Language of document : ECLI:EU:C:2015:195

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 24 marzo 2015 (1)

Causa C‑125/14

Iron & Smith kft

contro

Unilever NV

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Törvényszék (Ungheria)]

«Marchio – Registrazione di un marchio nazionale identico o simile a un marchio comunitario anteriore – Marchio comunitario notorio – Portata geografica ed economica della notorietà»





1.        La presente causa verte sulla corretta interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2008/95/CE (in prosieguo: la «direttiva») (2). È in questione la correlazione tra i marchi nazionali, da una parte, e i marchi comunitari, dall’altra, nonché la portata della tutela che deve essere accordata ai marchi comunitari anteriori notori.

2.        In tale ambito sorgono due questioni: (i) come deve essere interpretata la nozione di «notorietà nella Comunità» ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, e (ii) se la registrazione di un marchio nazionale posteriore possa essere rifiutata ove un marchio di impresa comunitario – che gode di notorietà in altre parti dell’Unione europea – non è ampiamente noto in tale Stato membro.

I –    Contesto normativo

3.        Il considerando 10 della direttiva sottolinea l’importanza fondamentale di procurare che i marchi di impresa registrati abbiano in tutti gli Stati membri la medesima tutela. Viene tuttavia specificato che ciò non deve privare gli Stati membri della facoltà di tutelare maggiormente i marchi di impresa che abbiano acquisito una notorietà.

4.        L’articolo 4, paragrafo 3, prevede un impedimento relativo alla registrazione di un marchio, o una causa di nullità relativa, in caso di conflitto con un marchio comunitario anteriore notorio. Tale disposizione stabilisce che un marchio di impresa non può essere registrato (o, se registrato, può essere dichiarato nullo) se è identico o simile a un marchio di impresa comunitario anteriore ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva, e se è stato destinato a essere registrato (o è stato registrato) per prodotti o servizi i quali non sono simili a quelli per cui è registrato il marchio di impresa comunitario anteriore, quando il marchio di impresa comunitario anteriore gode di notorietà nella Comunità e l’uso del marchio di impresa posteriore senza giusto motivo trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa comunitario anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.

5.        L’articolo 4, paragrafo 4, lettera a), della direttiva prevede un impedimento alla registrazione analogo, sebbene facoltativo, in relazione ai marchi di impresa nazionali che godono di notorietà nello Stato membro in questione.

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

6.        Dall’ordinanza di rinvio risulta che, sulla base del suo marchio comunitario denominativo anteriore IMPULSE, l’Unilever NV si è opposta alla domanda di registrazione del segno figurativo a colori «be impulsive» come marchio ungherese, presentata dalla Iron & Smith Kft. L’Ufficio ungherese della proprietà intellettuale (Szellemi Tulajdon Nemzeti Hivatal; in prosieguo: l’«Ufficio ungherese») ha concluso che l’Unilever aveva venduto e pubblicizzato grandi quantitativi dei prodotti contraddistinti dal suo marchio comunitario denominativo IMPULSE nel Regno Unito e in Italia, dove tale marchio deteneva una quota di mercato pari, rispettivamente, al 5% e allo 0,2%. Sulla base di tali quote di mercato – che non riguardavano l’Ungheria – l’Ufficio ungherese ha concluso che la notorietà del marchio comunitario era stata dimostrata in una parte sostanziale dell’Unione (3). Esso ha anche concluso che non poteva essere escluso il rischio che il marchio posteriore potesse trarre un indebito vantaggio.

7.        Poiché l’Ufficio ungherese ha respinto la domanda di registrazione del suo marchio, la Iron & Smith ha adito il Fővárosi Törvényszék (Tribunale della capitale; in prosieguo: il «giudice del rinvio») chiedendo l’annullamento della decisione di rigetto della domanda di registrazione. Nutrendo dubbi sulla corretta interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, il giudice del rinvio ha chiesto una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1)      Se, ai fini della prova della notorietà di un marchio comunitario ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della [direttiva] (…), possa essere sufficiente il fatto che tale marchio goda di notorietà in un solo Stato membro, anche nel caso in cui la domanda di registrazione di marchio nazionale, oggetto di opposizione sul fondamento di tale notorietà, sia stata presentata in un paese diverso da detto Stato membro.

2)      Se, nell’ambito dei criteri territoriali utilizzati per l’esame della notorietà di un marchio comunitario, possano essere applicati i principi stabiliti dalla [Corte] in relazione all’uso effettivo del marchio comunitario.

3)      Se, qualora il titolare del marchio comunitario anteriore dimostri la notorietà del suo marchio in paesi – che coprano una parte sostanziale del territorio dell’Unione europea – diversi dallo Stato membro in cui è stata presentata la domanda di registrazione nazionale, possa essergli richiesto, indipendentemente da ciò, di fornire una prova sufficiente anche per quanto riguarda detto Stato membro.

4)      Se, in caso di risposta negativa alla terza questione, considerando le peculiarità del mercato interno, possa accadere che un marchio utilizzato in modo intensivo in una parte sostanziale dell’Unione europea non sia noto al pubblico nazionale pertinente e che, pertanto, non venga soddisfatto il secondo requisito per la sussistenza dell’impedimento alla registrazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, non ricorrendo il rischio che il marchio nazionale rechi pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore o tragga indebito vantaggio da essi; in tal caso, quali elementi debba dimostrare il titolare del marchio comunitario perché il requisito menzionato sia soddisfatto».

