Language of document : ECLI:EU:C:2020:592

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 16 luglio 2020(1)

Causa C485/18

Groupe Lactalis

contro

Premier ministre

Ministre de l’Agriculture et de l’Alimentation,

Garde des Sceaux, ministre de la Justice,

Ministre de l’Économie et des Finances

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 1169/2011 – Informazioni alimentari ai consumatori – Indicazione obbligatoria del paese d’origine – Articolo 26 – Portata dell’armonizzazione – Articolo 3 – Disposizioni nazionali che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti – Presupposti – Disposizione nazionale che prevede l’indicazione obbligatoria dell’origine nazionale, europea o extra-europea del latte»






I.      Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 26 e dell’articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (2).

2.        Detta domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società Groupe Lactalis e il Primo ministro francese, il Ministro della Giustizia, il Ministro dell’Agricoltura e dell’Alimentazione e il Ministro dell’Economia e delle Finanze in merito alla legittimità del decreto n. 2016-1137 del 19 agosto 2016 relativo all’indicazione dell’origine del latte nonché del latte e delle carni utilizzati come ingredienti (JORF 2016, n. 194, testo n. 81) (in prosieguo: il «decreto controverso»). Tale decreto ha per effetto, per quanto riguarda il latte, l’obbligo per i produttori di indicare l’origine del latte nella loro etichettatura del prodotto.

3.        Forse non è sorprendente osservare che l’etichettatura del paese d’origine dei prodotti fa parte delle caratteristiche più controverse del mercato unico. È abbastanza frequente che tali requisiti di etichettatura siano solo un metodo dissimulato per garantire che sia accordata preferenza ai prodotti nazionali (3). Vi sono tuttavia casi in cui esiste un nesso chiaro e consolidato tra la provenienza dell’alimento in questione e la sua qualità. L’esistenza stessa del regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (4) ne costituisce di per sé una prova. La vera questione che si pone nella presente causa è se una disposizione nazionale che impone un siffatto requisito nel caso del latte possa essere giustificata alla luce del diritto dell’Unione. Tuttavia, per i motivi che illustrerò, non ritengo che ciò accada nella situazione esaminata dal giudice del rinvio.

4.        Prima di esaminare tali questioni è tuttavia necessario, anzitutto, illustrare le disposizioni legislative pertinenti.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Regolamento n. 1169/2011

5.        Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, il regolamento n. 1169/2011 intende stabilire «le basi che garantiscono un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, tenendo conto delle differenze di percezione dei consumatori e delle loro esigenze in materia di informazione, garantendo al tempo stesso il buon funzionamento del mercato interno».

6.        L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento ha il seguente tenore:

«1.      La fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche.

2.      La normativa in materia di informazioni sugli alimenti intende stabilire nell’Unione le condizioni per la libera circolazione degli alimenti legalmente prodotti e commercializzati, tenuto conto, ove opportuno, della necessità di proteggere gli interessi legittimi dei produttori e di promuovere la fabbricazione di prodotti di qualità.

(...)».

7.        L’articolo 9, paragrafo 1, lettera i), del regolamento n. 1169/2011, rubricato «Elenco delle indicazioni obbligatorie», così dispone:

«1.      Conformemente agli articoli da 10 a 35 e fatte salve le eccezioni previste nel presente capo, sono obbligatorie le seguenti indicazioni:

(...)

i)      il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26;

(...)».

8.        L’articolo 10 di detto regolamento, rubricato «Indicazioni obbligatorie complementari per tipi o categorie specifici di alimenti», così recita:

«1.      Oltre alle indicazioni elencate all’articolo 9, paragrafo 1, indicazioni obbligatorie complementari sono previste all’allegato III per tipi o categorie specifici di alimenti.

2.      Per assicurare l’informazione dei consumatori in merito a tipi o categorie specifici di alimenti e per tener conto del progresso tecnico, degli sviluppi scientifici, della protezione della salute dei consumatori o dell’uso sicuro di un alimento, la Commissione può modificare l’allegato III mediante atti delegati ai sensi dell’articolo 51.

(...)».

9.        Ai sensi dell’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011, rubricato «Paese d’origine o luogo di provenienza»:

«1.      Il presente articolo si applica fatti salvi i requisiti di etichettatura stabiliti da specifiche disposizioni dell’Unione, in particolare il regolamento (CE) n. 509/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari, e il regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.

2.      L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:

a)      nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza;

b)      per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI. L’applicazione della presente lettera è soggetta all’adozione degli atti di esecuzione di cui al paragrafo 8.

3.      Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:

a)      è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure

b)      il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.

L’applicazione del presente paragrafo è soggetta all’adozione degli atti di esecuzione di cui al paragrafo 8.

4.      Entro cinque anni dalla data di applicazione del paragrafo 2, lettera b), la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio per valutare l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per i prodotti ivi indicati.

5.      Entro il 13 dicembre 2014, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per i seguenti alimenti:

a)      i tipi di carni diverse dalle carni bovine e da quelle di cui al paragrafo 2, lettera b);

b)      il latte;

c)      il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari;

d)      gli alimenti non trasformati;

e)      i prodotti a base di un unico ingrediente;

f)      gli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento.

(...)

7.      Le relazioni di cui ai paragrafi 5 e 6 prendono in considerazione l’esigenza del consumatore di essere informato, la fattibilità della fornitura dell’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza e un’analisi dei relativi costi e benefici, compreso l’impatto giuridico sul mercato interno e l’impatto sugli scambi internazionali.

La Commissione può corredare tali relazioni di proposte di modifica delle pertinenti disposizioni dell’Unione.

8.      Entro il 13 dicembre 2013, e a seguito di valutazioni d’impatto, la Commissione adotta atti di esecuzione relativi all’applicazione del paragrafo 2, lettera b), del presente articolo e all’applicazione del paragrafo 3 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 48, paragrafo 2.

(…)»

10.      Il capo VI, rubricato «Disposizioni nazionali», comprende in particolare l’articolo 38 e l’articolo 39.

11.      L’articolo 38 è rubricato «Disposizioni nazionali» e così recita:

«1.      Quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza. Tali disposizioni nazionali non creano ostacoli alla libera circolazione delle merci, ivi compresa la discriminazione nei confronti degli alimenti provenienti da altri Stati membri.

2.      Fatto salvo l’articolo 39, gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal presente regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente regolamento».

12.      L’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011, rubricato «Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari», prevede quanto segue:

«1.      Oltre alle indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9, paragrafo 1, e all’articolo 10, gli Stati membri possono adottare, secondo la procedura di cui all’articolo 45, disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per almeno uno dei seguenti motivi:

a)      protezione della salute pubblica;

b)      protezione dei consumatori;

c)      prevenzione delle frodi;

d)      protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale.

2.      In base al paragrafo 1, gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni».

B.      Diritto francese

13.      Il decreto controverso è entrato in vigore il 17 gennaio 2017 ed è rimasto applicabile fino al 31 dicembre 2018.

14.      L’articolo 1 di tale decreto contiene un punto I così formulato:

«L’etichettatura dei prodotti alimentari preconfezionati ai sensi dell’articolo 2 del [regolamento n. 1169/2011] è conforme alle disposizioni del presente decreto qualora tali prodotti contengano:

1)      latte;

2)      come ingrediente, latte utilizzato nei prodotti lattiero-caseari menzionati nell’elenco di cui all’allegato;

(...)

L’etichettatura dei prodotti alimentari preconfezionati indica l’origine degli ingredienti menzionati ai punti da 1 a 3. Tuttavia, se tali ingredienti rappresentano una percentuale, espressa in peso totale degli ingredienti utilizzati nel prodotto preconfezionato, inferiore ad un valore limite, l’etichettatura di tale prodotto non è soggetta alle disposizioni del presente decreto».

