Language of document : ECLI:EU:C:2024:127

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate l’8 febbraio 2024 (1)

Causa C633/22

Real Madrid Club de Fútbol,

AE

contro

EE,

Société Éditrice du Monde SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Competenza giurisdizionale ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni – Motivi di rifiuto – Violazione dell’ordine pubblico dello Stato richiesto – Condanna di un giornale e di uno dei suoi giornalisti per lesione della reputazione di una società sportiva»






I.      Introduzione

1.        Il regolamento (CE) n. 44/2001 (2), noto anche sotto la denominazione regolamento Bruxelles I, in linea con la tradizione consolidata dagli stessi Stati membri a partire dalla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (3), prevedeva le norme uniformi relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale emesse negli Stati membri. In base a tali norme, affinché una decisione emessa in uno Stato membro (in prosieguo: lo «Stato membro di origine») possa essere eseguita in un altro Stato membro (in prosieguo: lo «Stato membro richiesto»), quest’ultimo deve accordarne l’exequatur.

2.        Il regolamento Bruxelles I è stato sostituito dal regolamento (UE) n. 1215/2012 (4) (in prosieguo: il «regolamento Bruxelles I bis»), che va oltre quanto stabilito dal suo predecessore e introduce un sistema di esecuzione automatica («senza la necessità di una procedura speciale») delle decisioni in materia civile e commerciale emesse negli Stati membri.

3.        Resta tuttavia il fatto che, secondo le disposizioni di tali due regolamenti, con riferimento alla soluzione tradizionale del diritto internazionale privato, uno Stato membro richiesto ha il diritto di rifiutare l’esecuzione di una decisione se questa è contraria al suo ordine pubblico.

4.        Certo, si può sostenere che l’esistenza di un’eccezione di ordine pubblico costituisce una condizione necessaria e inevitabile per la liberalizzazione dei requisiti previsti per accordare l’esecutività delle decisioni straniere nel territorio di uno Stato membro richiesto: quest’ultimo è meno reticente ad accettare decisioni straniere quando dispone di una valvola di sicurezza che gli consente di avere l’ultima parola sugli effetti prodotti dalle stesse nel suo territorio.

5.        La particolarità della causa in esame risiede nel fatto che l’exequatur delle decisioni emesse in uno Stato membro di origine è stato rifiutato in quanto l’esecuzione di tali decisioni era in conflitto con la libertà di espressione garantita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Tale causa offre alla Corte l’opportunità non solo di chiarire le modalità di ricorso alla clausola dell’ordine pubblico in una situazione del genere, ma anche di precisare i limiti della propria competenza in materia pregiudiziale.

II.    Contesto normativo

6.        Il capo III del regolamento Bruxelles I, intitolato «Riconoscimento ed esecuzione», contiene tre sezioni intitolate «Riconoscimento» (articoli da 33 a 37), «Esecuzione» (articoli da 38 a 52) e «Disposizioni comuni» (articoli da 53 a 56), nonché la definizione della nozione di «decisione» (articolo 32).

7.        L’articolo 33 di tale regolamento, che apre la prima sezione del capo III sul riconoscimento delle decisioni emesse in uno Stato membro diverso da quello in cui è richiesto il riconoscimento, prevede al paragrafo 1 che «[l]e decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento».

8.        L’articolo 34, paragrafo 1, di detto regolamento dispone che le decisioni non sono riconosciute se «il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto».

9.        L’articolo 36 dello stesso regolamento stabilisce che «[i]n nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame del merito».

10.      L’articolo 38 del regolamento Bruxelles I, che apre la seconda sezione del capo III relativo all’esecuzione delle decisioni emesse in altri Stati membri, al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Le decisioni emesse in uno Stato membro e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata».

11.      L’articolo 41 di tale regolamento prevede che «[l]a decisione è dichiarata esecutiva immediatamente dopo l’espletamento delle formalità di cui all’articolo 53, senza alcun esame ai sensi degli articoli 34 e 35. La parte contro cui l’esecuzione viene chiesta non può, in tale fase del procedimento, presentare osservazioni».

12.      L’articolo 43, paragrafo 1, di detto regolamento stabilisce che «[c]iascuna delle parti può proporre ricorso contro la decisione relativa all’istanza intesa a ottenere una dichiarazione di esecutività».

13.      Ai sensi dell’articolo 45 dello stesso regolamento:

«1.      Il giudice davanti al quale è stato proposto un ricorso ai sensi degli articoli 43 o 44 rigetta o revoca la dichiarazione di esecutività solo per uno dei motivi contemplati dagli articoli 34 e 35. Il giudice si pronuncia senza indugio.

2.      In nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame del merito».

14.      L’articolo 48 del regolamento Bruxelles I prevede quanto segue:

«1.      Se la decisione straniera ha statuito su vari capi della domanda e la dichiarazione di esecutività non può essere rilasciata per tutti i capi, il giudice o l’autorità competente rilascia la dichiarazione di esecutività solo per uno o più di essi.

2.      L’istante può richiedere una dichiarazione di esecutività parziale».

III. Fatti del procedimento principale

15.      Il 7 dicembre 2006, il quotidiano Le Monde ha pubblicato un articolo in cui l’autore, EE, giornalista dipendente di detto giornale, dichiarava che le società calcistiche Real Madrid e FC Barcelona si erano avvalse dei servizi del dottor X. Fuentes, l’istigatore di una rete di doping nell’ambiente del ciclismo. Un estratto dell’articolo è apparso in prima pagina, accompagnato da una vignetta sottotitolata «Doping: il calcio dopo il ciclismo» raffigurante un ciclista vestito con i colori della bandiera spagnola e circondato da piccoli calciatori e da siringhe. Numerosi media, in particolare in Spagna, hanno ripreso tale pubblicazione.

16.      Il 23 dicembre 2006, il quotidiano Le Monde ha pubblicato, senza alcun commento, la lettera di smentita che gli era stata trasmessa dal Real Madrid.

17.      Tale squadra e un membro della sua equipe medica, ricorrenti nel procedimento principale, hanno proposto un’azione di responsabilità dinanzi allo Juzgado de Primera Instancia n. 19 de Madrid (Tribunale di primo grado n. 19 di Madrid, Spagna) per ottenere un risarcimento fondato su una lesione del loro onore contro la Société Éditrice du Monde  e contro il giornalista autore dell’articolo in questione, convenuti nel procedimento principale.

18.      Con sentenza del 27 febbraio 2009, tale tribunale ha condannato i convenuti nel procedimento principale a pagare le somme di EUR 300 000 al Real Madrid e di EUR 30 000 al membro della sua equipe medica e ha ordinato la pubblicazione della sua decisione sul quotidiano Le Monde. I convenuti nel procedimento principale hanno presentato ricorso contro tale sentenza dinanzi all’Audiencia Provincial de Madrid (Corte provinciale di Madrid, Spagna), che ha sostanzialmente confermato detta sentenza. Il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) ha respinto il ricorso contro quest’ultima decisione con sentenza del 24 febbraio 2014.

19.      Con ordinanza dell’11 luglio 2014, lo Juzgado de Primera Instancia n. 19 de Madrid (Tribunale di primo grado n. 19 di Madrid) ha disposto in solido (5) l’esecuzione della decisione del Tribunal Supremo (Corte suprema) e il pagamento al Real Madrid della somma di EUR 390 000 a titolo di capitale, interessi e spese, e poi, con ordinanza del 9 ottobre 2014, l’esecuzione di tale decisione e il pagamento al membro dell’equipe medica della squadra della somma di EUR 33 000 a titolo di capitale, interessi e spese.

20.      Il 15 febbraio 2018, il direttore dei servizi di cancelleria del Tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) ha emesso due dichiarazioni di esecutività di tali ordinanze.

21.      Con sentenze del 15 settembre 2020, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) ha annullato tale dichiarazioni. Considerando le ordinanze dell’11 luglio e del 9 ottobre 2014 manifestamente contrarie all’ordine pubblico internazionale francese, essa ha dichiarato che queste non potevano essere eseguite in Francia.

22.      Al riguardo, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha rilevato, in un primo tempo, che i giudici spagnoli avevano pronunciato le condanne in questione sulla base dell’articolo 9, paragrafo 3, della Ley Orgánica 1/1982, de protección civil del derecho al honor, a la intimidad personal y familiar y a la propia imagen (legge organica 1/1982, sulla tutela civile del diritto all’onore) del 5 maggio 1982 (BOE del 14 maggio 1982, pag. 11196), mentre il Real Madrid non aveva fatto valere alcun danno patrimoniale. Inoltre, nella sua sentenza, confermata dal Tribunal Supremo (Corte suprema), l’Audiencia Provincial de Madrid (Corte provinciale di Madrid) avrebbe considerato il danno difficilmente quantificabile in termini economici essendo questo in generale associato al danno morale.

23.      In un secondo tempo, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha osservato che dinanzi al giudice si era discusso solo della risonanza mediatica dell’articolo in questione, che era stato smentito da alcuni media spagnoli, cosicché il danno effettivamente subito a causa della risonanza era stato limitato dalla smentita riportata dagli organi di stampa locali, i cui lettori sono prevalentemente spagnoli.

24.      In un terzo tempo, tale giudice ha osservato, in primo luogo, che le condanne al pagamento delle somme di EUR 300 000 a titolo di capitale e di EUR 90 000 a titolo di interessi riguardano una persona fisica e la società editrice di un giornale, e che i conti di tale società rivelano che tale importo rappresenta il 50% della perdita netta e il 6% dell’importo delle disponibilità al 31 dicembre 2017; in secondo luogo, che le condanne del giornalista al pagamento delle somme di EUR 30 000 a titolo di capitale e di EUR 3 000 a titolo di interessi si aggiungono alle precedenti, e, in terzo luogo, che era estremamente raro che l’importo del risarcimento riconosciuto per lesione dell’onore o della reputazione superi EUR 30 000, dato che la legge francese punisce la diffamazione nei confronti dei singoli soltanto con un’ammenda massima di EUR 12 000.

25.      La cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha concluso che le condanne in questione avevano un effetto deterrente sulla partecipazione dei convenuti nel procedimento principale alla discussione pubblica dei temi che interessano la collettività, tale da ostacolare i media nell’adempimento dei loro compiti di informazione e di controllo, cosicché il riconoscimento o l’esecuzione di tali decisioni di condanna contrastava in maniera inaccettabile con l’ordine pubblico internazionale francese, in quanto integrava una violazione della libertà di espressione.

26.      I ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato ricorso per cassazione contro le sentenze della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), che è il giudice del rinvio nella presente causa. Essi hanno sostenuto, in primo luogo, che un controllo di proporzionalità del risarcimento danni può aver luogo solo se quest’ultimo ha un carattere punitivo e non compensativo; in secondo luogo, che sostituendo la propria valutazione del danno a quella del giudice di origine, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha sottoposto a riesame le decisioni spagnole, in violazione dell’articolo 34, punto 1, e dell’articolo 36 del regolamento Bruxelles I; e, in terzo luogo, che la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) non aveva tenuto conto della gravità degli illeciti accertati dal giudice spagnolo e che la situazione economica delle persone condannate non era pertinente per valutare il carattere sproporzionato delle condanne, che, in ogni caso, non doveva essere valutato alla luce delle norme nazionali.

27.      I convenuti nel procedimento principale hanno sostenuto, in sostanza, che la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), senza riesaminare nel merito le decisioni spagnole, ha giustamente rifiutato di riconoscerne il carattere esecutivo a motivo del carattere sproporzionato delle condanne da esse stabilite in manifesta violazione della libertà di espressione e, di conseguenza, dell’ordine pubblico internazionale.

28.      Nella motivazione che l’ha portato a formulare le questioni pregiudiziali, da un lato, il giudice del rinvio fa riferimento alla giurisprudenza della Corte derivante dalla sentenza Krombach (6). Esso richiama l’attenzione sul passaggio di tale sentenza che, citando la sentenza Johnston (7), stabilisce, a suo avviso, un legame tra i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») (8).

29.      Dall’altro lato, il giudice del rinvio osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), per quanto riguarda il livello di protezione, l’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU non lascia molto spazio a restrizioni alla libertà di espressione negli ambiti del discorso politico nonché delle questioni di interesse generale. Una pubblicazione inerente a questioni relative allo sport (9) rientrerebbe in tale secondo ambito. Inoltre, a suo avviso, l’effetto deterrente di una condanna a versare un risarcimento costituisce un parametro di valutazione della proporzionalità di un provvedimento di riparazione delle affermazioni diffamatorie. Inoltre, per quanto riguarda la libertà di espressione dei giornalisti, sostiene che occorre vigilare affinché l’importo del risarcimento imposto alle società di stampa non sia tale da minacciare le loro basi economiche (10).

IV.    Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

30.      È in tali circostanze che la Cour de cassation (Corte di cassazione), con decisione del 28 settembre 2022, pervenuta alla Corte l’11 ottobre 2022, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 34 e 36 del regolamento Bruxelles [I] e l’articolo 11 della [Carta] debbano essere interpretati nel senso che una condanna per una lesione della reputazione di un club sportivo, arrecata mediante un’informazione pubblicata in un quotidiano, sia idonea a violare manifestamente la libertà di espressione e a costituire quindi un motivo di diniego di riconoscimento e di esecuzione.

2)      In caso di risposta affermativa, se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che il giudice [dello Stato membro] richiesto può stabilire il carattere sproporzionato della condanna solo se il risarcimento è qualificato come punitivo dal giudice [dello Stato membro] di origine o dal giudice [dello Stato membro] richiesto, e non se esso è concesso per la riparazione di un danno morale.

3)      Se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che il giudice [dello Stato membro] richiesto può basarsi solo sull’effetto deterrente della condanna con riferimento alle risorse della persona condannata o se esso possa prendere in considerazione anche altri elementi quali la gravità della colpa o l’entità del danno.

4)      Se l’effetto deterrente in relazione alle risorse del giornale possa costituire, già di per sé, un motivo di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione per violazione manifesta del principio fondamentale della libertà di stampa.

5)      Se l’effetto deterrente debba intendersi nel senso di una messa a repentaglio dell’equilibrio finanziario del giornale o se esso possa consistere soltanto in un effetto intimidatorio.

6)      Se l’effetto deterrente debba essere valutato allo stesso modo nei confronti della società editrice di un giornale e di un giornalista, persona fisica.

7)      Se la situazione economica generale della stampa scritta sia una circostanza rilevante per valutare se, al di là della sorte del giornale di cui trattasi, la condanna possa produrre un effetto intimidatorio su tutti i media».

31.      Le parti nel procedimento principale, i governi francese, spagnolo e tedesco nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Le parti nel procedimento principale, i governi francese, spagnolo e maltese nonché la Commissione sono stati rappresentati all’udienza tenutasi il 17 ottobre 2023.

V.      Analisi

A.      Riformulazione delle questioni pregiudiziali

32.      Prima di procedere alla loro analisi, ritengo utile presentare alcune osservazioni preliminari sulle presenti questioni nella misura in cui esse si riferiscono agli articoli 34 e 36 del regolamento Bruxelles I, che figurano nella prima sezione del capo III di tale regolamento, intitolata «Riconoscimento».

33.      Nel caso di specie, il giudice del rinvio si pronuncia su un ricorso in cassazione diretto contro le sentenze con le quali i giudici francesi hanno revocato dichiarazioni di esecutività delle decisioni spagnole in Francia. Ne consegue che le disposizioni pertinenti del regolamento Bruxelles I sono, invece, quelle relative all’esecuzione delle decisioni pronunciate in uno Stato membro diverso da quello in cui viene chiesta l’esecuzione, contenute nella seconda sezione di tale capo, intitolata «Esecuzione», e, in particolare, nell’articolo 45 di tale regolamento.