8.        Nel presente procedimento sono state presentate osservazioni scritte da parte della Iron & Smith, dell’Unilever, dei governi ungherese, danese, francese, italiano e del Regno Unito, nonché dalla Commissione. Ad eccezione del governo italiano, tutte le parti hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 4 febbraio 2015.

III – Analisi

A –    Contesto

9.        L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva si applica solo ove siano soddisfatte le due seguenti condizione cumulative: (i) il marchio di impresa comunitario anteriore deve godere di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione (in prosieguo: la «prima condizione») e (ii) l’uso del marchio di impresa (nazionale) posteriore deve trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa comunitario anteriore o recare pregiudizio agli stessi (in prosieguo: la «seconda condizione»). Il titolare del marchio di impresa comunitario anteriore, tuttavia, non è tenuto a dimostrare il rischio di confusione tra il suo marchio e il marchio nazionale posteriore (4).

10.      Tenendo a mente tale rilievo, è chiaro che le questioni 1, 2 e 3 sono strettamente connesse. Queste tre questioni riguardano tutte la prima condizione, vale a dire i criteri da adottare al fine di determinare se un marchio comunitario anteriore goda di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione. In tale contesto, il giudice del rinvio nutre dubbi, in particolare, sull’importanza (se ve ne sia) che deve essere attribuita ai confini geografici nel condurre tale analisi. Ciò posto, tratterò anzitutto le prime tre questioni congiuntamente, prima di affrontare la quarta questione, che tratta della seconda condizione. Cionondimeno, prima di passare a tale esame, sono necessarie alcune brevi osservazioni relative al fondamento sotteso all’impedimento relativo in relazione alla registrazione con riferimento alla notorietà.

11.      L’impedimento alla registrazione (e la causa di nullità) stabiliti dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva (e dal corrispondente articolo 8, paragrafo 5, del regolamento) riflettono l’idea che il valore di un marchio può andare ben oltre la sua capacità di indicare l’origine: il valore di un marchio, tra le altre cose, può risiedere nell’immagine che esso trasmette. Questo fenomeno è stato denominato «funzione di pubblicità» dei marchi di impresa (5). In tal senso, ciò che viene tutelato non è tanto l’indicazione dell’origine quanto piuttosto il successo economico di taluni marchi. Tenendo presenti tali aspetti, non si può ovviamente escludere che l’immagine di un determinato marchio possa essere compromessa qualora venga consentito l’uso di un marchio di impresa identico o simile. Tale possibilità esiste anche (e in particolare) ove i prodotti e i servizi contraddistinti dal marchio posteriore non appartengano alla stessa categoria di quelli contraddistinti dal marchio anteriore. Probabilmente, questo è il motivo per cui è necessario estendere la tutela dei marchi comunitari oltre le categorie di prodotti e servizi per cui esso è stato registrato. Vista l’ampia portata della tutela attribuita a un marchio di impresa ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, non sorprende che tale impedimento alla registrazione possa essere invocato solo ove il marchio goda di notorietà nell’Unione.

B –    La prima condizione

12.      Come già ricordato, il problema alla base delle prime tre questioni deriva dal fatto che sia la direttiva che il regolamento nulla prevedono quanto al territorio geografico all’interno dell’Unione che deve essere coperto, o ad altri criteri che devono essere soddisfatti, al fine di stabilire che un marchio comunitario goda di notorietà ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva. Infatti, poiché l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva e l’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento sono formulati in modo identico, è ovvio che tali disposizioni debbano essere interpretate in maniera coerente (6).

13.      Tuttavia, ritengo che la questione della notorietà sia già stata risolta dalla Corte, nonostante il fatto che il giudice del rinvio nutra dubbi sull’applicabilità di tale giurisprudenza precedente alla causa pendente dinanzi ad esso. A fini di chiarimento, descriverò brevemente i principi essenziali su cui si fonda tale giurisprudenza.

14.      Nella sentenza General Motors (7), una causa relativa alla notorietà nell’ambito di marchi di impresa nazionali (in quel caso, marchi del Benelux), la Corte ha statuito che è sufficiente che il marchio goda di notorietà in una «parte sostanziale» del territorio di uno Stato membro (8). In questa sede è di particolare interesse il fatto che la Corte abbia ulteriormente considerato che non si possa esigere che la notorietà esista in «tutto» il territorio dello Stato membro. Nel caso del Benelux, ciò significava che, affinché il marchio d’impresa godesse di notorietà, era sufficiente che detto marchio fosse conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato in una parte sostanziale di tale territorio. In quel caso, «una parte sostanziale del territorio» poteva corrispondere, eventualmente, a una parte soltanto di uno degli Stati che lo compongono (9).

15.      Tale dictum della Corte è stato trasposto al contesto del marchio comunitario nella sentenza Pago International (10). In tale sentenza la Corte ha affrontato la questione se un marchio comunitario (la forma di una bottiglia di succo di frutta) godesse di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione in una situazione in cui era stato accertato che detto marchio godeva di notorietà in un solo Stato membro. In tale contesto, la Corte ha statuito che, per raggiungere la soglia richiesta, un marchio comunitario dev’essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti da detto marchio in una parte sostanziale del territorio dell’Unione. Inoltre, la Corte ha statuito che «tenuto conto delle circostanze della causa principale», il territorio dello Stato membro in questione (l’Austria) poteva essere considerato parte sostanziale del territorio dell’Unione (11).

