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Cause riunite T-217/03 e T-245/03

Fédération nationale de la coopération bétail et viande (FNCBV) e altri

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Art. 81, n. 1, CE — Carni bovine — Sospensione delle importazioni — Fissazione di una tabella di prezzi sindacale — Regolamento n. 26 — Associazioni di imprese — Restrizione della concorrenza — Azione sindacale — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri — Obbligo di motivazione — Orientamenti per il calcolo delle ammende — Principio di proporzionalità — Gravità e durata dell’infrazione — Circostanze aggravanti e attenuanti — Divieto di cumulo di sanzioni — Diritti della difesa»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Regole comunitarie — Associazioni di imprese — Nozione

(Art. 81, n. 1, CE)

2.      Concorrenza — Regole comunitarie — Associazioni di imprese — Nozione

(Art. 81, n. 1, CE)

3.      Concorrenza — Intese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri

(Art. 81, n. 1, CE)

4.      Concorrenza — Intese — Lesione della concorrenza — Fissazione dei prezzi

(Art. 81, n. 1, CE)

5.      Concorrenza — Intese — Divieto — Contesto giuridico nazionale nel quale è stata raggiunta l’intesa

(Art. 81 CE)

6.      Concorrenza — Regole comunitarie — Ambito di applicazione ratione materiae

(Art. 81 CE)

7.      Agricoltura — Regole di concorrenza — Regolamento n. 26

(Artt. 33 CE, 36 CE e 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 26, art. 2, n. 1)

8.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario

(Regolamento del Consiglio n. 17; regolamento della Commissione n. 99/63, art. 4)

9.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Art. 253 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

10.    Eccezione di illegittimità — Portata — Atti di cui può essere eccepita l’illegittimità

(Art. 241 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

11.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

12.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Importo massimo

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Durata dell’infrazione

(Art. 81, n. 1, CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Importo massimo

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

16.    Concorrenza — Ammende — Decisione della Commissione che constata un’infrazione adottata successivamente ad una decisione non impugnabile che sanziona o dichiara non responsabile la stessa impresa

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

17.    Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza a conoscere della legittimità e del merito

1.      L’art. 81, n. 1, CE si applica alle associazioni qualora la loro attività o quella delle imprese che vi aderiscono tenda a produrre gli effetti che tale disposizione mira a reprimere. Tenuto conto dello scopo di tale disposizione, la nozione di associazione di imprese dev’essere interpretata nel senso che può anche includere associazioni costituite a loro volta da associazioni di imprese.

Affinché un accordo fra associazioni rientri nel campo di applicazione di tale disposizione, non occorre che le associazioni in causa possano costringere i loro aderenti ad eseguire gli obblighi loro imposti dall’accordo.

(v. punti 49, 89)

2.      Nel contesto del diritto della concorrenza, la nozione di impresa comprende qualsiasi entità che svolge un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento. Costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato.

L’attività degli imprenditori agricoli, agricoltori o allevatori, ha sicuramente carattere economico. Essi infatti esercitano un’attività di produzione di beni che offrono in vendita dietro remunerazione. Gli imprenditori agricoli costituiscono pertanto imprese ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.

Di conseguenza, i sindacati che li riuniscono e li rappresentano, nonché le federazioni che raggruppano tali sindacati, possono essere qualificati come associazioni di imprese ai fini dell’applicazione di tale articolo.

Questa conclusione non può essere inficiata dal fatto che i sindacati locali possano raggruppare anche i coniugi di imprenditori agricoli. In primo luogo, è probabile che i coniugi degli agricoltori o allevatori che sono anch’essi membri di un sindacato locale agricolo partecipino alla gestione dell’azienda familiare. In secondo luogo, e in ogni caso, la sola circostanza che un’associazione di imprese possa raggruppare anche persone o entità non qualificabili come imprese non basta a privare di tale carattere l’associazione ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE. Del pari, non può essere ammesso l’argomento secondo cui, nel caso di un’azienda operante sotto forma di società, non è quest’ultima che aderisce al sindacato mediante i propri rappresentanti, bensì ognuno dei suoi soci. Ciò che conta, infatti, ai fini della qualifica di impresa non è lo status giuridico o la forma dell’azienda in questione, bensì l’attività di quest’ultima e di coloro che vi partecipano.

