Language of document : ECLI:EU:C:2016:900

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 24 novembre 2016 (1)

Causa C‑367/15

Stowarzyszenie ‘Oławska Telewizja Kablowà w Oławie

contro

Stowarzyszenie Filmowców Polskich w Warszawie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Najwyższy (Corte Suprema, Polonia)]

«Diritti di proprietà intellettuale e industriale – Violazione – Calcolo dei danni – Direttiva 2004/48/CE – Normativa di uno Stato membro che prevede un risarcimento del danno pari al doppio o al triplo dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora fosse stata concessa un’autorizzazione all’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione della direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (2) e, in particolare, sulla questione se l’articolo 13 di tale direttiva osti a che una norma di diritto nazionale consenta al titolare di un diritto proprietà intellettuale di chiedere il risarcimento dei danni al presunto autore della violazione per un importo prestabilito che potrebbe essere descritto, per usare la terminologia del giudice del rinvio, come «punitivo».

 Diritto dell’Unione

2.        I considerando 2 e 3 della direttiva 2004/48 così recitano:

«(2)      La tutela della proprietà intellettuale dovrebbe consentire all’inventore o al creatore di trarre legittimo profitto dalla sua invenzione o dalla sua creazione. Dovrebbe inoltre consentire la massima diffusione delle opere, delle idee e delle nuove conoscenze. Nello stesso tempo, essa non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d’espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet.

(3)      Tuttavia, in assenza di misure efficaci che assicurino il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l’innovazione e la creazione sono scoraggiate e gli investimenti si contraggono. È dunque necessario assicurare che il diritto sostanziale in materia di proprietà intellettuale, oggi ampiamente parte dell’acquis comunitario, sia effettivamente applicato [nell’Unione]. In proposito, gli strumenti per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale rivestono un’importanza capitale per il successo del mercato interno».

3.        Conformemente al considerando 8 della direttiva 2004/48:

«Le disparità tra gli ordinamenti dei singoli Stati membri in materia di strumenti per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale pregiudicano il corretto funzionamento del mercato interno e rendono impossibile assicurare che i diritti di proprietà intellettuale beneficino di un livello di tutela omogeneo su tutto il territorio [dell’Unione]. Questa situazione non favorisce la libera circolazione nel mercato interno, né crea un contesto favorevole ad una sana concorrenza tra le imprese».

4.        Conformemente al considerando 10 della direttiva 2004/48:

«L’obiettivo della presente direttiva è di ravvicinare queste legislazioni al fine di assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno».

5.        Il considerando 17 della direttiva 2004/48 è del seguente tenore:

«Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso previsti dalla presente direttiva dovrebbero essere determinati in ciascun caso in modo tale da tenere debitamente conto delle caratteristiche specifiche del caso, tra cui le peculiarità di ciascun diritto di proprietà intellettuale e, ove necessario, il carattere intenzionale o non intenzionale della violazione».

6.        Conformemente al considerando 26 della direttiva 2004/48:

«Allo scopo di rimediare al danno cagionato da una violazione commessa da chi sapeva, o avrebbe ragionevolmente dovuto sapere, di violare l’altrui diritto, è opportuno che l’entità del risarcimento da riconoscere al titolare tenga conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali la perdita di guadagno subita dal titolare dei diritti o i guadagni illeciti realizzati dall’autore della violazione e, se del caso, eventuali danni morali arrecati. In alternativa, ad esempio, qualora sia difficile determinare l’importo dell’effettivo danno subito, l’entità d[e]l risarcimento potrebbe essere calcolata sulla base di elementi quali l’ammontare dei corrispettivi o dei diritti che l’autore della violazione avrebbe dovuto versare qualora avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale. Il fine non è quello di introdurre un obbligo di prevedere un risarcimento punitivo, ma di permettere un risarcimento fondato su una base obiettiva, tenuto conto delle spese sostenute dal titolare, ad esempio, per l’individuazione della violazione e relative ricerche)».

7.        L’articolo 2 della direttiva 2004/48 è intitolato «Campo d’applicazione». Il paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione [dell’Unione] o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano, conformemente all’articolo 3, alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione [dell’Unione] e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato».

8.        Conformemente all’articolo 3 della direttiva 2004/48:

«1.      Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.

2.      Le misure, le procedure e i mezzi ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

9.        L’articolo 13 della direttiva 2004/48 è intitolato «Risarcimento del danno». Il paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, su richiesta della parte lesa, le competenti autorità giudiziarie ordinino all’autore della violazione, implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un’attività di violazione di risarcire al titolare del diritto danni adeguati al pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione.

Allorché l’autorità giudiziaria fissa i danni:

a)      tiene conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione;

b)      oppure in alternativa alla lettera a) può fissare, in casi appropriati, una somma forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore della violazione avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione».

 Diritto polacco

10.      L’articolo 79, paragrafo 1, dell’Ustawa z dnia 4 lutego 1994 r. o prawie autorskim i prawach pokrewnych (legge polacca sul diritto d’autore e diritti correlati, del 4 febbraio 1994; in prosieguo: la «legge sul diritto d’autore»), nella versione in vigore all’epoca dei fatti, prevedeva quanto segue:

«Il titolare di diritti patrimoniali d’autore che siano stati violati può chiedere all’autore della violazione di tali diritti:

1.      la cessazione della violazione;

2.      l’eliminazione degli effetti della violazione;

3.      la riparazione dei danni subiti:

a)      secondo i principi generali o

b)      mediante pagamento di una somma di denaro di importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata che, se fosse stata richiesta, sarebbe stata dovuta, a titolo di concessione dell’autorizzazione da parte del titolare per l’uso dell’opera;

4.      la restituzione degli utili realizzati».

 Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

11.      La Stowarzyszenie Filmowców Polskich (Associazione dei cineasti polacchi; in prosieguo: l’«associazione dei cineasti») è un’organizzazione autorizzata a gestire e a tutelare opere audiovisive protette dal diritto d’autore, comprese quelle (ri)trasmesse attraverso reti televisive via cavo. Essa opera in base a una licenza rilasciata dal Ministro polacco per la cultura e le arti. La Stowarzyszenie Oławska Telewizja Kablowa (Associazione della TV via cavo della città di Oława; in prosieguo: l’«Associazione della TV via cavo») trasmette programmi sulla televisione via cavo nella città di Oława nella Bassa Slesia.

12.      Il 4 ottobre 1995 le parti hanno concluso un contratto di licenza in cui sono state fissate le regole per la disciplina dei diritti dovuti dall’Associazione della TV via cavo all’Associazione dei cineasti. Il 30 dicembre 1998 quest’ultima ha notificato il suo recesso da tale contratto e ha proposto che le parti concludessero un nuovo contratto a condizioni modificate. Tali condizioni comportavano il pagamento di un diritto di licenza più elevato, ossia il 2,8% dell’utile netto mensile dell’Associazione della TV via cavo, percentuale già accettata da un numero significativo di altri operatori nel mercato polacco della televisione via cavo.

13.      L’Associazione della TV via cavo non ha accettato le proposte dell’Associazione dei cineasti. Il 17 aprile 2008 essa ha presentato alla Komisja Prawa Autorskiego (l’autorità polacca per la tutela del diritto d’autore) una domanda diretta a ottenere la definizione della controversia tra le parti (3). Con decisione del 6 marzo 2009, tale autorità ha disposto che il diritto di licenza venisse fissato all’1,6% dell’utile netto mensile, escluse l’imposta sul valore aggiunto e le spese di installazione e di connessione. L’associazione della TV via cavo ha versato successivamente all’Associazione dei cineasti la somma di 34 312,69 sloti polacchi (PLN) (4) relativamente all’utile conseguito per il periodo dal 2006 al 2008, in base alla percentuale mensile menzionata.

14.      Il 12 gennaio 2009 l’Associazione dei cineasti ha avviato un procedimento al fine di ottenere un provvedimento che vietasse all’Associazione della TV via cavo di (ri)trasmettere opere audiovisive tramite la televisione via cavo prima della conclusione di un nuovo contratto di licenza e che imponesse la condanna della convenuta al pagamento della somma capitale di PLN 390 337,50 (5) relativamente al periodo decorrente dalla data di proposizione del ricorso fino alla data dell’effettivo pagamento. Tali domande sono state formulate in base all’articolo 79, paragrafo 1, punti 1 e 3, lettera b), della legge sul diritto d’autore.

15.      Con sentenza dell’11 agosto 2009, il Sąd Okręgowy (Tribunale regionale) di Wrocław ha dichiarato che non era necessario pronunciarsi riguardo alla somma di PLN 84 120,51 (6), ha vietato all’Associazione della TV via cavo di (ri)trasmettere programmi prima della conclusione di un nuovo contratto di licenza con l’Associazione dei cineasti, ha riconosciuto a quest’ultima la somma capitale di PLN 160 275,69 (7) e ha respinto il ricorso quanto al resto. Detto giudice ha dichiarato che era stato violato l’articolo 79, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore in quanto la convenuta era colpevole di aver (ri)trasmesso programmi pur sapendo di non essere titolare di una licenza. Pertanto, in forza di tale disposizione, era dovuto alla ricorrente un importo equivalente al triplo della remunerazione adeguata.

16.      Entrambe le parti hanno interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Sąd Apelacyjny (Corte d’appello) di Wrocław. Con sentenza del 12 marzo 2010, detto giudice ha respinto gli appelli. Successivamente, le parti hanno proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio il quale, con sentenza del 15 giugno 2011, ha annullato la sentenza della Corte d’appello e ha rinviato la causa per riesame dinanzi alla stessa corte. Con sentenza del 19 dicembre 2011, la Corte d’appello ha riformato la sentenza impugnata condannando l’Associazione della TV via cavo a versare all’Associazione dei cineasti un’ulteriore somma di PLN 145 941,30 (8) e ha respinto l’appello interposto dall’Associazione della TV via cavo. Adito della causa per la seconda volta il giudice del rinvio, con sentenza del 27 marzo 2013, ha annullato nuovamente la sentenza impugnata e ha rinviato la causa per riesame dinanzi alla Corte d’appello. Con lettera del 28 agosto 2013, l’Associazione dei cineasti ha rinunciato in parte alla domanda di un provvedimento che vietasse all’Associazione della TV via cavo di realizzare qualsiasi (ri)trasmissione. Nel riesaminare la causa, la Corte d’appello ha osservato che l’unica questione in sospeso tra le parti era quella dell’ammontare dei danni dovuti ai sensi dell’articolo 79 della legge sul diritto d’autore.

