Language of document : ECLI:EU:C:2019:601

SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

11 luglio 2019 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Risorse proprie – Dazi doganali – Accertamento di un’obbligazione doganale – Iscrizione in una contabilità separata – Obbligo di messa a disposizione dell’Unione europea – Procedimento di recupero avviato tardivamente – Interessi di mora»

Nella causa C‑304/18,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 4 maggio 2018,

Commissione europea, rappresentata inizialmente da Z. Malůšková, M. Owsiany-Hornung e F. Tomat e, successivamente, da Z. Malůšková e F. Tomat, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Albenzio, avvocato dello Stato,

convenuta,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, C. Vajda e A. Kumin (relatore), giudici,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che, rifiutandosi di mettere a disposizione risorse proprie tradizionali per un importo di EUR 2 120 309,50, riguardanti la comunicazione di inesigibilità IT(07)08-917, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’articolo 8 della decisione 94/728/CE, Euratom del Consiglio, del 31 ottobre 1994, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 1994, L 293, pag. 9), dell’articolo 8 della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2000, L 253, pag. 42), dell’articolo 8 della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17), e dell’articolo 8 della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), nonché degli articoli 6, 10, 11 e 17 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1552/89 del Consiglio, del 29 maggio 1989, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 1989, L 155, pag. 1), degli articoli 6, 10, 11 e 17 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 94/728 (GU 2000, L 130, pag. 1), e degli articoli 6, 10, 12 e 13 del regolamento (UE, Euratom) n. 609/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria (GU 2014, L 168, pag. 39).

 Contesto normativo

 Decisioni in materia di risorse proprie

2        Con riferimento al periodo relativo ai fatti della presente controversia, sono state applicate in successione quattro decisioni riguardanti il sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, vale a dire la decisione 94/728 e, successivamente, a decorrere dal 1º gennaio 2002, la decisione 2000/597, a decorrere dal 1º gennaio 2007, la decisione 2007/436 e, dal 1º gennaio 2014, la decisione 2014/335.

3        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), delle decisioni 94/728 e 2000/597, il cui contenuto è stato ripreso, in sostanza, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436 e 2014/335, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea le entrate provenienti, in particolare, «dai dazi della tariffa doganale comune ed altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni della Comunità sugli scambi con i paesi non membri».

4        L’articolo 8, paragrafo 1, di dette decisioni stabilisce, dal canto suo, da un lato, che i dazi della tariffa doganale comune, in quanto risorse proprie dell’Unione, sono riscossi dagli Stati membri conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa dell’Unione, e, dall’altro, che gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione dette risorse.

 Regolamenti di messa a disposizione delle risorse proprie

5        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1552/89, il cui contenuto corrisponde, in sostanza, a quello dell’articolo 2, paragrafo 1, dei regolamenti n. 1150/2000 e n. 609/2014:

«Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, un diritto delle Comunità sulle risorse proprie (...) è accertato non appena il servizio competente dello Stato membro ha comunicato al soggetto passivo l’importo dovuto. Tale comunicazione viene effettuata non appena è nota l’identità del soggetto passivo e non appena l’importo del diritto può essere calcolato dalle autorità amministrative competenti, in ottemperanza a tutte le disposizioni comunitarie applicabili in materia».

6        L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 1552/89, il cui testo corrisponde a quello, rispettivamente, dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 6, paragrafo 3, lettere a) e b), del regolamento n. 1150/2000, nonché a quello, rispettivamente, dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 6, paragrafo 3, primo e secondo comma, del regolamento n. 609/2014, così disponeva:

«1.      Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

2.      a)      Con riserva della lettera b) del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

b)      I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui alla lettera a), poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata entro il termine previsto alla lettera a). Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte».

7        In forza dell’articolo 8, primo comma, del regolamento n. 1552/89, il cui contenuto corrisponde, in sostanza, a quello dell’articolo 8, primo comma, del regolamento n. 1150/2000 e dell’articolo 8 del regolamento n. 609/2014:

«Le rettifiche effettuate a norma dell’articolo 2, paragrafo 2 vengono aggiunte o detratte dall’importo totale dei diritti accertati. Esse vengono riportate nelle contabilità previste dall’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e b), nonché negli estratti previsti dall’articolo 6, paragrafo 3, corrispondenti alle date delle rettifiche stesse».

8        L’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1552/89, il cui contenuto corrisponde, in sostanza, a quello dell’articolo 10, paragrafo 1, dei regolamenti n. 1150/2000 e n. 609/2014, era così formulato:

«Dopo la deduzione del 10% a titolo di spese di riscossione in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3 della decisione 88/376/CEE, Euratom [del Consiglio, del 24 giugno 1988, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 1988, L 185, pag. 24)], l’iscrizione delle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) della summenzionata decisione, ha luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello in cui il diritto è stato constatato in conformità dell’articolo 2.

