SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)
17 dicembre 1997(1)
[234s«Dazi antidumping Danno Diritti della difesa»[s
Nella causa T-121/95,
European Fertilizer Manufacturers Association (EFMA), associazione di diritto
elvetico con sede in Zurigo (Svizzera), inizialmente con gli avv.ti Dominique
Voillemot e Hubert de Broca, indi con gli avv.ti Voillemot e Olivier Prost, del foro
di Parigi, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio degli avv.ti Loesch
e Wolter, 11, rue Goethe,
ricorrente,
contro
Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dai signori Yves Cretien e Antonio
Tanca, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti Hans-Jürgen Rabe e Georg M. Berrisch, del foro di Amburgo e del foro di Bruxelles, con
domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore
generale della direzione degli affari giuridici della Banca europea per gli
investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,
convenuto,
sostenuto da
Commissione delle Comunità europee,rappresentata dal signor Nicholas Khan,
membro del servizio giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in
Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio
giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,
interveniente,
avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento dell'art. 1 del regolamento
(CE) del Consiglio 16 gennaio 1995, n. 477, che modifica le misure antidumping
definitive relative alle importazioni nella Comunità di urea originaria dell'ex Unione
sovietica e che abroga le misure antidumping relative alle importazioni nella
Comunità di urea originaria dell'ex Cecoslovacchia (GU L 49, pag. 1),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione ampliata),
composto dal signor K. Lenaerts, presidente, dalla signora P. Lindh, e dai signori
J. Azizi, J.D. Cooke e M. Jaeger, giudici,
cancelliere: signora B. Pastor, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 28
maggio 1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti all'origine del ricorso
- La ricorrente, la European Fertilizer Manufacturers Association (Associazione
europea dei produttori di fertilizzanti; in prosieguo: la «EFMA»), risultante
dall'unione di varie associazioni, tra cui la CMC-Engrais (Comitato «mercato
comune» dell'industria dei concimi azotati e fosfatati), è un'associazione di
categoria disciplinata dal diritto elvetico che rappresenta gli interessi comuni e
generali dei suoi membri, produttori di fertilizzanti.
- In seguito a una denuncia depositata dalla CMC-Engrais nel luglio 1986, la
Commissione annunciava, in un avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle
Comunità europee, l'apertura di un procedimento antidumping concernente le
importazioni nella Comunità di urea originaria della Cecoslovacchia, della
Repubblica democratica tedesca, del Kuwait, della Libia, dell'Arabia Saudita,
dell'Unione sovietica, di Trinidad e Tobago e della Iugoslavia, avviando un'inchiesta
(GU 1986, C 254, pag. 3) ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 23 luglio
1984, n. 1176, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di
sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU
L 201, pag. 1).
- In esito a tale procedimento veniva adottato il regolamento (CEE) del Consiglio
4 novembre 1987, n. 3339, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle
importazioni di urea originaria della Libia e dell'Arabia saudita e accetta gli
impegni assunti riguardo alle importazioni di urea originaria della Cecoslovacchia,
della Repubblica democratica tedesca, del Kuwait, dell'URSS, di Trinidad e Tobago
e della Iugoslavia e chiude le relative procedure (GU L 317 pag. 1). Gli impegni
assunti con il detto regolamento venivano confermati dalla decisione della
Commissione 21 febbraio 1989, 89/143/CEE (GU L 52, pag. 37).
- Con lettera 29 ottobre 1992 la ricorrente chiedeva un riesame parziale degli
impegni sopra menzionati, riguardante l'ex Cecoslovacchia e l'ex Unione sovietica.
- La Commissione acquisiva informazioni in merito ad importazioni nella Comunità
di urea originaria dell'ex Cecoslovacchia e dell'ex Unione sovietica e, alla luce delle
conclusioni tratte da tali informazioni, perveniva al convincimento di essere in
possesso di sufficienti elementi di prova di un mutamento di circostanze tale da
giustificare l'apertura di una procedura di riesame degli impegni assunti. La
Commissione avviava pertanto un'inchiesta ai sensi dell'art. 14 del regolamento
(CEE) del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423, relativo alla difesa contro le
importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri
della Comunità economica europea (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: il
«regolamento base»), riguardante la Repubblica ceca, la Repubblica slovacca, le
Repubbliche di Bielorussia, Georgia, Tadzikistan e Uzbekistan, la Federazione
russa e l'Ucraina (GU 1993, C 87, pag. 7).
- Poiché la procedura di riesame non era ancora giunta a termine alla data di
scadenza delle misure, la Commissione decideva, in conformità del disposto dell'art.
15, n. 4, del regolamento base, che le misure concernenti l'urea originaria dell'ex
Cecoslovacchia e dell'ex Unione sovietica restassero in vigore in attesa del risultato
di tale riesame (GU 1994, C 47, pag. 3).
- L'inchiesta relativa alle pratiche di dumping abbracciava il periodo compreso tra
il 1° gennaio e il 31 dicembre 1992 (in prosieguo: il «periodo d'inchiesta»).
- Per stabilire il valore normale dell'urea prodotta nell'ex Unione sovietica (in Russia
e in Ucraina), la ricorrente proponeva l'Australia come paese di riferimento ai
sensi dell'art. 2, n. 5, lett. a), punto i), del regolamento base. Tuttavia, l'associazione
europea degli importatori di fertilizzanti (in prosieguo: l'«EFIA»), organizzazione
partecipante all'inchiesta, si opponeva all'uso di un paese di riferimento
proponendo di utilizzare i costi reali accertati nel paese interessato dal
procedimento. In una successiva fase del procedimento, l'EFIA indicava inoltre il
il Canada come il paese di riferimento più appropriato.
- Dopo aver optato per l'Australia come paese di riferimento provvisorio, la
Commissione decideva che essa non era il paese più adatto, in particolare a causa
del suo isolamento dai mercati mondiali, nonché del livello dei prezzi di vendita
interni superiore a quello riscontrato in Europa. Veniva quindi presa in esame, e
poi accolta come paese di riferimento, la Repubblica slovacca (in prosieguo: la
«Slovacchia»), paese che aveva già costituito oggetto di un'inchiesta.
- Il 10 maggio 1994 la Commissione trasmetteva alla ricorrente, nonché a tutte le
parti interessate, la lettera informativa nella quale erano esposte le sue conclusioni
relative all'inchiesta e i fatti e le considerazioni essenziali in base ai quali essa si
prefiggeva di raccomandare l'istituzione di misure definitive. In tale lettera la
Commissione forniva chiarimenti in ordine alla scelta della Slovacchia quale paese
di riferimento in luogo dell'Australia e del Canada, al calcolo del valore normale
(in Slovacchia), al raffronto tra valore normale (franco fabbrica per la Slovacchia)
e i prezzi all'esportazione (franco frontiera nazionale per la Russia e l'Ucraina) e
infine alla stima del danno. In particolare essa spiegava i motivi per i quali le
sembrava adeguata la fissazione di un margine di utile dei produttori comunitari
pari al 5%, nonché un adeguamento del 10% del prezzo dell'urea originaria della
Russia per il calcolo del livello del dazio considerato. Con particolare riguardo
all'adeguamento del 10%, essa esponeva che la circostanza che l'urea russa
tendesse a deteriorarsi durante il trasporto, da un lato, e che gli importatori di urea
russa non fossero sempre in grado di offrire una garanzia di fornitura equivalente
a quella offerta dai produttori comunitari, dall'altro, comportavano un divario di
prezzo tra l'urea di origine russa e quella di origine comunitaria.