17.      La controversia è al momento pendente, per la terza volta, dinanzi al giudice del rinvio. Detto giudice osserva che l’Associazione della TV via cavo ha costantemente sostenuto che l’articolo 79 della legge sul diritto d’autore è contrario all’articolo 13 della direttiva 2004/48, in particolare nella parte in cui prevede la concessione di un risarcimento «punitivo» pari al doppio o al triplo della remunerazione adeguata.

18.      Dato che non sussistono certezze circa l’interpretazione da attribuire alle disposizioni di tale direttiva, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 13 della [direttiva 2004/48] possa essere interpretato nel senso che il titolare di diritti patrimoniali d’autore che siano stati violati può chiedere la riparazione dei danni da esso subiti sulla base dei principi generali, oppure se, senza dover dimostrare il danno ed il nesso di causalità tra il fatto generatore della violazione dei suoi diritti ed il danno, possa esigere il pagamento di una somma di denaro di importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata, dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/48 prevede che a decidere in merito ad un risarcimento sia il giudice, tenendo conto delle circostanze elencate all’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), e che solo in via alternativa, in alcuni casi, egli può fissare a titolo di risarcimento una somma forfettaria, tenendo conto degli elementi di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Se sia ammessa, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva, la concessione, su richiesta di parte, di una somma forfettaria prestabilita a titolo di risarcimento, pari al doppio o al triplo della remunerazione adeguata, alla luce del fatto che, al considerando 26 della direttiva, si precisa che il fine della direttiva non è quello di introdurre un risarcimento punitivo».

19.      Hanno presentato osservazioni scritte l’Associazione dei cineasti, i governi ellenico, polacco e austriaco nonché la Commissione europea. All’udienza del 14 luglio 2016 sono comparsi e hanno svolto le proprie difese entrambe le parti nel procedimento principale nonché il governo polacco e la Commissione europea.

 Valutazione

 Questione preliminare

20.      L’ordinanza di rinvio è stata depositata presso la cancelleria della Corte il 14 luglio 2015. Con sentenza del 23 giugno 2015, il Trybunał Konstytucyiny (Corte costituzionale polacca) ha dichiarato che l’articolo 79, paragrafo 1, punto 3, lettera b), della legge sul diritto d’autore era contrario alla Costituzione della Repubblica di Polonia nella parte in cui consentiva al titolare del diritto d’autore i cui diritti fossero stati violati di chiedere, in caso di violazione colposa, il pagamento di un importo pari al triplo della remunerazione adeguata. La disposizione è stata quindi modificata in tal senso con effetto a decorrere dal 1o luglio 2015.

21.      Poiché la sentenza della Corte costituzionale è stata portata all’attenzione di questa Corte, quest’ultima ha chiesto al giudice del rinvio se intendesse mantenere la propria domanda di pronuncia pregiudiziale. Tale giudice ha risposto il 28 agosto 2015 nel senso che, anzitutto, dato che l’articolo 79, paragrafo 1, punto 3, lettera b), continuava a prevedere il pagamento di un importo pari al doppio della remunerazione adeguata, continuava a nutrire dubbi riguardo alla questione del risarcimento punitivo e, inoltre, la sentenza della Corte costituzionale serviva a rafforzare le sue preoccupazioni riguardo alla potenziale mancanza, ai sensi del diritto nazionale, della necessità di stabilire la colpevolezza del presunto autore della violazione. La questione pregiudiziale dovrebbe essere quindi interpretata alla luce di tali sviluppi.

 Nel merito

22.      La direttiva 2004/48 è una misura di armonizzazione destinata a disciplinare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. La Corte ha dichiarato che tale direttiva impone «l’esistenza di rimedi giurisdizionali efficaci, destinati a prevenire, a porre fine o a rimediare a qualsiasi violazione di un diritto di proprietà intellettuale esistente» (9). A tal fine, l’articolo 2, paragrafo 1, prevede che, fatta salva la condizione che esaminerò di seguito (10), le misure, le procedure e i mezzi di ricorso stabiliti dalla direttiva si applichino a qualsiasi diritto di proprietà intellettuale soggetto alle disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale di uno Stato membro.

23.      Le misure che gli Stati membri devono prevedere riguardano i diritti di proprietà intellettuale in tutte le loro forme e includono, tra l’altro, il risarcimento dei danni (11). Tuttavia, la presente ordinanza di rinvio riguarda la questione del risarcimento dovuto per violazione del diritto d’autore. In particolare, la Corte è chiamata a pronunciarsi sul calcolo dei danni ai sensi della direttiva, con particolare riguardo alla questione della prova e del nesso di causalità del danno subito dal titolare e del diritto di detto titolare ad ottenere una somma forfettaria a titolo di risarcimento che può non essere collegata al danno subito e che potrebbe essere, in ultima analisi, punitiva (12).