Tuttavia, per i diritti contemplati nella contabilità separata conformemente all’articolo 6, paragrafo 2, lettera b), l’iscrizione deve aver luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello della riscossione dei diritti».

9        L’articolo 11 dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000 disponeva quanto segue:

«Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1 dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di un interesse il cui tasso è pari al tasso di interesse applicato il giorno della scadenza sul mercato monetario dello Stato membro interessato per i finanziamenti a breve termine, maggiorato di 2 punti. Tale tasso è aumentato di 0,25 punti per ogni mese di ritardo. Il tasso così aumentato è applicabile a tutto il periodo del ritardo».

10      Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 609/2014, il cui testo è identico a quello dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, come modificato dal regolamento (CE, Euratom) n. 2028/2004 del Consiglio, del 16 novembre 2004 (GU 2014, L 352, pag. 1):

«Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora».

11      L’articolo 17 dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000 prevedeva quanto segue:

«1.      Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.      Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore. Inoltre, in casi particolari, gli Stati membri sono dispensati dal mettere tali importi a disposizione della Commissione, quando, dopo attento esame di tutti i dati pertinenti del caso, risulta definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non potrebbero essere loro imputabili. (...)

(...)».

12      L’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 609/2014, redatto in termini analoghi a quelli dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1150/2000, come modificato dal regolamento n. 2028/2004, così recita:

«1.      Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.      Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati a norma dell’articolo 2 che risultano irrecuperabili per uno dei seguenti motivi:

a)      per cause di forza maggiore;

b)      per altri motivi che non sono loro imputabili.

Gli importi di diritti accertati sono dichiarati irrecuperabili con decisione dell’autorità amministrativa competente che constata l’impossibilità del recupero.

Gli importi di diritti accertati sono considerati irrecuperabili al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data alla quale l’importo è stato accertato a norma dell’articolo 2 oppure, in caso di ricorso amministrativo o giudiziario, dalla pronuncia[,] dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva.

(...)».

 Codice doganale

13      L’articolo 7 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), così disponeva:

«Al di fuori delle ipotesi contemplate dall’articolo 244, secondo comma, le decisioni adottate sono immediatamente applicabili da parte dell’autorità doganale».

14      L’articolo 202 del codice doganale era così formulato:

«1.      L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito:

a)      all’irregolare introduzione nel territorio doganale della Comunità di una merce soggetta a dazi all’importazione (...)

(...)

2.      L’obbligazione doganale sorge al momento dell’introduzione irregolare.

3.      Sono debitori:

–        la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare;

–        le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare, e

–        le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente».

15      A termini dell’articolo 213 del codice doganale:

«Quando per una medesima obbligazione doganale esistono più debitori, essi sono tenuti al pagamento dell’obbligazione in solido».

16      L’articolo 217 del codice doganale così prevedeva:

«1.      Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito denominato “importo dei dazi”, deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione).

(...)

2.      Le modalità pratiche di contabilizzazione degli importi dei dazi sono stabilit[e] dagli Stati membri. Queste modalità possono essere diverse a seconda che l’autorità doganale, tenuto conto delle condizioni in cui è sorta l’obbligazione doganale, sia certa o meno del pagamento dei predetti importi».

17      L’articolo 221, paragrafo 1, del codice doganale enunciava:

«L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato».

18      Ai sensi dell’articolo 221, paragrafi 3 e 4, del codice doganale, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000 (GU 2000, L 311, pag. 17):

«3.      La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del relativo procedimento.

4.      Qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3».

19      L’articolo 222, paragrafo 1, del codice doganale così disponeva:

«1.      Ogni importo di dazi comunicato ai sensi dell’articolo 221 deve essere pagato dal debitore nei termini indicati in appresso:

a)      se questi non fruisce di una facilitazione di pagamento di cui agli articoli da 224 a 229, il pagamento deve essere effettuato nel termine che gli è stato fissato.

Fatto salvo il secondo comma dell’articolo 244, questo termine non può eccedere dieci giorni dalla comunicazione al debitore dell’importo di dazi da pagare e, in caso di contabilizzazioni globali alle condizioni stabilite dall’articolo 218, paragrafo 1, secondo comma, esso deve essere fissato in modo da non consentire al debitore di ottenere un termine di pagamento più lungo di quello di cui avrebbe beneficiato se avesse ottenuto una dilazione di pagamento.

(...)».

20      L’articolo 232, paragrafo 1, del codice doganale prevedeva quanto segue:

«Quando l’importo di dazi non è stato pagato nel termine stabilito:

a)      l’autorità doganale si avvale di tutte le possibilità offertele dalle disposizioni in vigore, compresa l’esecuzione coatta, per garantire il pagamento di detto importo.

