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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 6 maggio 2021 (1)

Causa C791/19

Commissione europea

contro

Repubblica di Polonia

«Inadempimento di uno Stato – Misure nazionali che istituiscono un regime disciplinare per i giudici – Articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE – Stato di diritto – Indipendenza dei giudici – Definizione di illecito disciplinare – Esame da parte di un giudice indipendente e imparziale, costituito per legge – Termine ragionevole – Diritti della difesa – Articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 267 TFUE – Ostacolo all’esercizio del diritto degli organi giurisdizionali nazionali di procedere a rinvii pregiudiziali»






I.      Introduzione

1.        Nella presente causa, la Commissione europea ha proposto un ricorso contro la Repubblica di Polonia, a norma dell’articolo 258 TFUE, per il mancato adempimento degli obblighi incombenti a tale Stato in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE a causa delle misure nazionali che hanno istituito il nuovo regime disciplinare dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia; in prosieguo: la «Corte suprema») e degli organi giurisdizionali ordinari, introdotto dalla normativa adottata nel 2017 (2).

2.        In particolare, la Commissione sostiene, in sostanza, che la Repubblica di Polonia ha violato l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e deduce quattro motivi riguardanti, in primo luogo, la qualificazione del contenuto delle decisioni giudiziarie come illecito disciplinare; in secondo luogo, la mancanza di indipendenza e di imparzialità della Izba Dyscyplinarna Sądu Nawyższego (Sezione disciplinare della Corte suprema, Polonia; in prosieguo: la «Sezione disciplinare»); in terzo luogo, il potere discrezionale del presidente di tale Sezione di designare il tribunale disciplinare competente, escludendo che il procedimento disciplinare sia definito da un organo giurisdizionale «costituito per legge» e, in quarto luogo, l’assenza di garanzia della trattazione dei procedimenti disciplinari entro un termine ragionevole e dei diritti della difesa dei giudici accusati, tenuto dunque conto dei diritti sanciti agli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

3.        La Commissione sostiene inoltre che la Repubblica di Polonia ha violato l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE in quanto il diritto degli organi giurisdizionali nazionali di sottoporre alla Corte le domande di pronuncia pregiudiziale è limitato a causa della possibilità che sia avviato di un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici che esercitano detto diritto.

4.        Il caso di specie si colloca nell’ambito del crescente numero di cause in cui la Corte è stata adita in relazione alle riforme legislative riguardanti l’indipendenza dei giudici in Polonia (3), ivi compresa l’indipendenza della Sezione disciplinare, da cui ha avuto origine la sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (4), unitamente ad altri aspetti che incidono sul nuovo regime disciplinare dei giudici, come evidenziato nella sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny (5). Come è noto, siffatte modifiche hanno suscitato diffuse critiche a livello internazionale (6) e sono state all’origine della proposta motivata della Commissione, emessa a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE sullo Stato di diritto in Polonia (7).

5.        La presente causa costituisce infatti il terzo ricorso proposto dalla Commissione nei confronti della Repubblica di Polonia ai sensi dell’articolo 258 TFUE per l’asserita violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE per effetto di dette modifiche (8). Con le sue prime due sentenze del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (9) e del 5 novembre 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza degli organi giurisdizionali ordinari) (10), la Corte ha in sostanza affermato, in linea con le mie conclusioni in dette cause, che le misure di abbassamento dell’età per il pensionamento dei giudici della Corte suprema e dei tribunali ordinari e di attribuzione al Presidente della Repubblica di Polonia (in prosieguo: il «Presidente della Repubblica») e al Ministro della Giustizia del potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva di tali giudici sono incompatibili con gli obblighi incombenti alla Repubblica di Polonia in base all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in quanto contrarie ai principi di indipendenza e di inamovibilità dei giudici, garantiti da tale disposizione.

6.        Non vi è dubbio che la presente causa rivesta un’importanza fondamentale per l’ordinamento giuridico dell’Unione. In generale, un regime disciplinare relativo ai giudici costituisce un insieme di norme che consente di affermare la responsabilità dei giudici per gravi forme di inadempienza e contribuisce pertanto a rafforzare la fiducia del pubblico negli organi giurisdizionali (11). Tuttavia, dovrebbero esistere garanzie sufficienti affinché l’indipendenza dei giudici non sia compromessa dalla minaccia o dall’imposizione di sanzioni che possano essere irrogate nei loro confronti. Un siffatto regime, dunque, è collegato allo Stato di diritto e, di conseguenza, al funzionamento e al futuro del sistema giudiziario dell’Unione basato sulla Corte di giustizia e sugli organi giurisdizionali nazionali.

7.        Di conseguenza, la presente causa offre alla Corte l’opportunità di sviluppare la sua giurisprudenza sulla compatibilità delle misure adottate da uno Stato membro, per quanto riguarda l’organizzazione del suo sistema giudiziario e, in particolare, il regime disciplinare dei giudici, con i requisiti di cui all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE al fine di garantire la tutela giurisdizionale effettiva e il rispetto dello Stato di diritto nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Il caso di specie pone altresì importanti questioni riguardanti il rapporto tra l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e gli articoli 47 e 48 della Carta nel contesto di cui trattasi.

8.        Nelle presenti conclusioni, esporrò i motivi per i quali ritengo che tale ricorso per inadempimento debba essere accolto.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

9.        L’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE così dispone:

«Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».

10.      L’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE così recita:

«Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte».

B.      Diritto polacco

1.      Legge sulla Corte suprema

11.      Le modifiche alla legge polacca relativa al nuovo regime disciplinare dei giudici della Corte suprema polacca (in prosieguo: la «Corte suprema») e degli organi giurisdizionali ordinari di cui trattasi nella presente causa sono state introdotte dall’ustawa o Sądzie Najwyższym (legge sulla Corte suprema) dell’8 dicembre 2017 (Dz. U. del 2018, posizione 5, come modificata; in prosieguo: la «legge sulla Corte suprema»), entrata in vigore il 3 aprile 2018.

12.      In base all’articolo 3, paragrafi 4 e 5, della legge sulla Corte suprema, detta legge ha istituito due nuove sezioni nella Corte suprema, rispettivamente denominate Izba Kontroli Nadzwyczajnej i Spraw Publicznych (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema, Polonia; in prosieguo: la «Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche») e Sezione disciplinare (in prosieguo: la «Sezione disciplinare»).

13.      L’articolo 27 della legge sulla Corte suprema è così formulato:

«1.      Rientrano nella competenza della Sezione disciplinare le seguenti controversie:

1)      disciplinari:

a)      concernenti i giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)];

b)      esaminate dal [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], in relazione ai procedimenti disciplinari avviati in forza delle seguenti leggi:

(…)

–        legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari del 27 luglio 2001;

(…)».

14.      L’articolo 73 della legge sulla Corte suprema così dispone:

«1.      Gli organi giurisdizionali disciplinari nelle cause disciplinari relative a giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] sono:

1)      in primo grado: il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], riunito in collegio composto da due giudici della Sezione disciplinare e da un giurato del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)];

2)      in secondo grado: il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], riunito in collegio composto da tre giudici della Sezione disciplinare e da due giurati del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)]».

15.      L’articolo 97 della legge sulla Corte suprema così recita:

«1.      Il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], qualora constati una violazione manifesta delle norme in sede di esame di una causa – indipendentemente dalle sue altre prerogative – invia all’organo giurisdizionale interessato un accertamento di errore. Prima di inviare l’accertamento di errore, esso è tenuto ad informare il giudice o i giudici facenti parte del collegio giudicante della possibilità di presentare spiegazioni scritte entro un termine di 7 giorni. L’individuazione e l’accertamento di un errore non incidono sull’esito della causa.

(…)

3.      Il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], quando invia un accertamento di errore, può depositare una richiesta di esame di una causa disciplinare dinanzi a un organo giurisdizionale disciplinare. L’organo giurisdizionale disciplinare di primo grado è il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)]».

2.      Legge sullorganizzazione degli organi giurisdizionali ordinari

16.      Il regime disciplinare dei giudici degli organi giurisdizionali ordinari è altresì disciplinato dall’ustawa – Prawo o ustroju sądów powszechnych (legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari) del 27 luglio 2001 (Dz. U. del 2001, n. 98, posizione 1070, come modificata, in particolare, dalla legge sulla Corte suprema; in prosieguo: la «legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari»).

17.      L’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, nella versione vigente all’epoca dei fatti (12), è così formulato:

«I giudici rispondono, a livello disciplinare, di inadempienze professionali, compresi i casi di violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge e di lesione della dignità della funzione (illeciti disciplinari)».

18.      L’articolo 110, paragrafo 3, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari così dispone:

«Il giudice disciplinare nel cui distretto esercita le sue funzioni il giudice oggetto del procedimento disciplinare non è legittimato a conoscere delle cause di cui al paragrafo 1, punto 1), lettera a). Il giudice disciplinare competente a conoscere della causa è designato dal presidente del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] che dirige i lavori della Sezione disciplinare su richiesta del delegato alla disciplina».

19.      L’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari è così formulato:

«1.      Il Ministro della Giustizia può nominare un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia al fine di trattare un caso specifico concernente un giudice. La nomina del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia esclude l’intervento di un altro delegato alla disciplina nell’ambito di detto caso.

2.      Il delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia è nominato tra i giudici degli organi giurisdizionali ordinari o della Corte suprema. Per quanto concerne le inadempienze disciplinari integranti reati dolosi per i quali vige l’obbligatorietà dell’azione penale, detto delegato alla disciplina può essere nominato anche tra i pubblici ministeri indicati dal Procuratore nazionale. Se giustificato, in particolare, in caso di decesso o di ostacolo prolungato all’esercizio delle funzioni di delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, detto Ministro nomina in suo luogo un altro giudice o, ove si tratti di inadempienze disciplinari integranti reati dolosi per i quali vige l’obbligatorietà dell’azione penale, un altro giudice o un pubblico ministero.

3.      Il delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia può avviare un procedimento su richiesta di detto Ministro o intervenire in un procedimento in corso.

4.      La nomina del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia equivale a una richiesta di avvio di un’indagine o di un procedimento disciplinare.

5.      La funzione del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia cessa non appena diviene definitiva una decisione con cui si nega l’avvio di un procedimento disciplinare o che dispone l’interruzione o la conclusione di detto procedimento. La cessazione della funzione del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia non esclude che il Ministro della Giustizia nomini nuovamente il delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia nel medesimo procedimento».

20.      L’articolo 113a della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari così dispone:

«Le attività connesse alla nomina di un difensore d’ufficio e all’espletamento da parte di quest’ultimo dell’attività difensiva non sospendono il corso del procedimento».

21.      L’articolo 114, paragrafo 7, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari è così formulato:

«Previa comunicazione degli addebiti disciplinari, il delegato alla disciplina chiede al presidente della Corte suprema che dirige i lavori della Sezione disciplinare di designare il tribunale disciplinare che esamina il caso in primo grado. Il presidente della Corte suprema che dirige i lavori della Sezione disciplinare designa detto tribunale entro sette giorni dalla ricezione della richiesta».

22.      L’articolo 115a, paragrafo 3, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari così recita:

«Il tribunale disciplinare dà seguito al procedimento nonostante l’assenza giustificata della persona accusata (che sia stata informata) o del suo difensore, salvo che ciò sia contrario all’interesse del procedimento disciplinare di cui trattasi».

3.      Legge sulla KRS

23.      La Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia; in prosieguo: la «KRS») è disciplinata dall’ustawa o Krajowej Radzie Sądownictwa (legge sul Consiglio nazionale della magistratura), del 12 maggio 2011 (Dz. U. del 2011 n. 126, posizione 714), come modificata, in particolare, dall’ustawa o zmianie ustawy o Krajowej Radzie Sądownictwa oraz niektórych innych ustaw (legge recante modifiche della legge sul Consiglio nazionale della magistratura e di talune altre leggi) dell’8 dicembre 2017 (Dz. U. del 2018, posizione 3; in prosieguo: la «legge sulla KRS»), entrata in vigore il 17 gennaio 2018.

24.      L’articolo 9 bis della legge sulla KRS così recita:

«1.      Il Sejm [(Dieta) del Parlamento polacco] elegge, tra i giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], degli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi e militari, 15 membri [della KRS] per un mandato congiunto della durata di quattro anni.

2.      Nel procedere all’elezione di cui al paragrafo 1, la Dieta tiene conto, per quanto possibile, della necessità che, in seno [alla KRS], siano rappresentati giudici provenienti da differenti tipologie e livelli di giurisdizione.