15.      L’ articolo 3 di tale decreto prevede quanto segue:

«I.      L’indicazione dell’origine del latte o del latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all’articolo 1 comprende le seguenti indicazioni:

1°      “Paese di raccolta: (nome del paese in cui il latte è stato raccolto)”;

2°      “Paese di confezionamento o di trasformazione: (nome del paese in cui il latte è stato confezionato o trasformato)”.

II.      In deroga al punto I, quando il latte o il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari è stato raccolto, confezionato o trasformato nello stesso paese, l’indicazione d’origine può essere espressa con la dicitura: “Origine: (nome del paese)”.

III.       In deroga alle disposizioni del punto I e II, quando il latte o il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari è stato raccolto, confezionato o trasformato in uno o più Stati membri dell’Unione europea, l’indicazione d’origine può essere espressa con la dicitura: “Origine: UE”.

IV.       In deroga alle disposizioni del paragrafo I e II, quando il latte o il latte utilizzato come ingrediente in prodotti lattiero-caseari è stato raccolto, confezionato o trasformato in uno o più Stati non appartenenti all’Unione europea, l’indicazione d’origine può essere espressa con la dicitura: “Origine: extra UE”».

16.      L’articolo 4, ultimo paragrafo, del decreto controverso così recita:

«(...)

Ai fini dell’applicazione del punto I degli articoli 2 e 3, quando l’indicazione di origine comporta la menzione di più Stati membri dell’Unione europea e di Stati ad essa non appartenenti o qualora l’origine non sia determinata, l’indicazione di detti paesi può essere sostituita con la dicitura “UE o extra UE”».

17.      L’articolo 6 di detto decreto dispone quanto segue:

«I prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un paese terzo non sono soggetti alle disposizioni del presente decreto».

18.      Il 24 dicembre 2018 il decreto n. 2018-1239, relativo all’indicazione dell’origine del latte e del latte e delle carni utilizzati come ingredienti (JORF 2018, n. 298, testo n. 70), ha prorogato fino al 31 marzo 2020 l’applicazione del decreto controverso.

19.      Sia il suddetto decreto sia il decreto controverso sono stati notificati, prima della loro entrata in vigore, alla Commissione europea in forza dell’articolo 45 del regolamento n. 1169/2011. Con riferimento a entrambi i decreti, la Commissione non ha emesso alcun parere negativo ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 3, del regolamento n. 1169/2011 (5).

III. Fatti e domanda di pronuncia pregiudiziale

20.      Con ricorso registrato il 24 ottobre 2016, la Lactalis ha chiesto al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) l’annullamento del decreto controverso. A sostegno di tale ricorso, la Lactalis deduceva, in particolare, due motivi relativi alla violazione, da parte del decreto, degli articoli 26, 38 e 39 del regolamento n. 1169/2011. Il giudice del rinvio ha ritenuto che, per pronunciarsi su questi due motivi, occorra anzitutto determinare l’interpretazione da dare a talune disposizioni di detto regolamento, le quali presentano talune difficoltà.

21.      In tale contesto, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, che stabilisce, in particolare, che la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per il latte e per il latte usato come ingrediente, debba essere inteso nel senso che esso ha espressamente armonizzato detta materia ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, del medesimo regolamento e osti al riconoscimento agli Stati membri della facoltà di adottare disposizioni che richiedano ulteriori indicazioni obbligatorie sulla base dell’articolo 39 di detto regolamento.

2)      Ove le disposizioni nazionali siano giustificate dalla protezione dei consumatori ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, se i due criteri di cui al paragrafo 2 di detto articolo per quanto riguarda, da una parte, il nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza e, dall’altra, la prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni, debbano essere letti congiuntamente e, in particolare, se il giudizio sul nesso comprovato possa essere fondato su elementi soltanto soggettivi concernenti l’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può compiere tra le qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza.

3)      Se, nella misura in cui sembri che le qualità dell’alimento possano essere intese come riferite a tutti gli elementi che contribuiscono alla qualità dell’alimento, le considerazioni collegate alla capacità dell’alimento di resistere al trasporto e ai rischi di una sua alterazione nel corso del tragitto possano rilevare nel quadro della valutazione dell’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza, ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2.

4)      Se la valutazione delle condizioni fissate nell’articolo 39 presuppone di considerare le qualità di un alimento come uniche a causa della sua origine o della sua provenienza o come garantite da detta origine o provenienza e, in quest’ultimo caso, se, malgrado l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili in seno all’Unione europea, la menzione dell’origine o della provenienza possa essere più precisa di una menzione sotto forma di “UE” o “extra UE”».

IV.    Analisi

A.      Sulla prima questione

22.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011, il quale prevede, in particolare, che la Commissione sottoponga al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni relative all’indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza del latte e del latte utilizzato come ingrediente, debba essere interpretato nel senso che esso ha espressamente armonizzato le norme relative all’indicazione del paese di origine o al luogo di provenienza del latte utilizzato come prodotto finale o come ingrediente e se detta disposizione osti a che uno Stato membro renda tale indicazione obbligatoria in forza dell’articolo 39 di detto regolamento.

23.      Anzitutto, occorre rilevare che, in primo luogo, l’obbligo per la Commissione, previsto all’articolo 26, paragrafo 5, del [regolamento] n. 1169/2011, di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per il latte non può predeterminare se detto regolamento abbia o meno armonizzato le norme in materia di indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del latte. Infatti, l’unica conclusione che si può trarre da un siffatto obbligo è che tale indicazione non è attualmente obbligatoria in base al diritto dell’Unione.

24.      In secondo luogo, si può altresì porre l’accento sul fatto che l’adozione di un atto legislativo dell’Unione in un settore di competenze concorrenti implica necessariamente una certa armonizzazione delle legislazioni nazionali, sollevando così gli Stati membri dalle loro competenze nazionali conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, TFUE. Tale armonizzazione può tuttavia prevedere solo norme minime o riguardare solo taluni aspetti del settore specificato, di modo che gli Stati membri possono continuare a basarsi, per gli altri aspetti di tale settore, sulle proprie competenze ad adottare misure specifiche.

25.      Per quanto concerne l’armonizzazione realizzata dal regolamento n. 1169/2011 riguardo all’indicazione del paese di origine o al luogo di provenienza dei prodotti alimentari, occorre ricordare che l’articolo 9 di detto regolamento stabilisce un elenco delle indicazioni obbligatorie che gli operatori professionali sono tenuti a menzionare sulle etichette dei prodotti alimentari. Oltre a detto elenco, l’articolo 10 enumera le indicazioni obbligatorie complementari che devono essere menzionate, ma unicamente per tipi o categorie specifici di prodotti alimentari (6).

26.      Tra le indicazioni obbligatorie a prescindere dai tipi o dalle categorie di prodotti alimentari interessati, l’articolo 9, paragrafo 1, lettera i), del regolamento n. 1169/2011 menziona il paese d’origine o luogo di provenienza, ma unicamente quando tale indicazione obbligatoria è prevista all’articolo 26 di detto regolamento.

27.      Ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011, l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria in due casi, segnatamente:

–        nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza (7);

–        per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI, vale a dire carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina o caprina, o di volatili della voce 0105.

28.      Benché tale disposizione non precisi se armonizzi o meno le legislazioni nazionali relative all’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza, il contesto nel quale essa è inserita è illuminante riguardo al suo ambito di applicazione. A tal proposito, si può rilevare che il regolamento n. 1169/2011 contiene un capo VI, specificamente dedicato alle disposizioni nazionali.