Secondo la procedura del comitato, possono essere adottate misure particolari nel quadro del regime di transito, in materia di garanzie;

b)      oltre all’importo dei dazi viene riscosso un interesse di mora. Il tasso dell’interesse di mora può essere superiore al tasso dell’interesse di credito. Esso non può essere inferiore a quest’ultimo tasso».

21      A termini dell’articolo 244 del codice doganale:

«La presentazione di un ricorso non sospende l’esecuzione della decisione contestata.

Tuttavia, l’autorità doganale può sospendere, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione quando abbia fondati motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l’interessato.

(...)».

 Fatti e procedimento precontenzioso

22      Nell’ambito di un’operazione di lotta contro il traffico illecito di tabacchi lavorati esteri, la Guardia di finanza, nel corso dei primi mesi del 1997, ha sequestrato numerosi container in prossimità del porto di Palermo (Italia), alcuni dei quali, ancorché vuoti, emanavano un odore di tabacco. Tenuto conto della capacità dei container ispezionati, le autorità doganali hanno supposto che fossero stati importati in modo irregolare 114 380 kg di tabacchi, come risulta dal processo verbale del 18 giugno 1997 redatto dal ricevitore capo dell’ufficio doganale di Palermo. È stato indi avviato un procedimento penale per il reato di contrabbando a carico di determinati soggetti identificati come presunti responsabili di tale reato.

23      Oltre a ciò, il 30 giugno 1997 le autorità italiane hanno proceduto all’iscrizione dell’obbligazione doganale corrispondente nella contabilità separata per le risorse proprie tradizionali, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1552/89. In tale fase, tuttavia, non è stato avviato alcun procedimento di recupero.

24      Con sentenza del Tribunale di Palermo (Italia) del 3 maggio 1999, uno dei soggetti implicati nella vicenda è stato riconosciuto colpevole, tra le altre cose, del reato di contrabbando. Secondo quanto accertato da tale giudice, il soggetto in questione aveva fatto contrabbando, in concorso con altre persone, in più occasioni e in esecuzione del medesimo disegno criminoso, di un quantitativo imprecisato comunque superiore a 15 kg di tabacco lavorato estero. Tale sentenza è passata in giudicato il 6 aprile 2002. In seguito, il 25 agosto 2003, è stato emesso un titolo esecutivo nei confronti di tale soggetto e gli è stato notificato l’11 novembre successivo.

25      Il 13 febbraio 2008 le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione che l’importo di EUR 2 120 309,50, corrispondente all’obbligazione doganale iscritta inizialmente in contabilità separata, doveva essere considerato irrecuperabile, conformemente all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000 [comunicazione di inesigibilità IT(07)08-917]. Da tale comunicazione risulta che l’obbligazione doganale è sorta l’11 aprile 1997 ed è stata notificata al debitore il 14 luglio 1997.

26      Poiché le autorità della Repubblica italiana hanno continuato a non mettere a disposizione della Commissione l’importo in questione nonostante reiterati inviti di quest’ultima, tale istituzione ha inviato a detto Stato membro, il 21 novembre 2013, una lettera di costituzione in mora nonché, il 27 febbraio 2015, una lettera di costituzione in mora complementare.

27      Le autorità italiane hanno risposto a quest’ultima lettera con lettera del 16 aprile 2015, contestando nuovamente di essere tenute a versare l’importo reclamato dalla Commissione.

28      Il 29 aprile 2016 la Commissione ha notificato un parere motivato alla Repubblica italiana.

29      Con lettera 24 giugno 2016, le autorità italiane hanno ribadito la propria posizione.

30      Non ritenendosi soddisfatta dalla risposta fornita al proprio parere motivato, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

31      Secondo la Commissione, nel caso di specie un’importazione illegale di tabacchi lavorati stranieri ha effettivamente avuto luogo e ha fatto sorgere un’obbligazione doganale, conformemente all’articolo 202 del codice doganale. Le autorità italiane avrebbero calcolato l’importo di tale obbligazione, identificato almeno un debitore, al quale l’importo dei dazi dovuti è stato notificato senza essere contestato, e iscritto detta obbligazione in contabilità separata. Pertanto, tali autorità avrebbero dovuto procedere tempestivamente al suo recupero.

32      Tuttavia, avendo atteso l’esito del procedimento penale avviato nei confronti del debitore, il quale si è concluso circa sei anni dopo l’accertamento dell’obbligazione, è con estremo ritardo, ad esse esclusivamente imputabile, che le autorità italiane avrebbero intrapreso le azioni necessarie per il recupero di tale obbligazione, e le stesse si sono pertanto assunte il rischio che risultasse impossibile recuperarla. Inoltre, tali autorità si sarebbero costantemente rifiutate sia di mettere a disposizione della Commissione l’importo accertato sia di versare interessi di mora. In tali circostanze, la Repubblica italiana sarebbe venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 delle decisioni 94/728, 2000/597, 2007/436 e 2014/335, nonché degli articoli 6, 10, 11 e 17 dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000, divenuti articoli 6, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014.