3.      Il mandato congiunto dei nuovi membri [della KRS], eletti tra i giudici, decorre dal giorno successivo alla loro elezione. I membri uscenti [della KRS] esercitano le loro funzioni sino al giorno in cui ha inizio il mandato congiunto dei nuovi membri [della KRS]».

III. Procedimento precontenzioso

25.      Il 3 aprile 2019 la Commissione ha inviato alla Repubblica di Polonia una lettera di diffida, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, in relazione alla conformità del nuovo regime disciplinare dei giudici della Corte suprema e degli organi giurisdizionali ordinari – come previsto nella legge sulla Corte suprema, nella legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e nella legge sulla KRS (congiuntamente: le «misure controverse») – con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, nonché con l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE invitando tale Stato membro a presentare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi.

26.      Il 1° giugno 2019 la Repubblica di Polonia ha risposto alla lettera di diffida, contestando gli argomenti della Commissione.

27.      Il 17 luglio 2019 la Commissione ha inviato alla Repubblica di Polonia un parere motivato, in cui sosteneva che il regime disciplinare in esame violava le disposizioni del Trattato indicate al paragrafo 25 delle presenti conclusioni e la invitava altresì a conformarsi a tale parere motivato entro due mesi dalla sua ricezione.

28.      Il 17 settembre 2019 la Repubblica di Polonia ha risposto al parere motivato, ribadendo l’infondatezza delle presunte violazioni.

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

29.      Con ricorso depositato il 25 ottobre 2019, la Commissione ha avviato il presente procedimento dinanzi alla Corte a norma dell’articolo 258 TFUE. Essa chiede che la Corte voglia:

1)      dichiarare che la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE:

–        consentendo di qualificare il contenuto delle decisioni giudiziarie come illecito disciplinare per quanto riguarda i giudici dei tribunali ordinari;

–        non garantendo l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare, che è competente per il riesame delle decisioni emesse nei procedimenti disciplinari a carico dei giudici;

–        conferendo al presidente della Sezione disciplinare della Corte suprema il diritto discrezionale di designare il tribunale disciplinare di primo grado competente a pronunciarsi sulle controversie che coinvolgono giudici dei tribunali ordinari, e, quindi, non garantendo che tali controversie siano esaminate da un organo giurisdizionale «costituito per legge», nonché

–        conferendo al Ministro della Giustizia il potere di nominare un responsabile dell’azione disciplinare del ministro della Giustizia, e quindi, non garantendo che i procedimenti disciplinari condotti nei confronti dei giudici dei tribunali ordinari siano trattati entro un termine ragionevole, nonché prevedendo che le attività connesse alla nomina di un difensore e all’espletamento da parte di quest’ultimo dell’attività difensiva non sospendano il corso del procedimento disciplinare, e che il procedimento dinanzi al tribunale disciplinare prosegua nonostante l’assenza giustificata della persona accusata (che sia stata informata) o del suo difensore, e quindi, non garantendo ai giudici accusati dei tribunali ordinari i diritti della difesa;

2)      dichiarare che la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE, consentendo che il diritto degli organi giurisdizionali di sottoporre alla Corte di giustizia le domande di pronuncia pregiudiziale sia limitato a causa della possibilità che venga avviato un procedimento disciplinare;

3)      condannare la Repubblica di Polonia alle spese.

30.      Nel controricorso del 9 gennaio 2020, la Repubblica di Polonia chiede che la Corte voglia:

1)      respingere in toto il ricorso in quanto infondato, e

2)      condannare la Commissione alle spese.

31.      La Commissione e la Repubblica di Polonia hanno altresì depositato una replica e una controreplica rispettivamente il 21 febbraio 2020 e il 6 maggio 2020.

32.      Con decisione del 26 novembre 2019 il Presidente della Corte ha respinto la domanda della Commissione che la presente causa fosse trattata con procedimento accelerato e decisa in via prioritaria ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte.

33.      Con atto separato del 23 gennaio 2020 la Commissione ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori, chiedendo alla Corte di ingiungere alla Repubblica di Polonia: in primo luogo, di sospendere l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 27 e dell’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, che costituiscono il fondamento della competenza della Sezione disciplinare a statuire, sia in primo grado sia in appello, nelle cause disciplinari relative a giudici; in secondo luogo, di astenersi dal rimettere le cause pendenti dinanzi alla Sezione disciplinare a un collegio giudicante che non soddisfi i requisiti di indipendenza, definiti, in particolare, nella sentenza A.K. e a.; e, in terzo luogo, di comunicare alla Commissione, entro un mese dalla notifica dell’ordinanza della Corte, tutte le misure adottate per conformarsi pienamente a detta ordinanza.

34.      Con ordinanze dell’11, del 19 e del 20 febbraio 2020 il Presidente della Corte ha autorizzato il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica di Finlandia, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno di Svezia a intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione.

35.      Con ordinanza dell’8 aprile (13) la Corte ha accolto in toto la domanda di provvedimenti provisori della Commissione sino alla pronuncia della sentenza definitiva nella presente causa.

36.      Il 1° dicembre 2020 si è tenuta un’udienza, nella quale la Commissione, il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica di Finlandia, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno di Svezia hanno presentato osservazioni orali.

V.      Sintesi degli argomenti delle parti

A.      Censure relative alla violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE

1.      Applicabilità e portata dellarticolo 19, paragrafo 1, secondo comma,TUE

37.      La Commissione sostiene che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE è applicabile al caso di specie, dal momento che la Corte suprema e i tribunali ordinari statuiscono su questioni riguardanti l’applicazione o l’interpretazione del diritto dell’Unione. A suo avviso, secondo la giurisprudenza della Corte (14), l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE comprende tutte le garanzie derivanti dagli articoli 47 e 48 della Carta, tra cui il diritto ad un giudice costituito per legge, il diritto a che la causa sia esaminata entro un termine ragionevole e i diritti della difesa, in quanto tali garanzie sono volte ad evitare il rischio di utilizzo di misure disciplinari come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie.

38.      La Repubblica di Polonia afferma che detti diritti basati sugli articoli 47 e 48 della Carta non derivano dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, cosicché la terza e la quarta censura non possono essere accolte. Tenuto conto dell’ambito di applicazione della Carta in relazione agli Stati membri, come previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, della stessa, i diritti di cui trattasi non si applicano ai procedimenti disciplinari svolti sulla base delle misure controverse, in quanto essi hanno natura interna e il giudice disciplinare in tali casi non applica il diritto dell’Unione.

39.      Secondo il Regno del Belgio e il Regno di Svezia, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE è applicabile al caso di specie. Il Regno del Belgio ricorda che, nella giurisprudenza della Corte, le garanzie di natura sostanziale cui è soggetta la tutela giurisdizionale effettiva sulla base dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta sono le medesime.

2.      Prima censura, relativa alla qualificazione del contenuto delle decisioni giudiziarie come illecito disciplinare

40.      Con la prima censura, la Commissione afferma che, in base alla loro formulazione, l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e l’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema violano l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in quanto essi consentono agli organi nazionali competenti nelle controversie disciplinari riguardanti giudici di organi giurisdizionali ordinari di interpretare le condizioni della responsabilità disciplinare in modo tale che il contenuto delle decisioni giudiziarie possa essere qualificato come illecito disciplinare. Ciò rende possibile utilizzare il regime disciplinare come strumento per esercitare un controllo politico sui giudici degli organi giurisdizionali ordinari, in contrasto con il principio dell’indipendenza dei giudici tutelato da detta disposizione. Anche se la definizione degli illeciti disciplinari e, in particolare, la categoria delle violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge di cui all’articolo 107, paragrafo 1, di detta legge non è stata modificata dalla normativa introdotta nel 2017, la sua interpretazione è affidata alla Sezione disciplinare, che non è indipendente, come specificato nella seconda censura, e non è vincolata alla giurisprudenza esistente della Corte suprema, che interpreta tale definizione restrittivamente (15).

41.      Secondo la Commissione, l’interpretazione dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sugli organi giurisdizionali nazionali nel senso che in esso rientra il contenuto delle decisioni giudiziarie è suffragata, in pratica, dalle misure adottate dal delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari e dai suoi due sostituti, nominati dal Ministro della Giustizia nel 2018, che svolgono la funzione di pubblici ministeri nei confronti dei giudici in base al nuovo regime disciplinare. Il 29 novembre 2018, sono state avviate indagini volte a stabilire se tre giudici abbiano commesso un illecito disciplinare in relazione ai rinvii pregiudiziali nelle cause C‑558/18, C‑563/18 e C‑623/18, in cui è stato loro intimato di fornire spiegazioni riguardo un potenziale «eccesso di potere giurisdizionale» per aver proceduto ai detti rinvii pregiudiziali (16). Il 3 settembre 2019 sono state compiute indagini per accertare se il giudice che aveva proceduto ai rinvii pregiudiziali nelle cause da C‑748/19 a C‑754/19, riguardanti, in particolare, i requisiti di indipendenza dell’autorità giudiziaria in relazione ad un organo giurisdizionale composto da un giudice distaccato dal Ministro della Giustizia, avesse commesso un illecito disciplinare (17). Il 6 dicembre 2019, nei confronti di tale giudice è stato avviato un procedimento disciplinare, in particolare, per aver messo in discussione l’indipendenza del suddetto giudice distaccato e per aver illegittimamente sollevato le domande di pronuncia pregiudiziale (18).

42.      La Commissione richiama ulteriori esempi verificatisi dopo la proposizione della presente causa. Con decisione del 4 febbraio 2020 (19), la Sezione disciplinare ha sospeso dalle sue funzioni un giudice contro il quale era stato avviato un procedimento disciplinare il 29 novembre 2019 in relazione alla decisione dello stesso di verificare lo status giuridico di un giudice alla luce delle modifiche normative apportate alla composizione della KRS (20). In detta decisione, la Sezione disciplinare ha dichiarato, in particolare, che il comportamento del giudice costituiva una violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge nonché una lesione della dignità della funzione, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, e che non era in dubbio l’illegittimità della decisione del giudice. Sono stati inoltre avviati procedimenti disciplinari nei confronti di tre giudici che avevano messo in discussione lo status giuridico dei giudici a causa di tali modifiche (21).

43.      La Commissione sostiene che l’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema rafforza gli effetti giuridici dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sugli organi giurisdizionali ordinari perché combina la possibilità, per la Corte Suprema, di inviare a un organo giurisdizionale un accertamento di errore costituito da una violazione manifesta delle disposizioni di legge, con l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice. Esso si applica nell’ambito della nuova procedura di ricorso straordinario, che comporta il riesame delle sentenze degli organi giurisdizionali ordinari risalenti a molti anni prima, da parte della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, la quale costituisce, al pari della Sezione disciplinare, una nuova sezione della Corte suprema composta da giudici proposti dalla KRS di nuova costituzione.

44.      Secondo la Repubblica di Polonia, nei confronti dei giudici non è stato istituito alcun procedimento disciplinare basato sul contenuto delle decisioni giudiziarie e non esiste un «effetto paralizzante». La definizione degli illeciti disciplinari è da tempo in vigore senza problemi, come dimostra la giurisprudenza esistente della Corte suprema (22). Gli esempi citati dalla Commissione sono irrilevanti e la sentenza della Corte nella presente causa deve riferirsi alla situazione prevalente alla fine del periodo indicato nel parere motivato. L’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema si applica in un contesto diverso e la Corte suprema si limita a chiedere l’avvio del procedimento disciplinare.

45.      Il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia hanno evidenziato, in udienza, numerose relazioni di organismi nazionali e internazionali che criticano le indagini e i procedimenti disciplinari avviati nei confronti dei giudici e l’ampia definizione degli illeciti disciplinari. Per la Repubblica di Finlandia, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno di Svezia, ciò ha un «effetto paralizzante» sui giudici. Il Regno di Danimarca aggiunge che la combinazione con altre modifiche aumenta il rischio che le misure disciplinari possano essere usate per esercitare pressioni sui giudici.

3.      Seconda censura, relativa allindipendenza e allimparzialità della Sezione disciplinare

46.      Con la seconda censura, la Commissione sostiene che il combinato disposto dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 27 e dell’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema e dell’articolo 9 bis della legge sulla KRS non garantisce l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 27 e dell’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, la Sezione disciplinare costituisce, per i giudici dei tribunali ordinari, il giudice disciplinare di secondo grado e, in taluni casi, di primo grado nonché, per i giudici della Corte suprema, il giudice disciplinare di primo e secondo grado. L’articolo 9 bis della legge sulla KRS modifica il metodo di nomina dei membri togati della KRS, organo costituzionale le cui funzioni comprendono la proposta dei giudici ai fini della nomina da parte del Presidente della Repubblica.

