Language of document : ECLI:EU:T:2018:708

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

23 ottobre 2018 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Previdenza sociale – Malattia professionale – Origine professionale della malattia – Articolo 78, quinto comma, dello Statuto – Commissione di invalidità – Obbligo di motivazione – Errore manifesto di valutazione – Responsabilità – Danno morale»

Nella causa T‑567/16,

Robert McCoy, ex funzionario del Comitato delle regioni, residente in Bruxelles (Belgio), rappresentato da L. Levi, avvocato,

ricorrente,

contro

Comitato delle regioni, rappresentato da J. C. Cañoto Argüelles e S. Bachotet, in qualità di agenti, assistiti da B. Wägenbaur, avvocato,

convenuto,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 270 TFUE e diretta, da un lato, all’annullamento della decisione del Comitato delle regioni del 2 dicembre 2014, che approva le conclusioni della commissione di invalidità del 7 maggio 2014, con le quali quest’ultima ha respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento dell’origine professionale della malattia da cui è affetto, e, dall’altro, al risarcimento del danno morale, per un importo di EUR 25 000, asseritamente subito dal ricorrente,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M. Prek, presidente, F. Schalin (relatore) e M. J. Costeira, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 dicembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

 Irregolarità nell’ambito del Comitato delle regioni e situazione professionale del ricorrente

1        Il ricorrente, il sig. Robert McCoy, ha svolto, presso il Comitato delle regioni, prima le funzioni di controllore finanziario, dal 1o gennaio 2000 al 31 dicembre 2002, e poi quelle di revisore dei conti interno, a partire dal 1o gennaio 2003.

2        Nell’ambito delle sue funzioni, il ricorrente ha rilevato irregolarità nella gestione di bilancio del Comitato delle regioni. Egli ne ha informato, in un primo tempo, l’amministrazione e il segretario generale del Comitato delle regioni e, in un secondo tempo, la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo (in prosieguo: la «Cocobu»), dinanzi alla quale è intervenuto il 19 marzo 2003.

3        Avvertito da un membro del Parlamento e da un membro della Cocobu, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha indagato sulle irregolarità denunciate dal ricorrente e ha redatto una relazione d’indagine l’8 ottobre 2003 (in prosieguo: la «relazione dell’OLAF»). Nell’ambito della sua indagine, l’OLAF ha sentito il ricorrente.

4        Nella relazione dell’OLAF è stato accertato che varie irregolarità erano state commesse nella gestione di bilancio del Comitato delle regioni ed è stato raccomandato, in particolare, di decidere l’avvio di un’indagine disciplinare nei confronti di taluni dipendenti, in particolare del sig. F e della sig.ra Y. L’OLAF ha altresì rilevato che il sig. F aveva avvertito il ricorrente che, se avesse continuato ad agire come se fosse ancora il controllore finanziario del Comitato delle regioni, avrebbe chiesto l’avvio di un’indagine amministrativa nei suoi confronti e che il ricorrente aveva percepito un’ostilità crescente da parte dei suoi superiori gerarchici.

5        Nelle conclusioni della relazione dell’OLAF viene sottolineato che, in maniera generale, il Comitato delle regioni aveva tentato di «scoraggiare o di destabilizzare» il ricorrente nell’esercizio delle sue funzioni di controllore finanziario e poi di revisore dei conti interno, e che il Comitato delle regioni sembrava ignorare l’articolo 2, paragrafo 3, della decisione n. 294/99 dell’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni del 17 novembre 1999, relativa alle condizioni e alle modalità delle indagini interne in materia di lotta contro la frode, la corruzione e ogni attività illegale pregiudizievole agli interessi della Comunità, ai sensi del quale «i funzionari e gli agenti del segretariato generale non devono in nessun caso subire un trattamento iniquo o discriminatorio a seguito di una comunicazione di cui al primo e al secondo comma».

6        Il 22 dicembre 2003 la Cocobu ha presentato la sua relazione sul discarico relativo all’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2001, la cui sezione VII riguardava appunto il Comitato delle regioni (in prosieguo: la «relazione della Cocobu»). Basandosi in particolare sulla relazione dell’OLAF, la Cocobu ha non soltanto «denunciato le ostruzioni ufficiali [di cui] il controllore finanziario/revisore dei conti interno e il suo personale erano stati vittime da parte dell’amministrazione del Comitato [delle regioni]» ma ha anche precisato che essa «conta[va] che le misure di riforma [decise dal Comitato delle regioni] [avrebbero permesso] di denunciare le frodi e le irregolarità senza il rischio di molestie psicologiche individuali o istituzionali come avvenuto nel passato».

7        Alla luce della relazione dell’OLAF e della relazione della Cocobu, il Parlamento, nell’ambito delle competenze attribuitegli dagli articoli 275 e 276 CE per dare il discarico sull’esecuzione del bilancio generale dell’Unione, ha adottato, il 29 gennaio 2004, una risoluzione «contenente le osservazioni che accompagnano la decisione sul discarico relativo all’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2001 – Sezione VII – Comitato delle regioni». In particolare, ai punti 14, 22 e 24 di tale risoluzione, il Parlamento ha «[denunciato], senza pregiudicare il risultato della procedura avviata dal revisore dei conti interno ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, le ostruzioni ufficiali delle quali [quest’ultimo] e i suoi dipendenti [erano] stati vittime», nonché le «molestie psicologiche individuali o istituzionali» di cui il ricorrente aveva formato oggetto e ha «[chiesto] che il revisore dei conti interno ricev[esse] scuse formali dal Comitato delle regioni».

8        Il ricorrente, che soffriva di ansietà e di depressione e presentava sintomi di stress post-traumatici, è stato posto in congedo di malattia a partire dal 28 aprile 2004. Tale congedo di malattia sarà prorogato sino al 31 dicembre 2006, poi dal 22 febbraio 2007 al 30 giugno 2007, data in cui il ricorrente sarà collocato a riposo d’ufficio per invalidità.

9        Avendo constatato che il ricorrente aveva accumulato, nel corso degli ultimi tre anni, congedi di malattia la cui durata superava dodici mesi, il 22 febbraio 2006, il segretario generale del Comitato delle regioni ha deciso di avviare, ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 4, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), una procedura di collocamento in invalidità del ricorrente e ha chiesto a quest’ultimo di designare un medico ai fini della costituzione della commissione di invalidità.

 Prima commissione di invalidità e Ufficio di gestione e di liquidazione dei diritti individuali della Commissione (PMO)

10      La prima commissione di invalidità era composta dal dottor T., designato dal Comitato delle regioni, dal dottor G., scelto d’ufficio dal presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea al fine di rappresentare il ricorrente, e dal dottor O., designato di comune accordo dai dottori T. e G.

11      Il ricorrente ha ripreso il lavoro il 1o gennaio 2007. Egli ha lavorato sino al 21 febbraio 2007, ossia per circa sei settimane, poi è stato nuovamente posto in congedo di malattia.

12      Il 27 febbraio 2007 il ricorrente ha presentato al segretario generale del Comitato delle regioni, ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e dell’articolo 16 della regolamentazione di copertura, una domanda diretta al riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia. Il ricorrente segnalava inoltre al segretario generale del Comitato delle regioni che, poiché una commissione di invalidità era già stata designata per pronunciarsi sulla sua incapacità lavorativa ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, egli aveva chiesto a tale commissione di invalidità di prendere in considerazione non soltanto l’esame della sua incapacità, ma anche quello del rapporto esistente, se del caso, tra quest’ultima e la sua attività lavorativa.

13      Con lettera del 10 aprile 2007 il segretario generale del Comitato delle regioni ha informato il ricorrente che la sua domanda ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto era stata trasmessa alla Commissione delle Comunità europee nella sua qualità di autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’ «APN») ad hoc per l’applicazione dell’articolo 73 dello Statuto e che la sua domanda intesa ad ottenere che tale commissione di invalidità si pronunciasse anche sull’origine professionale della sua eventuale invalidità era stata debitamente trasmessa a quest’ultima.

14      In esito alla sua riunione del 23 maggio 2007, la prima commissione di invalidità ha concluso che il ricorrente era affetto da invalidità permanente considerata totale, che lo poneva nell’impossibilità di svolgere le sue funzioni. Per contro, quanto all’origine dell’invalidità, la prima commissione di invalidità ha dichiarato di non disporre di elementi sufficienti per pronunciarsi sull’origine professionale dell’invalidità e di dover attendere che l’amministrazione le fornisse gli «elementi autentici» che le consentissero di pronunciarsi al riguardo.

15      Con decisione dell’11 giugno 2007 l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni ha collocato a riposo d’ufficio per invalidità il ricorrente, in applicazione dell’articolo 53 dello Statuto, a decorrere dal 30 giugno 2007.

16      Nel gennaio 2008, nell’ambito della procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, l’Ufficio di gestione e di liquidazione dei diritti individuali della Commissione (PMO) ha ritenuto che non occorresse procedere ad un’indagine amministrativa, «dato che i documenti del fascicolo contenevano sufficienti elementi amministrativi per permettere al medico [del PMO] di effettuare il suo esame».

17      Con decisione del 9 gennaio 2009 il PMO ha riconosciuto l’origine professionale della malattia del ricorrente ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, sulla base dei referti medici redatti o chiesti dal medico del PMO, il dottor J., e cioè una relazione dell’8 maggio 2008 e conclusioni di quest’ultimo del 20 novembre 2008, nonché una relazione del dottor R. del 18 settembre 2008. Inoltre, la relazione del medico del PMO dell’8 maggio 2008 prendeva in considerazione altre sei relazioni mediche redatte dal dottor V.A. e da altri medici ospedalieri prodotte dal ricorrente, nonché diversi documenti non a carattere medico, tra cui la risoluzione del Parlamento di cui al precedente punto 7. La relazione del dottor R. del 18 settembre 2008 prendeva inoltre in considerazione un bollettino psicologico redatto dal professor D. M. in data 3 settembre 2008.

18      Nella sua relazione dell’8 maggio 2008 il medico del PMO ha ritenuto, alla luce degli elementi del fascicolo, che l’OLAF avesse constatato, da un lato, l’esistenza di malversazioni in seno al Comitato delle regioni e di tentativi di mettere in disparte il ricorrente, impedendogli così di eseguire in maniera adeguata il suo lavoro di controllore finanziario e, dall’altro, l’esistenza di grossi conflitti interpersonali tra il ricorrente e i suoi superiori gerarchici. In conclusione, secondo il medico del PMO, fatto salvo il parere psichiatrico chiesto al dottor Re., occorreva ritenere, in particolare, che «la comparsa progressiva di una sindrome (…) [fosse] connessa ai comportamenti professionali riprovevoli di taluni funzionari del Comitato delle [r]egioni».

19      Nelle conclusioni del 20 novembre 2008 il medico del PMO conclude che il ricorrente «non è più in grado di esercitare una qualsiasi attività lavorativa in seno alle Comunità europee, tanto più che il suo stato clinico psichico è connesso alle molestie psicologiche subite sul posto di lavoro e al [“]burn out[”] che ne è derivato» e che «i disturbi psicoaffettivi [che egli presenta] sono in rapporto causale diretto e certo con l[a sua] attività lavorativa».

20      Il 2 marzo 2010 il PMO ha deciso, in applicazione dell’articolo 73 dello Statuto, di riconoscere al ricorrente un tasso di invalidità del 10% per causa di malattia riconosciuta come di origine professionale. Tale decisione è stata adottata sulla base di diversi referti clinici integrativi richiesti dal PMO: una relazione di perizia psicologica effettuata il 12 agosto 2009 dal sig. D., un bollettino neuropsicologico redatto il 17 ottobre 2009 dal dottor M., una «relazione di indagine psichiatrica» redatta il 3 novembre 2009 dal dottor Re. e conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010, da cui parimenti risulta l’esistenza di disturbi di reazione ad un conflitto di natura professionale. A seguito della relazione redatta dal dottor Re. il 3 novembre 2009, il medico del PMO ha descritto la malattia professionale del ricorrente come consistente in «disturbi ansiodepressivi rientranti nell’ambito di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche» e ha valutato al 10% il conseguente tasso di invalidità. Il complesso di tali conclusioni e referti clinici è stato comunicato alla prima commissione di invalidità.

