Language of document : ECLI:EU:C:2016:896

Causa C‑464/14

SECIL – Companhia Geral de Cal e Cimento SA

contro

Fazenda Pública

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Tributário de Lisboa)

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Articoli da 63 a 65 TFUE – Accordo di associazione CE-Tunisia – Articoli 31, 34 e 89 – Accordo di associazione CE-Libano – Articoli 31, 33 e 85 – Imposta sul reddito delle persone giuridiche – Dividendi percepiti da una società stabilita nello Stato membro della società beneficiaria – Dividendi percepiti da una società stabilita in uno Stato terzo parte all’accordo di associazione – Differenza di trattamento – Restrizione – Giustificazione – Efficacia dei controlli fiscali – Possibilità di invocare l’articolo 64 TFUE in presenza degli accordi di associazione CE-Tunisia e CE-Libano»

Massime – Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 24 novembre 2016

1.        Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Ambito di applicazione – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Tassazione dei dividendi – Trattamento fiscale di dividendi distribuiti da una società residente in un paese terzo – Trattamento fiscale basato su una normativa nazionale che non si applica esclusivamente in caso di un’influenza determinante esercitata dalla società beneficiaria sulla società distributrice – Inapplicabilità delle disposizioni che disciplinano la libertà di stabilimento – Applicabilità delle disposizioni che disciplinano la libera circolazione dei capitali

(Artt. 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE)

2.        Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti – Restrizioni – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Tassazione dei dividendi – Normativa nazionale che consente la deduzione integrale o parziale da parte di una società residente di uno Stato membro dei dividendi distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro Normativa che non consente tale deduzione in caso di società distributrice residente di uno Stato terzo – Inammissibilità – Giustificazione – Efficacia dei controlli fiscali e lotta contro l’evasione fiscale – Presupposti – Valutazione da parte del giudice nazionale

(Artt. 63 TFUE e 65 TFUE)

3.        Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti. – Restrizioni – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Tassazione dei dividendi – Normativa nazionale che consente la deduzione integrale o parziale da parte di una società residente di uno Stato membro dei dividendi distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro – Normativa che non consente tale deduzione in caso di società distributrice residente di uno Stato terzo – Inammissibilità – Giustificazione per motivi legati alla lotta contro la frode fiscale – Insussistenza

(Artt. 63 TFUE e 65 TFUE)

4.        Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti. – Restrizioni ai movimenti di capitali diretti a paesi terzi o in provenienza da essi – Restrizioni ai movimenti di capitali che implicano investimenti diretti esistenti al 31 dicembre 1993 – Nozione di investimento diretto

(Art. 64 TFUE)

5.        Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti. – Restrizioni ai movimenti di capitali diretti a paesi terzi o in provenienza da essi – Restrizioni ai movimenti di capitali che implicano investimenti diretti esistenti al 31 dicembre 1993 – Nozione di restrizione esistente al 31 dicembre 1993 – Conclusione di un accordo internazionale che modifica il quadro giuridico, senza abrogare o modificare formalmente la normativa nazionale esistente Equiparazione all’introduzione di una nuova normativa

(Art. 64 TFUE)

6.        Accordi internazionali – Accordi della Comunità – Effetto diretto – Presupposti – Articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo euromediterraneo di associazione CE-Tunisia

(Accordo euromediterraneo di associazione CE-Tunisia, art. 34, § 1)

7.        Accordi internazionali – Accordo euromediterraneo di associazione CE-Tunisia – Libera circolazione dei capitali – Restrizioni – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Tassazione dei dividendi – Normativa nazionale che consente la deduzione integrale o parziale da parte di una società residente di uno Stato membro dei dividendi distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro – Normativa che non consente tale deduzione in caso di società distributrice residente di uno Stato terzo – Inammissibilità – Giustificazione – Efficacia dei controlli fiscali e lotta contro l’evasione fiscale – Presupposti – Valutazione da parte del giudice nazionale

(Accordo euromediterraneo di associazione CE-Tunisia, artt. 34, § 1, e 89)

8.        Accordi internazionali – Accordi della Comunità – Effetto diretto – Presupposti – Articolo 31 dell’accordo euromediterraneo di associazione CE-Libano

(Accordo euromediterraneo di associazione CE-Libano, art. 31)

