte ai quesiti scritti posti dal Tribunale, nel sistema di scambio di diritti di NOx, le imprese «determinano esse stesse il modo in cui rispetteranno la norma di emissione imposta». Tale sistema consente, inoltre, di ripartire all’interno del gruppo delle 250 imprese interessate i costi aggregati dell’adeguamento a detta norma, con un vantaggio sia per le imprese i cui costi di abbattimento delle emissioni sono bassi, le quali potranno monetizzare le riduzioni al di sotto della norma, sia per le imprese per le quali tali costi sono più elevati, le quali dispongono di un’alternativa agli interventi strutturali necessari a rispettare la norma.

72.      In tali circostanze, l’affermazione dei Paesi Bassi e della Germania, secondo cui la negoziabilità dei diritti di emissione è da mettere in relazione con gli obiettivi più severi imposti alle imprese in questione in tema di riduzione delle emissioni di NOx è priva di rilevanza. Nella misura in cui tale affermazione mira a giustificare i vantaggi connessi alla negoziabilità dei diritti di emissione sopra illustrati mediante il riferimento agli obiettivi ambientali perseguiti dalla misura controversa, essa è da respingere in forza della giurisprudenza costante della Corte, richiamata al paragrafo 63 supra, secondo cui l’art. 87, n. 1, CE non distingue gli interventi statali a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce unicamente in funzione dei loro effetti.

73.      Ugualmente da respingere è l’argomento, evocato dal governo tedesco e ribadito in udienza dall’agente dei Paesi Bassi, secondo cui la negoziabilità dei diritti di emissione costituisce una contropartita, a prezzo di mercato, degli sforzi compiuti dalle imprese per ridurre le loro emissioni di NOx. In effetti, come si è appena esposto, i costi di abbattimento delle emissioni, quand’anche miranti a ridurre queste ultime al di sotto della soglia concessa per legge ad una singola impresa, rientrano nei costi che gravano normalmente il bilancio dell’impresa e una tale riduzione non può essere considerata un «servizio» per il quale la negoziabilità costituirebbe una contropartita a prezzo di mercato. Se il meccanismo di ricompensa insito nel sistema di scambio dei diritti di emissione creato dalla misura controversa può essere preso in conto nel valutare la sua compatibilità con il mercato interno (47), esso è tuttavia privo di rilievo trattandosi di considerare se detta misura conferisce alle imprese ad essa assoggettate un vantaggio suscettibile di costituire aiuto ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

74.      Infine, a quanto fin qui esposto occorre aggiungere che, come si è già ricordato sopra, le imprese assoggettate alla misura controversa hanno la possibilità, entro certi limiti, di negoziare tutti i diritti di emissione e non soltanto quelli resi disponibili, a fine anno, dalla differenza positiva tra emissioni realizzate e emissioni autorizzate. Ciò conferisce loro l’ulteriore vantaggio di poter disporre di liquidità vendendo i diritti di emissione prima che siano realizzate le condizioni per la loro definitiva assegnazione.

2.      Sulla possibilità di eludere l’ammenda

75.      I Paesi Bassi ritengono che il Tribunale abbia commesso un errore nell’affermare, al punto 73 della sentenza impugnata, che la misura controversa conferirebbe un vantaggio alle imprese che hanno emesso più NOx rispetto al parametro di emissione stabilito, poiché darebbe loro la possibilità di evitare l’imposizione di un’ammenda acquistando diritti di emissione dalle imprese che hanno determinato un’eccedenza.

76.      A sostegno della loro allegazione, essi fanno valere essenzialmente che il pagamento dell’ammenda non esonera le imprese dall’acquisto dei diritti di emissione mancanti e, di conseguenza, non costituisce per queste ultime una reale alternativa. Dirò subito che tale argomento, quand’anche si dovesse considerare volto a far valere un errore di diritto e non a rimettere in questione le valutazioni di fatto contenute nella sentenza impugnata, mi sembra inoperante, poiché non consente di contraddire la conclusione del Tribunale, secondo cui, acquistando i diritti di emissione mancanti prima della fine dell’anno, le imprese che hanno superato il parametro di emissione si sottraggono all’applicazione dell’ammenda.

77.      D’altro canto, non si può neanche sostenere, come sembrano implicitamente fare i Paesi Bassi, che una tale conclusione non tiene conto del fatto che il comportamento sanzionabile consiste nel non rispetto di due condizioni da considerarsi cumulative: il superamento del parametro fissato e il mancato acquisto dei diritti di emissione in difetto. Un tale argomento pecca infatti di eccessivo formalismo. Rispetto a un’impresa esclusa dal sistema di scambio dei diritti di emissione creato dalla misura controversa, la quale è tenuta a rispettare i limiti di emissione imposti o a pagare un’ammenda (48), le imprese che fanno parte di tale sistema, ove superino il parametro fissato, dispongono di un’alternativa alla sanzione. Contrariamente a quanto sembrano affermare i Paesi Bassi, tale alternativa è reale. Dette imprese possono, infatti, alla fine di ciascun anno, decidere se acquistare subito i diritti mancanti o pagare l’ammenda e acquistarli in un momento successivo (49). Esse sceglieranno la prima opzione qualora, in funzione del valore dei diritti di emissione sul mercato, sia per esse più vantaggioso acquistare i diritti mancanti piuttosto che pagare l’ammenda. Sceglieranno invece la seconda opzione qualora ritengano che il valore dei diritti sul mercato diminuirà in misura tale da rendere più vantaggioso differire l’acquisto malgrado ciò implichi il pagamento dell’ammenda, oppure qualora considerino di poter disporre per l’anno successivo, grazie ad investimenti effettuati o da effettuare, di diritti di emissione in eccesso in misura tale da compensare quelli mancanti nell’anno in corso (inclusa l’ulteriore riduzione del 25% che sarà loro imposta).