16.      Nonostante la riserva della Corte in relazione a quest’ultima statuizione («tenuto conto delle circostanze della causa principale»), ritengo si possa dedurre da tale sentenza che, anche in generale, la notorietà in uno Stato membro – a condizione che una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti dal marchio coincida con il pubblico di riferimento nello stesso Stato membro – può essere sufficiente al fine di stabilire che il marchio interessato gode effettivamente di notorietà nell’Unione ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva (12).

17.      Infatti, in ultima analisi, la questione della notorietà dipende dal mercato di riferimento dei prodotti e servizi di cui trattasi. Per definire cosa costituisca una parte sostanziale dell’Unione è necessaria pertanto un’analisi fattuale che solo il giudice nazionale che tratta la causa può effettuare. Come ha rilevato la Corte, la quota di mercato coperta dal marchio anteriore, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo sono tutti fattori da prendere in considerazione in tale analisi (13). In altri termini, la notorietà è un requisito che consiste in una soglia di conoscenza, che deve essere valutata sulla base di criteri quantitativi. Stabilire se un determinato marchio goda di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione richiede pertanto una combinazione di criteri geografici ed economici. L’importanza del mercato di riferimento di determinati prodotti o servizi dovrebbe pertanto assumere un ruolo fondamentale nell’analisi.

18.      Nello specifico, come si può dedurre dalla sentenza Pago International, la questione di cosa costituisca una parte sostanziale dell’Unione europea dipende necessariamente – e questo aspetto non sarà mai sottolineato a sufficienza – dallo specifico marchio che si dice goda di notorietà e, di conseguenza, dal pubblico interessato. Poiché ciò che conta in tale ambito è la percentuale piuttosto che le cifre assolute, il fatto che il mercato di riferimento possa avere una dimensione complessiva limitata non osta, in quanto tale, a che un marchio acquisisca notorietà. Mentre, a mio avviso, il territorio di uno Stato membro (grande o piccolo che sia) può davvero, se del caso, costituire una parte sostanziale dell’Unione, l’analisi che porta a tale conclusione deve tuttavia essere condotta senza prendere in considerazione i confini geografici (14).

19.      È vero che si potrebbe affermare che la sentenza Pago International non costituisce giurisprudenza utile ai nostri fini poiché, in tale causa (diversamente dalla causa attualmente in esame) la notorietà è stata accertata nello Stato membro in cui il titolare del marchio comunitario la deduceva. Tuttavia, si deve sottolineare che il marchio comunitario si basa sul principio di uniformità. In altri termini, nel momento in cui il titolare ottiene un marchio comunitario, esso produce effetti sull’intero territorio dell’Unione (fatte salve talune eccezioni elencate nel regolamento) (15). Di conseguenza, non attribuirei alcuna importanza al fatto che la notorietà sia accertata o meno nel territorio dello Stato membro in cui viene richiesto il marchio nazionale posteriore (16). Infatti, la protezione uniforme in tutta l’Unione sarebbe compromessa se un marchio comunitario notorio potesse godere di protezione solo nell’area geografica in cui la notorietà è stata accertata (17). Tuttavia, ciò non significa – come verrà spiegato più in dettaglio successivamente – che il titolare di un marchio comunitario possa automaticamente invocare tale notorietà in qualunque parte dell’Unione europea al fine, per esempio, di opporsi alla registrazione di un marchio nazionale.

20.      Ciò mi porta alla questione finale, vale a dire la rilevanza della giurisprudenza della Corte con riferimento alla nozione di «uso effettivo». Nella sentenza Leno Merken (18), alla Corte è stato chiesto di decidere se l’uso di un marchio comunitario in uno Stato membro potesse costituire uso effettivo all’interno della Comunità. In tale sentenza, la Corte ha chiaramente respinto l’idea di utilizzare la propria giurisprudenza nella sentenza Pago International, relativa alla questione della notorietà, come criterio per stabilire se vi fosse stato realmente un uso effettivo nella Comunità. Ciò sostanzialmente perché gli articoli 8, paragrafo 5, (notorietà) e 15 (uso effettivo) del regolamento perseguono obiettivi completamente diversi. Mentre il primo riguarda le condizioni che disciplinano la tutela estesa oltre le categorie di prodotti e servizi per cui il marchio comunitario è stato registrato, il termine «uso effettivo» denota il requisito minimo di uso che tutti i marchi devono soddisfare al fine di essere tutelati: ai sensi dell’articolo 15 del regolamento, per evitare di incorrere nel mancato uso della registrazione, un marchio comunitario deve formare oggetto di «uso effettivo nella Comunità» entro cinque anni. In caso contrario, il marchio può essere soggetto a decadenza (19).

21.      È vero che, come hanno rilevato alcune parti che hanno presentato osservazioni, si può certamente dire che la giurisprudenza della Corte nella sentenza Leno Merken relativa all’assenza di rilevanza dei confini geografici (nell’analizzare se il marchio abbia formato oggetto di uso effettivo) ha una qualche importanza marginale anche nel caso di specie. Ciò in quanto tale giurisprudenza riflette l’idea di protezione unitaria offerta dal marchio comunitario in un mercato interno. Ciononostante, non sembra auspicabile applicare al presente contesto, anche solo per analogia, questo particolare orientamento giurisprudenziale relativo ai criteri da applicare per determinare se un marchio ha formato oggetto di uso effettivo. Infatti, come la Corte stessa ha rilevato, i criteri per determinare se vi sia uso effettivo devono essere chiaramente distinti da quelli applicabili in relazione alla notorietà (20).