9.        Accordi internazionali – Accordo euromediterraneo di associazione CE-Libano – Libera circolazione dei capitali – Restrizioni – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Tassazione dei dividendi – Normativa nazionale che consente la deduzione integrale o parziale da parte di una società residente di uno Stato membro dei dividendi distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro – Normativa che non consente tale deduzione in caso di società distributrice residente di uno Stato terzo – Inammissibilità – Giustificazione – Efficacia dei controlli fiscali e lotta contro l’evasione fiscale – Presupposti – Valutazione da parte del giudice nazionale

(Accordo euromediterraneo di associazione CE-Libano, artt. 31 e 85)

1.      Gli articoli 63 e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che una società con sede in uno Stato membro, che percepisce dividendi da società aventi sede in Stati terzi può avvalersi dell’articolo 63 TFUE al fine di contestare il trattamento fiscale riservato a tali dividendi in detto Stato membro, basato su una normativa che non è applicabile esclusivamente alle situazioni nelle quali la società beneficiaria esercita un’influenza determinante sulla società distributrice.

Infatti, una normativa nazionale destinata ad essere applicata solo alle partecipazioni che consentano di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinare le attività di quest’ultima ricade nel campo d’applicazione dell’articolo 49 TFUE, relativo alla libertà di stabilimento.

Per contro, disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali.

In proposito, una normativa che non prevede alcuna soglia relativa alle partecipazioni detenute nella società distributrice dei dividendi, per quanto riguarda la deduzione parziale, e che prevede una soglia, fissata al 10% del capitale sociale della società distributrice o a un valore di acquisizione della partecipazione di EUR 20 000 000, al fine di poter beneficiare di una deduzione integrale, si applica sia ai dividendi percepiti da una società residente in funzione di una partecipazione che conferisce una sicura influenza sulle decisioni della società distributrice di detti dividendi e che consente di determinarne le attività, sia ai dividendi percepiti in funzione di una partecipazione che non conferisce una simile influenza.

Per quanto concerne, in particolare, le condizioni per avvalersi della deduzione integrale, una soglia del 10% consente, certamente, di escludere dall’ambito di applicazione del vantaggio fiscale gli investimenti effettuati al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, ma, di per sé, non rende la deduzione applicabile alle sole partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinare le attività di quest’ultima. Infatti, una partecipazione di tale entità non implica necessariamente che il titolare della suddetta partecipazione eserciti una sicura influenza sulle decisioni della società di cui sia azionista.

(v. punti 32, 33, 39, 40, 44, 72, dispositivo 1)

2.      Gli articoli 63 e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che una normativa secondo la quale una società residente di uno Stato membro può effettuare una deduzione integrale o parziale dei dividendi dalla propria base imponibile, qualora essi siano distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro, ma non può procedere a una tale deduzione qualora la società distributrice sia residente di uno Stato terzo, configura una restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi che, in linea di principio, è vietata dall’articolo 63 TFUE.

Infatti, detta differenza di trattamento è tale da dissuadere le società residenti di detto Stato membro dall’investire i loro capitali in società stabilite in Stati terzi. Dal momento che i redditi di capitali che hanno origine in Stati terzi sono trattati, sul piano fiscale, in maniera meno favorevole rispetto ai dividendi distribuiti da società stabilite in uno Stato membro, le azioni delle società stabilite in Stati terzi risultano meno attraenti per gli investitori residenti nello Stato membro rispetto a quelle di società che hanno la loro sede in questo Stato membro.

Tuttavia, il rifiuto di concedere una deduzione integrale o parziale dalla base imponibile dei dividendi percepiti, in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale il beneficio di tale deduzione dipende dalla condizione relativa all’assoggettamento all’imposta della società distributrice - condizione la cui sussistenza le autorità fiscali devono essere in grado di poter verificare -, può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, se risulta impossibile, per le autorità fiscali dello Stato membro di cui è residente la società beneficiaria, ottenere dallo Stato terzo di cui è residente la società distributrice di tali dividendi informazioni che consentano di accertare che la condizione relativa all’assoggettamento all’imposta di quest’ultima società sia soddisfatta.

Tuttavia, il rifiuto di concedere una deduzione parziale in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale la deduzione contemplata in tale normativa è ridotta del 50% qualora i redditi derivino da utili che non sono stati effettivamente tassati, tranne quando il beneficiario è una società di gestione di partecipazioni sociali, non può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, laddove tale disposizione possa essere applicata in ipotesi in cui l’assoggettamento all’imposta della società distributrice, nello Stato di cui essa è residente, non può essere verificato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.