- Con lettera 17 maggio 1994 la ricorrente richiedeva alla Commissione la
comunicazione degli elementi acquisiti nel corso dell'inchiesta riguardo
all'adeguamento del 10%, effettuato per via del divario qualitativo tra l'urea dell'ex
Unione sovietica e quella prodotta nella Comunità.
- Con telecopia 18 maggio 1994 la Commissione rispondeva che tale adeguamento
risultava da una stima media effettuata a partire da informazioni acquisite presso
vari importatori, commercianti e distributori operanti nel commercio dell'urea
originaria della Russia e della Comunità.
- Con lettera 30 maggio 1994 la ricorrente presentava le proprie osservazioni alla
Commissione in merito all'informativa di quest'ultima e le richiedeva del pari
ulteriori elementi adducendo che l'informativa era incompleta riguardo al dumping.
- La Commissione forniva alla ricorrente taluni ragguagli supplementari con lettera
10 giugno 1994.
- I rappresentanti della ricorrente e della Commissione si incontravano il 18 luglio
1994 per discutere le varie conclusioni e osservazioni. La ricorrente presentava
quindi alla Commissione ulteriori osservazioni con lettere 28 luglio, 9 agosto, 21 e
26 settembre e 3 ottobre 1994.
- In seguito ad una nuova riunione svoltasi nell'ottobre 1994, la ricorrente presentava
con lettera 26 ottobre 1994 le proprie osservazioni finali concernenti, tra l'altro, il
raffronto tra il valore normale e i prezzi all'esportazione, l'adeguamento del 10%
e il margine di utile del 5%.
- Il 16 gennaio 1995 il Consiglio adottava il regolamento (CE) n. 477/95, che
modifica le misure antidumping definitive relative alle importazioni nella Comunità
di urea originaria dell'ex Unione Sovietica e che abroga le misure antidumping
relative alle importazioni nella Comunità di urea originaria dell'ex Cecoslovacchia
(GU L 49, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Esso veniva
pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 4 marzo 1995.
- Poiché la percentuale necessaria per l'eliminazione del danno era inferiore al
margine di dumping accertato per la Russia, il dazio antidumping definitivo veniva
istituito, in conformità dell'art. 13, n. 3, del regolamento base, al livello della
percentuale necessaria per l'eliminazione del danno.
- L'art. 1 del regolamento impugnato recita:
«1. E' istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di urea
originaria della Federazione russa di cui ai codici NC 3102 10 10 e 3102 10 90.
2. L'aliquota del dazio sarà pari alla differenza tra 115 ECU/t ed il prezzo
netto franco frontiera comunitaria, prima dello sdoganamento, qualora tale prezzo
risulti inferiore.
3. Si applicano le disposizioni in vigore in materia di dazi doganali, salvo
diversamente indicato».
Procedimento
- Alla luce di quanto sopra, la ricorrente, con atto introduttivo depositato presso la
cancelleria del Tribunale il 12 maggio 1995, ha proposto il presente ricorso.
- Con istanza depositata presso la cancelleria del Tribunale il 23 ottobre 1995 la
Commissione ha chiesto di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni del
Consiglio.
- Con ordinanza 21 novembre 1995 il presidente della Quarta Sezione ampliata del
Tribunale ha accolto tale istanza.
- Con lettera 2 ottobre 1996 la ricorrente ha chiesto al Tribunale l'autorizzazione a
svolgere le proprie difese orali in francese nel corso dell'udienza.
- Tale istanza è stata respinta con ordinanza del Tribunale (Quarta Sezione
ampliata) 24 gennaio 1997, causa T-121/95, EFMA/Consiglio (Racc. pag. II-87).
- Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso
di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia, sono stati rivolti
alle parti alcuni quesiti e alcuni inviti alla produzione di documenti.
- Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 17 aprile 1997 la
ricorrente, come pure il Consiglio e la Commissione con lettere depositate il 30
aprile 1997, hanno risposto a tali quesiti e prodotto alcuni documenti.
- Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del
Tribunale all'udienza del 28 maggio 1997.
Conclusioni delle parti
- La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
- annullare il regolamento impugnato;
- ordinare il mantenimento dei dazi antidumping istituiti da questo
regolamento fintantoché le istituzioni competenti non abbiano adottato i
provvedimenti più severi che l'esecuzione dell'emananda sentenza comporta;
- condannare il Consiglio alle spese.
- Il Consiglio, convenuto, conclude che il Tribunale voglia:
- respingere il ricorso;
- condannare la ricorrente alle spese.
- La Commissione, parte interveniente, conclude che il Tribunale voglia:
Sulle conclusioni dirette all'annullamento
- A sostegno delle proprie conclusioni dirette all'annullamento dell'art. 1 del
regolamento impugnato, la ricorrente deduce tre motivi. Il primo è relativo, in
sostanza, ad una violazione del regolamento base in quanto è stata scelta la
Slovacchia come paese di riferimento. Nell'ambito del suo secondo motivo, la
ricorrente fa valere, da un lato, una violazione del regolamento base in quanto il
valore normale e i prezzi all'esportazione sono stati raffrontati in due stadi
differenti, vale a dire franco fabbrica e franco frontiera, e, dall'altro, una violazione
dell'obbligo di motivazione in quanto il regolamento impugnato non spiega i motivi
per i quali il raffronto è stato effettuato in stadi differenti. In subordine, la
ricorrente assume che tale raffronto è inficiato da errore di valutazione manifesto.
Il terzo motivo concerne la determinazione del danno. La ricorrente sostiene, in
primo luogo, che procedendo ad un adeguamento del prezzo dell'urea fabbricata
in Russia per compensare talune asserite differenze qualitative il Consiglio ha, da
un lato, commesso un errore di valutazione manifesto e, dall'altro, violato i suoi
diritti della difesa. In secondo luogo, il Consiglio avrebbe commesso errore di
valutazione manifesto e parimenti violato i diritti della difesa della ricorrente
determinando un margine di utile dei produttori comunitari troppo esiguo.
- Dato che, nel caso di specie, il dazio antidumping è stato istituito al livello della
percentuale necessaria per l'eliminazione del danno, occorre prendere in esame,in primis, il terzo motivo, relativo alla determinazione del danno.
Sul motivo relativo alla determinazione, che si suppone errata, del danno
- La ricorrente sostiene che, nella valutazione del danno, il Consiglio è incorso in due
errori. Per un verso, esso avrebbe erroneamente operato un adeguamento pari al
10% per via di divari qualitativi esistenti tra l'urea russa e l'urea comunitaria. Per
l'altro, esso avrebbe erroneamente determinato un margine di utile dei produttori
comunitari pari al 5%.
L'adeguamento del 10% a motivo del divario qualitativo esistente tra l'urea
originaria della Russia e quella prodotta nella Comunità.
- Questa parte del motivo di annullamento è suddivisa in due aspetti. In primo luogo,
operando un adeguamento del 10% a motivo dell'esistenza di divari qualitativi
all'atto del raffronto dei prezzi dell'urea importata dalla Russia e di quella prodotta
nella Comunità, le istituzioni comunitarie avrebbero commesso un errore di
valutazione manifesto. In secondo luogo, così facendo, esse avrebbero parimenti
disatteso una norma procedurale essenziale, in quanto la ricorrente non avrebbe
mai avuto opportunità di formulare le proprie osservazioni in ordine agli elementi
di prova utilizzati dalla Commissione per giustificare tale adeguamento.