22.      Tenendo a mente che un marchio comunitario può godere di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione anche nel caso in cui la notorietà sia accertata con riferimento a un solo Stato membro – che non deve necessariamente essere lo stesso in cui è stata presentata l’opposizione – spetta a questo punto al giudice del rinvio stabilire se il marchio Unilever goda di notorietà in una parte sostanziale dell’Unione, tenendo conto, in particolare, del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti da detto marchio. Anche supponendo che il prerequisito relativo alla prova della notorietà sia soddisfatto (come il giudice del rinvio sembra ritenere), il giudice del rinvio deve ancora determinare se la seconda condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva sia soddisfatta prima di accogliere l’opposizione presentata da Unilever nel procedimento principale.

C –    La seconda condizione

23.      La questione 4 riguarda la seconda condizione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva. Al fine di stabilire se tale seconda condizione sia soddisfatta, è necessario determinare se il marchio nazionale posteriore tragga (o trarrà) senza giusto motivo indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa comunitario anteriore o rechi (o recherà) pregiudizio agli stessi.

24.      A questo punto sorgono due questioni. In primo luogo, quali siano i criteri da adottare al fine di determinare se, in tali circostanze, il pregiudizio avvenga tramite «offuscamento» (21) o «annacquamento» (22) oppure «parassitismo» (23). E in secondo luogo, in tale contesto, che importanza debba (eventualmente) essere attribuita al fatto che il marchio anteriore notorio non sia molto conosciuto (o sia completamente sconosciuto) nello Stato membro in cui viene chiesta la registrazione del marchio nazionale. Nonostante sia difficile trattare tali questioni solo in astratto, tenterò di fornire al giudice del rinvio alcune indicazioni quanto ai fattori che dovrà prendere in considerazione nell’affrontarle.

1.      Il pubblico interessato

25.      La particolarità della presente causa risiede nel fatto che, secondo il giudice del rinvio, il marchio comunitario anteriore potrebbe, di fatto, essere completamente sconosciuto al pubblico interessato in Ungheria. Per ovvie ragioni, spetta al giudice del rinvio determinare se il marchio Unilever utilizzato nel Regno Unito e in Italia sia (s)conosciuto ai consumatori ungheresi interessati. Su questo punto, rileverei semplicemente che sebbene il marchio anteriore possa non godere di notorietà (o non essere molto conosciuto) in Ungheria, ciò non comporta automaticamente che tale marchio sia completamente sconosciuto al pubblico interessato in tale Stato membro (24).

26.      Ciò posto, è pienamente concepibile che un marchio comunitario anteriore soddisfi la prima condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, ma non la seconda. Come suggeriscono alcune delle parti che hanno presentato osservazioni, al fine di determinare se a un marchio comunitario anteriore notorio debba essere accordata una tutela estesa in un particolare Stato membro, deve essere presa in considerazione la situazione nello Stato membro in cui si invoca il diritto esclusivo accordato dal marchio comunitario. Nel procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio, tale Stato membro è l’Ungheria.

27.      A tale proposito, la Corte ha già osservato nella sentenza General Motors che la registrazione di un marchio posteriore può recare un pregiudizio al marchio anteriore notorio solo nel caso di un sufficiente grado di conoscenza di detto marchio. Solo allora sarebbe possibile per il pubblico, posto in presenza del marchio posteriore, anche per prodotti o servizi dissimili, effettuare un confronto fra i due marchi (25). Invero, quando le funzioni essenziali del marchio anteriore non sono in alcun modo compromesse, appare dubbio che possa essere recato pregiudizio a tale marchio.

28.      Come osserva il governo del Regno Unito, ciò suggerisce che, nonostante si sia accertata la notorietà (in una parte sostanziale dell’Unione, ma non necessariamente, come ho spiegato poc’anzi, nello Stato membro nel quale si invoca l’articolo 4, paragrafo 3), la conoscenza del marchio posteriore da parte del pubblico interessato nello Stato membro è di fondamentale importanza nel determinare se tale marchio posteriore sia in grado di arrecare pregiudizio al marchio anteriore. Si potrebbe certamente affermare che tale posizione è problematica, in particolar modo alla luce del principio della protezione uniforme: un marchio comunitario anteriore notorio potrebbe godere di una protezione rafforzata, che si estende a prodotti e servizi dissimili, in 27 Stati membri, ma non nel ventottesimo.

29.      Tuttavia, come la Corte ha ammesso nella sentenza DHL Express France, il diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario deve essere contestualizzato. Tale diritto risulta conferito al fine di permettere a detto titolare di tutelare i propri interessi specifici allo scopo di assicurarsi che il marchio di cui trattasi possa adempiere le funzioni sue proprie. Perciò, il diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario e, di conseguenza, l’estensione territoriale di tale diritto non possono andare al di là di quanto quest’ultimo consente al suo titolare al fine di tutelare il marchio da esso detenuto, ovvero vietare unicamente qualsiasi uso idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio stesso (26). È vero che tale conclusione è stata tratta nell’ambito della determinazione dell’estensione territoriale di un divieto di atti di contraffazione di un marchio comunitario commessi o che si minacciava di commettere. Tuttavia, se tale conclusione non fosse parimenti applicabile nell’ambito della registrazione, il titolare di un marchio comunitario anteriore, come osserva la Commissione, sarebbe in grado di opporsi alla registrazione di un marchio posteriore, ma non di vietarne l’uso.