(v. punti 50, 66, 70, 72, dispositivo 1 e 5)

3.      V. il testo della decisione.

(v. punti 59-62)

4.      V. il testo della decisione.

(v. punti 75-80)

5.      La nozione di «restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993» presuppone che l’ambito giuridico in cui s’inserisce la restrizione di cui trattasi abbia fatto ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire da tale data. Se così non fosse, uno Stato membro potrebbe in qualsiasi momento reintrodurre restrizioni ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che erano in vigore nell’ordinamento giuridico nazionale alla data del 31 dicembre 1993, ma che non sono state mantenute.

Di conseguenza, nell’ambito di una normativa nazionale, adottata nel 1988, secondo la quale una società residente di uno Stato membro può effettuare una deduzione integrale o parziale dei dividendi dalla propria base imponibile qualora essi siano distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro, ma non può procedere a una tale deduzione qualora la società distributrice sia residente di uno Stato terzo, l’articolo 64, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che l’adozione di un nuovo regime relativo al trattamento dei dividenti, non avendo questi modificato il quadro giuridico relativo al trattamento fiscale dei dividendi provenienti dalla Tunisia e dal Libano, non incide sulla qualificazione di restrizione in vigore dell’esclusione dei dividendi pagati dalle società stabilite in tali Stati terzi dalla possibilità di beneficiare di una deduzione integrale o parziale.

Per contro, uno Stato membro rinuncia alla facoltà prevista dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE quando, senza abrogare o modificare formalmente la normativa esistente, concluda un accordo internazionale, come un accordo di associazione, il quale preveda, in una disposizione dotata di effetto diretto, una liberalizzazione di una categoria dei capitali di cui all’articolo 64, paragrafo 1. Tale modifica del contesto normativo deve di conseguenza essere assimilata, nei suoi effetti sulla possibilità d’invocare l’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, all’introduzione di una nuova normativa, basata su una logica diversa da quella della normativa vigente.

Una liberalizzazione della circolazione dei capitali prevista da un accordo internazionale non avrebbe infatti alcun effetto utile se, nelle ipotesi in cui tale accordo osti a una normativa di uno Stato membro, quest’ultimo potesse continuare ad applicare tale normativa in forza dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.

(v. punti 81, 84, 89, 90, 92, dispositivo 2 e 5)

6.      L’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, dev’essere interpretato nel senso che è dotato di effetto diretto e può essere invocato in una situazione in cui una società residente in uno Stato membro percepisce dividendi da una società residente in Tunisia per via dell’investimento diretto che essa ha realizzato nella società distributrice, al fine di opporsi al trattamento fiscale riservato a detti dividendi in tale Stato membro.

Infatti, tale disposizione sancisce, al suo paragrafo 1, in termini chiari, precisi e incondizionati, un obbligo della Comunità e della Repubblica tunisina di garantire, quanto alle operazioni in conto capitale e a decorrere dall’entrata in vigore di detto accordo, la libera circolazione dei capitali riguardanti gli investimenti diretti in Tunisia effettuati da società costituite secondo la normativa in vigore, nonché la liquidazione e il rimpatrio dei profitti di detti investimenti e di qualsiasi beneficio che ne derivi.

Tale disposizione detta un obbligo di risultato preciso, che può essere fatto valere da un soggetto dell’ordinamento dinanzi a un giudice nazionale affinché quest’ultimo disapplichi le disposizioni all’origine di un ostacolo alla libera circolazione dei capitali o applichi nei suoi confronti la normativa, la cui mancata applicazione è all’origine di tale ostacolo alla libera circolazione dei capitali, senza che risulti necessaria a tal fine l’adozione di misure di applicazione integrative.

L’affermazione secondo la quale il principio della libera circolazione dei capitali riguardanti gli investimenti diretti in Tunisia, sancito dall’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia, è idoneo a disciplinare direttamente la situazione dei privati non è contraddetta dall’articolo 34, paragrafo 2, di tale accordo.