- In primo luogo, la ricorrente asserisce che non esiste alcun divario qualitativo tra
l'urea prodotta in Russia e quella prodotta nella Comunità. In quel periodo non era
quindi possibile tener conto di alcun deterioramento eccezionale dell'urea originaria
della Russia durante i trasporti verso la Comunità. Al riguardo, essa fa valere due
elementi di prova; una tabella di analisi fisiochimica comparativa tra l'urea russa
e l'urea comunitaria risalente al 30 maggio 1994, da essa compilata in base a vari
campioni analizzati da diversi laboratori, nonché due telecopie trasmesse alla
ricorrente dalla società Sinochem UK Ltd e inviate alla Commissione il 9 agosto
e il 26 settembre 1994. Secondo la ricorrente, dalla tabella emerge che non esisteva
alcuna differenza tra l'urea russa e quella comunitaria e le telecopie confermano
la simiglianza dei prezzi dell'urea importata in Cina, qualunque ne fosse la
provenienza: dalla Russia, dal Medio Oriente, dall'Indonesia o dalla Comunità
europea.
- Quanto all'affermazione del Consiglio secondo la quale l'urea tenderebbe a
deteriorarsi per via delle operazioni di carico, scarico e magazzinaggio, la ricorrente
fa rilevare come il Consiglio non spieghi né se l'urea originaria della Russia sia
sottoposta a manipolazioni di carico e scarico in numero superiore a quelle subite
dall'urea prodotta nella Comunità, né se il magazzinaggio dell'urea di origina russa
implichi manipolazioni diverse da quelle richieste per il magazzinaggio dell'urea
prodotta nella Comunità.
- Essa aggiunge che la Russia è il principale esportatore di urea in Cina e che
quest'ultimo paese è il maggior importatore di urea del mondo. A suo parere,
poiché per l'esportazione di urea dalla Russia in Cina sono necessari trasporti a
lunga percorrenza, almeno equivalenti alla distanza tra la Russia e l'Unione
europea, è evidente che la Russia può esportare l'urea su lunghi percorsi senza che
quest'ultima subisca deterioramenti.
- Essa contesta l'asserzione del Consiglio secondo cui la determinazione di un
adeguamento del prezzo destinato a compensare i divari qualitativi tra i prodotti
riposerebbe essenzialmente su una valutazione della percezione che di essi avrebbe
il consumatore. La ricorrente sottolinea come l'urea sia un prodotto chimico la cui
composizione è sempre la medesima, sia essa originaria della Russia o della
Comunità europea. Oltretutto, l'accertamento di divari qualitativi fondato su
informazioni relative alle vendite sarebbe poco realistico, a causa dell'elevata
soggettività della percezione del consumatore e del carattere effimero delle
informazioni utilizzate. Inoltre gli agricoltori, vale a dire gli utilizzatori dell'urea,
non fanno alcuna differenza, né avrebbero potuto farla, tra l'urea prodotta in
Russia e quella prodotta nella Comunità, avendo esse le medesime proprietà fisiche
e chimiche.
- La ricorrente contesta quindi l'assunto che gli importatori di urea dalla Russia non
sarebbero sempre in grado di garantire una sicurezza di forniture equivalente a
quella dei produttori comunitari. Essa argomenta che la capacità produttiva di urea
è in Russia talmente superiore al volume globale delle vendite che la questione
della garanzia delle forniture non dovrebbe mai porsi. A sostegno della propria tesi
la ricorrente fa riferimento ad un comunicato stampa della società Ferchimex,
pubblicato nel bollettino Agrochim-Business nel luglio 1991 (1/91).
- In tale contesto la ricorrente fa altresì rilevare che, contrariamente a quanto
asserisce il Consiglio, non vi sono stati in Russia problemi di approvvigionamento
di gas. Essa fa riferimento in proposito a una relazione prodotta da consulenti
britannici nel 1992 (British Sulphur Consultants), recante il titolo Fertilizer Supply
from the Commonwealth of Independent States (Forniture di fertilizzanti provenienti
dalla Comunità degli Stati indipendenti; in prosieguo: il «British Sulphur Report»),
e ad un articolo pubblicato il 6 settembre 1993 nella rivista Fertilizer Week (volume
7, n. 16).
- Peraltro la ricorrente contesta il metodo applicato dal Consiglio per pervenire al
livello di adeguamento del 10%, e in particolare il fatto che tale livello di
adeguamento si collochi «a metà tra quello proposto dai produttori comunitari e
l'adeguamento richiesto dall'EFIA» (punto 66 del preambolo del regolamento
impugnato).
- Essa fa valere che le osservazioni presentate dall'EFIA in ordine a tale
adeguamento sono prive di pertinenza, posto che non sono suffragate da alcun
elemento di prova. Infatti esisterebbe nel diritto antidumping un principio generale
in forza del quale una parte che rivendica un adeguamento deve dimostrare che la
sua richiesta è fondata. L'EFIA avrebbe quindi dovuto essere assoggettata ad un
onere probatorio più rigoroso, beneficiando essa dell'adeguamento.
- La ricorrente aggiunge che, da parte sua, nella sua corrispondenza inviata in
seguito alla lettera informativa si è energicamente opposta a tale tasso di
adeguamento e che i due elementi di prova da essa presentati alla Commissione
(v. supra, punto 35) non sono mai stati contestati né dalla Commissione né dagli
importatori comunitari o dagli esportatori-produttori russi.
- In secondo luogo, la ricorrente precisa il proprio argomento secondo cui le
istituzioni comunitarie avrebbero violato i suoi diritti fondamentali della difesa.
- Essa sottolinea come non sia stata posta in condizioni di far conoscere il proprio
punto di vista in ordine all'esattezza delle conclusioni della Commissione relative
all'adeguamento del 10% se non dopo aver ricevuto la lettera informativa, vale a
dire in un momento in cui la Commissione aveva già fissato tale tasso.
Analogamente, la telecopia 18 maggio 1994 (v. supra, punto 12) sarebbe priva di
rilevanza, essendo stata inviata otto giorni dopo l'informativa. La ricorrente pone
l'accento sul fatto che essa non ha mai avuto accesso ai documenti sui quali la
Commissione ha fatto leva per determinare tale tasso.
- La ricorrente aggiunge che l'EFIA non ha preso parte al procedimento prima
dell'invio dei documenti informativi. Conseguentemente, solo nel momento in cui
la Commissione aveva già proposto l'adeguamento del 10% l'EFIA ha trasmesso
una domanda (in data 31 maggio 1994) invitando la Commissione a determinare
un tasso di adeguamento ancora più elevato onde compensare i divari qualitativi
esistenti. Talché la Commissione non avrebbe potuto trarre le proprie conclusioni
in ordine al tasso del 10% dai ragguagli forniti dagli importatori.
- Ad ogni buon conto, se l'EFIA aveva fornito alla Commissione elementi di prova,
la ricorrente era in diritto di prenderne conoscenza. Richiamando le sentenze della
Corte 27 giugno 1991, causa C-49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio (Racc. pag.
I-3187) e 7 maggio 1991, causa C-69/89, Nakajima/Consiglio (Racc. pag. I-2069),
essa aggiunge al riguardo che il dovere di informazione incombente alle istituzioni
non può, nel caso di specie, essere in alcun modo circoscritto qualora le
informazioni fornite dagli importatori avessero rilevanza ai fini della difesa dei suoi
interessi e la Commissione non avesse mai dichiarato tali informazioni riservate ai
sensi dell'art. 8 del regolamento base, né fornito alcun compendio utile non
riservato [art. 7, n. 4, lett. a), del regolamento base].