30.      A questo punto è inoltre necessario sottolineare che ai marchi nazionali deve essere consentito di esistere parallelamente ai marchi comunitari (27). Se alla conoscenza da parte del pubblico interessato nello Stato membro in cui viene chiesta la registrazione del marchio posteriore non fosse attribuita la dovuta importanza nell’ambito della seconda condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, l’esistenza parallela dei due regimi di marchio diventerebbe una nozione priva di significato. Un siffatto approccio comporterebbe indubbiamente altresì costi considerevoli per coloro che chiedono la registrazione esclusivamente sulla base del diritto nazionale sui marchi (visti i costi che comporta l’assicurarsi che non esista già un marchio comunitario simile per qualsiasi possibile categoria di prodotti o servizi).

31.      Infatti, per tutelare gli interessi dei titolari di marchi comunitari anteriori, l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva può essere applicato anche dopo la registrazione. In un dato momento, il titolare di un marchio anteriore notorio potrebbe non avere successo nell’opporsi alla registrazione di un marchio nazionale per prodotti o servizi (dis)simili. Tuttavia, qualora la prima condizione venga soddisfatta fin dall’inizio, ciò non significa che una dichiarazione di nullità relativa al marchio nazionale posteriore non possa essere presa in considerazione in una fase successiva, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva qualora anche la seconda condizione sia in tale successivo momento soddisfatta.

2.      Necessità di stabilire un nesso

32.      Complessivamente, si può affermare che la questione della violazione richiede una valutazione globale di tutti i fattori rilevanti, compresi, a titolo meramente esemplificativo, l’intensità del marchio anteriore, il pubblico di riferimento e le categorie di prodotti e servizi contraddistinti dal marchio anteriore e da quello posteriore. A tale proposito, dalla giurisprudenza possono essere tratte alcune ulteriori indicazioni.

33.      In particolare, dalla sentenza Intel Corporation (28), che tratta dell’impedimento facoltativo alla registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva, emerge che più l’evocazione del marchio notorio ad opera del marchio posteriore è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà di tale marchio o rechi loro pregiudizio (29). Ove non venga stabilito alcun nesso tra il marchio anteriore e quello posteriore nella mente del pubblico di riferimento (30), l’uso del marchio posteriore non è idoneo ad arrecare pregiudizio al marchio anteriore o a trarre indebitamente vantaggio da esso (31).

34.      Un ulteriore punto da rilevare sulla base della sentenza Intel Corporation è che, a seconda delle circostanze di ogni caso di specie, non si può escludere la possibilità che il pubblico interessato ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio anteriore è stato registrato non coincida con quello interessato ai prodotti o ai servizi per i quali è stato registrato il marchio posteriore. In tal senso, per stabilire l’esistenza di un rischio di associazione occorre prendere in considerazione la natura dei prodotti o dei servizi per i quali i marchi in conflitto sono stati rispettivamente registrati. Ovviamente, ciò sarà più facile ove il marchio anteriore sia conosciuto dal grande pubblico ovvero ove i consumatori dei prodotti e servizi interessati si sovrappongano in larga misura (32).

35.      Più nello specifico, dalla giurisprudenza derivante dalla sentenza Intel Corporation consegue che un nesso tra i due marchi non può esistere ove il marchio anteriore non venga richiamato alla mente dal marchio posteriore nel pubblico interessato dello Stato membro in cui viene chiesta la registrazione del marchio posteriore. Invero, ove un siffatto nesso non possa essere stabilito, sembrerebbe illogico affermare che l’uso del marchio posteriore sfrutterebbe in modo parassitario la notorietà o il carattere distintivo del marchio anteriore o recherebbe un pregiudizio agli stessi (33).

36.      Cionondimeno, vorrei sottolineare un’importante differenza tra la presente causa e la causa Intel Corporation: nella presente causa, il punto di partenza è che il marchio Unilever anteriore non è molto conosciuto (ammesso che lo sia) in Ungheria. Nella sentenza Intel Corporation, d’altro canto, sembra che la Corte abbia fondato le sue conclusioni sulla presunzione che il marchio anteriore notorio fosse molto conosciuto in tutto lo Stato membro in questione (il Regno Unito). Questo è il motivo per cui tale sentenza non fornisce chiare indicazioni su quale sia la percentuale – vale a dire la rilevanza dal punto di vista quantitativo – del pubblico interessato in relazione ai marchi di cui trattasi per stabilire il nesso richiesto.

37.      A mio avviso, i consumatori che stabiliscono tale nesso devono costituire una percentuale del pubblico interessato nello Stato membro di cui trattasi così forte che le implicazioni commerciali siano notevoli («una percentuale commercialmente rilevante»). Altrimenti, la seconda condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva sarebbe privata di ogni reale significato. Invero, solo coloro che hanno familiarità con il marchio anteriore saranno in primis in grado di stabilire tale nesso. Perché è necessario quindi imporre che una percentuale commercialmente rilevante di tale pubblico sia stata esposta al marchio comunitario anteriore e sia pertanto in grado di stabilire il nesso richiesto?

38.      Un punto indubbiamente importante qui è che la seconda condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva richiede un danno effettivo o potenziale al marchio anteriore come conseguenza della registrazione del marchio nazionale posteriore. Ovviamente, affinché si verifichi il danno, la percentuale del pubblico che conosce il marchio non deve essere tanto alta quanto quella richiesta per la notorietà. Ma vi devono essere conseguenze apprezzabili. A mio avviso – e, ancora una volta, a seconda del tipo di prodotti e servizi in questione – tale violazione può verificarsi solo se una percentuale commercialmente rilevante del pubblico interessato nello Stato membro di cui trattasi stabilirà il nesso. Solo all’interno di tale gruppo gli utenti possono essere influenzati dall’associazione che effettuano.