L’articolo 34, paragrafo 2, di detto accordo, infatti, secondo il quale le parti si consultano reciprocamente per facilitare il movimento dei capitali tra la Comunità e la Repubblica tunisina e per liberalizzarlo integralmente quando ricorreranno le necessarie condizioni, dev’essere interpretato nel senso che si riferisce a una liberalizzazione successiva dei movimenti di capitali non previsti dall’articolo 34, paragrafo 1, dello stesso accordo.

Inoltre, una simile constatazione dell’effetto diretto dell’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia non è contraddetta dall’oggetto e dallo scopo di tale accordo. Infatti, detto accordo istituisce, a termini del suo articolo 1, paragrafo 1, un’associazione tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra. L’obiettivo dell’accordo CE-Tunisia, volto, in particolare, come risulta dal suo articolo 1, paragrafo 2, a stabilire le condizioni della liberalizzazione progressiva dei capitali, suffraga l’interpretazione secondo la quale, da un lato, i movimenti di capitali di cui all’articolo 34, paragrafo 1, di tale accordo beneficiano di una liberalizzazione a partire dalla data di entrata in vigore di detto accordo, e, dall’altro, gli altri movimenti di capitali saranno progressivamente liberalizzati, conformemente all’articolo 34, paragrafo 2, del suddetto accordo.

Alla luce di quanto precede, occorre ritenere che l’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia sia dotato di effetto diretto e possa essere fatto valere da un privato dinanzi a un giudice.

Inoltre, stando al suo tenore, l’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia si riferisce alle operazioni in conto capitale e riguarda gli investimenti diretti in Tunisia effettuati da società costituite secondo la normativa in vigore, nonché la liquidazione e il rimpatrio dei profitti di detti investimenti e di qualsiasi beneficio che ne derivi.

Orbene, la percezione da parte di una società residente in uno Stato membro di dividendi da una società residente in Tunisia, dovuta al fatto che la prima detiene una partecipazione del 98,72% del capitale sociale della società distributrice, rientra nell’ambito di applicazione della suddetta disposizione. Infatti, tale partecipazione può essere considerata un investimento diretto e la percezione di dividendi riferibili a tale partecipazione rientra nella nozione di «rimpatrio degli utili» che ne derivano.

Di conseguenza, tale situazione rientra nell’ambito dell’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia.

(v. punti 99-104, 106-109, dispositivo 3)

7.      L’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, dev’essere interpretato nel senso che una normativa secondo la quale una società residente di uno Stato membro può effettuare una deduzione integrale o parziale dalla propria base imponibile dei dividendi percepiti qualora essi siano distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro, ma non può procedere a una tale deduzione qualora la società distributrice sia residente in Tunisia, configura una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio, per quanto riguarda gli investimenti diretti e, in particolare, il rimpatrio dei profitti di tale investimenti, dall’articolo 34, paragrafo 1, di tale accordo.

Infatti, detta differenza di trattamento è tale da dissuadere le società residenti di tale Stato membro dal procedere a investimenti diretti in società stabilite in Tunisia. Dal momento che i redditi di capitali che hanno origine in Stati terzi sono trattati, sul piano fiscale, in maniera meno favorevole rispetto ai dividendi distribuiti da società stabilite in uno Stato membro, le azioni delle società stabilite in Tunisia risultano meno attraenti per gli investitori residenti nello Stato membro rispetto a quelle di società che hanno la loro sede in questo Stato membro.

In proposito, l’effetto di detta disposizione non è limitato, in una situazione che concerne il trattamento fiscale dei dividendi derivanti dagli investimenti diretti effettuati in uno Stato terzo da una persona residente in uno Stato membro, dall’articolo 89 di detto accordo.

Infatti, per quanto riguarda l’articolo 89, primo trattino, dell’accordo CE-Tunisia, secondo il quale nessuna disposizione di tale accordo avrà come effetto di ampliare i benefici in campo fiscale concessi da una delle parti in qualsiasi accordo o intesa internazionale al cui rispetto detta parte sia tenuta, il divieto della restrizione constatata discende dal medesimo accordo CE-Tunisia e non deriva dall’estensione dei benefici previsti da un altro accordo o intesa internazionale.

Per quanto concerne poi l’articolo 89, secondo trattino, dell’accordo CE-Tunisia, secondo il quale l’accordo non avrà l’effetto di impedire l’adozione o l’applicazione, ad opera di una delle parti, di qualsiasi misura destinata a evitare la frode o l’evasione fiscale, affinché l’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia possa mantenere il suo effetto utile, l’articolo 89, secondo trattino, di tale accordo dev’essere interpretato nel senso che le misure rientranti nell’ambito di applicazione di tale disposizione sono quelle specificamente destinate a evitare la frode o l’evasione fiscale.