78.      Ritengo dunque che gli argomenti sollevati dai Paesi Bassi non consentano di concludere che il punto 73 della sentenza impugnata è viziato da un errore di diritto.

3.      Conclusioni sulla prima censura

79.      In base a quanto precede, la prima censura, relativa a un’erronea interpretazione e applicazione della nozione di vantaggio ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, deve, a mio avviso, essere respinta.

B –    Sulla seconda censura, relativa a un’erronea interpretazione e applicazione della nozione di «finanziamento mediante risorse statali» ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE

80.      Con la seconda censura, i Paesi Bassi e la Germania contestano la conclusione, contenuta ai punti 75‑77 della sentenza impugnata, secondo cui i vantaggi conferiti dalla misura controversa sarebbero finanziati tramite risorse statali.

81.      Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha in sostanza ritenuto che, mettendo gratuitamente a disposizione delle imprese interessate i diritti di emissione di NOx, invece di venderli o di metterli all’asta e consentendo alle imprese che hanno emesso NOx in eccesso di evitare il pagamento dell’ammenda acquistando sul mercato i diritti di emissione mancanti, i Paesi Bassi avessero rinunciato a risorse statali. Esso si è fondato su una giurisprudenza consolidata della Corte in base alla quale anche la rinuncia da parte dello Stato a percepire entrate, pur non comportando alcun trasferimento di risorse pubbliche, può costituire aiuto (50). In base a tale giurisprudenza, la Corte ha già affermato che possono soddisfare al requisito del finanziamento mediante risorse statali un’esenzione o uno sgravio fiscale (51), un riporto di imposte e, a determinate condizioni, delle agevolazioni di pagamento di contributi previdenziali concesse in modo discrezionale ad un’impresa dall’ente preposto alla loro riscossione (52), la fornitura di beni o servizi a condizioni preferenziali (53), la rinuncia effettiva a crediti pubblici o un’esenzione dall’obbligo di pagamento di ammende o altre sanzioni pecuniarie (54).

82.      A sostegno della loro censura, i Paesi Bassi fanno anzitutto valere che essi si sono limitati a «creare un quadro legislativo per ridurre le emissioni di NOx in modo vantaggioso per le imprese con grandi stabilimenti industriali». Essi sottolineano che i diritti di emissione che possono essere negoziati sono creati direttamente da tali imprese e il loro valore è determinato dal mercato. Un tale sistema permetterebbe alle imprese di «compensare» tra loro le emissioni in eccesso e in difetto rispetto alla norma imposta. Poiché tali argomenti mirano in sostanza a mettere in questione l’imputabilità allo Stato dei vantaggi derivanti dalla negoziabilità dei diritti di emissione, mi limito al riguardo a rinviare ai punti 66 e segg. supra, in cui questo aspetto è già stato discusso (55).

83.      I Paesi Bassi osservano inoltre che l’alternativa indicata dal Tribunale nella sentenza impugnata, vale a dire la vendita o la messa all’asta dei diritti di emissione di NOx da parte dello Stato si sarebbe risolta in un aggravio per le imprese già sottoposte a severi obiettivi di riduzione di tali emissioni e sarebbe comunque incompatibile con il sistema messo in atto. Tale argomento non mi sembra poter prosperare. In effetti, considerazioni attinenti all’esigenza di preservare la coerenza del sistema e il suo effetto incitativo, nonché, più in generale, il suo obiettivo ambientale, mentre possono venire in rilievo nel valutare la compatibilità della misura controversa con il mercato interno, sono irrilevanti al fine di determinare se i vantaggi che essa conferisce alle imprese interessate sono finanziati mediante risorse pubbliche. Peraltro, se è vero che l’imposizione alle imprese interessate di obiettivi di riduzione delle emissioni particolarmente severi, da un lato, e l’attribuzione a queste imprese di diritti di emissione negoziabili, dall’altro, costituiscono aspetti di un unico sistema, essi possono nondimeno essere considerati separatamente nel valutare se tale sistema implica elementi di aiuto (56).

84.      Più solido mi sembra invece l’argomento sollevato dal governo tedesco, il quale osserva che il diritto comunitario non impone agli Stati membri di vendere o mettere all’asta i diritti di emissione di inquinanti atmosferici ma li lascia liberi di scegliere se attribuirli dietro pagamento o gratuitamente.

85.      È vero, come riconosciuto dalla stessa Commissione sia in prima istanza, sia in udienza dinanzi alla Corte, che il diritto comunitario non prevede un tale obbligo, né impone agli Stati membri di mettere in atto un particolare sistema per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di NOx fissati dalla direttiva 2001/81. Gli Stati membri sono in sostanza liberi di adottare un sistema tradizionale, basato sull’imposizione di tecnologie o la fissazione di limiti massimi di emissione, assortito di sanzioni in caso di trasgressione, o uno strumento di regolazione fondato sul meccanismo di mercato, attraverso la creazione di un sistema di diritti di emissione negoziabili, o ancora, come nel caso dei Paesi Bassi, combinare le due possibilità. Nel caso in cui scelgano un sistema di diritti negoziabili, essi sono liberi di optare tra l’attribuzione gratuita di tali diritti (cosiddetta grandfathering) oppure la vendita o la messa all’asta degli stessi.

86.      Mi sembra tuttavia che una tale libertà non escluda la possibilità che gli interventi volti a dare attuazione all’opzione scelta comportino elementi di aiuto, allo stesso modo in cui le modalità mediante le quali si dà attuazione a un regime fiscale possono implicare la concessione di aiuti, nonostante, in assenza di specifici obblighi comunitari, gli Stati siano in principio liberi di decidere se far ricorso o meno alla leva fiscale e non siano tenuti a realizzare entrate tributarie in una misura determinata.