39.      In ogni caso, il mero fatto che la parte che chiede la registrazione del marchio posteriore sia consapevole dell’esistenza del marchio comunitario anteriore notorio non può essere rilevante nel determinare la sussistenza di uno sfruttamento parassitario. Invero, la conoscenza del richiedente relativa al marchio anteriore non implica affatto che gli utenti medi assoceranno i marchi in questione.

40.      Posso solo sottolineare ancora che, mentre il pubblico interessato dello Stato membro in cui è stata presentata la domanda di registrazione del marchio posteriore non è decisivo nel determinare se il marchio comunitario anteriore goda di reputazione nell’Unione ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, tale pubblico – al contrario – è di fondamentale importanza nel determinare se il marchio nazionale posteriore trarrebbe indebito vantaggio dal marchio comunitario anteriore notorio o recherebbe pregiudizio allo stesso. È necessario tenere a mente che la tutela accordata a un marchio nazionale è circoscritta, in via di principio, al territorio dello Stato membro in cui è stata chiesta la registrazione del marchio. Questo è il motivo per cui, nell’affrontare la questione degli impedimenti relativi alla registrazione di marchi nazionali, appare ragionevole che il pubblico interessato ai fini di determinare l’esistenza di un pregiudizio o di un indebito vantaggio debba essere quello di tale Stato membro.

41.      Invero, in particolar modo nel caso del parassitismo (free-riding), che è particolarmente pertinente nella presente causa, sembra difficile affermare che esso possa avere luogo ove il pubblico interessato non conosca il marchio anteriore notorio (circostanza che il giudice del rinvio deve verificare). In ogni caso, come osserva in particolare il governo danese, anche se il giudice del rinvio dovesse ritenere che il pubblico interessato potrebbe stabilire un nesso tra il marchio Unilever e il marchio nazionale posteriore, il rischio di effetti dannosi o di parassitismo non può costituire una semplice presunzione (34). Quanto alle azioni di opposizione, spesso si verifica (come sembra avvenire anche nella controversia dinanzi al giudice del rinvio) che l’asserita violazione non abbia ancora avuto luogo.

3.      L’intensità del marchio anteriore

42.      Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede nello specifico indicazioni sul tipo di prove che il titolare del marchio anteriore deve produrre in relazione al rischio di violazione del suo marchio. Tale questione, tuttavia, è rilevante solo se il giudice del rinvio è in grado di determinare che la percentuale del pubblico interessato nello Stato membro di cui trattasi che stabilisce il nesso tra i marchi sia così forte che le implicazioni commerciali siano notevoli, vale a dire, se conclude che una percentuale commercialmente rilevante del pubblico interessato nello Stato membro di cui trattasi stabilisce il nesso richiesto.

43.      A tale proposito, la Corte ha statuito che l’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto nella mente del pubblico interessato non è sufficiente a dimostrare che ha avuto luogo, o avrà luogo, una violazione del marchio anteriore. Questo è il motivo per cui il titolare del marchio anteriore deve dimostrare l’esistenza di una violazione effettiva e attuale del suo marchio o il rischio serio che la violazione abbia luogo in futuro (35). Se è vero che dimostrare il rischio di annacquamento sembra prescindere dalla categoria di prodotti e servizi in questione, ritengo che quanto più simili sono i prodotti e i servizi in questione, tanto più facile è dimostrare che possa avere luogo l’offuscamento (in particolare quando un’indicazione di origine viene trasformata in una denominazione generica (36), come avviene nella sentenza Interflora e Interflora British Unit) (37).

44.      Comunque, la Corte ha fissato un livello di prova piuttosto elevato relativamente al pregiudizio (tramite offuscamento o annacquamento). Affinché tale livello sia raggiunto, è necessario che siano dimostrati una modifica del comportamento economico del consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio anteriore è registrato dovuta all’uso del marchio posteriore o un rischio serio che una tale modifica si produca in futuro. Come ho già rilevato, tale giurisprudenza sembra riguardare in modo particolare tipi di violazione relativi all’offuscamento e all’annacquamento (38).

45.      A mio avviso, non è certo che tale criterio possa essere trasposto direttamente all’ambito del parassitismo. Nel caso del parassitismo, la prospettiva è diversa, dal momento che l’accento è posto sugli utenti medi del marchio posteriore e sul vantaggio che il marchio posteriore può presumibilmente trarre da quello anteriore. Inoltre, la giurisprudenza non sembra richiedere che il vantaggio così acquisito debba essere espresso, per esempio, in termini di incremento delle vendite.

46.      In effetti, come la Corte ha statuito nella sentenza L’Oréal e a. (39), si ottiene un indebito vantaggio quando una persona tenta, con l’uso di un segno simile ad un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, così come di sfruttare, senza qualsivoglia corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, e si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola (40). Da ciò deriva che il vantaggio ottenuto deve essere in qualche modo indebito. Tuttavia, secondo la mia interpretazione della giurisprudenza, il valore aggiunto del carattere «indebito» è limitato – se non inesistente – ove la parte che chiede la registrazione del marchio nazionale posteriore si stia intenzionalmente ponendo nel solco tracciato dal marchio anteriore.

