Language of document : ECLI:EU:C:2024:9

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

11 gennaio 2024 (*)

«Impugnazione – Dumping – Estensione del dazio antidumping istituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina alle importazioni spedite dalla Malaysia – Esecuzione della sentenza del 3 luglio 2019, Eurobolt (C‑644/17, EU:C:2019:555) – Reistituzione di un dazio antidumping definitivo – Regolamento di esecuzione (UE) 2020/611 – Validità»

Nella causa C‑517/22 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 2 agosto 2022,

Eurobolt BV, con sede in ’s-Heerenberg (Paesi Bassi),

Fabory Nederland BV, con sede in Tilburg (Paesi Bassi),

ASF Fischer BV, con sede in Lelystad (Paesi Bassi),

rappresentate da B. Natens e A. Willems, advocaten,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Stafa Group BV, con sede in Maarheeze (Paesi Bassi),

ricorrente in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da M. Bruti Liberati, G. Luengo e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe (relatrice), presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Terza Sezione, N. Piçarra, N. Jääskinen e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: A. Lamote, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 luglio 2023,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 settembre 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, la Eurobolt BV, la Fabory Nederland BV e la ASF Fischer BV chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 18 maggio 2022, Eurobolt e a./Commissione (T‑479/20; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2022:304), con la quale quest’ultimo ha respinto il loro ricorso di annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2020/611 della Commissione, del 30 aprile 2020, che reistituisce il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (CE) n. 91/2009 del Consiglio sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese ed esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU 2020, L 141, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»).

 Contesto normativo

 Regolamento (UE) n. 952/2013

2        Ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 1, primo comma, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»):

«Fatte salve le condizioni stabilite nella presente sezione, si procede al rimborso o allo sgravio degli importi del dazio all’importazione o all’esportazione per uno dei seguenti motivi:

a)      importi del dazio all’importazione o all’esportazione applicati in eccesso;

b)      merci difettose o non conformi alle clausole del contratto;

c)      errore delle autorità competenti;

d)      equità».

 Regolamenti (CE) n. 384/2001, (CE) n. 1225/2001 e (UE) 2016/1036

3        I fatti e gli atti giuridici di cui trattasi nella presente causa sono intervenuti in un periodo in cui l’adozione di misure antidumping all’interno dell’Unione è stata, nell’ordine, disciplinata, inizialmente, dal regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1, e rettifica in GU 2002, L 349, pag. 126), come modificato dal regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio, del 21 dicembre 2005 (GU 2005, L 340, pag. 17), in seguito dal regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifiche in GU 2010, L 7, pag. 22, GU 2016, L 44, pag. 20 e GU 2016, L 159, pag. 24), come modificato dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014 (GU 2014, L 18, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1225/2009»), e infine, dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21).

4        Nella versione anteriore a quella modificata dal regolamento n. 37/2014, l’articolo 15 del regolamento n. 1225/2009, intitolato «Consultazioni», ai paragrafi 1 e 2, enunciava quanto segue:

«1.      Le consultazioni previste dal presente regolamento si svolgono in seno ad un comitato consultivo, composto dai rappresentanti di ogni Stato membro e presieduto da un rappresentante della Commissione [europea]. Le consultazioni si svolgono immediatamente, a richiesta di uno Stato membro oppure per iniziativa della Commissione e comunque in tempo utile ai fini del rispetto dei termini fissati dal presente regolamento.

2.      Il comitato si riunisce su convocazione del presidente. Questo comunica agli Stati membri, nel più breve tempo possibile, e comunque non oltre 10 giorni lavorativi prima della riunione, tutti gli elementi d’informazione utili».

5        Il regolamento 2016/1036 è entrato in vigore, ai sensi del suo articolo 25, il 20 luglio 2016. Conformemente al suo articolo 24, primo comma, esso ha abrogato il regolamento n. 1225/2009.

6        L’articolo 9, paragrafo 4, primo comma, del regolamento 2016/1036, in termini identici a quelli dell’articolo 9, paragrafo 4, prima e seconda frase, del regolamento n. 1225/2009, così prevede:

«Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi dell’Unione esigono un intervento a norma dell’articolo 21, la Commissione, deliberando secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 15, paragrafo 3, istituisce un dazio antidumping definitivo. Se sono stati istituiti dazi provvisori, la Commissione avvia tale procedura al più tardi un mese prima della loro scadenza».

7        L’articolo 10 del regolamento 2016/1036, intitolato «Retroattività», al suo paragrafo 1, in termini sostanzialmente identici a quelli dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009, dispone quanto segue:

«Le misure provvisorie e i dazi antidumping definitivi sono applicati unicamente ai prodotti immessi in libera pratica dopo l’entrata in vigore delle misure adottate a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, e dell’articolo 9, paragrafo 4, a seconda del caso, fatte salve le eccezioni di cui al presente regolamento».

8        L’articolo 13 del regolamento 2016/1036, intitolato «Elusione», ai paragrafi 1 e 3, in termini identici a quelli dell’articolo 13, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1225/2009, prevede quanto segue:

«1.      L’applicazione dei dazi antidumping istituiti a norma del presente regolamento può essere estesa alle importazioni da paesi terzi di prodotti simili, leggermente modificati o meno, o alle importazioni dal paese oggetto delle misure di prodotti simili leggermente modificati, o di loro parti, se le misure in vigore vengono eluse.

(...)

3.      Le inchieste sono avviate a norma del presente articolo su iniziativa della Commissione o su richiesta di uno Stato membro o di una parte interessata in base a elementi di prova sufficienti relativi ai fattori enunciati nel paragrafo 1. L’apertura delle inchieste è decisa con regolamento della Commissione che può stabilire inoltre che le autorità doganali devono sottoporre le importazioni a registrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, oppure chiedere la costituzione di garanzie. (...)

(...)

Se l’estensione delle misure è giustificata dai fatti definitivamente accertati, la relativa decisione è adottata dalla Commissione che delibera secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 15, paragrafo 3. L’estensione entra in vigore alla data in cui è stata imposta la registrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, oppure a quella in cui è stata chiesta la costituzione di garanzie. Alle inchieste aperte a norma del presente articolo si applicano le disposizioni del presente regolamento relative alle procedure in materia di apertura e di svolgimento delle inchieste».

9        Ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 1 e 5, del regolamento 2016/1036, che corrisponde all’articolo 14, paragrafi 1 e 5, del regolamento n. 1225/2009:

«1.      «Dazi antidumping provvisori o definitivi sono imposti con regolamento e sono riscossi dagli Stati membri secondo la forma, l’aliquota e gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo. Tali dazi sono inoltre riscossi indipendentemente dai dazi doganali, dalle tasse e dagli altri oneri normalmente imposti sulle importazioni.