24.      Al riguardo, i governi austriaco e polacco (segnatamente il primo) hanno attribuito particolare rilevanza a quanto stabilito nell’articolo 2 della direttiva 2004/48 secondo il quale detta misura fa salvi gli strumenti previsti nella legislazione nazionale, che possono essere più favorevoli ai titolari dei diritti. Qualora fosse valido, tale argomento escluderebbe – o quantomeno ridurrebbe notevolmente – la necessità di considerare le restanti disposizioni della direttiva, in quanto sembra pacifico che le disposizioni della legge nazionale sul diritto d’autore di cui trattasi siano destinate ad essere più favorevoli ai titolari dei diritti. Mentre è chiaramente necessario considerare l’articolo 2, paragrafo 1, nel rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta alla Corte, ritengo importante esaminare anzitutto non già ciò che la direttiva non tenta di realizzare – lasciando la questione alla discrezionalità degli Stati membri – bensì ciò che essa tenta effettivamente di realizzare nel senso di stabilire una base per attuare un’armonizzazione a livello dell’Unione.

25.      La questione specifica che il giudice del rinvio deve affrontare riguarda una norma di diritto nazionale (l’articolo 79, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore) che consente al titolare di un diritto, il quale sostenga che i suoi diritti sono stati violati, di chiedere a titolo di risarcimento una somma di denaro al presunto autore della violazione, il cui importo sia prestabilito (13) e che, di conseguenza, non presenti alcun nesso di causalità necessario con il danno effettivamente subito dal titolare. Il diritto a tale forma di risarcimento sembrerebbe sorgere automaticamente (14). Su tale base, il giudice del rinvio dichiara che il risarcimento in questione può essere descritto come «punitivo».

26.      Da tale argomento sorgono diversi questioni, che occorre sintetizzare nei seguenti termini:

–        se una norma di diritto nazionale che stabilisce (15) la somma da versare al titolare di un diritto senza lasciare, al riguardo, alcun potere discrezionale all’organo giurisdizionale che tratta e giudica la causa possa soddisfare i requisiti di cui alla direttiva 2004/48;

–        la natura e la portata degli obblighi di risarcimento stabiliti dall’articolo 13, interpretato alla luce dell’articolo 3 della direttiva; nonché

–        i limiti entro i quali l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva autorizza gli Stati membri ad andare oltre gli obblighi di risarcimento stabiliti dall’articolo 13 e, in particolare, consente loro di prevedere, nel loro diritto nazionale, la concessione di un risarcimento punitivo.

27.      Esaminerò tali questioni in successione nei seguenti paragrafi.

 La normativa nazionale può fissare la somma da versare al titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato, senza intervento dell’organo giurisdizionale che tratta e giudica la causa?

28.      La risposta a tale quesito può essere ricavata dal testo dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 in combinato disposto con il considerando 17 e con l’articolo 3, paragrafo 1.

29.      L’articolo 13, paragrafo 1, obbliga gli Stati membri ad assicurare che il titolare di un diritto sia compensato dalle competenti autorità giudiziarie mediante la concessione di un risarcimento in casi appropriati. Nel fissare i danni, tali autorità devono concedere una somma adeguata all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto quale conseguenza della violazione. Ciò riflette, a sua volta, sia quanto dichiarato al considerando 17 della direttiva, secondo il quale i mezzi di ricorso dovrebbero essere determinati in ciascun caso in modo tale da tenere debitamente conto delle circostanze della fattispecie, sia il disposto dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva secondo il quale i mezzi di ricorso devono essere «leali ed equi». Deve sussistere, in altri termini, una valutazione adeguata alla questione di cui trattasi e tale valutazione può essere effettuata, per definizione, soltanto da un giudice o da un organo avente poteri giurisdizionali equivalenti a quelli spettanti a un giudice. Ne consegue, a mio avviso, che una norma nazionale in cui si prevede che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato possa godere automaticamente di un diritto a un importo prestabilito fissato dalla normativa nazionale in materia e senza alcun intervento da parte delle competenti autorità giudiziarie riguardo a tale calcolo, che sia basato sull’importo della remunerazione adeguata o su altri elementi, non può soddisfare i requisiti della direttiva.

30.      Ritengo quindi che la direttiva 2004/48 debba essere interpretata nel senso che osta a una norma nazionale che preveda il pagamento automatico di una somma prestabilita al titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato, su richiesta di detto titolare e senza alcun intervento da parte delle competenti autorità giudiziarie nazionali nel fissare l’ammontare dei danni in questione.

 L’applicazione degli articoli 3 e 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/48 al calcolo dei danni

31.      Ho fatto riferimento, al precedente paragrafo 29, al requisito di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 secondo il quale i mezzi di ricorso devono essere «leali ed equi». Pertanto, si deve tenere debitamente conto della posizione non solo del titolare del diritto, ma anche del presunto autore della violazione. L’articolo 3, paragrafo 2, prosegue prevedendo che tali mezzi di ricorso debbano essere «effettivi, proporzionati e dissuasivi». Tali principi disciplineranno la concessione di tutti i mezzi di ricorso ai sensi della direttiva, compresa l’attribuzione del risarcimento. Nella fattispecie si dà rilevanza alla tutela del titolare del diritto.

32.      Per quanto attiene alle particolari norme che disciplinano il calcolo dei danni, è necessario considerare l’articolo 13 della direttiva. Il caso dell’autore della violazione, implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un’attività di violazione, è trattato all’articolo 13, paragrafo 1. Tale disposizione stabilisce ulteriori orientamenti generali, prevedendo che i danni debbano essere «adeguati al pregiudizio effettivo (…) subito». Tale requisito deve anche caratterizzare tutti i casi di concessione di un risarcimento ai sensi della direttiva.