33      Per quanto riguarda, più precisamente, la determinazione dell’importo dell’obbligazione doganale, la Commissione sottolinea che tale determinazione incombe, in forza dell’articolo 217 del codice doganale, alle autorità doganali nazionali. Nel caso di specie, le autorità italiane avrebbero scelto di applicare un metodo induttivo per il calcolo, prendendo come base la capacità massima dei container ispezionati. Tale metodo sembrerebbe, di per sé, valido e adeguato, tenuto conto del fatto che la Corte avrebbe accettato, nella sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo (C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160), un metodo di calcolo dell’obbligazione doganale basato sull’estrapolazione. Inoltre, il metodo di calcolo non sarebbe stato contestato dal debitore cui era stata notificata detta obbligazione.

34      La Commissione fa osservare, poi, che le autorità italiane non hanno mai rettificato l’importo dei diritti accertati. Dopo aver infine avviato il procedimento di recupero, tali autorità non avrebbero modificato l’importo dell’obbligazione e avrebbero chiesto al debitore il pagamento della somma che era stata fissata all’inizio del procedimento.

35      Per quanto riguarda l’identificazione dei debitori, la Commissione fa valere che, conformemente all’articolo 213 del codice doganale, era sufficiente che un solo debitore fosse riconosciuto come tale affinché si potesse procedere nei suoi confronti per l’intero ammontare dell’obbligazione. Non era quindi necessario attendere che tutti i potenziali debitori fossero identificati per iniziare il procedimento di recupero.

36      Per quanto riguarda il termine da rispettare per avviare il procedimento di recupero, la Commissione sostiene che, conformemente all’articolo 7 e all’articolo 232, paragrafo 1, lettera a), del codice doganale, la contabilizzazione dell’obbligazione doganale e la sua notifica comportano l’obbligo giuridico di procedere immediatamente al suo recupero. Orbene, nel caso di specie, sembrerebbe che non sia stato presentato nessun ricorso contro la decisione delle autorità doganali né alcuna richiesta di sospensione dell’esecuzione di tale decisione.

37      In ogni caso, occorrerebbe distinguere tra l’obbligazione di procedere al recupero degli importi dovuti a titolo di risorse proprie e un eventuale procedimento penale, atteso che quest’ultimo avrebbe una funzione punitiva e dissuasiva e perseguirebbe, quindi, uno scopo diverso da quello del procedimento amministrativo doganale. Peraltro, gli elementi costitutivi di un reato non corrisponderebbero necessariamente agli elementi costitutivi dell’obbligazione doganale.

38      La Repubblica italiana chiede, in via principale, il rigetto del ricorso della Commissione, in subordine, di considerare la praticabilità di una soluzione bonaria della controversia, stabilendo un importo congruo ed equitativo da essa dovuto alla Commissione, e, in ulteriore subordine, di disporre che, in sede di calcolo degli interessi dovuti sull’intero ammontare del debito, si tenga conto anche dei ritardi in cui è incorsa la Commissione nella fase precontenziosa.

39      Tale Stato membro fa osservare che sono necessari tre elementi per la corretta notifica di un’obbligazione doganale, vale a dire l’accertamento dell’irregolare introduzione della merce, l’individuazione del debitore nonché la determinazione della quantità e della qualità di tale merce. Orbene, nel caso di specie, i primi due elementi sarebbero stati individuati solo a seguito della decisione penale. Prima di tale momento, si sarebbe trattato soltanto di una semplice presunzione posta a fondamento di un processo verbale di constatazione e di una notizia di reato. Peraltro, l’esatta individuazione del quantum e della qualità della merce, in base ai quali determinare il debito tributario, non sarebbe mai stata possibile.

40      Pertanto, il fatto che l’ufficio doganale abbia registrato nella contabilità separata l’importo dei diritti astrattamente evasi integrerebbe un evidente errore riconducibile ad eccesso di zelo amministrativo. Orbene, dalla sentenza del 19 marzo 2009, Commissione/Italia (C‑275/07, EU:C:2009:169), risulterebbe, a tale riguardo, un principio secondo il quale, in assenza di un’obbligazione procedibile, non può essere considerato finanziariamente responsabile uno Stato membro il quale, senza aver arrecato alcun danno al bilancio dell’Unione, sia incorso in disguidi o imperizie procedurali. Peraltro, nei limiti in cui l’articolo 8 del regolamento n. 1150/2000 stabilirebbe il diritto degli Stati membri alla ripetizione dei diritti indebitamente messi a disposizione dell’Unione, risulterebbe stabilito anche il principio dell’inesigibilità dei diritti non dovuti e non ancora versati.