47.      La Commissione sostiene che diversi elementi, considerati nel loro insieme e introdotti contemporaneamente nell’ordinamento polacco, riflettono una «discontinuità strutturale», sollevando dubbi circa l’impermeabilità della Sezione disciplinare ai fattori esterni e la sua neutralità rispetto a interessi in conflitto. Detti elementi comprendono il fatto che: (i) essa è stata creata ex novo all’interno della Corta suprema; (ii) è competente a statuire sui procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici; (iii) è caratterizzata da un alto grado di autonomia organizzativa e finanziaria rispetto alle altre sezioni della Corte suprema; (iv) è composta da giudici nominati dopo la sua creazione su proposta della KRS di nuova costituzione, e non mediante trasferimento di giudici già in servizio presso altre sezioni della Corte suprema, e (v) i mandati dei membri della KRS sono prematuramente cessati e le norme che disciplinano il metodo di nomina dei membri togati della KRS sono state modificate, comportando una politicizzazione della KRS, in quanto 23 dei 25 membri sono nominati o rappresentati dalle autorità legislative e esecutive, e una maggiore influenza di dette autorità sul processo di nomina dei giudici della Sezione disciplinare. La Commissione si fonda sulla sentenza A.K. e a. e sulla giurisprudenza della Corte suprema che applica i criteri di tale sentenza.

48.      La Repubblica di Polonia afferma che la procedura di nomina dei giudici in base al diritto polacco non differisce dagli approcci adottati in altri Stati membri e che le modifiche del metodo di nomina dei membri togati della KRS ne potenziano la rappresentatività. A suo avviso, i giudici della Sezione disciplinare godono di un elaborato sistema di garanzie collegate, tra l’altro, a inamovibilità, immunità e retribuzione degli stessi, di cui occorre tener conto in base alla giurisprudenza della Corte (23). Il suo elevato grado di autonomia organizzativa e finanziaria ne rafforza l’indipendenza e i giudici di tale sezione ricevono il 40% in più di retribuzione per compensare il mancato svolgimento di talune attività retribuite. La giurisprudenza della Sezione disciplinare ne testimonia l’indipendenza, come dimostra la panoramica acclusa alle osservazioni. La sentenza A.K. e a. constata la conformità delle disposizioni controverse al diritto dell’Unione e la giurisprudenza della Corte suprema richiamata dalla Commissione è irrilevante.

49.      Il Regno del Belgio afferma che la mancanza di indipendenza della Sezione disciplinare è suffragata dalle indicazioni provenienti da organismi internazionali sull’indipendenza dei giudici. Per il Regno di Danimarca e la Repubblica di Finlandia, ciò è confermato dalla giurisprudenza della Corte, ivi compresa la sentenza A.K. e a.

4.      Terza censura, relativa al potere del presidente della Sezione disciplinare di designare il tribunale disciplinare

50.      Con la terza censura, la Commissione sostiene che l’articolo 110, paragrafo 3, e l’articolo 114, paragrafo 7, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, che conferiscono al presidente della Sezione disciplinare il potere astrattamente illimitato di designare il tribunale disciplinare di primo grado competente a pronunciarsi sulle controversie che coinvolgono giudici dei tribunali ordinari, non garantiscono che tali procedimenti siano trattati da un organo giurisdizionale costituito per legge e sono pertanto in contrasto con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, tenuto conto della giurisprudenza della Corte e delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») sull’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU»). Dato che la Sezione disciplinare non è indipendente, il conferimento di tale potere al presidente di tale Sezione non può costituire una garanzia effettiva dell’indipendenza dei giudici, e il collegio giudicante che si pronuncia sulla controversia è nominato mediante estrazione, sulla base di un elenco dei giudici di un determinato organo, a loro volta nominati dal Ministro della Giustizia.

51.      La Repubblica di Polonia sostiene che ogni tribunale disciplinare di primo grado è un organo giurisdizionale costituito per legge, i cui incarichi sono stati assegnati in base alla legge. Il presidente della Sezione disciplinare nomina uno dei tribunali disciplinari costituiti per legge, mentre lo specifico collegio giudicante è nominato mediante estrazione, sulla base di un elenco di tutti i giudici di tale organo giurisdizionale, il che impedisce influenze indebite.

52.      Secondo il Regno di Danimarca, la censura è corroborata dalla mancanza di indipendenza della Sezione disciplinare. Per il Regno dei Paesi Bassi, ciò è suffragato dalla giurisprudenza della Corte EDU.

5.      Quarta censura, relativa allinosservanza dei diritti procedurali dei giudici

53.      Con la quarta censura, divisa in due parti, la Commissione sostiene che gli articoli 112b, 113a e 115a, paragrafo 3, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari sono incompatibili con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE in quanto non garantiscono che i procedimenti disciplinari condotti nei confronti dei giudici dei tribunali ordinari siano trattati entro un termine ragionevole, né garantiscono i diritti della difesa dei giudici accusati.

54.      Per quanto riguarda la prima parte, la Commissione afferma che, in forza dell’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, il Ministro della Giustizia può far sì che gli addebiti nei confronti di un giudice si protraggano in modo permanente, nominando un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, il quale può avviare un procedimento su richiesta del Ministro della Giustizia, intervenire in qualsiasi fase del procedimento e riaprire il procedimento anche dopo la conclusione dello stesso. Alla luce della giurisprudenza della Corte EDU sul profilo penale dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU (24), il requisito del termine ragionevole non è garantito. Gli argomenti basati sul principio del ne bis in idem non tengono conto della chiara formulazione della disposizione di cui trattasi e l’articolo 112b, paragrafo 2, della medesima legge disciplina situazioni in cui la funzione di tale delegato cessa per altri motivi.

55.      Per quanto riguarda la seconda parte, la Commissione afferma che l’articolo 113a della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, che prevede la prosecuzione del procedimento anche in assenza di nomina del difensore d’ufficio o quando detto difensore non ha ancora assunto la difesa, viola i diritti della difesa, tenuto conto della giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU (25) sul diritto ad avvalersi di un avvocato. Essa nega che detta disposizione abbia il solo scopo di consentire al tribunale disciplinare di nominare un difensore d’ufficio, essendo ciò disciplinato dall’articolo 113, paragrafi 2 e 3, della medesima legge. A suo avviso, l’articolo 115a, paragrafo 3, della stessa legge, prevedendo che il tribunale disciplinare possa dare seguito al procedimento nonostante l’assenza giustificata del giudice accusato o del suo difensore, contravviene al principio del contraddittorio, che rientra nei diritti della difesa. Gli interessi del procedimento non coincidono con quelli del giudice e la possibilità di produrre elementi di prova e spiegazioni scritte in fasi precedenti non sostituisce la partecipazione al procedimento.

56.      La Repubblica di Polonia sostiene, per quanto riguarda la prima parte, che la Commissione non ha dedotto argomenti diretti a contestare l’istituzione del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, previsto all’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e, per quanto riguarda l’articolo 112b, paragrafo 5, della medesima legge, non ha prodotto elementi di prova sufficienti, conformemente alla giurisprudenza della Corte (26), a dimostrare l’esistenza di una prassi nazionale di violazione del requisito del termine ragionevole. L’articolo 112b, paragrafo 5, di detta legge si applica soltanto ai procedimenti che non sono stati ancora oggetto di una decisione definitiva e in cui il delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia non può più esercitare le proprie funzioni per altri motivi, come in caso di decesso o di cessazione delle funzioni. Dal momento che la decisione definitiva conclude il procedimento, l’avvio di un nuovo procedimento comporta il proscioglimento in forza del principio del ne bis in idem e, allo stesso modo, il principio dell’autorità della cosa giudicata osta all’indefinito protrarsi delle accuse nei confronti di un giudice quando il procedimento che lo riguarda si è concluso. Non vi è alcun nesso tra la durata del procedimento e il fatto che esso possa essere svolto dal delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, soggetto agli stessi termini previsti per il delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari e dai suoi due sostituti per le varie fasi del procedimento.

57.      La Repubblica di Polonia afferma, per quanto riguarda la seconda parte, che l’articolo 113a della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari riguarda soltanto la nomina del difensore d’ufficio, ossia una situazione eccezionale disciplinata dall’articolo 113, paragrafi 2, 3 e 4, della suddetta legge. Come avviene per l’articolo 115a, paragrafo 3, di quest’ultima, gli interessi del procedimento coincidono con quelli del giudice e sono valutati da un organo giurisdizionale indipendente. Il diritto del giudice al contraddittorio è garantito già in altre fasi del procedimento.

B.      Censura relativa alla violazione dell’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE

58.      Con la quinta censura, la Commissione sostiene che l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e l’articolo 97, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema consentono che i giudici siano soggetti a procedimenti disciplinari per aver sottoposto alla Corte domande di pronuncia pregiudiziale, come dimostrato dai quattro esempi nell’ambito della prima censura, indicati al paragrafo 41 delle presenti conclusioni. L’inesistenza di garanzie che tutelino i giudici contro la minaccia della responsabilità disciplinare in caso di rinvio pregiudiziale viola l’articolo 267 TFUE e ha un «effetto paralizzante» sui giudici.

59.      Secondo la Repubblica di Polonia, nessun procedimento disciplinare è stato avviato nei confronti di un giudice per il fatto di aver sollevato una questione pregiudiziale e gli esempi invocati dalla Commissione non provano il contrario. Eventuali indagini che siano condotte in via eccezionale e non sfocino necessariamente in un procedimento disciplinare non violano l’indipendenza dei giudici, e non esiste un «effetto paralizzante».

60.      Il Regno di Danimarca, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia affermano che, come confermato nella sentenza Miasto Łowicz, sollevare una domanda di pronuncia pregiudiziale non può comportare un procedimento disciplinare. Per la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia, occorre prendere in considerazione l’«effetto paralizzante» sui giudici.

VI.    Analisi

61.      La mia analisi si articola in tre parti principali. In primo luogo, tratterò le obiezioni della Repubblica di Polonia in relazione all’applicabilità e alla portata dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE nell’ambito della terza e della quarta censura (sezione A). Esaminerò quindi le censure sotto il profilo del merito, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE (sezione B) e l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE (sezione C).

62.      Sulla base di tale analisi, sono giunto alla conclusione che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE comprende il diritto a un organo giurisdizionale costituito per legge, il diritto alla trattazione di una causa entro un termine ragionevole nonché i diritti della difesa, e che le censure basate su detta disposizione e sull’articolo 267 TFUE sono fondate.

A.      Applicabilità e portata dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE

63.      Secondo giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 19 TUE, che concretizza il valore dello Stato di diritto affermato dall’articolo 2 TUE, affida ai giudici nazionali e alla Corte il compito di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri nonché la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza di detto diritto (27). Sebbene l’organizzazione della giustizia rientri in linea di principio nella competenza degli Stati membri, essi devono, nell’esercizio di tale competenza, rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE (28). A norma di detta disposizione, gli Stati membri devono garantire che gli organi facenti parte, in quanto «organo giurisdizionale» nel senso definito dal diritto dell’Unione, del suo sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva (29).

64.      Secondo giurisprudenza consolidata, quanto all’applicazione ratione materiae dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, tale disposizione riguarda i «settori disciplinati dal diritto dell’Unione», indipendentemente dalla situazione in cui gli Stati membri attuano tale diritto, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (30). Ne deriva che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE è applicabile nei confronti di qualsiasi organo giurisdizionale nazionale che possa trovarsi a statuire su questioni relative all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione e rientranti dunque in settori disciplinati da tale diritto (31).

65.      Nel caso di specie, è pacifico che la Corte suprema e i tribunali ordinari in Polonia si pronunciano su questioni legate all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione e che rientrano quindi nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (32). Pertanto, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE è applicabile a tale ricorso per inadempimento, diretto a contestare la compatibilità con tale disposizione di misure nazionali relative al regime disciplinare dei giudici di detti tribunali. Il fatto che i procedimenti disciplinari svolti sulla base delle misure controverse non riguardino l’attuazione del diritto dell’Unione è irrilevante, così come il fatto che l’Unione non abbia una competenza generale in relazione alla responsabilità disciplinare dei giudici.

66.      Non è contestato il fatto che l’obbligo di garantire l’accesso a un giudice indipendente e imparziale derivi dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e comprenda quindi la valutazione delle misure contestate per tali motivi. Tuttavia, la presente causa solleva la questione se detta disposizione includa altre garanzie sancite dagli articoli 47 e 48 della Carta, vale a dire il diritto a un giudice costituito per legge, il diritto a un esame della causa entro un termine ragionevole e i diritti della difesa, in relazione alle misure di cui trattasi (33).