29.      Vero è che l’articolo 38, paragrafo 2, del suddetto regolamento, contenuto in detto capo, prevede che «[f]atto salvo l’articolo 39, gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal presente regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente regolamento». Tuttavia, l’articolo 38, paragrafo 1, afferma invece che «quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza». Sebbene l’esatto significato dell’espressione «fatto salvo l’articolo 39» non sia del tutto chiaro, ritengo che le disposizioni cui fa riferimento l’articolo 39 (segnatamente quelle che disciplinano le indicazioni obbligatorie sulle etichette degli alimenti) non siano pregiudicate dall’articolo 38, paragrafo 2 (8).

30.      Ne consegue quindi che l’articolo 38, che funge da introduzione al capo VI, si limita a riconoscere che talune disposizioni procedono solo a un’armonizzazione parziale, mentre altre disposizioni realizzano un’armonizzazione completa delle indicazioni relative all’etichettatura dei prodotti alimentari e a precisare le conseguenze di ciascuna situazione. La difficoltà di interpretazione così presentata attiene al fatto che l’articolo 38 non precisa quali disposizioni rientrino nell’una o nell’altra di queste due ipotesi.

31.      Per contro, le disposizioni dell’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011 mi sembrano determinanti. Il primo paragrafo di detto articolo prevede infatti espressamente che gli Stati membri possono, a determinate condizioni, adottare disposizioni che richiedano ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti. Interpretare questa disposizione nel senso che essa non armonizza pienamente le condizioni in base alle quali gli Stati membri possono adottare indicazioni obbligatorie supplementari equivarrebbe pertanto a permettere l’attuazione di disposizioni nazionali che prevalgono sull’articolo 39, compromettendo in tal modo interamente l’effetto utile di detta disposizione. Ne consegue che il regolamento n. 1169/2011 deve necessariamente essere interpretato nel senso che esso osta a che gli Stati membri introducano indicazioni obbligatorie basandosi su competenze nazionali del tutto autonome.

32.      La suddetta conclusione è confermata dagli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1169/2011. Dai considerando 6 e 9 del regolamento n. 1169/2011 risulta infatti che fra gli obiettivi di detto regolamento vi era semplicemente il consolidamento della legislazione esistente, la quale risultava dalla direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (9). Poiché l’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva precisa che «l’etichettatura dei prodotti alimentari comporta soltanto le [indicazioni obbligatorie alle quali la disposizione fa riferimento]» (10), si può dedurre da tali considerando che il regolamento n. 1169/2011 ha, quanto meno, mantenuto il principio secondo cui gli Stati membri non godono più di una competenza del tutto autonoma per decidere quali indicazioni rendere obbligatorie.

33.      Inoltre, secondo i considerando 13 e 14 del regolamento n. 1169/2011, quest’ultimo ha segnatamente lo scopo di stabilire «definizioni, principi, requisiti e procedimenti comuni per determinare un quadro di riferimento chiaro e una base comune per le disposizioni dell’Unione e nazionali che disciplinano il settore delle informazioni sugli alimenti (...) [al fine di stabilire] un approccio completo (...) in relazione alle informazioni fornite ai consumatori sugli alimenti che essi consumano» (11). L’uso dell’aggettivo «completo» è assolutamente esplicito.

34.      Tutto ciò mi sembra sufficiente per dimostrare che tanto il contesto quanto gli obiettivi dell’articolo 26 dimostrano che il regolamento n. 1169/2011 ha armonizzato le legislazioni nazionali degli Stati membri in materia di indicazioni obbligatorie. Tale armonizzazione non è tuttavia esaustiva, poiché gli Stati membri restano liberi di adottare indicazioni obbligatorie supplementari, ma solo alle condizioni stabilite da detto regolamento (12).

35.      Per quanto riguarda l’indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza, giacché l’articolo 26, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 precisa i casi in cui, conformemente all’articolo 9 dello stesso, gli operatori del settore alimentare devono menzionare tale indicazione sulle etichette alimentari, tale disposizione deve pertanto essere interpretata nel senso che essa ha armonizzato almeno le condizioni in cui talune indicazioni possono essere rese obbligatorie. Di conseguenza, gli Stati membri sono privati della loro competenza nazionale a legiferare, secondo le proprie modalità, relativamente alle suddette indicazioni (13). Tuttavia, l’articolo 39 di tale regolamento delega nuovamente una parte delle competenze riservate in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, TFUE attribuendo agli Stati membri la competenza ad adottare le proprie indicazioni obbligatorie, fatto salvo il rispetto delle condizioni previste da tale disposizione (14).

36.      Tale conclusione non è messa in discussione dalla tesi difesa da talune parti nel procedimento principale, secondo cui l’armonizzazione operata dal regolamento n. 1169/2011 non riguarda l’indicazione del paese di origine o il luogo di provenienza, dal momento che una siffatta indicazione sarebbe necessaria per garantire la rintracciabilità dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti. Invero, oltre al fatto che non vedo alcun motivo che possa corroborare una siffatta tesi nel testo del regolamento n. 1169/2011, la necessità di garantire la rintracciabilità dei prodotti alimentari non è di per sé incompatibile con l’assenza dell’indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza degli alimenti. Infatti, l’articolo 3, punto 15, del regolamento generale in materia di legislazione alimentare (15) definisce la rintracciabilità come «la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione». La rintracciabilità non richiede pertanto la menzione esplicita del paese d’origine o del luogo di provenienza sull’etichetta, potendo essere ottenuta, ad esempio, mediante un codice d’identificazione (16).

37.      In mancanza di un’esplicita esclusione del latte dall’armonizzazione operata dal regolamento n. 1169/2011, si deve ritenere che quest’ultimo disciplina l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del latte. È vero che l’articolo 26, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1169/2011 stabilisce che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento. Tuttavia, la suddetta disposizione non può essere interpretata, come suggeriscono talune parti, nel senso che essa conferisce agli Stati membri la facoltà di esigere l’indicazione del paese di origine o di provenienza del latte in qualsiasi circostanza. Infatti, tale disposizione non autorizza gli Stati membri ad adottare misure derogatorie generali. Essa, invece, precisa per gli operatori del settore alimentare l’obbligo dell’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza, nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento (17). Inoltre, dall’articolo 26, paragrafi 5 e 7, del regolamento n. 1169/2011, secondo i quali la Commissione deve esaminare la fattibilità dell’introduzione di un’indicazione obbligatoria dell’origine del latte, si può dedurre che, attualmente, gli operatori del settore alimentare non sono tenuti a menzionare una siffatta indicazione, salvo nel caso di cui all’articolo 26, paragrafo 2, lettera a) (18).

38.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione nel modo seguente: l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 deve essere interpretato nel senso che esso ha armonizzato le condizioni alle quali l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del latte utilizzato come prodotto finale o come ingrediente può essere resa obbligatoria dagli Stati membri. La suddetta disposizione non osta tuttavia a che gli Stati membri rendano obbligatoria tale indicazione in forza dell’articolo 39 di detto regolamento qualora ciò sia giustificato da considerazioni quali la protezione della salute pubblica, i diritti dei consumatori, la prevenzione delle frodi o la repressione della concorrenza sleale e qualora siano soddisfatte le condizioni previste da detta disposizione.

B.      Sulla seconda questione

39.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, qualora una disposizione che prescrive l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza sia giustificata ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011, i due criteri enunciati al paragrafo 2 di tale articolo debbano essere letti congiuntamente o se, in particolare, la valutazione del primo criterio, vale a dire l’esistenza di un «nesso comprovato», possa basarsi unicamente su elementi soggettivi concernenti l’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può compiere tra le qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza.