41      Per quanto riguarda il calcolo dei diritti, esso sarebbe stato effettuato al solo scopo di conformarsi a requisiti meramente procedurali, volti a consentire l’avvio del procedimento penale. Per contro, tale calcolo non potrebbe rilevare ai fini dell’attività di recupero. Inoltre, contrariamente ai fatti di cui alla causa che ha dato luogo alla sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo (C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160), nel caso di specie la merce sarebbe rimasta sempre un’incognita, in termini sia quantitativi che qualitativi.

42      Peraltro, la Repubblica italiana deduce dalle sentenze del 18 dicembre 2007, ZF Zefeser (C‑62/06, EU:C:2007:811), e del 17 giugno 2010, Agra (C‑75/09, EU:C:2010:352), che si impone un sistema cosiddetto «della pregiudiziale penale». Infatti, se nell’ambito di un procedimento penale non si ha l’immediata disponibilità dei dati informativi inerenti l’esistenza dell’obbligazione, il debito e il debitore, l’amministrazione è tenuta ad attendere il verdetto del giudice.

43      Se è vero, come risulta dalla sentenza del 17 giugno 2010, Commissione/Italia (C‑423/08, EU:C:2010:347), che i requisiti previsti all’articolo 2 del regolamento n. 1150/2000 sono, in molti casi, desumibili dal processo verbale di constatazione dell’irregolarità, la Repubblica italiana rileva che non è stato possibile effettuare nessuna deduzione del genere nel caso di specie, giacché il processo verbale redatto a seguito dell’indagine condotta nel corso del 1997 non conteneva alcuna informazione certa in ordine all’esistenza della frode all’origine dell’obbligazione, all’ammontare del debito e all’identità del debitore, da poter utilizzare a fini di accertamento e di recupero.

44      A tale riguardo la Repubblica italiana fa altresì riferimento a talune disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), nonché all’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, nei quali i criteri guida relativi all’accertamento e al recupero di un’obbligazione doganale sarebbero stati tradotti.

45      Per quanto riguarda la mancata rettifica dell’importo del debito, la Repubblica italiana sostiene, pur riconoscendo che l’amministrazione nazionale avrebbe potuto annullare tale debito dalla contabilità separata, che la Commissione ha finora adottato un orientamento «tutt’altro che univoco» in materia e ha fornito solo nel mese di luglio 2012 un’indicazione circa le modalità operative da seguire in caso di erronea registrazione degli importi.

46      Per quanto riguarda il termine per il recupero delle risorse proprie, la Repubblica italiana fa valere che non vi era alcuna istruzione amministrativa europea riguardante il requisito regolamentare indeterminato dell’«immediatezza», di cui all’articolo 7 del codice doganale. Secondo la nota ARES(2011)128448 della Commissione, del 4 febbraio 2011, emessa diversi anni dopo la sentenza penale nella causa in questione, l’azione di recupero, per poter essere considerata tempestiva, dovrebbe essere intrapresa al più tardi nei sei mesi dalla scadenza del termine accordato al contribuente per il pagamento spontaneo del debito.

47      Infine, per quanto riguarda gli interessi di mora, la Repubblica italiana contesta alla Commissione una mancanza di necessaria diligenza amministrativa e di dovuta celerità, che dovrebbe essere presa in considerazione. Essa si sarebbe peraltro sempre mostrata disposta a risolvere la controversia in via bonaria, nel senso di individuare di comune accordo un importo congruo da mettere a disposizione del bilancio dell’Unione.

 Giudizio della Corte

48      In via principale, la Repubblica italiana contesta l’esistenza stessa di un diritto dell’Unione sulle risorse proprie, dal momento che le condizioni per l’accertamento dell’obbligazione doganale in questione non sono mai state tutte soddisfatte.

49      Occorre ricordare, a tale riguardo, che dal combinato disposto dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 8, paragrafo 1, della decisione 94/728, nonché dalle corrispondenti disposizioni delle decisioni 2000/597, 2007/436 e 2014/335, risulta che le entrate provenienti dai dazi della tariffa doganale comune costituiscono risorse proprie dell’Unione percepite dagli Stati membri e che questi ultimi hanno l’obbligo di mettere tali risorse a disposizione della Commissione.

50      Poiché sussiste un nesso diretto tra la riscossione degli introiti provenienti da tali dazi e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle risorse corrispondenti, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale dei dazi doganali (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punti 51 e 52).

51      In tale contesto, l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1552/89, in vigore all’epoca dei fatti, precisa che un diritto sulle risorse proprie, quale il dazio della tariffa doganale comune, si accerta nel momento in cui il servizio competente dello Stato membro comunica al soggetto passivo l’importo dovuto, e tale comunicazione viene effettuata non appena è nota l’identità del soggetto passivo e non appena l’importo del diritto può essere calcolato dalle autorità amministrative competenti.