67.      A mio avviso, a detta questione occorre rispondere in senso affermativo.

68.      Come dichiarato dalla Corte (34), le garanzie di indipendenza dei giudici derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE comprendono, nell’ambito del regime disciplinare dei giudici, norme che «prevedano l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa». Ne consegue che il requisito secondo cui l’istituzione di un regime disciplinare deve garantire i diritti sanciti dagli articoli 47 e 48 della Carta deriva dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

69.      La suddetta analisi è altresì coerente con la giurisprudenza in cui la Corte ha collegato le garanzie dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta. Ad esempio, la Corte ha riconosciuto che «l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi segnatamente dell’articolo 47 della Carta, cosicché quest’ultima disposizione deve essere debitamente presa in considerazione ai fini dell’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE» (35). Si può ritenere che ciò derivi dal fatto che il principio della tutela giurisdizionale effettiva, cui fa riferimento l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU e che è attualmente riaffermato all’articolo 47 della Carta (36). Infatti, come espresso nelle mie conclusioni nella causa A.K. e a. (37), esiste una «passerella costituzionale» tra l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e l’articolo 47 della Carta, e la giurisprudenza vertente sui medesimi inevitabilmente si interseca, considerato che dette disposizioni condividono fonti di diritto in comune. Pertanto, i diritti rientranti in ciascuna di esse sono destinati a sovrapporsi e l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE include anche, ma non solo, l’obbligo di avvalersi di giudici indipendenti e imparziali.

70.      A tale riguardo, occorre riconoscere che il diritto a un giudice costituito per legge è direttamente collegato all’indipendenza dei giudici (38) e che esso è anche uno dei requisiti che devono sussistere ai fini dell’esistenza di una «giurisdizione» ai sensi del diritto dell’Unione in base all’articolo 267 TFUE (39). Dalla giurisprudenza risulta in modo evidente che la Corte interpreta il requisito dell’indipendenza dei giudici sulla base dell’articolo 267 TFUE alla luce di quanto previsto dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma TUE (40). Ciò sembrerebbe pertanto valere anche per detto requisito.

71.      Oltre all’indipendenza dei giudici, il diritto a un giudice costituito per legge, il diritto a un esame della causa entro un termine ragionevole e i diritti della difesa fanno parte del diritto a un processo equo, tutelato dall’articolo 47 della Carta, insieme all’articolo 48, paragrafo 2, della medesima per quanto concerne i diritti della difesa. Ciò depone a favore dell’inclusione di tali diritti nelle garanzie di cui all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, alla luce del loro legame con l’indipendenza dei giudici, aspetti che, nel loro insieme, costituiscono gli elementi essenziali del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e del fondamentale diritto a un processo equo.

72.      Ritengo pertanto che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE includa il diritto a un giudice costituito per legge, il diritto a un esame della causa entro un termine ragionevole e i diritti della difesa, quali sanciti dagli articoli 47 e 48 della Carta. Pertanto, gli articoli 47 e 48 della Carta si applicano a misure nazionali relative al regime disciplinare dei giudici adottato da uno Stato membro al fine di dare attuazione all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, come le misure di cui trattasi. Ne consegue che le obiezioni della Repubblica di Polonia, nell’ambito della terza e della quarta censura, secondo cui siffatti diritti non derivano dalla disposizione in oggetto devono essere respinte.

B.      Censure relative alla violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE

1.      Prima censura relativa alla qualificazione del contenuto delle decisioni giudiziarie come illecito disciplinare

73.      La Commissione afferma che l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e l’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema violano il principio di indipendenza dei giudici in quanto consentono di qualificare il contenuto delle decisioni giudiziarie come un illecito disciplinare. Essa fonda tale censura sulla formulazione dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e, in particolare, sulla categoria degli illeciti disciplinari, costituita da violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge, alla luce della sua applicazione e del più ampio contesto, ivi compreso il meccanismo dell’accertamento di errore di cui all’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema.

74.      La Repubblica di Polonia sostiene che la Commissione non ha dimostrato la violazione di detto principio da parte delle disposizioni controverse, tenuto conto, in particolare, della formulazione e dell’interpretazione consolidata dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari nonché del diverso contesto dell’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema.

75.      Occorre ricordare, in via preliminare, che gli Stati membri non sono tenuti ad adottare un determinato modello di regime disciplinare dei giudici in base all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. L’importante è che le regole relative a tale regime «offrano le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un regime siffatto come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie» (41). In particolare, l’emanazione di norme che definiscano i comportamenti che integrano illeciti disciplinari rientra in tali garanzie (42).

76.      Occorre altresì osservare che la responsabilità disciplinare dei giudici fa parte delle garanzie dell’indipendenza dei giudici negli orientamenti emessi da organismi internazionali sull’indipendenza dei giudici (43). A tale riguardo, l’azione disciplinare dovrebbe essere avviata nei confronti di un giudice per le forme più gravi di inadempienze professionali e non a causa del contenuto delle decisioni giudiziarie, che in generale implicano l’accertamento dei fatti, la valutazione degli elementi di prova nonché l’interpretazione delle disposizioni di legge (44). Non vi è tuttavia un approccio uniforme per quanto riguarda le condizioni sostanziali della responsabilità disciplinare e, in molti Stati, la definizione di illecito disciplinare è spesso formulata in termini generali (45).

77.      Ciò avvalora l’importanza della valutazione del contesto normativo e del più ampio contesto in cui la particolare definizione di illecito disciplinare è interpretata e applicata (46). Infatti, per quanto riguarda la valutazione del principio dell’indipendenza dei giudici, la Corte segue un approccio generale che tiene conto di tutti gli elementi pertinenti in relazione al contesto e all’applicazione delle misure nazionali di cui trattasi e dei loro effetti cumulativi (47). Di conseguenza, anche se una misura nazionale, considerata isolatamente, può non essere idonea a violare detto principio, un esame congiunto dei diversi elementi potrebbe condurre a una conclusione differente (48).

78.      Nella presente causa, ritengo che la Commissione abbia sufficientemente dimostrato che le disposizioni controverse violano il principio di indipendenza dei giudici, il cui rispetto è necessario per soddisfare i requisiti di tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

79.      Occorre rilevare che, come si è visto al paragrafo 17 delle presenti conclusioni, l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari prevedeva, all’epoca dei fatti (49), una definizione di illecito disciplinare, che consisteva in violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge e nella lesione della dignità della funzione, espressa in termini generali. Riconosco che tale disposizione e, in particolare, la categoria delle violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge può non essere di per sé idonea a violare il principio dell’indipendenza dei giudici. Tuttavia, occorre considerare che la disposizione in oggetto consente la possibile qualificazione del contenuto delle decisioni giudiziari come un illecito disciplinare e, pertanto, non rappresenta una garanzia effettiva contro le interferenze nell’indipendenza dei giudici, tenuto conto del più ampio contesto e della sua applicazione pratica in Polonia, che non è paragonabile alle altre situazioni esistenti in altri Stati membri.

80.      A tal proposito, l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari si colloca nell’ambito delle modifiche legislative apportate al sistema giudiziario polacco e, in particolare, del nuovo regime disciplinare dei giudici, che aumentano il rischio che, sulla base di tale disposizione, possano essere avviati procedimenti disciplinari o adottate misure disciplinari tali da esercitare pressioni politiche sui giudici in relazione al contenuto delle loro decisioni. In particolare, occorre sottolineare che la sua interpretazione definitiva è affidata alla Sezione disciplinare, la cui indipendenza è stata messa in dubbio, come sarà esposto nella seconda censura, e che ha già interpretato tale disposizione nel senso che in essa rientra il contenuto delle decisioni giudiziarie (v. paragrafo 42 delle presenti conclusioni). Come indicato dal Regno del Belgio, dal Regno di Danimarca, dalla Repubblica di Finlandia e dal Regno di Svezia, vi sono numerose relazioni di organismi internazionali (50) che evidenziano l’impatto negativo del nuovo regime disciplinare e, in particolare, i rischi presentati dalla definizione, formulata in termini ampi, di illecito disciplinare nell’ordinamento polacco, per l’indipendenza dei giudici.

81.      La possibilità che i giudici incorrano in responsabilità per il contenuto delle loro decisioni mi pare rafforzata dall’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema, che consente alla Corte suprema di chiedere l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice qualora la stessa constati una violazione manifesta delle disposizioni di legge nell’ambito del riesame di una causa per un accertamento di errore. Sebbene, come sostenuto dalla Repubblica di Polonia, la nozione di violazione manifesta di disposizioni di legge in base a tale disposizione si collochi in un contesto diverso da quello delle violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge di cui all’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, non si può escludere che il modo in cui la disposizione in esame si articola con l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari nell’ambito del nuovo regime disciplinare non fornisca garanzie sufficienti per tutelare i giudici.

82.      Dall’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema risulta che la Sezione disciplinare è il giudice disciplinare di primo grado, anche nelle cause che riguardano i giudici degli organi giurisdizionali ordinari. Tale disposizione deve essere applicata dalla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche – anch’essa istituita dalla legge sulla Corte suprema e composta da giudici proposti dalla KRS di nuova costituzione – nell’ambito della nuova procedura di ricorso straordinario, che consente a detta sezione il riesame delle decisioni definitive degli organi giurisdizionali ordinari risalenti a partire dal 1997 (51). Se è vero che la sezione e la procedura di cui trattasi non sono state messe in discussione nella presente causa, esse fanno comunque parte del contesto in cui si collocano le disposizioni controverse. Come indicato dal Regno di Danimarca, il collegamento tra l’esame dei ricorsi, ivi compresi i ricorsi straordinari, e l’avvio di un procedimento disciplinare contribuisce a creare pressioni sui giudici nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie.

83.      Come visto ai paragrafi 41 e 42 delle presenti conclusioni, inoltre, la Commissione ha fornito la prova relativa all’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari nella pratica, il che a mio avviso dimostra la qualificazione del contenuto delle decisioni giudiziarie come un illecito disciplinare. Gli argomenti addotti dalla Repubblica di Polonia per contestare la rilevanza degli esempi menzionati dalla Commissione non sono persuasivi. In particolare, è vero che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento in uno Stato membro è determinata in base alla situazione quale si presentava in tale Stato membro alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, vale a dire, nel caso di specie, il 17 settembre 2019, e che la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi (52). Tuttavia, come indicato dalla Commissione, sebbene alcuni degli esempi in oggetto riguardassero fatti successivi, essi servono a confermare gli argomenti e gli elementi di prova nella loro applicazione relativa a tale periodo e sono pertanto rilevanti nell’ambito della presente causa (53).

84.      Anche se, come sostiene la Repubblica di Polonia, taluni esempi non riguardavano violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge, essi dimostrano tuttavia che la definizione di illecito disciplinare di cui all’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari può, di fatto, essere utilizzata per includere il contenuto delle decisioni giudiziarie e che essa non contiene garanzie sufficienti per tutelare i giudici. Gli esempi invocati dalla Commissione testimoniano procedimenti o provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei giudici a causa di decisioni emesse dagli stessi in relazione alle modifiche apportate al sistema giudiziario polacco e all’indipendenza dei giudici polacchi (54). Il fatto che le indagini non abbiano portato ad addebiti disciplinari nei confronti dei giudici coinvolti o che la valutazione del delegato alla disciplina non sia vincolante per i giudici disciplinari non è rilevante, in quanto detti provvedimenti sono idonei ad esercitare pressioni sui giudici. La mera possibilità che procedimenti o provvedimenti disciplinari possano essere intrapresi o adottati nei confronti dei giudici a causa del contenuto delle loro decisioni giudiziarie crea senza dubbio un «effetto paralizzante» non soltanto sui giudici di cui trattasi, ma anche su altri giudici in futuro, il che è incompatibile con l’indipendenza dei giudici.

85.      Alla luce delle ragioni che precedono, la prima censura sollevata dalla Commissione è fondata.

2.      Seconda censura, relativa allindipendenza e allimparzialità della Sezione disciplinare

86.      La Commissione sostiene che gli articoli 3, paragrafo 5, 27 e 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, in combinato disposto con l’articolo 9 bis della legge sulla KRS, non garantiscono l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare. Essa fonda la sua affermazione su una serie di elementi, nonché sulla sentenza A.K. e a. e sulla giurisprudenza della Corte suprema che applica detta sentenza.

87.      La Repubblica di Polonia afferma che non è stata rilevata alcuna violazione dell’indipendenza dei giudici, tenuto conto, in particolare, della procedura di nomina dei giudici della Sezione disciplinare e delle garanzie loro accordate in base al diritto polacco.