34.      Ciò premesso, innanzi tutto, da un lato, per quanto riguarda l’articolo 34 del regolamento Bruxelles I, l’articolo 45, paragrafo 1, del medesimo prevede che i motivi di rifiuto del riconoscimento, compreso quello relativo all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto (articolo 34, punto 1), sono anche motivi di rifiuto dell’esecuzione. Dall’altro lato, per quanto riguarda l’articolo 45, paragrafo 2, del regolamento Bruxelles I, il suo contenuto è quasi identico a quello dell’articolo 36 di tale regolamento e conferma che il divieto di riesame del merito si applica anche nel contesto di un’impugnazione dell’esecutività di una decisione emessa in uno Stato membro diverso da quello in cui è richiesta l’esecuzione.

35.      Il riferimento agli articoli 34 e 36 del regolamento Bruxelles I deve quindi essere inteso come relativo all’articolo 45, paragrafo 1, di tale regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 34, punto 1, e l’articolo 45, paragrafo 2, dello stesso. Tengo a rilevare che il giudice del rinvio sembra essere consapevole del fatto che le disposizioni relative all’esecuzione delle decisioni sono rilevanti anche nel procedimento principale. Infatti, sebbene le questioni pregiudiziali menzionino solo gli articoli 34 e 36 di detto regolamento, da esse emerge chiaramente che tale giudice chiede se, nel caso di specie, vi sia un motivo per rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione.

36.      Inoltre, la formulazione della prima questione lascia intendere che il giudice del rinvio si riferisca unicamente alla configurazione procedurale in cui un «giornale» è stato condannato per aver leso la reputazione di una società sportiva. Tuttavia, tale giudice è investito di ricorsi in cassazione contro le sentenze emesse in due distinti procedimenti avviati dalla società sportiva e dal membro della sua equipe medica, da un lato, nei confronti della società editrice del giornale in cui è apparso l’articolo contestato e, dall’altro, nei confronti del suo giornalista, autore di tale articolo. Inoltre, con la sua sesta questione pregiudiziale, esso chiede se, a seconda delle caratteristiche personali di un convenuto, esso debba procedere a una valutazione diversa dei presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico.

37.      Infine, propongo di analizzare tutte le questioni pregiudiziali congiuntamente. Infatti, mentre la prima questione è di carattere abbastanza generale, altre questioni riguardano gli aspetti dettagliati dell’esame che dev’essere effettuato dal giudice dello Stato membro richiesto investito di un ricorso contro la decisione sull’esecutività di una decisione emessa nello Stato membro di origine. Tuttavia, tali questioni ruotano intorno allo stesso problema giuridico e riguardano i vari aspetti che il giudice del rinvio, investito del ricorso per cassazione, deve esaminare. Inoltre, rispondere alla prima questione pregiudiziale senza integrare tale risposta con considerazioni relative a tali aspetti dettagliati rischierebbe di indurre in errore quanto alle modalità di ricorso alla clausola dell’ordine pubblico.

38.      In tali circostanze, le questioni pregiudiziali devono essere intese nel senso che, tramite esse, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 45, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I, in combinato disposto con l’articolo 34, punto 1, e l’articolo 45, paragrafo 2, dello stesso, nonché l’articolo 11 della Carta debbano essere interpretati nel senso che uno Stato membro, nel quale viene chiesta l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro, relativa alla condanna di una casa editrice di un giornale e di un giornalista per aver leso la reputazione di una società sportiva e di un membro della sua equipe medica a causa di informazioni pubblicate su tale giornale, può rifiutare o revocare la dichiarazione di esecutività di tale decisione per il motivo che essa condurrebbe a una violazione manifesta della libertà di espressione garantita dall’articolo 11 della Carta.

39.      Al fine di fornire una risposta utile a tale questione, esporrò innanzitutto alcune considerazioni generali sulla clausola dell’ordine pubblico (titolo B), quindi analizzerò l’articolo 11 della Carta alla luce dei dubbi del giudice del rinvio (titolo C) nonché i criteri di valutazione della violazione manifesta della libertà garantita da tale disposizione (titolo D). Infine, mi soffermerò sulla presunzione di protezione equivalente derivante dalla giurisprudenza della Corte EDU (titolo E).

B.      Considerazioni generali sulla clausola dell’ordine pubblico

40.      Nella misura in cui, come ho indicato, la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal regolamento Bruxelles I, l’interpretazione che la Corte ha dato di tale convenzione rimane valida per le corrispondenti disposizioni di tale regolamento. È il caso dell’articolo 34, punto 1, di detto regolamento, che ha sostituito l’articolo 27, paragrafo 1, di tale convenzione. Sebbene, a differenza del regolamento summenzionato, la convenzione non prevedesse espressamente che il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione debba essere «manifestamente» contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto per non riconoscere tale decisione, la Corte ha sempre interpretato la Convenzione di Bruxelles in tal senso.

1.      La nozione di «ordine pubblico»

a)      La formula classica relativa alla clausola dell’ordine pubblico

41.      La nozione di «ordine pubblico» è stata oggetto di un’ampia giurisprudenza della Corte. Attraverso tale giurisprudenza, la Corte si è inoltre premurata di precisare i limiti della propria competenza in materia pregiudiziale nonché di quella del giudice dello Stato membro richiesto.

42.      Dalla giurisprudenza derivante dalla sentenza Krombach (11) emerge che, sebbene gli Stati membri restino, in linea di principio, liberi di determinare, in forza della riserva di cui all’articolo 34, punto 1, del regolamento Bruxelles I, conformemente alle loro concezioni nazionali, le esigenze del loro ordine pubblico, i limiti della nozione di «ordine pubblico» rientrano nell’interpretazione di tale regolamento.

43.      Pertanto, secondo una formula classica della giurisprudenza, sebbene non spetti alla Corte definire il contenuto dell’ordine pubblico di uno Stato membro, essa è però tenuta a controllare i limiti entro i quali il giudice di uno Stato membro richiesto può ricorrere alla nozione di «ordine pubblico» (12).

44.      Al riguardo, la Corte ha dichiarato, per quanto riguarda la nozione di «ordine pubblico» enunciata all’articolo 34 del regolamento Bruxelles I, che tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente, in quanto costituisce un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali di tale regolamento, vale a dire la libera circolazione delle decisioni giudiziarie  (13). Essa ha precisato che la clausola dell’ordine pubblico deve applicarsi soltanto in casi eccezionali (14).

45.      Inoltre, la Corte ha rilevato che, vietando il riesame del merito, tale regolamento osta a che il giudice dello Stato membro richiesto si avvalga della clausola dell’ordine pubblico per il solo motivo che esista una divergenza tra le leggi applicabili e che controlli l’esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto operate dal giudice dello Stato membro di origine (15).

46.      Di conseguenza, la clausola dell’ordine pubblico entrerebbe in gioco solo nella misura in cui l’esecuzione della decisione in questione nello Stato richiesto comporterebbe la violazione manifesta di una regola di diritto considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento giuridico (16).

47.      Tale formula classica dovrebbe essere integrata da due elementi che limitano ulteriormente l’interpretazione della nozione di «ordine pubblico».

b)      I diritti fondamentali

48.      Il primo elemento riguarda i diritti fondamentali.

49.      La Corte ha dichiarato che il giudice dello Stato membro richiesto che attua il diritto dell’Unione applicando il regolamento Bruxelles I deve rispettare le esigenze derivanti dall’articolo 47 della Carta (17). Inoltre, le disposizioni di tale regolamento devono essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali che formano parte integrante dei principi generali e che sono ormai iscritti nella Carta (18).

50.      Finora, la giurisprudenza della Corte in tale settore si è concentrata sui diritti della difesa e sulle garanzie di ordine processuale (19). Tuttavia, l’articolo 47 della Carta non si limita affatto alla tutela di tali diritti.

51.      Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, a cui corrisponde l’articolo 47, secondo comma, della Carta, si applica all’esecuzione delle decisioni giudiziarie straniere definitive (20) e il rifiuto di accordare l’exequatur di una tale decisione può costituire un’ingerenza nel diritto di un ricorrente a un equo processo (21).

52.      Come ha osservato un esponente della dottrina (22), le sentenze, siano esse dichiarative o costitutive, sono veicoli di diritti sostanziali. Esse svolgono lo stesso ruolo in un contesto transfrontaliero, quando il riconoscimento o l’esecuzione di una sentenza proveniente da un altro Stato membro viene richiesto nello Stato membro richiesto. Facendo eco a tale considerazione, la Corte EDU si è premurata, nella sua giurisprudenza, di tutelare siffatti diritti sostanziali fondati sulle disposizioni della CEDU anche in situazioni che non sono limitate al territorio di un singolo Stato (23).

53.      Come sostenuto da alcuni autori (24), attraverso la sua giurisprudenza, la Corte EDU ha anche dedotto dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU l’esistenza di un diritto procedurale al riconoscimento e all’esecuzione di una sentenza emessa all’estero, diritto che si basa sulla nozione di «equo processo» ai sensi di tale disposizione.

54.      Al riguardo, va notato che la dottrina non si è unanimemente pronunciata a favore di una tale lettura specifica della giurisprudenza della Corte EDU.

55.      Infatti, esiste un dibattito che riguarda, da un lato, i contorni di un tale «diritto» e la sua collocazione nel sistema della Convenzione (25) e, dall’altro, la necessità di bilanciare tale «diritto» con i diritti fondamentali del convenuto (26). Un’altra critica sembra riguardare l’impossibilità di dedurre l’esistenza di un «diritto» dal riconoscimento e dall’esecuzione dell’accertamento, da parte della Corte EDU, di una violazione dell’articolo 6 della CEDU (27). Quest’ultima critica, tuttavia, non mi convince. Va notato che il regolamento Bruxelles I, in quanto sancisce il principio che la decisione emessa in un altro Stato membro è eseguita dopo essere stata dichiarata esecutiva e stabilisce i motivi esaustivi di diniego dell’esecuzione, riconosce l’esistenza di un tale diritto (28).

56.      Nell’interpretazione dei diritti garantiti dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, la Corte deve tener conto dei corrispondenti diritti garantiti dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretati dalla Corte EDU, in quanto soglia di protezione minima (29). A mio avviso, la Corte dovrebbe quindi riconoscere al ricorrente una protezione equivalente a quella risultante dalla giurisprudenza della Corte EDU quando questi chiede, conformemente al regolamento Bruxelles I, il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione giudiziaria emessa in un altro Stato membro.

57.      Lo stesso dovrebbe valere nel caso in cui la pretesa avanzata dal ricorrente dinanzi al giudice dello Stato membro di origine non avesse il proprio fondamento materiale nel diritto dell’Unione. Certamente, sebbene il giudice dello Stato membro di origine basi la propria competenza sul regolamento Bruxelles I, la Carta non è applicabile dinanzi ad esso per quanto riguarda il merito della causa (30). Per contro, dinanzi al giudice dello Stato membro richiesto, tale stesso regolamento, nella misura in cui sancisce il principio di cui al paragrafo 55 delle presenti conclusioni ed enuncia in modo esaustivo i motivi di rifiuto dell’esecuzione, compreso quello connesso all’ordine pubblico (31), e quindi la Carta, diventano applicabili (32).

58.      Un tale carattere autonomo del «diritto» all’esecuzione di una decisione giudiziaria in materia civile e commerciale, sancita dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, corrisponde alla soluzione adottata dalla Corte EDU nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU (33).

59.      Tuttavia, tale «diritto» non è assoluto (34). Vi possono essere apportate limitazioni, a condizione che soddisfino i requisiti di cui all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. Al riguardo, è pacifico che la limitazione di tale diritto a causa di una violazione manifesta dell’ordine pubblico deve essere considerata prevista dalla legge in quanto risultante dall’articolo 34, punto 1, del regolamento Bruxelles I. Tale limitazione rispetta il contenuto essenziale di tale diritto. Essa, infatti, non lo mette in questione in quanto tale, dato che produce come effetto l’esclusione, in condizioni specifiche e definite dalla giurisprudenza della Corte, l’esecuzione di una decisione giudiziaria (35). Tuttavia, detta limitazione deve anche essere necessaria e rispondere effettivamente a uno degli obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione o alla necessità di proteggere i diritti e le libertà altrui.

c)      La fiducia reciproca

1)      La fiducia reciproca nella giurisprudenza

60.      Il secondo elemento da aggiungere alla formula classica ricavata dalla giurisprudenza della Corte riguarda la fiducia reciproca. Infatti, tale elemento deriva dal fatto che il rifiuto di riconoscere o eseguire una decisione giudiziaria emessa in uno Stato membro è contrario alla fiducia reciproca tra gli Stati membri nell’ambito della giustizia all’interno dell’Unione, su cui si basa il sistema di riconoscimento e di esecuzione istituito dal regolamento Bruxelles I. Tale fiducia non è solo il risultato di scelte legislative da parte delle istituzioni dell’Unione. Essa è radicata nel diritto primario(36) .

61.      La circostanza che il riferimento alla fiducia reciproca non figuri in tale formula classica si spiega con il fatto che, all’epoca in cui essa è stata sancita nella sentenza Krombach, né il diritto dell’Unione né la Corte avevano ancora riconosciuto apertamente il ruolo di tale fiducia in relazione agli aspetti civili e commerciali dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

62.      Soprattutto, è tale fiducia reciproca – che gli Stati membri accordano reciprocamente ai loro sistemi giuridici e alle loro istituzioni giudiziarie – che permette di ritenere che, in caso di errata applicazione del diritto nazionale o del diritto dell’Unione, il sistema di rimedi giurisdizionali istituito in ciascuno Stato membro, integrato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, fornisca una garanzia sufficiente ai soggetti giuridici interessati (37).

63.      Secondo la Corte, infatti, il regolamento Bruxelles I si basa sull’idea fondamentale secondo cui i soggetti di diritto sono tenuti, in linea di principio, ad utilizzare tutti i mezzi di ricorso offerti dal diritto dello Stato membro di origine. Tranne in circostanze particolari che rendano eccessivamente difficile o impossibile l’esperimento dei mezzi di ricorso nello Stato membro di origine, i singoli devono avvalersi in tale Stato membro di tutti i rimedi giurisdizionali disponibili al fine di impedire a monte una violazione dell’ordine pubblico (38).

2)      La fiducia reciproca e la dimensione sostanziale delle politiche pubbliche

64.      Le considerazioni di cui ai paragrafi 62 e 63 delle presenti conclusioni sono state formulate dalla Corte nel contesto di asserite violazioni di garanzie di ordine processuale le cui ripercussioni erano suscettibili di violare l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto. Per contro, la presente causa invita la Corte a concentrarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione nella situazione in cui l’asserita violazione dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto deriverebbe dall’inosservanza dei diritti di natura sostanziale.

65.      Dal punto di vista della fiducia reciproca e dei sistemi di ricorso istituiti in ciascuno Stato membro, una tale situazione presenta un’ulteriore difficoltà.

66.      È vero che, come la Corte sembra voler sottolineare nella sua giurisprudenza, la fiducia che gli Stati membri ripongono l’uno nell’altro riguarda non solo le materie disciplinate dal diritto dell’Unione [«in caso di errata applicazione (...) del diritto dell’Unione»], ma anche quelle che non lo sono («in caso di errata applicazione del diritto nazionale»).

67.      Tuttavia, qualora la pretesa fatta valere da un ricorrente dinanzi al giudice dello Stato membro di origine non abbia il proprio fondamento materiale nel diritto dell’Unione, può sorgere qualche dubbio sulla possibilità di sottoporre alla Corte, nell’ambito di tale procedimento, una questione pregiudiziale relativa a una disposizione della Carta che sancisce un diritto o una libertà di ordine sostanziale.