52      Così, gli Stati membri sono tenuti ad accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie a partire dal momento in cui le rispettive autorità sono in grado di calcolare l’importo dei diritti risultanti da un’obbligazione doganale e di individuare il soggetto passivo. Pertanto, detti Stati membri devono riportare tali diritti nella contabilità secondo le condizioni previste dall’articolo 6 del regolamento n. 1552/89 (sentenza del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 76 e giurisprudenza ivi citata). Secondo l’articolo 6, paragrafo 2, lettera b), di tale regolamento, un diritto accertato che non è stato ancora riscosso e per il quale non è stata fornita alcuna garanzia è iscritto in una contabilità separata.

53      Nel caso di specie, è pacifico che le autorità doganali italiane hanno proceduto, il 30 giugno 1997, all’iscrizione dell’obbligazione doganale in questione in contabilità separata, circostanza che implica che, in quella data, dette autorità avevano accertato tale obbligazione dopo aver scoperto l’irregolare introduzione nel territorio doganale dell’Unione di una merce soggetta a dazi all’importazione, identificato il debitore e calcolato l’importo dovuto.

54      I documenti processuali confermano tali fatti.

55      Invero, si deve ritenere che la contabilizzazione dell’importo dei dazi, ai sensi dell’articolo 217, paragrafo 1, primo comma, del codice doganale, sia avvenuta con l’iscrizione dell’importo dei dazi dovuti nel processo verbale del 18 giugno 1997, redatto dal ricevitore capo dell’ufficio doganale di Palermo. L’affermazione della Repubblica italiana secondo cui si trattava di una semplice stima ipotetica non è suffragata dal contenuto di tale documento, da cui emerge che si è proceduto alla liquidazione dei dazi doganali, senza alcuna indicazione che quest’ultima abbia avuto un carattere provvisorio o presuntivo.

56      Inoltre, come risulta dalla comunicazione di inesigibilità del 13 febbraio 2008, le autorità italiane sono state in grado di identificare almeno un debitore, al quale l’obbligazione doganale è stata notificata il 14 luglio 1997. Pur asserendo che, in realtà, detta notifica consisteva anch’essa nella comunicazione di una stima ipotetica, la Repubblica italiana non ha presentato, a sostegno di tale affermazione, alcun documento idoneo ad infirmare quanto risulta dalla comunicazione di inesigibilità.

57      È irrilevante, in tale contesto, la circostanza che, secondo la Repubblica italiana, in realtà, non è mai stato possibile determinare con esattezza la quantità e la qualità delle merci importate. Infatti, senza che sia necessario verificare, nell’ambito del presente procedimento, la determinazione del valore in dogana, è giocoforza constatare che la notifica dell’obbligazione doganale al soggetto passivo individuato non è stata oggetto di alcun ricorso da parte sua. Le stesse autorità italiane non hanno, del resto, mai dubitato dell’importo del debito accertato, dato che, al termine del procedimento penale avviato, è proprio tale importo che esse hanno cercato di recuperare. Per di più, tali autorità non hanno ritenuto utile rettificare il debito iscritto nella contabilità separata.

58      In tali circostanze, come risulta dall’articolo 17, paragrafo 1, dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000 nonché dall’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, la Repubblica italiana era tenuta a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati fossero messi a disposizione della Commissione.

59      In forza dell’articolo 17, paragrafo 2, dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000 nonché dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014, gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore oppure quando risulta definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non possono essere loro imputati (sentenza del 17 luglio 2014, Commissione/Portogallo, C‑335/12, EU:C:2014:2084, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

60      Di conseguenza, uno Stato membro che, dopo aver accertato un diritto dell’Unione sulle risorse proprie, si astenga dal mettere il relativo importo a disposizione della Commissione, senza che ricorra uno dei requisiti previsti all’articolo 17, paragrafo 2, dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000, nonché all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito, C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punto 50, nonché del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

61      Peraltro, se un errore commesso dalle autorità doganali di uno Stato membro ha come conseguenza la mancata riscossione delle risorse proprie dell’Unione, tale errore non può rimettere in discussione l’obbligo dello Stato membro in questione di versare i diritti accertati e gli interessi di mora (sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia, C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

62      A tale riguardo la Commissione contesta alle autorità italiane, le quali avevano atteso l’esito del procedimento penale avviato, di aver intrapreso le azioni necessarie per il recupero dell’obbligazione di cui trattasi con estremo ritardo e di essersi così assunte il rischio che risultasse impossibile recuperarla.