(...)

5.      La Commissione può, dopo aver informato a tempo debito gli Stati membri, chiedere alle autorità doganali di adottare le misure opportune per registrare le importazioni, ai fini della successiva applicazione di misure a decorrere dalla data della registrazione. (...) La registrazione è decisa con regolamento, che deve precisare gli scopi dell’intervento e, secondo i casi, l’importo stimato di eventuali futuri dazi da pagare. Le importazioni non sono soggette a registrazione per un periodo superiore a nove mesi».

10      L’articolo 15 del regolamento 2016/1036, intitolato «Procedura di comitato», al paragrafo 3 così dispone:

«Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU 2011, L 55, pag. 13)]».

 Regolamento (UE) n. 182/2011

11      L’articolo 5 del regolamento n. 182/2011, intitolato «Procedura d’esame», in termini diversi da quelli del regolamento n. 1225/2009, prevede quanto segue:

«1.      Nei casi in cui si applica la procedura d’esame, il comitato esprime il proprio parere con la maggioranza prevista dall’articolo 16, paragrafi 4 e 5, del trattato sull’Unione europea e, ove applicabile, dall’articolo 238, paragrafo 3, TFUE, per gli atti che devono essere adottati su proposta della Commissione. I voti dei rappresentanti degli Stati membri all’interno del comitato sono ponderati nel modo stabilito nei suddetti articoli.

(...)

5.      (...) la seguente procedura si applica per l’adozione del progetto di misure definitive antidumping o compensative, qualora non sia espresso alcun parere da parte del comitato e la maggioranza semplice dei suoi membri si opponga al progetto di atto di esecuzione.

La Commissione svolge consultazioni con gli Stati membri. Entro non meno di quattordici giorni e non oltre un mese dopo la riunione del comitato, la Commissione informa i membri del comitato dei risultati di tali consultazioni e sottopone al comitato di appello un progetto di atto di esecuzione. In deroga all’articolo 3, paragrafo 7, il comitato di appello si riunisce entro non meno di quattordici giorni e non oltre un mese dopo la presentazione del progetto di atto di esecuzione. Il comitato di appello esprime il suo parere conformemente all’articolo 6. I termini stabiliti nel presente paragrafo non pregiudicano l’esigenza di rispettare le scadenze fissate negli atti di base pertinenti».

 Fatti

12      I fatti all’origine della controversia sono esposti nei punti da 1 a 21 della sentenza impugnata. Ai fini della presente impugnazione, essi possono essere riassunti come segue.

 Contenzioso relativo al regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011

13      Dopo aver constatato che elementi di fissaggio venduti nel mercato dell’Unione erano oggetto di dumping da parte di produttori-esportatori cinesi, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 91/2009 del Consiglio, del 26 gennaio 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese (GU 2009, L 29, pag. 1).

14      In seguito all’istituzione di tale dazio antidumping definitivo, alla Commissione sono stati forniti elementi di prova del fatto che tali misure venivano eluse tramite un trasbordo in Malaysia. Essa ha quindi adottato il regolamento (UE) n. 966/2010 della Commissione, del 27 ottobre 2010, che avvia un’inchiesta sulla possibile elusione delle misure antidumping istituite dal regolamento (CE) n. 91/2009 sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o meno originari di tale paese, e che dispone la registrazione di dette importazioni (GU 2010, L 282, pag. 29). Il regolamento n. 966/2010 invitava, in particolare, le autorità doganali a prendere le opportune disposizioni per registrare le importazioni nell’Unione, affinché, in caso di conferma dell’elusione, dazi antidumping di un importo appropriato potessero essere riscossi retroattivamente a decorrere dalla data di registrazione di tali importazioni spedite dalla Malaysia.

15      In seguito a tale inchiesta, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011 della Commissione, del 18 luglio 2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento n. 91/2009 alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU 2011, L 194, pag. 6).

16      Il 28 luglio 2011 l’organo di conciliazione dell’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) (in prosieguo: il «DSB») ha adottato la relazione dell’organo di appello, nonché la relazione del panel, come modificata dalla relazione dell’organo di appello, nel caso «Comunità europee – misure antidumping definitive riguardanti alcuni elementi di fissaggio in ferro o acciaio provenienti dalla Cina» (WT/DS 397). Nelle suddette relazioni il DSB constatava, in particolare, che l’Unione aveva agito in modo incompatibile con alcune disposizioni dell’Accordo antidumping dell’OMC.

17      In seguito a tale decisione, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 924/2012, del 4 ottobre 2012, che modifica il regolamento (CE) n. 91/2009 (GU 2012, L 275, pag. 1), operando, in particolare, una riduzione del dazio antidumping che era previsto in quest’ultimo regolamento.

18      Le misure previste da questi diversi regolamenti sono state mantenute, per un periodo ulteriore di cinque anni, dal regolamento di esecuzione (UE) 2015/519 della Commissione, del 26 marzo 2015, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese ed esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarati originari della Malaysia, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009 (GU 2015, L 82, pag. 78).

19      Con decisione del 12 febbraio 2016, il DSB ha adottato nuove relazioni che concludono nel senso della non conformità delle misure adottate dall’Unione per mezzo del regolamento di esecuzione n. 924/2012 con determinate disposizioni dell’accordo antidumping dell’OMC.

20      In risposta a tale decisione, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2016/278, del 26 febbraio 2016, che abroga il dazio antidumping definitivo istituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese, esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU 2016, L 52, pag. 24).

21      Le importazioni di elementi di fissaggio dalla Malaysia effettuate dalle ricorrenti durante il periodo dell’inchiesta antielusione condotta dalla Commissione, sono state registrate al fine di poter istituire dazi su queste ultime nel caso in cui l’inchiesta avesse confermato l’elusione.

22      Tra i mesi di gennaio 2012 e ottobre 2013, le autorità doganali dei Paesi Bassi hanno emesso avvisi di riscossione per i dazi antidumping dovuti dalle ricorrenti sulle importazioni di elementi di fissaggio in forza del regolamento di esecuzione n. 723/2011.

23      Nell’ambito di un’impugnazione proposta dalla Eurobolt contro i dazi antidumping versati sulla base di tale regolamento di esecuzione, il 17 novembre 2017 lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi) ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla validità di detto regolamento.