(v. punti 52-55)

3.      L’art. 81, n. 1, CE si applica solo agli accordi idonei a pregiudicare il commercio tra gli Stati membri. Un accordo tra imprese, per poter pregiudicare il commercio intracomunitario, deve consentire di prevedere con sufficiente grado di probabilità, in base ad un insieme di elementi oggettivi di diritto o di fatto, che esso sia atto ad incidere direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, sui flussi commerciali fra Stati membri, in modo da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico interstatale.

Quando l’infrazione cui ha partecipato un’impresa o un’associazione di imprese è idonea a pregiudicare il commercio intracomunitario, la Commissione non è tenuta a dimostrare che la partecipazione della detta impresa o associazione di imprese, specificamente, abbia pregiudicato gli scambi fra Stati membri.

Inoltre, le pratiche restrittive della concorrenza che abbracciano l’intero territorio di uno Stato membro hanno, per natura, l’effetto di consolidare le compartimentazioni nazionali, e di conseguenza ostacolano la compenetrazione economica voluta dal Trattato. Infine, qualora si tratti di un mercato permeabile alle importazioni, le imprese aderenti ad un’intesa nazionale in materia di prezzi possono conservare la loro quota di mercato solo se si tutelano contro la concorrenza straniera.

(v. punti 63, 66-67)

4.      L’art. 81, n. 1, lett. a), CE prevede espressamente che costituiscono restrizioni della concorrenza le misure che consistono nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita. La fissazione dei prezzi costituisce infatti una palese restrizione della concorrenza.

Un accordo stipulato tra federazioni che rappresentano le aziende agricole e federazioni che rappresentano i gestori di macelli, e che fissa prezzi minimi per alcune categorie di vacche, avente lo scopo di rendere tali prezzi obbligatori per tutti gli operatori economici che svolgono la loro attività sui mercati in questione, mira a restringere il libero gioco della concorrenza su tali mercati, in particolare limitando artificialmente il margine di contrattazione degli allevatori e dei gestori di macelli e falsando la formazione dei prezzi sui mercati in questione.

Questa conclusione non può essere inficiata dall’argomento secondo cui i mercati agricoli sono mercati regolamentati in cui le regole di concorrenza non si applicano pienamente e in cui, molto spesso, la formazione dei prezzi non corrisponde al libero gioco dell’offerta e della domanda. È vero che il settore agricolo presenta una certa specificità ed è oggetto di una regolamentazione molto precisa e spesso assai interventista. Tuttavia, le regole comunitarie di concorrenza si applicano ai mercati dei prodotti agricoli, anche se sono previste alcune deroghe per tenere conto della situazione particolare di tali mercati.

Inoltre, il semplice fatto di fissare i prezzi minimi mediante riferimento al prezzo di intervento pubblico non sarebbe sufficiente ad eliminare il carattere restrittivo dell’accordo in questione. Infatti, tale riferimento al prezzo d’intervento pubblico non fa sì che la tabella dei prezzi minimi perda il suo carattere anticoncorrenziale, consistente nel fissare direttamente e artificialmente un prezzo di mercato prestabilito, e sia equiparabile ai vari meccanismi di sostegno e di intervento pubblico delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli intesi a riequilibrare mercati caratterizzati da un’offerta eccedentaria, mediante il ritiro di una parte della produzione.

(v. punti 83, 85-87)

5.      L’ambito giuridico all’interno del quale ha luogo la conclusione degli accordi tra imprese vietati dall’art. 81 CE e la definizione giuridica di tale ambito data dai vari ordinamenti giuridici nazionali sono irrilevanti ai fini dell’applicazione delle regole comunitarie di concorrenza. Inoltre, la pretesa insufficienza delle misure pubbliche adottate per fronteggiare i problemi di un determinato settore non basta a giustificare il fatto che gli operatori privati interessati si impegnino ad attuare pratiche contrarie alle regole di concorrenza o pretendano di arrogarsi prerogative che spettano ai poteri pubblici, nazionali o comunitari, per sostituire la loro azione con la propria.

Del pari, il fatto che il comportamento delle imprese fosse noto, autorizzato o perfino incoraggiato dalle autorità nazionali è comunque irrilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 81 CE. Infine, la crisi in cui versa un settore di per sé non è sufficiente ad escludere l’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE.

(v. punti 90-92)

6.      Accordi conclusi nell’ambito di trattative collettive tra parti sociali, nella ricerca comune di misure volte a migliorare le condizioni di occupazione e di lavoro, per la loro natura ed il loro oggetto, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Tuttavia, un accordo stipulato tra federazioni che rappresentano le aziende agricole e federazioni che rappresentano i gestori di macelli, il cui oggetto è la fissazione dei prezzi minimi per l’acquisto dei bovini da parte dei macelli e la sospensione delle importazioni di carni bovine, non può pretendere di sfuggire all’applicazione dei divieti previsti all’art. 81 CE.