63      Occorre rilevare, in tale contesto, che l’articolo 7 del codice doganale dispone che le decisioni adottate sono immediatamente applicabili da parte delle autorità doganali e che, secondo l’articolo 244, primo comma, dello stesso codice, la presentazione di un ricorso non sospende l’esecuzione di una siffatta decisione. Se è vero che le autorità doganali sospendono, alle condizioni previste all’articolo 244, secondo comma, in tutto o in parte l’esecuzione della decisione controversa, quest’ultima disposizione non è tuttavia pertinente nel caso di specie, giacché la Repubblica italiana non menziona né la presentazione di un ricorso contro la decisione doganale né una sospensione dell’esecuzione concessa dalle autorità doganali. Inoltre, dall’articolo 222, paragrafo 1, lettera a), del codice doganale risulta che, in assenza di facilitazioni di pagamento concesse al debitore, l’importo dei dazi comunicato a quest’ultimo deve essere versato entro il termine che gli è stato fissato, il quale non può eccedere dieci giorni dalla comunicazione al debitore. A sua volta, l’articolo 232, paragrafo 1, lettera a), del codice doganale prevede che, quando l’importo dei dazi non è stato pagato nel termine stabilito, l’autorità doganale si avvalga di tutte le possibilità offertele dalle disposizioni in vigore, compresa l’esecuzione coatta, per garantire il pagamento di detto importo.

64      Ne consegue che le autorità italiane avrebbero dovuto adottare le necessarie misure di esecuzione.

65      Per contro, la tesi sostenuta dalla Repubblica italiana, secondo la quale le sue autorità erano autorizzate ad attendere la definizione del procedimento penale avviato in quanto una «pregiudiziale penale» si impone prima che l’azione di recupero sia avviata, non trova fondamento né nella sentenza del 18 dicembre 2007, ZF Zefeser (C‑62/06, EU:C:2007:811), né in quella del 17 giugno 2010, Agra (C‑75/09, EU:C:2010:352), alle quali detto Stato membro fa riferimento al riguardo.

66      Da un lato, la causa che ha dato luogo alla sentenza del 18 dicembre 2007, ZF Zefeser (C‑62/06, EU:C:2007:811), riguardava l’interpretazione della nozione di «atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva», contenuta all’articolo 3, primo comma, del regolamento (CEE) n. 1697/79 del Consiglio, del 24 luglio 1979, relativo al ricupero a posteriori dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l’obbligo di effettuarne il pagamento (GU 1979, L 197, pag. 1). A tale riguardo, la Corte ha dichiarato che la qualificazione di un atto come «atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva» rientra nella competenza delle autorità doganali chiamate a stabilire l’importo esatto dei dazi all’importazione o all’esportazione di cui trattasi (sentenza del 18 dicembre 2007, ZF Zefeser, C‑62/06, EU:C:2007:811, punto 26). Orbene, oltre al fatto che il regolamento n. 1697/79 non è pertinente nel caso di specie, in quanto la presente causa non riguarda merci dichiarate, si può dedurre proprio da tale sentenza che la procedura doganale non è subordinata all’esito di un eventuale procedimento penale, contrariamente a quanto tenta di dimostrare la Repubblica italiana (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2007, ZF Zefeser, C‑62/06, EU:C:2007:811, punti 28 e 29).

67      Dall’altro lato, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 17 giugno 2010, Agra (C‑75/09, EU:C:2010:352), la Corte era chiamata a interpretare l’articolo 221, paragrafi 3 e 4, del codice doganale, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, da cui risulta una norma sulla prescrizione secondo la quale la comunicazione dell’importo dei dazi da pagare deve, in linea di principio, essere effettuata entro un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale, o, a titolo eccezionale, può essere effettuata dopo la scadenza di tale termine qualora le autorità competenti non abbiano potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile penalmente (v., in tal senso, sentenza del 17 giugno 2010, Agra, C‑75/09, EU:C:2010:352, punti 30 e 32 nonché giurisprudenza ivi citata). Orbene, dato che, nel caso di specie, è stato possibile determinare l’importo dei dazi dovuti e che tale importo è stato notificato al debitore, neanche detta sentenza è pertinente.

68      Di conseguenza, poiché le autorità italiane hanno atteso l’esito del procedimento penale avviato, che si è concluso solo al termine di un periodo di sei anni dopo che l’obbligazione doganale è stata iscritta nella contabilità separata, il fatto che il recupero sia risultato impossibile è imputabile alla Repubblica italiana, di modo che la stessa non era dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione i diritti accertati.

69      Omettendo di procedere in tal modo, la Repubblica italiana si è altresì resa debitrice degli interessi di mora.

70      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, sussiste un nesso indissolubile tra l’obbligo di accertare le risorse proprie dell’Unione, quello di iscriverle sul conto della Commissione entro i termini impartiti e, infine, quello di versare interessi di mora (sentenza del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito, C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

71      In forza dell’articolo 11 dei regolamenti n. 1552/89 e n. 1150/2000 nonché dell’articolo 12 del regolamento n. 609/2014, ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, dei medesimi regolamenti dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi applicabili a tutto il periodo di ritardo, indipendentemente dal motivo del ritardo e dal termine fissato dalla Commissione per la messa a disposizione delle risorse proprie (v., in tal senso, sentenze del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 62 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito, C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punto 59).