24      Nella sentenza del 3 luglio 2019, Eurobolt (C‑644/17; in prosieguo: la «sentenza Eurobolt», EU:C:2019:555), la Corte ha dichiarato che il regolamento di esecuzione n. 723/2011 era invalido poiché adottato in violazione della forma sostanziale di cui all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009.

 Esecuzione della sentenza Eurobolt

25      A seguito della pronuncia della sentenza Eurobolt, la Commissione ha riaperto l’inchiesta antielusione al fine di correggere l’illegittimità formale individuata dalla Corte. A tal fine, essa ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2019/1374, del 26 agosto 2019, relativo alla riapertura dell’inchiesta in seguito alla sentenza [Eurobolt], per quanto riguarda il regolamento di esecuzione n. 723/2011 (GU 2019, L 223, pag. 1).

26      La riapertura dell’inchiesta antielusione mirava ad assicurare l’esecuzione di tale sentenza garantendo il rispetto di tutti i requisiti procedurali della procedura del comitato consultivo prevista all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009, la quale era stata successivamente sostituita dalla procedura d’esame prevista all’articolo 5 del regolamento n. 182/2011.

27      Le osservazioni della Eurobolt sono state presentate al comitato competente almeno quattordici giorni prima della sua riunione. Tali osservazioni non hanno dato luogo ad una modifica delle conclusioni della Commissione, secondo le quali le misure iniziali dovevano essere reistituite sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che fossero o no dichiarati originari della Malaysia.

28      Il 30 aprile 2020 la Commissione ha adottato il regolamento controverso.

29      Ai sensi dell’articolo 1 di tale regolamento, il dazio antidumping istituito dal regolamento n. 91/2009 è reistituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio non inossidabile, spediti dalla Malaysia, durante il periodo di applicazione del regolamento di esecuzione n. 723/2011. L’articolo 2 del regolamento controverso dispone che i dazi antidumping versati a norma del regolamento di esecuzione n. 723/2011 non sono rimborsati e che i rimborsi effettuati a seguito della sentenza Eurobolt sono recuperati dalle autorità che li hanno eseguiti.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

30      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 luglio 2020, le ricorrenti e la Stafa Group BV hanno proposto un ricorso diretto all’annullamento del regolamento controverso.

31      A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti e la Stafa Group hanno dedotto tre motivi. Il primo motivo verteva sul fatto che, rimediando retroattivamente ad una violazione di una forma sostanziale, il regolamento controverso aveva violato gli articoli 264 e 266 TFUE e il principio della tutela giurisdizionale effettiva. Il secondo motivo verteva sul fatto che, essendo privo di un valido fondamento giuridico, il regolamento controverso era contrario all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE e al principio di buona amministrazione. Il terzo motivo verteva sul fatto che il regolamento controverso, vietando il rimborso e ordinando il recupero dei dazi antidumping rimborsati, violava l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE.

32      La Commissione ha espresso dubbi sulla ricevibilità del ricorso sulla base dell’articolo 263, quarto comma, seconda parte di frase, TFUE, contestando l’incidenza individuale del regolamento controverso nei confronti delle ricorrenti e della Stafa Group. Parimenti, sebbene il ricorso le sembrasse ricevibile alla luce dell’articolo 263, quarto comma, terza parte di frase, TFUE per la Fabory Nederland, la ASF Fischer e la Stafa Group, così non le sembrava essere per la Eurobolt. Infatti, secondo tale istituzione, poiché le notifiche inviate a tale società erano state annullate dallo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi), l’esecuzione del regolamento controverso nei suoi confronti richiedeva misure di esecuzione sotto forma di una nuova notifica dell’obbligazione doganale.

33      Il Tribunale ha tuttavia dichiarato che occorreva esaminare anzitutto i motivi dedotti dalle ricorrenti e dalla Stafa Group, senza statuire preliminarmente sulla ricevibilità del ricorso di annullamento, dal momento che quest’ultimo era, in ogni caso, infondato. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto ciascuno dei motivi dedotti e, di conseguenza, il ricorso nel suo insieme.

 Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

34      Con la loro impugnazione le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        riconoscere la fondatezza del loro ricorso di primo grado e annullare il regolamento controverso, nella parte in cui le riguarda, nonché

–        condannare la Commissione alle spese sostenute per il procedimento di primo grado e di impugnazione nonché alle proprie spese.

35      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare le ricorrenti alle spese.

36      Conformemente all’articolo 61, paragrafo 1, del suo regolamento di procedura, la Corte ha invitato le ricorrenti a rispondere per iscritto ad un quesito relativo alla ricevibilità del loro ricorso di annullamento. Le ricorrenti hanno dato seguito a tale richiesta entro il termine impartito.

 Sull’impugnazione

37      Le ricorrenti deducono sette motivi a sostegno della loro impugnazione, vertenti, rispettivamente, sul fatto che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato e applicato, in primo luogo, l’articolo 266 TFUE e il principio d’irretroattività considerando che il regolamento controverso potesse reistituire retroattivamente i dazi e impedire il loro rimborso; in secondo luogo, l’articolo 266 TFUE, considerando che il regolamento controverso potesse «sanare» una violazione di forme sostanziali in un procedimento antidumping; in terzo luogo, l’articolo 266 TFUE e il principio d’irretroattività, considerando che il regolamento controverso potesse «sanare» la violazione accertata nella sentenza Eurobolt; in quarto luogo, gli articoli 264, 266 e 296 TFUE considerando che la Commissione potesse usurpare le competenze della Corte; in quinto luogo, il principio di tutela giurisdizionale effettiva ammettendo che tale principio non richieda il rimborso integrale dei dazi nel presente caso; in sesto luogo, l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE e il principio di buona amministrazione considerando che il regolamento controverso abbia una base giuridica adeguata e, in settimo luogo, l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE considerando che il regolamento controverso potesse definitivamente vietare il rimborso dei dazi dichiarati invalidi nella sentenza Eurobolt.

 Sui motivi dimpugnazione dal primo al quarto

38      I motivi d’impugnazione dal primo al quarto riguardano, in via principale, l’articolo 266 TFUE e le valutazioni del Tribunale relative al modo in cui la Commissione ha dato esecuzione alla sentenza Eurobolt. Gli argomenti dedotti a sostegno di tali diversi motivi costituiscono, peraltro, un ampliamento di quelli sviluppati nelle prime quattro parti del primo motivo di ricorso dedotto dinanzi al Tribunale. È opportuno esaminarli congiuntamente.

 Argomenti delle parti

39      Le ricorrenti deducono una violazione dell’articolo 266 TFUE (motivi dal primo al quarto), del principio d’irretroattività (primo e terzo motivo) e degli articoli 264 e 296 TFUE (quarto motivo).