88.      Dalla giurisprudenza della Corte risulta che le regole riguardanti il regime disciplinare applicabile ai giudici contribuiscono a garantire l’indipendenza e l’imparzialità degli organi giurisdizionali, al fine di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di un simile organo rispetto a elementi esterni e, in particolare, rispetto a influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo, e quanto alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Pertanto, non deve essere consentita una mancanza di apparenza d’indipendenza o di imparzialità dell’organo giurisdizionale tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare a detti singoli in una società democratica (55).

89.      Nella sentenza A.K. e a. (56), la Corte ha precisato la portata dei requisiti di indipendenza e di imparzialità nell’ambito dell’istituzione della Sezione disciplinare. Essa ha osservato che il solo fatto che i giudici di tale Sezione siano nominati dal Presidente della Repubblica non è idoneo a generare dubbi quanto alla loro imparzialità, se, una volta nominati, gli interessati non sono soggetti ad alcuna pressione e non ricevono istruzioni nell’esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, la Corte ha individuato diversi fattori che, considerati nel loro insieme, erano in grado di rimettere in discussione tale posizione.

90.      Nella sua sentenza (57), la Corte ha dichiarato che, quanto all’indipendenza della KRS, la quale è rilevante quando si tratti di valutare se i giudici che essa seleziona siano in grado di soddisfare i requisiti di indipendenza e di imparzialità, detti elementi comprendevano, in particolare, il fatto che la KRS di nuova composizione sia stata istituita attraverso la riduzione del mandato in corso, di quattro anni, dei precedenti membri e che i quindici membri della KRS scelti tra i giudici siano ora eletti dalle autorità legislative. Per quanto riguarda gli elementi direttamente caratterizzanti la Sezione disciplinare, la Corte ha indicato, in primo luogo, che essa ha competenza esclusiva a conoscere delle cause in materia di misure che la Corte ha ritenuto, nella sua sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (58), incompatibili con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE; in secondo luogo, che essa è composta da giudici di nuova nomina, con esclusione dei giudici che erano già in carica presso la Corte suprema; e in terzo luogo, che essa gode di un grado di autonomia particolarmente elevato rispetto alle altre sezioni che compongono tale organo giurisdizionale.

91.      Con sentenza del 5 dicembre 2019 (59), la Corte suprema (statuendo, nella composizione della Sezione per il diritto del lavoro e la previdenza sociale, su una delle cause che hanno dato luogo alla sentenza A.K. e a.) ha dichiarato – sulla base della sentenza A.K. e a. – che la KRS non è, nella sua attuale composizione, un organo indipendente e che la Sezione disciplinare non è un giudice ai sensi dell’articolo 47 della Carta, dell’articolo 6 CEDU e dell’articolo 45, paragrafo 1, della Costituzione polacca. Per quanto riguarda la KRS, detta sentenza menzionava, tra l’altro, vizi nel processo di nomina dei suoi membri, la sua soggezione ai poteri politici e le sue attività in contrasto con l’indipendenza dei giudici. Quanto alla Sezione disciplinare, la sentenza di cui trattasi indicava, in particolare, che tutti i giudici nominati presso tale Sezione hanno forti legami con le autorità legislative o esecutive; che le condizioni del concorso per la nomina di tali giudici sono state modificate nel corso del procedimento; che la Corte suprema non ha partecipato al processo di nomina di detti giudici; che le attività della Sezione disciplinare erano dirette al ritiro delle questioni pregiudiziali; e che i procedimenti disciplinari decisi dalla Sezione disciplinare hanno evidenziato che un giudice può vedersi contestare un illecito disciplinare a causa dell’adozione di una decisione giurisdizionale, mentre ciò non avveniva in precedenza.

92.      Con ordinanze del 15 gennaio 2020 (60), la Corte suprema (statuendo nella medesima composizione su altre controversie che hanno dato luogo alla sentenza A.K. e a.) ha parimenti dichiarato che la Sezione disciplinare non è un giudice indipendente e imparziale, tenuto conto delle condizioni della sua creazione, della portata dei suoi poteri, della sua composizione nonché del coinvolgimento della KRS nella selezione dei suoi membri.

93.      Con delibera del 23 gennaio 2020 (61), la Corte suprema (statuendo nella composizione comprendente la Sezione civile, la Sezione penale e la Sezione competente per il diritto del lavoro e la previdenza sociale) ha concordato con quanto espresso nella sentenza del 5 dicembre 2019, sul fatto che la KRS e la Sezione disciplinare non siano organi indipendenti. In particolare, detta delibera ha affermato che la KRS è soggetta alle autorità politiche, cosicché i concorsi per la funzione di giudice che la medesima conduce sono viziati, generando pertanto dubbi fondamentali circa le motivazioni della nomina di taluno a giudice. Allo stesso modo, a causa dell’organizzazione, del sistema, della procedura di nomina e dell’autonomia della stessa, le sentenze emesse da collegi della Sezione disciplinare non sono sentenze emesse da un giudice regolarmente nominato. Di conseguenza, in base a detta delibera, i collegi giudicanti erano composti in modo illegittimo quando emettevano decisioni con la partecipazione di giudici selezionati dalla KRS di nuova costituzione.

94.      Nella presente causa, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che le disposizioni controverse non garantiscono l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare e sono dunque in contrasto con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

95.      Occorre sottolineare che la sentenza A.K. e a. è pertinente ai fini del caso di specie. Se è vero che le conclusioni riguardavano l’articolo 47 della Carta, la Corte ha rilevato che esse sarebbero state le medesime in relazione all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE (62). Contrariamente a quanto sostiene la Repubblica di Polonia, tale sentenza non stabilisce la conformità delle disposizioni controverse al diritto dell’Unione. Il fatto che la Corte non abbia constatato l’incompatibilità delle disposizioni nazionali relative alla KRS e alla Sezione disciplinare con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE deriva dalle sue competenze, previste in forza dell’articolo 267 TFUE (63). Infatti, a mio avviso, la sentenza A.K. e a. corrobora decisamente la conclusione che, sulla base della combinazione di elementi invocati dalla Commissione ed esaminati in detta sentenza, la Sezione disciplinare non soddisfa i requisiti di indipendenza e imparzialità di cui all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Come ho constatato nelle mie conclusioni nella causa di cui trattasi (64), il mandato dei membri precedenti della KRS è prematuramente cessato e le modifiche alla modalità di nomina dei membri giudici indicano che 23 dei 25 membri sono scelti dai poteri legislativo ed esecutivo, il che, considerato nel suo complesso, rivela lacune tali da pregiudicare l’indipendenza della KRS.

96.      Inoltre, alla luce della sentenza A.K. e a. e delle mie conclusioni in tale causa (65), esistono diversi elementi relativi alle caratteristiche della Sezione disciplinare che, considerati nel loro insieme, generano dubbi legittimi circa l’indipendenza e l’imparzialità della sezione in esame: in primo luogo, essa è stata istituita quale parte delle misure legislative concernenti il sistema giudiziario polacco e alla medesima è stato assegnato il compito di pronunciarsi su cause relative allo status dei giudici, in particolare i procedimenti disciplinari, aspetti che sono stati interessati da tali misure; in secondo luogo, essa è composta da giudici di nuova nomina, proposti dalla KRS di nuova costituzione, con esclusione dunque dei giudici attualmente in carica della Corte suprema; e, in terzo luogo, essa ha un elevato grado di autonomia organizzativa e finanziaria rispetto alle altre sezioni della Corte suprema.

97.      Nelle decisioni della Corte suprema citate ai paragrafi da 91 a 93 delle presenti conclusioni, questo organo giurisdizionale ha a sua volta riconosciuto la mancanza di indipendenza della KRS e della Sezione disciplinare. Contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica di Polonia, dette sentenze riguardano proprio gli elementi menzionati dalla Commissione e sono pertanto pertinenti rispetto al caso di specie. Il fatto che, come indicato da tale Stato membro, la delibera della Corte suprema del 23 gennaio 2020 sia stata dichiarata incostituzionale dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale, Polonia) (66) o che le modifiche legislative relative alla composizione della KRS siano state confermate dalla medesima Corte (67) non incide sui requisiti di indipendenza dei giudici che detta sezione deve soddisfare in base al diritto dell’Unione.

98.      Gli argomenti dedotti dalla Repubblica di Polonia secondo cui l’elevato grado di autonomia organizzativa e finanziaria della Sezione disciplinare ne rafforza l’indipendenza non mi persuadono, se combinati a tali fattori e al contesto più generale. Il fatto che solo i giudici di tale sezione percepiscano il 40% di retribuzione in più rispetto agli altri giudici della Corte suprema, senza alcuna apparente correlazione con le specifiche attività svolte o il carico di lavoro di tale sezione, può, a mio avviso, generare il dubbio legittimo che tali benefici siano motivati da altri scopi. Dubbi analoghi sorgono per il fatto che il presidente della Sezione disciplinare esercita in relazione a tale Sezione determinate funzioni normalmente attribuite al primo presidente della Corte suprema, che le entrate e le spese della Sezione disciplinare sono approvate senza il diritto di controllo del primo presidente della Corte suprema, e che al presidente della Sezione disciplinare sono conferiti i poteri del ministro competente al fine di dare esecuzione al bilancio relativo alle attività di tale sezione, essendo difficile comprendere in che modo detti elementi siano collegati alla finalità apparente di tutelare i giudici della Sezione disciplinare dai rischi della collegialità.

99.      Inoltre, gli argomenti relativi alla prerogativa costituzionale del Presidente della Repubblica concernente la nomina dei giudici, le garanzie formali di indipendenza applicabili ai giudici della Sezione disciplinare e le statistiche sulle decisioni della stessa sezione non mi sembrano sufficienti a dissipare i legittimi dubbi circa l’assenza di apparenza di indipendenza di detta sezione, ove esaminati alla luce del contesto normativo nel suo insieme e tenuto conto di tutti gli elementi descritti ai paragrafi da 95 a 97 delle presenti conclusioni.

100. Alla luce delle ragioni che precedono, la seconda censura sollevata dalla Commissione è fondata.

3.      Terza censura, relativa al potere del presidente della Sezione disciplinare di designare il tribunale disciplinare

101. La Commissione sostiene che, conferendo al presidente della Sezione disciplinare il potere discrezionale di designare il tribunale disciplinare di primo grado competente a pronunciarsi sulle controversie che coinvolgono giudici degli organi giurisdizionali ordinari, l’articolo 110, paragrafo 3, e l’articolo 114, paragrafo 7, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari violano il requisito secondo cui tale giudice deve essere costituito per legge, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, tenuto conto della giurisprudenza della Corte e della Corte EDU.

102. La Repubblica di Polonia sostiene che la Commissione non ha dimostrato che le disposizioni controverse violano detto requisito, alla luce delle garanzie di indipendenza di cui godono i tribunali disciplinari.

103. Sulla base dell’analisi svolta ai paragrafi da 67 a 72 delle presenti conclusioni, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE comprende il diritto a un giudice precostituito per legge, sancito dall’articolo 47, paragrafo 2, della Carta. Pertanto, il significato e la portata di tale nozione devono essere sviluppati tenendo conto della giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, alla luce della quale detto articolo della Carta deve essere interpretato (68).

104. Come riconosciuto dalla Corte (69), la nozione di tribunale «costituito per legge» di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU riguarda non solo il fondamento normativo dell’esistenza stessa del tribunale, ma anche la composizione del collegio in ciascuna causa nonché qualsiasi altra disposizione del diritto interno la cui inosservanza renda irregolare la partecipazione di uno o più giudici all’esame della causa. Nella sua giurisprudenza (70), la Corte EDU ha evidenziato che il requisito previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU secondo cui un tribunale deve essere sempre «costituito per legge» garantisce che l’organizzazione dell’ordinamento giudiziario si basi su norme provenienti dal potere legislativo e non sia in tal modo lasciata alla discrezione del potere esecutivo né a quella delle stesse autorità giudiziarie, sebbene ciò non escluda che ai giudici sia riconosciuto un certo margine per interpretare la legislazione nazionale pertinente.