- Il Consiglio afferma, in primo luogo, di non aver mai asserito che esistevano
differenze di composizione chimica tra l'urea di origine russa e quella prodotta
nella Comunità, bensì che il divario qualitativo era riconducibile ad altri fattori.
Esso segnala che, durante l'inchiesta, alcuni sopralluoghi nelle aziende di
importatori comunitari di urea prodotta in Russia avevano permesso ai dipendenti
della Commissione di accertare che la qualità dell'urea al suo arrivo nella Comunità
poneva gravi problemi agli importatori. Talvolta il prodotto subiva, a causa della
durata del trasporto e delle manipolazioni, deterioramenti tali che non era più
possibile per gli importatori rivenderlo agli agricoltori.
- Il Consiglio fa rilevare come un adeguamento del prezzo per via dei divari
qualitativi esistenti sia, almeno nel caso specifico, essenzialmente un problema di
percezione da parte del consumatore. Infatti, se i consumatori ritengono (a torto
o a ragione) che l'urea di origine russa sia di qualità inferiore a quella prodotta
nella Comunità e non sono pertanto disposti ad offrire un prezzo migliore, la
questione di accertare se sussista effettivamente un divario qualitativo sarebbe priva
di qualsiasi rilevanza.
- Il Consiglio precisa che ha scarsa importanza, nel caso di specie, accertare se la
ragione vera delle differenze di prezzo risieda in una obiettiva differenza di qualità
o in una subiettiva percezione del consumatore. Esso sottolinea come
l'adeguamento del prezzo fosse preordinato a consentire il calcolo del prezzo
indicativo e come il divario qualitativo esistente tra l'urea di origine russa e quella
prodotta nella Comunità implicasse che i produttori comunitari potessero ottenere
per il loro prodotto un prezzo superiore del 10% almeno al prezzo indicativo. Tale
livello di prezzo corrisponderebbe al costo di produzione dei produttori comunitari
maggiorato di un congruo margine di utile, che il Consiglio ha fissato al 5%, pari
al livello di prezzo che consente di eliminare il danno cagionato dalle importazioni
russe oggetto di dumping. Esso fa inoltre rilevare che le istituzioni della Comunità,
ove non avessero operato l'adeguamento del 10% per tener conto dei divari
qualitativi esistenti, avrebbero fissato il prezzo indicativo (e conseguentemente il
dazio) ad un livello più alto rispetto a quello necessario per eliminare il danno
cagionato dalle importazioni oggetto di dumping, il che sarebbe stato in contrasto
con le disposizioni dell'art. 13, n. 3, del regolamento base.
- Peraltro, il Consiglio ricusa la tabella di analisi fisiochimica comparativa tra l'urea
fabbricata in Russia e l'urea prodotta nella Comunità, presentata dalla ricorrente
allo scopo di dimostrare l'insussistenza di differenze di composizione chimica tra
i due prodotti. A suo giudizio, queste analisi non suffragano le asserzioni della
ricorrente. Infatti, i criteri in base ai quali sono stati scelti i campioni non sarebbero
chiari, talché sarebbe lecito dubitare della loro rappresentatività. Inoltre, i campioni
di urea russa saggiati in loco non avrebbero subito manipolazioni e trasbordi vari,
elementi che hanno indotto le istituzioni a decidere che era necessario operare un
adeguamento.
- Con riferimento all'altro elemento di prova addotto dalla ricorrente, vale a dire le
telecopie trasmesse dalla società Sinochem alla ricorrente al fine di mostrare che
l'urea di origine russa e quella di origine comunitaria sono vendute al medesimo
prezzo nella Repubblica popolare cinese, il Consiglio osserva che, nella prima
telecopia, si dichiara che nel corso degli ultimi anni è stato consegnato in Cina solo
un modestissimo quantitativo di urea.
- Nella sua lettera in data 30 aprile 1997, in riscontro a un quesito scritto del
Tribunale, il Consiglio ha peraltro puntualizzato che la tendenza al deterioramento
dell'urea di origine russa era conseguenza di un'inadeguata conservazione durante
il suo trasporto, della lunghezza e delle modalità di quest'ultimo, del fatto che
l'urea russa, a differenza di quella di origine comunitaria, era trasportata allo stato
sfuso anziché in sacchi e necessitava di maggiori manipolazioni e, infine, del fatto
che all'urea prodotta in Russia non è aggiunta una sostanza antiagglomerante,
come è normalmente il caso dell'urea prodotta nella Comunità.
- Il Consiglio confuta l'affermazione della ricorrente secondo la quale l'urea di
origine comunitaria verrebbe trasportata secondo le stesse modalità dell'urea di
origine russa. Esso fa rilevare che l'urea prodotta nella Comunità è nella maggior
parte dei casi prelevata dallo stabilimento di produzione in autocarri e subisce un
numero minimo di manipolazioni, prima di giungere all'utilizzatore finale, mentre
l'urea prodotta in Russia subisce numerose operazioni di carico e scarico tra lo
stabilimento di produzione e l'utilizzatore finale nella Comunità; per tale motivo,
esso ha considerato inevitabile che l'urea russa tendesse a deteriorarsi durante il
trasporto.
- In secondo luogo, per quanto attiene alla questione della sicurezza delle forniture,
il Consiglio sottolinea come gli stessi importatori abbiano segnalato alla
Commissione difficoltà di approvvigionamento e come tali informazioni abbiano
ricevuto conferma nell'articolo pubblicato nella rivista Fertilizer Week del 6
settembre 1993 (volume 7, n. 16). Esso aggiunge che da tali informazioni si traeva
altresì conferma dell'esistenza di divari qualitativi che avevano incidenza sui prezzi.
- Il Consiglio sostiene che il comunicato stampa della società Ferchimex, richiamato
dalla ricorrente a sostegno della propria tesi relativa alla garanzia delle forniture
(v. supra, punto 39), non ha alcun valore probatorio. Esso sottolinea come si tratti
solo di una pubblicità da parte della società e come il fatto che la società ponga
l'accento sulla garanzia di fornitura presupponga che, in genere, la fornitura di urea
proveniente dalla Russia crei dei problemi. Il Consiglio aggiunge di non aver mai
affermato che gli importatori di urea russa non potessero in alcun caso garantire
la medesima sicurezza delle forniture, ma solo che essi non potevano garantirla
sempre. Infine, esso ritiene che la conclusione tratta dall'articolo pubblicato nella
rivista Fertilizer Week, prima menzionata, secondo cui in Russia non sussisterebbe
alcun problema di approvvigionamento di gas, sia erronea e che l'argomento tratto
dal British Sulphur Report in ordine allo stesso tema sia una manipolazione
finalizzata a indurre in errore il Tribunale.
- In terzo luogo, per quanto attiene ai criteri utilizzati per calcolare l'adeguamento
del 10%, il Consiglio rigetta anzitutto l'argomento addotto dalla ricorrente secondocui esisterebbe nella normativa antidumping un principio generale in forza del
quale una parte che rivendica un adeguamento deve dimostrare che la sua richiesta
è fondata. Supponendo che la ricorrente argomenti, al riguardo, dall'art. 2, n. 9,
lett. b), del regolamento base, il Consiglio fa rilevare come questa disposizione
riguardi solo il raffronto fra il valore normale e il prezzo all'esportazione ai fini del
calcolo del margine di dumping, e non precluda di conseguenza alle istituzioni
comunitarie la possibilità di operare un adeguamento, ove lo ritengano giustificato
alla luce delle informazioni da esse acquisite nel corso dell'inchiesta.