33.      Occorre soffermarsi, a questo punto, ad esaminare una questione in risposta al secondo problema sollevato dal giudice del rinvio nella sua risposta alla Corte del 28 agosto 2015 (16). L’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, è limitata ai casi in cui l’autore di una violazione agisce con la consapevolezza o con ragionevoli motivi per essere consapevole che la sua condotta era colposa. Il calcolo dei danni quando l’autore della violazione non era consapevole o non aveva ragionevoli motivi per essere consapevole che l’attività costituiva una violazione è una questione che rientra nell’articolo 13, paragrafo 2. L’importo recuperabile ai sensi di tale disposizione è limitato al «recupero dei profitti o [a]l pagamento di danni che possono essere predeterminati». È quindi evidente, a mio avviso, che nei casi in cui si applica l’articolo 13, paragrafo 1, è necessario accertare la colpa dell’autore della violazione.

34.      Tale disposizione prosegue poi precisando il modo in cui le autorità giudiziarie interessate devono stabilire i danni in un determinato caso. Essa prevede due metodi. Il primo [lettera a)], pur richiedendo all’autorità giudiziaria di tener conto di tutti gli aspetti pertinenti, si basa sulle conseguenze economiche della violazione, con particolare riferimento ai mancati guadagni da parte del titolare del diritto e ai benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione. Essa include anche un riferimento a elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto.

35.      La lettera b) funziona come alternativa. Essa consente alle autorità giudiziarie di fissare una somma forfettaria in base, in particolare, all’importo dei corrispettivi o dei diritti che avrebbero dovuto essere versati dall’autore della violazione qualora avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione. Poiché la lettera b) sta al centro della questione sollevata dal giudice del rinvio, è necessario esaminare un po’ più dettagliatamente le parti della lettera b) rilevanti ai fini del procedimento principale.

36.      In primo luogo, la norma si applica soltanto «in casi appropriati». Il metodo di calcolo stabilito ai sensi della lettera a) dell’articolo 13, paragrafo 1, dovrebbe essere quindi considerato come la regola generale, rispetto alla quale il metodo di cui alla lettera b), costituisce un’eccezione. Alcuni chiarimenti su ciò che si intende con l’espressione «in casi appropriati» sono forniti dal considerando 26 della direttiva, che presenta, a titolo esemplificativo, casi in cui sarebbe difficile stabilire l’importo del pregiudizio effettivo subito.

37.      Esiste, a mio avviso, un’importante ragione politica che serve a giustificare la presenza di tale alternativa. Essa consiste nella difficoltà che i titolari dei diritti dovranno affrontare in molti casi nel calcolo del danno effettivo derivante da una determinata violazione. Spesso ciò può rivelarsi difficile; a volte, può essere impossibile. In mancanza di meccanismi per assistere il titolare del diritto a tal riguardo, i mezzi di ricorso previsti dalla direttiva rischiano di essere inefficaci. Nel prevedere un sistema di recupero basato sui corrispettivi o sui diritti, il legislatore ha inteso quindi consentire al titolare del diritto di evitare l’eventuale grande quantità di tempo e di denaro che, in caso contrario, lo stesso potrebbe essere costretto ad investire per l’avvio di un procedimento contro l’autore della violazione. Qualora si dovesse sostenere una diversa posizione, vi sarebbe il rischio che non possa essere soddisfatto il requisito di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/48, secondo il quale i mezzi di ricorso non devono essere inutilmente complicati o costosi o comportare ingiustificati ritardi. Essi non sarebbero, in altri termini, «effettivi» e quindi «dissuasivi» ai fini dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva.

38.      Resta, tuttavia, il fatto che il titolare del diritto avrà l’onere di dimostrare che le circostanze del caso di specie giustificano la concessione di un risarcimento ai sensi della norma di diritto nazionale equivalente alla lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva e che è quindi «appropriato» agire in tal senso. Deve essere quantomeno «difficile determinare l’importo dell’effettivo danno subito» (17) o devono sussistere motivi che dimostrino che la concessione di un risarcimento limitato alla somma calcolata con riferimento alla lettera a) è manifestamente ingiusta o irragionevole.

39.      In secondo luogo, il calcolo previsto dalla lettera b) è basato su un importo «per lo meno» pari all’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere versati qualora la violazione non si fosse verificata (18). Non si tratta, quindi, di sostituire un importo ottenuto calcolando i mancati guadagni del titolare del diritto e/o i guadagni dell’autore della violazione con l’importo dei diritti o remunerazioni che l’autore della violazione avrebbe dovuto versare, in teoria, al titolare del diritto. Il criterio è più flessibile e la somma in questione può chiaramente essere superiore ai diritti o remunerazioni in questione.

40.      Ciò significa che la lettera b) consente all’autorità giudiziaria di concedere un risarcimento «punitivo» in base al fatto non deve sussistere una connessione necessaria tra l’importo concesso e il danno subito?

41.      Al riguardo, occorre sottolineare che la Corte ha ammesso nella sentenza Manfredi e a. (19) che tale risarcimento può essere dovuto in base a disposizioni nazionali che disciplinano le violazioni del diritto della concorrenza, purché siano osservati i principi di effettività e di equivalenza (20). Pertanto, non si può affermare che la nozione di risarcimento punitivo deve essere considerata, in tutti i casi, inconciliabile con i requisiti fissati dal diritto dell’Unione.