68.      Nel caso di specie, poiché la pretesa dei ricorrenti nel procedimento principale non sembrava avere il proprio fondamento materiale nel diritto dell’Unione (39), i convenuti nel procedimento principale non potevano invocare, dinanzi al giudice dello Stato membro di origine, l’articolo 11 della Carta per sostenere che tale pretesa fosse in conflitto con la libertà di espressione garantita da tale disposizione (40). Tuttavia, da un lato, essi avrebbero potuto invocare (e, secondo i chiarimenti forniti in udienza, lo hanno fatto) l’articolo 10 della CEDU nonché le disposizioni costituzionali nazionali che sanciscono tale libertà e, inoltre, avrebbero potuto adire la Corte EDU con un ricorso contro lo Stato membro di origine. Dall’altro lato, l’interpretazione del diritto dell’Unione applicato dal giudice dello Stato membro richiesto non può prescindere dalla necessità di garantire una protezione almeno equivalente a quella offerta dalla CEDU (41).

69.      Da tale punto di vista, la Carta e la CEDU formano, in materia civile e commerciale, un insieme complementare della protezione dei valori fondamentali per l’Unione e gli Stati membri. Peraltro, è tale complementarità che, dato che il diritto dell’Unione non si applica a tutte le situazioni, contribuisce alla fiducia reciproca tra gli Stati membri.

70.      Analogamente, la Corte EDU riconosce che, dal punto di vista della tutela dei diritti garantiti dalla CEDU, i ruoli rispettivi dei giudici dello Stato membro di origine e dello Stato membro richiesto sono diversi, senza che ciò comporti un malfunzionamento del meccanismo di controllo del rispetto dei diritti garantiti da tale convenzione (42). Naturalmente, secondo la Corte EDU, quando una censura seria e motivata, nel cui ambito si sostiene che ci si trova in presenza di un’insufficienza manifesta di tutela di un diritto garantito dalla CEDU, è proposta dinanzi al giudice dello Stato membro richiesto e quando il diritto dell’Unione non consente di porre rimedio a tale insufficienza, il giudice non può rinunciare a esaminare tale censura per il solo motivo che sta applicando il diritto dell’Unione (43). Tuttavia, non è quanto avviene nel caso di specie. La clausola dell’ordine pubblico costituisce infatti uno strumento previsto dal diritto dell’Unione, che consente al giudice dello Stato membro richiesto di rimediare a qualsiasi insufficienza manifesta di una tale tutela.

2.      Il contenuto dell’ordine pubblico e il ruolo della Corte in materia pregiudiziale

a)      Esposizione del problema

71.      Nelle fattispecie classiche, quando si pone la questione se il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro sia in contrasto con un principio, o addirittura con una nozione nazionale dello Stato membro richiesto, il giudice dello Stato membro richiesto non può invocare la clausola dell’ordine pubblico senza aver prima individuato un principio fondamentale del proprio ordinamento giuridico che sarebbe leso da tale riconoscimento o esecuzione (44). In altri termini, spetta ad esso individuare e qualificare come fondamentale un tale elemento costitutivo del proprio ordinamento giuridico. Ciò è la diretta conseguenza del fatto che, come confermato dalla formula classica della giurisprudenza della Corte, spetta agli Stati membri definire, «conformemente alle loro concezioni nazionali», il contenuto dell’ordine pubblico dei loro ordinamenti giuridici.

72.      A sua volta, la Corte può, nel suo compito di interpretare la nozione di «ordine pubblico» e senza eccedere i limiti della propria competenza in materia pregiudiziale, chiarire al giudice del rinvio la questione se la tensione tra le conseguenze prodotte dal riconoscimento o dall’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro e il principio invocato per opporsi al riconoscimento o all’esecuzione costituisca una violazione manifesta di tale principio.

73.      Nel caso di specie, l’elemento relativo all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, la cui violazione può giustificare il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico, rientra nell’ambito del diritto di natura sostanziale garantito dall’articolo 11 della Carta. Infatti, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), pur sottolineando il fatto che l’esecuzione delle decisioni spagnole era inaccettabilmente contraria all’ordine pubblico internazionale francese, ha fatto riferimento solo alla libertà di espressione garantita dalla Carta.

74.      A tal proposito, la Corte ha anche avuto modo di pronunciarsi, in una serie di cause, sul ricorso alla clausola dell’ordine pubblico quando questo era contemplato per il fatto che il giudice dello Stato membro di origine aveva commesso un errore nell’applicazione del diritto dell’Unione e le ripercussioni di tale errore erano in conflitto con l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

75.      Dalla lettura della giurisprudenza relativa alla clausola dell’ordine pubblico consente si può ritenere che, nella maggior parte di tali cause, la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte derivava da un siffatto errore di natura procedurale e riguardava il diritto di difesa in senso lato. In sostanza, da tale giurisprudenza si evince che una lesione manifesta e smisurata del diritto del convenuto a un equo processo, sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, giustifica il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico (45). È quindi assodato che, in alcuni casi, una violazione dei diritti fondamentali possa giustificare il ricorso a tale clausola.

76.      Il fatto che la clausola dell’ordine pubblico, nella sua dimensione sostanziale, non si sia affermata quanto la clausola dell’ordine pubblico nella sua dimensione procedurale deriva probabilmente dal ruolo svolto dal divieto di riesame del merito, che impedisce al giudice dello Stato membro richiesto di tornare sul merito della causa già decisa (46). È per tale motivo che è necessario essere cauti nell’applicare all’ordine pubblico nella sua dimensione sostanziale la giurisprudenza relativa all’ordine pubblico nella sua dimensione procedurale. La questione che si pone è quindi quali siano le implicazioni di una tale configurazione per l’applicazione della clausola dell’ordine pubblico da parte del giudice dello Stato membro richiesto nonché per il ruolo della Corte in materia pregiudiziale. Per rispondere a tale questione, occorre esaminare attentamente la giurisprudenza pertinente della Corte.

b)      Giurisprudenza pertinente della Corte

1)      Sulla sentenza Renault

77.      Nella causa che ha dato origine alla sentenza Renault (47) si è posta, in particolare, la questione se un eventuale errore commesso dal giudice dello Stato membro di origine nell’applicazione dei principi di libera circolazione delle merci e di libera concorrenza possa modificare i presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico. La Corte ha risposto in senso negativo, dichiarando che spetta al giudice nazionale garantire con la stessa efficacia la tutela dei diritti stabiliti dall’ordinamento giuridico nazionale e dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (48). Tuttavia, il fatto che tali presupposti siano gli stessi quando si tratta di una violazione del diritto nazionale e del diritto dell’Unione non significa che lo stesso valga per quanto riguarda il ruolo della Corte in materia pregiudiziale.

78.      Al riguardo, nessun elemento della sentenza Renault consente di stabilire se il giudice del rinvio abbia ritenuto che un eventuale errore nell’applicazione del diritto primario costituisse una violazione manifesta del principio fondamentale dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

79.      Dalla lettura delle conclusioni dell’avvocato generale Alber in tale causa si evince che il giudice del rinvio si è astenuto dal prendere posizione su tale questione. Tale giudice si è limitato a osservare che la giurisprudenza della Corte sollevava dubbi circa l’effettiva portata dei principi asseritamente disattesi dal giudice dello Stato membro di origine e che tali principi dovevano essere considerati come principi di ordine pubblico (49).

80.      Per contro, nella causa Renault la Corte ha affermato che «un eventuale errore di diritto, come quello controverso nel procedimento a quo, non costituisce una violazione manifesta di una regola di diritto fondamentale nell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto» (50). Tale passaggio suggerisce che, quando il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico è contemplato per il fatto che il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione giudiziaria si scontra con un elemento costitutivo dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto che rientra nella sua giurisdizione a causa dell’appartenenza di tale Stato membro all’Unione, tanto la questione se si tratti di un principio fondamentale di tale ordinamento quanto, eventualmente, la questione se il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione giudiziaria sia manifestamente in contrasto con tale principio fondamentale possono, e anzi devono, essere chiarite dalla Corte nel suo compito di interpretazione del diritto dell’Unione. Tale considerazione è supportata dalla lettura della giurisprudenza più recente.

2)      Sulla sentenza Diageo Brands

81.      Nella causa che ha dato origine alla sentenza Diageo Brands (51), una delle questioni pregiudiziali presupponeva che un errore nell’applicazione delle disposizioni di diritto derivato relative all’esaurimento del diritto conferito dal marchio avrebbe portato all’adozione di una decisione «manifestamente contraria al diritto dell’Unione». In sostanza, nella sua sentenza, facendo riferimento al carattere minimale dell’armonizzazione operata da tali disposizioni, la Corte ha osservato che non si poteva ritenere che un tale errore nell’applicazione di dette disposizioni contrasterebbe in modo inaccettabile con l’ordinamento giuridico dell’Unione in quanto comporterebbe la lesione di un principio fondamentale di tale ordinamento (52). Così come nella causa Renault, la Corte ha quindi qualificato l’elemento costitutivo dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto al fine di stabilire se tale elemento costituisse un principio fondamentale di tale ordinamento giuridico, e ha successivamente esaminato l’asserita violazione dal punto di vista della sua natura manifesta.

3)      Sulla sentenza Charles Taylor Adjusting

82.      Nella causa che ha dato origine alla sentenza Charles Taylor Adjusting (53), si è posta la questione se il giudice di uno Stato membro richiesto possa rifiutare di riconoscere e di eseguire la decisione di un giudice di un altro Stato membro, qualificabile come «“quasi” anti‑suit injunction», in quanto in contrasto con l’ordine pubblico di tale primo Stato membro.

83.      La Corte ha ritenuto, in un primo momento, che il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in questione si scontrassero, in particolare, con il principio generale elaborato dalla sua giurisprudenza sulle norme di diritto internazionale privato dell’Unione, secondo cui ciascun giudice adito accerta esso stesso la propria competenza a pronunciarsi sulla controversia sottopostagli (54).

84.      In un secondo tempo, la Corte ha ritenuto che, fatte salve le verifiche operate dal giudice del rinvio, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in questione potessero risultare incompatibili con l’ordine pubblico dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto, laddove tali decisioni erano idonee a pregiudicare tale principio fondamentale in uno spazio giudiziario europeo basato sulla fiducia reciproca (55).

85.      Pertanto, così come nelle sentenze Renault e Diageo Brands, la Corte ha qualificato un elemento costitutivo dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto come un «principio fondamentale» di tale ordinamento e ha poi stabilito che il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro possano contrastare in modo inaccettabile con tale principio.

86.      Certo, ci si può chiedere quale sia il ruolo, nella sentenza Charles Taylor Adjusting, della precisazione della Corte «fatte salve le verifiche operate dal giudice del rinvio». Per rispondere a tale domanda, occorre esaminare le conclusioni presentate in tale causa, alle quali la Corte ha fatto riferimento nella sua sentenza.

87.      Infatti, l’avvocato generale Richard de la Tour ha dichiarato, al paragrafo 53 delle sue conclusioni (56), di condividere la posizione del giudice del rinvio nella parte in cui questi dichiarava, conformemente alla sentenza Gambazzi (57), che spetta ad esso la valutazione complessiva del procedimento e di tutte le circostanze della specie e che il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in questione erano manifestamente incompatibili con l’ordine pubblico del foro.

88.      Nella causa che ha dato origine alla sentenza Gambazzi (58) si è posta la questione se, alla luce della clausola dell’ordine pubblico, il giudice dello Stato membro richiesto possa tener conto del fatto che il convenuto è stato escluso dal procedimento nello Stato di origine per non aver ottemperato agli obblighi imposti con un’ordinanza adottata nell’ambito dello stesso procedimento. La Corte ha dichiarato che una tale esclusione può giustificare il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico qualora, in esito ad una valutazione globale del procedimento e considerate tutte le circostanze, il giudice dello Stato membro richiesto ritenga che tale provvedimento di esclusione abbia costituito una violazione manifesta e smisurata del diritto del convenuto al contraddittorio (59).

89.      A mio avviso, la formulazione della risposta della Corte derivava, da un lato, dalla necessità di prendere in considerazione diversi elementi di fatto per determinare la proporzionalità di tale violazione del diritto del convenuto («[se fosse] manifesta e smisurata») e, dall’altro, dalla distinzione essenziale in materia pregiudiziale tra interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione. Ritengo che il riferimento della Corte, nella causa Charles Taylor Adjusting (60) alle «verifiche [che il giudice del rinvio deve] effettua[re]» rifletta la medesima distinzione. Pertanto, tale riferimento non mette in discussione le considerazioni esposte nel paragrafo 85 delle presenti conclusioni.

90.      Di conseguenza, spetta solo alla Corte interpretare il diritto dell’Unione, senza procedere alla sua applicazione. Nel suo compito di interpretare il diritto dell’Unione, la Corte è tenuta, in primo luogo, a stabilire se l’elemento costitutivo di tale diritto rappresenti un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione. In secondo luogo, spetta alla Corte chiarire se i presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico, previsti dal diritto dell’Unione, siano soddisfatti alla luce degli elementi di fatto presentati dal giudice del rinvio. Tali considerazioni sono supportate dalla sentenza Eco Swiss (61), molto emblematica al riguardo.

4)      Sulla sentenza Eco Swiss

91.      Nella causa che ha dato origine alla sentenza Eco Swiss, una delle questioni riguardava il punto se un giudice nazionale investito di un’impugnazione per nullità di un lodo arbitrale debba accogliere una tale impugnazione qualora ritenga che tale lodo sia effettivamente contrario all’articolo 101 TFUE, mentre, in base alle norme procedurali interne, esso deve accogliere l’impugnazione solo se un tale lodo è contrario all’ordine pubblico.

92.      Sebbene la questione sia stata sollevata dal punto di vista della clausola dell’ordine pubblico, questa non figurava in un atto di diritto dell’Unione che la Corte potesse interpretare. Infatti, il procedimento principale riguardava l’eventuale nullità, nello Stato membro del giudice del rinvio, di un lodo arbitrale emesso su richiesta di società stabilite al di fuori dell’Unione. A prescindere dalla dimensione transfrontaliera della causa, l’esecuzione dei lodi arbitrali non rientrava nell’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles.

93.      Nella sua sentenza, la Corte ha, in un primo tempo, qualificato l’articolo 101 TFUE come una «disposizione fondamentale indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati [all’Unione] e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno» (62). In un secondo momento, la Corte ha dichiarato che, nei limiti in cui un giudice nazionale debba, in base alle proprie norme di diritto processuale nazionale, accogliere un’impugnazione per nullità di un lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, esso deve ugualmente accogliere una domanda fondata sulla violazione del divieto sancito da tale disposizione di diritto primario (63).

94.      Nella sua sentenza, quindi, la Corte non si è pronunciata sulle condizioni di applicazione della clausola dell’ordine pubblico («violazione manifesta» o meno). Infatti, tali condizioni non rientravano nel diritto dell’Unione (64). Per contro, come in tutte le sentenze finora da me citate, la Corte ha stabilito se l’elemento costitutivo dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato la cui violazione era in questione costituisse un principio fondamentale di tale ordinamento.

95.      Ciò mi porta a una questione più fondamentale: se esista allora un ordine pubblico dell’Unione i cui principi fondamentali possano essere identificati dalla Corte.

c)      L’ordine pubblico dell’Unione

96.      In udienza, una delle questioni discusse è stata se il riferimento della Corte a una «regola di diritto considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto» e a un «diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento giuridico» (65) indichi l’intenzione della Corte di introdurre una distinzione tra l’ordine pubblico nazionale e l’ordine pubblico dell’Unione. Senza voler negare l’esistenza di quest’ultimo, non sono convinto che tale riferimento sia effettivamente volto a distinguere tali due ordini pubblici.

97.      Infatti, in primo luogo, ritengo che, con tale riferimento, la Corte abbia voluto piuttosto indicare che è possibile ricorrere alla clausola dell’ordine pubblico quando il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro viola manifestamente un principio, o addirittura un elemento costitutivo, essenziale o fondamentale, dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto, indipendentemente dalla forma specifica in cui esso è espresso nel diritto nazionale (66).