- Il Consiglio osserva che ciò discende del pari dalla natura dell'inchiesta
antidumping, che è solo un procedimento amministrativo nel corso del quale le
istituzioni comunitarie mirano ad accertare se in un caso determinato debbano
essere applicate misure antidumping. Conseguentemente, le disposizioni che
impongono l'onere della prova a una delle parti [come l'art. 2, n. 9, lett. b) del
regolamento base] rilevano solo per quanto riguarda i rapporti tra le istituzioni
comunitarie e questa parte.
- Secondo il Consiglio, è quindi privo di interesse accertare a quale parte incomba
l'onere della prova.
- Il Consiglio sottolinea inoltre come sia assai disagevole stimare un adeguamento
effettuato per tener conto del modo in cui il consumatore percepisce l'esistenza di
divari qualitativi e come le istituzioni comunitarie debbano necessariamente
disporre di un margine di discrezionalità relativamente ampio nello stabilire il
livello di tale adeguamento. Esso ritiene che le migliori informazioni in base alle
quali poter effettuare un adeguamento di questo tipo non siano i dati scientifici
relativi all'ampiezza dei divari qualitativi, bensì le informazioni relative alle vendite.
- Il Consiglio confuta quindi l'argomento della ricorrente secondo cui le istituzioni
comunitarie avrebbero violato i suoi diritti della difesa nel corso dell'inchiesta. Esso
ricorda preliminarmente come nel corso delle inchieste antidumping l'obbligo delle
istituzioni comunitarie di divulgare informazioni alle imprese interessate incontri un
limite nel caso in cui, tra l'altro, le informazioni debbano essere considerate
riservate (v. sentenza Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, citata).
- Il Consiglio sottolinea come la Commissione abbia reso edotta la ricorrente,
nell'informativa del 10 maggio 1994, del fatto che essa intendeva operare un
adeguamento pari al 10%, precisando i motivi per i quali riteneva appropriato tale
adeguamento. La Commissione ha per di più fornito informazioni supplementari
con telecopia del 18 maggio 1994 e la questione è stata presa in esame insieme alla
ricorrente nel corso della riunione svoltasi il 18 luglio 1994. Il Consiglio osserva che,
nel corso di questa riunione, è stato precisato l'approccio della Commissione e la
ricorrente è stata informata del fatto che la Commissione aveva appreso da un
importatore che, nel corso di un'operazione, era stato richiesto e concesso un
ribasso del 19% motivato dall'esistenza di divari qualitativi. Il Consiglio sottolinea
come la Commissione non potesse propalare alla ricorrente il corrispondente
elemento di prova, in quanto questa informazione era con ogni evidenza di
carattere riservato (v. art. 8 del regolamento base).
- Infine, il Consiglio sostiene che l'affermazione della ricorrente, secondo la quale
l'EFIA avrebbe preso parte al procedimento solo dopo aver ricevuto l'informativa,
è erronea. Esso argomenta che è conseguentemente errata la conclusione che la
ricorrente trae da questa affermazione, ossia che la Commissione non si sarebbe
fondata sulle informazioni provenienti dagli importatori per considerare giustificata
una differenza di prezzo del 10%.
- La questione se sia necessario operare un adeguamento per via dell'esistenza di un
divario qualitativo presuppone una valutazione di situazioni economiche complesse.
Pertanto, il sindacato che il Tribunale deve esercitare è limitato alla verifica del
rispetto delle norme procedurali, dell'esattezza materiale dei fatti, dell'assenza di
errore di valutazione manifesto o di sviamento di potere (v., tra le altre, sentenza
della Corte 10 marzo 1992, causa C-174/87, Ricoh/Consiglio, Racc. pag. I-1335,
punto 68).
- Il punto 64 del preambolo del regolamento impugnato recita quanto segue:
«(...) la Commissione ha riscontrato una differenza tra il prezzo dell'urea prodotta
nella Comunità e l'urea prodotta nell'Unione Sovietica, differenza determinata
dalla qualità inferiore e dallo stadio di lavorazione del prodotto importato. La
tendenza del prodotto a deteriorarsi durante il trasporto, unita al fatto che gli
importatori non riescono a garantire la fornitura con la stessa certezza dei
produttori comunitari, conduce ovviamente a prezzi inferiori. Pur essendo difficile
valutare tali differenze in termini monetari, si è concluso che una differenza esiste
e che è pertanto opportuno un adeguamento del 10% del valore (...)».
- Emerge da tale punto che il Consiglio non ha basato l'adeguamento inteso a
compensare il divario qualitativo tra l'urea di origine comunitaria e l'urea di origine
russa sullo stato di quest'ultima al momento in cui essa lascia lo stabilimento di
produzione in Russia. Infatti il divario qualitativo è riconducibile al fatto che l'urea
esportata dalla Russia tende a deteriorarsi durante il suo trasporto e che non
sempre la fornitura è garantita. Ciò non riguarda lo stato iniziale dell'urea di
origine russa, con la conseguenza che gli argomenti della ricorrente riguardanti la
composizione fisiochimica dell'urea all'uscita dello stabilimento di produzione in
Russia sono privi di rilevanza.
- Peraltro, la spiegazione fornita dal Consiglio in proposito merita di essere accolta.
- Invero la questione di un adeguamento del prezzo per via dell'esistenza di divari
qualitativi è fondamentalmente una questione di percezione da parte del
consumatore, giacché ciò che rileva ai fini della determinazione di un adeguamento,
nell'ambito della determinazione del danno in un'inchiesta antidumping, è il prezzo
che il consumatore è disposto a pagare per i prodotti oggetto di dumping rispetto
a quelli fabbricati nella Comunità, non anche le differenze obiettive tra questi
prodotti.
- Per giunta, la ricorrente non ha fornito elementi di prova atti a contraddire
l'assunto che, durante il trasporto, l'urea di origine russa fosse oggetto di
inadeguata conservazione e necessitasse di un maggior numero di manipolazioni
rispetto all'urea prodotta nella Comunità e che, contrariamente all'urea
comunitaria, essa fosse trasportata allo stato sfuso anziché in sacchi, senza
l'aggiunta di una sostanza antiagglomerante.
- In ordine al problema della garanzia delle forniture, emerge dal fascicolo, da un
lato, che la Commissione è stata informata dagli stessi importatori, nel corso
dell'inchiesta, che essi non erano sempre in grado di garantire una sicurezza di
forniture equivalente a quella dei produttori comunitari e, dall'altro, che tali
informazioni hanno ricevuto conferma in un articolo pubblicato nella rivista
Fertilizer Week del 6 settembre 1993 (volume 7, n. 16).
- Ne consegue che gli argomenti della ricorrente secondo i quali le istituzioni
sarebbero incorse in errore di valutazione manifesto, avendo preso in
considerazione il fatto che l'urea di origine russa tendeva a deteriorarsi durante il
trasporto e che gli importatori di urea di origine russa non erano sempre in grado
di offrire una sicurezza delle forniture equivalente a quella dei produttori
comunitari, devono essere respinti.
- Per quanto riguarda i criteri applicati per calcolare l'adeguamento del 10%, la
ricorrente assume che l'onere di dimostrare l'esistenza di un divario qualitativo
grava sugli importatori.