42.      Ritengo, tuttavia, che le dichiarazioni generali e di ampia portata contenute in tale sentenza non possano essere applicate al caso di specie. In primo luogo, risulta chiaramente dalla frase finale del considerando 26 della direttiva 2004/48 che l’intento del legislatore non era di prevedere che fossero dovuti risarcimenti punitivi ai sensi della direttiva.

43.      In secondo luogo, il primo comma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva prevede il risarcimento di danni «adeguati al pregiudizio effettivo (…) subito [dal titolare del diritto] a causa della violazione» (21). Tale disposizione impone, a mio avviso, che il titolare del diritto sia in grado di dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra l’importo richiesto e il danno subito (22). Ne consegue che l’articolo 13, paragrafo 1, non consente la concessione di una somma che possa non presentare alcun collegamento necessario con il danno che il titolare del diritto ha subito o che probabilmente subirà in futuro (23).

44.      In terzo luogo, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/48 stabilisce il principio fondamentale secondo cui i mezzi di ricorso devono essere non solo «effettivi» e «dissuasivi», ma anche «proporzionati».

45.      A sostegno della sua posizione secondo la quale il risarcimento punitivo può essere proporzionato, il governo polacco ha sostenuto in udienza che la Corte dovrebbe considerare la sua sentenza Arjona Camacho (24). Tale causa riguardava l’interpretazione della direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (25), il cui articolo 25 è intitolato «Sanzioni» e prevede, tra l’altro, che le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione di tale direttiva, che possono prevedere a favore della vittima un risarcimento dei danni, devono essere «effettive, proporzionate e dissuasive». La Corte ha dichiarato che provvedimenti nazionali che prevedevano il versamento di danni punitivi alla vittima di una discriminazione fondata sul sesso soddisfacevano tale criterio ed erano quindi proporzionati (26).

46.      Non posso trarre alcuna indicazione utile dalla sentenza in questione. La disposizione a cui tale sentenza fa riferimento riguarda, tra l’altro, il versamento di somme a titolo sanzionatorio e non risarcitorio. Nel primo ambito è naturale che il calcolo in questione possa non presentare alcun collegamento necessario con il danno subito dalla vittima. Non si può dire altrettanto per la concessione di un risarcimento che, in forza dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/48, deve essere adeguato al pregiudizio effettivo subito dal titolare del diritto. In tale contesto, il criterio della proporzionalità presuppone, a mio avviso, che esista un certo rapporto tra il danno subito e l’importo richiesto. Suggerisco che l’attribuzione di un risarcimento punitivo non soddisferà, per definizione, tale criterio.

47.      Applicando le precedenti osservazioni al caso di specie, ritengo quindi, anzitutto, che una norma nazionale, quale l’articolo 79, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore, che prevede il versamento al titolare del diritto di una somma prestabilita che non presenta un collegamento necessario con il danno da questo subito, non possa soddisfare i requisiti di cui alla direttiva 2004/48. Tuttavia, non mi sembra che da ciò derivi che una norma equivalente, secondo la quale il titolare del diritto può reclamare una somma non superiore al doppio (o addirittura, in casi appropriati, al triplo) dell’importo della remunerazione che sarebbe stata dovuta qualora il titolare del diritto avesse autorizzato l’uso dell’opera, debba essere necessariamente ritenuta anch’essa contraria al sistema stabilito dalla direttiva. Ciò che deve essere dimostrato dal titolare del diritto è che tra il danno subito e l’importo richiesto non vi sia sproporzione. Entro tali limiti, pertanto, il titolare del diritto deve dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra i due elementi. Data la natura del mezzo di ricorso previsto alla lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, non è necessario che il titolare del diritto provi tale collegamento con certezza matematica, in quanto la ratio di tale disposizione è di far fronte a circostanze il cui tale prova può essere difficile o impossibile. Tuttavia, è necessario, a mio avviso, che il titolare del diritto dimostri l’esistenza di un certo collegamento e che non gli sia riconosciuto un diritto al risarcimento che non sia affatto commisurato al danno effettivamente subito.

48.      In sintesi, concludo affermando, per quanto riguarda l’applicazione degli articoli 3 e 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/48 al calcolo dei danni nel procedimento principale, in primo luogo, che il titolare del diritto avrà l’onere di dimostrare che le circostanze del caso di specie giustificano la concessione di un risarcimento ai sensi della norma nazionale equivalente alla lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva e che è pertanto «appropriato» agire in tal senso e, in secondo luogo, che i suddetti articoli ostano a una norma nazionale in base alla quale il titolare del diritto può chiedere una somma forfettaria pari al doppio o al triplo dell’importo della remunerazione che sarebbe stata dovuta qualora detto titolare avesse autorizzato l’uso dell’opera. Essi non rendono tuttavia illegittima una norma nazionale in base alla quale il titolare del diritto può chiedere una somma limitata al doppio o al triplo di tale importo purché il titolare del diritto possa dimostrare che la somma richiesta è proporzionata al danno subito. Il titolare del diritto ha l’onere di provare che ciò è quanto avviene nel caso di specie.