21      A seguito della decisione del PMO e dopo aver avuto accesso al fascicolo clinico e amministrativo, i tre membri della prima commissione di invalidità si sono riuniti il 2 luglio 2010. Tale prima commissione di invalidità ha concluso, a maggioranza – solo i dottori T. e O. hanno firmato tali conclusioni – che l’invalidità del ricorrente non risultava da una malattia professionale. Il dottor G., medico designato d’ufficio per conto del ricorrente, ha firmato conclusioni separate, anch’esse in data 2 luglio 2010, concludendo che l’invalidità del ricorrente risultava da una malattia professionale.

22      Nel corso di una riunione del 10 settembre 2010, l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni, nella sua qualità di APN, ha «approvato [le conclusioni dei dottori T. e O. di cui al precedente punto 21] secondo [le quali l’]invalidità [del ricorrente] non risulta[va] da una malattia professionale ai sensi dell’articolo 78, [quinto comma], dello Statuto».

23      Con lettera del 21 gennaio 2011 il ricorrente ha presentato reclamo avverso la decisione del 10 settembre 2010. L’APN, con decisione del 20 maggio 2011, ha respinto tale reclamo.

24      L’8 settembre 2011 il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea avverso la decisione del 10 settembre 2010 e la decisione di rigetto del reclamo del 20 maggio 2011. Con sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), la decisione del 10 settembre 2010 è stata annullata. Tale sentenza ha accolto il ricorso del ricorrente sulla base del fatto che la relazione della commissione di invalidità conteneva una motivazione insufficiente e che la commissione in parola era incorsa in un manifesto errore di valutazione. Il difetto di motivazione era dovuto alla mancanza di un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici della prima commissione di invalidità e le conclusioni sull’origine dell’invalidità del ricorrente (sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 98). L’errore manifesto di valutazione è stato constatato per il fatto che la prima commissione di invalidità aveva affermato che l’accettazione dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto sarebbe stata fondata, di fatto, «unicamente sulle parole del paziente», mentre dal fascicolo risultava che tale accettazione si fondasse, in particolare, su diverse relazioni mediche e che i fatti del caso di specie non andassero in tal senso (sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punti da 106 a 111).

25      Parallelamente al ricorso di cui sopra, il ricorrente ha proposto, il 20 dicembre 2012, un ricorso per risarcimento danni dinanzi al Tribunale della funzione pubblica (causa F‑156/12, McCoy/Comitato delle regioni). Come spiegato infra al punto 36, il ricorrente contestava al Comitato delle regioni, nell’ambito di tale ricorso, di aver avuto un comportamento scorretto nei suoi confronti nel periodo successivo alla scoperta di irregolarità in seno al Comitato delle regioni.

 Seconda commissione di invalidità

26      In seguito alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), il Comitato delle regioni ha deciso, con lettera del 7 luglio 2013, di istituire una seconda commissione di invalidità composta da tre medici.

27      Il ricorrente ha designato per rappresentarlo lo stesso medico che lo aveva precedentemente rappresentato nella prima commissione di invalidità, ovvero il dottor G., mentre il Comitato delle regioni ha nominato come rappresentante il dottor M.

28      Con lettera del 30 ottobre 2013 il Comitato delle regioni ha informato il ricorrente che i dottori M. e G. si erano accordati sulla scelta del terzo medico, il dottor L., al fine di costituire la seconda commissione di invalidità. Il Comitato delle regioni ha ricavato tale informazione da uno scambio di messaggi di posta elettronica tra i due medici in parola, nel quale il dottor G. sottolineava la sua preferenza per il dottor L.

29      L’8 novembre 2013 il ricorrente ha informato il Comitato delle regioni del suo disaccordo in merito a tale conclusione. Nonostante il messaggio di posta elettronica del dottor G., egli ha affermato che quest’ultimo non aveva dato il suo accordo sul nome del terzo medico. Egli ha inoltre chiesto al Comitato delle regioni di non proporre nomi per la designazione del terzo medico della seconda commissione di invalidità, chiedendogli di adire, a tal fine, il presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea.

30      Il 26 novembre 2013 il Comitato delle regioni ha inviato una lettera al ricorrente per comunicargli che non si opponeva alla consultazione del presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea. Esso ha tuttavia sottolineato che siffatta iniziativa avrebbe comportato procedure supplementari le quali, alla fine, avrebbero ritardato la conclusione del procedimento.

31      In seguito a tali scambi, il presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea, adito dal Comitato delle regioni, ha designato un terzo medico ad integrazione della seconda commissione di invalidità. Il Comitato delle regioni ne è stato informato alla fine del febbraio 2014.

32      Il medico designato dal presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea era il dottor H. La seconda commissione di invalidità era così formata dal dottor G., medico designato dal ricorrente, il dottor M., medico designato dal Comitato delle regioni, il dottor H, medico designato dal presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea.

33      La seconda commissione di invalidità si è riunita per la prima volta il 15 aprile 2014. In esito a tale riunione, i medici hanno deciso di prevedere una seconda riunione, al fine di incontrare il richiedente. Nella seconda riunione, tenutasi il 7 maggio 2014, sono state rivolte alcune domande al ricorrente, successivamente i dottori M. e H. hanno concluso, a maggioranza, che l’invalidità del ricorrente non ha origine professionale ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto (in prosieguo: le «conclusioni del 7 maggio 2014), mentre il dottor G. ha concluso che tale invalidità ha origine professionale.

34      Il 10 novembre 2014 il servizio medico del Comitato delle regioni ha inviato al dottor G. un messaggio di posta elettronica contenente i verbali delle due riunioni della seconda commissione di invalidità, nonché l’elenco dei documenti disponibili nel fascicolo clinico del ricorrente e il suo elenco di documenti. Tali verbali erano firmati unicamente dai dottori M. e H.

35      Lo stesso giorno, i dottori M. e H. hanno firmato una relazione medica di sintesi che espone la motivazione delle conclusioni del 7 maggio 2014. Tale relazione è stata trasmessa al dottor G. il 23 marzo 2015. Nella stessa data, il dottor M. ha altresì fornito all’APN un’attestazione nella quale indicava quanto segue:

«Con la presente, posso affermare che è stato assicurato lo svolgimento dei lavori della commissione di invalidità secondo la forma prescritta e che le sue conclusioni sono debitamente motivate».

36      Il 18 novembre 2014 il Tribunale della funzione pubblica ha emesso la sentenza nella controversia tra il ricorrente e il Comitato delle regioni (sentenza del 18 novembre 2014, McCoy/Comitato delle regioni, F‑156/12, EU:F:2014:247), con la quale ha accertato la violazione, da parte del Comitato delle regioni, del suo dovere di sollecitudine nei confronti del ricorrente. Infatti, secondo la sentenza in parola, il Comitato delle regioni non aveva dimostrato di aver preso in considerazione, nel periodo di rilevante in tale causa e in applicazione del suo dovere di sollecitudine, i momenti di difficoltà che il ricorrente aveva attraversato sul piano professionale e morale, nonché l’impatto che ciò poteva eventualmente comportare sulla sua salute e sulla sua situazione personale. Risulta dal punto 128 di tale sentenza che «alla luce della decisione del PMO del 2 marzo 2010 e delle conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010 risulta, da un lato, indubbio il nesso di causalità tra il comportamento del Comitato delle regioni e il danno subito e, dall’altro, che l’indennità concessa ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto non copre i danni morali, consistenti nella destabilizzazione, la mancata stima, l’attesa e la frustrazione, subiti dal ricorrente a causa della mancanza di sollecitudine del Comitato delle regioni nei suoi confronti». A tale titolo, il Comitato delle regioni è stato condannato a versare al ricorrente la somma di EUR 20 000.

37      Il 19 novembre 2014 il dottor G. ha fatto pervenire alcune osservazioni in merito al verbale delle riunioni della seconda commissione di invalidità ed ha richiamato l’attenzione dei dottori M. e H. sulla sentenza del 18 novembre 2014, McCoy/Comitato delle regioni (F‑156/12, EU:F:2014:247). Egli ha inoltre richiesto che la seconda commissione di invalidità fosse nuovamente convocata. I dottori M. e H. avrebbero dichiarato che non era necessaria una nuova riunione della seconda commissione di invalidità.

38      Con due comunicazioni del 23 e 30 novembre 2014 (quest’ultima in realtà inviata il 2 dicembre 2014, secondo il ricorrente), il dottor G. ha presentato i suoi commenti sul verbale del 7 maggio 2014, che contiene le conclusioni adottate a maggioranza (dai dottori M. e H.). Il dottor G. ha espresso il proprio disaccordo. Egli ha concluso che sussisteva un nesso causale tra la situazione professionale del ricorrente e la sua invalidità. Ha sottolineato che la seconda commissione di invalidità non aveva rispettato il proprio mandato. Di conseguenza, ha invitato la commissione a riprendere i lavori.

39      Il 26 novembre 2014 il ricorrente ha inviato una lettera al Segretario generale del Comitato delle regioni, informandolo delle conclusioni della seconda commissione di invalidità e pregandolo di invitare quest’ultima a «riprendere i lavori e farlo in modo regolare».

40      Con decisione del 2 dicembre 2014 l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni ha approvato le conclusioni del 7 maggio 2014 (in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale decisione è stata notificata con lettera del 22 dicembre 2014, spedita il 5 gennaio 2015 e ricevuta il 7 gennaio 2015.

41      Il 3 aprile 2015, il ricorrente ha presentato reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto. Tale reclamo è stato respinto con decisione del 24 luglio 2015, notificata al ricorrente il 27 luglio 2015 (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»).

42      La decisione di rigetto del reclamo si basava su una nota in cui il dottor M. aveva risposto ad alcune domande che gli erano state inviate dal servizio giuridico del Comitato delle regioni per rispondere al reclamo (in prosieguo: la «nota dell’8 maggio 2015»).

 Procedimento e conclusioni delle parti

43      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 3 novembre 2015, il ricorrente ha presentato il ricorso nella causa F‑139/15.

44      Il 25 gennaio 2016 il Comitato delle regioni ha fatto pervenire presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il proprio controricorso.

45      Il 24 febbraio 2016 è stato deciso che un secondo scambio di memorie non era necessario ed è stata chiusa la fase scritta del procedimento.

46      In applicazione dell’articolo 3 del regolamento (UE, Euratom) 2016/1192 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, relativo al trasferimento al Tribunale della competenza a decidere, in primo grado, sulle controversie tra l’Unione europea e i suoi agenti (GU 2016, L 200, pag. 137), la presente causa è stata trasferita al Tribunale nello stato in cui si trovava alla data del 31 agosto 2016. Essa è stata registrata con il numero di ruolo T‑567/16 ed è stata assegnata alla Seconda Sezione.

47      Poiché la chiusura della fase scritta del procedimento è stata decisa dal Tribunale della funzione pubblica anteriormente al 1o settembre 2016, il Tribunale ha rivolto, l’8 novembre 2016, un quesito alle parti affinché indicassero se desideravano che si svolgesse un’udienza. Le parti hanno risposto al quesito entro il termine prescritto, il ricorrente comunicando al Tribunale, il 29 novembre 2016, di desiderare lo svolgimento di un’udienza e il Comitato delle regioni indicando nella sua risposta del 7 dicembre 2016 di non considerare necessaria un’udienza.

48      Con decisione del 23 febbraio 2017 la presente causa è stata attribuita ad un nuovo giudice relatore, appartenente alla Seconda Sezione.