105. In particolare, nella sentenza del 12 gennaio 2016, Miracle Europe Kft. c. Ungheria (71), la Corte EDU ha dichiarato che quando l’attribuzione di una causa è discrezionale, nel senso che le modalità di tale attribuzione non sono prescritte dalla legge, tale situazione mette a rischio l’apparenza di imparzialità, consentendo speculazioni sui condizionamenti del potere politico o di altre forze nei confronti del giudice designato. Su tale base, la Corte EDU ha affermato che era in contrasto con l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU il fatto che una misura nazionale conferisse al presidente del Consiglio nazionale della magistratura di nuova costituzione (che disponeva di ampi poteri in materia amministrativa e, in una certa misura, in materia di status personale dei giudici) il potere discrezionale di riattribuire una causa ad un altro giudice, in quanto i criteri di tale riattribuzione non erano stabiliti nella normativa applicabile. Ad essere in discussione non era l’esistenza legittima di un organo giurisdizionale, bensì la legittimità dell’attribuzione di una causa a detto organo. Per la Corte EDU la natura discrezionale della riattribuzione si manifestava nel fatto che non vi fossero né motivi né criteri verificabili in base a cui le cause andavano trasferite.

106. Nella presenta causa, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che le disposizioni controverse violano il diritto a un giudice costituito per legge, la cui osservanza è necessaria per soddisfare i requisiti di tutela giurisdizionale effettiva in base all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

107. A mio avviso, devono essere respinti gli argomenti dedotti dalla Repubblica di Polonia, secondo i quali le disposizioni controverse non riguardano l’esistenza e la composizione dei tribunali disciplinari, stabilite dalla legge, ma soltanto la designazione, da parte del presidente della Sezione disciplinare, dell’organo giurisdizionale territorialmente competente. Alla luce della giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU citata ai paragrafi 104 e 105 delle presenti conclusioni, l’assenza di indicazioni, nelle disposizioni controverse, riguardo ai criteri in base a cui il presidente della Sezione disciplinare può designare il tribunale disciplinare competente, a parte l’esclusione del tribunale in cui il giudice accusato esercita le sue funzioni, fa sorgere il rischio che questo potere discrezionale possa essere esercitato in modo tale da pregiudicare lo status dei tribunali disciplinari quali giudici costituiti per legge.

108. Questo rischio sembra rafforzato da ulteriori elementi relativi al più ampio contesto in cui si inserisce il nuovo regime disciplinare. In particolare, si può ritenere che la mancanza di indipendenza della Sezione disciplinare, che è l’oggetto della seconda censura, contribuisca a legittimare dubbi circa l’indipendenza del presidente di tale sezione. È altresì pacifico che, per quanto riguarda i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, detto regime ha istituito tribunali disciplinari permanenti collegati a organi giurisdizionali di secondo grado e formati da giudici nominati dal Ministro della Giustizia, su proposta della KRS – la cui indipendenza è parimenti messa in discussione, come affermato nella seconda censura – per un mandato di sei anni. Ciò significa che, mentre il collegio giudicante che esamina una determinata controversia è nominato mediante estrazione, sulla base di un elenco dei giudici di un determinato organo giurisdizionale, i giudici che si pronunceranno sulla controversia sono stati scelti dal Ministro della Giustizia, unitamente al fatto che il Ministro della Giustizia decide anche il numero di giudici di ciascun tribunale disciplinare. Ciò aggrava il rischio che le disposizioni controverse possano essere utilizzate per attribuire una determinata controversia a un determinato giudice per ottenere un determinato risultato, in contrasto con il requisito in base a cui un giudice deve essere costituito per legge ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

109. Alla luce delle ragioni che precedono, la terza censura sollevata dalla Commissione è fondata.

4.      Quarta censura, relativa allinosservanza dei diritti procedurali dei giudici

110. La Commissione afferma, in primo luogo, che, conferendo al Ministro della Giustizia la possibilità di protrarre in modo permanente gli addebiti nei confronti dei giudici degli organi giurisdizionali ordinari attraverso la nomina di un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, l’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari viola il diritto all’esame di un causa entro un termine ragionevole e, in secondo luogo, che, prevedendo che le attività relative alla nomina di un difensore d’ufficio non interrompano il procedimento e che detto procedimento possa svolgersi in assenza del giudice o del suo difensore, gli articoli 113a e 115a, paragrafo 3, della suddetta legge violano i diritti della difesa, diritti, questi, derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Essa fonda la propria censura sulla formulazione di tali disposizioni e sulla giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 6 della CEDU.

111. La Repubblica di Polonia sostiene che siffatte violazioni non sono state dimostrate, tenuto conto delle garanzie accordate ai giudici nell’ordinamento polacco.

112. Occorre ricordare, come indicato al paragrafo 68 delle presenti conclusioni, che le norme che disciplinano il regime disciplinare dei giudici, tra cui quelle che «prevedano l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa», rientrano tra le garanzie essenziali dell’indipendenza dei giudici ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Ne consegue che i criteri di cui agli articoli 47 e 48 della Carta si applicano ai procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici, sulla base della suddetta disposizione (72).

113. Ciò si riflette negli orientamenti espressi da organismi internazionali sull’indipendenza dei giudici, secondo cui tali procedimenti dovrebbero essere determinati da un organo indipendente che operi in base a procedure che offrano le garanzie di un processo equo e i pieni diritti della difesa (73).

114. In particolare, l’articolo 47, secondo comma, della Carta garantisce il diritto a un processo equo, che è costituito da diversi elementi, ovvero il diritto a un esame della causa entro un termine ragionevole, i diritti della difesa, il principio della parità delle armi nonché la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare (74). Il rispetto dei diritti della difesa dell’accusato è altresì garantito dall’articolo 48, paragrafo 2, della Carta. Secondo le spiegazioni relative alla Carta, l’articolo 47, secondo comma, della Carta corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU e l’articolo 48, paragrafo 2, della Carta corrisponde all’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU, cosicché detti articoli della Carta devono ricevere un’interpretazione che non conculchi i livelli di protezione di cui all’articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU (75).

115. Nella giurisprudenza della Corte (76), il requisito del termine ragionevole deve essere valutato alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, tenuto conto della sua rilevanza per la persona interessata, della complessità della controversia e del comportamento delle autorità competenti e delle parti, e inoltre, in ambito penale, tale requisito deve essere rispettato non solo nel corso del procedimento giudiziario, ma anche nel corso della fase delle indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui una persona è accusata. Analogamente, l’esistenza di una violazione dei diritti di difesa deve essere valutata in funzione delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie, segnatamente della natura dell’atto in oggetto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame (77). A tale proposito, i diritti della difesa comprendono, in particolare, i principi del contraddittorio e dell’audiatur et altera pars (denominato anche audi alteram partem), i quali garantiscono fondamentalmente che le parti abbiano conoscenza e possano discutere in contraddittorio gli elementi di fatto e di diritto decisivi per l’esito del procedimento (78), mentre il principio della parità delle armi garantisce a ciascuna parte una possibilità ragionevole di esporre la propria posizione in circostanze che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto all’avversario (79).

116. Analogamente, nella sua giurisprudenza (80), la Corte EDU ha riconosciuto il requisito del termine ragionevole, il principio del contraddittorio e il principio della parità delle armi quali elementi fondamentali di un equo processo, tutelati sia nel profilo civile sia nel profilo penale dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. A tale riguardo, la Corte EDU esamina la ragionevolezza della durata del procedimento alla luce delle circostanze specifiche di ciascuna causa in funzione della sua complessità, del comportamento del ricorrente e delle autorità competenti e dell’importanza della controversia per il ricorrente (81). Il termine inizia generalmente a decorrere dall’instaurazione del procedimento nelle cause civili (82) o dal momento in cui la persona viene accusata, o comunque colpita in modo sostanziale dalle misure adottate nell’ambito di procedimenti penali (83), e copre l’intero procedimento in oggetto (84), così ponendo fine all’incertezza riguardante la posizione giuridica di una persona (85). Inoltre, nei procedimenti penali, l’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU comprende specifiche garanzie che costituiscono aspetti particolari dei diritti della difesa tutelati dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU (86). Ciò include il diritto di avvalersi di un difensore di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera c), della CEDU, il quale garantisce che il procedimento contro l’accusato non si svolga senza un’adeguata rappresentanza in ogni fase e può applicarsi, a seconda delle circostanze, nel corso della fase preliminare al processo penale (87).

117. Occorre inoltre sottolineare che, nella sua giurisprudenza sull’articolo 6 della CEDU (88), la Corte EDU ha osservato la crescente importanza attribuita da organi giurisdizionali e altri organismi internazionali all’equità procedurale nelle controversie relative alla rimozione o alla revoca di un giudice. A tale riguardo, la Corte EDU ha evidenziato che, anche se le sanzioni disciplinari non rientrano nel profilo penale dell’articolo 6 della CEDU, tuttavia esse comportano gravi conseguenze per la vita e la carriera dei giudici. Di conseguenza, il controllo giurisdizionale effettuato deve essere adeguato all’oggetto della controversia, il che vale a maggior ragione per i procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici, i quali devono godere del rispetto necessario per l’esercizio delle loro funzioni. Quando uno Stato membro avvia un simile procedimento, è in gioco la fiducia del pubblico nel funzionamento e nell’indipendenza della magistratura; in uno Stato democratico, detta fiducia garantisce l’esistenza stessa dello Stato di diritto (89).

118. Nel caso di specie, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che le disposizioni controverse violano il diritto all’esame di una causa entro un termine ragionevole e i diritti della difesa, requisiti, questi, della tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

119. Per quanto riguarda la prima parte della quarta censura, la Commissione afferma che l’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari viola il requisito del termine ragionevole, in quanto prevede che il Ministro della Giustizia possa nominare un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia ad hoc per condurre uno specifico procedimento disciplinare nei confronti di un giudice, anche nel caso di un procedimento conclusosi con una decisione definitiva, come indicato dall’articolo 112b, paragrafo 5, di detta legge. Contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica di Polonia, è evidente che tale censura è basata sulla formulazione e non sull’attuazione della disposizione di cui trattasi, cosicché non si applica la giurisprudenza della Corte (90) relativa agli elementi di prova a dimostrazione di una presunta prassi nazionale.

120. È pacifico che l’articolo 112b sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari consente al Ministro della Giustizia di nominare un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, che è un nuovo istituto creato in base a detta disposizione, in qualsiasi controversia disciplinare riguardante un giudice di un organo giurisdizionale ordinario. Ai sensi dell’articolo 112b, paragrafo 3, della suddetta legge, detto delegato può avviare un procedimento o intervenire in un procedimento in corso e, ai sensi dell’articolo 112b, paragrafo 4, della medesima legge, la nomina dello stesso equivale a una richiesta di avvio di un’indagine o di un procedimento disciplinare. Inoltre, in forza dell’articolo 112b, paragrafo 5, della medesima legge, se la funzione del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia cessa non appena diviene definitiva una decisione con cui si nega l’avvio di un procedimento disciplinare o che dispone l’interruzione o la conclusione di detto procedimento, ciò non esclude che il Ministro della Giustizia nomini nuovamente il delegato nel medesimo procedimento. Nonostante i principi del ne bis in idem e dell’autorità della cosa giudicata nell’ordinamento polacco, occorre osservare che l’espressa formulazione di detta disposizione indica la possibilità di riaprire un procedimento nella medesima controversia relativa al medesimo giudice una volta che esso si è concluso con una decisione definitiva. Tale disposizione presenta dunque il rischio che, nei confronti di un giudice di un organo giurisdizionale ordinario, possa permanere una situazione di incertezza e che, pertanto, non possa essere garantito il diritto del giudice a che si statuisca in modo definitivo sul procedimento in un termine ragionevole.

121. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, e come indicato dalla Commissione, l’assenza di adeguate garanzie contro possibili prolungamenti della durata dei procedimenti e riaperture degli stessi in base a detta disposizione non è compensata da termini specifici per talune fasi del procedimento, in quanto sembra che non vi siano limiti temporali alla formulazione di addebiti disciplinari nei confronti dei giudici. Gli argomenti della Repubblica di Polonia secondo cui l’articolo 112b, paragrafo 5, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari si applica solo a procedimenti su cui non si è statuito in modo definitivo e in cui il delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia non può più esercitare le proprie funzioni per altri motivi non sono persuasivi, dato che una situazione del genere è trattata all’articolo 112b, paragrafo 2, della medesima legge.

122. Occorre aggiungere che il rischio di prolungare la durata dei procedimenti o di riaprirli attraverso la nomina del delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia in forza dell’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari può essere rafforzato dal più ampio contesto del nuovo regime disciplinare. In particolare, risulta evidente che la disposizione in oggetto accresce il controllo del Ministro della Giustizia su indagini e procedimenti disciplinari nei confronti di giudici degli organi giurisdizionali ordinari, consentendo al Ministro della Giustizia di nominare un suo specifico delegato per controversie relative a giudici specifici. Ciò genera dubbi legittimi sul fatto che possa essere garantito un termine ragionevole entro cui si statuirà con decisione definitiva su un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice.