40.      Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011, gli Stati membri possono richiedere indicazioni obbligatorie oltre a quelle di cui all’articolo 9, paragrafo 1, e all’articolo 10 del medesimo regolamento, fatti salvi i requisiti previsti in detta disposizione. Essa prevede tre condizioni per l’adozione di disposizioni nazionali che impongano dette indicazioni complementari, vale a dire:

–        in primo luogo, le indicazioni obbligatorie devono riguardare solo alcuni tipi o categorie specifici di alimenti;

–        in secondo luogo, ciò può essere giustificato da almeno uno dei motivi elencati all’articolo 39, paragrafo 1, tra i quali figura l’esigenza di tutelare i consumatori;

–        in terzo luogo, la disposizione nazionale che impone tale obbligo deve rispettare la procedura prevista all’articolo 45 di detto regolamento.

41.      Infine, qualora le indicazioni obbligatorie riguardino l’indicazione del paese di origine o il luogo di provenienza dei prodotti alimentari, l’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 precisa, nella sua prima frase, che «gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti [detta indicazione] solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza» e, nella seconda frase, che «[a]l momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni».

42.      Oltre a queste tre condizioni esplicitamente enunciate all’articolo 39, paragrafo 1, ogni disposizione nazionale che richieda indicazioni deve altresì rispettare i principi generali delle informazioni sugli alimenti enunciati al capo II di detto regolamento nonché i principi generali del diritto dell’Unione.

43.      Nessun considerando del regolamento è dedicato all’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011. Già l’articolazione di detta disposizione, tuttavia, suggerisce che essa stabilisce due criteri distinti. Sebbene sia concepibile che taluni elementi del tenore letterale o del contesto di tale disposizione, così come taluni obiettivi perseguiti da detto regolamento, potrebbero indurre a ritenere che l’esistenza di un «nesso comprovato» possa basarsi su elementi soggettivi relativi all’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra le qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza, ritengo che la migliore interpretazione di tale disposizione sia che essa si riferisce a elementi puramente oggettivi.

44.      Qualsiasi altra conclusione finirebbe con lo spalancare le porte a una reintroduzione indiretta di normative nazionali relative ai prodotti alimentari che avevano lo scopo di far leva su istinti puramente nazionalisti, o addirittura sciovinisti, da parte dei consumatori. Atteso che uno degli obiettivi del progetto del mercato interno consiste nell’eliminare (ove possibile) siffatte normative, è difficile pensare che il legislatore dell’Unione intendesse consentire la loro reintroduzione per vie traverse mediante il meccanismo di cui all’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011. È in tale contesto che si può comunque esaminare la formulazione di detta disposizione.

45.      In primo luogo, il termine «qualità» potrebbe rinviare a un insieme di proprietà e caratteristiche di un prodotto che consente di soddisfare le aspettative dei consumatori (19). In secondo luogo, il riferimento operato dall’articolo 39, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 1169/2011, all’opinione della maggioranza dei consumatori quale elemento di prova da fornire quando uno Stato membro notifica una siffatta disposizione alla Commissione, potrebbe lasciar pensare che tale disposizione si limiti a precisare il momento in cui devono essere forniti gli elementi di prova. In terzo luogo, il regolamento n. 1169/2011 afferma più volte che i consumatori devono ricevere informazioni adeguate che consentano loro di effettuare «scelte consapevoli», comprese quelle di natura ambientale o etica (20). In particolare, l’articolo 4, paragrafo 2, indica che, «[n]el valutare se occorre imporre informazioni obbligatorie sugli alimenti e per consentire ai consumatori di effettuare scelte consapevoli, si prende in considerazione il fatto che la maggioranza dei consumatori ritiene particolarmente necessarie alcune informazioni cui attribuisce un valore significativo o si tiene conto di alcuni elementi generalmente ritenuti utili per il consumatore» (21).

46.      Personalmente, tuttavia, ritengo che un’analisi dettagliata del regolamento dimostri che, come ho appena esposto, l’intenzione del legislatore dell’Unione nel formulare la prima frase fosse proprio quella di escludere la possibilità che, nel caso di disposizioni specifiche che richiedano l’indicazione del luogo di origine, la loro adozione possa essere fondata esclusivamente su considerazioni puramente soggettive.

47.      La definizione del termine «qualità», quando utilizzato al plurale, si riferisce generalmente alle caratteristiche intrinseche o alle proprietà del prodotto in questione (22). Nel caso di specie, è interessante notare che il termine utilizzato nella versione francese dell’articolo 39, paragrafo 2, non è «qualités», bensì «propriétés» (proprietà), che rinvia chiaramente alla qualità o alla proprietà considerata come una caratteristica o un elemento intrinseco di qualcosa. Inoltre, la prima frase di detto articolo 39, paragrafo 2, precisa, per quanto riguarda il nesso che deve esistere tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza, che esso deve essere «comprovato», il che presume implicitamente che tali qualità possano essere dimostrate oggettivamente (23). Infine, dall’articolo 1, paragrafo 1, e dall’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 risulta che gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1169/2011 sono garantire non solo un livello elevato di protezione dei consumatori, ma anche il rispetto della libera circolazione degli alimenti. Orbene, anche se applicata indistintamente ai prodotti alimentari nazionali e importati, l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza è tale da pregiudicare la libera circolazione dei prodotti, forse ancor più di qualsiasi altra forma di indicazioni non discriminatorie (24). Infatti, come la Corte ha dichiarato prima dell’adozione del citato regolamento, tali requisiti «[consentono] al consumatore di effettuare una distinzione fra le merci nazionali e quelle importate e danno quindi loro la possibilità di far valere gli eventuali pregiudizi contro i prodotti stranieri» (25).

48.      Tutto ciò significa che l’articolo 39, paragrafo 2, deve quindi essere inteso nel senso che esso impone condizioni supplementari per l’adozione di disposizioni che richiedono l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza. Lo scopo di tale disposizione è infatti quello di garantire un giusto equilibrio tra i due obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1169/2011 che consistono, da un lato, nel garantire ai consumatori un’informazione adeguata che consenta loro di effettuare scelte consapevoli, sicure, sostenibili e benefiche per la salute e, dall’altro, nel garantire il rispetto della libera circolazione in materia di prodotti alimentari. Tali condizioni mirano a limitare le giustificazioni che possono essere addotte a sostegno di una siffatta disposizione e ad imporre un nesso di proporzionalità più rigoroso tra i due aspetti (26).

49.      Tornando ora alle disposizioni di cui all’articolo 39, ne consegue a sua volta che il paragrafo 1 di detto articolo enuncia i motivi di interesse generale idonei a giustificare disposizioni nazionali che impongono ulteriori requisiti per una determinata categoria di alimenti. Tuttavia, per quanto riguarda le indicazioni relative al luogo di origine, l’articolo 39, paragrafo 2, impone due condizioni più restrittive, vale a dire, da un lato, l’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento in questione e la sua origine o provenienza e, dall’altro, il fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo alla fornitura di tali informazioni (27).

50.      Tenuto conto del tenore letterale, dell’economia generale e dell’obiettivo specifico perseguito dall’articolo 39, paragrafo 2, ritengo quindi che il primo e il secondo criterio siano distinti e cumulativi (28). In particolare, il requisito di un nesso comprovato tra le qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza non può essere soddisfatto sulla sola base di elementi puramente soggettivi, relativi all’importanza del collegamento che la maggior parte dei consumatori attribuisce a tale caratteristica.

51.      Tale conclusione non è messa in discussione dagli argomenti dedotti dai governi francese e italiano secondo i quali, se l’articolo 39, paragrafo 2, dovesse essere interpretato nel senso che esso pone due condizioni distinte, tale disposizione sarebbe privata di qualsiasi effetto utile (effet utile), soprattutto in quanto le sole disposizioni nazionali idonee a soddisfare queste due condizioni si contrapporrebbero all’armonizzazione esaustiva realizzata dal regolamento n. 1151/2012 (29).