47.      In generale, ritengo che ove, in particolare, i prodotti e i servizi siano (fortemente) dissimili, l’analisi che il giudice del rinvio deve effettuare deve concentrarsi sul carattere distintivo del marchio comunitario anteriore notorio: più la notorietà del marchio di cui si tratta è rilevante e più l’evocazione del marchio anteriore ad opera del segno per cui si chiede la registrazione a livello nazionale è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o rechi loro pregiudizio (in particolare attraverso l’offuscamento) (41).

48.      Sebbene l’ordinanza di rinvio contenga solo una quantità limitata di informazioni che mi consentirebbero di fare osservazioni più dettagliate relative al procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio, non escluderei a priori la possibilità che la commercializzazione di prodotti e servizi contraddistinti dal marchio nazionale posteriore possa essere agevolata grazie al marchio anteriore Unilever. Nel valutare se sussista un serio rischio di vantaggio indebito, il giudice del rinvio dovrà pertanto esaminare, in particolare, quanto ampia sia la conoscenza del marchio Unilever e l’immagine che esso proietta (42) e se un vantaggio sia stato (o sarà) trasferito al marchio posteriore. Invero, nel caso di prodotti identici o simili, il trasferimento del vantaggio sembrerebbe quasi evidente (43). Al contrario, in caso di prodotti e servizi dissimili, tale tipo di «impollinazione incrociata» (44) potrebbe essere, in generale, più difficile da stabilire.

49.      Pertanto, nello svolgere la sua analisi con riferimento alla seconda condizione stabilita dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, il giudice del rinvio dovrà attribuire particolare importanza alla conoscenza del marchio anteriore da parte del pubblico interessato in Ungheria. A tale proposito, più la notorietà del marchio Unilever è rilevante e più la sua evocazione ad opera del segno per cui si chiede la registrazione è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga, o trarrà, un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o rechi, o recherà, loro pregiudizio.

IV – Conclusione

50.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sottoposte dal Fővárosi Törvényszék nei termini seguenti:

1)      Ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, può essere sufficiente – a seconda del marchio specifico descritto come notorio e, di conseguenza, del pubblico interessato – che un marchio comunitario goda di notorietà in uno Stato membro, che non deve necessariamente essere lo Stato in cui si invoca tale disposizione. In tal senso, al fine di determinare se sussista la notorietà ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, i principi stabiliti dalla giurisprudenza in relazione al requisito della dimostrazione dell’uso effettivo del marchio non sono pertinenti.

2)      Ove il marchio comunitario anteriore non goda di notorietà nello Stato membro in cui si invoca l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, al fine di dimostrare che, senza giusto motivo, si trae indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o si reca pregiudizio agli stessi ai sensi di tale disposizione, è necessario dimostrare che una percentuale commercialmente rilevante del pubblico interessato in tale Stato membro stabilirà un nesso con il marchio anteriore. A tale proposito, l’intensità del marchio anteriore costituisce un fattore rilevante ai fini di dimostrare tale associazione.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25).


3 – Non sono indicati i prodotti rispetto ai quali il marchio Unilever è stato registrato, né è stato chiarito a quali prodotti facciano riferimento le quote di mercato.


4 – Per esempio, sentenze Adidas-Salomon e Adidas Benelux (C‑408/01, EU:C:2003:582, punti da 27 a 31), e Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punti 57, 58 e 66 e giurisprudenza citata). Ove non vi sia alcun rischio di confusione, non si possono invocare gli impedimenti relativi alla registrazione stabiliti dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Tuttavia, non si ravvisa una siffatta condizione nell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva. Questo è il motivo per cui il titolare di un marchio anteriore può avere un particolare interesse a invocare l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva ai fini di tutelarsi contro un danno al carattere distintivo o alla notorietà del marchio. V. anche, recentemente, sentenza Intra-Presse/UAMI [(C‑581/13 P e C‑582/13 P, EU:C:2014:2387, punto 72 e giurisprudenza citata, con riferimento all’attuale articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento»)].


5 – V. conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:173, paragrafo 50).


6 – In generale, e per quanto riguarda questo particolare ambito, disposizioni parallele devono essere interpretate allo stesso modo; v. sentenza PAGO International (C‑301/07, EU:C:2009:611, punti 22 e segg.).


7 –      C‑375/97, EU:C:1999:408.


8 – Ibidem, punto 28.


9 – Ibidem, punto 31.


10 – C‑301/07, EU:C:2009:611.


11 – Ibidem, punto 30.


12 – Sebbene sia vero che le cause General Motors e PAGO International riguardavano la «notorietà» in relazione ad un’eventuale contraffazione, gli stessi principi a mio avviso si devono applicare all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva. Infatti, non vedo come possa operarsi una distinzione tra la notorietà richiesta per l’opposizione alla registrazione sulla base del conflitto con marchi anteriori, da una parte, e la contraffazione, dall’altra. Entrambe le forme di ricorso forniscono tutela al titolare del marchio anteriore.


13 – V. sentenza General Motors (C‑375/97, EU:C:1999:408, punti 23, 24 e 27).


14 – V., analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa PAGO International (C‑301/07, EU:C:2009:274, paragrafi 30 e segg.).


15 – V. considerando 3 del regolamento.


16 – V., altresì, considerando 10 della direttiva.


17 – V., in tal senso, sentenza DHL Express France (C‑235/09, EU:C:2011:238, punto 44).


18 – C‑149/11, EU:C:2012:816.


19 – V. considerando 10 del regolamento. Per la giurisprudenza, v., per esempio, sentenze Ansul (C‑40/01, EU:C:2003:145), e Construcción, Promociones e Instalaciones/UAMI – Copisa Proyectos y Mantenimientos Industriales (CPI COPISA INDUSTRIAL) (T‑345/13, EU:T:2014:614).