(v. punti 98-100)

7.      Il mantenimento di un’effettiva concorrenza sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della politica agricola comune. Infatti, se è vero che l’art. 36 CE attribuisce al Consiglio il compito di determinare la misura in cui le regole comunitarie di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, per tenere conto della situazione particolare dei mercati di tali prodotti, non è men vero che questa disposizione stabilisce il principio dell’applicabilità delle regole comunitarie di concorrenza nel settore agricolo.

In quanto deroga, l’art. 2, n. 1, del regolamento n. 26, che prevede che l’art. 81, n. 1, CE, non si applica a accordi, decisioni e pratiche che sono necessari per il conseguimento degli obiettivi della politica agricola comune, va interpretato restrittivamente. D’altro canto, tale disposizione si applica solo se l’accordo di cui trattasi favorisca la realizzazione di tutti gli obiettivi dell’art. 33 CE, restando inteso che, in considerazione del fatto che tali obiettivi sono a volte divergenti, la Commissione può tentare di conciliarli. Infine, ai fini dell’applicazione di tale deroga, possono essere considerate necessarie alla realizzazione degli obiettivi della politica agricola comune solo misure proporzionate.

(v. punti 197-199, 208)

8.      Il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni, specie ammende, costituisce un principio fondamentale di diritto comunitario, che va osservato anche se si tratta di un procedimento di natura amministrativa. Conformemente a tale principio, la comunicazione degli addebiti costituisce una garanzia procedurale essenziale. Essa deve enunciare, in modo chiaro, tutti gli elementi essenziali sui quali si fonda la Commissione in tale stadio del procedimento.

La Commissione, quando nella comunicazione degli addebiti dichiara espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle parti interessate e indica le principali considerazioni di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione e il fatto di averla commessa intenzionalmente o per negligenza, adempie agli obblighi che le incombono di rispettare il diritto delle imprese al contraddittorio. Così operando fornisce a queste ultime gli elementi necessari per difendersi non solo contro la constatazione dell’infrazione, ma anche contro l’inflizione di un’ammenda.

Dare indicazioni nella comunicazione degli addebiti circa l’entità delle ammende previste, prima che le imprese siano state poste in grado di esporre le loro difese circa gli addebiti mossi contro di loro, equivarrebbe ad anticipare in modo inopportuno la decisione della Commissione. A fortiori, anche evocare, nella comunicazione degli addebiti, la questione del rispetto del massimale del 10% per l’ammenda eventualmente inflitta dalla decisione finale equivarrebbe ad anticipare in modo inopportuno tale decisione.

(v. punti 217-218, 222)

9.      Quando la Commissione infligge un’ammenda a una determinata impresa responsabile di un’infrazione, essa non è necessariamente tenuta, in mancanza di circostanze particolari, a motivare espressamente il rispetto del massimale del 10% del volume d’affari dell’impresa in questione. Quest’ultima deve conoscere sia l’esistenza del suddetto limite legale che l’importo effettivo del suo volume d’affari e può quindi valutare, anche in mancanza di qualsiasi giustificazione nella decisione che commina la sanzione, se il massimale del 10% sia stato superato o meno dall’ammenda che le è stata inflitta.

Per contro, quando la Commissione sanziona un’associazione di imprese e verifica il rispetto del limite legale del 10% del volume d’affari sulla base della somma del fatturato realizzato da tutti i membri di un’associazione o da una parte di essi, essa deve indicarlo espressamente nella decisione e deve esporre i motivi che giustificano la presa in considerazione del volume d’affari dei membri. In mancanza di tale motivazione, gli interessati non potrebbero conoscere gli elementi che giustificano la decisione e non potrebbero procedere correttamente alla verifica del rispetto, nel caso di specie, del limite legale.

(v. punti 238-239)

10.    Benché gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA non costituiscano il fondamento normativo della decisione con la quale viene irrogata un’ammenda ad un operatore economico, in quanto tale decisione è basata sul regolamento n. 17, essi stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta per la determinazione dell’importo delle ammende. Pertanto, sussiste un nesso diretto tra la detta decisione e gli orientamenti, cosicché questi ultimi possono essere oggetto di un’eccezione di illegittimità.