52.      È vero che, se si interpreta l’articolo 39, paragrafo 2, nel senso che esso esige non solo che vi sia un nesso comprovato tra determinate qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza, ma anche che la maggior parte dei consumatori attribuisca un’importanza significativa a tale informazione, la portata di tale disposizione potrebbe sembrare piuttosto limitata. Tuttavia, poiché detta norma si applica solo alle disposizioni che richiedono l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza, sembra logico interpretare la stessa come avente un ambito di applicazione limitato. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da alcune parti, interpretando la suddetta norma nel senso che essa stabilisce due condizioni distinte non si priva questo articolo di qualsiasi effetto utile (effet utile). Anche se l’obiettivo si trova molto in alto, non è irraggiungibile.

53.      Quanto all’armonizzazione realizzata dal regolamento n. 1151/2012, relativo ai regimi di qualità applicabili ai prodotti agricoli e alimentari, esso non osta all’adozione di disposizioni che richiedano l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza. Sebbene il suddetto regolamento preveda un sistema di tutela uniforme ed esauriente delle indicazioni geografiche qualificate utilizzate per designare prodotti per i quali esiste un nesso specifico tra qualità e origine geografica (30), tale armonizzazione riguarda unicamente l’utilizzazione di determinate denominazioni per designare prodotti (31). Ciò non si verifica nel caso dell’indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza.

54.      Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che occorre interpretare l’articolo 39, paragrafo 2, nel senso che esso enuncia due criteri distinti. Pertanto, la valutazione del primo criterio relativo all’esistenza di un nesso comprovato non può essere fondato su elementi puramente soggettivi concernenti l’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra le qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. L’articolo 39, paragrafo 2, esige, al contrario, che i prodotti alimentari di cui trattasi, che provengono da taluni paesi o luoghi di provenienza, possiedano determinate qualità o proprietà oggettive che li differenziano da prodotti identici aventi origine diversa.

C.      Sulla terza questione

55.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 debba essere interpretato nel senso che le considerazioni collegate alla capacità dell’alimento di resistere al trasporto e ai rischi di una sua alterazione durante il tragitto possano rilevare nel quadro della valutazione dell’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità di detto alimento e la sua origine o provenienza, ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2.

1.      Ricevibilità

56.      Anzitutto, dal fascicolo trasmesso alla Corte non risulta che le autorità francesi abbiano menzionato considerazioni relative alla resistenza del latte al trasporto per giustificare il decreto controverso al momento della sua notifica alla Commissione prima della sua adozione. Peraltro, nelle sue osservazioni scritte, il governo francese ha fornito un’altra spiegazione, vale a dire che tale decreto è stato adottato «al fine di soddisfare le forti aspettative espresse dai consumatori a favore dell’etichettatura del latte (...) dopo scandali quali quello della carne equina usata in modo fraudolento in sostituzione della carne bovina» e che «l’obbligo di indicare l’origine migliorerebbe la trasparenza e la rintracciabilità lungo la catena di approvvigionamento alimentare per meglio combattere le frodi alimentari e ristabilire la fiducia dei consumatori».

57.      Occorre tuttavia rilevare che le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione o l’esame di validità richiesto relativamente a una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (32).

58.      Nel caso di specie, il giudice del rinvio non sembra escludere che, al momento dell’adozione del decreto in questione, possano essere state prese in considerazione dal legislatore nazionale considerazioni relative alla resistenza del latte al trasporto. Poiché la Corte non è competente ad interpretare il diritto nazionale – e quindi a stabilire se gli obiettivi perseguiti dal decreto controverso siano effettivamente quelli contemplati nella questione sottoposta –, ritengo che essa debba essere considerata ricevibile.

2.      Sul merito

59.      Alla luce delle mie conclusioni relativamente alla seconda questione pregiudiziale, occorre anzitutto ricordare che l’articolo 39, paragrafo 2, enuncia due criteri per l’adozione di una disposizione nazionale che richiede l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dei prodotti alimentari da parte di uno Stato membro. Secondo il primo criterio, una siffatta indicazione potrebbe essere adottata solo se sussiste un nesso comprovato tra talune qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza.

60.      Per quanto riguarda la nozione di «qualità», come già rilevato, detto termine si riferisce alle caratteristiche di un elemento, quali, in agronomia, le proprietà fisiche, nutrizionali, organolettiche e, in particolare, le proprietà relative al gusto di un prodotto alimentare.

61.      Poiché l’articolo 39, paragrafo 2, utilizza l’espressione «talune qualità», senza precisare quali possano essere tali caratteristiche, ritengo che la suddetta disposizione si applichi in tutti i casi in cui possa essere individuato un nesso tra una delle caratteristiche di un prodotto alimentare e la sua origine o provenienza. In tale contesto, la resistenza dell’alimento al trasporto potrebbe essere considerata una delle sue qualità (33).

62.      Tuttavia, per soddisfare il primo criterio previsto dell’articolo 39, paragrafo 2, è necessario che esista un nesso tra, da un lato, la qualità addotta dal giudice del rinvio nella sua questione, vale a dire la resistenza dell’alimento al trasporto e, dall’altro, la sua origine o provenienza. Per quanto riguarda quest’ultimo criterio, tale qualità non è, in generale, specifica della sua origine. Così, a titolo di esempio, nel caso di taluni prodotti ortofrutticoli specifici, le tecniche di produzione utilizzate in agricoltura possono eventualmente influenzare la loro idoneità a resistere al trasporto. Orbene, per quanto riguarda il latte, la sua capacità di resistere al trasporto di modo che la sua qualità non ne risulti compromessa non varia, quanto meno al giorno d’oggi, in funzione del luogo di produzione. Si può così presumere – di certo in assenza di elementi di prova in senso contrario – che il latte prodotto in Francia o quello prodotto in Belgio abbiano la stessa capacità di resistere al trasporto.

63.      È vero che il trasporto potrebbe incidere su altre qualità dell’alimento, a cominciare dal gusto. Atteso che tale trasporto richiede più o meno tempo in funzione dell’origine del prodotto alimentare, può dunque esistere un nesso tra la sua origine e talune delle sue qualità. Tuttavia, al fine di soddisfare il primo criterio enunciato all’articolo 39, vale a dire l’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza, è altresì necessario che sia dimostrato che il trasporto di un determinato prodotto alimentare presenta rischi oggettivi di deterioramento delle sue qualità. Per quanto riguarda il latte, tenuto conto del secondo criterio, tale alterazione deve incidere su determinate sue qualità che la maggior parte dei consumatori reputa importanti.

64.      Inoltre, quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (34) e, pertanto, in sede di attuazione dell’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi generali del diritto dell’Unione, compreso il principio di proporzionalità. Ne deriva che le misure che possono essere adottate dagli Stati membri devono essere idonee a realizzare lo scopo perseguito e non andare oltre quanto è necessario per raggiungerlo. Ciò implica in particolare che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva (35). Infine, va ricordato che una normativa nazionale è atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo fatto valere solo qualora risponda effettivamente all’intento di realizzarlo in modo coerente e sistematico (36).

65.      Per quanto riguarda il latte, pur ammettendo che talune delle sue qualità potrebbero essere influenzate dal trasporto, ciò sembra valere solo quando si tratta di latte «fresco» (pastorizzato o meno). Poiché dal fascicolo risulta che il decreto controverso si applica indistintamente a tutti i tipi di latte, tanto «fresco» quanto «UHT», sembra che ciò vada oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo invocato dal giudice del rinvio.