- Questo argomento non può essere accolto.
- Spetta infatti alla Commissione, quale autorità che conduce l'inchiesta, accertare
se il prodotto oggetto di dumping cagioni un danno allorché è immesso in libera
pratica nella Comunità. A tale riguardo, la Commissione deve verificare se vi sia
stata una riduzione apprezzabile del prezzo rispetto al prezzo di un prodotto
analogo nella Comunità [v. art. 4, n. 2, lett. b), del regolamento base] e nel farlo
deve avvalersi dei dati disponibili in quel momento, senza imporre l'onere della
prova a una delle parti [v. art. 7, n. 7, lett. b), del regolamento base].
- D'altra parte, la ricorrente ha fornito in particolare l'informazione diretta a
dimostrare che la composizione fisica e chimica dell'urea russa è analoga a quella
dell'urea prodotta nella Comunità. Orbene, dato che questa informazione ha un
valore del tutto secondario ai fini della determinazione di un livello di adeguamento
specifico, è giocoforza constatare che la ricorrente non ha, in realtà, fornito alcun
elemento idoneo a dimostrare un livello preciso di adeguamento.
- In ordine al calcolo dell'adeguamento, il regolamento impugnato così dispone:
«(65) Pur ammettendo che il prodotto comunitario richiede un prezzo più elevato,
l'EFMA ha affermato che il livello dell'adeguamento era eccessivo, e che
mancavano concreti elementi di prova a sostegno di tale decisione. Anche
l'EFIA ha contestato il livello dell'adeguamento ritenendolo insufficiente,
vista la qualità significativamente inferiore del prodotto russo al momento
della consegna agli utilizzatori finali nella Comunità. L'EFIA ha affermato
che questo livello di qualità inferiore doveva essere compensato da prezzi
più bassi.
(66) Visto il carattere contraddittorio e non deciso delle informazioni ricevute
dalla Commissione, un adeguamento pari al 10% è stato ritenuto congruo
ed appropriato in base alle informazioni disponibili. Tale livello inoltre si
colloca a metà tra quello proposto dai produttori comunitari e
l'adeguamento richiesto dall'EFIA.
(67) Applicando tali adeguamenti, il livello di sottoquotazione dei prezzi dei
produttori comunitari è risultato pari al 10% circa per l'urea di origine
russa».
- A sostegno della propria conclusione secondo la quale un adeguamento pari al
10% sarebbe congruo e appropriato, il Consiglio ha riassunto, in particolare nella
sua lettera 30 aprile 1997 di risposta a un quesito scritto del Tribunale, gli elementi
pertinenti del fascicolo nel modo seguente:
- i produttori comunitari hanno riconosciuto che un adeguamento dell'ordine
del 5% potrebbe considerarsi accettabile con riguardo al divario qualitativo
tra l'urea di origine russa e l'urea prodotta nella Comunità;
- gli importatori comunitari hanno rivendicato, a tale titolo, un adeguamento
pari a circa il 15%;
- un importatore ha segnalato il caso di un reclamo, per un importo pari al
19% del prezzo di acquisto di un carico, motivato dalla scadente qualità di
quest'ultimo;
- un produttore australiano, che ha collaborato all'inchiesta, ha dichiarato nel
corso del sopralluogo svolto dai responsabili della Commissione nella sua
azienda che una differenza di prezzo tra il 10 e il 15% tra la propria urea
microgranulata e quella proveniente dall'ex Unione sovietica sarebbe
perfettamente giustificata.
- In udienza, il Consiglio ha ribadito che esso non disponeva di alcun altro elemento
per valutare il livello dell'adeguamento. Esso ha inoltre posto l'accento sulla
difficoltà di giungere a una conclusione, tenuto conto del carattere ipotetico
dell'operazione in termini pecuniari.
- Il Tribunale ricorda che la questione del livello appropriato dell'adeguamento
poggia essenzialmente su una valutazione della percezione da parte del
consumatore. Invero, se gli importatori acquistano l'urea di origine russa soltanto
se il suo prezzo è inferiore del 10% a quello dell'urea prodotta nella Comunità,
l'industria comunitaria rischia di perdere le proprie quote di mercato o di dover
abbassare i propri prezzi allorché il prezzo del prodotto russo si riduce in modo
che la differenza di prezzo sia superiore al 10%, a prescindere dalla similarità o
dalla differenza tra i due prodotti.
- Inoltre, la valutazione di questa differenza tra l'urea di origine russa e quella di
origine comunitaria in termine pecuniari è, come ha rilevato il Consiglio, del tutto
ipotetica, dato che l'urea russa è oggetto di una pratica di dumping verso il mercato
comunitario. Ciò implica del pari l'impossibilità di fornire prove al riguardo, a parte
gli apprezzamenti espressi dai produttori e dagli importatori comunitari di cui
disponevano le istituzioni.
- Ne consegue che le istituzioni si sono fondate su una valutazione di tutte le
informazioni acquisite nel corso dell'inchiesta.
- Ciò premesso, il Tribunale ritiene che le istituzioni non hanno ecceduto il potere
discrezionale di cui disponevano in proposito.
- Da ultimo va esaminato l'argomento della ricorrente secondo cui i suoi diritti della
difesa sarebbero stati violati, in quanto essa non avrebbe potuto accedere alle
informazioni relative ai criteri seguiti dalla Commissione per calcolare
l'adeguamento del 10%.
- Per giurisprudenza costante, la salvaguardia dei diritti della difesa esige che
l'impresa interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento
amministrativo, di far conoscere il suo punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza
dei fatti e delle circostanze allegate (v. sentenze Al-Jubail Fertilizer/Consiglio,
citata, punti 15 e 17, e Nakajima/Consiglio, citata, punto 108).
- Nel caso di specie, la ricorrente ha richiesto, con lettera 17 maggio 1994 inviata in
risposta alla lettera informativa, informazioni supplementari in merito
all'adeguamento del 10%. Nella sua lettera 18 maggio 1994 la Commissione ha
risposto quanto segue: «The 10% adjustment (...) is an average estimation of
information obtained from different importers-traders-distributors involved in the
trade of Russian as well as Community-produced urea». («L'aggiustamento del
10% (...) rappresenta una stima media delle informazioni acquisite presso vari
importatori, commercianti e distributori operanti nel commercio di urea originaria
sia della Russia sia della Comunità»).
- Inoltre, nel corso della riunione del 18 luglio 1994 (v. supra, punto 15) la
Commissione ha segnalato alla ricorrente di essere stata informata da un
importatore che, nel corso di un'operazione, era stato preteso e concesso uno
sconto del 19% motivato da divari di qualità.
- Ciò premesso, è giocoforza constatare che la ricorrente è stata resa edotta, nel
corso del procedimento antidumping, dei principali fatti e considerazioni sui quali
le istituzioni hanno fondato le loro conclusioni. L'unico elemento aggiuntivo fornito
in proposito dal Consiglio, nell'ambito della fase scritta nel procedimento dinanzi
al Tribunale, è l'indicazione del produttore australiano menzionato al precedente
punto 77. Sennonché, dato che questa informazione ha carattere meramente
confermativo e non figura nella motivazione riprodotta nel regolamento impugnato,
la sua mancata divulgazione non ha potuto privare la ricorrente dei suoi diritti della
difesa.