87.      Nella specie, sono piuttosto incline a considerare che, qualora uno Stato membro autorizzi ed anzi incentivi la creazione di un mercato dei diritti di emissione di inquinanti atmosferici, conferendo, in sostanza, a tali diritti il carattere di beni immateriali negoziabili, il fatto di mettere questi ultimi a disposizione delle imprese operanti su detto mercato, direttamente o indirettamente, a titolo gratuito, si configuri come «rinuncia a risorse pubbliche» sulla falsariga della giurisprudenza citata al paragrafo 81 supra.

88.      Gli argomenti che i governi dei Paesi Bassi e tedesco fanno valere contro una tale conclusione non mi sembrano persuasivi.

89.      Anzitutto, detti governi negano che vi sia, nella specie, un’attribuzione di diritti di emissione da parte dello Stato, poiché tali diritti sarebbero la conseguenza del comportamento delle imprese e degli investimenti da esse realizzati al fine di ridurre le loro emissioni. Tale argomento non regge all’esame dei fatti, da cui emerge che se lo Stato non procede a una vera e propria attribuzione di tali diritti, esso li mette nondimeno indirettamente a disposizione delle imprese che partecipano al sistema. In proposito, giova ricordare che, secondo quanto accertato dal Tribunale (57), i diritti di emissione possono essere negoziati in ogni momento, vale a dire anche prima che siano realizzate le condizioni per la loro creazione (riduzione delle emissioni al di sotto del limite imposto). Occorre inoltre rilevare che, come emerge dalle risposte dei Paesi Bassi alle questioni scritte poste dal Tribunale, nella fase di avvio del sistema di scambio dei diritti in questione, lo Stato non si è limitato ad autorizzare la negoziazione di tali diritti, lasciando interamente al meccanismo del mercato la determinazione della quantità e del valore dei diritti disponibili allo scambio, ma ha fissato la norma di emissione a un livello intenzionalmente basso, tale da consentire alla maggior parte delle imprese di disporre di un numero sufficiente di crediti da scambiare e da consentire la fissazione del valore dei diritti a un livello vantaggioso per tali imprese.

90.      I governi dei Paesi Bassi e tedesco osservano inoltre che i diritti di emissione in questione sono privi di valore al momento della loro messa a disposizione delle imprese, acquisendo un valore effettivo solo una volta collocati sul mercato. Una tale circostanza non mi sembra rivestire carattere decisivo. Infatti, ciò che conta al fine di verificare se lo Stato abbia rinunciato a entrate mettendo gratuitamente a disposizione delle imprese tali diritti è l’idoneità degli stessi a costituire oggetto di transazioni commerciali e ad acquisire un valore sul mercato. Peraltro, come correttamente sottolineato dalla Commissione, poiché i diritti di emissione possono essere negoziati in ogni momento, risulta artificioso separare la fase di messa a disposizione del diritto da quella di negoziazione dello stesso.

91.      La possibilità concessa dal sistema di negoziare diritti non ancora sorti priva di fondamento in fatto anche l’argomento avanzato dal governo tedesco, secondo cui le imprese che emettono meno NOx rispetto alla soglia loro applicabile maturano nei confronti dello Stato un diritto ad ottenere il certificato corrispondente, diritto che escluderebbe la facoltà per lo Stato di esigere un prezzo o di mettere all’asta un tale certificato.

92.      Infine, i governi dei Paesi Bassi e tedesco traggono argomenti a favore della loro tesi dalla presunta similitudine tra la presente fattispecie e quella oggetto della causa che ha dato origine alla sentenza PreussenElektra (58). Anche tali argomenti mi sembrano complessivamente da respingere. Nella sentenza PreussenElektra la Corte ha escluso che comportasse un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE una normativa statale che, da un lato, imponeva alle imprese private di fornitura di energia elettrica un obbligo di acquisto di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili a prezzi minimi superiori al valore economico di tale tipo di energia e, dall’altro, ripartiva l’onere finanziario derivante da tale obbligo tra le imprese di fornitura e i gestori privati delle reti di energia elettrica situati a monte. Secondo la Corte, in assenza di un trasferimento diretto o indiretto di risorse statali, il fatto che tale normativa conferisse un indubbio vantaggio economico alle imprese produttrici di energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili e che tale vantaggio fosse la conseguenza dell’intervento dei pubblici poteri non era sufficiente a qualificare la misura in questione come aiuto (59). In particolare, al punto 62, la Corte ha considerato che la circostanza che l’onere finanziario derivante dall’obbligo di acquisto a prezzi minimi potesse ripercuotersi in modo negativo sui risultati economici delle imprese soggette a tale obbligo, e quindi determinare una diminuzione delle entrate fiscali dello Stato, costituiva una «conseguenza inerente a una disciplina del genere e non (…) un mezzo per concedere ai produttori di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili un vantaggio determinato a carico dello Stato». Ora, nella specie, la messa a disposizione gratuita di diritti di emissione negoziabili in favore delle imprese interessate e la conseguente rinuncia da parte dello Stato a percepire il relativo corrispettivo non può considerarsi paragonabile alla diminuzione delle entrate indotta dall’impatto (meramente potenziale) di un obbligo di acquisto a prezzi fissi imposto dallo Stato. Detta rinuncia non può in particolare considerarsi come «inerente» ad ogni strumento diretto a regolare le emissioni di inquinanti atmosferici tramite un sistema di scambio di diritti di emissioni. In effetti, come si è visto, quando ricorre a tali strumenti, lo Stato dispone, in principio, della scelta tra attribuzione gratuita ovvero alienazione o messa all’asta di tali diritti. Inoltre, nella specie, esiste un nesso sufficientemente diretto tra la misura controversa e la perdita di introiti da parte dello Stato, che invece mancava tra l’imposizione dell’obbligo di acquisto in questione e l’eventuale diminuzione di entrate fiscali nella causa PreussenElektra. Le fattispecie in quest’ultima causa e in quella odierna non sono dunque assimilabili e la soluzione adottata dalla Corte nella prima non è pertanto trasponibile al caso di specie (60).