49      Le parti hanno svolto le loro difese orali all’udienza del 13 dicembre 2017.

50      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata, nella parte in cui, approvando le conclusioni della seconda commissione di invalidità, rifiuta di riconoscere l’origine professionale dell’invalidità di cui è affetto ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto;

–        annullare la decisione di rigetto del reclamo;

–        condannare il Comitato delle regioni al pagamento della somma di EUR 25 000 a titolo di risarcimento del danno morale;

–        condannare il Comitato delle regioni alla totalità delle spese.

51      Il Comitato delle regioni chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

52      A sostegno del ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa e della decisione di rigetto del reclamo, il ricorrente deduce otto motivi, relativi, il primo vertente sulla violazione dell’articolo 78 dello Statuto per il mancato controllo dei lavori della seconda commissione di invalidità nonché sulla violazione delle garanzie procedurali, il secondo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione e della nozione di malattia professionale, il terzo vertente su un errore manifesto di valutazione, il quarto vertente sulla violazione del mandato della seconda commissione di invalidità, il quinto vertente sulla violazione del dovere di sollecitudine, il sesto vertente sulla violazione dell’articolo 266 TFUE, il settimo vertente sul mancato rispetto del termine ragionevole, e l’ottavo vertente sulla violazione della collegialità. Il ricorrente chiede inoltre la condanna del Comitato delle regioni al pagamento della somma di EUR 25 000 a titolo di risarcimento del danno morale subito in seguito agli atti illeciti commessi dal Comitato delle regioni.

53      Occorre ricordare, in via preliminare, che secondo una giurisprudenza costante, una domanda di annullamento formalmente diretta contro la decisione di rigetto di un reclamo ha l’effetto, qualora tale decisione fosse priva di contenuto autonomo, di sottoporre al giudizio del Tribunale l’atto contro il quale il reclamo è stato presentato (sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 55; v. inoltre, in tal senso, sentenza del 17 gennaio 1989, Vainker/Parlamento, 293/87, EU:C:1989:8, punto 8).

54      Nel caso di specie, la decisione di rigetto del reclamo conferma la decisione impugnata precisando la motivazione a sostegno di quest’ultima. In un caso del genere, è appunto la legittimità dell’atto iniziale arrecante pregiudizio che deve essere esaminata prendendo in considerazione la motivazione figurante nella decisione di rigetto del reclamo, motivazione che si presuppone coincida con tale atto (v., in tal senso, sentenze del 18 aprile 2012, Buxton/Parlamento, F‑50/11, EU:F:2012:51, punto 21, e del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 56).

55      Di conseguenza, la domanda di annullamento della decisione di rigetto del reclamo è priva di contenuto autonomo e il ricorso deve essere considerato diretto contro la decisione impugnata la cui motivazione è precisata dalla decisione di rigetto del reclamo (v., in tal senso, sentenze del 10 giugno 2004, Eveillard/Commissione, T‑258/01, punti 31 e 32, e del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 57).

56      Occorre inoltre constatare che il primo, il quinto e il sesto motivo si basano principalmente sull’eventuale mancato controllo dei lavori della commissione di invalidità in sede di reclamo, vale a dire dopo l’adozione della decisione impugnata. Pertanto, essi non giustificherebbero, laddove si rivelassero fondati, l’annullamento della decisione impugnata. Infatti, gli inadempimenti dedotti dal ricorrente non possono, in quanto verificatisi dopo l’adozione della decisione impugnata, incidere sul contenuto stesso del parere della commissione di invalidità, né su quello di tale decisione. Tali inadempimenti non possono, in linea di principio, modificare la valutazione, da parte della commissione di invalidità, dell’origine professionale dell’invalidità ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto.

57      Tuttavia, poiché il ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno morale sofferto non solo a causa delle irregolarità che viziano la decisione impugnata e le circostanze in cui quest’ultima è stata adottata, ma anche a causa delle irregolarità derivanti dal mancato controllo dell’APN durante la fase del reclamo, è necessario esaminare i summenzionati motivi nella misura in cui possono incidere sulla domanda di risarcimento. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ritiene opportuno iniziare dall’esame dei motivi secondo, terzo, quarto, settimo e ottavo, i quali possono comportare l’annullamento della decisione impugnata, prima di procedere all’esame dei motivi che possono essere presi in considerazione unicamente nell’ambito della domanda di risarcimenti dei danni.

 Sui motivi relativi alla legittimità della decisione impugnata

58      Occorre precisare che la dedotta violazione, da un lato, dell’obbligo di motivazione e, dall’altro, della nozione di malattia professionale non presentano alcun nesso evidente. Infatti, la questione se, in violazione della nozione di malattia professionale, la commissione di invalidità abbia preso in considerazione la storia clinica e lo stato di salute attuale del ricorrente, rientra nell’ambito di un eventuale errore manifesto di valutazione e non di una violazione dell’obbligo di motivazione. Il Tribunale ritiene quindi opportuno trattare la violazione della nozione di malattia professionale nell’ambito del terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione, piuttosto che nell’ambito del secondo motivo.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

59      Il ricorrente ritiene che il Comitato delle regioni abbia violato il suo obbligo di motivazione in quanto la decisione impugnata e la decisione di rigetto del reclamo che approvano le conclusioni della seconda commissione di invalidità non consentirebbero di comprendere perché tale commissione, a maggioranza, si fosse discostata dalle relazioni mediche anteriori, né soprattutto su quali elementi si fosse basata per affermare, a differenza delle relazioni mediche a sua disposizione, che l’invalidità del ricorrente non era di origine professionale.

60      A tale riguardo, il ricorrente afferma, in primo luogo, che la seconda commissione di invalidità ha errato nel pronunciarsi sulla sua capacità lavorativa mentre ciò non era rilevante per la valutazione dell’origine professionale della sua malattia. In secondo luogo, tale commissione si sarebbe erroneamente basata sullo stato di salute del ricorrente nel 2014, mentre ciò sarebbe estraneo alla questione se egli era stato collocato in pensione nel 2007 per motivi riconducibili ad una malattia professionale. In terzo luogo, il fatto che il ricorrente non abbia preso antidepressivi o ansiolitici nel 2014 non sarebbe in contraddizione con uno stato emotivo residuale e psicologicamente mutilante che trova la propria origine in cure non adeguate subite nell’ambito del suo lavoro precedente, circostanza che troverebbe conferma in tutti i documenti medici.

61      Inoltre, il ricorrente sostiene, in sostanza, che la seconda commissione di invalidità non abbia preso in considerazione i documenti amministrativi e giuridici del fascicolo, ossia la relazione della Cocobu e la relazione dell’OLAF. Analogamente, le risposte del dottor M. nella nota dell’8 maggio 2015 sarebbero contraddittorie e difficilmente comprensibili. I due medici di maggioranza della seconda commissione di invalidità non avrebbero neppure comunicato i motivi per i quali sarebbe stato escluso che la malattia del ricorrente avesse origine – anch’essa – nell’esercizio delle sue funzioni.

62      Il Comitato delle regioni contesta le argomentazioni del ricorrente. Esso replica che non vi sarebbe alcuna contraddizione tra le conclusioni della seconda commissione di invalidità e le conclusioni mediche precedenti adottate nell’ambito dell’articolo 73 dello Statuto.

63      Il Comitato delle regioni sostiene che le conclusioni del 7 maggio 2014, approvate dall’APN con la decisione impugnata, espongono diversi motivi che rifletterebbero il parere della maggioranza della seconda commissione di invalidità, i quali constatano l’assenza di nesso di causalità tra l’inabilità permanente al lavoro e l’impiego del ricorrente.

64      Secondo il Comitato delle regioni, la decisione di rigetto del reclamo conterrebbe le precisazioni fornite dal dottor M. sia sul metodo di lavoro della seconda commissione di invalidità, sia sui motivi che l’avrebbero portata a constatare l’assenza di nesso di causalità tra l’invalidità del ricorrente e la sua attività professionale.

65      Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale la seconda commissione di invalidità non avrebbe sufficientemente motivato la propria posizione nella parte in cui ha adottato conclusioni contrarie a quelle contenute nelle relazioni mediche e amministrative anteriori, il Comitato delle regioni sostiene che tale argomento deve essere respinto in quanto infondato. Infatti, nella relazione medica di sintesi si farebbe riferimento ai pareri e alle conclusioni contenuti nelle relazioni mediche e amministrative precedenti. Il Comitato delle regioni ricorda infatti che, in tale relazione, viene sottolineato che talune relazioni mediche indicavano che il ricorrente era in grado di riprendere il servizio. In essa sarebbe inoltre indicato che il ricorrente è stato sottoposto ad un «esame medico approfondito», dal quale la seconda commissione di invalidità ha potuto ricavare osservazioni che hanno consentito di dimostrare che la sua invalidità non derivava da una malattia professionale ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto.

66      Inoltre, nella relazione medica di sintesi, la seconda commissione di invalidità avrebbe fatto espressamente riferimento a talune relazioni mediche e amministrative. La relazione indicherebbe chiaramente i motivi per i quali non sussisterebbe alcun nesso di causalità tra la situazione sul posto di lavoro e lo stato di salute del ricorrente, nonché i motivi per i quali essa non condivide il parere contenuto nelle relazioni mediche anteriori. Il Comitato delle regioni ricorda quindi che la seconda commissione di invalidità rientrerebbe nell’ambito degli antecedenti psichici di lunga data che avrebbero impedito la ripresa del lavoro del ricorrente.

67      Occorre ricordare che lo scopo perseguito dalle disposizioni dello Statuto relative alla commissione di invalidità è quello di affidare a periti medici la valutazione definitiva di tutte le questioni di ordine sanitario, che nessuna APN, a causa della sua composizione amministrativa interna, potrebbe operare. In tale contesto, il sindacato giurisdizionale non può estendersi alle valutazioni mediche in senso proprio, che vanno considerate definitive qualora esse siano state operate in condizioni regolari. Per contro, il sindacato giurisdizionale può essere esercitato sulla regolarità della costituzione e del funzionamento della commissione di invalidità nonché su quella dei pareri che quest’ultima emette. Sotto tale aspetto, il Tribunale è competente a verificare se il parere presenti una motivazione che consenta di valutare le considerazioni sulle quali sono fondate le conclusioni che esso contiene e se esso abbia stabilito un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici in esso contenuti e le conclusioni alle quali perviene la commissione d’invalidità interessata (v. sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

68      Sulla base di tale giurisprudenza, occorre anzitutto rilevare che, nel caso di specie, le conclusioni del 7 maggio 2014, approvate dall’APN nella decisione impugnata, contengono, segnatamente, le seguenti dichiarazioni:

–        «non vi è alcun argomento che stabilisca un nesso di causalità tra l’inabilità al lavoro ed i fattori di stress sul lavoro, il paziente ha più volte confermato di sentirsi molto bene;

–        (…) al contrario, il paziente presenta difficoltà psichiche di lunga data per le quali ha effettuato diversi trattamenti i quali, a suo parere, hanno avuto successo».

69      Tuttavia, tali dichiarazioni non chiariscono come la seconda commissione di invalidità sia giunta a tale conclusione nonostante le relazioni mediche e amministrative inserite nel fascicolo, le quali sostengono una conclusione opposta.

70      A tale riguardo, occorre ricordare che qualora l’amministrazione abbia fornito, nella sua risposta al reclamo, per giustificare la sua decisione, una spiegazione esplicita relativa al singolo caso, si presume che tale motivazione coincida con la decisione di diniego e deve quindi essere considerata come un elemento di informazione pertinente per valutare la legittimità di tale decisione (v., in tal senso, sentenza del 9 dicembre 2009, Commissione/Birkhoff, T‑377/08 P, EU:T:2009:485, punti 55 e 56, nonché giurisprudenza ivi citata).