(v. punto 250)

11.    Le intese sui prezzi o sulla compartimentazione dei mercati costituiscono per natura infrazioni molto gravi. Di conseguenza la Commissione, enunciando, al punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, che questi tipi di infrazione devono essere considerati infrazioni molto gravi, per le quali è previsto un importo base di 20 milioni di euro, non ha violato il principio di proporzionalità.

In ogni caso, gli importi forfettari previsti dagli orientamenti sono soltanto indicativi e non può conseguirne di per sé una violazione del principio di proporzionalità.

(v. punti 252-253)

12.    L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, nel disporre che la Commissione può infliggere ammende per un importo che può essere aumentato fino al 10% del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, richiede unicamente che l’ammenda definitivamente inflitta ad un’impresa venga ridotta nel caso in cui il suo importo superi il 10% del volume d’affari dell’impresa interessata, indipendentemente dalle operazioni di calcolo intermedie dirette a tenere conto della gravità e della durata dell’infrazione. Di conseguenza, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non vieta alla Commissione di fare riferimento, nel suo calcolo, ad un importo intermedio che superi il 10% del volume d’affari dell’impresa interessata, sempreché l’importo dell’ammenda finale inflitta all’impresa stessa non superi il detto limite massimo. Tale considerazione vale anche per l’importo massimo di 1 milione di euro che compare nella stessa disposizione.

(v. punto 255)

13.    Ai sensi del punto 1 B degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, il quale prevede che la durata dell’infrazione può comportare l’irrogazione di un’eventuale maggiorazione rispetto all’importo stabilito in base alla gravità, risulta che la durata molto breve dell’infrazione, vale a dire durata inferiore ad un anno, può costituire unicamente un elemento atto ad escludere l’imputazione di apporti aggiuntivi all’importo stabilito in considerazione della gravità dell’infrazione. La circostanza che un’infrazione abbia avuto una durata molto breve non può, in ogni caso, rimettere in discussione l’esistenza di una violazione dell’art. 81, n. 1, CE.

(v. punti 134, 257-258)

14.    Costituiscono circostanze aggravanti, che possono essere prese in considerazione dalla Commissione al fine di aumentare l’importo di un’ammenda irrogata a norma dell’art. 81 CE, la prosecuzione in segreto di un accordo dopo che la Commissione ha indicato alle imprese o associazioni di imprese partecipanti che esse dovevano porvi fine, nonché il ricorso alla violenza per costringere una parte ad adottare un accordo o per assicurarsi della sua applicazione.

(v. punti 271, 278-289)

15.    L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non vieta alla Commissione di infliggere ammende superiori a 1 milione di euro ad associazioni che assertivamente non realizzano un fatturato. L’uso del termine generico «infrazione» nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in quanto comprende indistintamente gli accordi, le pratiche concordate e le decisioni di associazioni di imprese, indica che i limiti massimi contemplati da questa disposizione si applicano allo stesso modo agli accordi e pratiche concordate nonché alle decisioni di associazioni di imprese. Quando un’associazione di imprese non svolge un’attività economica propria o quando il suo fatturato non rivela l’influenza che tale associazione può esercitare sul mercato, la Commissione può, a determinate condizioni, prendere in considerazione il volume d’affari dei membri dell’associazione di cui trattasi per calcolare l’importo massimo dell’ammenda che può infliggerle.

Benché, in tale disposizione, il solo riferimento espresso al volume d’affari dell’impresa riguardi il limite massimo dell’ammenda superiore a 1 milione di euro, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, che la Commissione si è imposta, stabiliscono, al punto 5, lett. a), che il risultato finale del calcolo dell’ammenda non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese, come previsto dall’art. 15, n. 2 del regolamento n. 17. Il massimale del 10% del volume d’affari deve quindi essere applicato anche per quanto riguarda la fissazione di ammende di importo inferiore a 1 milione di euro.

Peraltro, il tetto massimo del 10% del volume d’affari va calcolato in rapporto al volume d’affari realizzato da ciascuna impresa che partecipi agli accordi e alle pratiche concordate o da tutte le imprese aderenti alle dette associazioni di imprese, quanto meno qualora, in forza delle sue regole interne, l’associazione possa impegnare i suoi membri. La possibilità di tenere conto, a tal fine, del volume d’affari di tutti i membri di un’associazione si giustifica per il fatto che, nel fissare l’importo dell’ammenda, si può tener conto, tra l’altro, dell’influenza che l’impresa ha potuto esercitare sul mercato, segnatamente in considerazione delle sue dimensioni e della sua potenza economica, sulle quali il volume d’affari fornisce alcune indicazioni, nonché dell’effetto dissuasivo che tali ammende devono esercitare. Orbene, l’influenza che un’associazione d’imprese ha potuto esercitare sul mercato non dipende dal volume d’affari suo proprio, il quale non rivela la sua dimensione né la sua potenza economica, bensì dal volume d’affari dei suoi membri, il quale costituisce un’indicazione della sua dimensione e della sua potenza economica.