40      Con tali motivi, diretti contro i punti da 40 a 61, da 69 a 71, 74, 77, 84, 91 e 99 della sentenza impugnata, le ricorrenti sostengono, in primo luogo, in sostanza, basandosi segnatamente sulla sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), che il Tribunale avrebbe dovuto constatare l’assenza di necessità o l’impossibilità materiale per la Commissione di adottare qualsiasi misura di esecuzione della sentenza Eurobolt. Infatti, la violazione di una forma sostanziale constatata in tale sentenza avrebbe viziato l’intera inchiesta antielusione e non potrebbe, di conseguenza, essere sanata. In secondo luogo, l’articolo 266 TFUE imporrebbe di rimborsare i dazi pagati in precedenza sebbene non fossero legalmente dovuti, il che sarebbe stato aggirato dall’applicazione retroattiva del regolamento controverso e erroneamente avallato dal Tribunale. In terzo luogo, il regolamento controverso produrrebbe effetti esclusivamente per il passato e sarebbe quindi, contrariamente alla conclusione del Tribunale, retroattivo. In quarto luogo, il regolamento controverso avrebbe la conseguenza di privare la sentenza Eurobolt di effetti nel tempo, il che violerebbe la competenza devoluta a titolo esclusivo alla Corte dall’articolo 264 TFUE.

41      La Commissione chiede il rigetto del primo, del secondo e del quarto motivo d’impugnazione in quanto infondati. Essa sostiene che il terzo motivo è inoperante, in quanto si baserebbe sull’ipotesi errata secondo cui il regolamento controverso è retroattivo. In ogni caso, anche supponendo che ciò sia vero, la Commissione ritiene che tale regolamento soddisfi i requisiti fissati dalla giurisprudenza per giustificare un siffatto effetto retroattivo.

 Giudizio della Corte

42      Con i loro motivi d’impugnazione dal primo al quarto le ricorrenti contestano, in sostanza, le valutazioni del Tribunale relative al modo in cui la Commissione ha dato esecuzione alla sentenza Eurobolt, esecuzione che ha condotto, in definitiva, all’adozione del regolamento controverso.

43      Occorre ricordare, in primo luogo, che l’articolo 266, primo comma, TFUE, dispone che «l’istituzione (...) da cui emana l’atto annullato (...) [è] tenut[a] a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte (...) comporta.».

44      Ne deriva che, quando la Corte accerta, nell’ambito di un procedimento avviato ai sensi dell’articolo 267 TFUE, l’invalidità di un atto dell’Unione, la sua decisione produce la conseguenza di imporre alle istituzioni interessate l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari per porre rimedio all’illegittimità accertata, essendo l’obbligo previsto all’articolo 266 TFUE in caso di sentenza di annullamento applicabile per analogia alle sentenze che dichiarano invalido un atto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 29 giugno 1988, Van Landschoot, 300/86, EU:C:1988:342, punto 22, nonché del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 123). Peraltro, tali istituzioni dispongono comunque di un ampio potere discrezionale nella scelta di tali provvedimenti, fermo restando che questi ultimi devono essere compatibili con il dispositivo della sentenza di cui trattasi nonché con la motivazione che ne costituisce il sostegno necessario (sentenze del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 76, nonché del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punto 87). Tenuto conto dell’esistenza di tale ampio potere discrezionale, solo il carattere manifestamente inidoneo di detti provvedimenti in relazione allo scopo che si intende perseguire può inficiare la loro legittimità (sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punto 88).

45      Inoltre, se è vero che la Corte può aver considerato l’ipotesi in cui, in ragione delle circostanze, si riveli impossibile, per l’istituzione da cui promana l’atto annullato, adempiere l’obbligo di prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza che ha pronunciato tale annullamento comporta (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 1980, Könecke Fleischwarenfabrik/Commissione, 76/79, EU:C:1980:68, punto 9, nonché del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punti 64 e 80), le ricorrenti non hanno affatto dimostrato, nel caso di specie, che non fosse necessario o che fosse materialmente impossibile per la Commissione adottare qualsiasi provvedimento per conformarsi alla sentenza Eurobolt.

46      Pertanto, il Tribunale ha correttamente considerato, ai punti 49 e 77 della sentenza impugnata, che la Commissione era soggetta, in forza dell’articolo 266 TFUE, ad un obbligo di adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza Eurobolt comportava.

47      Peraltro, è altresì pacifico che l’articolo 266 TFUE obbliga l’istituzione da cui emana l’atto annullato solo ad adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza di annullamento comporta e che l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente sugli atti preparatori di quest’ultimo (sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Lo stesso vale, per analogia, per quanto riguarda l’esecuzione di una sentenza della Corte che dichiara l’invalidità di un atto dell’Unione. Di conseguenza, fatta salva l’ipotesi in cui l’irregolarità accertata abbia determinato la nullità di tutto il procedimento, detta istituzione può, al fine di adottare un atto volto a sostituire un precedente atto annullato o dichiarato invalido, limitarsi a riaprire tale procedimento unicamente nel punto preciso in cui tale irregolarità si è verificata (sentenze del 12 novembre 1998, Spagna/Commissione, C‑415/96, EU:C:1998:533, punto 31; del 3 ottobre 2000, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, C‑458/98 P, EU:C:2000:531, punto 82, e del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punto 74).

48      Nel caso di specie, l’irregolarità constatata dalla Corte nella sentenza Eurobolt consisteva nel fatto che le osservazioni presentate dalla Eurobolt, nella sua qualità di parte interessata, in risposta alle conclusioni della Commissione nell’inchiesta antielusione avviata sulla base dell’articolo 13 del regolamento n. 1225/2009, non erano state sottoposte al comitato consultivo istituito da tale regolamento non oltre dieci giorni lavorativi prima della riunione di quest’ultimo, e ciò in violazione dell’articolo 15, paragrafo 2, di tale regolamento.

49      Orbene, come constatato dal Tribunale al punto 47 della sentenza impugnata, una siffatta irregolarità non può, in quanto tale, avere avuto l’effetto di incidere sul procedimento nel suo complesso. Infatti, il termine imposto all’articolo 15, paragrafo 2, di detto regolamento aveva l’obiettivo di lasciare ai rappresentanti degli Stati membri partecipanti a tale comitato consultivo un lasso di tempo sufficiente per poter esaminare le informazioni utili, in modo sereno, prima della riunione di quest’ultimo e definire una posizione diretta a preservare i loro rispettivi interessi. Più in generale, questo termine è volto a garantire che le informazioni e le osservazioni presentate dalle parti interessate nel corso di un’inchiesta possano essere debitamente prese in considerazione dal comitato consultivo (v., in tal senso, sentenza Eurobolt, punti da 48 a 51).