123. Per quanto riguarda la seconda parte della quarta censura, dall’articolo 113a della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari risulta che le attività connesse alla nomina di un difensore d’ufficio e all’espletamento da parte di quest’ultimo dell’attività difensiva non sospendono il corso del procedimento disciplinare. Detta disposizione ammette la possibilità che questioni procedurali o sostanziali, rilevanti ai fini dell’esito del procedimento, possano essere decise prima della nomina del difensore d’ufficio o prima che il difensore sia in grado di espletare l’attività difensiva, limitando così il diritto di avvalersi di un difensore e il principio del contraddittorio. Si deve pertanto ritenere che la disposizione in esame violi i diritti della difesa ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in combinato disposto con gli articoli 47 e 48 della Carta.

124. Allo stesso modo, ai sensi dell’articolo 115a, paragrafo 3, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, il giudice disciplinare può dare seguito al procedimento nonostante l’assenza giustificata della persona accusata o del suo difensore, salvo che ciò sia contrario all’interesse del procedimento disciplinare. Ne consegue che il giudice disciplinare può udire i soli argomenti del delegato alla disciplina anche se l’assenza del giudice o del suo difensore era giustificata. Il fatto che un giudice possa produrre elementi di prova e spiegazioni scritte in fasi precedenti del procedimento non compensa, a mio avviso, la mancata partecipazione del giudice o del suo difensore al procedimento dinanzi al giudice disciplinare. Tale disposizione limita anche in modo significativo i diritti della difesa e il principio di parità delle armi, in contrasto con l’articolo 19, paragrafo 1, TUE, letto alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta. Ciò vale soprattutto quando si tiene conto del più ampio contesto del nuovo regime disciplinare. In particolare, richiamando quanto detto al paragrafo 108 delle presenti conclusioni, il Ministro della Giustizia nomina i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, che interpretano e applicano tale disposizione, inclusa l’eccezione relativa all’interesse del procedimento, ricorrendo alla Sezione disciplinare la cui indipendenza è dubbia, come esposto nella seconda censura.

125. Alla luce delle ragioni che precedono, la quarta censura sollevata dalla Commissione è fondata.

C.      Censura relativa alla violazione dell’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE

126. La Commissione afferma che, consentendo che il diritto degli organi giurisdizionali nazionali di sottoporre domande di pronuncia pregiudiziale sia limitato dalla possibilità di avvio di un procedimento disciplinare, l’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e l’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema violano l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE, tenuto conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte e dell’applicazione della prima disposizione.

127. La Repubblica di Polonia sostiene che non è stata rilevata alcuna violazione, in quanto nessun procedimento disciplinare è stato avviato nei confronti di giudici per aver sollevato questioni pregiudiziali e non esiste un «effetto paralizzante».

128. Occorre ricordare che l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE conferisce ai giudici nazionali la facoltà e, se del caso, impone loro l’obbligo di sollevare una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essa pendente, siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che implicano un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione (91). Come dichiarato dalla Corte nella sentenza Miasto Łowicz (92), non possono essere ammesse disposizioni nazionali dalle quali derivi per i giudici nazionali il rischio di esporsi a procedimenti disciplinari per il fatto di avere adito la Corte mediante un rinvio pregiudiziale. In effetti, la mera prospettiva di poter essere, se del caso, oggetto di procedimenti disciplinari per il fatto di aver proceduto ad un siffatto rinvio pregiudiziale è atta a pregiudicare l’effettivo esercizio, da parte dei giudici interessati, della facoltà e delle funzioni a loro affidate dall’articolo 267 TFUE. Il fatto che tali giudici non siano esposti a procedimenti o a sanzioni disciplinari per aver esercitato una tale facoltà di adire la Corte costituisce una garanzia inerente alla loro indipendenza ed al funzionamento del meccanismo del rinvio pregiudiziale.

129. Occorre altresì sottolineare che, nella sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi) (93), la Corte stessa ha riconosciuto che le autorità polacche hanno recentemente moltiplicato le iniziative volte a frenare i rinvii pregiudiziali alla Corte vertenti sulla questione dell’indipendenza dei giudici in Polonia e a rimettere in discussione le decisioni dei giudici polacchi che hanno proceduto a simili rinvii.

130. Nella presente causa, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che le disposizioni controverse violano l’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE, poiché non offrono garanzie sufficienti per tutelare i giudici dal possibile avvio di procedimenti disciplinari per aver proceduto a rinvii pregiudiziali.

131. In linea con l’analisi effettuata ai paragrafi da 79 a 85 delle presenti conclusioni, se non si può ritenere che le disposizioni controverse, considerate singolarmente, violino l’articolo 267 TFUE, vi sono ragionevoli motivi per affermare che esse possono essere interpretate in modo che i giudici nazionali possano essere sottoposti a procedimenti o sanzioni disciplinari per aver proceduto a un rinvio pregiudiziale, tenuto conto del più ampio contesto e dell’applicazione nella pratica. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, gli esempi citati dalla Commissione al paragrafo 41 delle presenti conclusioni indicano che i giudici sono stati sottoposti ad indagine e procedimento disciplinare in relazione alle loro decisioni di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte. Più precisamente, tre giudici erano stati oggetto di indagini vertenti, in particolare, su un possibile eccesso di potere giurisdizionale per aver effettuato detti rinvii (94), e il quarto caso riguardava un procedimento disciplinare avviato nei confronti del giudice interessato, tra l’altro, per un rinvio asseritamente illegittimo di questioni pregiudiziali relative all’indipendenza dei giudici. Il fatto che tali indagini si siano concluse, che esse siano effettuate a titolo apparentemente eccezionale o che le indagini e il procedimento disciplinare concernessero illeciti diversi dalle violazioni manifeste e flagranti delle disposizioni di legge non è convincente.

132. Ad essere determinante nel caso di specie è il fatto che, come confermato nella sentenza Miasto Łowicz, violano l’articolo 267 TFUE le misure nazionali che in qualsiasi modo impediscano a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della facoltà o dell’obbligo di adire la Corte con un rinvio pregiudiziale o ostacolino l’esercizio di tale facoltà o di tale obbligo. Il fatto che le disposizioni controverse ammettano la possibilità che possano essere avviati procedimenti disciplinari nei confronti di giudici nazionali in relazione alla loro decisione di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte non solo pregiudica il funzionamento del procedimento di rinvio pregiudiziale, ma può altresì influenzare le decisioni future di altri giudici nazionali su eventuali rinvii pregiudiziali, dando così origine a un «effetto paralizzante». A mio avviso, la mera prospettiva che un giudice nazionale possa essere oggetto di procedimenti o di sanzioni disciplinari per aver proceduto a un rinvio pregiudiziale mina nella sua essenza la procedura disciplinata dall’articolo 267 TFUE e, con essa, le vere e proprie basi della stessa Unione.

133. Alla luce delle ragioni che precedono, la quinta censura sollevata dalla Commissione è fondata.

VII. Spese

134. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. A norma dell’articolo 140, paragrafo 1, del medesimo regolamento, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico. Di conseguenza, poiché la Commissione ne ha fatto domanda e la Repubblica di Polonia è rimasta soccombente, quest’ultima deve essere condannata alle spese. Le spese sostenute dal Regno del Belgio, dal Regno di Danimarca, dalla Repubblica di Finlandia, dal Regno dei Paesi Bassi e dal Regno di Svezia restano a carico di ciascuno di essi.

VIII. Conclusione

135. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

(1)      dichiarare che, consentendo, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari e dell’articolo 97, paragrafi 1 e 3, della legge sulla Corte suprema, di qualificare il contenuto delle decisioni giudiziarie come illecito disciplinare; non garantendo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 27 e dell’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema e dell’articolo 9 bis della legge sulla KRS, l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare; conferendo al presidente della Sezione disciplinare, ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 3 e dell’articolo 114, paragrafo 7, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, il diritto di designare il tribunale disciplinare di primo grado competente a pronunciarsi sulle controversie che coinvolgono giudici dei tribunali ordinari; conferendo, ai sensi dell’articolo 112b della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, al Ministro della Giustizia il potere di nominare un delegato alla disciplina del Ministro della Giustizia, nonché prevedendo, ai sensi dell’articolo 113a della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, che le attività connesse alla nomina di un difensore e all’espletamento da parte di quest’ultimo dell’attività difensiva non sospendano il corso del procedimento disciplinare, e, ai sensi dell’articolo 115a, paragrafo 3, della legge sull’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, che il procedimento dinanzi al tribunale disciplinare prosegua nonostante l’assenza giustificata della persona accusata (che sia stata informata) o del suo difensore, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE;

(2)      dichiarare che, consentendo che il diritto degli organi giurisdizionali nazionali di sottoporre alla Corte le domande di pronuncia pregiudiziale sia limitato a causa della possibilità che sia avviato un procedimento disciplinare, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 267, secondo e terzo comma, TFUE;

(3)      condannare la Repubblica di Polonia a farsi carico delle proprie spese e di quelle della Commissione;

(4)      condannare il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica di Finlandia, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno di Svezia a farsi carico delle proprie spese.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Gli organi giurisdizionali ordinari, altresì denominati organi giurisdizionali comuni, si dividono in tribunali circondariali, tribunali regionali e corti d’appello, per un totale di circa 10 000 giudici, secondo recenti calcoli.


3      V. sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze nel sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586); del 17 dicembre 2020, Openbaar Ministerie (Indipendenza dell’autorità giudiziaria emittente) (C‑354/20 PPU e C‑412/20 PPU, EU:C:2020:1033); e del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi)(C‑824/18, EU:C:2021:153); e note 4, 5, 9 e 10 delle presenti conclusioni.


4      C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982 (in prosieguo: la «sentenza A.K. e a.»).


5      C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234 (in prosieguo: la «sentenza Miasto Łowicz»). In detta sentenza, la Corte ha dichiarato l’irricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dai giudici interessati (v. paragrafo 41 delle presenti conclusioni) a causa dell’assenza di un collegamento, sotto il profilo del merito, tra i procedimenti principali e le disposizioni del diritto dell’Unione.


6      V. le mie conclusioni nella causa A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) [C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:551 (in prosieguo: le «conclusioni nella causa A.K. e a.»), paragrafo 1, nota 4].


7      V. la proposta motivata della Commissione a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, del Trattato dell’Unione europea sullo Stato di diritto in Polonia, COM(2017) 835 final, 20 dicembre 2017.


8      La Commissione ha avviato un quarto ricorso per inadempimento contro la Repubblica di Polonia in relazione al nuovo regime disciplinare (v. comunicato stampa, 27 gennaio 2021, IP/21/224). V. infra, alla nota 49 delle presenti conclusioni.


9      C‑619/18, EU:C:2019:531. V. anche le mie conclusioni nella causa Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:325).


10      C‑192/18, EU:C:2019:924. V. anche le mie conclusioni nella causa Commissione/Polonia (Indipendenza degli organi giurisdizionali ordinari) (C‑192/18, EU:C:2019:529).


11      Per un quadro generale, v. Devlin, R. e Wildeman, S. (ed.), Disciplining Judges: Contemporary Challenges and Controversies, Edward Elgar, 2021.


12      V. nota 49 delle presenti conclusioni.


13      Commissione/Polonia (C‑791/19 R, EU:C:2020:277).


14      La Commissione fa riferimento, in particolare, alla sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531).


15      La Commissione fa riferimento, in particolare, alla sentenza della Corte suprema del 29 ottobre 2003 (SNO 48/03).


16      Comunicazioni del sostituto del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 29 novembre 2018, ai giudici del Tribunale regionale di Łódź, del Tribunale regionale di Varsavia e del Tribunale regionale di Gorzów Wielkopolski; comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 17 dicembre 2018, sulle indagini relative ai rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia.


17      Comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 3 settembre 2019, relativa a un giudice del Tribunale regionale di Varsavia.


18      Comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 6 dicembre 2019, relativa a un giudice del Tribunale regionale di Varsavia.


19      Decisione della Sezione disciplinare del 4 febbraio 2020 (II DO 1/20).


20      Comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 29 novembre 2019, relativa a un giudice del Tribunale circondariale di Olsztyn (Polonia).


21      Comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 15 dicembre 2019, relativa a giudici della Corte d’appello di Katowice; Comunicazione del delegato alla disciplina per i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, del 14 febbraio 2020, relativa a un giudice del Tribunale regionale di Jelenia Góra (Polonia).


22      La Repubblica di Polonia fa riferimento, in particolare, alle sentenze della Corte suprema del 29 ottobre 2003 (SNO 48/03) e del 17 ottobre 2006 (SNO 59/06).