98.      In secondo luogo, nella sentenza Meroni, la Corte ha dichiarato che la clausola dell’ordine pubblico assumerebbe rilevanza solo nel caso in cui un pregiudizio alle garanzie di ordine processuale fosse tale per cui il riconoscimento di una simile decisione comporterebbe la violazione manifesta di una norma giuridica essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione e, dunque, nell’ordinamento di tale Stato membro richiesto (67). Ne consegue che anche una «norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto» può rientrare nell’ambito del diritto dell’Unione.

99.      In terzo luogo, nella sentenza Diageo Brands, la Corte ha confermato che, facendo riferimento alle «norme di diritto» e ai «diritti», la Corte non intendeva distinguere tra due fonti distinte – nazionale e dell’Unione – di ordine pubblico. La Corte ha dichiarato che il riconoscimento di una decisione emessa in un altro Stato membro può essere rifiutato solo a causa di una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, e dunque in quello dello Stato membro richiesto, o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tali ordinamenti giuridici (68).

100. Ciò detto, in passato mi sono espresso a favore del riconoscimento dell’esistenza dell’«ordine pubblico dell’Unione» (69), che a sua volta fa parte integrante dell’ordine pubblico nazionale. Sebbene la Corte non abbia ripreso tale nozione nella sua giurisprudenza, essa ha dichiarato che una norma giuridica essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione costituisce anche una norma giuridica essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato, la cui violazione manifesta può giustificare il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico (70).

101. Come confermato dall’articolo 2 TUE, esiste un nucleo comune di valori condivisi, rispettati e protetti dagli Stati membri che definiscono l’identità stessa dell’Unione come ordinamento giuridico comune (71). A tal proposito, è difficile trovare un esempio più rappresentativo dei valori condivisi dagli Stati membri di quelli riflessi nella Carta.

102. Dal punto di vista dello Stato membro richiesto, esiste un solo ordine pubblico. Infatti, un tale nucleo comune costituisce parte integrante dell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro. Inoltre, come ho indicato (72), i presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico sono gli stessi quando tale ricorso è previsto a causa della violazione, da parte del giudice dello Stato membro di origine, del diritto nazionale e del diritto dell’Unione. Tuttavia, a mio avviso, da un lato, l’insistenza della Corte sull’identità di tali presupposti riflette la volontà di non privilegiare il diritto dell’Unione rispetto a quello nazionale. Un tale approccio, inoltre, corrisponde al principio essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, secondo cui l’Unione rispetta l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale. Dall’altro lato, come dimostra la giurisprudenza in materia da me esposta, il fatto che i presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico siano gli stessi quando si tratta del diritto nazionale e del diritto dell’Unione non significa che lo stesso valga per quanto riguarda i ruoli rispettivi del giudice dello Stato membro richiesto e della Corte in materia pregiudiziale.

103. È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare le questioni pregiudiziali. In particolare, spetta alla Corte interpretare il diritto dell’Unione, in un primo tempo, per verificare se l’articolo 11 della Carta esprima un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione (titolo C) e, in un secondo tempo, per chiarire, alla luce del presente rinvio pregiudiziale, i criteri di valutazione che permettono di stabilire se l’esecuzione di una condanna quale quella oggetto del procedimento principale comporti una violazione manifesta di tale principio (titolo D).

C.      Sull’articolo 11 della Carta

1.      La libertà di stampa ai sensi dell’articolo 11 della Carta

104. Con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio fa riferimento all’articolo 11 della Carta. Tuttavia, tale disposizione contiene due paragrafi: il primo si riferisce, in generale, alla libertà di espressione e di informazione, mentre il secondo riguarda, più specificamente, la libertà e il pluralismo dei media.

105. Come la Corte ha già chiarito, per quanto riguarda gli organismi dei media, l’ingerenza nella libertà di espressione e d’informazione assume la forma particolare di un’ingerenza nella libertà dei media, tutelata specificamente dall’articolo 11, paragrafo 2, della Carta(73) . In tale ordine di idee, dalle spiegazioni relative alla Carta (74) risulta che tale disposizione «esplicita le conseguenze del paragrafo 1 in relazione alla libertà dei media». Ne deduco che quando l’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione riguarda l’attività dei media, si applica l’articolo 11, paragrafo 2, e non l’articolo 11, paragrafo 1, della Carta.

106. Nel procedimento principale, un giudice nazionale ha fatto ricorso alla clausola dell’ordine pubblico in quanto l’esecuzione delle decisioni spagnole sarebbe stata contraria alla libertà di stampa. Le questioni pregiudiziali riguardano quindi più specificamente l’articolo 11, paragrafo 2, della Carta.

107. Si tratta ora di stabilire se, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, la libertà di stampa garantita da tale disposizione costituisca un principio fondamentale la cui violazione può giustificare il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico.

2.      La libertà di stampa in quanto principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione

108. Dalla giurisprudenza si può dedurre che il fatto che la libertà di stampa garantita dalla Carta abbia lo stesso valore giuridico dei trattati non implica automaticamente che essa costituisca un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione (75).

109. Ciò detto, da un lato, la libertà di stampa, sancita dall’articolo 11, paragrafo 2, della Carta, protegge il ruolo essenziale dei media in una società democratica e in uno Stato di diritto, che è quello di diffondere informazioni e idee su questioni di interesse generale, a cui si aggiunge il diritto del pubblico di riceverle, senza restrizioni che non siano quelle strettamente necessarie (76).

110. Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali, «quali garantiti dalla [CEDU]», fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali di quest’ultimo. Da tale punto di vista, si pone la questione se l’articolo 11, paragrafo 2, della Carta abbia un equivalente nella CEDU. In caso affermativo, non solo la libertà dei media costituirebbe un principio generale del diritto dell’Unione, ma la giurisprudenza della Corte EDU fornirebbe indicazioni utili per l’interpretazione di tale disposizione della Carta.

111. A tal proposito, va notato che, a differenza dell’articolo 11 della Carta, l’articolo 10 della CEDU non fa riferimento né alla libertà dei media né al loro pluralismo. Tuttavia, da un lato, secondo la giurisprudenza della Corte EDU è pacifico che quest’ultima disposizione riguarda anche la libertà di stampa e persino la libertà giornalistica (77). Dall’altro lato, la giurisprudenza della Corte indica che la libertà di espressione e d’informazione sancita dall’articolo 11, paragrafi 1 e 2, della Carta e dall’articolo 10 della CEDU ha lo stesso significato e la stessa portata in ciascuno di tali due strumenti (78).

112. Certo, le spiegazioni relative all’articolo 11 della Carta enunciano che il paragrafo 2 di tale articolo «si basa segnatamente sulla giurisprudenza della Corte in materia di televisione, in particolare [la sentenza nella causa Collectieve Antennevoorziening Gouda (79)], e sul Protocollo sui sistemi di radiodiffusione pubblica negli Stati membri». Tuttavia, tali riferimenti sembrano prendere in considerazione piuttosto il pluralismo dei media che, sebbene sia inestricabilmente legato alla loro libertà, non sembra essere direttamente in discussione nel procedimento principale. In ogni caso, il pluralismo dei media è tutelato anche dall’articolo 10 della CEDU (80).

113. In tali circostanze, tenuto conto dell’importanza della libertà di stampa in una società democratica e in uno Stato di diritto nonché del fatto che tale libertà è un principio generale del diritto dell’Unione, mi sembra innegabile che detta libertà rappresenti un principio essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione, la cui violazione manifesta può costituire un motivo di rifiuto dell’exequatur.

D.      Sui criteri di valutazione della violazione manifesta della libertà di stampa

1.      Il ruolo del giudice nello Stato membro richiesto

a)      Osservazioni preliminari

114. L’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU prevede che l’esercizio della libertà di espressione può essere sottoposto alle limitazioni previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, in particolare «alla protezione della reputazione o dei diritti altrui». La Corte EDU riconosce che, nell’esaminare la necessità dell’ingerenza in una società democratica per la «protezione della reputazione o dei diritti altrui», essa può dover verificare se le autorità nazionali abbiano realizzato un giusto equilibrio nella tutela di due valori garantiti da tale convenzione, che in alcune cause possono apparire in conflitto (81).

115. Per quanto riguarda la ricerca di un tale equilibrio, va notato che le decisioni spagnole la cui esecuzione è contestata mirano a proteggere sia la reputazione della società calcistica sia quella del membro della sua equipe medica.

116. La reputazione di tale membro dell’equipe medica rientra nell’ambito dell’articolo 8 della CEDU, a cui corrisponde l’articolo 7 della Carta. I criteri rilevanti per bilanciare il diritto alla libertà di espressione e il diritto al rispetto della vita privata sono, in particolare, il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà della persona interessata e dell’oggetto del servizio, la sua condotta anteriore, il metodo di ottenimento delle informazioni e la loro veridicità, il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione, nonché la severità della sanzione inflitta (82).

117. Per quanto riguarda la reputazione della società calcistica, la Corte EDU ha lasciato aperta la questione se la reputazione di una persona giuridica rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della CEDU (83). Tuttavia, è pacifico che la reputazione di una persona giuridica rientri nella nozione di «reputazione o dei diritti altrui» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU, sebbene la protezione della reputazione di una persona giuridica non abbia lo stesso peso di quella della reputazione o dei diritti di un individuo (84).

118. Pertanto, da un lato, la ricerca di un giusto equilibrio tra tutti i diritti e gli interessi concorrenti deve essere effettuata separatamente per la società calcistica e per il membro della sua equipe medica. Tale circostanza sembra riflettersi nelle condanne spagnole, che si riferiscono a due importi distinti per i due ricorrenti nel procedimento principale. Ciò detto, dall’altro lato, la Corte EDU procede alla valutazione della proporzionalità delle ingerenze sulla base degli stessi criteri tanto in relazione a una persona giuridica quanto a un individuo (85).

119. A prima vista, si potrebbe essere tentati di procedere a un bilanciamento dei diritti in gioco secondo tali criteri e, su tale base, stabilire se l’esecuzione delle decisioni spagnole di cui trattasi nel procedimento principale comporterebbe una violazione manifesta della libertà di stampa. Tuttavia, è importante tenere presente il contesto della presente causa prima di procedere all’analisi di detti criteri.

b)      Il divieto di riesame del merito alla luce della fiducia reciproca

120. Il presente rinvio pregiudiziale non riguarda la questione di come bilanciare, per la prima volta e sulla base di elementi di prova a disposizione del giudice investito di un’azione di responsabilità, la libertà di stampa e la reputazione altrui. La ricerca di un tale equilibrio è già stata intrapresa dai giudici dello Stato membro di origine. Inoltre, come è stato chiarito in udienza, i convenuti nel procedimento principale hanno cercato di sottoporre il risultato di tale ricerca al controllo del Tribunal Constitucional (Corte costituzionale, Spagna) e della Corte EDU, che non hanno dichiarato ricevibili i ricorsi.

121. Nel caso di specie, il rinvio pregiudiziale proviene da un giudice dello Stato membro in cui è stata chiesta l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro. Ignorare tale fatto significherebbe non tenere conto del sistema di riconoscimento e di esecuzione del regolamento Bruxelles I, che si basa sulla fiducia reciproca, e dei rispettivi ruoli dei giudici dello Stato membro di origine e dello Stato membro richiesto.

122. Infatti, il ruolo del giudice dello Stato membro richiesto è circoscritto dalla limitazione di cui all’articolo 45, paragrafo 2, del regolamento Bruxelles I, ai sensi del quale «[i]n nessun caso la decisione [emessa in un altro Stato membro] può formare oggetto di un riesame del merito». Certo, la clausola dell’ordine pubblico consente a tale giudice di rifiutare l’exequatur di una decisione emessa in un altro Stato membro. Tuttavia, tale clausola e l’eccezione che ne deriva hanno una portata molto limitata e determinata dal ruolo di detto giudice.

123. A tal proposito, il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico non si basa su una valutazione negativa del procedimento dinanzi al giudice dello Stato membro di origine o della decisione da questi emessa. Piuttosto, esso deriva dalla constatazione che le ripercussioni dell’esecuzione di tale decisione nello Stato membro richiesto sono manifestamente contrarie a un principio fondamentale dell’ordine pubblico di quest’ultimo.

124. È per tale motivo che l’articolo 45, paragrafo 2, del regolamento Bruxelles I vieta al giudice dello Stato membro richiesto di controllare l’esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto che sono state effettuate dal giudice dello Stato membro di origine (86). Né il giudice dello Stato membro richiesto può integrare tali valutazioni con elementi preesistenti che non sono stati presi in considerazione dal giudice dello Stato membro di origine (87).

125. In tale logica, in una sentenza relativa al regolamento (CE) n. 2201/2003 (88), la Corte ha ritenuto che il giudice dello Stato membro richiesto non possa intervenire nella determinazione dell’importo finale da pagare a titolo di una penalità imposta dal giudice dello Stato membro di origine (89). Infatti, una tale determinazione implica la valutazione dei motivi delle inadempienze del debitore e soltanto il giudice dello Stato membro di origine, quale giudice competente nel merito, può procedere a valutazioni di tale natura.

126. A maggior ragione e per quanto riguarda il regolamento Bruxelles I, il giudice dello Stato membro richiesto non può mettere in discussione le valutazioni di diritto o di fatto che sono state effettuate dal giudice dello Stato membro di origine per ricalcolare l’importo da pagare sulla base della condanna pronunciata da quest’ultimo. Né esso può reiterare l’esercizio del bilanciamento dei diritti in gioco, poiché è il risultato di tale esercizio che determina l’esito del procedimento.

127. Pertanto, come la Corte ha dichiarato nella sentenza Gambazzi (90), le verifiche operate dal giudice dello Stato membro richiesto sono volte soltanto a identificare una violazione manifesta e smisurata di tale diritto, senza comportare un controllo delle valutazioni nel merito effettuate dal giudice dello Stato membro di origine.

128. In tale prospettiva, dal punto di vista della CEDU (91), tenuto conto dei ruoli diversi del giudice dello Stato membro di origine e del giudice dello Stato membro richiesto nell’ambito del sistema di riconoscimento e di esecuzione istituito dal regolamento Bruxelles I, che si basa sulla fiducia reciproca, è sufficiente che il giudice dello Stato membro richiesto ricorra alla clausola dell’ordine pubblico per rimediare a carenze manifeste nella tutela dei diritti garantiti dalla CEDU.

129. In tali circostanze, e per quanto riguarda la violazione di un principio di natura sostanziale da parte di una condanna ottenuta a seguito di un’azione di risarcimento, le verifiche operate dal giudice dello Stato membro richiesto devono concentrarsi in particolare sulle ripercussioni manifeste e smisurate della sanzione imposta dalla decisione di cui si chiede l’esecuzione sulla libertà di stampa. Infatti, in sede di esecuzione di una decisione straniera, la sanzione è l’elemento che maggiormente incide sull’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto. Tale è d’altronde la prospettiva adottata dal giudice del rinvio nelle sue questioni pregiudiziali, che si concentrano sulla dimensione pecuniaria delle decisioni spagnole.

130. Tuttavia, occorre ricordare che l’articolo 11 non è l’unica disposizione rilevante della Carta.

c)      Il bilanciamento dei diritti fondamentali in causa

131. Nel caso di specie, da un lato, dal punto di vista dei convenuti nel procedimento principale, la concessione dell’exequatur può costituire un’ingerenza nell’esercizio della libertà di stampa garantita dall’articolo 11 della Carta. Dall’altro lato, dal punto di vista dei ricorrenti nel procedimento principale, il rifiuto di eseguire le decisioni spagnole in questione comporterebbe una limitazione del loro diritto all’esecuzione di tali decisioni, sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta (92).

132. Tuttavia, né la libertà di espressione né il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria emessa in un altro Stato membro sono assoluti.

133. Quando sono in gioco diversi diritti fondamentali, è necessario procedere alla ponderazione degli stessi con i requisiti di cui all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta (93).