Orbene, la legislazione tributaria di cui trattasi esclude in generale la possibilità di ottenere un vantaggio fiscale consistente nell’evitare o attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, qualora tali dividendi siano distribuiti da società stabilite, segnatamente, in Tunisia, senza tendere nello specifico a prevenire comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta o a ottenere un vantaggio fiscale.

Giacché la normativa in questione, ferma restando la verifica da parte del giudice del rinvio, non è annoverabile tra le misure destinate a evitare la frode o l’evasione fiscale, la situazione di cui al procedimento principale non rientra nell’ipotesi di cui all’articolo 89, secondo trattino, dell’accordo CE-Tunisia.

Infine, l’articolo 89, terzo trattino, dell’accordo CE-Tunisia prevede che tale accordo non avrà come effetto di ostacolare il diritto di una parte di applicare le disposizioni pertinenti della sua legislazione fiscale ai contribuenti che non si trovano in una situazione identica per quanto riguarda la loro residenza. Orbene, a tale proposito, la normativa di cui trattasi opera una distinzione non in funzione della residenza del contribuente, ossia la società beneficiaria dei dividendi, bensì del luogo di residenza della società distributrice dei dividendi, e quindi, del luogo in cui i capitali del contribuente sono investiti. Di conseguenza, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra neanche nell’ipotesi di cui all’articolo 89, terzo trattino, dell’accordo CE-Tunisia.

Tuttavia, il rifiuto di concedere, in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale il beneficio di tale deduzione dipende dalla condizione relativa all’assoggettamento all’imposta della società distributrice - condizione la cui sussistenza le autorità fiscali devono essere in grado di poter verificare -, una deduzione integrale o parziale dei dividendi percepiti dalla base imponibile della società beneficiaria può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, se risulta impossibile, per le autorità fiscali dello Stato membro di cui è residente la società beneficiaria, ottenere dalla Repubblica tunisina, Stato di cui è residente la società distributrice di tali dividendi, informazioni che consentano di verificare che la condizione relativa all’assoggettamento all’imposta di quest’ultima società è soddisfatta.

Tuttavia, il rifiuto di concedere una tale deduzione parziale in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale la deduzione contemplata in tale normativa è ridotta del 50% qualora i redditi derivino da utili che non sono stati effettivamente tassati, tranne quando il beneficiario è una società di gestione di partecipazioni sociali, non può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, laddove tale disposizione possa essere applicata in ipotesi in cui l’assoggettamento all’imposta della società distributrice in Tunisia, Stato di cui essa è residente, non può essere verificato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.

Infatti, sembra escluso, tenuto conto della finalità e del contesto dell’accordo CE-Tunisia, che le parti di detto accordo intendessero accordare una totale libertà ai movimenti di capitali tra l’Unione e la Tunisia, laddove possono invece essere imposte restrizioni sia nelle relazioni tra gli Stati membri sia nelle relazioni tra gli Stati membri dell’Unione e gli altri Stati parti all’accordo sullo Spazio economico europeo.

(v. punti 66, 70, 113, 116-121, 127, 129, dispositivo 3 e 5)

8.      L’articolo 31 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, dev’essere interpretato nel senso che è dotato di effetto diretto e che una situazione che concerne il trattamento fiscale dei dividendi derivanti da investimenti diretti effettuati in Libano da una persona residente in uno Stato membro rientra nell’ipotesi di cui all’articolo 33, paragrafo 2, di tale accordo. Di conseguenza, l’articolo 33, paragrafo 1, di tale accordo non osta a che l’articolo 31 di quest’ultimo sia invocato in una situazione del genere.

Infatti, prevedendo che, nell’ambito delle disposizioni dell’accordo CE-Libano, e fermi restando gli articoli 33 e 34 di quest’ultimo, non vi sarà, tra la Comunità, da un lato, e la Repubblica libanese, dall’altro, alcuna restrizione alla circolazione dei capitali né alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità o sul luogo di residenza dei loro cittadini o sul luogo in cui tali capitali sono investiti, l’articolo 31 di tale accordo prescrive, in termini chiari e incondizionati, un obbligo di risultato preciso, che può essere fatto valere da un soggetto dell’ordinamento dinanzi alle autorità giudiziarie, al fine di chiedere che queste disapplichino le disposizioni all’origine della restrizione o della discriminazione o che sia applicata nei suoi confronti la normativa la cui non applicazione è all’origine della restrizione o della discriminazione, senza che risulti necessaria a tal fine l’adozione di misure di applicazione integrative.