23      La Repubblica di Polonia fa riferimento alle sentenze A.K. e a., e del 9 luglio 2020, Land Hessen(C‑272/19, EU:C:2020:535).


24      La Commissione fa riferimento, in particolare, alla sentenza del 17 dicembre 2004, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca (CE:ECHR:2004:1217JUD004901799).


25      La Commissione fa riferimento alla sentenza del 24 settembre 2009, Pishchalnikov c. Russia (CE:ECHR:2009:0924JUD000702504).


26      La Repubblica di Polonia cita, in particolare, la sentenza del 12 maggio 2005, Commissione/Belgio (C‑287/03, EU:C:2005:282).


27      V. sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 47).


28      V. sentenza del 5 novembre 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza degli organi giurisdizionali ordinari) (C‑192/18, EU:C:2019:924, punto 102).


29      V. sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 55).


30      V. sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi) (C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 111).


31      V. sentenza Miasto Łowicz(punto 34).


32      V. sentenze del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 56), e del 5 novembre 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza degli organi giurisdizionali ordinari) (C‑192/18, EU:C:2019:924, punto 104).


33      Con particolare riguardo all’articolo 47 della Carta, vi sono svariate posizioni in dottrina; v., ad esempio, Rizcallah, C. e Davio, V., «L’article 19 du Traité sur l’Union européenne: sésame de l’Union de droit», Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 31, 2020, pagg. da 155 a 185, in particolare pagg. da 178 a 181; Torres Pérez, A., «From Portugal to Poland: The Court of Justice of the European Union as watchdog of judicial independence», Maastricht Journal of European and Comparative Law, vol. 27, 2020, pagg. da 105 a 119, in particolare pagg. da 111 a 112.


34      V. sentenze del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 77), e del 5 novembre 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza degli organi giurisdizionali ordinari) (C‑192/18, EU:C:2019:924, punto114).


35      V. sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a.(Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi)(C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 143, citazioni omesse); v. altresì, ad esempio, sentenze del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Tutela giurisdizionale contro richieste di informazioni in materia fiscale) (C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 47), e del 20 aprile 2021, Repubblika (C‑896/19, EU:C:2021:311, punto 45).


36      V. sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi)(C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 110).


37      V. conclusioni nella causa A.K. e a. (paragrafo 85). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Hogan nella causa Repubblika (C‑896/19, EU:C:2020:1055, paragrafi da 45 a 47).


38      V. sentenza del 26 marzo 2020, Riesame Simpson e HG/Consiglio e Commissione (C‑542/18 RX-II e C‑543/18 RX-II, EU:C:2020:232, punto 75); sentenza del 1° dicembre 2020, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda (CE:ECHR:2020:1201JUD002637418, §§ da 231 a 234). V. altresì le mie conclusioni nella causa W.Ż.(Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina) (C‑487/19, EU:C:2021:289), e nella causa Prokurator Generalny (Sezione disciplinare della Corte suprema – Nomina) C‑508/19, EU:C:2021:XX).


39      V. sentenza del 24 maggio 2016, MT Højgaard e Züblin (C‑396/14, EU:C:2016:347, punto 23).


40      V. sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 43); del 21 gennaio 2020, Banco de Santander (C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 56); e del 16 luglio 2020, Governo della Repubblica italiana (Status dei magistrati italiani) (C‑658/18, EU:C:2020:572, punto 45).


41      V. sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 77); conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e a.(C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19 e C‑355/19, EU:C:2020:746, paragrafo 265).


42      V. sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 77).


43      V., ad esempio, Consiglio d’Europa, Carta europea sullo statuto dei giudici, 8-10 luglio 1998, punto 5; Principi fondamentali delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici, 1985, punti da 17 a 20.


44      V., ad esempio, raccomandazione CM/Rec(2010)12, del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui giudici: indipendenza, efficienza e responsabilità, 17 novembre 2010, punto 66; Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Report of the Special Rapporteur on disciplinary measures against judges (Relazione del relatore speciale sulle sanzioni disciplinari nei confronti dei giudici) (A/75/172), 17 luglio 2020, punto 21.


45      V. ad esempio, Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE), parere n. 3 sui principi e sulle norme a disciplina della condotta professionale dei giudici, in particolare sull’etica, sui comportamenti incompatibili e sull’imparzialità, 19 novembre 2002, punti da 63 a 65 relazione delle Nazioni Unite, citata nella nota 44 delle presenti conclusioni, punto 22.


46      V. a tale riguardo, sentenza del 9 gennaio 2013, Volkov c. Ucraina (CE:ECHR:2013:0109JUD002172211, §§ da 175 a 185). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Statul Român – Ministerul Finanțelor Publice (C‑397/19, EU:C:2020:747, paragrafi 100 e 101).


47      V. sentenze A.K. e a. (punto 142), e del 9 luglio 2020, Land Hessen (C‑272/19, EU:C:2020:535, punto 57).


48      V. sentenza A.K. e a. (punto 152).


49      La disposizione di cui trattasi è stata modificata dalla legislazione nazionale (definita nei media come la «legge museruola»), entrata in vigore il 14 febbraio 2020. Tale normativa, in particolare, ha aggiunto talune categorie di illeciti disciplinari, pur mantenendo, in sostanza, quelli in oggetto nella presente causa. Essa è oggetto del quarto ricorso per inadempimento avviato dalla Commissione nei confronti della Repubblica di Polonia (v. nota 8 delle presenti conclusioni).


50      V., inter alia, Commissione di Venezia e Direzione generale dei diritti umani e dello Stato di diritto (DGI) del Consiglio d’Europa, parere n. 977/2020 [CDL-AD(2020)017], del 22 giugno 2020, punto 44; Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, risoluzione 2316 sul funzionamento delle istituzioni democratiche in Polonia, 28 gennaio 2020, punto 11; Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione (GRECO), quarto esercizio di valutazione, secondo addendum alla seconda relazione sulla conformità (GrecoRC4(2019)23), 6 dicembre 2019, in particolare ai punti 58 e 66.


51      Come indicato dalla Commissione, detta procedura è stata oggetto di critiche, inter alia, da parte della Commissione di Venezia nel parere n. 904/2017 [CDL-AD(2017)031], 11 dicembre 2017, paragrafi da 53 a 63.


52      V. sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 30). Nel caso di specie, due mesi dopo la ricezione del parere motivato il 17 luglio 2019 (v. paragrafo 27 delle presenti conclusioni).


53      V. sentenza del 10 dicembre 2009, Commissione/Regno Unito (C‑390/07, non pubblicata, EU:C:2009:765, punti 59 e 63).


54      Tali esempi sono citati in diverse relazioni di organismi nazionali e internazionali relative a procedimenti e provvedimenti disciplinari adottati nei confronti di giudici polacchi. V., in particolare, Amnesty International, Poland: Free Courts, Free People, luglio 2019; Helsinki Foundation for Human Rights, Disciplinary Proceedings Against Judges and Prosecutors, febbraio 2019; Themis Association of Judges, Response of the Polish authorities to the CJEU judgment of 19 November 2019, updated as of 31 December 2020. Come indicato al punto 69 del parere n. 3 (2002) del CCJE, citato nella nota 45 delle presenti conclusioni, per misura disciplinare si intende ogni misura che produce effetti negativi sullo status o sulla carriera di un giudice.


55      V. sentenza A.K. e a. (in particolare, punti da 123 a 129 e 153).


56      V. sentenza A.K. e a. (punti 133 e 134).


57      V. sentenza A.K. e a. (punti da 137 a 151). Per quanto riguarda la KRS, v. altresì sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi) (C‑824/18, EU:C:2021:153, punti da 130 a 135), e le mie conclusioni nella causa A.B. e a. (C‑824/18, EU:C:2020:1053, paragrafi da 116 a 126).


58      C‑619/18, EU:C:2019:531.


59      Sentenza del 5 dicembre 2019 (III PO 7/18), in particolare punti da 38 a 81.


60      Ordinanze del 15 gennaio 2020 (III PO 8/18 e III PO 9/18).


61      Delibera del 23 gennaio 2020 (BSA I‑4110-1/20), in particolare punti da 31 a 45. La delibera in esame ha forza di legge (v. punti 2 e 3).


62      V. sentenza A.K. e a., punti da 167 a 169.


63      V. sentenza A.K. e a., punto 132.


64      V. conclusioni nella causa A.K. e a. (paragrafi da 131 a 137).


65      V. conclusioni nella causa A.K. e a. (paragrafi 138 e 139).


66      Sentenza del 20 aprile 2020 (U 2/20).


67      Sentenza del 25 marzo 2019 (K 12/18).


68      V. sentenza del 26 marzo, Riesame Simpson e HG/Consiglio e Commissione (C‑542/18 RX‑II e C‑543/18 RX‑II, EU:C:2020:232, punto 72).


69      V. sentenza del 26 marzo, Riesame Simpson e HG/Consiglio e Commissione (C‑542/18 RX‑II e C‑543/18 RX‑II, EU:C:2020:232, punto 73).


70      V., ad esempio, sentenza del 28 aprile 2009, Savino e a. c. Italia (CE:ECHR:2009:0428JUD001721405, § 94).


71      CE:ECHR:2016:0112JUD005777413, §§ da 57 a 63 e 67.


72      V. paragrafi da 67 a 72 delle presenti conclusioni. V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e a. (C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19 e C‑355/19, EU:C:2020:746, paragrafo 265).


73      V. ad esempio, Carta europea, citata nella nota 43 delle presenti conclusioni, punto 5.1; parere n. 3 (2002) del CCJE, citato nella nota 45 delle presenti conclusioni, punti 69, 71 e 77; principi fondamentali delle Nazioni Unite, citati nella nota 43 delle presenti conclusioni, punti 17, 19 e 20.


74      V., a tale riguardo, sentenza del 6 novembre 2012, Otis e a. (C‑199/11, EU:C:2012:684, punto 48).


75      V. sentenza del 29 luglio 2019, Gambino e Hyka (C‑38/18, EU:C:2019:628, punto 39).


76      V. sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C‑612/15, EU:C:2018:392, punti 71 e 72).


77      V. sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 97).


78      V. sentenze del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank (C‑472/11, EU:C:2013:88, punti 29 e 30), e del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 55).


79      V. sentenza del 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary (C‑189/18, EU:C:2019:861, punto 61).


80      Per un’applicazione in materia di procedimenti disciplinari nei confronti di giudici, v. sentenza del 5 febbraio 2009, Olujić c. Croazia (CE:ECHR:2009:0205JUD002233005, §§ da 77 a 91) (che accerta una violazione del requisito del termine ragionevole e della parità delle armi).


81      V. sentenza del 25 giugno 2019, Virgiliu Tănase c. Romania (CE:ECHR:2019:0625JUD004172013, § 209).


82      V. sentenza del 19 gennaio 2010, Rangdell c. Finlandia (CE:ECHR:2010:0119JUD002317208, § 36). Tuttavia, tale termine può comprendere fasi preliminari obbligatorie del procedimento: v. sentenza del 28 giugno 1978, Konig c. Germania (CE:ECHR:1978:0628JUD000623273, § 98).


83      V. sentenza del 27 luglio 2006, Mamič c. Slovenia (n. 2) (CE:ECHR:2006:0727JUD007577801, §§ 23 e 24).


84      V. sentenza del 28 giugno 1978, Konig c. Germania (CE:ECHR:1978:0628JUD000623273, § 98).


85      V., a tale proposito, van Dijk, P. et al. (ed.), Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, Quinta edizione, Intersentia, 2018, pagg. da 588 a 592.


86      V sentenza del 2 novembre 2010, Sakhnovskiy c. Russia (CE:ECHR:2010:1102JUD002127203, § 94).


87      V. sentenza del 13 settembre 2016, Ibrahim e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:2016:0913JUD005054108, § 253).


88      V. sentenze del 23 giugno 2016, Baka c. Ungheria (CE:ECHR:2016:0623JUD002026112, § 121), e del 23 maggio 2017, Paluda c. Slovacchia (CE:ECHR:2017:0523JUD003339212, § 45).


89      V. sentenza del 6 novembre 2018, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo (CE:ECHR:2018:1106JUD005539113, § 196).


90      V. sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C‑808/18, EU:C:2020:1029, punto 113).


91      V. sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:723, punto 88), e del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi)(C‑824/18, EU:C:2021:153, punti 91 e 92).


92      V. sentenza Miasto Łowicz (punti 58 e 59). V. altresì sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 25); ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 47).


93      C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 100.


94      V., a tale riguardo, sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina di giudici presso la Corte suprema – Ricorsi) (C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 101).