134. Nel caso di specie, la questione dell’esistenza di un fondamento normativo per limitare l’esercizio della libertà di espressione da parte dei convenuti nel procedimento principale non si pone. Infatti, le condanne oggetto del procedimento principale sono state pronunciate in base al diritto spagnolo e conformemente al regolamento Bruxelles I e devono, in linea di principio, essere eseguite in Francia. Lo stesso vale per quanto riguarda la limitazione dei diritti dei ricorrenti nel procedimento principale, che deriva dalla clausola dell’ordine pubblico ed è prevista da tale regolamento (94).

135. In un caso del genere, la valutazione del rispetto del principio di proporzionalità dev’essere effettuata nel rispetto della necessaria conciliazione tra i requisiti connessi alla tutela di questi diversi diritti e di un giusto equilibrio tra di essi (95).

136. La ricerca di un tale equilibrio si inserisce nel meccanismo di protezione della libertà di espressione previsto dalla CEDU. Non sorprende quindi che, ai fini della ricerca di un tale equilibrio tra la libertà di espressione e altri diritti o libertà fondamentali, la Corte faccia riferimento ai criteri di valutazione utilizzati dalla Corte EDU (96).

137. A quanto mi risulta, la Corte EDU non si è ancora pronunciata sui principi applicabili nell’ambito di cause in cui il diritto alla libertà di espressione, garantito dall’articolo 10 della CEDU, debba essere bilanciato con il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria emessa all’estero, garantito dall’articolo 6 di tale convenzione. Spetta quindi alla Corte stabilire siffatti principi per quanto riguarda l’articolo 11, paragrafo 2, e l’articolo 47, secondo comma, della Carta in relazione al presente rinvio pregiudiziale.

2.      Sul risarcimento compensativo

138. La problematica sollevata dalla seconda questione pregiudiziale, così come formulata dal giudice del rinvio, è se il giudice dello Stato membro richiesto possa constatare l’esistenza di una violazione manifesta della libertà di stampa in ragione del carattere sproporzionato della condanna quando questa riguarda il risarcimento riconosciuto per un danno morale. Prima di affrontare tale problematica, ritengo utile fornire qualche precisazione supplementare relativamente alla sua portata.

a)      Osservazioni preliminari

139. In primo luogo, la problematica sollevata dalla seconda questione, così come formulata dal giudice del rinvio, sembra trovare origine nel motivo di ricorso per cassazione con cui i ricorrenti nel procedimento principale sostengono che un controllo di proporzionalità del risarcimento danni può aver luogo solo se quest’ultimo ha carattere punitivo e non compensativo. Inoltre, i ricorrenti nel procedimento principale e il governo spagnolo osservano che il risarcimento danni di cui trattasi nel procedimento principale non è stato definito «punitivo» dal giudice spagnolo, ma è diretto a compensare il danno morale subito. La formulazione della seconda questione pregiudiziale indica che il giudice del rinvio parte dal medesimo presupposto.

140. In secondo luogo, osservo che tale motivo di ricorso per cassazione riguarda uno degli argomenti avanzati dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), secondo cui i ricorrenti nel procedimento principale non hanno fatto valere il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale è difficilmente quantificabile. A tal proposito, tengo a sottolineare che, sebbene non sia possibile calcolare il danno morale e il danno materiale allo stesso modo, ciò non significa che la condanna legata a un danno morale non sia compensativa (97).

141. In terzo luogo, la problematica sollevata dalla seconda questione, così come formulata dal giudice nazionale, sembra basarsi sul presupposto per cui la qualifica del risarcimento danni può essere effettuata tanto dal giudice dello Stato membro di origine quanto dal giudice dello Stato membro richiesto («se il risarcimento è qualificato come punitivo dal giudice [dello Stato membro] di origine o dal giudice [dello Stato membro] richiesto»). Tuttavia, alla luce delle considerazioni esposte nei paragrafi da 124 a 126 delle presenti conclusioni, il divieto del riesame del merito impedisce al giudice dello Stato membro richiesto di procedere a una tale qualificazione del risarcimento. Infatti, tale giudice non può sostituire la propria qualificazione a quella del giudice dello Stato membro di origine. Allo stesso modo, gli è precluso esaminare le valutazioni di diritto e di fatto per concludere che l’importo del risarcimento riconosciuto non corrisponde al danno subito e che una parte significativa di tale importo non ha quindi carattere compensativo ma punitivo.

b)      Valutazione

142. Passando ora all’esame del merito della problematica sollevata dalla seconda questione pregiudiziale, inizierò analizzando l’argomento discusso tra le parti in udienza relativamente alle attuali tendenze nel diritto internazionale privato. In seguito, esaminerò approfonditamente la giurisprudenza rilevante della Corte e della Corte EDU.

1)      Le tendenze attuali nel diritto internazionale privato

143. Nel diritto internazionale privato sono stati fatti diversi tentativi – talvolta con esito positivo, talvolta, con esito negativo (98) – al fine di introdurre una clausola dell’ordine pubblico relativa specificamente al riconoscimento o all’esecuzione di risarcimenti punitivi. Tuttavia, tale circostanza non implica che il ricorso all’ordine pubblico sia escluso quando una condanna non riguarda un risarcimento compensativo.

144. Al riguardo, alcune parti hanno fatto riferimento, nelle loro osservazioni scritte e in udienza, alla Convenzione sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere in materia civile e commerciale (99) (in prosieguo: la «Convenzione del 2019»), di cui l’Unione è parte. Più specificamente, tali parti sostengono che, sebbene tale convenzione preveda un divieto di riesame del merito, il suo articolo 10, paragrafo 1, dispone che «[i]l riconoscimento o l’esecuzione di una decisione possono essere negati se e nella misura in cui la decisione concede un risarcimento, anche di carattere esemplare o punitivo, che non indennizza una parte per una perdita o un danno effettivamente subiti».

145. La rilevanza della Convenzione del 2019 per il presente caso di specie è stata discussa in udienza.

146. Infatti, da un lato, la «diffamazione» e la «privacy» (100) sono escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione del 2019 perché, come indica la relazione esplicativa di detta convenzione, si tratta di materie sensibili per numerosi Stati, riguardando la libertà di espressione, e potendo avere, a tale titolo, implicazioni costituzionali (101).

147. Dall’altro lato, però, nel 2019 l’Istituto di diritto internazionale ha pubblicato la sua risoluzione sulle violazioni dei diritti della personalità attraverso l’uso di Internet e, ai sensi dell’articolo 9 di tale risoluzione, l’articolo 10 della Convenzione del 2019 dovrebbe essere applicabile anche in caso di una violazione del genere (102). Certo, tale risoluzione non è vincolante. Tuttavia, essa è stata redatta sotto gli auspici di tale Istituto, la cui autorità nell’individuare le tendenze attuali del diritto internazionale privato e pubblico non può essere ignorata (103). Tale risoluzione dimostra infatti che la rilevanza delle soluzioni individuate dalla Conferenza dell’Aja va oltre l’ambito della Convenzione del 2019.

148. Ciò posto, nonostante la formulazione dell’articolo 10 della Convenzione del 2019, la distinzione tra risarcimento compensativo e punitivo non è decisiva nel contesto di tale convenzione. Infatti, secondo la relazione esplicativa della Convenzione del 2019, il rifiuto dell’esecuzione sulla base di tale disposizione potrebbe intervenire solo se dalla sentenza risultasse chiaramente che la condanna sembra superare la perdita o il danno effettivi subiti. In tale contesto, oltre al risarcimento punitivo, «in casi eccezionali, anche danni e interessi qualificati come compensativi dal giudice di origine potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione di [detta] disposizione» (104). Secondo la dottrina, ai sensi della stessa convenzione, è quindi lecito rifiutare l’esecuzione di una decisione straniera nella misura in cui essa riguardi un risarcimento punitivo o in altro modo eccessivo (105).

149. Ne deduco che, in base alle attuali tendenze nel diritto internazionale privato, in casi assolutamente eccezionali è possibile ricorrere alla clausola dell’ordine pubblico anche quando la condanna riguarda un risarcimento compensativo. In assenza di una chiara indicazione in merito all’approccio adottato dal legislatore dell’Unione nel regolamento Bruxelles I, è necessario ricorrere alla giurisprudenza pertinente relativa a tale regolamento e alla libertà di espressione.

2)      La giurisprudenza pertinente della Corte

150. La lettura della sentenza flyLAL-Lithuanian Airlines (106) potrebbe suggerire che l’importo della condanna diretta a risarcire un danno patrimoniale nonché le conseguenze economiche che ne derivano non costituiscano di per sé motivo di rifiuto dell’exequatur. La Corte ha infatti affermato che la clausola dell’ordine pubblico non mira a proteggere interessi puramente economici, cosicché il mero fatto di invocare gravi conseguenze economiche non configura una violazione dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

151. Tuttavia, da un lato, la Corte si è anche premurata, in tale sentenza, di sottolineare che le decisioni la cui esecuzione era in questione costituivano provvedimenti provvisori e cautelari consistenti non nel versare una somma, bensì unicamente nel sorvegliare i beni dei convenuti nel procedimento principale (107). Dall’altro lato, da tale sentenza non si evince che le gravi conseguenze economiche subite nello Stato membro richiesto, che non equivalgono a una mera invocazione di interessi economici, non possano costituire un motivo di rifiuto dell’esecuzione.

152. Pertanto, la mia comprensione della sentenza flyLAL-Lithuanian Airlines è che, quando una condanna riguarda un risarcimento compensativo, è possibile ricorrere all’ordine pubblico in casi assolutamente eccezionali e unicamente quando altri argomenti basati sull’ordine pubblico dello Stato membro richiesto sono invocati per opporsi all’esecuzione di tale condanna (108).

3)      La giurisprudenza pertinente della Corte EDU

153. Nella sua giurisprudenza sulla libertà di espressione, la Corte EDU ha indicato che la natura e la severità delle pene inflitte sono elementi da prendere in considerazione allorché si tratta di valutare la proporzionalità di una violazione del diritto alla libertà di espressione garantito dall’articolo 10 della CEDU(109). Dalla lettura di tale giurisprudenza si potrebbe evincere che di per sé la condanna importa più della pena inflitta, di carattere minore.

154. In primo luogo, tuttavia, occorre rilevare che la giurisprudenza della Corte EDU presenta due filoni distinti, vale a dire quello relativo alle sanzioni penali e quello relativo alle condanne per una diffamazione costitutiva di un illecito civile. Infatti, le autorità nazionali devono mostrare moderazione nel ricorrere alle vie penali e prestare molta attenzione alla severità delle sanzioni penali (110).

155. In secondo luogo, è vero che la Corte EDU ha riscontrato una violazione dell’articolo 10 della CEDU nel caso di una condanna civile che verteva su un «franco simbolico». Tuttavia, la considerazione secondo cui la condanna importa più del carattere minore della pena inflitta non costituiva il punto di partenza del ragionamento, ma un argomento sollevato in ultima istanza, per sottolineare che la natura trascurabile di una tale condanna non poteva essere di per sé sufficiente a giustificare l’ingerenza nel diritto di espressione del ricorrente (111), senza necessariamente produrre un effetto realmente deterrente sull’esercizio della libertà di espressione (112).

156. Soprattutto, in terzo luogo, la Corte EDU ritiene che, in linea di principio, debba essere preservata la possibilità, per le persone lese da dichiarazioni diffamatorie, di intentare un’azione di risarcimento tale da costituire un ricorso effettivo contro le violazioni dei diritti della personalità (113). Secondo tale Corte, in circostanze specifiche, un importo eccezionale e particolarmente elevato del risarcimento per diffamazione può porre un problema riguardo all’articolo 10 della CEDU (114). In particolare, al fine di garantire un giusto equilibrio tra i diritti in gioco, l’importo del risarcimento accordato per diffamazione deve presentare un «rapporto ragionevole di proporzionalità» rispetto al danno causato alla reputazione (115). A tal proposito, come osservano gli esponenti della dottrina, la CEDU non vieta tutte le forme di condanne pecuniarie o di natura eccessivamente compensativa. Invece, tale convenzione vieta quelle che sono sproporzionate nel senso specifico di tale termine, fatto proprio dalla giurisprudenza della Corte EDU (116), vale a dire quelle che, per le loro caratteristiche ponderate rispetto ai fatti del caso di specie, comportano una restrizione della libertà di espressione non necessaria in una società democratica.

157. Da un lato, quindi, la giurisprudenza della Corte EDU non contiene alcuna indicazione circa il fatto che la natura punitiva del risarcimento sia un presupposto per contemplare un’eventuale violazione delle libertà sancite all’articolo 10 della CEDU. Dall’altro lato, essa stabilisce alcuni criteri ai fini della valutazione del carattere sproporzionato di una sanzione compensativa che permettono di stabilire che essa comporta una limitazione della libertà di espressione non necessaria in una società democratica. Analizzerò tali criteri qui di seguito.

158. In ogni caso, e per quanto riguarda la problematica sollevata dalla seconda questione pregiudiziale, così come formulata dal giudice del rinvio, tenuto conto tanto delle attuali tendenze nel diritto internazionale privato quanto della giurisprudenza rilevante, ritengo che, quando una condanna riguarda un risarcimento compensativo, sia possibile ricorrere all’ordine pubblico in casi assolutamente eccezionali e unicamente in relazione con altri argomenti relativi all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

3.      Sull’effetto deterrente

159. La problematica sollevata nelle questioni pregiudiziali dalla terza alla settima considerate congiuntamente, così come formulate dal giudice del rinvio, riguarda due aspetti.

160. Infatti, il giudice del rinvio chiede, da un lato, se l’effetto deterrente di una condanna relativa al risarcimento riconosciuto a titolo di riparazione di un danno morale sia di per sé sufficiente a giustificare il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 34, punto 1, del regolamento Bruxelles I, letto alla luce dell’articolo 11 della Carta, e, dall’altro lato, quali elementi debbano essere presi in considerazione per accertare l’esistenza di un tale effetto deterrente.

a)      L’effetto deterrente come motivo di rifiuto dell’exequatur

1)      Il concetto di effetto deterrente

161. In via preliminare, osservo che il giudice del rinvio, pur facendo riferimento al concetto di effetto deterrente, non ne fornisce una definizione.

162. Al riguardo, da un lato, tale riferimento sembra trovare origine nelle sentenze emesse dalla Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) che ha ritenuto, in termini tali da ricordare la giurisprudenza della Corte EDU, che le condanne oggetto del procedimento principale avessero un effetto deterrente sulla partecipazione dei convenuti nel procedimento principale alla discussione pubblica di temi che interessano la collettività, tale da ostacolare i media nell’adempimento dei loro compiti di informazione e di controllo. Dall’altro lato, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio fa riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU, indicando che «l’effetto deterrente di una condanna a versare un risarcimento costituisce un parametro di valutazione della proporzionalità di un (…) provvedimento di riparazione delle affermazioni diffamatorie».

163. Nella sua giurisprudenza in materia di libertà di espressione, la Corte EDU si riferisce indifferentemente all’«effetto dissuasivo» e al «chilling effect» (117).

164. In dottrina alcuni autori hanno osservato che, sebbene la Corte EDU non abbia ancora dato una definizione sostanziale del concetto di effetto dissuasivo, essa si basa comunque su tale concetto per giustificare un esame rigoroso delle misure nazionali che considera come le più idonee a produrre effetti negativi che vanno al di là dei singoli casi in cui sono applicate, dimodoché le persone fisiche e giuridiche siano dissuase dall’esercitare i loro diritti per timore di essere sottoposte a tali misure (118).

165. In tale logica, in dottrina è stato rilevato che il concetto di effetto dissuasivo non è usato in modo coerente nella giurisprudenza sulla libertà di espressione, in particolare in quanto sembra riferirsi alle implicazioni di un’ingerenza nella libertà di espressione che va al di là della situazione della persona direttamente interessata da tale ingerenza (119).