93.      In conclusione, non mi sembra che gli elementi avanzati dai governi dei Paesi Bassi e tedesco siano tali da far emergere una violazione dell’art. 87, n. 1, CE, da parte del Tribunale, laddove esso conclude, ai punti 75-78 della sentenza impugnata, che, in circostanze come quelle del caso di specie, mettendo indirettamente a disposizione delle imprese interessate i diritti di emissione in questione a titolo gratuito, i Paesi Bassi concedono a tali imprese un bene rinunciando a percepire l’introito corrispondente al suo prezzo di vendita o derivante dalla sua messa all’asta. Milita invece a favore di una tale conclusione l’interpretazione ampia della nozione di aiuto che la Corte ha adottato fin dalle sue prime pronunce, in considerazione dell’importanza dell’obiettivo della creazione di un mercato interno in cui le condizioni di concorrenza non siano falsate da interventi unilaterali degli Stati membri (61). Tale approccio si riflette anche sulla giurisprudenza relativa alla condizione del finanziamento mediante risorse pubbliche. In proposito, oltre alla giurisprudenza richiamata al paragrafo 81 supra, in cui rientra già una nutrita e variegata casistica di «finanziamenti mediate rinuncia a entrate pubbliche», ricordo che la Corte ha iterativamente affermato che l’art. 107, n. 1, CE comprende tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche possono realmente usare per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che questi strumenti appartengano o meno permanentemente al patrimonio dello Stato, purché restino costantemente sotto il controllo pubblico (62). Giova inoltre rilevare che i casi in cui la Corte ha negato l’esistenza di un finanziamento mediante risorse statali si riferivano a situazioni nelle quali decidere altrimenti avrebbe chiaramente significato riconoscere come coperti dalla nozione di aiuto anche vantaggi che, sebbene riconducibili all’intervento dello Stato, non implicavano alcun trasferimento diretto o indiretto di risorse statali (63) e annullare, di fatto, uno degli elementi costitutivi della nozione di aiuto ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (64).

94.      I Paesi Bassi contestano altresì la conclusione del Tribunale secondo cui essi rinuncerebbero a entrate pubbliche consentendo alle imprese che hanno emesso NOx in eccesso di evitare il pagamento di un’ammenda acquistando sul mercato i diritti di emissione mancanti. Al riguardo essi ribadiscono che l’ammenda in questione costituisce una sanzione supplementare rispetto alla fornitura dei diritti di emissione mancanti. Tale argomento è già stato discusso e respinto ai paragrafi 76 a 78 supra, ai quali rinvio. La contestazione sollevata dai Paesi Bassi non può dunque essere accolta.

C –    Conclusioni sulle impugnazioni incidentali

95.      In base all’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere le impugnazioni incidentali dei Paesi Bassi e della Germania.

VI – Sul ricorso di primo grado

96.      Conformemente all’art. 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, la Corte può statuire essa stessa definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

97.      Nella fattispecie, non è necessario rinviare la causa al Tribunale. Come sostengono sia la Commissione sia i governi resistenti, lo stato degli atti consente infatti alla Corte di statuire sulla controversia. A tal fine, occorre esaminare il secondo motivo di ricorso sollevato dai Paesi Bassi a sostegno del suo ricorso, relativo a un difetto di motivazione della Decisione, sul quale il Tribunale non ha statuito.

A –    Sul secondo motivo di ricorso, relativo a una violazione dell’obbligo di motivazione

98.      I Paesi Bassi fanno valere che la Decisione, nella parte in cui la Commissione conclude all’esistenza di un aiuto di Stato, non è debitamente motivata.

99.      Essi sostengono, in primo luogo, che la Commissione ha affermato a torto nella Decisione che un’impresa che non rispetta la soglia di emissioni imposta e si vede perciò infliggere un’ammenda riceve comunque dei crediti di emissione. Tale argomento è da respingere nella misura in cui mira a far valere un errore di fatto piuttosto che un difetto di motivazione della Decisione. Del pari da respingere è l’argomento, analogo, che i Paesi Bassi fanno valere al punto 65 del ricorso.

100. In secondo luogo, i Paesi Bassi rilevano talune ambiguità e contraddizioni nella motivazione della Decisione. Anzitutto la Commissione si sarebbe contraddetta affermando, da un lato, che i diritti di emissione sono distribuiti gratuitamente alle imprese e, dall’altro, che la riduzione delle emissioni di NOx al disotto della soglia da parte delle imprese costituirebbe una contropartita. Al riguardo, è sufficiente rilevare che le due affermazioni sono contenute rispettivamente nella parte della Decisione relativa all’esame dell’esistenza di un aiuto e in quella riguardante la valutazione della compatibilità dell’aiuto con il mercato interno. Nel quadro di tale valutazione, la Commissione ha ritenuto che la circostanza che le imprese fossero incentivate a ridurre le loro emissioni in misura superiore alla soglia loro concessa costituisse una contropartita, «in linea con lo spirito delle linee guida comunitarie sugli aiuti di Stato in materia ambientale», del vantaggio accordato a tali imprese dalla misura controversa (punto 3.3 della Decisione). Una tale conclusione non è in alcun modo in contraddizione con l’affermazione secondo cui i diritti di emissione di NOx sono concessi gratuitamente alle imprese assoggettate a tale misura.