- Conseguentemente, e considerato che la Commissione era tenuta a valutare illivello dell'adeguamento in relazione a tutte le informazioni acquisite nel corso
dell'inchiesta, la ricorrente non può neppure asserire che l'informazione da essa
ricevuta in ordine a tale adeguamento sia stata fornita in una fase troppo avanzata
del procedimento amministrativo.
- Ne consegue che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.
- Discende da quanto sopra che la prima parte del motivo deve essere respinta.
Il margine di utile del 5% per valutare il lucro cessante.
- La ricorrente formula, per quanto attiene al margine di utile dei produttori
comunitari, sostanzialmente due argomenti. In primo luogo, essa ritiene che un
margine di utile pre-imposta pari al 5% per valutare il lucro cessante sia
un'aliquota troppo modesta. In secondo luogo, essa fa valere che le istituzioni
comunitarie hanno violato una norma procedurale essenziale, avendo esse
costantemente omesso di indicare i criteri seguiti per calcolare tale tasso.
- In primo luogo, la ricorrente contesta l'aliquota del 5% per il margine di utile
calcolata dalle istituzioni comunitarie, rilevando come tale aliquota sia insufficiente
per raccogliere i capitali necessari per il funzionamento dell'industria dei
fertilizzanti e garantire i nuovi investimenti necessari per la manutenzione degli
impianti e delle attrezzature e la loro uniformazione alle nuove norme in materia
di tutela ambientale. Essa sottolinea come nel corso dell'inchiesta e in tutta la sua
corrispondenza con la Commissione essa abbia sempre sostenuto che l'aliquota del
10% sarebbe più congrua. Essa richiama un'analisi del 3 maggio 1995 compiuta
dalla Grande Paroisse (uno dei suoi membri) per dimostrare che il 5% è una
percentuale insufficiente.
- Nella memoria di replica la ricorrente ha accluso uno studio effettuato dalla società
Z/Yen Ltd nel novembre 1995, recante il titolo «Profitability Requirement Review
European Urea Fertilizer Industry» («Studio della reddittività necessaria
Industria europea dei fertilizzanti a base di urea») (in prosieguo: lo «studio
Z/Yen»), contenente un'analisi dell'industria europea dei fertilizzanti, alla quale
essa si richiama per corroborare la propria tesi secondo la quale il margine di utile
è troppo esiguo.
- La ricorrente ha inoltre accluso alla memoria di replica i risultati di un sondaggio
sulla redditività da essa effettuato presso i produttori comunitari per verificare
l'attendibilità dell'informazione divulgata dalla Commissione. La ricorrente ha
precisato di aver richiesto, a titolo individuale e strettamente riservato, copia della
risposta al questionario della Comunità concernente la redditività. Secondo la
ricorrente, i risultati di questo sondaggio sono difficilmente conciliabili con le
asserzioni del Consiglio in ordine al margine di utile dei produttori comunitari.
- In secondo luogo, la ricorrente sostiene che se un metodo di calcolo esiste, le
istituzioni comunitarie non glielo hanno mai comunicato né spiegato. Pertanto essa
non avrebbe potuto presentare le proprie osservazioni né in merito al livello dei
margini di utile in generale né in ordine alla fondatezza della sua valutazione, con
la conseguenza che i suoi diritti della difesa sarebbero stati violati (v. sentenza
Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, citata, punto 17).
- Il Consiglio segnala anzitutto che, per determinare il margine di utile, le istituzioni
comunitarie hanno preso in considerazione gli elementi che esse normalmente
utilizzano e che nel presente procedimento le spiegazioni relative agli elementi
presi in considerazione sono state chiaramente esposte al punto 73 del preambolo
del regolamento impugnato.
- Il Consiglio puntualizza che per determinare il margine di utile la Commissione
deve prendere in considerazione vari fattori relativi alla situazione finanziaria
generale del settore, quali una concorrenza normale e leale sul mercato, l'efficienza
o l'inefficienza delle varie imprese, i vantaggi comparativi e l'espansione o la
contrazione della domanda. Sarebbe necessario prendere in considerazione tali
fattori per determinare l'utile ragionevolmente conseguibile in mancanza di
importazioni oggetto di dumping. Il Consiglio sottolinea che ciò è quanto ha fatto
la Commissione nel caso di specie.
- Con riguardo ai dati emersi dal questionario sulla redditività inviato ai produttori
comunitari, il Consiglio sostiene che un numero abbastanza cospicuo di produttori
comunitari (che rappresentavano circa il 40% del volume complessivo delle vendite
dei produttori comunitari) hanno stimato il livello di redditività a meno del 10%
e lo hanno dichiarato vuoi nella loro risposta al questionario della Commissione
vuoi nel corso dei sopralluoghi effettuati da agenti della Commissione nella loro
azienda. Il Consiglio fa rilevare di non potere, per motivi di riservatezza, rendere
pubblici i nomi di queste imprese, né fornire gli elementi di prova corrispondenti.
- Quanto al sondaggio prodotto dalla ricorrente e relativo alle risposte fornite dai
produttori comunitari, il Consiglio produce a sua volta una tabella, compilata in
base a tutte le informazioni acquisite dalla Commissione nel corso dell'inchiesta,
che contraddice i risultati del sondaggio compiuto dalla ricorrente. Esso spiega che
ciò è riconducibile, in particolare, al fatto che i risultati del sondaggio della
ricorrente non tengono conto delle informazioni acquisite nel corso dei sopralluoghi
effettuati nell'ambito del procedimento amministrativo.
- Il Consiglio fa quindi valere che nessun elemento di prova è mai stato prodotto
dalla ricorrente nel corso dell'inchiesta per suffragare la tesi secondo la quale i
produttori comunitari dovevano realizzare un utile pre-imposta pari al 10% per
rimanere competitivi. Gli argomenti della ricorrente contengono, secondo il
Consiglio, solo vaghi riferimenti ad investimenti che sarebbero stati necessari per
conformarsi alle nuove norme in materia di tutela ambientale.
- Secondo il Consiglio, spetta alla ricorrente fornire nel corso dell'inchiesta le
informazioni necessarie a sostegno della sua domanda per l'utilizzo di un margine
di utile del 10%.
- Per quanto riguarda lo studio Z/Yen, il Consiglio sostiene che la ricorrente non può
trarre argomento da esso per due ragioni. In primo luogo, secondo il Consiglio, lo
studio Z/Yen costituisce un motivo nuovo ai sensi dell'art. 48, n. 2, del regolamento
di procedura del Tribunale. Infatti, lo studio Z/Yen non si ricollegherebbe né a un
argomento formulato nell'atto introduttivo né ad un argomento preciso addotto dal
Consiglio nel suo controricorso o nel regolamento impugnato. Conseguentemente
lo studio Z/Yen non potrebbe essere considerato alla stregua di una semplice
integrazione di argomenti e conclusioni svolti nell'atto introduttivo.
- In secondo luogo, il Consiglio assume che la ricorrente non può far valere tale
studio, dato che essa avrebbe potuto o dovuto esibirlo nel corso dell'inchiesta
amministrativa. A tale riguardo, il Consiglio sottolinea come la Commissione, nella
lettera informativa inviata alla ricorrente, abbia comunicato a quest'ultima la sua
intenzione di utilizzare un margine di utile pari al 5% per il calcolo del dazio
antidumping e per il lucro cessante. Orbene, la ricorrente, nella lettera inviata alla
Commissione il 17 maggio 1994, avrebbe richiesto precisazioni su determinate
questioni, ma non sulla determinazione del margine di utile, talché le spiegazioni
della Commissione dovevano risultare chiare.