71      In primo luogo, nella decisione di rigetto del reclamo, l’APN afferma di aver chiesto al dottor M. di «confermare (…) se l’impossibilità del sig. McCoy di esercitare le sue funzioni lavorative, già riconosciuta il 23 maggio 2007 (articolo 78), non presentasse di fatto un nesso, seppure parziale, con la malattia professionale (“disturbi ansiodepressivi rientranti nell’ambito di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche”) (v. sentenza del 18 novembre 2014, McCoy/Comitato delle regioni, F‑156/12, EU:F:2014:247, punto 64), che gli è stata riconosciuta il 9 gennaio 2009 (articolo 73) [e se tale] conclusione [fosse] adeguatamente motivata nella relazione medica [di sintesi] che spiega[va] in particolare per quale motivo la [seconda] commissione di invalidità [avesse] deciso di discostarsi dalle relazioni anteriori, favorevoli al sig. McCoy».

72      Il dottor M., in risposta a tale domanda, descrive il modo in cui la seconda commissione di invalidità è giunta alle sue conclusioni e sottolinea, in sostanza, quanto segue:

–        «l’esistenza di precedenti anteriori alla sua entrata in servizio presso il Comitato delle regioni risultava chiaramente [dal] fascicolo clinico [del sig. McCoy]»;

–        «due documenti dal fascicolo contengono pareri (…) che attestano che il sig. McCoy era in grado di riprendere l’attività lavorativa durante il periodo in questione»;

–        [il dottor H., dopo aver preso conoscenza del contenuto del fascicolo,] «ha proceduto ad un approfondito esame psichiatrico del sig. McCoy, ponendogli domande volte a determinare le condizioni in cui [quest’ultimo] si trovava»;

–        è stato deciso all’unanimità di non ricorrere a perizie esterne e di richiedere informazioni mediche ai medici generici che avevano avuto in cura il sig. McCoy tra il 1996 e il 2000.

73      In secondo luogo, l’APN ha chiesto al dottor M. di «confermare che le conclusioni della seconda commissione di invalidità, secondo le quali l’invalidità del sig. McCoy, ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, non risultava da una malattia professionale, tengono in debita considerazione i documenti amministrativi citati nella sentenza del 7 maggio 2013». Il dottor M. ha così precisato, in sostanza, che, «anche se non [venivano] espressamente menzionati, tutti i documenti erano a disposizione della seconda commissione di invalidità» e che tali documenti erano stati messi a disposizione ed esaminati dai tre membri della seconda commissione di invalidità.

74      Alla luce di tali considerazioni, l’APN afferma nella decisione di rigetto del reclamo che essa «si è assicurata che la commissione di invalidità si sia premurata di spiegare nella sua relazione le ragioni per le quali essa ha ritenuto che, dal punto di vista medico, non era possibile riconoscere l’origine professionale, anche solo parziale, dell’invalidità del ricorrente ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto e che tutti i documenti medici e non medici a sua disposizione siano stati debitamente presi in considerazione a tal fine, senza tuttavia avere conoscenza dei motivi medici e quindi essere in grado di valutare se soddisfino i requisiti stabiliti dal Tribunale nella sentenza del 7 maggio 2013».

75      Tuttavia, nonostante le risposte del dottor M., occorre rilevare, come risulta dal fascicolo e come è stato accertato nella sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), che i fascicoli clinici e amministrativi avvalorano, con il loro contenuto, la conclusione opposta, secondo la quale la malattia dalla quale risulta l’invalidità del ricorrente ha un’origine professionale.

76      A tale riguardo occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, qualora una commissione di invalidità sia investita di questioni di ordine medico complesse riferentisi al nesso di causalità esistente tra il disturbo da cui è affetto l’interessato e l’esercizio della sua attività lavorativa presso un’istituzione, sta ad essa, in particolare, indicare gli elementi del fascicolo sui quali essa si basa e precisare, in caso di divergenze significative, le ragioni per le quali essa si scosta da talune relazione mediche, anteriori e pertinenti, più favorevoli all’interessato (v. sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

77      Peraltro, anche se una commissione di invalidità, adita in applicazione dell’articolo 78 dello Statuto, può giungere a conclusioni diverse da quelle adottate dalla commissione medica adita ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, nondimeno, essa è tenuta ad esporre le ragioni che l’hanno indotta a scostarsi dalle valutazioni contenute nelle relazioni mediche che hanno consentito il riconoscimento dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e a specificare tali ragioni, in maniera chiara e comprensibile (v. sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 86 e giurisprudenza ivi citata), vuoi nelle sue conclusioni comunicate all’APN, vuoi nella sua relazione medica di sintesi redatta eventualmente in seguito.

78      Occorre ricordare che le relazioni mediche esaminate nel contesto della procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e di cui la seconda commissione di invalidità disponeva quando ha adottato le sue conclusioni del 7 maggio 2014 erano almeno dieci (vale a dire le relazioni ospedaliere del 16 gennaio 2006, la relazione del professor D. M. del 16 ottobre 2006, la relazione del dottor R. del 26 ottobre 2006, la relazione del medico del PMO dell’8 maggio 2008, la relazione del dottor R. del 18 settembre 2008, le conclusioni del medico del PMO del 20 novembre 2008, la relazione del sig. D. del 12 agosto 2009, la relazione del professor M. del 17 ottobre 2009, la relazione del dottor Re. del 3 novembre 2009 e le conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010). Le relazioni hanno rilevato, ad esempio:

–        «l’insorgere di una sindrome ansioso depressiva reattiva (…) connessa ai comportamenti professionali riprovevoli di taluni funzionari del Comitato delle regioni»;

–        «[uno] stato ansioso depressivo.», che «[l]’aspetto ansioso depressivo è più importante dell’aspetto depressivo, reattivo, che è di intensità leggera» e che «[t]ale stato si è sviluppato in reazione alle molestie subite sul luogo di lavoro ed “al burn out” che ne è derivato»;

–        «una sindrome da esaurimento nervoso, detta “burn out”, associata all’aver subito molestie psicologiche nell’ambito della propria attività professionale»;

–        «disturbi ansiodepressivi rientranti nell’ambito di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche»;

–        «[che,] considerando che l’interessato ha dovuto affrontare per diversi anni un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche, si può ritenere che i disturbi ansioso depressivi di carattere reattivo siano accompagnati da difficoltà di attenzione e cognitive, che compomettono la sua integrità fisica».

79      Ebbene, per quanto riguarda le dichiarazioni contenute nelle relazioni mediche menzionate al punto 78 supra, si deve rilevare che la seconda commissione di invalidità, nella sua relazione medica di sintesi, ha affermato, in primo luogo, che «“l’invalidità permanente considerata totale che lo pone nell’impossibilità di svolgere le funzioni corrispondenti a un impiego del suo grado”, come indicato all’articolo 78, non risult[ava] “da una malattia professionale”». La seconda commissione di invalidità indica che essa è giunta a tale conclusione tenendo in considerazione i fascicoli clinici e amministrativi, nonché le seguenti considerazioni:

–        il ricorrente, che è stato sottoposto ad un «esame medico approfondito» dalla seconda commissione di invalidità, non presenta alcun sintomo di stress post-traumatico;

–        alcune relazioni del fascicolo clinico hanno raccomandato una graduale ripresa del lavoro da parte del ricorrente;

–        sono le difficoltà psichiche di lunga data, anteriori agli anni 2000 ed agli eventi oggetto della relazione dell’OLAF, che hanno impedito la ripresa del lavoro, che altrimenti sarebbe stata possibile.

80      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’«esame medico approfondito», occorre rilevare che dal fascicolo sottoposto al Tribunale non risulta in cosa esso sia precisamente consistito. Il dottor M. vi fa riferimento in modo vago nella nota dell’8 maggio 2015, laddove indica che il dottor H. ha preparato alcuni quesiti basati sul fascicolo clinico del ricorrente in vista della riunione del 7 maggio 2014. Tuttavia, dalla relazione del dottor G. risulta che la seconda commissione di invalidità si è intrattenuta con il ricorrente soltanto per 15 minuti. Ne consegue che non si può dedurre dal semplice uso dell’espressione «esame medico approfondito» che quest’ultimo abbia consentito alla seconda commissione di invalidità di giungere alla conclusione opposta rispetto alle relazioni mediche anteriori, le quali, peraltro, si basavano su esami e test psicologici più ampi. Inoltre, la seconda commissione di invalidità non espone le ragioni che spiegano in quale modo «l’esame medico approfondito» del ricorrente nel 2014 consentirebbe di valutare il suo stato di salute al momento in cui è stato collocato in invalidità, sette anni prima.

81      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la constatazione secondo la quale il ricorrente sarebbe stato in grado di riprendere l’attività lavorativa, la seconda commissione di invalidità cita due estratti di due relazioni distinte. Il primo estratto, secondo il quale «il sig. McCoy Robert è in grado di riprendere l’attività lavorativa a condizione che gli venga assegnato un posto adeguato», è contenuto in una relazione del dottor V.A. del 13 novembre 2006. Il secondo estratto, secondo il quale «è essenziale il ritorno, nel più breve tempo possibile, ad un’attività lavorativa produttiva», è contenuto in una relazione del professor L. del 16 novembre 2006. Tuttavia, sembra che tali estratti siano privi di pertinenza. In primo luogo, le due relazioni che contengono tali estratti concludono nel senso della sussistenza della malattia professionale del ricorrente. In secondo luogo, le citazioni sono utilizzate fuori contesto. Infatti, sebbene il professor L. ritenesse, nel novembre 2006, che il ritorno al lavoro era «essenziale», ciò si inseriva in un contesto particolare, ossia «[p]er la fiducia in sé stesso e il costante miglioramento dello stato del sig. Mc Coy», e non metteva in discussione l’origine professionale della malattia del ricorrente. In effetti, nella stessa relazione viene indicato che «l’origine della malattia è descritta nella lettera del dottor A ed è stata innescata da eventi attinenti al suo ruolo di controllore finanziario presso il Comitato delle regioni». Inoltre, occorre ricordare che da una lettera predisposta dallo stesso medico il 16 gennaio 2006 risulta che «è probabile che i sintomi da stress post‑traumatico, ansia e depressione si aggravino se nel prossimo futuro il sig. McCoy dovesse ritornare nell’ambiente di lavoro che ha causato la sua attuale condizione medica». Analogamente, per quanto riguarda la citazione del dottor V.A., essa si inserisce nel contesto di un trattamento, in quanto il dottor V.A. non suggeriva che il ricorrente occupasse nuovamente il suo posto precedente, ma che egli avrebbe potuto riprendere la propria attività lavorativa a condizione che quest’ultima fosse adeguata.

82      In terzo luogo, occorre rilevare che i due estratti in questione sono del novembre 2006, mentre il dottor V.A. ha posto il ricorrente in congedo di malattia dopo soltanto sei settimane dalla ripresa dell’attività lavorativa da parte di quest’ultimo, nel febbraio 2007. I fatti dimostrano quindi che, anche se tali due medici ritenevano che il ricorrente potesse riprendere l’attività lavorativa nel novembre 2006, almeno uno di essi ha cambiato parere nel febbraio 2007. Occorre inoltre osservare che la prima commissione di invalidità, nelle conclusioni del 23 maggio 2007 sull’esistenza di un’invalidità, ha dichiarato che il ricorrente era affetto da invalidità permanente considerata totale, che lo poneva nell’impossibilità di svolgere le sue funzioni.

83      Per quanto riguarda, in terzo luogo, le difficoltà psichiche di lunga data del ricorrente, si deve necessariamente constatare che tale considerazione è stata effettuata senza essere seguita da alcuna analisi né conclusione e che, in ogni caso, essa non è sufficiente a spiegare per quali motivi i numerosi esami medici e gli elementi, contenuti nelle relazioni mediche e amministrative, non erano in grado di suffragare, in tutto o in parte, l’origine professionale dell’invalidità del ricorrente. Nella relazione medica di sintesi viene menzionato il consumo eccessivo, per un lungo periodo, di sostanze psicotrope e di alcool, nonché molteplici fattori extraprofessionali, in particolare forti tensioni familiari con depressione pregressa e disturbi della personalità. Tuttavia, tali fatti sono anteriori agli eventi relativi alle pressioni e alle molestie subite dal ricorrente nell’esercizio delle sue funzioni e non hanno impedito ai medici, autori delle relazioni inserite nel fascicolo clinico, di giungere alla conclusione secondo la quale lo stato ansioso depressivo ed il «burn out» del ricorrente traevano origine nella sua situazione professionale.