66.      Se, tuttavia, può essere scientificamente dimostrato che è probabile che determinate qualità del latte, compreso quelle del latte UHT, siano esse fisiche, nutrizionali, organolettiche o relative al gusto, subiscano un’alterazione a causa del trasporto e se i consumatori attribuiscono importanza a tali specifiche qualità ‐ come è stato spiegato nell’ambito dell’esame della seconda questione ‐, si potrebbe tener conto delle considerazioni relative alla resistenza del prodotto alimentare al trasporto e del rischio di deterioramento durante il tragitto.

67.      È certamente vero che, nel caso del latte «fresco», la questione della freschezza è intrinsecamente – in misura variabile a seconda del tipo di latte di cui trattasi – legata alla distanza percorsa dal latte dalla produzione al mercato (37). In questo contesto, non posso tuttavia esimermi dall’osservare che l’articolo 3-III del decreto controverso prevede che, per il latte prodotto in qualsiasi altro Stato membro ad eccezione della Francia, l’indicazione di origine può essere espressa con la dicitura «Origine: UE». Per contro, l’articolo 3-IV prevede che, quando il latte o il latte utilizzato come ingrediente in prodotti lattiero-caseari è stato raccolto, confezionato o trasformato in uno o più Stati che non siano membri dell’Unione europea, l’indicazione d’origine può essere espressa con la dicitura: «Origine: Extra UE».

68.      Poiché l’alternativa prevista da tali disposizioni tra le indicazioni «Francia», «UE» o «Extra UE» non è sufficientemente precisa perché il consumatore possa valutare, sia pure indirettamente, la distanza percorsa dal latte, sembrerebbe che il decreto controverso non sia coerente con l’obiettivo invocato dal governo francese a titolo di giustificazione, ossia quello di informare i consumatori del rischio di deterioramento del latte durante il tragitto.

69.      In concreto, si potrebbe ritenere che il decreto controverso nella sua forma attuale violi il criterio di proporzionalità, in quanto non riesce a conseguire l’obiettivo di informare i consumatori, in modo coerente e sistematico, circa l’eventuale nesso tra un lungo trasporto del latte e le qualità del latte stesso (38). Ciò vale a maggior ragione in quanto, ai sensi dell’articolo 6 di detto decreto, i prodotti lattiero-caseari legalmente prodotti in un altro Stato membro non sono soggetti alle disposizioni del presente decreto. Così, ad esempio, un formaggio prodotto in Italia con latte tedesco e successivamente commercializzato in Francia non sarebbe interessato.

70.      Poiché tuttavia la Corte non è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, ad applicare una norma di diritto dell’Unione a una fattispecie determinata e, per estensione, a valutare la validità di una legge nazionale alla luce di una siffatta norma, spetta unicamente al giudice del rinvio verificare, alla luce delle eventuali spiegazioni aggiuntive addotte dal governo francese, se le quattro condizioni menzionate al paragrafo 64 delle presenti conclusioni siano soddisfatte.

71.      In tali circostanze, propongo di rispondere alla terza questione che l’articolo 39, paragrafo 2, deve essere interpretato nel senso che considerazioni relative alla resistenza al trasporto del prodotto alimentare e al rischio di deterioramento durante il tragitto possono essere tenute in considerazione in sede di esame del nesso comprovato tra talune qualità di detto prodotto e la sua origine o provenienza ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, se, in primo luogo, è accertato che il latte può deteriorarsi durante il trasporto; in secondo luogo, se tale alterazione è tale da incidere su determinate qualità alle quali la maggior parte dei consumatori attribuisce importanza; in terzo luogo, se tale requisito è di più semplice attuazione rispetto ad altri parametri, più direttamente legati alla distanza percorsa o alla durata del trasporto del latte e, in quarto luogo, se l’obiettivo di informare i consumatori circa i rischi per le qualità dei prodotti alimentari associati al loro trasporto è perseguito dalla disposizione nazionale in modo coerente e sistematico.

D.      Sulla quarta questione

72.      Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede se la valutazione dei criteri previsti all’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011 presupponga che le qualità del prodotto alimentare debbano essere considerate uniche a causa della loro origine o garantite a causa di detta origine e, in quest’ultimo caso, se l’indicazione di origine o di provenienza debba essere più precisa di un’indicazione espressa con la dicitura «UE» o «extra UE», malgrado l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili all’interno dell’Unione europea.

73.      A tal riguardo, come è stato esposto supra nell’ambito della risposta alla seconda questione, l’articolo 39, paragrafo 2, pone due criteri distinti relativi, da un lato, all’esistenza di un nesso comprovato tra talune proprietà del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza e, dall’altro, la necessità per gli Stati membri di fornire la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo a tali informazioni.

74.      Poiché il nesso tra determinate qualità dell’alimento e la sua origine deve essere «comprovato», il primo criterio esige che i prodotti alimentari aventi una certa origine possiedano di norma determinate qualità specifiche di tale origine. Tuttavia, la formulazione dell’articolo 39, paragrafo 2, non richiede che tali qualità siano uniche nel senso che esse siano specifiche di un unico paese, né che sia necessario che lo Stato membro esiga che tale menzione figuri tra i paesi di cui i prodotti alimentari possiedono tali qualità.

75.      Tuttavia, affinché una siffatta disposizione sia conforme al principio di proporzionalità, come sottolinea in sostanza l’articolo 39, paragrafo 2, seconda frase, è necessario non solo che la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo alle qualità specifiche dei prodotti alimentari provenienti da taluni paesi o luoghi, ma è altresì necessario che essi possano associare tali qualità a taluni paesi o luoghi. In caso contrario, l’indicazione del paese o del luogo di origine non svolgerebbe la sua funzione, che è, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011, quella di fornire ai consumatori le basi per effettuare scelte consapevoli.

76.      Quanto al grado di certezza che occorre riconoscere alla presenza di tali qualità particolari nei prodotti alimentari che hanno origine in un paese o luogo di provenienza determinato, mi sembra sufficiente che sia dimostrato che le specifiche condizioni di produzione, in particolare le condizioni tecniche o climatiche generalmente presenti nel paese interessato, sono collegate a tali qualità. Pertanto, ritengo che le qualità dei prodotti alimentari provenienti da un determinato gruppo di paesi o regioni geografiche potrebbero essere specifiche in ragione della loro origine senza essere necessariamente garantite in virtù di detta origine.

77.      Poiché tali qualità possono essere la conseguenza di fattori quali il clima, le proprietà del suolo o le norme di produzione applicabili, l’indicazione dell’origine o della provenienza potrebbe essere più precisa di un’indicazione espressa dalla dicitura «UE» o «extra UE», nonostante l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili all’interno dell’Unione.

78.      Anche quando tali qualità derivano dalla norma di produzione applicabile, l’armonizzazione può, come nel caso di specie, lasciare agli Stati membri un certo margine di discrezionalità per adottare provvedimenti concreti. Infatti, tale armonizzazione può non essere esaustiva, come suggerisce la presente questione, ma potrebbe riguardare unicamente le questioni connesse alla salute e all’ambiente, mentre le norme nazionali applicate possono perseguire altri obiettivi, quali garantire un certo grado di eccellenza del prodotto alimentare. Al fine di incentivare una «corsa verso l’alto», i consumatori dovrebbero essere in grado di identificare l’origine di un prodotto alimentare che presenti una qualità alla quale attribuiscono un valore significativo, laddove risulti con certezza che taluni Stati membri adottano standard di produzione più elevati.