101. Secondo lo Stato membro ricorrente, il ragionamento della Commissione sarebbe inoltre impreciso laddove si afferma, nelle conclusioni (punto 4 della Decisione), che un sistema «dynamic‑cap» come quello adottato nei Paesi Bassi ha un risultato ambientale incerto e comporta dei costi amministrativi maggiori e per queste ragioni non incontra il favore della Commissione. In proposito, mi limito a rilevare che emerge chiaramente dall’insieme delle considerazioni svolte nella Decisione che una tale affermazione, da considerarsi come una sorta di obiter dictum nell’economia della motivazione di tale atto, non ha avuto alcun rilievo nella qualificazione della misura controversa come aiuto, né ha inciso sull’esame della sua compatibilità con il mercato interno. L’argomento dei Paesi Bassi va pertanto disatteso.

102. In terzo luogo, i Paesi Bassi affermano che la Commissione avrebbe omesso di motivare adeguatamente la conclusione secondo cui la misura controversa incide sugli scambi tra Stati membri e falsa la concorrenza. Anche tale argomento mi sembra da respingere. In effetti, il penultimo paragrafo del punto 3.2 della Decisione fornisce una motivazione sufficiente, sebbene concisa, circa le ragioni per cui la Commissione ritiene che la misura controversa conferisca un vantaggio concorrenziale alle imprese ad essa assoggettate suscettibile di incidere sul commercio fra gli Stati membri.

103. Sulla base di quanto precede, il secondo motivo di ricorso è, a mio avviso, infondato. Ne consegue che il ricorso di primo grado va integralmente respinto.

VII – Conclusioni

104. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di:

–        accogliere l’impugnazione principale e annullare la sentenza del Tribunale di primo grado 10 aprile 2008, causa T-233/04, Paesi Bassi/Commissione;

–        respingere le impugnazioni incidentali;

–        statuire sulla controversia respingendo il ricorso di primo grado.

105. Inoltre, poiché, in virtù dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta o quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese e poiché la Commissione ha domandato che il Regno dei Paesi Bassi sia condannato alle spese dell’impugnazione principale e a quelle della procedura dinanzi al Tribunale di primo grado, suggerisco alla Corte di porre tali spese a carico del Regno dei Paesi Bassi e di dichiarare che la Repubblica federale tedesca, la Repubblica francese, la Repubblica slovena e il Regno Unito sopporteranno le proprie spese.


1 – Lingua originale: l’italiano.


2 – Causa T‑233/04 (Racc. pag. II‑591).


3 – C (2003) 1761 def.


4 – Causa C‑164/02 (Racc. pag. I‑1177).


5 – A titolo meramente incidentale, confesso di avere qualche difficoltà a comprendere la relazione che la Corte sembra instaurare tra tenore della notifica e valutazione degli effetti del provvedimento. La determinazione dell’incidenza di un provvedimento in materia di aiuti sulla situazione giuridica dello Stato destinatario mi sembra infatti dipendere dalla valutazione oggettiva dei suoi effetti e prescindere dalla convinzione che detto Stato può avere circa l’esatta qualificazione o la compatibilità con il mercato comune delle misure progettate, quanto meno nel caso in cui esso decide di procedere alla notifica di tali misure.


6 – Il corsivo è mio.


7 – Dalla lettura degli atti di causa emerge che la stessa Commissione aveva insistito sulla pertinenza di tale circostanza, sottolineando che in alcun modo, nel corso del procedimento amministrativo, i Paesi Bassi avevano portato a sua conoscenza la loro posizione circa la qualificazione degli incentivi diretti alle autorità portuali.


8 – Secondo la Commissione, il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che, nella decisione impugnata nella causa che ha dato origine all’ordinanza Paesi Bassi/Commissione, le constatazioni oggetto di censura da parte dello Stato membro ricorrente figuravano unicamente nella motivazione e non nel dispositivo.


9 – V., ad esempio, sentenza 16 maggio 2000, causa C‑83/98 P, France/Ladbroke Racing e Commissione (Racc. pag. I‑3271, punti 24 e 25), cui si riporta la Commissione.


10 – V. sentenze 30 giugno 1992, causa C‑312/90, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑4117, punti 6 e 13), e causa C‑47/91, Italia/Commissione (Racc. pag. I‑4145, punti 14 e 26).


11 – V. sentenze 17 giugno 1999, causa C‑75/97, Belgio/Commissione (Racc. pag. I‑3671, punto 32); 8 novembre 2001, causa C‑143/99, Adria Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke (Racc. pag. I‑8365, punto 48), e 13 febbraio 2003, causa C‑409/00, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑1487, punto 48).


12 – V., in particolare, Spagna/Commissione, causa C‑409/00, cit., punto 49.


13 – Nell’ambito di tale contestazione, a titolo meramente incidentale, la Commissione emette dubbi sulla compatibilità della sentenza impugnata, nella parte in cui analizza la selettività della misura controversa, con la giurisprudenza secondo cui un ricorso d’annullamento non può fondarsi su fatti o motivi che non siano stati avanzati né nel corso della procedura ex artt. 107 TFUE e 108 TFUE né nell’atto introduttivo di ricorso. Data la vaghezza di tali allegazioni e il fatto che la Commissione non sembra formulare un vero e proprio gravame, mi limiterò in proposito a due brevi rilievi. In primo luogo, la giurisprudenza cui sembra riferirsi l’istituzione ricorrente, in base alla quale la legittimità di una decisione in materia di aiuti dev’essere valutata alla luce delle informazioni di cui poteva disporre la Commissione quando l’ha adottata (v., inter alia, sentenze 10 luglio 1986, causa 234/84, Belgio/Commissione, Racc. pag. 2263, punto 16, e 26 settembre 1996, causa C‑241/94, Francia/Commissione, Racc. pag. I‑4551, punto 33), appare priva di pertinenza nel caso di specie: il Tribunale non ha infatti statuito fondandosi su elementi non noti alla Commissione, ma ha, in sostanza, censurato quest’ultima per aver concluso in favore della selettività della misura controversa pur in assenza di elementi sufficienti a suffragare una tale conclusione. In secondo luogo, non è chiaro se, invocando la circostanza che i Paesi Bassi non avrebbero sollevato la questione della selettività nel ricorso, la Commissione intenda far valere che il Tribunale ha statuito ultra petita o in violazione dell’art. 48, n. 2 del suo regolamento di procedura, secondo cui è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa. Sotto tale profilo, l’eventuale gravame della Commissione manca della chiarezza necessaria affinché la Corte possa pronunciarsi.