84      Peraltro, se la constatazione di tali difficoltà dovesse essere intesa nel senso che il ricorrente era già affetto da una malattia prima di assumere le sue funzioni di revisore dei conti interno, questa sola constatazione non basterebbe per non tener conto, nell’esame dell’origine della sua invalidità, dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, dato che la malattia professionale può consistere nell’aggravamento di una malattia preesistente la cui origine risieda altrove.

85      Certamente, la seconda commissione di invalidità cita estratti del fascicolo, ma non spiega, in maniera chiara e comprensibile, la ragioni per le quali si discosta dalle relazioni mediche, anteriori e pertinenti, più favorevoli all’interessato (v. giurisprudenza citata ai punti 76 e 77 supra). La seconda commissione di invalidità si limita a menzionare nella relazione medica di sintesi che secondo essa, «“i disturbi ansiodepressivi rientranti nell’ambito di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche” menzionati nella (…) relazione del dottor J. dell’11 [febbraio] 2010, per i quali è stato riconosciuto “un tasso di invalidità permanente del 10%” in quanto, “ai sensi della normativa, persistono disturbi ansioso depressivi di carattere reattivo, accompagnati da difficoltà emotive e cognitive” non potevano essere tali da contribuire all’invalidità permanente considerata totale del paziente», e ciò senza fornire ulteriori spiegazioni.

86      Allo stesso modo, la seconda commissione di invalidità afferma che essa «è consapevole del fatto che la summenzionata relazione del dottor J. indica che “il sig. McCoy non è più in grado di esercitare alcuna attività professionale[, ma che,] per contro, si deve riconoscere che l’interessato è perfettamente in grado, nonostante la sua età, di esercitare ancora attività professionali nell’ambito della sua vita privata”». Tuttavia, essa si è limitata ad affermare che essa «non condivide[va] tale conclusione sulla base dell’esame medico approfondito da essa effettuato», senza fornire ulteriori informazioni su come tale esame approfondito avesse permesso di giungere alla conclusione opposta.

87      È vero che, anche se la commissione di invalidità è soggetta ad un obbligo di motivazione rinforzato per discostarsi dalle relazioni mediche anteriori, non le può essere imposto di sviluppare una motivazione circostanziata e originale in ogni relazione. Le spetta tuttavia sviluppare in maniera chiara e comprensibile i motivi per i quali essa si discosta da tali pareri. Tuttavia, nel caso di specie, è soltanto in termini vaghi e imprecisi che la seconda commissione di invalidità ha cercato di spiegare il motivo per il quale si era discostata dalle relazioni mediche antecedenti. A tale riguardo, occorre sottolineare che non può essere sufficiente indicare, come ha fatto il dottor M. nella nota dell’8 maggio 2015, soltanto che, «anche se non [venivano] espressamente menzionati, tutti i documenti erano a disposizione della seconda commissione di invalidità». Ciò non può costituire un modo chiaro e comprensibile di spiegare i motivi per i quali la seconda commissione di invalidità si è discostata dalle relazioni mediche e amministrative favorevoli al ricorrente. Inoltre, la seconda commissione di invalidità si è limitata a commentare soltanto due frasi contenute nel fascicolo clinico, mentre quest’ultimo contiene almeno una decina di relazioni mediche.

88      In definitiva, risulta da quanto precede che, da un lato, la seconda commissione di invalidità non ha dato spiegazioni sufficienti, sul piano giuridico, quanto ai motivi che l’hanno indotta a discostarsi dalle relazioni mediche anteriori che attestano chiaramente l’origine professionale della malattia del ricorrente e, dall’altro, che essa non ha neppure sufficientemente spiegato per quali motivi l’origine dell’invalidità del ricorrente non potesse essere professionale. A tale riguardo, la seconda commissione di invalidità non ha in particolare fornito un’adeguata spiegazione del fatto di non aver esaminato il possibile impatto dei fatti risultanti dal fascicolo amministrativo sullo stato di salute del ricorrente, nonostante detto fascicolo faccia comunque chiaro riferimento a un grave conflitto professionale ed a «molestie» nei confronti del ricorrente. Ebbene, tale carenza di motivazione incide sulle conclusioni trasmesse all’APN nonché sulla decisione impugnata, e pertanto il presente motivo deve essere accolto in quanto fondato.

89      Occorre ricordare, come è stato indicato al punto 58 supra, che il Tribunale ritiene opportuno trattare gli argomenti relativi alla presunta violazione della nozione di malattia professionale nell’ambito del terzo motivo, vertente esso stesso su un errore manifesto di valutazione.

 Sul terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione della nozione di malattia professionale

90      Il ricorrente sostiene che la seconda commissione di invalidità si è preoccupata unicamente del suo attuale stato di salute, senza ricercare l’origine della sua malattia. Ciò risulterebbe, in particolare, dai quesiti posti in occasione della riunione del 7 maggio 2014 dai dottori M. e H. Ne conseguirebbe che la conclusione secondo la quale non sussistono argomenti che dimostrino l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inabilità al lavoro ed il fattore di stress sul lavoro sarebbe fondata su un errore manifesto di valutazione. A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente cita estratti di diversi rapporti medici nei quali viene accertato che l’origine della sua inabilità al lavoro è dovuta alla pressione che ha subito durante la propria attività lavorativa.

91      Inoltre, il ricorrente sostiene che, sebbene la commissione di invalidità ritenesse che l’origine della sua invalidità derivava da un eccessivo consumo di alcool, era necessario che disponesse di elementi medici probanti in tal senso. Ebbene, il ricorrente sottolinea che nulla risulta dal fascicolo su tale punto. In particolare, il fascicolo non conterrebbe alcun elemento in grado di dimostrare qualsiasi tipo di consumo – e ancor meno un consumo eccessivo – di alcool. Secondo il ricorrente, alla seconda commissione di invalidità sarebbe bastato richiedere i risultati delle analisi del sangue che aveva effettuato prima del 2000, il che, peraltro, avrebbe provato che non consumava alcool.

92      Pertanto, dal momento che la seconda commissione di invalidità, a maggioranza, attribuisce l’origine dell’invalidità a fattori extraprofessionali, la questione se l’esistenza di tali fattori extraprofessionali possa essere considerata la causa, per di più unica, dell’invalidità non costituirebbe una valutazione medica, contrariamente a quanto avrebbe sostenuto l’APN nella decisione di rigetto del reclamo.

93      Il ricorrente sostiene inoltre che, limitando l’oggetto dell’esame soltanto al suo attuale stato di salute e al suo stato di salute anteriore agli eventi oggetto della relazione dell’OLAF, la seconda commissione di invalidità viola la nozione di malattia professionale, laddove non si pronuncia sul deterioramento del suo stato di salute che trova origine nella sua situazione professionale.

94      Il Comitato delle regioni contesta le argomentazioni del ricorrente. A suo avviso, l’APN ha effettivamente esercitato il suo controllo verificando e valutando se la seconda commissione di invalidità si fosse assicurata di disporre di tutti gli elementi necessari per l’espletamento del suo compito e se si fosse debitamente informata dei requisiti risultanti dall’esecuzione della sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56).

95      Inoltre, il ricorrente affermerebbe erroneamente che la seconda commissione di invalidità si sarebbe basata esclusivamente sul suo attuale stato di salute. Infatti, l’origine non professionale della sua invalidità sarebbe stata accertata dopo un esame del fascicolo clinico e amministrativo del ricorrente e con riferimento ai suoi antecedenti medici e psichici, nonché alla sua attuale situazione medica e alle spiegazioni fornite dal ricorrente.

96      Infine, il Comitato delle regioni sottolinea che la presa in considerazione dello stato attuale del ricorrente al fine di valutare l’origine potenzialmente professionale della sua invalidità costituirebbe una valutazione medica in senso proprio, che esulerebbe dal sindacato del Tribunale. Lo stesso varrebbe anche per quanto riguarda i fattori extraprofessionali dell’invalidità.

97      Occorre ricordare che, tenuto conto del sindacato giurisdizionale limitato che il Tribunale è tenuto ad esercitare quando si tratta di valutazioni mediche in senso proprio, una censura fondata sull’errore manifesto di valutazione da cui sarebbe viziato il parere della commissione di invalidità non può essere accolta (v., in tal senso, sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).

98      Tuttavia, al pari del sindacato che effettua in ambiti che richiedono valutazioni complesse, in particolare nelle cause in cui numerosi elementi, quali relazioni di periti, pareri o consultazioni, sono disponibili, il giudice dell’Unione, investito del controllo di una decisione emessa da una commissione di invalidità o di una decisione emessa da una APN e fondata essa stessa su siffatta decisione, è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte (v., per analogia, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 54).

99      In particolare, spetta al giudice dell’Unione svolgere il sindacato di legittimità ad esso incombente, esaminando gli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei motivi dedotti, senza che il suo sindacato possa essere limitato dal margine di discrezionalità di cui dispone la commissione di invalidità o l’APN per scegliere gli elementi da prendere in considerazione o da escludere per fondare la propria decisione. In tali circostanze, il sindacato giurisdizionale limitato, per quanto riguarda le valutazioni mediche in senso proprio, non può impedire al giudice dell’Unione di verificare se la commissione di invalidità abbia preso in considerazione tutti gli elementi che appaiono manifestamente rilevanti per la missione ad esso affidata.

100    Nel caso di specie, dalla relazione medica di sintesi, come ricordato dal Comitato delle regioni, risulta che la seconda commissione di invalidità ha esaminato il fascicolo clinico e amministrativo del ricorrente e ha fatto riferimento ai suoi antecedenti extraprofessionali e psichici, nonché alla sua attuale situazione medica e alle spiegazioni del ricorrente, al fine di giungere alla constatazione dell’origine non professionale della sua invalidità. Ciò conferma il fatto che la seconda commissione di invalidità, come sostiene il ricorrente, si è basata unicamente sugli antecedenti extraprofessionali e psichici e sul suo stato di salute nel 2014. A tale riguardo, occorre rilevare che la seconda commissione di invalidità si riferisce esplicitamente agli antecedenti psichici ed agli altri fattori extraprofessionali, come l’eccessivo consumo di sostanze psicotrope e alcool, che risultano dal fascicolo sanitario, mentre la difficile situazione professionale del ricorrente rientra anche nel fascicolo clinico e amministrativo, ma è menzionata solo in modo assai vago per essere respinta senza spiegazioni (v. sopra, punti da 79 a 81). Infatti, se la seconda commissione di invalidità avesse esaminato l’eventuale collegamento tra la situazione professionale e la salute del ricorrente, ciò sarebbe stato oggetto di ulteriore analisi, quantomeno nella relazione medica di sintesi, in modo altrettanto ampio rispetto ai suoi antecedenti psicologici e del suo stato di salute nel 2014. Ebbene, nel caso di specie, si fa unicamente riferimento al fatto che la seconda commissione di invalidità ha tenuto conto del fascicolo sanitario e amministrativo, senza ulteriori precisazioni.

101    A tale riguardo, occorre rilevare che dal fascicolo sottoposto al Tribunale risulta che, anche se il ricorrente ha avuto in passato problemi di salute, egli non aveva tali problemi al momento della sua entrata in funzione presso il Comitato delle regioni. Ebbene, durante il periodo in cui ha esercitato le sue funzioni presso il Comitato delle regioni egli ha subito, nell’ambito di queste ultime, molestie psicologiche e pressioni ed ha avuto, in tale periodo e subito dopo, problemi di salute. Tuttavia, la seconda commissione di invalidità sembra aver omesso di esaminare tali fatti, che sono invece di particolare rilevanza nel caso di specie.