20 – V. sentenza Leno Merken (C‑149/11, EU:C:2012:816, punti da 52 a 54).


21 – Questo tipo di violazione fa riferimento al pregiudizio al carattere distintivo del marchio, detto anche «diluizione» o «corrosione». Con le parole della Corte, «esso si manifesta quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, per il fatto che l’uso del segno identico o simile fa disperdere l’identità del marchio e della corrispondente presa nella mente del pubblico. Ciò si verifica, in particolare, quando il marchio non è più in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato» (sentenza L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 39).


22 – Si tratta di pregiudizio alla notorietà del marchio, detto anche «degradazione». Questo tipo di violazione si verifica, con le parole della Corte, «quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso. Il rischio di un tale pregiudizio può scaturire, in particolare, dalla circostanza che i prodotti o servizi offerti dal terzo possiedano una caratteristica o una qualità tali da esercitare un’influenza negativa sull’immagine del marchio» (sentenza L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 40).


23 – Quanto a questo terzo tipo di violazione, detto anche «free-riding», il termine denota il vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile. Si applica, in particolare, alle situazioni in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussiste un palese sfruttamento parassitario nel tentativo di infilarsi nella scia del marchio notorio (sentenza L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 41).


24 – Dall’ordinanza di rinvio, nonché dal dibattimento dinanzi alla Corte, risulta che l’Unilever abbia a quanto pare commercializzato i suoi prodotti in Ungheria in un periodo precedente. Ciò a mio avviso suggerisce (circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio) che il marchio Unilever non può, di fatto, essere completamente sconosciuto al pubblico interessato in Ungheria.


25 – Sentenza General Motors (C‑375/97, EU:C:1999:408, punto 23). V. anche sentenza Adidas-Salomon e Adidas Benelux (C‑408/01, EU:C:2003:582, punto 29).


26 – V. sentenza DHL Express France (C‑235/09, EU:C:2011:238, punti 47 e 48). V. anche, in tal senso, sentenza Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:604, punto 37).


27 – V. considerando 6 del regolamento.


28 – Sentenza Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655).


29 – Ibidem, punto 67. Per i fattori rilevanti da prendere in considerazione nel determinare se tale nesso sussista, v., in particolare, sentenze Adidas-Salomon e Adidas Benelux (C‑408/01, EU:C:2003:582, punto 30), e adidas e adidas Benelux (C‑102/07, EU:C:2008:217, punto 42).


30 – Si deve rilevare che il pubblico di riferimento dipende dal tipo di violazione di cui trattasi: mentre la sussistenza delle violazioni costituite dal pregiudizio deve essere valutata facendo riferimento al consumatore dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio anteriore che gode di notorietà è stato registrato, la sussistenza di una violazione derivante dal «free-riding» (sebbene si possa affermare che in tal caso il danno è meno evidente) deve essere verificata in relazione al consumatore dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio posteriore è stato registrato. In entrambi i casi, il punto di partenza dell’analisi è il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. V. sentenza Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punti 35 e 36).


31 – Ibidem, punto 31.


32 – Tuttavia, questo non è necessariamente il caso e si può spesso presumere che un marchio possa avere acquisito una notorietà così ampia da essere conosciuto da un pubblico ben più grande di quello interessato ai prodotti o ai servizi per i quali tale marchio è stato registrato. V., relativamente a tali questioni, sentenza Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punti da 48 a 51).


33 – In tal senso, non vi sarebbe l’esigenza per il titolare del marchio comunitario di opporsi alla registrazione al fine di salvaguardare il suo interesse. V., a tal proposito, sentenza DHL Express France (C‑235/09, EU:C:2011:238, punti 46 e 47).


34 – V. tra tanti, per esempio, ordinanze Aktieselskabet af 21. november 2001/UAMI (C‑197/07 P, EU:C:2008:721, punto 21 e giurisprudenza citata), e Japan Tobacco/UAMI (C‑136/08 P, EU:C:2009:282, punto 42 e giurisprudenza citata).


35 – V. sentenza Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 38). Il rischio deve perlomeno non essere puramente ipotetico. V. anche sentenza Helena Rubinstein e L’Oréal/UAMI (C‑100/11 P, EU:C:2012:285, punto 95).


36 –      Bently, L., e Sherman, B., Intellectual Property Law, 4a edizione, Oxford University Press, 2014, pag. 1004.


37 – Sentenza Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:604).


38 – V. sentenza Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 77). V. anche sentenza Environmental Manufacturing/UAMI (C‑383/12 P, EU:C:2013:741, punti 36 e 37).


39 – C‑487/07, EU:C:2009:378.


40 – Ibidem, punto 49.


41 – Ibidem, punto 44.


42 – V., per esempio, sentenze Sigla/UAMI – Elleni Holding (VIPS) (T‑215/03, EU:T:2007:93, punto 35), e Antartica/UAMI – Nasdaq Stock Market (nasdaq) (T‑47/06, EU:T:2007:131, punto 60).


43 – Già nella sentenza Davidoff (C‑292/00, EU:C:2003:9) la Corte ha ammesso che, sebbene il testo dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva sembri suggerire diversamente, si può invocare tale disposizione nei confronti di segni identici o simili utilizzati non solo in relazione a prodotti e servizi dissimili, ma anche in relazione a prodotti e servizi identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio che gode di notorietà. V., in particolare, punti 24, 25 e 30 di tale sentenza.


44 – Bentley e Sherman, op. cit., pag. 1007.