 L’applicabilità dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 nel procedimento principale

49.      Per le ragioni indicate supra al paragrafo 24, è necessario considerare l’applicabilità dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 nel procedimento principale. Tale disposizione prevede le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla direttiva applicabili alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale ai sensi del diritto dell’Unione o nazionale. Tale applicazione, tuttavia, «[fa] salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione [dell’Unione] o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti» (27).

50.      A livello dell’Unione, la disposizione chiarisce quindi che la direttiva 2004/48 non deve avere alcuna incidenza sui mezzi di ricorso per la violazione dei diritti di proprietà intellettuale stabiliti da altra normativa dell’Unione, che vanno oltre rispetto a quelli specificati nella stessa direttiva (28). Un chiaro esempio di un mezzo di ricorso di tal genere sarebbe il diritto riconosciuto al titolare di un marchio di richiedere la dichiarazione di invalidità di un marchio dell’Unione europea ai sensi degli attuali articoli 52 e 53 del regolamento n. 207/2009 (29), quando detto titolare ritiene che l’effetto della registrazione di un altro marchio sia di violare i suoi diritti.

51.      Per quanto riguarda gli strumenti in vigore a livello nazionale, alcune indicazioni riguardo all’intento del legislatore dell’Unione nell’attuare la disposizione possono essere individuate nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure e alle procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (30), sulla quale era basata la direttiva 2004/48. La relazione introduttiva a tale proposta stabilisce, per quanto riguarda l’articolo 2 del progetto di direttiva, che costituiva l’equivalente dell’articolo 2 della direttiva adottata, che: «(…) Gli Stati membri hanno la facoltà di disporre che le autorità competenti possano adottare altre misure adeguate alle circostanze e idonee a far cessare la violazione del diritto di proprietà intellettuale o a impedire nuove violazioni, così come qualsiasi altra misura appropriata. (…)» (31).

52.      L’articolo 2, paragrafo 1, lascia quindi agli Stati membri la libertà di adottare disposizioni a livello nazionale che prevedano mezzi di ricorso aggiuntivi a favore del titolare del diritto. Essi possono pertanto adottare norme secondo le quali un diritto può ritenersi decaduto, ad esempio in caso di violazione grave e continuata, o imporre restrizioni all’esercizio di tale diritto al di là di quelle stabilite dalla direttiva quando tale diritto viola un diritto di proprietà intellettuale di cui è titolare un’altra parte.

53.      Tuttavia, non ritengo che l’articolo 2, paragrafo 1, possa fungere da base per un argomento secondo il quale la direttiva 2004/48 introduce solo un’armonizzazione minima nelle materie che essa disciplina (32). In primo luogo, tale affermazione è contraria al testo di tale disposizione, che si riferisce non già a «misure» vigenti o da adottare nella legislazione dell’Unione o nazionale bensì a «strumenti». In secondo luogo, essa non riflette il sistema generale della direttiva, che, come precisato al considerando 8, è diretto ad assicurare che i diritti di proprietà intellettuale beneficino di un livello di tutela omogeneo su tutto il territorio dell’Unione. Nella misura in cui la direttiva fissa norme applicabili a un particolare mezzo di ricorso, come nel caso del risarcimento, le norme dovrebbero essere, a mio avviso, le stesse in tutta l’Unione.

54.      Concludo pertanto che l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 non autorizza uno Stato membro a disporre che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato abbia diritto a un risarcimento danni punitivo.

 Conclusione

55.      Propongo quindi alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Sąd Najwyższy (Corte Suprema, Polonia) nei seguenti termini:

1)      La direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dev’essere interpretata nel senso che osta a una norma nazionale che preveda il pagamento automatico di una somma prestabilita al titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato, su richiesta di detto titolare e senza alcun intervento da parte delle competenti autorità giudiziarie nazionali nel fissare l’ammontare dei danni in questione.

2)      Gli articoli 3 e 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/48 devono essere interpretati nel senso, in primo luogo, che il titolare del diritto di proprietà intellettuale avrà l’onere di dimostrare che le circostanze del caso di specie giustificano la concessione di un risarcimento ai sensi della norma nazionale equivalente alla lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva e che è pertanto «appropriato» agire in tal senso e, in secondo luogo, che i suddetti articoli ostano a una norma nazionale in base alla quale il titolare del diritto può chiedere una somma forfettaria pari al doppio o al triplo dell’importo della remunerazione che sarebbe stata dovuta qualora detto titolare avesse autorizzato l’uso dell’opera. Essi non rendono tuttavia illegittima una norma nazionale in base alla quale il titolare del diritto può chiedere una somma limitata al doppio o al triplo di tale importo purché possa dimostrare che la somma richiesta è proporzionata al danno subito. Il titolare del diritto ha l’onere di provare che ciò è quanto avviene nel caso di specie.

3)      L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 non autorizza uno Stato membro a disporre che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato abbia diritto a un risarcimento danni punitivo.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45).


3 –      I fatti esposti sono descritti come nell’ordinanza di rinvio. Non è chiaro cosa sia accaduto nel periodo compreso tra il 1998 e il 2008.


4 –      Corrispondente, al momento della redazione delle presenti conclusioni, a EUR 8 000 circa. Ciò implica che l’utile netto mensile, durante detto periodo, era pari, in totale, a PLN 2 144 543,12.


5 –      Corrispondente, al momento della redazione delle presenti conclusioni, a EUR 91 000 circa.