102    Pertanto, poiché l’obiettivo della seconda commissione di invalidità era di dimostrare o escludere un collegamento tra la situazione professionale e l’invalidità del ricorrente, si deve concludere che la commissione non poteva, senza violare la nozione di malattia professionale e incorrere nella propria relazione medica di sintesi in un errore manifesto di valutazione, far sembrare che essa si basasse unicamente sui suoi antecedenti psichici ed extraprofessionali, nonché sul suo stato di salute nel 2014. Ciò vale soprattutto nella misura in cui è stato dimostrato nel fascicolo amministrativo che il ricorrente era stata vittima di molestie e di pressioni nell’ambito delle sue funzioni. A tale riguardo è pertinente ricordare che, nelle situazioni complesse in cui la malattia di un funzionario trova la sua origine in più cause, professionali ed extraprofessionali, fisiche o psichiche, ciascuna delle quali ha contribuito al suo insorgere, spetta alla commissione medica determinare se l’esercizio delle funzioni al servizio delle istituzioni dell’Unione presenti un rapporto diretto con la malattia del funzionario, ad esempio in qualità di fattore scatenante di tale malattia. In casi del genere, non è necessario, perché la malattia sia riconosciuta di origine professionale, che essa trovi la sua causa unica, essenziale, preponderante o predominante nell’esercizio delle funzioni (sentenza del 14 settembre 2010, AE/Commissione, F‑79/09, EU:F:2010:99, punto 83).

103    Alla luce di quanto precede, si deve statuire che il terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione della nozione di malattia professionale, deve essere accolto in quanto fondato.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione del mandato della seconda commissione di invalidità

104    Il ricorrente sostiene in sostanza che, esaminando il suo stato di salute nel 2014, la seconda commissione di invalidità abbia violato il suo mandato, il quale consisteva nel valutare se, al momento in cui è stato collocato in invalidità nel 2007, egli era affetto da una malattia di origine professionale.

105    Il Comitato delle regioni ritiene che la commissione di invalidità abbia rispettato il proprio mandato. A suo avviso, quest’ultima ha tratto conclusioni di carattere medico dai sui lavori e il fatto che essa si sia basata, in particolare, su un «esame medico approfondito» del ricorrente effettuato il 7 maggio 2014 e sui suoi antecedenti non costituisce una violazione del suo mandato. Secondo il Comitato delle regioni, su tale punto non si può che respingere l’argomento del ricorrente secondo il quale la seconda commissione di invalidità «doveva pronunciarsi retroattivamente nel 2007», in quanto ciò equivarrebbe a negare il diritto, per tale commissione, di effettuare nel 2014 qualsiasi «esame medico approfondito» e ad effettuare una valutazione medica sull’intero fascicolo.

106    Si deve ricordare che spettava alla seconda commissione di invalidità, nell’ambito del suo mandato, effettuare valutazioni mediche sulla questione dell’origine professionale dell’invalidità del ricorrente. Spettava dunque a tale commissione di invalidità verificare se, dal punto di vista medico, l’invalidità del ricorrente risultasse o meno da una malattia professionale la cui origine si trovasse nelle sue condizioni lavorative quando esercitava le proprie funzioni presso il Comitato delle regioni (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 1987, Rienzi/Commissione, 76/84, EU:C:1987:17, punti 9 e 12).

107    Nella misura in cui il quarto motivo possa essere inteso come relativo al fatto che la seconda commissione di invalidità non avrebbe rispettato i termini del suo mandato quanto all’esame dell’origine dell’invalidità del ricorrente, occorre ricordare che spettava alla commissione, nell’ambito del suo mandato, operare valutazioni di carattere medico, e non valutazioni di ordine giuridico, sulla questione dell’origine professionale dell’invalidità. Spettava dunque a tale commissione verificare se, sotto il profilo medico, l’invalidità del ricorrente risultasse o meno da una malattia professionale la cui origine si trovava nelle sue condizioni lavorative (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 1987, Rienzi/Commissione, 76/84, EU:C:1987:17, punti 9 e 12).

108    In quest’ottica, si deve constatare che la commissione di invalidità ha eseguito – nel senso rigoroso del termine – il compito affidatole in quanto, nelle conclusioni del 7 maggio 2014, essa ha affermato che, sotto il profilo medico, l’invalidità del ricorrente «non risulta[va] da una malattia professionale».

109    Alla luce di quanto precede, il quarto motivo è infondato e deve essere respinto.

 Sul settimo motivo, vertente sul mancato rispetto del termine ragionevole

110    Il ricorrente ritiene che, considerata la sua durata, il periodo di 19 mesi intercorso tra la pronuncia della sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), e la fine dei lavori della seconda commissione di invalidità, il 10 novembre 2014, consenta di accertare una violazione del termine ragionevole. Il ricorrente contesta al Comitato delle regioni di aver costituito la seconda commissione di invalidità soltanto dal 14 febbraio 2014. Inoltre, esso sostiene che tale commissione non si è riunita prima del 15 aprile e del 7 maggio 2014. Allo stesso modo, il ricorrente contesta al dottor H di aver atteso fino al 10 novembre 2014 per inviare al suo rappresentante, il dottor G., i verbali firmati. Esso fa valere inoltre che, nonostante la decisione impugnata sia stata adottata il 2 dicembre 2014, essa gli è stata notificata soltanto con lettera del 22 dicembre 2014, spedita il 5 gennaio 2015.

111    Per il ricorrente, le spiegazioni fornite dall’APN nella decisione di rigetto del reclamo, secondo le quali uno dei documenti era stato danneggiato, non giustificano il ritardo nell’invio dei verbali.

112    Il Comitato delle regioni contesta le argomentazioni del ricorrente.

113    Occorre ricordare che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nell’espletamento dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto dell’Unione di cui il giudice garantisce il rispetto e che è riportato come componente del diritto ad una buona amministrazione dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni, F‑86/11, EU:F:2013:56, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).

114    Tuttavia, la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole, anche supponendo che sia provata, non giustificherebbe l’annullamento della decisione impugnata per irregolarità della procedura. Infatti, un eventuale lasso di tempo eccessivo per la trattazione della domanda presentata dal ricorrente ai fini del riconoscimento dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto non può avere influenza, in linea di principio, sul contenuto stesso del parere della commissione di invalidità né su quello della decisione impugnata. Infatti, un ritardo del genere, salvo situazioni eccezionali, non potrebbe modificare la valutazione, da parte della commissione di invalidità, dell’origine professionale dell’invalidità ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto (sentenza del 21 ottobre 2009, V/Commissione, F‑33/08, EU:F:2009:141, punto 210; v. anche, in tal senso, sentenza dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, EU:T:2006:111, punto 163). Se è vero che la durata di una procedura di ordine medico può avere un’incidenza sulla valutazione della gravità e delle conseguenze di una patologia e rendere più difficoltoso l’esame dell’eziologia di quest’ultima (sentenza del 14 settembre 2010, AE/Commissione, F‑79/09, EU:F:2010:99, punto 102), nella fattispecie non è dimostrato e neppure asserito che la durata eccessiva della procedura abbia inciso sugli elementi di fondo alla luce dei quali la seconda commissione di invalidità ha emesso le sue conclusioni. Il decorso di tempo eccessivo, anche supponendo che si sia verificato, non può dunque pregiudicare la legittimità delle conclusioni della commissione, né, di conseguenza, quella della decisione impugnata.

115    Inoltre, si deve constatare che a torto il ricorrente attribuisce il decorso di un periodo di 19 mesi e la responsabilità di una violazione del principio del termine ragionevole al Comitato delle regioni. Infatti, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, è su sua richiesta che il Comitato delle regioni ha pregato il presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea di designare un terzo medico. Ebbene, il Comitato delle regioni è stato informato della designazione del dottor H. soltanto nel febbraio 2014. Inoltre, dallo scambio di messaggi di posta elettronica tra il dottor M. e il dottor G. risulta che quest’ultimo ha espresso il 19 settembre 2013 la propria preferenza per il dottor L., proposto dal dottor M. È solo l’8 novembre 2013 che il ricorrente ha informato il Comitato delle regioni che né lui né il dottor G. avevano espresso il proprio consenso alla designazione del dottor L. Pertanto, si deve constatare che il ricorrente ha esso stesso contribuito al ritardo derivante dal fatto che un medico venga designato dal presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea.

116    Di conseguenza, il settimo motivo, vertente sul mancato rispetto del termine ragionevole, deve essere respinto in quanto infondato.

 Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione del principio di collegialità

117    Il ricorrente sostiene che il fatto che l’APN abbia interrogato soltanto il dottor M., che avrebbe interloquito unicamente con il dottor H., senza tenere informato il dottor G., costituirebbe una violazione del principio di collegialità.

118    Il Comitato delle regioni ritiene, riferendosi alle riunioni della seconda commissione di invalidità del 15 aprile e del 7 maggio 2014, nonché al carteggio intervenuto successivamente, che ciascun membro della seconda commissione di invalidità ha avuto la possibilità di far valere utilmente il proprio punto di vista e che, pertanto, tale principio non è stato violato. Il Comitato delle regioni rammenta inoltre che i fatti della presente causa sono molto simili a quelli della causa che ha dato luogo alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), nella quale è stato dichiarato che il principio di collegialità non era stato violato.

119    Risulta da una giurisprudenza costante che la commissione di invalidità deve compiere i propri lavori in maniera collegiale, mentre ciascuno dei suoi membri dev’essere posto in grado di esprimere liberamente la propria opinione (v., in tal senso, sentenze del 22 novembre 1990, V./Parlamento, T‑54/89, EU:T:1990:71, punto 34, e del 27 febbraio 2003, Camacho‑Fernandes/Commissione, T‑20/00, EU:T:2003:47, punti 45 e seguenti).

120    Nel caso di specie, si deve ritenere che il principio invocato dal ricorrente non sia stato violato. Infatti, la seconda commissione di invalidità si è riunita due volte, il 15 aprile e il 7 maggio 2014. Nel corso di tali riunioni, dopo aver preso conoscenza dell’intero fascicolo clinico e amministrativo riguardante il ricorrente, ciascun medico ha potuto far valere il proprio punto di vista, sia oralmente che per iscritto. I dottori M. e H. hanno emesso conclusioni firmate e il dottor G. ha potuto presentare le sue conclusioni divergenti. Tali tre medici hanno anche avuto la possibilità di preparare le loro relazioni, che sono state successivamente inserite nel fascicolo clinico. Occorre pertanto respingere il motivo vertente sulla violazione del principio di collegialità da parte della seconda commissione di invalidità.

121    L’ottavo motivo deve essere quindi respinto in quanto infondato.

122    Ne consegue che i motivi quarto, settimo e ottavo devono essere respinti in quanto infondati. Per contro, poiché il secondo motivo, vertente su un difetto di motivazione, e il terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e su una violazione della nozione di malattia professionale, sono stati dichiarati fondati, occorre annullare la decisione impugnata sulla base di questi ultimi.

 Sui motivi fondati sulle circostanze verificatesi dopo l’adozione della decisione impugnata e la domanda di risarcimento dei danni

123    Come è stato rilevato ai punti 56 e 57 supra, il primo, il quinto e il sesto motivo non possono inficiare la legittimità della decisione impugnata. Tuttavia, le illegittimità sollevate in tali motivi devono essere prese in considerazione nell’ambito della domanda di risarcimento dei danni.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 78 dello Statuto, per il mancato controllo dei lavori della seconda commissione di invalidità

124    Il ricorrente deduce, in sostanza, tre censure dirette a dimostrare che l’APN è venuta meno al suo obbligo di controllo dei lavori della seconda commissione di invalidità. In primo luogo, l’APN sarebbe incorsa in un errore nel rifiutare di consultare il fascicolo clinico del ricorrente, nonostante fosse stata invitata a farlo. In secondo luogo, essa sarebbe incorsa in un errore laddove si è limitata ad interrogare il dottor M. (v. punto 42 supra) in merito alla regolarità dei lavori della seconda commissione di invalidità, al fine di assicurarsi che tali lavori si fossero svolti in modo regolare. Secondo il ricorrente, un simile approccio finirebbe per sollevare l’APN dal controllo che le spetta ed a svuotare tale controllo di ogni effetto utile. In terzo luogo, il ricorrente sostiene che l’APN avrebbe violato le garanzie procedurali per il motivo che essa ha interrogato unicamente il medico designato dal Comitato delle regioni al fine di rispondere alle domande sulla verifica della regolarità dei lavori della seconda commissione di invalidità, il che violerebbe in particolare il principio di imparzialità.