14 – I punti 89‑96 della sentenza impugnata possono essere sintetizzati come segue. Il Tribunale rileva anzitutto che, tenuto conto dell’obiettivo perseguito dalla misura controversa e del fatto che soltanto alle imprese ad essa assoggettate è imposto, a pena di ammenda, un parametro di emissione o un rigoroso livello standard di prestazione (PSR), la situazione fattuale e giuridica di tali imprese non può ritenersi analoga a quella delle imprese cui questo limite non si applica (punti 89 e 90). Esso constata successivamente che la Commissione non ha fornito elementi che consentano di considerare che le imprese che consumano meno di 20 MWth si trovano in una situazione analoga a quella delle imprese assoggettate alla misura controversa né che siano sottoposte, a pena di ammenda, a «obblighi della stessa natura»: in particolare, detta istituzione non avrebbe fornito elementi per dimostrare che tali imprese sono sottoposte al PSR. Il Tribunale conclude pertanto che la Commissione non ha provato l’esistenza di un regime generale cui la misura controversa derogherebbe (punti 92‑94).


15 – Cit. supra.


16 – V. sentenza del Tribunale 29 settembre 2000, causa T‑55/99, CETM/Commissione (Racc. pag. II‑3207, punto 40).


17 – V. sentenze Francia/Commissione, causa C‑241/94, cit.; 29 giugno 1999, causa C‑256/97, DM Transport (Racc. pag. I‑3913, punti 28-30), e 17 giugno 1999, causa C‑295/97, Piaggio (Racc. pag. I‑3735, punto 39).


18 – V., segnatamente, sentenze, Belgio/Commissione, causa C-75/97, cit., punto 33, e 15 dicembre 2005, causa C‑148/04, Unicredito Italiano (Racc. pag. I‑11137, punto 45).


19 – V. sentenze Francia/Commissione, causa C-241/94, cit., punto 24; 1° dicembre 1998, causa C-200/97, Ecotrade (Racc. pag. I‑7907, punti 40 e 41), e Belgio/Commissione, causa C-75/97, cit.


20 – V. sentenza Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, cit., punto 41; nello stesso senso v. sentenze Ecotrade, cit., punto 41, e Belgio/Commissione, C-75/97, cit., punto 26.


21 – V. sentenze 15 giugno 2006, cause riunite C‑393/04 e C‑41/05, Air Liquide Industries Belgium (Racc. pag. I‑5293, punto 31), e 15 luglio 2004, causa C‑501/00, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑6717, punto 120).


22 – V., ad esempio, sentenza Ecotrade, cit., punto 28.


23 – V., inter alia sentenza Unicredito, cit., punto 49.


24 – Sebbene la sentenza impugnata faccia riferimento alle modalità di calcolo del parametro di emissione (punto 91) e, più in generale, alla «natura» degli obblighi imposti dalla misura controversa, il Tribunale si riferisce essenzialmente al livello quantitativo degli obiettivi di riduzione delle emissioni.


25 – Peraltro, in base a quanto affermato dal governo dei Paesi Bassi in risposta ad alcuni quesiti posti dal Tribunale, per il primo anno di applicazione della misura controversa la norma di emissione «è stata fissata a un livello intenzionalmente superiore all’emissione media», per consentire alla maggioranza delle imprese di rispettarla e di acquistare abbastanza crediti di emissione.


26 – In tale prospettiva, in prima istanza, la Commissione ha anche sostenuto che non fosse neanche necessario provare l’esistenza di obblighi di riduzione o di limiti di emissione gravanti sulle imprese escluse dal sistema di scambio dei permessi di emissione per affermare il carattere selettivo della misura controversa.


27 – V., ad esempio, citate sentenze Ecotrade, in cui la Corte ha considerato selettiva una legge che istitutiva una procedura di amministrazione straordinaria unicamente in favore di grandi imprese industriali in difficoltà e non dell’insieme delle imprese insolventi; Commissione/Spagna, causa C‑409/00, relativa a un regime di aiuti per l’acquisto di veicoli industriali destinato alle sole persone fisiche e alle PMI (v., in particolare, punto 50, in cui la Corte respinge l’argomento del Regno di Spagna secondo cui l’esclusione delle grandi imprese, «che rinnovano il loro parco veicoli più regolarmente e senza bisogno di aiuto a tal fine», era necessaria all’economia del sistema); Belgio/Commissione, causa C‑75/97, riguardante una maggiorazione della riduzione del pagamento dei contributi sociali per i lavoratori manuali a beneficio unicamente delle imprese appartenenti a taluni settori dell’industria di trasformazione e a esclusione di altri, pure caratterizzati dalla presenza di manodopera manuale (punti 23‑31), nonché Adria-Wien Pipeline, punti 48‑53.


28 – V. punto 97 della sentenza impugnata.


29 – V., in questo senso, sentenze 2 luglio 1974, causa 173/73, Italia/Commissione (Racc. pag. 709, punto 33); 15 dicembre 2005, causa C‑148/04, Unicredito Italiano (Racc. pag. I‑11137, punto 51), e 6 settembre 2006, causa C‑88/03, Portogallo/Commissione (Racc. pag. I‑7115, punto 52).