79.      Di conseguenza, qualora le qualità particolari del prodotto alimentare siano connesse a fattori climatici o alle proprietà del suolo o alle norme di produzione applicate, uno Stato membro può, sulla base dell’articolo 39, paragrafo 2, rendere obbligatoria l’indicazione del paese d’origine per consentire ai consumatori interessati a tali proprietà di effettuare una scelta consapevole. Tuttavia, se risulta che le qualità dei prodotti alimentari ricercati dai consumatori sono garantite dall’applicazione di norme di produzione pienamente armonizzate nell’Unione, uno Stato membro potrebbe non esigere altro che l’indicazione «UE/extra-UE». Infatti, un’indicazione più precisa sarebbe inevitabilmente superflua e, pertanto, andrebbe oltre quanto necessario, contrariamente a quanto richiesto dal principio di proporzionalità.

80.      Per quanto riguarda il latte, anche se la questione non verte specificamente su tale prodotto alimentare, non sono del tutto convinto che l’armonizzazione operata dal diritto dell’Unione renda pienamente conto di tutte le condizioni di produzione di latte che dipendono in particolare dai mangimi con cui sono alimentate le vacche nonché dal loro benessere generale. Rilevo infatti, ad esempio, che il regolamento n. 178/2002, sul quale la Lactalis fonda le proprie osservazioni, si limita ad enunciare, come menzionato all’articolo 1, paragrafo 2, di detto regolamento, taluni principi generali che gli Stati membri devono rispettare. Analogamente, l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/58/CE (39) precisa che essa stabilisce solo le norme minime per la protezione degli animali nelle aziende agricole (40). Altri atti normativi, come il regolamento (CE) n. 853/2004 (41), prevedono la possibilità per gli Stati membri di adottare misure di deroga (42). Peraltro, all’udienza, la Commissione ha confermato che la normativa relativa alla produzione del latte non è completamente armonizzata.

81.      Alla luce di quanto precede, ritengo che occorra rispondere alla quarta questione nel senso che l’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011 richiede soltanto che le qualità dei prodotti alimentari provenienti da un determinato gruppo di paesi o regioni geografiche possano essere specifiche in ragione della loro origine senza essere necessariamente garantite in ragione di tale origine. La suddetta disposizione non osta necessariamente a che uno Stato membro imponga un’indicazione obbligatoria supplementare relativa al luogo di produzione che sia più precisa della semplice indicazione «UE/extra-UE», nonostante l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili all’interno dell’Unione europea.

 Conclusioni

82.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni poste dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) come segue:

1)      L’articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori deve essere interpretato nel senso che esso ha armonizzato le condizioni alle quali l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del latte utilizzato come prodotto finale o come ingrediente può essere resa obbligatoria dagli Stati membri. Tuttavia, la suddetta disposizione non osta a che essi rendano obbligatoria tale indicazione in forza dell’articolo 39 di detto regolamento qualora ciò sia giustificato da considerazioni quali la protezione della salute pubblica, i diritti dei consumatori, la prevenzione delle frodi o la repressione della concorrenza sleale e qualora siano soddisfatte le condizioni previste da detta disposizione.

2)      L’articolo 39, paragrafo 2, dovrebbe essere interpretato nel senso che esso enuncia due criteri distinti. Pertanto, la valutazione del primo criterio relativo all’esistenza di un nesso comprovato non può essere fondata su elementi soggettivi relativi all’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra le qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza, ma esige che i prodotti alimentari di cui trattasi, che provengono da taluni paesi o luoghi di provenienza, possiedano determinate qualità o proprietà oggettive che li differenziano da prodotti identici aventi origine diversa.

3)      L’articolo 39, paragrafo 2, deve essere interpretato nel senso che considerazioni relative alla resistenza al trasporto del prodotto alimentare e al rischio di deterioramento durante il tragitto possono essere tenute in considerazione in sede di esame del nesso comprovato tra talune qualità di detto prodotto e la sua origine o provenienza ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, se, in primo luogo, è accertato che il latte può deteriorarsi durante il trasporto; in secondo luogo, se tale alterazione è tale da incidere su determinate qualità del latte alle quali la maggior parte dei consumatori attribuisce importanza; in terzo luogo, se tale requisito è di più semplice attuazione rispetto ad altri parametri, più direttamente legati alla distanza percorsa o alla durata del trasporto del latte e, in quarto luogo, se l’obiettivo di informare i consumatori circa i rischi per le qualità dei prodotti alimentari associati al loro trasporto è perseguito dalla disposizione nazionale in modo coerente e sistematico.

4)      L’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011 richiede soltanto che le qualità dei prodotti alimentari provenienti da un determinato gruppo di paesi o regioni geografiche possano essere specifiche in ragione della loro origine senza essere necessariamente garantite in ragione di tale origine. La suddetta disposizione non osta necessariamente a che uno Stato membro imponga un’indicazione obbligatoria supplementare relativa al luogo di produzione che sia più precisa della semplice indicazione «UE/extra-UE», nonostante l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili all’interno dell’Unione europea.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18).


3      V., ad esempio, sentenza del 17 giugno 1981, Commissione/Irlanda (113/80, EU:C:1981:139).


4      GU 1992, L 208, pag. 1.


5      Sia la Lactalis sia la Commissione sostengono, tuttavia, che il progetto di decreto controverso notificato alla Commissione non era identico alla versione finale.


6      A tale riguardo, dalle ipotesi di cui all’allegato III del regolamento n. 1169/2011, alle quali rinvia l’articolo 10, risulta che la nozione di «tipi o categorie specifici di alimenti» deve essere interpretata nel senso che essa include i metodi di produzione e la composizione degli alimenti.


7      V. articolo 26, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento. L’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 1169/2011 stabilisce inoltre che, quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario, oppure il paese d’origine o luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento. L’ambito di applicazione di tale disposizione è stato precisato nel regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione, del 28 maggio 2018, recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 1169/2011 (GU 2018, L 131, pag. 8). Tuttavia, poiché quest’ultima è una norma di rango inferiore, essa non può essere presa in considerazione nell’interpretazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 26.


8      A mio avviso, tale espressione deve essere intesa nel senso che essa indica semplicemente che, sebbene le situazioni di cui all’articolo 39 rientrino in un settore armonizzato, gli Stati membri possono nondimeno adottare disposizioni nazionali se esse rispettano le condizioni previste da tale norma.


9      GU 2000, L 109, pag. 29.


10      Il corsivo è mio. L’elenco delle indicazioni menzionate all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/13 coincide, con qualche aggiunta, con quello previsto all’articolo 9 del regolamento n. 1169/2011.


11       Il corsivo è mio.


12      Osservo, per inciso, che la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, COM(2008)40 definitivo, sembra confermare che il regolamento n. 1169/2011 mira ad armonizzare le condizioni alle quali talune indicazioni potrebbero essere rese obbligatorie. Infatti, tale proposta indicava che «norme non armonizzate ostacolerebbero il funzionamento del mercato interno, impoverirebbero le informazioni fornite e ridurrebbero il livello di tutela dei consumatori. Le regole esistenti hanno provato i loro meriti: esse consentono la libera circolazione dei beni e garantiscono la tutela dei consumatori» (pag. 6). Pertanto, l’abrogazione delle «norme armonizzate» non è stata considerata un approccio sostenibile. Al contrario, «l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un prodotto alimentare in quanto strumento di commercializzazione, sia essa facoltativa od obbligatoria, non deve ingannare il consumatore e deve essere basata su criteri armonizzati» (pagina 8). Pertanto, «[l]a proposta armonizza il quadro di riferimento regolamentare delle disposizioni orizzontali relative all’etichettatura dei prodotti alimentari e contribuisce in tal modo alla tutela dei consumatori, facendo in modo che essi ricevano informazioni adeguate in grado di consentire loro di effettuare scelte consapevoli, sicure, sostenibili e benefiche per la salute» (pag. 10).