125    Il Comitato delle regioni contesta le argomentazioni del ricorrente.

126    Per quanto riguarda la prima censura, il Comitato delle regioni sostiene che il controllo dell’APN è limitato e che è stato da quest’ultima esercitato conformemente alle norme applicabili.

127    Il Comitato delle regioni fa riferimento al documento intitolato «Manuale di procedura in materia di commissioni di invalidità» e rammenta che quest’ultimo sancisce, al titolo IV «Funzionamento della commissione di invalidità», l’indipendenza e la segretezza dei lavori della commissione di invalidità. Ne conseguirebbe che l’APN non può accedere alle informazioni contenute in tali lavori e, per emettere la propria decisione, disporrebbe unicamente delle conclusioni della seconda commissione di invalidità, le quali non contengono alcuna informazione di natura medica.

128    Il Comitato delle regioni sostiene altresì che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, l’APN non era tenuta a consultare il fascicolo clinico. Spetterebbe eventualmente al ricorrente comunicare in modo esplicito all’APN le informazioni del fascicolo clinico ai fini dell’esame del suo reclamo, esponendo al contempo i legami che intendeva trovarvi con le censure dedotte nel suo reclamo.

129    Peraltro, l’invito del ricorrente a che l’APN consultasse il fascicolo clinico sarebbe intervenuto dopo il deposito del reclamo.

130    Inoltre, il Comitato delle regioni ha ricordato che le valutazioni mediche in senso proprio non potevano essere contestate nell’ambito delle procedure di ricorso. In ragione del controllo limitato dell’APN sotto tale profilo, a quest’ultima spetterebbe unicamente di valutare correttamente i fatti e di garantire l’esatta applicazione delle norme applicabili nell’ambito dei lavori della commissione di invalidità.

131    Il Comitato delle regioni considera quindi che non possa essere contestato all’APN di non aver correttamente valutato i fatti o di aver violato le disposizioni giuridiche applicabili.

132    Il Comitato delle regioni ritiene, per quanto riguarda la seconda censura, di essersi conformato alle norme interrogando il dottor M. Il Comitato delle regioni sostiene che, scegliendo di raccogliere le informazioni necessarie per il trattamento del reclamo mediante l’uso di un questionario, l’APN ha scelto il metodo meno invasivo per non compromettere la riservatezza dei lavori della seconda commissione di invalidità, il segreto medico e la protezione dei dati personali sensibili.

133    Per quanto riguarda la terza censura, secondo la quale l’APN avrebbe commesso un errore nell’interrogare soltanto il medico designato dall’istituzione, il Comitato delle regioni sostiene che le domande poste dell’APN erano sufficientemente neutre e precise per ottenere risposte obiettive da parte di tale medico. Il Comitato delle regioni si limita, inoltre, a ricordare che, alla luce delle norme deontologiche che disciplinano la professione del dottor M., appare poco probabile che quest’ultimo sia venuto meno al proprio dovere di indipendenza. Di conseguenza, il fatto che al dottor M. sia stato chiesto di rispondere alle domande di controllo non viola il principio di imparzialità. Una tale affermazione equivarrebbe a dubitare dell’imparzialità dell’APN quando viene investita di un reclamo.

134    Inoltre, il Comitato delle regioni sostiene che i tre medici che compongono la seconda commissione di invalidità sono stati designati conformemente alle norme in vigore e hanno avuto la possibilità di esprimere il loro parere in occasione delle riunioni del 15 aprile e del 7 maggio 2014, cosa che hanno effettivamente fatto. Per il Comitato delle regioni, è soltanto dopo la chiusura dei lavori della seconda commissione di invalidità e dopo la presentazione del reclamo – con cui il ricorrente, assistito se del caso dal suo medico, ha potuto far valere le sue censure – che il dottor M. è stato interrogato.

135    Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura secondo la quale l’APN non avrebbe effettuato un controllo sufficiente dei lavori della seconda commissione di invalidità, rifiutando di consultare il fascicolo clinico, va innanzitutto considerato, come ha fatto il Comitato delle regioni, che, anche se il ricorrente avesse rimosso la segretezza dei lavori della commissione di invalidità, egli era tenuto a comunicare esplicitamente all’APN le informazioni contenute nel fascicolo clinico ai fini dell’esame del suo reclamo, spiegando i legami che intendeva trovarvi con le censure dedotte.

136    Occorre inoltre osservare che, nel caso di specie, l’APN aveva richiamato l’attenzione del dottor M. sui principali punti che hanno portato all’annullamento della decisione della prima commissione di invalidità nella sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56). Infatti, in un messaggio di posta elettronica del 2 aprile 2014, l’APN, alla luce di tale sentenza, ha ricordato in particolare l’importanza per la commissione di invalidità di disporre in anticipo di tutti i dati, di rispettare l’obbligo di motivazione (generale e specifico), di organizzare una visita medica e, se necessario, di effettuare esami complementari, di comunicare le sue conclusioni all’amministrazione e di completare il fascicolo clinico con almeno una relazione medica di sintesi.

137    Tuttavia, alla luce di tali considerazioni e del fatto che il ricorrente, nel suo reclamo, ha presentato una serie di argomenti volti a dimostrare che non solo le conclusioni della commissione d’invalidità, ma anche la relazione medica di sintesi era viziata da illegittimità, in particolare alla luce della sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), il Comitato delle regioni avrebbe dovuto, quanto meno, consultare la relazione. Ebbene, quando il ricorrente ha invitato il Comitato delle regioni a consultare il suo fascicolo clinico, quest’ultimo ha formulato, in un messaggio di posta elettronica dell’8 giugno 2015, la risposta seguente: «[N]on intendiamo chiedervi l’accesso alla relazione medica di sintesi nell’ambito della procedura di risposta al reclamo (…)».

138    Occorre dichiarare che il mancato esame di tale documento, nonostante il ricorrente avesse invitato all’APN a consultarlo in quanto documento importante ai fini della trattazione del reclamo, deve essere considerato come un’omissione di controllo dei lavori della seconda commissione di invalidità. È vero che il fascicolo medico è segreto e che il Comitato delle regioni non aveva la possibilità di consultarlo prima dell’adozione della decisione impugnata, ma quest’ultimo avrebbe potuto almeno accettare di consultare la relazione medica di sintesi al momento del reclamo e dopo che il ricorrente l’aveva invitato a farlo. Ciò avrebbe effettivamente permesso al Comitato delle regioni di verificare se la commissione di invalidità avesse rispettato gli obblighi giuridici e procedurali ai quali era tenuta, senza tuttavia pronunciarsi sulle valutazioni mediche.

139    Per quanto riguarda la seconda censura, si deve ricordare che, nel caso di specie, l’APN si è rivolta al medico designato dal Comitato delle regioni per porgli una serie di domande al fine di rispondere al reclamo.

140    Ebbene, limitandosi a porre tali domande al medico designato dall’istituzione e basandosi unicamente sulle sue risposte contenute nella nota dell’8 maggio 2015, l’APN non si è assicurata di aver controllato, in modo soddisfacente, la regolarità dei lavori della seconda commissione di invalidità. Infatti, omettendo di consultare gli altri due medici e rifiutando di consultare la relazione medica di sintesi, l’APN aveva una visione solo parziale dei lavori della seconda commissione di invalidità. Ebbene, nel caso di specie, era particolarmente importante che l’APN si assicurasse di avere una visione completa di tali lavori al fine di controllarne la regolarità, in particolare alla luce del fatto che tra il richiedente e il Comitato delle regioni si protraevano da più anni diverse controversie.

141    Per quanto riguarda la terza censura, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, «[a] termini dell’articolo 41 della Carta, ogni individuo ha diritto in particolare a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione [e che t]ale esigenza di imparzialità riguarda, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio» (sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155).

142    Alla luce di tale giurisprudenza, si deve dichiarare che, in assenza di una consultazione di altri medici che fanno parte della seconda commissione di invalidità, l’APN non poteva garantire di aver proceduto in modo tale che il suo esame della regolarità dei lavori di tale commissione fosse esente da qualsiasi dubbio circa la sua imparzialità. Occorre quindi sottolineare che, in circostanze come quelle del caso di specie, spettava all’APN assicurare non solo che il Comitato delle regioni agisse in modo imparziale, ma anche che le sue azioni fossero percepite come tali dal richiedente e dai terzi. A tale riguardo, è importante rilevare che il ricorrente aveva già, nel suo reclamo, messo in dubbio l’imparzialità del dottor M. I suoi dubbi si fondavano sulla circostanza che tale medico si era già pronunciato in senso sfavorevole nei suoi confronti alla prima riunione della seconda commissione di invalidità, quando non poteva essere stato effettuato alcun esame medico, ed ancor meno l’esame medico «approfondito» menzionato nel verbale della seconda riunione del 7 maggio 2015.

143    Pertanto, il Comitato delle regioni non ha effettuato un controllo completo dei lavori della seconda commissione di invalidità e non ha garantito in modo soddisfacente il principio di imparzialità.

144    Ne consegue che le tre censure sollevate nell’ambito del primo motivo appaiono fondate e che saranno prese in considerazione nell’esame della domanda di risarcimento dei danni.

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del dovere di sollecitudine

145    Il ricorrente sostiene che l’assenza di un controllo e le violazioni delle garanzie procedurali, quali evocate nell’ambito del primo motivo, sono state portate alla conoscenza del Comitato delle regioni, cosicché quest’ultimo avrebbe dovuto reagire, cosa che tuttavia non si è verificata. Tale circostanza costituirebbe dunque una violazione del dovere di sollecitudine.

146    Il Comitato delle regioni sostiene che l’APN non deve intromettersi nei lavori della commissione di invalidità, la quale deve lavorare in totale indipendenza. Esso ritiene altresì che l’APN si sia correttamente assicurata che i lavori della seconda commissione di invalidità si fossero svolti regolarmente ponendo domande al dottor M. Il Comitato delle regioni ricorda inoltre che hanno avuto luogo diversi scambi di corrispondenza e che sono state organizzate riunioni tra il ricorrente e i vertici del Comitato delle regioni. Quest’ultimo, pertanto, non avrebbe violato il suo dovere di sollecitudine.

147    Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, il dovere di sollecitudine e il principio di buona amministrazione che incombono sull’amministrazione implicano in particolare che l’APN, qualora si pronunci sulla situazione di un funzionario, deve prendere in considerazione il complesso degli aspetti che possono influire sulla decisione e, nel far ciò, deve tener conto non solo dell’interesse del servizio, ma anche di quello del funzionario (ordinanza del 7 giugno 1991, Weyrich/Commissione, T‑14/91, EU:T:1991:28, punto 50).

148    Si deve constatare che, alla luce di tale principio e di quanto precede, per quanto riguarda il controllo effettuato nel caso di specie dall’APN, era nell’interesse del servizio e del ricorrente che l’APN prendesse in considerazione tutti gli elementi in grado di determinare la sua decisione. In tal senso, essa avrebbe dovuto, oltre alle conclusioni del 7 maggio 2014, consultare anche la relazione medica di sintesi e i pareri dei tre medici che facevano parte della seconda commissione di invalidità, al fine di avere una visone più completa del fascicolo. Nella misura in cui ciò non è stato fatto, l’APN è venuta meno anche al suo dovere di diligenza. Infatti, occorre ripetere che, tenuto conto della significativa durata di tutte le diverse controversie tra il ricorrente e il Comitato delle regioni e del fatto che il ricorrente poteva nutrire dubbi in merito all’imparzialità del medico designato dall’istituzione, il Comitato delle regioni era tenuto ad assicurarsi che siffatti dubbi non potessero esistere. Ebbene, astenendosi dal prendere misure in tal senso, il Comitato delle regioni è venuto meno al proprio dovere di sollecitudine.