La portata dell’obbligo derivante dall’articolo 31 dell’accordo CE-Libano è, certamente, limitata dalla clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 33, paragrafo 1, di tale accordo. Tuttavia, tale eccezione non osta a che detto articolo 31 attribuisca ai singoli diritti che essi possono far valere in giudizio.

L’affermazione secondo la quale l’articolo 31 dell’accordo CE-Libano è dotato di effetto diretto non è confutata dall’oggetto e dalla finalità di tale accordo. Occorre evidenziare, infatti, che l’accordo CE-Libano istituisce, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, un’associazione tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica libanese, dall’altra. L’obiettivo di tale accordo, volto, in particolare, come risulta dal suo articolo 1, paragrafo 2, a creare le condizioni per la progressiva liberalizzazione degli scambi di capitali, suffraga l’interpretazione secondo la quale i movimenti di capitali che non rientrano nell’ambito di applicazione della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 33, paragrafo 1, del suddetto accordo beneficiano di una liberalizzazione a partire dalla data di entrata in vigore del medesimo accordo.

Per quanto riguarda la possibilità di invocare l’articolo 31 dell’accordo CE-Libano in una situazione come quella di cui trattasi, occorre, certamente, rilevare che, conformemente all’articolo 33, paragrafo 1, di tale accordo, l’articolo 31 dello stesso lascia impregiudicata l’applicazione delle restrizioni esistenti tra la Comunità e la Repubblica libanese alla data di entrata in vigore del suddetto accordo, per quanto riguarda i movimenti di capitali tra di esse che implicano investimenti diretti, anche in campo immobiliare, allo stabilimento, alla prestazione di servizi finanziari o all’ammissione dei titoli nei mercati finanziari.

Tuttavia, la portata della clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 33, paragrafo 1, dell’accordo CE-Libano è limitata dall’articolo 33, paragrafo 2, del medesimo, il quale prevede che tali restrizioni non riguardano il trasferimento all’estero di investimenti effettuati in Libano da persone residenti nella Comunità o effettuati nella Comunità da persone residenti in Libano e degli utili derivanti da tali investimenti.

(v. punti 131-137, dispositivo 4)

9.      L’articolo 31 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, dev’essere interpretato nel senso che una normativa secondo la quale una società residente di uno Stato membro può effettuare una deduzione integrale o parziale dalla propria base imponibile dei dividendi percepiti qualora essi siano distribuiti da una società residente dello stesso Stato membro, ma non può procedere a una tale deduzione qualora la società distributrice sia residente in Libano, configura una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio, dall’articolo 31 di tale accordo.

Infatti, tale differenza di trattamento in base al luogo in cui i capitali sono investiti è tale da dissuadere le società residenti dello Stato membro dal procedere a investimenti in società stabilite in Libano. Dal momento che i redditi di capitali che hanno origine in Stati terzi sono trattati, sul piano fiscale, in maniera meno favorevole rispetto ai dividendi distribuiti da società stabilite in uno Stato membro, le azioni delle società stabilite in Libano risultano meno attraenti per gli investitori residenti nello Stato membro rispetto a quelle di società che hanno la loro sede in questo Stato membro.

In proposito, l’effetto di detta disposizione non è limitato, in una situazione che concerne il trattamento fiscale dei dividendi derivanti dagli investimenti diretti effettuati in uno Stato terzo da una persona residente in uno Stato membro, dall’articolo 85 di detto accordo.

Riguardo all’articolo 85, lettera a), dell’accordo CE-Libano, secondo il quale, per quanto concerne le imposte dirette, nessuna disposizione di tale accordo avrà l’effetto di ampliare i benefici in campo fiscale concessi da una delle parti in qualsiasi accordo o intesa internazionale al cui rispetto detta parte sia tenuta, il summenzionato divieto della restrizione discende dall’accordo CE-Libano stesso e non deriva dall’estensione dei vantaggi previsti da un altro accordo o intesa internazionale.