50      Pertanto, sebbene l’inosservanza di detto termine fosse tale da incidere sulle fasi successive del procedimento di estensione del dazio antidumping definitivo che doveva condurre all’adozione del regolamento di esecuzione n. 723/2011, tale irregolarità non era, per contro, idonea a incidere sulle fasi anteriori del processo decisionale. Di conseguenza, nulla ostava a che la Commissione riprendesse il procedimento dal punto preciso in cui detta irregolarità si è verificata e, dopo averla corretta, procedesse all’adozione di un nuovo atto.

51      Ne deriva che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto avendo dichiarato che la Commissione poteva, al fine di dare esecuzione alla sentenza Eurobolt, riaprire il procedimento nella fase in cui era stata commessa la violazione della forma sostanziale, consentendo in tal modo che fosse garantito il rispetto dei requisiti procedurali relativi alla consultazione del comitato consultivo prevista dall’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009 (v., per analogia, sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 54).

52      La circostanza che l’obbligo di comunicare tutti gli elementi di informazione utili a tale comitato consultivo rientri tra le forme sostanziali della regolarità del procedimento non è idonea a modificare tale constatazione né i principi ricordati ai punti 44 e 47 della presente sentenza. Analogamente, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, l’importanza dei diritti della difesa nel settore del diritto antidumping per gli operatori economici interessati non può mettere in discussione la giurisprudenza derivante dai punti 33 e 34 della sentenza del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391).

53      Infatti, qualunque sia il settore interessato, la funzione sottesa alla qualificazione come «forma sostanziale» consiste nel garantire il rispetto delle norme sulla competenza e dei diritti procedurali. Orbene, il rispetto di tali norme e di tali diritti non è affatto pregiudicato dalla ripresa del procedimento nella fase in cui la violazione della forma sostanziale è stata commessa qualora l’inosservanza di tale forma sostanziale non abbia viziato le fasi precedenti.

54      Poiché, nella presente causa, la violazione della forma sostanziale di cui trattasi non ha inciso sulle fasi della procedura di estensione che erano anteriori a tale violazione, nulla ostava a che la Commissione riprendesse il procedimento dal momento in cui detta violazione si è verificata e che, dopo averla corretta, procedesse all’adozione di un nuovo atto.

55      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui l’articolo 266 TFUE imporrebbe di rimborsare i dazi pagati anteriormente mentre essi non erano legalmente dovuti, è vero che ciò è quanto deve avvenire, in linea di principio, quando la Corte dichiara invalido un regolamento che impone dazi antidumping. Tuttavia, come ricordato al punto 44 della presente sentenza, la portata precisa di una sentenza d’invalidità della Corte e, pertanto, degli obblighi che ne derivano deve essere determinata, in ciascun caso concreto, tenendo conto non soltanto del dispositivo di tale sentenza, ma anche della motivazione che ne costituisce il sostegno necessario (sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punti 62 e 63).

56      Orbene, nella sentenza Eurobolt, la Corte ha dichiarato invalido il regolamento di esecuzione n. 723/2011 unicamente a causa della violazione della regola procedurale di cui all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009. In tale sentenza, la Corte non ha quindi affatto esaminato il contenuto sostanziale di tale regolamento di esecuzione e, di conseguenza, non ha né annullato né confermato le norme in esso contenute. Le ricorrenti non potevano, quindi, aspettarsi un cambiamento di atteggiamento nel merito da parte della Commissione (v., per analogia, sentenza del 13 novembre 1990, C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 47).

57      A tale proposito, occorre inoltre ricordare che, come risulta da una giurisprudenza costante, non è necessario che la facoltà di riaprire il procedimento sia esplicitamente prevista dalla normativa applicabile affinché l’istituzione autrice di un atto annullato o dichiarato invalido possa farvi ricorso (v., in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik et GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 52). Infatti, sebbene l’articolo 9, paragrafo 4, l’articolo 13, paragrafi 1 e 3, nonché l’articolo 14, paragrafi 1 e 5, del regolamento 2016/1036, letti congiuntamente, non si riferiscano alla facoltà di «reistituire» dazi antidumping in seguito alla pronuncia di una sentenza di annullamento o di invalidità, tali disposizioni autorizzano nondimeno la Commissione anche a procedere a una siffatta reistituzione, dopo che quest’ultima abbia ripreso il procedimento all’origine del regolamento annullato o dichiarato invalido dal giudice dell’Unione e abbia sanato, in tale ambito, conformemente alle regole di procedura e materiali applicabili ratione temporis, le illegittimità constatate (v., in tal senso, sentenze del 19 giugno 2019, C & J Clark International, C‑612/16, EU:C:2019:508, punti 42 e 43, nonché dell’8 settembre 2022, Puma e a./Commissione, C‑507/21 P, EU:C:2022:649, punto 58).

58      La ripresa del procedimento amministrativo a seguito della pronuncia della sentenza Eurobolt poteva, pertanto, validamente sfociare nella reistituzione dei dazi antidumping prevista dal regolamento di esecuzione n. 723/2011 nei confronti dei prodotti immessi in libera pratica durante il periodo di applicazione del regolamento n. 91/2009. Ne consegue che il rimborso immediato e integrale dei dazi antidumping imposto da tale regolamento di esecuzione non era obbligatorio (v., per analogia, sentenza dell’8 settembre 2022, Puma e a./Commissione, C‑507/21 P, EU:C:2022:649, punto 68).

59      Dalle considerazioni esposte ai punti da 55 a 58 della presente sentenza risulta che il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 48 della sentenza impugnata, che la Commissione ben aveva potuto riprendere il procedimento nella fase in cui era stata commessa l’irregolarità sanzionata nella sentenza Eurobolt e, di conseguenza, reistituire le misure contenute nel regolamento di esecuzione n. 723/2011, senza ordinare il rimborso dei dazi antidumping versati dalle ricorrenti.

60      In terzo luogo, per quanto riguarda il principio d’irretroattività, come già affermato dalla Corte, se certo l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009, riprodotto in modo identico dall’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, sancisce il principio d’irretroattività delle misure antidumping, potendo queste ultime in linea di principio applicarsi soltanto a prodotti immessi in libera pratica dopo la data di entrata in vigore del regolamento che le istituisce, nondimeno varie disposizioni dei regolamenti n. 1225/2009 e 2016/1036 derogano a tale principio (sentenza del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 48).