166. Infatti, in una linea giurisprudenziale relativa alle sanzioni civili, la Corte EDU sembra utilizzare il concetto di effetto dissuasivo in relazione alla libertà giornalistica nello Stato interessato. Infatti, tale Corte fa riferimento a un esito di un procedimento nazionale che impone un onere eccessivo e sproporzionato alle persone interessate, «in grado di avere un “chilling effect” sulla libertà di stampa nel territorio dello Stato convenuto» (120), oppure a un importo complessivo della condanna come «un fattore importante per quanto riguarda un potenziale “chilling effect” del procedimento su di lui e su altri giornalisti» (121), o ancora a una «[condanna che] rischia inevitabilmente di dissuadere i giornalisti dal contribuire alla discussione pubblica di questioni che interessano la vita della collettività» (122).

2)      Rilevanza per la presente causa

167. La definizione data dalla Corte EDU degli effetti dissuasivi o addirittura inaccettabili dal punto di vista della protezione della libertà di stampa nell’ambito di un dibattito su un tema di interesse generale mi sembra pertinente nel contesto della presente causa, che ruota attorno alla questione del rifiuto dell’exequatur in quanto l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro violerebbe manifestamente l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

168. Infatti, in primo luogo, dei tali effetti inaccettabili rischiano di dissuadere i giornalisti dal contribuire alla discussione pubblica di questioni che riguardano la vita della collettività. Il dibattito sulla questione del doping nel calcio è una questione di interesse generale (123) e il contributo a un dibattito di interesse generale costituisce un elemento fondamentale da prendere in considerazione nel bilanciamento dei diritti fondamentali concorrenti (124).

169. Sempre in tale contesto, in secondo luogo, da un lato, quando si ricorre alla clausola dell’ordine pubblico, occorre trovare un giusto equilibrio tra la libertà di espressione e il diritto all’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro, sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta. La ricerca di un giusto equilibrio non può, però, in linea di principio, portare a rinunciare all’esecuzione di una decisione a causa delle ripercussioni che questa avrebbe sul convenuto. L’essenza di una condanna risiede nel fatto che le sue conseguenze si ripercuotano sul convenuto.

170. Dall’altro lato, come ho osservato al paragrafo 152 delle presenti conclusioni, quando una condanna verte su un risarcimento compensativo, il ricorso all’ordine pubblico è possibile in casi assolutamente eccezionali e unicamente in relazione con altri argomenti relativi alla minaccia per l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto. È questo il caso dell’argomento secondo cui la concessione dell’exequatur potrebbe avere un effetto deterrente sulla libertà di stampa nello Stato membro interessato. L’effetto deterrente così definito colpisce sia la libertà giornalistica nello Stato membro interessato sia la libertà di informazione del pubblico in generale. Il rifiuto dell’exequatur in un caso del genere protegge non solo il convenuto dalla sanzione ad esso imposta, ma anche l’interesse della società nello Stato membro interessato.

171. Pertanto, l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro che può avere un effetto deterrente sull’esercizio della libertà di stampa nello Stato membro richiesto comporta una violazione manifesta e smisurata del principio fondamentale di quest’ultimo Stato membro e costituisce quindi un motivo di rifiuto dell’exequatur. È ora necessario determinare i criteri che permettono di stabilire quando una condanna genera un tale effetto.

b)      Criteri di valutazione dell’effetto deterrente

1)      L’effetto deterrente dal punto di vista del giudice dello Stato membro richiesto

172. Il giudice del rinvio chiede se le circostanze descritte nelle questioni pregiudiziali dalla terza alla settima, così come formulate da tale giudice, possano essere prese in considerazione per stabilire se vi sia stata una violazione manifesta dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto. A tal proposito, si potrebbe essere tentati di ispirarsi alla giurisprudenza della Corte EDU che, per constatare una violazione dell’articolo 10 della CEDU, sembra dare peso a ognuna delle circostanze menzionate dal giudice del rinvio.

173. Tuttavia, come indicato al paragrafo 129 delle presenti conclusioni, dinanzi al giudice dello Stato membro richiesto, la questione che si pone non è tanto quella di stabilire se il risarcimento sia proporzionato, ma piuttosto se l’esecuzione di una decisione di risarcimento possa avere un effetto deterrente che porti a una violazione manifesta e smisurata della libertà di stampa in tale Stato membro a causa della sanzione imposta. Di conseguenza, le verifiche effettuate dal giudice dello Stato membro richiesto devono essere esclusivamente finalizzate a individuare il rischio di un tale effetto deterrente, senza comportare un controllo delle valutazioni sostanziali effettuate dal giudice dello Stato membro di origine. In linea con tale ragionamento, il ruolo della Corte non è, a sua volta, quello di sostituirsi alla Corte EDU per accertare una violazione della libertà di stampa imputabile a quest’ultimo Stato membro.

174. Sempre in tale contesto, i convenuti nel procedimento principale sono stati condannati, oltre che al pagamento del risarcimento, degli interessi e delle spese, all’obbligo di pubblicare la decisione emessa nello Stato membro di origine. Tuttavia, le questioni pregiudiziali riguardano la condanna solo per quanto concerne la sua dimensione pecuniaria. Infatti, il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico è possibile solo in caso di violazione dell’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto da parte degli elementi della decisione di cui si chiede l’esecuzione in tale Stato membro. Invece, secondo la Corte EDU, la valutazione di un’ingerenza nella libertà di espressione dal punto di vista del suo effetto deterrente deve tenere conto della natura delle altre sanzioni e misure imposte alla persona interessata (125).

2)      I criteri rilevanti nel caso di specie

175. Con le questioni pregiudiziali dalla terza alla settima, il giudice del rinvio chiede se, per stabilire l’esistenza di un effetto deterrente, si debba tener conto delle risorse dell’interessato, della gravità della colpa, dell’entità del danno nonché dell’importanza dell’effetto deterrente determinato alla luce della situazione economica di una società editrice di un giornale e della stampa scritta in generale. Inoltre, esso chiede se l’esistenza di un effetto deterrente debba essere valutata allo stesso modo relativamente alla società editrice di un giornale e relativamente al giornalista.

176. Per quanto riguarda l’importanza dell’effetto deterrente (quarta questione pregiudiziale, così come formulata dal giudice del rinvio), tenuto conto della necessità di bilanciare i diritti fondamentali in questione (126), solo il rischio di un effetto deterrente che vada al di là della situazione della persona direttamente interessata giustifica il rifiuto dell’exequatur nella misura in cui esso costituisce una violazione manifesta e smisurata della libertà di stampa nello Stato membro richiesto. È solo in un’ipotesi del genere che il giudice di tale Stato membro deve ricorrere alla clausola dell’ordine pubblico per rimediare a una carenza manifesta nella tutela di tale libertà (127).

177. Per quanto riguarda le risorse dell’interessato in relazione alla sua natura fisica o giuridica (prima parte della terza questione nonché questioni quinta e sesta, così come formulate dal giudice del rinvio), il giudice dello Stato membro richiesto deve tenere conto del fatto che la somma complessiva che l’interessato è tenuto a versare è un fattore importante in termini di potenziale effetto deterrente su tale persona e su altri giornalisti (128).

178. Certo, la Corte EDU sembra prendere in considerazione, come circostanza attenuante, il fatto che l’editore e il giornalista siano, come nel caso di specie, responsabili in solido del pagamento di una sanzione (129). Tuttavia, l’effetto deterrente non è valutato allo stesso modo per quanto riguarda la società editrice di un giornale e il giornalista autore dell’articolo contestato.

179. Infatti, da un lato, per quanto riguarda le persone fisiche, la Corte EDU fa riferimento al salario dell’interessato o ai valori di riferimento, come il salario minimo (130) o medio (131) nello Stato convenuto in questione. In linea di principio, la somma totale che l’interessato è tenuto a versare deve essere ritenuta manifestamente irragionevole qualora l’interessato debba sforzarsi per anni per pagarla integralmente o qualora tale somma corrisponda a diverse decine di salario minimo standard nello Stato membro richiesto. Dall’altro lato, nel caso di una persona giuridica, la Corte EDU provvede a che l’importo del risarcimento imposto alle società di stampa non sia tale da minacciare le loro basi economiche (132) e non sia quindi manifestamente irragionevole.

180. Inoltre, per quanto riguarda la situazione economica della stampa scritta in generale nello Stato membro richiesto (settima questione, così come formulata dal giudice del rinvio), sebbene un potenziale effetto deterrente colpisca giornalisti e case editrici in tale Stato membro, il giudice di detto Stato membro non deve tenere conto della situazione economica di quest’ultima per rifiutare l’exequatur di una decisione giudiziaria. Dal punto di vista dei giornalisti e delle case editrici, ciò che conta è soprattutto essere consapevoli del fatto che anch’essi possono formare oggetto di una condanna manifestamente irragionevole in relazione alle circostanze del caso.

181. Infine, tenuto conto del ruolo del giudice dello Stato membro richiesto nel sistema di riconoscimento e di esecuzione istituito dal regolamento Bruxelles I (133), le verifiche effettuate da tale giudice devono riguardare soprattutto le ripercussioni manifeste e smisurate sulla libertà di stampa della sanzione imposta dalla decisione di cui si chiede l’esecuzione. Detto giudice non può quindi controllare l’esattezza delle valutazioni giuridiche o di fatto operate dal giudice dello Stato membro di origine in merito alla gravità della colpa e all’entità del danno (seconda parte della terza questione, così come formulata dal giudice del rinvio).

182. D’altro canto, al fine di garantire che il risultato di un bilanciamento dei diritti in gioco non sia caratterizzato da una protezione manifestamente insufficiente dei diritti fondamentali (134), il giudice dello Stato membro richiesto può tenere conto della gravità della colpa e dell’entità del danno per stabilire se, nonostante il carattere a priori manifestamente irragionevole della somma complessiva di una condanna, questa sia idonea a contrastare gli effetti delle dichiarazioni diffamatorie (135).

E.      La presunzione di protezione equivalente

183. Secondo la celebre presunzione di «protezione equivalente», derivante dalla giurisprudenza della Corte EDU e applicabile agli Stati membri (136), il provvedimento di uno Stato membro adottato in adempimento degli obblighi derivanti dalla sua appartenenza all’Unione deve essere considerato giustificato ai sensi della CEDU in quanto è pacifico che l’Unione accorda ai diritti fondamentali una protezione per lo meno equivalente a quella garantita da tale convenzione (137). Certo, l’applicabilità di tale presunzione e le conseguenze che se ne possono trarre sono valutate esclusivamente dalla Corte EDU. Tuttavia, in uno spirito di coordinamento tra la Carta e la CEDU nonché al fine di fornire una risposta esaustiva alla Corte anche per quanto riguarda le implicazioni della sua emananda sentenza, desidero dedicare qualche ulteriore osservazione a detta presunzione.

184. Dalla giurisprudenza della Corte EDU risulta che l’applicazione della presunzione di protezione equivalente è soggetta a due condizioni: l’assenza di margine di manovra per le autorità nazionali e l’applicazione di tutte le potenzialità del meccanismo di controllo previsto dal diritto dell’Unione (138), compresa la possibilità di un rinvio pregiudiziale alla Corte, dinanzi alla quale possono essere discusse questioni relative ai diritti fondamentali. Dato che la Corte ha ricevuto un rinvio pregiudiziale e che spetta solo alla Corte EDU esaminare se la seconda condizione è soddisfatta, mi concentrerò sulla prima condizione.

185. A tal proposito, la questione dell’applicazione della presunzione di protezione equivalente viene esaminata dalla Corte EDU tenendo conto «della precisa disposizione applicata nel caso di specie» (139) e di tutte le conseguenze che ne derivano per lo Stato membro interessato, conformemente all’interpretazione fornita dalla Corte (140). Ciò implica prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti del contesto normativo dell’Unione da cui derivano gli obblighi di uno Stato membro interessato nei confronti dell’Unione e degli altri Stati membri.

186. Nel caso di specie, quindi, si tratta di stabilire se, ai sensi del regolamento Bruxelles I, il giudice dello Stato membro richiesto investito di un ricorso ai sensi degli articoli 43 e 44 di tale regolamento conservi il potere discrezionale di decidere se ricorrere o meno alla clausola dell’ordine pubblico quando l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro violi manifestamente un diritto fondamentale garantito dalla Carta.

187. A quanto mi risulta, la Corte EDU non si è ancora pronunciata su un caso del genere (141). Una parte della dottrina ritiene che la clausola dell’ordine pubblico implichi l’esistenza di un potere discrezionale, il che esclude il ricorso alla presunzione di protezione equivalente (142). A mio avviso, tuttavia, ciò non avviene quando l’asserita violazione riguarda un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

188. Infatti, è vero che l’articolo 45, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I prevede che il giudice dello Stato membro richiesto rigetti l’exequatur solo per uno dei motivi contemplati dagli articoli 34 e 35 di tale regolamento. Tuttavia, per quanto riguarda il motivo di rifiuto dell’exequatur, tale prima disposizione rinvia all’articolo 34, punto 1, di tale regolamento, che enuncia, in maniera categorica, che le decisioni non sono riconosciute se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

189. Inoltre, come indicato al paragrafo 102 delle presenti conclusioni, lo Stato membro richiesto non determina unilateralmente il contenuto dell’ordine pubblico dell’Unione. Allo stesso modo, la qualificazione della violazione di tale ordine come manifesta deriva da una corretta interpretazione del diritto dell’Unione ed è quindi soggetta al controllo effettuato dalla Corte. Soprattutto, il rispetto dei diritti fondamentali non è una questione di buona volontà o di cortesia da parte dello Stato membro richiesto. Di fronte a una censura che considera fondata e secondo la quale l’esecuzione di una decisione giudiziaria che rientra nell’ambito di applicazione del regolamento Bruxelles I comporterebbe una violazione manifesta dell’ordine pubblico dell’Unione e, più specificamente, di un diritto fondamentale, il giudice dello Stato membro richiesto ha l’obbligo di rifiutare l’exequatur della stessa. Pertanto, in una tale situazione, esso deve rigettare o revocare la dichiarazione di esecutività di tale decisione.

190. Per completezza, aggiungerei che il fatto che il giudice dello Stato membro richiesto sia obbligato a esaminare se le condizioni per l’exequatur siano soddisfatte non significa che esso eserciti un potere discrezionale ai sensi della giurisprudenza relativa alla CEDU. La Corte EDU ritiene che la presunzione di protezione equivalente si applichi quando lo Stato membro richiesto può rifiutare il riconoscimento e l’exequatur di una decisione straniera «entro limiti molto precisi e a condizione che siano soddisfatti determinati presupposti» (143)

F.      Osservazioni conclusive

191. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo di rispondere alle questioni pregiudiziali dichiarando che l’articolo 45, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I, letto in combinato disposto con l’articolo 34, punto 1, e l’articolo 45, paragrafo 2, dello stesso, nonché l’articolo 11 della Carta, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro, nel quale sia chiesta l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro, relativa a una condanna di una società editrice di un giornale e di un giornalista per lesione della reputazione di una società sportiva e di un membro della sua equipe medica attraverso informazioni pubblicate in tale giornale, deve rigettare o revocare una dichiarazione di esecutività di tale decisione quando l’esecuzione della stessa comporterebbe una violazione manifesta della libertà di espressione garantita dall’articolo 11 della Carta (144). Una tale violazione esiste quando l’esecuzione di detta decisione genera un potenziale effetto deterrente sulla partecipazione al dibattito su un tema di interesse generale sia delle persone a cui si riferisce la condanna sia di altre società di stampa e giornalisti nello Stato membro richiesto (145). Un tale potenziale effetto deterrente si verifica quando l’importo complessivo di cui è chiesto il pagamento è manifestamente irragionevole, tenuto conto della natura e della situazione economica dell’interessato. Nel caso di un giornalista, il potenziale effetto deterrente si verifica, in particolare, quando tale somma corrisponde a diverse decine di salari minimi standard nello Stato membro richiesto. Nel caso di una società editrice di un giornale, il potenziale effetto deterrente deve essere inteso come una manifesta messa a repentaglio dell’equilibrio finanziario del giornale (146). Il giudice dello Stato membro richiesto può tenere conto della gravità della colpa e dell’entità del danno unicamente per stabilire se, nonostante il carattere a priori manifestamente irragionevole della somma complessiva di una condanna, essa sia idonea a contrastare gli effetti delle dichiarazioni diffamatorie (147).