6 –      Corrispondente, al momento della redazione delle presenti conclusioni, a EUR 19 600 circa.


7 –      Corrispondente, al momento della redazione delle presenti conclusioni, a EUR 39 450 circa. Non è del tutto chiaro come si sia arrivati a tale cifra: il 2,8% di PLN 2 144 543,12 è PLN 60 047,20; e se la somma riconosciuta doveva essere pari al «triplo della remunerazione adeguata», ciò avrebbe determinato un totale di PLN 180 141,62.


8 –      Corrispondente, al momento della redazione delle presenti conclusioni, a EUR 34 000 circa.


9 –      V. sentenza del 10 aprile 2014, ACI Adam e a., C‑435/12, EU:C:2014:254, punto 61 e giurisprudenza ivi citata.


10 – V. infra, paragrafi 24 e 49 e segg.


11 –      La direttiva stabilisce inoltre norme che disciplinano: il diritto di accesso alle prove e misure di protezione delle prove (sezione 2), il diritto d’informazione (sezione 3); misure provvisorie e cautelari (sezione 4); nonché misure correttive, ingiunzioni e misure alternative (sezione 5).


12 –      La nozione di risarcimento punitivo è stata esaminata dall’avvocato generale Mengozzi nelle sue conclusioni presentate nella causa Arjona Camacho, C‑407/14, EU:C:2015:534, in cui ha descritto il risarcimento punitivo nei seguenti termini: «Con i danni punitivi, il sistema di responsabilità si arricchisce di una funzione moralizzatrice, propriamente punitiva. Essi sono espressione della teoria della pena privata, non si tratta più soltanto di riparare, bensì anche di risarcire alcuni danni in aggiunta alla riparazione integrale, di cui si spera, per il loro carattere repressivo, che dissuadano non soltanto l’autore del danno dal ripetere (…) il suo comportamento [illecito], ma anche gli altri soggetti dall’agire in tal modo» (paragrafo 49).


13 –      O, quantomeno, fissa il risarcimento dovuto facendo riferimento a un moltiplicatore della remunerazione che l’autore della violazione avrebbe dovuto versare al titolare del diritto nel caso in cui quest’ultimo avesse autorizzato l’uso del diritto di proprietà sul diritto d’autore in questione.


14 –      Per chiarezza espositiva, occorre accennare al fatto che, in risposta a un quesito posto in udienza, il governo polacco ha puntualizzato che tale diritto non sorgerebbe qualora fosse stato commesso un abuso del diritto o fosse impossibile calcolare l’importo della remunerazione che si sarebbe dovuta versare al titolare del diritto.


15 –      V. supra, nota a piè di pagina n. 13.


16 –      V. supra, paragrafo 21.


17 –      V. considerando 26 della direttiva.


18 –      Sebbene la lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, utilizzi l’espressione «in alternativa», la Corte ha chiarito nella recente sentenza del 17 marzo 2016, Liffers, C‑99/15, EU:C:2016:173, che il titolare di un diritto la cui domanda sia basata su tale lettera può anche chiedere un risarcimento per danno morale, in quanto l’espressione «per lo meno» è destinata a chiarire che la base del calcolo specificata non è esaustiva.


19 –      Sentenza del 13 luglio 2006, da C‑295/04 a C‑298/04, EU:C:2006:461, punti 99 e 100. La causa riguardava l’interpretazione dell’articolo 81 CE (divenuto articolo 101 TFUE).


20 –      Occorre sottolineare che tale sentenza è precedente all’entrata in vigore della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea (GU 2014, L 349, pag. 1). Gli Stati membri devono trasporre tale direttiva nel diritto nazionale entro il 27 dicembre 2016. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva, «[i]l pieno risarcimento ai sensi della presente direttiva non conduce a una sovra-compensazione del danno subito, sia sotto forma di risarcimento punitivo che di risarcimento multiplo o di altra natura».


21 –      Il corsivo è mio.


22 –      Per ulteriori osservazioni sulla natura del nesso di causalità che deve essere dimostrato, v. infra paragrafo 47.


23 –      V., analogamente, nel contesto dei ritrovati vegetali, sentenza del 9 giugno 2016, Hansson, C‑481/14, EU:C:2016:419, punti da 33 a 40.


24 –      Sentenza del 17 dicembre 2015, C‑407/14, EU:C:2015:831.


25 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006 (GU 2006, L 204, pag. 23).


26 –      V., a tal fine, punto 40 della sentenza.


27 –      Il corsivo è mio.


28 –      Quanto ai mezzi di ricorso stabiliti dalla direttiva 2004/48, a parte il risarcimento dei danni, v. supra, nota a piè di pagina n. 11.


29 –      Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1). Tale regolamento ha sostituito il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), le cui disposizioni equivalenti erano gli articoli 51 e 52.


30 –      COM(2003) 46 definitivo.


31 –      [Ndt: rispetto alla versione inglese] Il testo della versione equivalente in lingua francese è redatto in una forma più corretta (e certamente più elegante). Esso stabilisce che: «Les États membres peuvent prévoir que les autorités compétentes peuvent ordonner d’autres mesures adaptées aux circonstances et propres à faire cesser l’atteinte au droit de propriété intellectuelle ou à prévenir de nouvelles atteintes, ainsi que toutes autres mesures appropriées».


32 –      V. supra, a tal riguardo, paragrafo 24.