149    Occorre pertanto dichiarare la fondatezza del quinto motivo e tenerne conto nell’ambito dell’esame della domanda di risarcimento dei danni.

 Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 266 TFUE

150    Il ricorrente afferma che il Comitato delle regioni non ha dato esecuzione alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56). L’APN, infatti, non avrebbe controllato efficacemente i lavori della seconda commissione di invalidità, limitandosi a porre domande al medico designato dall’istituzione, come indicato in precedenza.

151    Il Comitato delle regioni contesta gli argomenti del ricorrente e sostiene di aver dato effettiva esecuzione alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56).

152    Occorre ricordare che, in caso di annullamento da parte del giudice di un atto di un’istituzione, spetta a quest’ultima, ai sensi dell’articolo 266 TFUE, adottare gli opportuni provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. Secondo una costante giurisprudenza, per conformarsi alla sentenza d’annullamento e dare ad essa piena esecuzione, l’istituzione da cui emana l’atto annullato è tenuta a rispettare non solo il dispositivo della sentenza, ma anche la motivazione che ha condotto a quest’ultimo e che ne costituisce il sostegno necessario, nel senso che essa è indispensabile per determinare il significato esatto di quanto è stato dichiarato nel dispositivo. È infatti questa motivazione che, in primo luogo, individua la disposizione considerata come illegittima e, in secondo luogo, evidenzia le ragioni dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato (v. ordinanza del 29 giugno 2005, Pappas/Comitato delle regioni, T‑254/04, EU:T:2005:260, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

153    Va inoltre ricordato che l’articolo 266 TFUE impone all’istituzione interessata di evitare che qualsiasi atto destinato a sostituire l’atto annullato sia viziato dalle medesime irregolarità individuate nella sentenza di annullamento (v., in tal senso, senso, sentenza del 10 novembre 2010, UAMI/Simões Dos Santos, T‑260/09 P, EU:T:2010:461, punti da 70 a 72).

154    Quanto agli effetti dell’annullamento di un atto pronunciato dal giudice, esso opera ex tunc e ha pertanto la conseguenza di eliminare retroattivamente l’atto annullato dall’ordinamento giuridico. L’istituzione convenuta è tenuta, in forza dell’articolo 266 TFUE, a prendere i provvedimenti necessari per neutralizzare gli effetti delle illegittimità accertate, il che, nel caso di un atto cui sia già stata data esecuzione, implica riportare il ricorrente esattamente nella stessa posizione in cui si trovava anteriormente a tale atto (ordinanza del 29 giugno 2005, Pappas/Comitato delle regioni, T‑254/04, EU:T:2005:260, punto 37, e sentenza del 15 aprile 2010, Angelidis/Parlamento, F‑104/08, EU:F:2010:23, punto 36).

155    È alla luce di tali principi che occorre esaminare se, nel caso di specie, il Comitato delle regioni abbia correttamente dato esecuzione alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56).

156    A tale riguardo, occorre rilevare che il ricorrente ha potuto dimostrare, come è stato constatato nell’ambito dell’esame del primo motivo, che il Comitato delle regioni non ha sufficientemente controllato i lavori della seconda commissione di invalidità. Tuttavia, tale mancanza di controllo non può essere sufficiente, di per sé, a dimostrare che il Comitato delle regioni ha violato l’articolo 266 TFUE. Infatti, spetta anche al ricorrente precisare, alla luce della giurisprudenza citata ai punti da 152 a 154 supra, in quale modo tale mancanza di controllo abbia contribuito alla violazione dell’obbligo di dare esecuzione alla sentenza del 7 maggio 2013, McCoy/Comitato delle regioni (F‑86/11, EU:F:2013:56), cosa che non ha fatto.

157    In tali condizioni, il sesto motivo deve essere respinto in quanto infondato. Di conseguenza, non sarà preso in considerazione nell’ambito della domanda di risarcimento dei danni.

 Sulla domanda di risarcimento dei danni

158    Il ricorrente chiede un risarcimento danni dell’importo di EUR 5 000 per gli atti illegittimi che hanno contribuito alla situazione di attesa e di incertezza in cui egli versa e di EUR 20 000 per la violazione, da parte del Comitato delle regioni, dell’articolo 266 TFUE.

159    Il ricorrente sostiene che l’adozione della decisione impugnata ha avuto l’effetto di collocarlo nuovamente in una situazione di attesa della chiusura definitiva del procedimento avviato ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, in seguito al suo collocamento in invalidità che risale al giugno 2007. Egli ritiene che tale prolungamento della situazione di attesa e di incertezza, provocato dall’illegittimità sia della decisione del 10 settembre 2010 che della decisione impugnata, è all’origine del danno morale che egli lamenta.

160    Inoltre, il ricorrente fa riferimento alla gravità della decisione impugnata, alla natura dell’illecito commesso e le circostanze in cui tale illecito ha avuto luogo. Egli sottolinea inoltre che la fase precontenziosa ha essa stessa contribuito a mettere in luce altri illeciti, mostrando che il Comitato delle regioni aveva rifiutato di esercitare la sua competenza e aveva in particolare cercato, a due riprese, il parere unilaterale del medico designato dall’istituzione.

161    L’annullamento della decisione impugnata non può, secondo il ricorrente, costituire in sé stesso un risarcimento adeguato e sufficiente del danno morale causato, poiché il danno riguarda il grave stato di incertezza e preoccupazione provocato dall’illegittimità di tale decisione.

162    Il Comitato delle regioni contesta la domanda risarcitoria del ricorrente. Esso sostiene, in sostanza, che il ricorrente non ha dimostrato il danno subito, che la decisione impugnata non è viziata da alcuna illegittimità e che l’articolo 266 TFUE non è stato violato.

163    Per quanto riguarda la fondatezza delle conclusioni del ricorrente dirette al risarcimento del danno, occorre ricordare che la responsabilità dell’Unione presuppone la presenza di un insieme di condizioni per quanto concerne l’illiceità del comportamento addebitato alle istituzioni, la presenza effettiva del preteso danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno lamentato (sentenza del 25 ottobre 2017, Lucaccioni/Commissione, T‑551/16, non pubblicata, EU:T:2017:751, punto 122).

164    Occorre ricordare che è stato statuito che i ricorsi diretti al risarcimento di un danno causato da un’istituzione ad un funzionario o ad un agente, proposti sul fondamento dell’articolo 270 TFUE e degli articoli 90 e 91 dello Statuto, obbediscono a regole particolari e speciali rispetto a quelle che discendono dai principi generali che disciplinano la responsabilità extracontrattuale dell’Unione nel contesto dell’articolo 268 e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE. Risulta infatti dallo Statuto, che, a differenza di qualsiasi altro soggetto, il funzionario o l’agente dell’Unione è legato all’istituzione presso la quale presta servizio da un rapporto d’impiego comportante un equilibrio di diritti ed obblighi reciproci specifici, che si manifesta nel dovere di sollecitudine dell’istituzione nei confronti dell’interessato. Ne consegue che, quando agisce in veste di datore di lavoro, l’Unione è soggetta ad una responsabilità più ampia, che si manifesta con l’obbligo di risarcire i danni causati al suo personale da qualsiasi atto illecito commesso nella sua qualità di datore di lavoro senza che sia necessario, per dimostrare la responsabilità extracontrattuale di un’istituzione nel contenzioso della funzione pubblica europea, dimostrare l’esistenza di una «violazione sufficientemente rilevante» o di una «inosservanza manifesta e grave» da parte dell’istituzione dei limiti del suo potere discrezionale (v. sentenza del 19 giugno 2013, Goetz/Comitato delle regioni, F‑89/11, EU:F:2013:83, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).

165    Secondo una giurisprudenza costante, l’annullamento di un atto viziato da illegittimità può costituire di per sé un risarcimento adeguato e, in linea di principio, sufficiente per qualsiasi danno morale che tale atto possa aver causato, a meno che il ricorrente non dimostri di aver subito un danno morale distinguibile dall’illecito su cui si fonda l’annullamento e non risarcibile integralmente mediante l’annullamento stesso (v. sentenza del 14 luglio 2011, Petrilli/Commissione, F‑98/07, EU:F:2011:119, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

166    È alla luce di tali principi che deve essere esaminata la domanda di risarcimento del ricorrente.

167    Per quanto riguarda l’illecito o la colpa imputabile al Comitato delle regioni, occorre in primo luogo ricordare che non è stato dimostrato nel caso di specie che il Comitato delle regioni aveva violato l’articolo 266 TFUE.

168    In secondo luogo, si deve ricordare che, nel caso di specie, è stato statuito che la decisione impugnata che approva le conclusioni della seconda commissione di invalidità era viziata da un difetto di motivazione e da un errore manifesto di valutazione. È inoltre rilevante considerare, come sostiene il ricorrente, che nel corso del procedimento precontenzioso sono stati commessi altri illeciti. A tale riguardo, è stato constatato che il Comitato delle regioni aveva esercitato un controllo insufficiente dei lavori della seconda commissione di invalidità, che aveva violato il principio di imparzialità ed il dovere di sollecitudine. È opportuno rilevare al riguardo, come sostiene in sostanza il ricorrente nell’ambito dei motivi sollevati a sostegno del suo ricorso, che gli illeciti che viziano la decisione impugnata avrebbero potuto essere evitati. Infatti, se l’APN non avesse fatto esclusivamente affidamento sulla nota dell’8 maggio 2015, ma avesse adottato iniziative per controllare sufficientemente i lavori della commissione di invalidità, in particolare accettando l’invito del ricorrente a consultare la relazione medica di sintesi e ponendo domande agli altri medici della seconda commissione di invalidità, essa avrebbe potuto rettificare gli illeciti che viziavano la decisione impugnata. Non avendo agito in tal senso, il Comitato delle regioni ha contribuito al prolungato stato di incertezza e preoccupazione del ricorrente.

169    In terzo luogo, occorre rilevare che, nel caso di specie, l’annullamento della decisione impugnata non è sufficiente a risarcire il danno subito dal ricorrente. Infatti, in ragione dell’illegittimità della decisione impugnata e degli illeciti commessi nella fase del reclamo, il ricorrente si trova nuovamente nella stessa situazione di attesa e di incertezza provocata dall’illegittimità della decisione del 10 settembre 2010. Un simile prolungamento della situazione di attesa e di incertezza, provocato dall’illegittimità della decisione impugnata, costituisce un danno morale risarcibile sin da ora, che spetta al Comitato delle regioni risarcire con una somma adeguata valutata ex aequo et bono (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Lucaccioni/Commissione, T‑551/16, non pubblicata, EU:T:2017:751, punto 144).

170    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve constatare che il ricorrente ha subito un danno morale certo e direttamente imputabile al comportamento del Comitato delle regioni. Pertanto, a titolo di risarcimento del danno morale, è opportuno fissare l’ammontare del risarcimento che occorre riconoscere al ricorrente per i fatti illeciti commessi dal Comitato delle regioni, ex aequo et bono, in EUR 5 000.

 Sulle spese

171    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il Comitato delle regioni, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese, conformemente alla domanda del ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione dell’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni del 2 dicembre 2014, recante diniego di riconoscimento dell’origine professionale della malattia da cui deriva l’invalidità del sig. Robert McCoy ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto è annullata.

2)      Il Comitato delle regioni è condannato a pagare al sig. McCoy la somma di EUR 5 000.

3)      Il Comitato delle regioni è condannato alle spese.


Prek

Schalin

Costeira

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 ottobre 2018.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.