192. Per completezza, aggiungerei che, di fronte a una censura nell’ambito della quale si sostiene che l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro che condanna, congiuntamente e in solido, una società editrice di un giornale e un giornalista autore dell’articolo contestato al pagamento di un importo consistente a titolo di risarcimento per lo stesso danno morale è contraria alla libertà di stampa nello Stato membro richiesto, il giudice di quest’ultimo Stato membro può rifiutare l’exequatur della decisione relativamente alla condanna di una di tali persone. Infatti, ai sensi dell’articolo 48 del regolamento Bruxelles I, se la decisione straniera ha statuito su vari capi della domanda e la dichiarazione di esecutività non può essere rilasciata per tutti i capi, il giudice o l’autorità competente rilascia la dichiarazione di esecutività solo per uno o più di essi.

VI.    Conclusione

193. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia):

L’articolo 45, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, letto in combinato disposto con l’articolo 34, punto 1, e l’articolo 45, paragrafo 2, dello stesso, nonché l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

devono essere interpretati nel senso che:

uno Stato membro, nel quale sia chiesta l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro, relativa a una condanna di una società editrice di un giornale e di un giornalista per lesione della reputazione di una società sportiva e di un membro della sua equipe medica attraverso informazioni pubblicate in tale giornale, deve rigettare o revocare una dichiarazione di esecutività di tale decisione quando l’esecuzione della stessa comporterebbe una violazione manifesta della libertà di espressione garantita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali.

Una tale violazione esiste quando l’esecuzione di detta decisione genera un potenziale effetto deterrente sulla partecipazione al dibattito su un tema di interesse generale sia delle persone a cui si riferisce la condanna sia di altre società di stampa e giornalisti nello Stato membro richiesto. Un tale potenziale effetto deterrente si verifica quando l’importo complessivo di cui è chiesto il pagamento è manifestamente irragionevole, tenuto conto della natura e della situazione economica dell’interessato. Nel caso di un giornalista, il potenziale effetto deterrente si verifica, in particolare, quando tale somma corrisponde a diverse decine di salari minimi standard nello Stato membro richiesto. Nel caso di una società editrice di un giornale, il potenziale effetto deterrente deve essere inteso come una manifesta messa a repentaglio dell’equilibrio finanziario del giornale. Il giudice dello Stato membro richiesto può tenere conto della gravità della colpa e dell’entità del danno unicamente per stabilire se, nonostante il carattere a priori manifestamente irragionevole della somma complessiva di una condanna, essa sia idonea a contrastare gli effetti delle dichiarazioni diffamatorie.


1      Lingua originale: il francese.


2      Regolamento del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1).


3      Convenzione firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (GU 1972, L 299, pag. 32; in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles».


4      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2012, L 351, pag. 1) che, ai sensi del suo articolo 66, si applica alle azioni proposte successivamente al 10 gennaio 2015.


5      A tal proposito, nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio afferma che, con ordinanza dell’11 luglio 2014, lo Juzgado de Primera Instancia n. 19 de Madrid (Tribunale di primo grado n. 19 di Madrid) ha disposto il pagamento, a favore del Real Madrid, da parte della società editrice, della somma di EUR 390 000 a titolo di capitale, interessi e spese. Tuttavia, esso non precisa se tale ordinanza fosse diretta anche all’esecuzione della condanna nei confronti del giornalista. Cionondimeno, da tale ricorso e dalle osservazioni delle parti pare emergere che tale ordinanza riguardasse l’esecuzione nei confronti dei due convenuti nel procedimento principale.


6      Sentenza del 28 marzo 2000 (C‑7/98, EU:C:2000:164; in prosieguo: la «sentenza Krombach», punti 36 e 37).


7      Sentenza del 15 maggio 1986 (222/84, EU:C:1986:206, punto 18).


8      Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950.


9      Corte EDU, 26 aprile 2007, Colaco Mestre e SIC. Sociedade Independente de Comunicacao, S.A. c. Portogallo (CE:ECHR:2007:0426JUD001118203, § 28).


10      Corte EDU, 26 novembre 2013, Błaja News Sp. z o. o. v. Polonia (EC:ECHR:2013:1126JUD005954510, § 71).


11      Punto 22 di tale sentenza.


12      Sentenza Krombach (punto 23).


13      V., in tal senso, sentenza del 7 settembre, Charles Taylor Adjusting (C‑590/21; in prosieguo: la «sentenza Charles Taylor Adjusting», EU:C:2023:633, punto 32 e giurisprudenza citata).


14      V. sentenze Krombach (punto 21) e Charles Taylor Adjusting (punto 32 e giurisprudenza citata).


15      V. sentenza Krombach (punto 36).


16      V. sentenza Krombach (punto 37).


17      V. sentenza del 25 maggio 2016, Meroni (C‑559/14; in prosieguo: la «sentenza Meroni», EU:C:2016:349, punto 44).


18      V. sentenza Meroni (punto 45).


19      V. sentenza Meroni (punto 45).


20      Corte EDU, 23 maggio 2016, Avotiņš c. Lettonia (EC:ECHR:2016:0523JUD001750207; in prosieguo: la «sentenza Avotiņš c. Lettonia», § 96 e giurisprudenza citata).


21      Nella sua sentenza del 29 aprile 2008, McDonald c. Francia (CE:CEDU:2008:0429DEC001864804), la Corte EDU ha riconosciuto che il rifiuto di accordare l’exequatur delle decisioni giudiziarie in questione aveva rappresentato un’ingerenza nel diritto del ricorrente a un equo processo, garantito all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Inoltre, nella sua sentenza del 3 maggio 2011, Négrépontis-Giannisis c. Grecia (CE:ECHR:2011:0503JUD005675908, §§ da 89 a 92), essa ha ritenuto che il rifiuto di riconoscere l’adozione di un bambino, pronunciata negli Stati Uniti, in quanto violava l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, avesse comportato una violazione degli articoli 8 e 14 nonché dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. In particolare, dopo aver riscontrato una violazione di tali prime due disposizioni, la Corte EDU si è limitata a osservare che l’interpretazione della nozione di «ordine pubblico» da parte del giudice dello Stato membro richiesto non deve essere data in maniera arbitraria e sproporzionata.


22      V. Kinsch, P., «Enforcement as a Fundamental Right», Nederlands Internationaal Privaatrecht, n. 4, 2014, pag. 543.


23      V., in particolare, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 8 della CEDU, Corte EDU, 3 maggio 2011, Negrepontis-Giannisis c. Grecia (CE:ECHR:2011:0503JUD005675908).


24      V., in particolare, Kinsch, P., op. cit, pag. 543, e Hazelhorst, M., Free movement of civil judgments in the European Union and the right to a fair trial, Springer, L’Aja, 2017, pag. 160.


25      V., in particolare, Spielmann, D., «La reconnaissance et l’exécution des décisions judiciaires étrangères et les exigences de la Convention européenne des droits de l’homme. Un essai de synthèse», Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 88, 2011, pagg. da 774 a 779 e 786, e Kiestra, L. R., The Impact of the European Convention on Human Rights on Private International Law, 2014, L’Aja, Springer, pagg. da 262 a 274, che richiamano in particolare l’attenzione sul fatto che, nella sua giurisprudenza in materia, la Corte EDU riconosce talvolta una violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU nella misura in cui garantisce l’accesso al giudice. Tuttavia, tale linea giurisprudenziale sembra iscriversi nel contesto di cause in cui il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione giudiziaria era, secondo i ricorrenti, notevolmente ritardata.


26      V., in particolare, Cuniberti, G., Rueda, I., «Abolition of Exequatur. Addressing the Commission’s Concerns», Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht, 2011, vol. 2(75), pag. 294, che, senza esprimersi in maniera categorica sull’esistenza di un «diritto» del ricorrente, si concentrano soprattutto sulla necessità di mantenere l’equilibrio tra un tale diritto e i diritti fondamentali del convenuto.


27      V. Barba, M., «L’exequatur sous le regard de la Cour européenne des droits de l’homme», Les Mémoires de l’Équipe de Droit International, Européen et Comparé, Lione, 2012, n. 2, https://dumas.ccsd.cnrs.fr/dumas-04035845, pagg. 35 e 36. V., relativamente a tale critica, Pailler, L., Le respect de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne dans l’espace judiciaire européen en matière civile et commerciale, Éditions A. Pedone, Parigi, 2017, pag. 113.


28      V. articolo 38, paragrafo 1, e articolo 45, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I. Inoltre, l’avvocato generale Kokott ha indicato, nelle sue conclusioni nella causa Apostolides (C‑420/07, EU:C:2008:749, paragrafo 52) che non occorre stabilire se l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU imponga il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere, poiché il regolamento Bruxelles I conferisce in ogni caso un tale diritto.


29      V., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2023, K.B. e F.S. (Rilevabilità d’ufficio di una questione in ambito penale) (C‑660/21 EU:C:2023:498, punto 41).


30      V., su tale problematica, le mie conclusioni nella causa Glawischnig-Piesczek (C‑18/18, EU:C:2019:458, paragrafo 89).


31      V. articolo 38, paragrafo 1, e articolo 45, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I.


32      Al riguardo, l’applicabilità dell’articolo 47 della Carta dinanzi al giudice dello Stato membro richiesto, nonostante il fatto che il diritto dell’Unione non disciplini il procedimento dinanzi al giudice dello Stato membro di origine, è stata confermata nelle sentenze del 6 settembre 2012, Trade Agency (C‑619/10, EU:C:2012:531, punti da 52 a 54) e Meroni (punti 45 e 45). A mio avviso, è chiaro che il giudice dello Stato membro richiesto, quando tratta la questione del rifiuto dell’exequatur di una decisione emessa in un altro Stato membro per il motivo che tale esecuzione sarebbe contraria all’ordine pubblico, e tal fine applica il regolamento Bruxelles I, è vincolato da tutte le disposizioni della Carta.


33      V. Cuniberti, G., «Le fondement de l’effet des jugements étrangers», Recueil des cours de l’Académie de droit international de la Haye, vol. 394, 2018, pag. 140, che richiama l’attenzione sul fatto che «l’autonomizzazione del fondamento, puramente processuale, del riconoscimento delle sentenze straniere e del diritto all’esecuzione delle sentenze ai sensi dell’articolo 6 della CEDU è sorprendente, nella misura in cui il fondamento principale del diritto a un equo processo è quello di garantire l’effettività dei diritti sostanziali garantiti da tale [c]onvenzione».


34      V., in tal senso, per quanto riguarda il rispetto del diritto a un equo processo, sentenza del 6 settembre 2012, Trade Agency (C‑619/10, EU:C:2012:531, punto 55).


35      V., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2015, Delvigne (C-650/13, EU:C:2015:648, punto 48).


36      Infatti, innanzi tutto, dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE risulta che, in virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati. In secondo luogo, l’articolo 67, paragrafo 4, TFUE stabilisce che l’Unione facilita l’accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile. Inoltre, ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, TFUE, l’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. A tal fine, sulla base dell’articolo 81, paragrafo 2, lettera a), TFUE, l’Unione adotta misure volte a garantire il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione.


37      V. sentenze del 16 luglio 2015, Diageo Brands (C‑681/13; in prosieguo: la «sentenza Diageo Brands», EU:C:2015:471, punto 63), e Meroni (punto 47).


38      V. sentenze Diageo Brands (punto 64) e Meroni (punto 48).


39      Al riguardo, nel 2022 la Commissione ha presentato il progetto di direttiva sulla protezione delle persone attive nella partecipazione pubblica da procedimenti giudiziari manifestamente infondati o abusivi («azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica») [COM(2022) 177 final], meglio noto con l’acronimo «SLAPP» (Strategic Lawsuit Against Public Participation). Tale progetto di direttiva mira a stabilire garanzie contro i procedimenti giudiziari manifestamente infondati o abusivi in materia civile con implicazioni transfrontaliere avviati nei confronti di persone fisiche o giuridiche, in particolare giornalisti e difensori dei diritti umani, in ragione della loro partecipazione pubblica. A seconda del suo contenuto finale, una tale direttiva potrebbe alterare l’applicabilità dell’articolo 11 della Carta nei procedimenti dinanzi a un giudice dello Stato membro di origine in configurazioni quali quella del caso di specie.


40      Un’altra soluzione consisterebbe nel mitigare i requisiti di ammissibilità dei rinvii pregiudiziali nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile con implicazioni transfrontaliere e nel consentire a un giudice dello Stato membro di origine di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale relativa a un eventuale futuro rifiuto di eseguire la decisione che tale giudice emetterà al termine del procedimento pendente dinanzi ad esso. Tale soluzione non può essere accettata senza riserve e, in ogni caso, il presente rinvio pregiudiziale non proviene da uno Stato membro di origine. Ciononostante, v., su tale questione controversa nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale, sentenza del 25 luglio 2018, AY (Mandato d’arresto – Testimone) (C‑268/17, EU:C:2018:602, punti da 27 a 30).


41      V. paragrafi 183 e seguenti delle presenti conclusioni.


42      V., in tal senso, Corte EDU, 18 giugno 2013, Povse c. Austria (EC:ECHR:2013:0618DEC000389011, §§ 86 e 87).


43      Sentenza Avotiņš c. Lettonia (§§ da 113 a 116).


44      V., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2009, Apostolides (C‑420/07, EU:C:2009:271, punti 61 e 62). V. anche, in tal senso, sentenza del 19 novembre 2015, P (C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763, punto 40).


45      V., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2012, Trade Agency (C‑619/10, EU:C:2012:531, punti 52, 54 e 62). V. anche sentenze Krombach (punti da 25 a 27 e 45), e del 2 aprile 2009, Gambazzi (C‑394/07, EU:C:2009:219, punti 28, 29 e 48).


46      V., in tal senso, Hess, B. e a., Report on the Application of Regulation Brussels I in the Member States (Study JLS/C4/2005/03), Università Ruprecht‑Karls di Heidelberg, settembre 2007, pag. 249, paragrafo 558, disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/civiljustice/news/docs/study_application_brussels_1_en.pdf.


47      V. sentenza dell’11 maggio 2000 (C‑38/98; in prosieguo: la «sentenza Renault», EU:C:2000:225, punto 32).


48      V. sentenza Renault (punto 32).


49      V. conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa Renault (C‑38/98, EU:C:1999:325, paragrafo 6).


50      V. sentenza Renault (punto 34).


51      Punti 30, 32 e 39. V. anche le mie conclusioni nella causa Diageo Brands (C‑681/13, EU:C:2015:137, paragrafo 52).


52      V. sentenza Diageo Brands (punto 51).


53      Punti 23 e 27 di tale sentenza.


54      V. sentenza Charles Taylor Adjusting (punto 37).


55      V. sentenza Charles Taylor Adjusting (punto 39).


56      V. conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Charles Taylor Adjusting (C‑590/21, EU:C:2023:246).


57      Sentenza del 2 aprile 2009 (C‑394/07, EU:C:2009:219, punto 48).


58      Sentenza del 2 aprile 2009 (C‑394/07, EU:C:2009:219, punto 20).


59      Sentenza del 2 aprile 2009 (C‑394/07, EU:C:2009:219, punti 48 e 49).


60      Punto 39 di tale sentenza.


61      Sentenza del 1° giugno 1999, (C‑126/97; in prosieguo: la «sentenza Eco Swiss», EU:C:1999:269).


62      Sentenza Eco Swiss (punto 36).


63      Sentenza Eco Swiss (punto 37).


64      V. paragrafo 92 delle presenti conclusioni.


65      Come si ricorda, a partire dalla sentenza Krombach (punto 37), per rispettare il divieto del riesame del merito della decisione emessa in un altro Stato membro, la lesione dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, sulla cui base quest’ultimo può rifiutare il riconoscimento o l’esecuzione di tale decisione deve costituire una «violazione manifesta di una regola di diritto considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento giuridico». Il corsivo è mio.