30 – V., inter alia, sentenze 26 settembre 2002, causa C‑351/98, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑8031, punto 42); 14 aprile 2005, cause riunite C‑128/03 e C‑129/03, AEM e AEM Torino (Racc. pag. I‑2861), e 2 aprile 2009, causa C‑431/07 P, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione (Racc. pag. I‑2665) che ha confermato la sentenza del Tribunale 4 luglio 2007, causa T‑475/04 (Racc. pag. II‑2097).


31 – In tal senso v. punti 52 e 53 della sentenza Adria-Wien Pipeline, citati dalla Commissione.


32 – V. sentenza del Tribunale 13 settembre 2006, causa T‑210/02, British Aggregates/Commissione (Racc. pag. II‑2789, in particolare punti 115 e 117), e sentenza della Corte 22 dicembre 2008, causa C‑487/06 P, British Aggregates/Commissione (Racc. pag. I‑10505 punti 86 e segg., in particolare. 90-92).


33 – Sentenza 29 aprile 2004, causa C‑159/01, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I‑4461, punto 43).


34 – V. sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C‑199/01 P e C‑200/01 P, IPK-München e Commissione (Racc. pag. I‑4627, punto 42), e le conclusioni dell’avvocato generale Mischo, presentate in questa causa il 10 luglio 2003, paragrafi 21‑29. V. altresì ordinanza del presidente della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑363/98 P(R), Emesa Sugar/Conseil (Racc. pag. I‑8787). Nella sentenza Procter & Gamble/OHMI, la Corte sembra aver adottato una diversa posizione; tuttavia, in quel caso, il ricorrente dinanzi alla Corte aveva ottenuto in prima istanza l’annullamento dell’atto impugnato sulla base di un motivo di carattere procedurale, avanzato nel quadro di conclusioni a titolo subordinato, mentre era stato respinto il motivo attinente al merito della controversia, presentato a sostegno delle sue conclusioni a titolo principale (sentenza 20 settembre 2001, causa C‑383/99 P, Racc. pag. I‑6251, punti 18‑26).


35 – V., inter alia, sentenze 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977, punto 31), e 11 settembre 2008, cause riunite C‑75/05 P e C‑80/05 P, Germania/Kronofrance (Racc. pag. I‑6619, punto 66).


36 – V., segnatamente, sentenze 23 febbraio 1961, causa 30/59, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg/Alta Autorità (Racc. pag. 1, in particolare pag. 38); 29 giugno1999, causa C-256/97, DM Transport (Racc. pag. I-3913, punto 19), e 14 settembre 2004, causa C-276/02, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-8091, punto 24).


37 – Sentenza 23 marzo 2006, causa C‑237/04, Enirisorse (Racc. pag. I‑2843, punti 43‑49).


38 – V. sentenze 2 luglio 1974, causa 173/73, Italia/Commissione (Racc. pag. 709, punto 27); 26 settembre 1996, causa C-241/94, Francia/Commissione (Racc. pag. I-4551, punto 20), e 13 giugno 2002, causa C‑382/99, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I‑5163, punto 61).


39 – V. sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana (Racc. pag. 1205, punto 31); Commissione/Italia, causa 173/73, cit., punto 13, con riferimento a misure dirette a sostenere l’occupazione nel settore tessile, e 12 dicembre 2002, causa C‑5/01, Belgio/Commissione (Racc. pag. I‑11991, punto 46), riguardo alle misure di finanziamento della riduzione dell’orario di lavoro degli impiegati di un’impresa soggetti a tariffa collettiva.


40 – V., in particolare, sentenza della Corte British Aggregates/Commissione, cit., punto 84.


41 – V., in particolare, sentenze Francia/Commissione, causa C‑241/94, cit., punto 21; 29 aprile 1999, causa C‑342/96, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑2459, punto 23), nonché 17 giugno 1999, causa C‑75/97, Belgio/Commissione (Racc. pag. I‑3671, punto 25).


42 – Conclusioni presentate il 14 gennaio 2003, nella causa C-280/00, Altmark Trans et Regierungspräsidium Magdeburg (Racc. pag. I‑7747, paragrafo 81).


43 – La concessione di incentivi mira, spesso, proprio a indurre le imprese a porre in essere determinate condotte, in linea con specifici obiettivi, ad esempio, di politica economica, sociale o ambientale, perseguiti dallo Stato.


44 – V., ad esempio, sentenze Commissione/Italia, causa 173/73, cit., in cui la Corte ha ritenuto costituisse un aiuto lo sgravio di oneri previdenziale concesso dalla Repubblica italiana al settore tessile nonostante fosse destinato a compensare lo svantaggio che il sistema di finanziamento degli assegni familiari precedentemente introdotto comportava per i settori con un’alta percentuale di manodopera femminile; 7 giugno 1988, causa 57/86, Grecia/Commissione (Racc. pag. 2855), in cui la Corte ha respinto l’argomento del governo ellenico secondo cui il rimborso di interessi concesso agli esportatori aveva carattere neutro, poiché si limitava ad annullare gli effetti negativi dell’aumento dei tassi per tali operatori, non conferendo loro alcun vantaggio supplementare; e 5 ottobre 1999, causa C‑251/97, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑6639), in cui la Corte ha respinto l’argomento del governo francese secondo cui la riduzione dei contributi sociali di cui trattavasi non era altro che la contropartita degli eccezionali costi aggiuntivi che le imprese avevano accettato di assumere a seguito della negoziazione degli accordi collettivi e che, in ogni caso, tenuto conto di tali costi aggiuntivi, le misure controverse si configuravano neutre sotto il profilo finanziario.