61      Pertanto, per quanto riguarda le norme concernenti l’elusione, la riscossione retroattiva di dazi antidumping estesi da un regolamento di estensione adottato sulla base dell’articolo 13 di tali regolamenti è autorizzata da quest’ultimo solo dalla data in cui è stata imposta la registrazione delle importazioni, a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, di regolamenti citati (sentenza del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 49).

62      Ne consegue che la ripresa del procedimento dopo l’annullamento o la dichiarazione di invalidità di un regolamento di estensione non può comportare che il regolamento che sarà adottato al termine di tale procedimento reistituisca dazi antidumping che siano applicati a prodotti immessi in libera pratica prima della data in cui tale registrazione è stata resa obbligatoria. Per contro, tale ripresa è autorizzata, anche qualora i dazi antidumping di cui trattasi siano scaduti, purché detti dazi siano ripristinati solo durante il loro periodo di applicazione iniziale (v., per analogia, sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punti 77 e 78), e quindi soltanto per il periodo antecedente a tale scadenza, di modo che le misure estese presentano un carattere esclusivamente retroattivo (sentenza del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 47).

63      L’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036 non ostava, quindi, a che il regolamento controverso reistituisse dazi antidumping su importazioni avvenute durante il periodo di applicazione del regolamento dichiarato invalido dalla sentenza Eurobolt (v., per analogia, sentenza del 19 giugno 2019, C & J Clark International, C‑612/16, EU:C:2019:508, punto 57).

64      Ne consegue che il Tribunale non ha neppure commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti 55 e 61 della sentenza impugnata, che il principio d’irretroattività, quale sancito all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009, non ostava alla ripresa del procedimento antidumping relativo ai prodotti di cui trattasi e alla reistituzione dei dazi antidumping su importazioni avvenute durante il periodo di applicazione del regolamento dichiarato invalido dalla sentenza Eurobolt.

65      In quarto luogo, dalla motivazione esposta ai punti da 54 a 58 e da 60 a 63 della presente sentenza risulta che la Commissione, adottando il regolamento controverso, non ha usurpato la competenza di cui gode la Corte sulla base dell’articolo 264 TFUE poiché non ha rimesso in discussione il dispositivo della sentenza Eurobolt, né la motivazione che lo sostiene, ma si è limitata, in quanto istituzione competente, ad adottare un regolamento di estensione entro i limiti ratione temporis descritti al punto precedente della presente sentenza. Pertanto, non si può contestare al Tribunale di essere venuto meno al suo obbligo di motivazione ai sensi dell’articolo 296 TFUE avendo dichiarato, al punto 99 della sentenza impugnata, che l’articolo 264 TFUE non osta a che l’istituzione interessata adotti provvedimenti che possono avere gli stessi effetti ratione temporis della decisione che la Corte sarebbe indotta ad adottare se applicasse il secondo comma di tale disposizione, dato che, come risulta dal punto 98 della sentenza impugnata, le ricorrenti non hanno dimostrato che il regolamento controverso sia incompatibile con il dispositivo e con la motivazione della sentenza Eurobolt.

66      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, i motivi d’impugnazione dal primo al quarto devono essere integralmente respinti in quanto infondati.

 Sul quinto motivo dimpugnazione

 Argomenti delle parti

67      Con il loro quinto motivo d’impugnazione, relativo al punto 112 della sentenza impugnata, le ricorrenti sostengono che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato e applicato il principio di tutela giurisdizionale effettiva considerando che esso non richieda il rimborso integrale di dazi antidumping nel presente caso.

68      Secondo le ricorrenti, giungendo a tale conclusione, il Tribunale ha ignorato l’argomento secondo cui, se la Commissione fosse autorizzata ad adottare atti quali il regolamento controverso, le sentenze della Corte sarebbero private di qualsiasi effetto giuridico. Accogliere l’approccio seguito dalla Commissione in tale regolamento comporterebbe che nessun operatore economico sia incentivato a contestare dinanzi alla Corte il comportamento adottato dalla Commissione nelle cause antidumping, cosicché il potere di quest’ultima sarebbe esente da qualsiasi controllo. Quest’ultima potrebbe, infatti, sempre «sanare» le violazioni accertate dalla Corte adottando un atto che produce effetti nel passato, come se la Corte non avesse mai emesso una decisione.

69      La Commissione conclude chiedendo il rigetto del quinto motivo in quanto infondato.

 Giudizio della Corte

70      Con il quinto motivo d’impugnazione, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver commesso un errore di diritto avendo dichiarato, al punto 112 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva rispettato il loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Così facendo, il Tribunale avrebbe applicato erroneamente tale diritto dichiarando che esso non esigeva il rimborso integrale dei dazi antidumping imposti dal regolamento dichiarato invalido dalla sentenza Eurobolt.

71      A tale proposito, dal punto 112 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale ha dichiarato che, correggendo l’irregolarità procedurale sanzionata dalla sentenza Eurobolt, vale a dire provvedendo affinché la deliberazione del comitato consultivo competente avvenisse nel pieno rispetto delle forme sostanziali previste dalla normativa applicabile e confermando le conclusioni dell’inchiesta che non erano state messe in discussione dalla sentenza Eurobolt, la Commissione aveva rispettato il suo obbligo, derivante dall’articolo 266 TFUE, di adottare i provvedimenti che l’esecuzione di tale sentenza comportava nonché il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva delle ricorrenti.

72      Le ricorrenti sostengono in sostanza che, giungendo a tale conclusione, il Tribunale ha ignorato l’argomento secondo cui, se la Commissione fosse autorizzata ad adottare atti quali il regolamento controverso, le sentenze della Corte sarebbero private di qualsiasi effetto giuridico.

73      Tale motivo d’impugnazione si basa, tuttavia, su una premessa errata. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, alla data di adozione del regolamento controverso non vi era alcuna decisione, da parte del giudice dell’Unione, che constatasse l’invalidità, nel merito, del regolamento di esecuzione n. 723/2011.

74      Infatti, come è stato rilevato al punto 56 della presente sentenza, nella sentenza Eurobolt, la Corte ha unicamente constatato l’invalidità di tale regolamento di esecuzione sulla base di un’irregolarità procedurale che poteva, come risulta dall’esame dei motivi dal primo al quarto della presente impugnazione, essere sanata.