Per quanto concerne poi l’articolo 85, lettera b), dell’accordo CE-Libano, secondo il quale tale accordo non avrà l’effetto di impedire l’adozione o l’applicazione, ad opera di una delle parti, di qualsiasi misura destinata a evitare la frode o l’evasione fiscale, affinché l’articolo 31 di detto accordo possa mantenere il suo effetto utile, l’articolo 85, lettera b), del medesimo accordo dev’essere interpretato nel senso che le misure rientranti nell’ambito di applicazione di tale disposizione sono quelle specificamente destinate a evitare la frode o l’evasione fiscale.

Orbene, la legislazione tributaria di cui trattasi esclude, in generale, la possibilità di ottenere un vantaggio fiscale consistente nell’evitare o attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, qualora tali dividendi siano distribuiti da società stabilite, in particolare, in Libano, senza tendere nello specifico a prevenire comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta o a ottenere un vantaggio fiscale.

Giacché la normativa in questione, ferma restando la verifica da parte del giudice del rinvio, non è annoverabile tra le misure destinate a evitare la frode o l’evasione fiscale, la situazione di cui trattasi non rientra nell’ipotesi di cui all’articolo 85, lettera b), dell’accordo CE-Libano.

Infine, l’articolo 85, lettera c), dell’accordo CE-Libano prevede che tale accordo non avrà l’effetto di ostacolare il diritto di una parte di applicare le disposizioni pertinenti della sua legislazione fiscale ai contribuenti che non si trovano in una situazione identica, in particolare per quanto riguarda la loro residenza. Orbene, da un lato, la normativa in questione non opera alcuna distinzione in base alla residenza del contribuente, ossia la società beneficiaria dei dividendi.

Dall’altro lato, si deve certamente riconoscere che, considerato l’uso dell’espressione «in particolare» all’articolo 85, lettera c), dell’accordo CE-Libano, possono rientrare nell’ambito di tale disposizione le distinzioni fondate su altri fattori, quali il luogo in cui i capitali del contribuente sono investiti. Tuttavia, tale disposizione dev’essere letta in combinato disposto con l’articolo 31 dell’accordo CE-Libano, il quale vieta qualsiasi discriminazione fondata, segnatamente, sul luogo in cui i capitali sono investiti. Pertanto, occorre distinguere le differenze di trattamento consentite in forza dell’articolo 85, lettera c), dell’accordo CE-Libano dalle discriminazioni che non rientrano nell’ambito di detto articolo 85, lettera c), e che sono vietate in forza dell’articolo 31 di detto accordo.

Orbene, rispetto ad una disciplina tributaria volta a prevenire o attenuare la doppia imposizione economica degli utili distribuiti, la situazione di una società azionista che percepisce dividendi provenienti da uno Stato terzo è paragonabile a quella di una società azionista che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena.

Di conseguenza, la situazione di cui trattasi non rientra neanche nell’ipotesi di cui all’articolo 85, lettera c), dell’accordo CE-Libano.

Tuttavia, il rifiuto di concedere, in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale il beneficio di tale deduzione dipende dalla condizione relativa all’assoggettamento all’imposta della società distributrice - condizione la cui sussistenza le autorità fiscali devono essere in grado di poter verificare -, una deduzione integrale o parziale dei dividendi percepiti dalla base imponibile della società beneficiaria può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, se risulta impossibile, per le autorità fiscali dello Stato membro di cui è residente la società beneficiaria, ottenere dalla Repubblica libanese, Stato di cui è residente la società distributrice di tali dividendi, informazioni che consentano di verificare che la condizione relativa all’assoggettamento all’imposta di quest’ultima società è soddisfatta.

Tuttavia, il rifiuto di concedere una tale deduzione parziale in applicazione di una disposizione della normativa nazionale, secondo la quale la deduzione contemplata in tale normativa è ridotta del 50% qualora i redditi derivino da utili che non sono stati effettivamente tassati, tranne quando il beneficiario è una società di gestione di partecipazioni sociali, non può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale relativi alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, laddove tale disposizione possa essere applicata in ipotesi in cui l’assoggettamento all’imposta della società distributrice in Libano, Stato di cui essa è residente, non può essere verificato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.

(v. punti 66, 70, 140, 144-152, 156, dispositivo 4 e 5)