13      Giacché il regolamento n. 1169/2011 armonizza le norme nazionali relative alle indicazioni obbligatorie e prevede, al suo articolo 45, una procedura specifica quando uno Stato membro intende prevedere altre indicazioni obbligatorie, ritengo che il regolamento (CE) n. 764/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro e che abroga la decisione n. 3052/95/CE (GU 2008, L 218, pag. 21), non sia applicabile nel caso di specie.


14       Incidentalmente, il fatto che il regolamento n. 1169/2011 armonizzi il settore delle indicazioni obbligatorie, pur lasciando agli Stati membri la possibilità di prevedere indicazioni obbligatorie ulteriori, sembra corrispondere al testo dell’articolo 1, paragrafo 2, di detto regolamento, il quale afferma che «[il presente regolamento] fissa gli strumenti volti a garantire il diritto dei consumatori all’informazione e le procedure per la fornitura di informazioni sugli alimenti, tenendo conto dell’esigenza di prevedere una flessibilità sufficiente in grado di rispondere alle evoluzioni future e ai nuovi requisiti di informazione». Il corsivo è mio.


15      Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU 2002, L 31, pag. 1).


16      V. anche articolo 18, paragrafo 2, del regolamento generale in materia di legislazione alimentare.


17      È vero che l’articolo 26, paragrafo 2, lettera a), utilizza l’espressione «in particolare» per precisare che l’indicazione del paese di origine è obbligatoria «se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza», il che implica che l’ambito di applicazione di tale disposizione non è limitato al caso in cui le informazioni che accompagnano l’alimento o l’etichetta sono ingannevoli. Tuttavia, non ritengo che se ne possa dedurre che una siffatta indicazione sia obbligatoria anche in assenza di qualsiasi rischio di confusione. Interpreto invece la necessità di utilizzare l’espressione «in particolare» nel senso che le informazioni ingannevoli possono essere collegate al prodotto alimentare o all’etichetta, ma non in senso esclusivo. Ad esempio, anche taluni marchi potrebbero ingenerare una simile confusione.


18      V, altresì l’ultima frase del considerando 32 del regolamento n. 1169/2011.


19       Ad esempio, la norma ISO 9000:2000 definisce la «qualità» come la capacità di un insieme di caratteristiche intrinseche di soddisfare i requisiti.


20      V. articolo 3, paragrafo 1, e considerando 4.


21      V. articolo 4, paragrafo 2, e, in tal senso, i considerando da 16 a 18. Dal momento che tale disposizione enuncia un principio generale della legislazione alimentare, ritengo che essa si rivolga agli Stati membri, quando si avvalgono di detto articolo 39, nonché alla Commissione, quando esercita il potere di modificare l’elenco delle indicazioni obbligatorie complementari conferitole dal legislatore dell’Unione all’articolo 10, paragrafo 2.


22       Detto termine potrebbe quindi essere inteso nel senso che si riferisce agli attributi fisici, nutrizionali, organolettici e, soprattutto, agli attributi relativi al gusto di un alimento.


23      Quanto all’articolo 4, paragrafo 2, quest’ultimo figura al capo II del regolamento n. 1169/2011, che è dedicato, come indica il suo titolo, ai principi generali delle informazioni sugli alimenti. Poiché tale disposizione enuncia un principio generale delle informazioni sugli alimenti, la norma da essa dettata può essere oggetto di eccezioni.


24      Fintanto che le disposizioni nazionali che impongono un obbligo di fornire informazioni sull’origine o sulla provenienza delle merci si applicano indistintamente a tutte le merci, esse non costituiscono una discriminazione diretta, bensì disposizioni che possono avere un effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. V., in tal senso, sentenza del 25 aprile 1985, Commissione/Regno Unito (207/83, EU:C:1985:161, punto 17). Nel caso di specie, il decreto controverso non si applica ai prodotti trasformati al di fuori dell’Unione. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che «l’applicazione [di provvedimenti nazionali], sia pure limitatamente ai soli produttori nazionali, fa sorgere e mantiene di per sé una differenza di trattamento tra queste due categorie di merci, ostacolando, per lo meno potenzialmente, gli scambi intracomunitari». V., in tal senso, sentenza del 7 maggio 1997, Pistre e a (da C‑321/94 a C‑324/94, EU:C:1997:229, punto 45).


25      Sentenza del 25 aprile 1985, Commissione/Regno Unito (207/83, EU:C:1985:161, punto 17).


26      Ad esempio, se è vero che l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 prevede che, nell’esaminare la necessità di informazioni obbligatorie sugli alimenti, si presume che gli Stati membri tengano conto del bisogno generalizzato della maggior parte dei consumatori di talune informazioni cui attribuiscono un valore significativo, o di benefici per il consumatore generalmente accettati, nel caso specifico in cui tali informazioni obbligatorie sono rappresentate dal paese d’origine o dal luogo di provenienza, gli Stati membri devono altresì fornire la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.


27      Più precisamente, queste due condizioni mirano ad impedire che provvedimenti nazionali che richiedono l’indicazione del paese di origine siano fondati sui pregiudizi dei consumatori in merito alle asserite qualità di taluni prodotti alimentari provenienti da certi paesi e ad escludere implicitamente la possibilità che uno Stato membro utilizzi le proprietà dei prodotti alimentari come pretesto per richiedere l’indicazione del paese di origine.


28      È vero che questi due criteri devono essere letti congiuntamente, ma solo nel senso che non qualsiasi qualità per la quale esista un nesso comprovato con l’origine o la provenienza dell’alimento può giustificare l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti, bensì soltanto una qualità rilevante per i consumatori.


29      Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1).


30      V., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2009, Budějovický Budvar (C‑478/07, EU:C:2009:521, punto 114).


31      V., per analogia, sentenza dell’8 maggio 2014, Assica e Kraft Foods Italia (C‑35/13, EU:C:2014:306, punti da 29 a 31).


32      V., ad esempio, sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 25).


33       Benché esistano norme igieniche e di sicurezza parzialmente armonizzate a livello europeo (mantenimento della catena del freddo, ecc.), che mirano a conservare talune delle loro proprietà durante il trasporto, non tutti i prodotti alimentari hanno la stessa resistenza al trasporto.


34      V., in tal senso, sentenza del 1° dicembre 2011, Painer (C‑145/10, EU:C:2011:798, punti 105 e 106).


35      V., ad esempio, sentenza del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a. (C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 165 e giurisprudenza ivi citata).


36      V., ad esempio, sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia (C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 52).


37      Si potrebbe osservare che l’indicazione del paese o del luogo d’origine non è necessariamente il modo più accurato per informare i consumatori circa la distanza percorsa dal latte dalla produzione al mercato. Se, ad esempio, ci si riferisce al latte importato dal Belgio in Francia, la distanza tra la zona di produzione e il luogo del suo consumo o il suo utilizzo successivo può, eventualmente, essere più breve che per talune situazioni in cui il latte è prodotto in altre zone della Francia. Tuttavia, l’obbligo di fornire siffatte indicazioni sull’imballaggio presenta il vantaggio di essere di semplice attuazione e probabilmente meno oneroso per gli operatori professionali di qualsiasi altra alternativa, quale un’indicazione più direttamente legata alla distanza percorsa dal latte, distanza che può variare in funzione del circuito di distribuzione.


38      V., ad esempio, sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia (C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 52).


39      Direttiva del Consiglio, del 20 luglio 1998 riguardante la protezione degli animali negli allevamenti (GU 1998, L 221, pag. 23).


40      Conseguentemente, ritengo che tali norme siano intese a garantire che i prodotti alimentari commercializzati sul territorio dell’Unione presentino determinate qualità minime piuttosto che qualità identiche.


41      Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (GU 2004, L 139, pag. 55, e rettifica in GU 2004, L 226, pag. 22).


42      V. articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 853/2004.