75      Pertanto, giustamente il Tribunale ha dichiarato, al punto 112 della sentenza impugnata, che, sanando tale irregolarità procedurale, la Commissione aveva rispettato il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva delle ricorrenti provvedendo affinché la deliberazione del comitato consultivo competente avvenisse nel pieno rispetto delle forme sostanziali richieste dalla normativa applicabile.

76      Alla luce delle considerazioni che precedono, il quinto motivo d’impugnazione deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul sesto motivo dimpugnazione

 Argomenti delle parti

77      Con il loro sesto motivo d’impugnazione, vertente sui punti 129, 134, 138, 144, 148 e 154 della sentenza impugnata, le ricorrenti sostengono che il Tribunale, considerando che il regolamento controverso abbia una base giuridica adeguata, ha interpretato e applicato erroneamente l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE nonché il principio di buona amministrazione.

78      Le ricorrenti osservano, in via preliminare, che il Tribunale sembra aver travisato la portata del secondo motivo dedotto a sostegno del loro ricorso di annullamento. Con tale motivo di ricorso, le ricorrenti sostenevano che il regolamento n. 91/2009, essendo stato dichiarato illegittimo e quindi abrogato nel corso del 2016, non poteva costituire una base giuridica adeguata per adottare il regolamento controverso nel corso del 2020, dato che quest’ultimo aveva un «carattere accessorio» al regolamento n. 91/2009 che istituiva il dazio antidumping definitivo.

79      Le ricorrenti sviluppano, in sostanza, quattro argomenti a sostegno del sesto motivo d’impugnazione. In primo luogo, il Tribunale si sarebbe erroneamente basato sulla sentenza del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828), poiché in tale sentenza non era in discussione la base giuridica dell’atto impugnato. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe invocato l’articolo 207 TFUE come base giuridica per l’adozione, in linea generale, delle misure antidumping e, di conseguenza, del regolamento controverso, mentre il regolamento n. 91/2009, che era illegittimo, non poteva costituire una base giuridica adeguata per il regolamento controverso. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe altresì omesso l’essenziale dichiarando che l’abrogazione del regolamento n. 91/2009 non ne aveva inficiato la validità. L’elemento essenziale consisterebbe nel fatto che la Commissione, che ha abrogato tale regolamento nel corso del 2016 in quanto illegittimo, lo ha erroneamente «resuscitato» nel corso del 2020 per farne la base giuridica del regolamento controverso. In quarto luogo, il Tribunale avrebbe commesso un errore dichiarando che la legittimità del regolamento n. 91/2009 non può essere valutata alla luce del diritto dell’OMC. Le ricorrenti non affermano che le violazioni del diritto dell’OMC in tale regolamento viziano di illegittimità il regolamento controverso, ma precisano che detto regolamento non poteva fungere da base giuridica per il regolamento controverso.

80      La Commissione sostiene che il sesto motivo d’impugnazione è inoperante in quanto si basa sull’ipotesi errata secondo cui la base giuridica del regolamento controverso è il regolamento n. 91/2009. In ogni caso, tale motivo d’impugnazione sarebbe, altresì, infondato.

 Giudizio della Corte

81      Con il loro sesto motivo d’impugnazione, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il regolamento n. 91/2009 è stato abrogato nel 2016 per illegittimità, cosicché esso non può costituire la base giuridica del regolamento controverso adottato nel 2020, dato che quest’ultimo ha carattere accessorio rispetto al regolamento n. 91/2009.

82      In primo luogo, occorre ricordare che, quando intende reistituire dazi antidumping definitivi, la Commissione deve rispettare i principi che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo nonché i requisiti relativi ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. Questi ultimi impongono l’applicazione delle norme sostanziali in vigore all’epoca dei fatti di cui trattasi, quand’anche tali norme non siano più in vigore al momento dell’adozione di un atto da parte dell’istituzione dell’Unione, purché la disposizione che costituisce la base giuridica di un atto e che legittima l’istituzione dell’Unione ad adottare l’atto in questione sia in vigore al momento di tale adozione. Allo stesso modo, la procedura di adozione di tale atto deve essere eseguita nel rispetto delle norme in vigore al momento di quest’adozione (sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/McBride e a., C‑361/14 P, EU:C:2016:434, punto 40).

83      Orbene, come ricordato al punto 57 della presente sentenza, l’articolo 13 e l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, letti congiuntamente, autorizzano effettivamente la Commissione a «reistituire», dopo l’annullamento o la dichiarazione di invalidità per motivi che possono essere sanati, dazi antidumping mediante l’adozione di un nuovo regolamento.

84      Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, se è ovvio che i dazi antidumping possano essere estesi soltanto qualora siano stati in primis validamente istituiti, non è l’atto che istituisce tali dazi a costituire la base giuridica per estenderli, bensì il regolamento 2016/1036. Peraltro, il carattere accessorio del regolamento controverso rispetto al regolamento n. 91/2009 incide solo sulla portata temporale del primo. Infatti, come risulta, in sostanza, dal punto 62 della presente sentenza, un regolamento di estensione di dazi antidumping può riguardare soltanto un periodo durante il quale l’atto iniziale che istituisce tale dazio è o era a sua volta applicabile (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punti 53 e 54).

85      Ne consegue che, nel caso di specie, le disposizioni del regolamento 2016/1036 a cui si riferisce il regolamento controverso, ossia l’articolo 13 e l’articolo 14, paragrafo 1, costituiscono le basi giuridiche valide del regolamento controverso. Pertanto, è senza commettere errori di diritto che il Tribunale ha potuto constatare, ai punti 125 e 128 della sentenza impugnata, che il regolamento controverso era stato adottato sulla base di tali disposizioni e non di quelle del regolamento n. 91/2009.

86      In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il Tribunale non ha «omesso l’essenziale» menzionando, al punto 136 della sentenza impugnata, l’articolo 207 TFUE. Sebbene il Tribunale abbia fatto riferimento a tale disposizione di diritto primario, non l’ha fatto per giustificare la base giuridica del regolamento controverso, ma per respingere l’argomento delle ricorrenti relativo alla violazione del principio di attribuzione enunciato all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE. Infatti, l’articolo 207, paragrafo 2, TUE è la disposizione del diritto primario che autorizza il legislatore dell’Unione ad adottare norme che conferiscono alla Commissione la competenza di esecuzione per adottare un regolamento antielusione, cosa che tale legislatore ha fatto all’articolo 13 e all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036.

87      In terzo luogo, non si può contestare al Tribunale di essersi riferito, ai punti 129 e 134 della sentenza impugnata, alla sentenza del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828), per il motivo che, in tale sentenza, la Corte non si sarebbe pronunciata sull’argomento secondo cui un regolamento illegittimo non potrebbe costituire la base giuridica del regolamento controverso.