- Nel caso in cui il Tribunale ritenesse che la ricorrente può avvalersi dello studio
Z/Yen, il Consiglio fa valere che quest'ultimo non ha in ogni caso il minimo valore
probatorio. Esso argomenta in particolare che questo studio non affronta la
questione del margine di utile necessario ad un'industria comunitaria per eliminare
il danno causato dalle importazioni oggetto di dumping.
- Emerge dal regolamento impugnato che la Commissione, per stabilire il margine
di utile del 5%, ha tenuto conto del calo della domanda di urea, della necessità di
finanziare ulteriori investimenti per gli stabilimenti di produzione e del profitto
ritenuto congruo nella prima inchiesta antidumping relativa a questo prodotto (v.
punto 73 del preambolo).
- Si deve prendere atto che la ricorrente non ha fornito elementi di prova idonei a
dimostrare che, procedendo in questo modo, la Commissione sia incorsa in errore
di valutazione manifesto.
- Invero, risulta dai documenti versati agli atti e dalla risposta fornita dalla ricorrente
a un quesito scritto del Tribunale (lettera 17 aprile 1997) che la ricorrente si è
limitata ad affermare, nel corso di questo procedimento, che un margine di utile
pre-imposta pari al 5% era manifestamente insufficiente per raccogliere i capitali
necessari per il funzionamento dell'industria dei fertilizzanti e garantire i nuovi
investimenti indispensabili per la manutenzione degli impianti e degli stabilimenti
di produzione e la loro uniformazione alle nuove norme in materia di tutela
ambientale, senza addurre alcuna prova a sostegno di queste asserzioni.
- Per quanto riguarda lo studio Z/Yen, il Tribunale prende atto che esso è stato
presentato dopo l'adozione del regolamento impugnato. Orbene, spetta al
Tribunale accertare se le istituzioni si siano fondate su fatti materiali esatti e se
questi ultimi non siano stati valutati in modo manifestamente errato sullo sfondo
della situazione quale si presentava alla data di adozione dell'atto impugnato. Nella
fattispecie è emerso effettivamente che la ricorrente non ha addotto nel corso del
procedimento amministrativo alcuna prova a sostegno della propria asserzione
secondo cui sarebbe stato necessario un margine di utile più elevato. Le istituzioni
non hanno quindi potuto prendere in considerazione questo elemento al momento
in cui hanno adottato il regolamento impugnato. Per tale motivo, il Tribunale
ritiene che dello studio Z/Yen non deve tenersi conto ai fini del presente
procedimento.
- Ciò vale del pari per l'analisi effettuata dalla Grande Paroisse il 3 maggio 1995,
acclusa dalla ricorrente al suo ricorso.
- La ricorrente non può neppure far valere i risultati del proprio sondaggio sulla
redditività, da essa effettuato presso produttori comunitari. Nulla contraddice infatti
la spiegazione fornita dal Consiglio, secondo cui i risultati divergenti si spiegano con
la circostanza che il sondaggio della ricorrente non tiene conto delle informazioni
acquisite nel corso dei sopralluoghi effettuati nell'ambito dell'inchiesta. A ciò si
aggiunge che la ricorrente stessa ha sostenuto, nella sua lettera 17 aprile 1997, che
i produttori comunitari avevano indicato alla Commissione una gamma differenziata
di criteri di calcolo della redditività, che non hanno lo stesso significato e che
potevano essere chiariti dalla Commissione nel corso delle verifiche in loco
effettuate presso i produttori comunitari.
- In ordine all'asserzione della ricorrente secondo cui sarebbero stati violati i suoi
diritti della difesa, è sufficiente rilevare che essa è stata in condizioni di far
conoscere il proprio punto di vista in merito alla pertinenza del dato del 5% e di
dimostrare i motivi per i quali sarebbe necessario un utile pre-imposta pari al 10%.
Nondimeno essa si è limitata ad affermare, in termini generici, che un utile pari a
circa il 10% sarebbe più congruo, senza del resto richiedere precisazioni in ordine
ad un qualsiasi metodo di calcolo del margine di utile.
- Nell'informativa del 10 maggio 1994 si precisava infatti che: «The majority of
Community producers claimed that a minimum pre-tax profit of 15% was required
for them to remain competitive. However, this was not substantiated and, being an
established product, this figure is considered to be high» («La maggior parte dei
produttori comunitari ha affermato che sarebbe loro necessario un utile
pre-imposta pari al 15% per rimanere competitivi. Tuttavia non è stato fornito
alcun elemento di prova a sostegno di tale affermazione e, poiché l'urea è un
prodotto ben consolidato, tale percentuale è stata considerata eccessiva»). Nel
corso del procedimento amministrativo la ricorrente sapeva quindi che, a giudizio
della Commissione, incombeva ad essa di dimostrare per quale motivo fosse
necessario un margine di utile più elevato.
- Ne consegue che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati nel corso
del procedimento amministrativo.
- Emerge da quanto sopra che il motivo deve essere respinto nel suo complesso.
Sul primo e sul secondo motivo
- Nella presente causa, la ricorrente ha concluso che il Tribunale voglia annullare
l'art. 1 del regolamento impugnato e ordinare il mantenimento in vigore dei dazi
antidumping istituiti da questo regolamento fintantoché le istituzioni competenti
non abbiano adottato provvedimenti più severi.
- Stando al punto 106 del preambolo del regolamento impugnato, la percentuale
necessaria per l'eliminazione del danno era inferiore al margine di dumping
stabilito per la Russia. Conseguentemente, in conformità dell'art. 13, n. 3, del
regolamento base, il dazio antidumping definitivo è stato istituito al livello della
percentuale necessaria per l'eliminazione del danno.
- Questa conclusione, del resto espressa nell'informativa del 10 maggio 1994, non è
mai stata posta in contestazione dalla ricorrente.
- La ricorrente non ha nemmeno messo in discussione il metodo di fissazione
dell'importo del dazio, vale a dire un importo pari alla differenza tra la somma di
115 ECU/t e il prezzo franco frontiera comunitaria, prima dello sdoganamento,
qualora tale prezzo risulti inferiore.
- Orbene, emerge da quanto sopra che le istituzioni hanno correttamente
determinato il dazio al livello necessario all'eliminazione del danno causato dalle
pratiche di dumping messe in atto dalla Russia.
- Pertanto, anche ammesso che l'addebito mosso dalla ricorrente alle istituzioni di
aver fissato un margine di dumping troppo esiguo sia fondato, sarebbe ad essa in
ogni caso preclusa la possibilità di ottenere l'annullamento dell'art. 1 del
regolamento impugnato.
- Il primo e il secondo motivo sono quindi inoperanti e devono pertanto essere
disattese le conclusioni dirette all'annullamento dell'art. 1 del regolamento
impugnato nel loro complesso.
- Ne consegue, parimenti, che il ricorso deve essere integralmente respinto.
Sulle spese
- Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è
condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta
soccombente e il Consiglio ha concluso in tal senso, occorre condannare la
ricorrente a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio. Ai
sensi dell'art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, la Commissione, intervenutanella lite, sopporterà le proprie spese.
Per questi motivi,IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
- Il ricorso è respinto.
- La ricorrente sopporterà le proprie spese nonché le spese del Consiglio.
- La Commissione sopporterà le proprie spese.
Lenaerts Lindh Azizi Cooke Jaeger
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Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 17 dicembre 1997.
Il cancelliere
Il presidente
H. Jung
P. Lindh
1: Lingua processuale: l'inglese.