Non è tuttavia escluso che, in casi particolari, tale presa in considerazione del volume d’affari dei membri di un’associazione possa essere possibile anche se quest’ultima non dispone formalmente del potere di impegnare i suoi membri, data la mancanza di regole interne che le conferiscano tale potere. La facoltà della Commissione di infliggere ammende di importo adeguato alle infrazioni di cui trattasi potrebbe altrimenti risultare compromessa, in quanto le associazioni che abbiano un volume d’affari molto ridotto ma che raggruppino, pur senza poterle impegnare formalmente, un numero elevato di imprese che, congiuntamente, realizzino un volume d’affari importante potrebbero essere sanzionate solo con ammende molto modeste, anche se le infrazioni da loro commesse potevano esercitare un’influenza notevole sui mercati in questione. Tale circostanza contrasterebbe inoltre con l’esigenza di garantire l’effetto dissuasivo delle sanzioni contro le violazioni delle regole comunitarie di concorrenza.

Pertanto, altre circostanze specifiche, oltre all’esistenza di regole interne che consentano all’associazione di impegnare i suoi membri, possono giustificare la presa in considerazione della somma dei fatturati dei membri dell’associazione in questione. Si tratta, in particolare, dei casi in cui l’infrazione commessa da un’associazione riguardi le attività dei suoi membri e in cui le pratiche anticoncorrenziali in questione vengano attuate dall’associazione direttamente a vantaggio di questi ultimi e in collaborazione con essi, dato che l’associazione non ha interessi obiettivi che presentino un carattere autonomo rispetto a quelli dei suoi membri. Benché, in alcuni di questi casi, la Commissione possa eventualmente, oltre a sanzionare l’associazione di cui trattasi, infliggere ammende individuali a ognuna delle imprese aderenti, ciò può rivelarsi particolarmente difficile, se non impossibile, quando il numero di tali imprese è molto elevato.

In tali ipotesi, in ogni caso, la possibilità di prendere in considerazione i fatturati dei membri di base delle associazioni di imprese va tuttavia limitata, in linea di principio, ai loro membri che erano attivi sui mercati interessati dalle infrazioni sanzionate dalla decisione impugnata.

Inoltre, il fatto di prendere in considerazione il volume d’affari dei membri di un’associazione di imprese nella determinazione del tetto massimo del 10% non significa infatti che sia stata loro inflitta un’ammenda e nemmeno, di per sé, che l’associazione di cui trattasi abbia l’obbligo di accollare ai suoi membri l’onere di quest’ultima.

(v. punti 313-314, 317-319, 325, 343)

16.    Il principio ne bis in idem costituisce un principio generale del diritto comunitario di cui il giudice garantisce il rispetto. Nell’ambito del diritto comunitario della concorrenza, il detto principio vieta che un’impresa venga condannata o perseguita di nuovo dalla Commissione per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione della Commissione non più suscettibile di impugnazione. L’applicazione di tale principio è soggetta ad una triplice condizione di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell’interesse giuridico tutelato. Tale principio vieta quindi di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico. Per contro, esso non vieta di sanzionare per il medesimo fatto le diverse associazioni di imprese che vi hanno partecipato, per la partecipazione e il grado di responsabilità proprio di ciascuna di esse nell’infrazione, anche se le une hanno la qualità di membri delle altre.

(v. punti 340-344)

17.    Se la Commissione dispone di un potere discrezionale al fine di fissare l’importo delle ammende con le quali si sanziona la violazione delle regole comunitarie di concorrenza, il Tribunale, ai sensi dell’art. 17 del regolamento n. 17, ha competenza giurisdizionale anche di merito, conformemente all’art. 229 CE, sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione commina un’ammenda, e può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda inflitta. In forza di tale competenza anche di merito, in particolare, il Tribunale può modificare l’importo della riduzione dell’ammenda concessa dalla Commissione ad un’impresa o ad un’associazione di imprese in virtù delle circostanze previste al punto 5, lett. b), degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA.

(v. punti 352, 355-361)