72      Per quanto riguarda le conseguenze finanziarie pregiudizievoli, la Repubblica italiana avrebbe potuto evitarle mettendo a disposizione della Commissione gli importi richiesti, pur formulando riserve quanto alla fondatezza della tesi sostenuta da tale istituzione (sentenza del 12 settembre 2000, Commissione/Regno Unito, C‑359/97, EU:C:2000:426, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

73      Ne consegue che l’argomento della Repubblica italiana secondo cui, al fine di determinare gli interessi di mora da pagare, occorrerebbe tenere conto dei ritardi provocati da una presunta carenza di diligenza amministrativa e di celerità da parte della Commissione, non può essere accolto, senza che sia necessario accertare se tali ritardi possano essere dimostrati nel caso di specie.

74      Per quanto riguarda, infine, la richiesta della Repubblica italiana di considerare la praticabilità di una soluzione bonaria della controversia, stabilendo un importo congruo ed equitativo da essa dovuto alla Commissione, occorre ricordare che il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi ai suoi obblighi derivanti dal diritto dell’Unione e, dall’altro, di far valere utilmente i suoi motivi di difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione, e, quindi, di avviare un processo di negoziato e raggiungere una soluzione bonaria tra la Commissione e lo Stato membro interessato che metta fine all’inadempimento contestato, per consentire che il diritto dell’Unione sia rispettato ed evitare un ricorso giurisdizionale (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti 62 e 63, nonché del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione, C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

75      Per contro, il ricorso proposto ai sensi dell’articolo 258 TFUE ha lo scopo di constatare l’inadempimento da parte di uno Stato membro degli obblighi comunitari ad esso incombenti. La constatazione di siffatto inadempimento, secondo la stessa formulazione dell’articolo 260 TFUE, impone allo Stato membro interessato di prendere i provvedimenti che comporta l’esecuzione della sentenza della Corte. La Corte non può però ingiungere a tale Stato quali provvedimenti adottare. Di conseguenza, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte non può pronunciarsi su un motivo di difesa diretto, come nella fattispecie, a che essa faciliti la soluzione bonaria della controversia (v., per analogia, sentenza del 14 aprile 2005, Commissione/Germania, C‑104/02, EU:C:2005:219, punti 49 e 50).

76      Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre dichiarare che, rifiutandosi di mettere a disposizione risorse proprie tradizionali per l’importo di EUR 2 120 309,50, riguardanti la comunicazione di inesigibilità IT(07)08-917, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 della decisione 94/728, dell’articolo 8 della decisione 2000/597, dell’articolo 8 della decisione 2007/436 e dell’articolo 8 della decisione 2014/335, nonché degli articoli 10, 11 e 17 del regolamento n. 1552/89, degli articoli 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000 e degli articoli 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014.

77      Per contro, non può essere accertato un inadempimento all’articolo 6 del regolamento n. 1552/89 (divenuto articolo 6 del regolamento n. 1150/2000 e, successivamente, articolo 6 del regolamento n. 609/2014), in quanto le autorità italiane, nel caso di specie, hanno iscritto i diritti accertati in contabilità separata, come prescritto da tale disposizione.

 Sulle spese

78      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, di tale regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ciascuna parte sopporta le proprie spese, a meno che la Corte ritenga giustificato, alla luce delle circostanze del caso di specie, che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte.

79      Nel caso di specie, la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana alle spese. La Repubblica italiana è rimasta soccombente nell’ambito della prima, della terza, della quarta e della quinta censura invocate dalla Commissione e quest’ultima nell’ambito della sua seconda censura.

80      Alla luce di quanto precede, occorre condannare la Repubblica italiana ai quattro quinti delle spese sostenute dalla Commissione e decidere che, quanto al resto, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Rifiutandosi di mettere a disposizione risorse proprie tradizionali per un importo di EUR 2 120 309,50, riguardanti la comunicazione di inesigibilità IT(07)08-917, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 della decisione 94/728/CE, Euratom del Consiglio, del 31 ottobre 1994, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, dell’articolo 8 della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, dell’articolo 8 della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, e dell’articolo 8 della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, nonché degli articoli 10, 11 e 17 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1552/89 del Consiglio, del 29 maggio 1989, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità, degli articoli 10, 11 e 17 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 94/728, e degli articoli 10, 12 e 13 del regolamento (UE, Euratom) n. 609/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Repubblica italiana è condannata ai quattro quinti delle spese sostenute dalla Commissione europea e sopporterà le proprie spese.

4)      La Commissione europea sopporterà un quinto delle proprie spese.

von Danwitz

Vajda

Kumin

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 luglio 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente della Settima Sezione

A. Calot Escobar

 

T. von Danwitz


*      Lingua processuale: l’italiano.