66      È vero che, nella sentenza del 23 ottobre 2014, flyLAL-Lithuanian Airlines (C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 56), la Corte ha dichiarato che la nozione di «ordine pubblico» mira a proteggere interessi giuridici espressi attraverso una norma di legge. Tuttavia, tale, formulazione, un po’ riduttiva, era relativa al contesto specifico di tale causa. In ogni caso, con tale dichiarazione, la Corte ha voluto principalmente sottolineare che la clausola dell’ordine pubblico può essere utilizzata solo per tutelare interessi giuridici.


67      V. sentenza Meroni (punto 46).


68      V. sentenza Diageo Brands (punto 68).


69      V. le mie conclusioni nella causa Diageo Brands (C‑681/13, EU:C:2015:137, paragrafo 39).


70      V., in tal senso, sentenza Diageo Brands (punto 50). V. anche sentenze Meroni (punto 46) e Charles Taylor Adjusting (punto 36).


71      V., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 127).


72      V. paragrafo 77 delle presenti conclusioni.


73      V. sentenza del 3 febbraio 2021, Fussl Modestraße Mayr (C‑555/19, EU:C:2021:89, punto 83).


74      GU 2007, C 303, pag. 17.


75      V. giurisprudenza derivante dalle sentenze Renault ed Eco Swiss richiamate ai paragrafi da 77 a 80 e da 91 a 94 delle presenti conclusioni.


76      V., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Spiegel Online (C‑516/17, EU:C:2019:625, punto 72).


77      Corte EDU, 23 settembre 2009, Jersild c. Danimarca (EC:ECHR:1994:0923JUD001589089, § 31).


78      V., in tal senso, sentenza del 3 febbraio 2021, Fussl Modestraße Mayr (C‑555/19, EU:C:2021:89, punto 82).


79      V. sentenza del 25 luglio 1991, Collectieve Antennevoorziening Gouda (C‑288/89, EU:C:1991:323).


80      V., a titolo esemplificativo, Corte EDU, 7 giugno 2012, Centro Eurpa 8 S.rl. e Di Stefano c. Italia (CE:CEDU:2012:0607JUD003843309, § 129).


81      V. in particolare, Corte EDU, 7 febbraio 2012, Axel Springer AG v. Germania (EC:ECHR:2012:0207JUD003995408, §§ da 78 a 81).


82      V., di recente, Corte EDU, 5 dicembre 2017, Frisk e Jensen c. Danimarca (EC:ECHR:2017:1205JUD001965712, § 53).


83      V. Corte EDU, 2 settembre 2014, Firma EDV für Sie, EfS Elektronische Datenverarbeitung Dienstleistungs GmbH c. Germania (EC:ECHR:2014:0902DEC003278308, § 23).


84      V., di recente, Corte EDU, 11 gennaio 2022, Freitas Rangel c. Portogallo (CE:ECHR:2022:0111JUD007887313, § 53).


85      V., di recente, Corte EDU, 5 dicembre 2017, Frisk e Jensen c. Danimarca (EC:ECHR:2017:1205JUD001965712, § 55).


86      V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.


87      V. sentenza Meroni (punti 52 e 53).


88      Regolamento del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1).


89      V. sentenza del 9 settembre 2015, Bohez (C‑4/14, EU:C:2015:563, punto 59).


90      Sentenza del 2 aprile 2009 (C‑394/07, EU:C:2009:219, punto 46). Nella causa che ha dato origine a tale sentenza, il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico era stato contemplato per il fatto che l’esecuzione violava un diritto fondamentale di ordine processuale, al fine di rispettare il divieto del riesame del merito.


91      V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.


92      V. paragrafi da 56 a 59 delle presenti conclusioni.


93      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe (C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 45).


94      V. paragrafo 59 delle presenti conclusioni.


95      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe (C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 50).


96      V., a titolo esemplificativo, sentenza del 29 luglio 2019, Funke Medien NRW (C‑469/17, EU:C:2019:623, punti da 72 a 74).


97      V., a titolo esemplificativo, sentenza del 17 marzo 2016, Liffers (C‑99/15, EU:C:2016:173, punto 26).


98      La proposta di un altro atto fondamentale del diritto internazionale privato dell’Unione, il regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II») (GU 2007, L 199, pag. 40) prevedeva, all’articolo 23, paragrafo 1, terzo trattino, che «[tale] regolamento non pregiudica l’applicazione delle disposizioni [del diritto dell’Unione] che (...) ostino all’applicazione di una o più disposizioni della legge del foro o della legge designata [dal medesimo] regolamento». Inoltre, tale proposta di regolamento prevedeva, al suo articolo 24, che «[l]’applicazione di una disposizione della legge designata [da detto] regolamento che conduca ad attribuire danni e interessi non aventi carattere risarcitorio, quali danni o interessi esemplari o punitivi, è contraria all’ordine pubblico comunitario» (il corsivo è mio). Tale seconda disposizione intendeva concretizzare, sotto forma di norma speciale, l’eccezione di un tale ordine pubblico, prevista dall’articolo 23, paragrafo 1, terzo trattino. La proposta di introdurre tali due disposizioni non ha avuto seguito.


99      Convenzione adottata alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato il 2 luglio 2019.


100      V., rispettivamente, articolo 2, paragrafo 1, lettere k) e l), di tale convenzione.


101      V. relazione esplicativa sulla Convenzione del 2 luglio 2019 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere in materia civile e commerciale redatta da Garcimartín, F., e Saumier, G., (disponibile all’indirizzo https://www.hcch.net/en/publications-and-studies/details4/?pid=6797), pag. 63.


102      «Les atteintes aux droits de la personnalité par l’utilisation d’internet : compétence, droit applicable et reconnaissance des jugements étrangers», https://www.idi-iil.org/app/uploads/2019/09/8-RES-FR.pdf


103      V., a titolo esemplificativo, conclusioni dell’avvocato generale Capotorti nella causa Bier (21/76, EU:C:1976:147, paragrafo 6) e, sul principio di perpetuatio fori, le conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Gemeinde Bodman-Ludwigshafen (C‑256/21, EU:C:2022:366, paragrafo 72).


104      V. relazione esplicativa sulla Convenzione del 2019, pag. 137.


105      V. Symeonides, S.C., Cross- Border Infringement of Personality Rights via Internet. A Resolution of the Institute of International Law, Brill Nijhoff, Leiden – Boston, 2021, pagg. 143 e 144.


106      Sentenza del 23 ottobre 2014 (C‑302/13, EU:C:2014:2319, punti 56 e 58).


107      V., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2014, flyLAL-Lithuanian Airlines (C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 57).


108      Sentenza del 23 ottobre 2014 (C‑302/13, EU:C:2014:2319, punti 56 e 58).


109      Corte EDU, 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre c. Romania (CE:ECHR:2004:1217JUD003334896, § 111).


110      Corte EDU, 23 aprile 2015, Morice c. Francia (CE:ECHR:2015:0423JUD002936910, § 176).


111      V. Corte EDU, 11 aprile 2006, Brasilier c. France (CE:ECHR:2006:0411JUD007134301, § 43). V. anche Baumbach, T., «Chilling Effect as a European Court of Human Rights’ Concept in Media Law Cases», Bergen Journal of Criminal Law and Criminal Justice, 2018, vol. 6(1), pag. 102.


112      V., in tal senso, con riferimento a una condanna «relativamente moderata», Corte EDU, 24 maggio 2022, Pretorian c. Romania (CE:ECHR:2022:0524JUD004501416, § 81).


113      V., in tal senso, Corte EDU, 5 maggio 2022, Mesić c. Croazia (CE:ECHR:2022:0505JUD001936218, § da 111 a 113), e Corte EDU, 16 giugno 2015, Defi AS c. Estonia (CE:ECHR:2015:0616JUD006456909, § 110).


114      Corte EDU, 26 novembre 2013, Błaja News Sp. z o. o. c. Polonia (EC:ECHR:2013:1126JUD005954510, § 71).


115      Corte EDU, 29 maggio 2017, Tavares de Almeida Fernandes e Almeida Fernandes c. Portogallo (EC:ECHR:2017:0117JUD003156613, § 77).


116      V., in tal senso, Wurmnest, W., «Towards a European Concept of Public Policy Regarding Punitive Damages», Punitive damages and private international law: state of the art and future developments, Bariatti, S., Fumagalli, L., Crespi Reghizzi, Z., Wolters Kluwer – CEDAM, Milano, 2019, pag. 259.


117      V., a titolo esemplificativo, Corte EDU, 14 febbraio 2023, Halet c. Lussemburgo (CE:ECHR:2023:0214JUD002188418, § 205), e Corte EDU, 15 maggio 2023, Sanchez c. Francia (CE:ECHR:2023:0515JUD004558115, § 205). In alcune sentenze, la Corte EDU utilizza l’espressione «“chilling”, dissuasive effect», v. Corte EDU, 27 giugno 2017, Ghiulfer Predescu c. Romania (CE:ECHR:2017:0627JUD002975109, § 61), e Corte EDU, 8 gennaio 2019, Prunea c. Romania (CE:ECHR:2019:0108JUD004788111, § 38), tradotta in francese semplicemente come «un effet dissuasif». V. Corte EDU, 5 maggio 2022, Mesić c. Croazia (CE:ECHR:2022:0505JUD001936218, § 113).


118      Pech, L., The concept of chilling effect, Open Society European Policy Institute, 2021, pag. 6.


119      V., in tal senso, Baumbach, T., op. cit. pag. 112.


120      Corte EDU, 1° marzo 2007, Tønsbergs Blad AS e Haukom c. Norvegia (CE:ECHR:2007:0301JUD000051004, § 102). Il corsivo e la traduzione sono miei.


121      Corte EDU, 19 aprile 2011, Kasabova c. Bulgaria (CE:ECHR:2011:0419JUD002238503, § 71), e Corte EDU, 19 aprile 2011, Bozhkov c. Bulgaria (CE:ECHR:2011:0419JUD000331604, § 55). Il corsivo e la traduzione sono miei.


122      Corte EDU, 7 dicembre 2010, Público - Comunicação Social, S.A. e a. c. Portogallo (CE:ECHR:2010:1207JUD003932407, § 55).


123      Nella sua sentenza del 26 aprile 2007, Colaço Mestre e SIC c. Portogallo (CE:ECHR:2007:0426JUD001118203, § 27),       la Corte EDU ha ritenuto che l’intenso dibattito e la copertura mediatica relativamente alle questioni di corruzione nel calcio siano di interesse generale, e, in tale ordine di idee, nella sua sentenza del 22 febbraio 2007, Nikowitz e Verlagsgruppe News GmbH c. Austria (CE:ECHR:2007:0222JUD000526603, § 25), essa ha ritenuto che «l’atteggiamento della società nei confronti di una star dello sport» costituisca una questione di interesse generale.


124      V., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Funke Medien NRW (C‑469/17, EU:C:2019:623, punto 74). V. anche, nel contesto della protezione dei dati personali, sentenza dell’8 dicembre 2022, Google (Deindicizzazione di contenuti asseritamente inesatti) (C‑460/20, EU:C:2022:962, punto 97).


125      V., in tal senso, Corte EDU, 27 giugno 2017, Ghiulfer Predescu c. Romania (EC:ECHR:2017:0627JUD002975109, § 61).


126      V. paragrafi da 169 a 171 delle presenti conclusioni.


127      V. paragrafo 128 delle presenti conclusioni.


128      Corte EDU, 19 aprile 2011, Kasabova c. Bulgaria (CE:ECHR:2011:0419JUD002238503, § 71), e Corte EDU, 19 aprile 2011, Bozhkov c. Bulgaria (CE:ECHR:2011:0419JUD000331604, § 55). V. anche Corte EDU, 10 febbraio 2015, Cojocaru c. Romania (CE:ECHR:2015:0210JUD003210406, § 33).


129      Corte EDU, 29 agosto 1997, Worm c. Austria (EC:ECHR:1997:0829JUD002271493, §§ 15 e 57).


130      V. Corte EDU, 19 aprile 2011, Kasabova c. Bulgaria (EC:ECHR:2011:0419JUD002238503, § 71), e Corte EDU, 19 aprile 2011, Bozhkov c. Bulgaria (EC:ECHR:2011:0419JUD000331604, § 55).


131      Corte EDU, 7 luglio 2015, Morar c. Romania (EC:ECHR:2015:0707JUD002521706, § 70).


132      V. Corte EDU, 2 giugno 2008, Timpul Info-Magazin e Anghel c. Moldavia (CE:ECHR:2007:1127JUD004286405, § 39), e Corte EDU, 26 novembre 2013, Błaja News Sp. z o. o. c. Polonia (CE:ECHR:2013:1126JUD005954510, § 71).


133      V. paragrafi 126 e 129 delle presenti conclusioni.


134      V. paragrafi 135 e 137 delle presenti conclusioni.


135      V., in tal senso, Corte EDU, 5 maggio 2022, Mesić c. Croazia (CE:ECHR:2022:0505JUD001936218, §§ da 111 a 113).


136      V. Corte EDU, 30 giugno 2005, Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi c. Irlanda (CE:ECHR:2005:0630JUD004503698).


137      Sentenza Avotiņš c. Lettonia (§§ da 101 a 104).


138      Sentenza Avotiņš c. Lettonia (§ 105).


139      V., in tal senso, sentenza Avotiņš c. Lettonia (§ 106).


140      V., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2013, Povse c. Austria (CE:ECHR:2013:0618DEC000389011, §§ da 79 a 81).


141      Infatti, nella sua sentenza del 18 giugno 2013, Povse c. Austria (CE:CEDU:2013:0618DEC000389011, §§ da 79 a 83), la Corte EDU ha ritenuto che tale presunzione sia applicabile nel contesto dell’esecuzione di una decisione sul ritorno di un minore, sulla base del regolamento n. 2201/2003. Essa ha sottolineato che tale regolamento non lascia alcun margine di discrezionalità allo Stato membro richiesto. Per quanto riguarda il regolamento Bruxelles I, la Corte EDU ha parimenti applicato tale presunzione anche nella sua sentenza Avotiņš c. Lettonia (§ 108). Essa è partita dal presupposto che, per quanto riguarda l’esecuzione di una decisione emessa in un altro Stato membro, tale regolamento non riconosce allo Stato membro richiesto alcun potere di apprezzamento discrezionale. Infatti, essa ha esaminato il ricorso senza tenere conto della clausola dell’ordine pubblico prevista da detto regolamento, in quanto il ricorrente non si era avvalso di tale clausola dinanzi ai giudici nazionali.


142      V., in tal senso, Cuniberti, G., «Le fondement de l’effet des jugements étrangers», Recueil des cours de l’Académie de droit international de La Haye, 2019, vol. 394, pagg. 275 e 276, e Hazelhorst, M., Free movement of civil judgments in the European Union and the right to a fair trial, Springer, L’Aja, 2017, pag. 212.


143      V., in tal senso, sentenza Avotiņš c. Lettonia (§ 106).


144      V. paragrafi 113 e 189 delle presenti conclusioni.


145      V. paragrafo 171 delle presenti conclusioni.


146      V. paragrafi da 177 a 179 delle presenti conclusioni.


147      V. paragrafo 182 delle presenti conclusioni.