88      Infatti, da un lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, gli argomenti del Tribunale relativi alla valutazione degli atti dell’Unione alla luce delle norme e delle decisioni dell’OMC non sono viziati da alcun errore di diritto. Come la Corte ha già avuto modo di affermare, la validità del regolamento n. 91/2009 non può essere valutata alla luce delle relazioni delle decisioni del DSB del 28 luglio 2011 e del 12 febbraio 2016 (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Donex Shipping and Forwarding, C‑104/19, EU:C:2020:539, punti da 45 a 48). Dall’altro lato, l’abrogazione di un atto dell’Unione da parte del suo autore non può essere assimilata a una constatazione dell’illegittimità di tale atto avente effetti ex tunc, poiché una siffatta abrogazione produce effetti solo per il futuro.

89      Pertanto, è senza commettere errori di diritto che il Tribunale ha dichiarato, al punto 138 della sentenza impugnata, che l’abrogazione ex nunc dei dazi antidumping istituiti dal regolamento n. 91/2009, a seguito della decisione del DSB del 12 febbraio 2016, non incideva sulla sua validità.

90      Orbene, come ha per l’appunto affermato la Corte al punto 54 della sentenza del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828), se invero dal carattere accessorio di una misura che estende un dazio antidumping definitivo discende che le misure estese non possono sopravvivere alla scadenza delle misure che esse estendono, la decisione di istituire le prime non deve necessariamente intervenire prima della scadenza delle seconde.

91      Il sesto motivo d’impugnazione deve, pertanto, essere respinto in quanto infondato.

 Sul settimo motivo dimpugnazione

 Argomenti delle parti

92      Con il settimo motivo d’impugnazione, vertente sui punti da 164 a 167 della sentenza impugnata, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso tre errori di diritto dichiarando che il regolamento controverso poteva vietare definitivamente il rimborso dei dazi antielusione da esse versati sulla base del regolamento di esecuzione n. 723/2011 e ordinare alle autorità doganali di recuperare i dazi già rimborsati. Così facendo, il Tribunale avrebbe interpretato e applicato erroneamente l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036, l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE nonché il principio di buona amministrazione.

93      In primo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato che il divieto di rimborso dei dazi indebitamente versati «è solo la logica conseguenza» della reistituzione dei dazi antielusione, mentre da una giurisprudenza costante risulterebbe che le decisioni riguardanti le domande di rimborso di dazi indebitamente versati rientrano nella competenza esclusiva delle autorità doganali. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente la giurisprudenza della Corte che autorizza la Commissione a emettere ingiunzioni nei confronti delle autorità doganali. Infatti, tale giurisprudenza riguarderebbe l’ipotesi di un’ingiunzione della Commissione che vieti temporaneamente il rimborso dei dazi versati, in attesa della reintroduzione di un procedimento antidumping e della reistituzione dei dazi, e non il divieto definitivo di rimborso. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente concluso che la Commissione poteva vietare definitivamente il rimborso dei dazi in quanto la finalità di un divieto temporaneo, autorizzato dalla Corte, sarebbe quella di «rendere possibile e preparare» un divieto definitivo. Orbene, le decisioni definitive riguardanti il rimborso rientrerebbero nella competenza esclusiva delle autorità doganali.

94      La Commissione conclude che il presente motivo d’impugnazione è in parte inoperante e in parte infondato.

 Giudizio della Corte

95      Con il loro settimo motivo d’impugnazione, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando che il regolamento controverso poteva vietare definitivamente il rimborso dei dazi dichiarati invalidi dalla sentenza Eurobolt in violazione dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE.

96      A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il rimborso immediato e integrale dei dazi antidumping interessati dall’annullamento del regolamento che li istituisce non si impone in ogni circostanza. Nelle stesse circostanze, la Commissione è competente ad emettere ingiunzioni nei confronti delle autorità doganali al fine di adempiere l’obbligo di conformarsi alla sentenza che dichiara l’invalidità del regolamento (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punti 59, 60, 70 e 71, nonché del 19 giugno 2019, C & J Clark International, C‑612/16, EU:C:2019:508, punto 48).

97      Vero è che, nelle cause all’origine della giurisprudenza citata al punto precedente, le ingiunzioni in questione riguardavano un divieto di rimborso per un periodo temporaneo e non, come nel caso di specie, un divieto definitivo. Tuttavia, come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 167 della sentenza impugnata, la finalità di un divieto di rimborso temporaneo è quella di rendere possibile e di preparare un eventuale divieto definitivo nell’ipotesi in cui, al termine della ripresa dell’inchiesta antielusione, i dazi dichiarati invalidi fossero reistituiti. Il divieto di rimborso dei dazi indebitamente versati è quindi solo la logica conseguenza della reistituzione di questi stessi dazi al termine di una procedura esente da qualsiasi irregolarità.

98      Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, sebbene spetti alle autorità doganali procedere al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione, tale competenza può essere esercitata, conformemente all’articolo 116, paragrafo 1, primo comma, del codice doganale, solo a causa di un errore delle autorità competenti o se è accertato che l’obbligazione doganale inizialmente notificata supera l’importo esigibile o che le merci erano difettose o non conformi alle clausole del contratto, o per equità.

99      Nel caso di specie, poiché i dazi antidumping fissati dal regolamento controverso sono identici a quelli fissati dal regolamento di esecuzione n. 723/2011, rientrava nella competenza che l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento 2016/1023 conferisce alla Commissione, vietare il rimborso dei dazi percepiti anteriormente (v., per analogia, sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punti 57 e 58).

100    Reistituendo i dazi antidumping mediante il regolamento controverso, la Commissione ha mantenuto la salvaguardia dell’industria dell’Unione senza per questo imporre alle ricorrenti un qualsiasi obbligo che andasse oltre quelli risultanti dal regolamento di esecuzione n. 723/2011, depurato in tal modo dall’illegittimità constatata nella sentenza Eurobolt (v., per analogia, sentenza dell’8 settembre 2022, Puma e a./Commissione, C‑507/21 P, EU:C:2022:649, punto 68).

101    Alla luce delle considerazioni che precedono, il settimo motivo d’impugnazione deve essere integralmente respinto in quanto infondato.

102    Poiché nessuno dei motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione è stato accolto, quest’ultima deve essere integralmente respinta.

 Sulle spese

103    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

104    Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla Commissione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Eurobolt BV, la Fabory Nederland BV e la ASF Fischer BV sono condannate a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla Commissione europea.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.