45 – Per quanto riguarda gli aiuti volti a compensare i costi non recuperabili nei settori liberalizzati, salvo l’eventuale applicazione della giurisprudenza Altmark, sentenza citata supra, in tema di compensazione di costi originati dall’adempimento di obblighi di servizio pubblico, v., ad esempio, sentenza 17 luglio 2008, causa C‑206/06, Essent Netwerk Noord e a. (Racc. pag. I‑5497).


46 – A tale proposito, ricordo che, in base al principio «chi inquina paga», che, in forza dell’art. 191 TFUE, costituisce uno dei cardini della politica dell’Unione in materia ambientale, come interpretato dalla Corte, i costi di riparazione dei danni connessi all’inquinamento incombono agli operatori in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento (v., in particolare, sentenza 9 marzo 2010, causa C‑378/08, ERG e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56). Pertanto detti costi devono considerarsi come costi che gravano normalmente il bilancio delle imprese la cui attività ha un impatto negativo sull’ambiente e non costituiscono per tali imprese oneri eccezionali.


47 – V. punto 3.3 della Decisione.


48 – In udienza i Paesi Bassi hanno confermato che le imprese soggette alla misura controversa sono responsabili di circa il 90% delle emissioni industriali di NOx e che le imprese responsabili del restante 10% sono assoggettate a limiti di emissione, assortiti da sanzioni in caso di superamento.


49 – V. le risposte del Regno dei Paesi Bassi alle questioni scritte poste dal Tribunale.


50 – V., in particolare, sentenze 15 marzo 1994, causa C-387/92, Banco Exterior de España (Racc. pag. I-877, punto 14), e 19 maggio 1999, causa C-6/97, Italia/Commissione (Racc. pag. I-2981, punto 16).


51 – V. sentenze 19 settembre 2000, causa C‑156/98, Germania/Commissione (Racc. pag. I‑6857, punti 26 e 27); Banco Exterior de España, cit., punto 14, e Italia/Commissione, causa C-6/97, cit., punto 16.


52 – Sentenza DM Transport, cit.


53 – Sentenza 11 luglio 1996, causa C‑39/94, SFEI e a. (Racc. pag. I‑3547, punto 59).


54 – Sentenza Piaggio, cit., punto 41.


55 – A quanto già esposto, aggiungo che, nella sentenza Germania/Commissione, causa C-156/98, cit., punti 26‑27, la Corte ha escluso che il nesso esistente tra uno sgravio fiscale per l’acquisizione di partecipazioni in determinate imprese e il beneficio indiretto a favore di tali imprese potesse venir meno per il solo fatto che il conseguimento di tale beneficio dipendeva da una decisione autonoma degli investitori.


56 – Sulla separabilità dei diversi aspetti di una misura statale ai fini dell’analisi della sua compatibilità con le disposizioni del Trattato in materia di aiuti, v. sentenza della Corte 22 marzo 1977, causa 74/76, Iannelli & Volpi (Racc. pag. 557, punti 14-17).


57 – Al punto 71 della sentenza impugnata si legge che «ogni possessore di un’autorizzazione di emissione aveva un conto nel registro di emissione degli NOx e poteva vendere tutti i diritti relativi agli anni per i quali era stato fissato un parametro, compresi gli anni futuri».


58 – Citata supra.


59 – V., in particolare, punti 59 e 61.


60 – Osservo, per inciso, che già nelle mie conclusioni nella causa Essent avevo suggerito alla Corte, sebbene in un contesto diverso, di non estendere la soluzione seguita nella sentenza PreussenElektra al di là delle specifiche circostanze fattuali che ne avevano giustificato l’accoglimento. V. conclusioni del 24 gennaio 2008, nella causa Essent, cit., paragrafi 97 e 98.


61 – V., inter alia, sentenze 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977, punto 31); e 11 settembre 2008, cause riunite C‑75/05 P e C‑80/05 P, Germania/Kronofrance (Racc. pag. I‑6619, punto 66).


62 – V. sentenza 16 maggio 2000, causa C-83/98 P, Francia/Ladbroke Racing e Commissione (Racc. pag. I-3271, punto 50), e 16 maggio 2002, causa C-482/99 (Racc. pag. I-4397, punto 37).


63 – V., ad esempio, sentenze 17 marzo 1993, cause riunite C‑72/91 e C‑73/91, Sloman Neptun (Racc. pag. I‑887); 7 maggio 1998, cause riunite da C‑52/97 a C‑54/97, Viscido e a. (Racc. pag. I‑2629), e 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099).


64 – In proposito ricordo che alcune risalenti pronunce della Corte e le conclusioni di alcuni avvocati generali avevano alimentato una discussione circa l’imprescindibilità del finanziamento pubblico ai fini della qualificazione di una misura statale come aiuto: v. sentenze 30 gennaio 1985, causa 290/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 439, punti 13 e 14); 2 febbraio 1988, cause riunite 67/85, 68/85 e 70/85, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione (Racc. pag. 219, punti 32‑38), e 7 giugno 1988, causa 57/86, Grecia/Commissione (Racc. pag. 2855, punto 12), e le conclusioni degli avvocati generali VerLoren van Themaat, nelle cause riunite 213/81‑215/81, Norddeutsches Vieh- und Fleischkontor Will e a. (sentenza 13 ottobre 1982, Racc. pag. 3583); Slynn nella causa Commissione/Grecia, cit., e Darmon nella causa Sloman Neptun, cit. A partire dalla sentenza Sloman Neptun, cit., la Corte ha, tuttavia, ripetutamente, e senza esitazioni, affermato il principio secondo cui un aiuto deve essere finanziato direttamente o indirettamente mediante risorse statali. Nella causa PreussenElektra, cit., la Corte era stata apertamente invitata dalla Commissione a riconsiderare la sua giurisprudenza in proposito, in particolare alla luce dei recenti sviluppi dell’ordinamento comunitario. La Corte non ha tuttavia dato seguito a un tale invito.